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NOESIS – BERGAMO VINCENZO VITIELLO 2010 - 2011INCONTRI DI FILOSOFIA LA RAGIONE PAZIENTE IL GIOCO DELLA VITA TRA

RAGIONE E PASSIONE

Pagina 1 di 7 Appunti dalle conferenzea cura di Danilo Cambiaghi

VINCENZO VITIELLO – LA RAGIONE PAZIENTE

Vincenzo Vitiello – Università Vita e Salute, San Raffaele, Milano

Conferenza tenuta martedì 22 febbraio 2011

1.1 RELAZIONE

Il relatore premette che più che una conferenza sarà una meditazionecondotta insieme al pubblico. Si propone di presentare, attraversoesempi, l’espressione della ragione impaziente in politica, etica escienza, e poi, a ritroso, manifestazioni di ragione paziente a proposito

di scienza, etica e politica. Alla fine, e con grande cautela e rispetto, parlerà di verità, la verità diuna ragione paziente. Vitiello ha introdotto in filosofia concetti di topologia. La topologia, che inmatematica attiene alla determinazione delle relazioni spaziali, in filosofia vuole essere unaproposta di interpretazione della storia più sulla base dello spazio che del tempo.

Servono alcune definizioni. Parlando di ragione paziente, si intende una ragione abituata a nonessere frettolosa. Una ragione che esercita una continua meditazione, che si arresta continuamentea riconsiderare i propri passi. Perché vi sia vero esercizio di ragione, la ragione deve esserepaziente. Ma il termine può essere visto anche in un altra accezione. Paziente è anchel’ammalato, colui che soffre. Di cosa può soffrire la ragione? Il concetto verrà approfondito piùavanti, ma anticipiamo che la ragione patisce anzitutto di sé stessa, patisce il fatto di non riuscire adare ragione di sé, di non riuscire a rispettare i limiti che essa stessa stabilisce. L’edificio elaboratodalla ragione può essere perfettamente coerente senza essere congruente col mondo reale, quelloche la ragione dice deve essere convalidato.

Kant afferma che la ragione critica è la ragione che giudica sé medesima. La ragione diventaimpaziente quando non riesce ad accettare i propri limiti, quando per superare tali limiti imboccadelle scorciatoie. Questa affermazione verrà illustrata con esempi presi dalla politica, dalla moralee dall’episteme 1, l’ambito filosofico della scienza.

In politica partiamo dalla riflessione di Platone attorno alla Repubblica. Si pone il problema didefinire lo stato giusto. Parlando di stato giusto la mente corre alle categorie dell’etica, ma inPlatone non c’è richiamo etico. Platone definisce giusto lo stato che persegue l’utile dei cittadini.Utile non è traduzione esatta del termine greco, si dovrebbe forse dire interesse, convenienza.L’aggancio all’etica nasce dal fatto che, in una società, perché qualcuno realizzi il proprio interessegli altri devono essere d’accordo. Comunque vadano le cose, anche gli altri devono riceverequalcosa, che potrà essere costituito da briciole in una società leonina2, mentre in una societàeconomica l’utile di ciascuno deve portare qualcosa a tutti gli altri, deve essere conveniente per

1 Epistème (dal greco ep?st?µ?: epi- "su" e histamai "stare", "porre", "stabilire") è un termine che indica la conoscenzacerta e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che si stabilisce su fondamenta certe,al di sopra di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti. Il termine episteme viene spesso tradottosemplicemente come scienza o conoscenza ed in epoca moderna con il termine epistemologia viene inteso lo studiostorico e metodologico della scienza sperimentale e delle sue correnti. (citato da Wikipedia).2 Nell'ordinamento giuridico romano, come in quello italiano, si definisce societas leonina la società in cui qualcuno deisoci divide con gli altri le perdite, ma non gli utili. Ovviamente è vietata.

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tutti. Etimologicamente la con-venienza si ha quando viene qualcosa a più persone (lat: cum-venire), mentre il concetto di interesse (lat: inter-esse) implica l’essere dentro, l’essere insieme.Per Platone quindi lo stato giusto è quello che pone le condizioni per cui ciascuno perseguendo ilproprio utile agisca anche a vantaggio degli altri3. Questa posizione crea una situazione diequilibrio strutturalmente instabile, in quanto è l’individuo che, nello stare con gli altri (inter-esse)vede il proprio vantaggio unito al vantaggio comune, ma proprio nell’individuo alberga il desideriodi aggiudicarsi qualcosa a scapito degli altri4. Quindi l’individuo è necessariamente sottoposto aduna situazione conflittuale che rende intrinsecamente instabile la società giusta. Le parole checitiamo risalgono a Platone, ma il problema è ancora attuale. Come possiamo, se non spegnere,almeno controllare la voglia di prevalere, di prevaricare sugli altri? E’ a questo scopo che le leggidisciplinano gli scambi. Se vogliamo veramente evitare la guerra di ognuno contro tutti dobbiamoguardare al cum, mit, with, con, cioè al concetto universale dello stare insieme. Per quanto nellacomunità possiamo desiderare di prevalere, comunque siamo con gli altri. Per quanto il conviveresia insidiato dal desiderio del proprio utile, esso è preservato dallo stare insieme, condizioneimprescindibile della comunità. Lo stare insieme è condizione per poter realizzare il propriointeresse. L’egoismo intelligente porta all’accordo, a vincere la disutilità del conflitto.Salvaguardiamo la possibilità di guadagnare se preserviamo le condizioni per cui tutta la societàprosperi. Parlando di bene la cultura cristiana ci fa pensare alla morale, ed in ultima analisi a Dio.In Platone non c’è nulla del genere, il bene come lo intende lui è più vicino all’utilità, e vi ècoinvolto anche il concetto di abilità (come nella frase “non sei buono a nulla”, che significa “nonsei capace di fare alcunché”). Per Platone il cittadino buono è un cittadino capace. La comunità,l’inter di interesse, è condizione per avere una vita comune, e quindi perché si creino i presuppostiper realizzare [anche] la propria utilità. A patto che l’inter prevalga sulla pulsione allaprevaricazione. Per raggiungere il nostro interesse prima di tutto dobbiamo difendere l’inter, lacomunità. Sin dall’origine il problema della politica è la salvaguardia della polis, della comunità.Quindi il tema del giusto è il tema dell’utile, ed il compito dell’individuo è la tutela della comunità.Il problema, individuato da Platone ed ereditato da tutta la cultura occidentale, è che abbiamo capitola necessità di difendere la comunità, ma la difesa è affidata all’individuo che è tentato dallaprevaricazione. Questa contraddizione intrinseca provoca sofferenza alla ragione, e la ragioneimpaziente (= che non vuole patire) interviene per risolvere la questione. L’uomo è colui che si facarico della custodia della comunità per preservare il proprio utile, ma l’individuo ha al suo internoil seme della disgregazione. Platone, con l’impazienza della ragione, rimuove il problemaricorrendo al mondo delle idee. Cioè si inventa un mondo ideale dove le contraddizioni sonosuperate. La ragione non accetta il proprio limite, non lo vuole patire, e trova una strada perrimuoverlo. Rimozione di altissimo livello filosofico, ma pur sempre frutto di una ragioneimpaziente.

Passiamo alla morale, di cui Platone non si occupa, ma il cui filosofo sommo è Kant. Kant è unfilosofo estremamente cauto, prima di muoversi esplora il territorio con cura meticolosa. Seguiamoil suo ragionamento. L’individuo ha delle inclinazioni verso la soddisfazione immediata esensibile, ma pure sente in sé un imperativo morale. Kant non dice che gli uomini siano buoni,arriva anzi a dire che tale imperativo morale sarebbe tanto più percepito dall’individuo quanto piùquesti sia prossimo ad infrangerlo. Quanto meno rispettiamo le regole, cediamo alle tentazioni,

3 Il liberalesimo sostiene che tale condizione si possa raggiungere nell’ambito di un libero mercato regolato da unquadro normativo leggero, orientato a generare le condizioni per cui barare non sia conveniente, mentre il socialismo nevede la realizzabilità solo attraverso uno stato onnipresente che avochi a sé tutte le attività economiche.4 Si vedano il conatus sese conservandi ed il conatus sese augendi , in Spinoza

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tanto più avvertiamo la nostra inadeguatezza. Frase filosofica che coincide con il senso comune.Anche quando si imbestia l’uomo non è una bestia.

Ci sarebbe cioè un conflitto tra l’imperativo morale e l’attrazione sensibile. So che dovrei agire inun certo modo, ma non ce la faccio ed agisco diversamente. Kant ci propone varie formedell’imperativo, filosoficamente riconducibili l’una all’altra. La formulazione forse più efficacerecita: “agisci in modo che la massima del tuo agire possa essere fondatrice della legislazioneuniversale”, equivalente alla seguente formulazione dovuta al senso comune: “cosa succederebbe setutti facessero così?” Se applicata questa formulazione conterrebbe l’essenza della comunità: lageneralizzazione dell’ipotesi di colpire il prossimo porterebbe alla distruzione. La possibilità dipreservare la comunità umana diventa fondamento formale della definizione di bene.

Fermiamoci al bivio tra imperativo ed inclinazioni. “Agisci in modo tale che la massima del tuoagire possa essere fondatrice della legislazione universale” è un comando che muove dalla ragione edalla volontà morale, e che se si rivolgesse alle inclinazioni sensibili avrebbe la prospettiva di nonvenire ascoltata. Quindi necessariamente la volontà morale si rivolge a sé stessa. La volontà èmorale se non è presa da inclinazioni sensibili. Quindi la volontà morale ordina a sé stessa diconseguire quello che, per essere volontà morale, ha già conseguito. Sembra un discorsozoppicante, ma è grandissimo. La volontà morale è in continuo conflitto con le inclinazioni, e devecontinuare a ricordare il proprio compito a sé stessa. L’uomo morale non è un santo, è unindividuo che deve ancora lottare quotidianamente e deve “tenersi su”. Vi è una difficoltàconcettuale: la volontà morale dà ordini a sé stessa, ma se le inclinazioni sensibili sono più forti vipuò essere sconfitta senza responsabilità. L’uomo morale fa tutto quello che può, ma potrebbe nonbastare.

La ragione impaziente vorrebbe andare oltre, vedere in Kant la soluzione, mentre la grandezza diKant sta nell’avere evidenziato il problema senza forzarne una soluzione. Nella Critica dellaRagion Pratica ad un certo punto Kant scrive: “Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomonon si può costruire niente di perfettamente dritto". Vi è il senso dei limiti della responsabilitàmorale, con una ragionevolezza sconosciuta alla ragione impaziente.

Come ultimo esempio consideriamo la fondazione dell’episteme, del sapere scientifico.

Da Cartesio, ma più ancora da Husserl, i principi posti a fondamento del criterio di scientificità,come ad esempio il principio di non contraddizione, trovano tutti il loro fondamento ultimo nell’iopenso, la ragione, il cogito ergo sum. Ma quale è il gioco, la funzione dell’inconscio in ambitoscientifico? Il discorso sarebbe lungo, dobbiamo stringere i tempi5. Una ragione paziente siferma, dubita, si avvede di come l’io penso sia un pilastro che traballa. La ragione paziente siavvede che il puro io penso non sia poi così puro, che non possa prescindere da condizionamentisubconsci, che la volontà, il vissuto e la società interferiscono con il giudizio. Ad un certo punto,nella Dialettica Trascendentale, Kant scrive: “io, o egli, o esso, la cosa che pensa, rappresentata conuna x” Quando uno credo di pensare, chi veramente pensa?

Nel nostro cammino a ritroso rivisitiamo ora la morale.

Davanti alla formulazione kantiana “Agisci in modo tale che la massima del tuo agire possa esserefondatrice della legislazione universale”, una ragione paziente risponderà: agirò come posso, in basealla mia storia, al mio tempo6, alla mia cultura, alla mia condizione, alla mia capacità fisica7.

5 a questo punto l’oratore si era accorto di essere in ritardo sulla prevista tabella di marcia.6 Ai tempi dell’Inquisizione le possibilità erano diverse da ora7 non a tutti è dato sopportare il martirio

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Quando parliamo dell’io, si tratta veramente dell’io? Conosciamo veramente noi stessi? Una cosapossiamo dire: fin quando pensiamo di essere condizionati da storia, tempo, cultura, ecc. nonpossiamo parlare di libertà. E tuttavia due umani diversi [re]agiranno in modo diverso pur a paritàdi condizionamenti. Nel tempo storico, tra il passato che ci condiziona ed il presente c’è un’areavuota che ci sfugge. Tra fortuna e virtù8 c’è qualcosa d’altro. Alle nostre spalle non c’è undestino, c’è un vuoto. La ragione paziente soffre, ma così afferma che il passato non ci determina[completamente]. Così torniamo alla politica.

La Politica fa le leggi. In Occidente prevale la democrazia, il dialogo. In Occidente la Politica fa[deve fare] leggi che preservino il dialogo, che lo promuovano e lo impongano. Questa è unaaffermazione degna di una ragione impaziente. La ragione paziente conosce il valore del dialogo,ma ne riconosce anche i limiti. La democrazia non si impone. Il primo compito dello statodemocratico è difendere la democrazia, ma il totalitarismo si combatte con le armi, non con ildialogo. Dialogare significa rispettare l’altro che dialoga con me, ma se l’altro non vuole dialogarenon sono più vincolate neanche io.

Ritroviamo il tema in Aristotele, a proposito del principio di non contraddizione. Non devochiedere all’altro di adeguarsi, basta che egli parli ed anch’egli afferma il principio di noncontraddizione. E se non parla è un vegetale.

Una domanda pone in crisi quanto fin qui detto: “E’ veramente il con (cum, with, mit, inter) ilfondamento di ogni relazione? Non c’è qualcosa di più primitivo? Più radicale dello stare con èlo stare accanto (non sotto la stessa legge). Vediamo come lo stare accanto possa superare lostare con, ad esempio a proposito delle religioni.

Caso del con:Musulmani, Cristiani ed Ebrei dialogano tra di loro. Il Vitiello porta l’esperienza di una suapersonale disputa con l’Imam di Roma, pieno di disponibilità al dialogo finché si accettavache la verità del Cristianesimo fosse inclusa ma non eccedente la verità dell’Islam. Sembradire: Musulmani, Cristiani ed Ebrei dialogano in un dialogo tra sordi dove ciascuno fariferimento a verità irriducibili alle verità dell’altro.

Caso dell’accanto:Non c’è più obbligo o finzione di dialogo. Il Vitiello dichiara di desiderare un’Europa incui ciascuno preghi e viva a modo suo, senza obbligo di entrare in contatto con l’altro, comela pietra sta accanto all’erba ma non partecipa alla vita dell’erba, né la condiziona.

L’ultimo tema da lambire è il tema della verità

Nello stare accanto, cos’è la verità? La verità è la mia verità, quella che dice chi io sia, donodell’altro che mi riconosce come tale.

La verità del nostro presente è il dono che il futuro farà a noi.

8 Secondo Machiavelli il successo dipende in parti uguali da fortuna (circostanze favorevoli) e virtù (capacità di trarnevantaggio efficacemente)

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1.2 DIBATTITO

Intervento 1 – Il rispetto è forse migliore del dialogo, rispetto della verità degli altri, senzapretendere di inglobare, né accettare di essere inglobati.

Risposta 1 – Si, Kant indica il rispetto come una qualità dell’essere morale, rispetto deglialtri, ma essenzialmente rispetto di sé stessi. L’espressione antica non è il comando “nonuccidere”, ma la frase “tu non ucciderai”, che difende la possibilità di accettare il futuro. Ilgiovane Heidegger, ancora assistente di Husserl, scrive una “Fenomenologia della vitareligiosa” in cui interpreta la predicazione di Paolo ai Tessalonicesi come vera, non perchéproviene da Paolo, ma in quanto i Tessalonicesi la accettano. La verità della predicazionedi Paolo è il dono che i Tessalonicesi fanno a Paolo.

Intervento 2 – Se l’altro non rispetta la legge come faccio a dialogare? C’è un momento in cuicessare il dialogo e prendere il fucile?

Risposta 2 – Domanda legittima e problema spinosissimo. Facciamo un piccolo esempio.Con tutto quello che sta succedendo, continueremo a comperare il giornale, ad avere bisognodella legge. E’ ragione impaziente quella che vuole inglobare tutto nella legge, ma anchequella che talvolta la legge vuole buttarla via in blocco. Cristo dice di non essere venutoper abolire la legge, Abramo è salvato per la fede, non per la legge. Paolo dice di nonsopprimere la legge, ma di ricordare che la legge non è tutto. Davanti a situazioni estremenon c’è solo la legge. In questo momento nel nostro paese c’è bisogno di difesa dellalegalità, e sicuramente viviamo in un periodo critico, ma istituire similitudini con il periodofascista è idiozia. Calamandrei, grande giurista, usava le leggi fasciste per difendere gliantifascisti. La ragione paziente deve difendere la legge anche quando la legge non è tutto,Calamandrei difendeva leggi ingiuste per evitare peggiori ingiustizie. All’epoca di ElAlamein i migliori Italiani, ponendosi contro la legge, parteggiavano per gli Inglesi.Vitiello non nega l’umano, ma la sua posizione è radicalmente lontana da quella dei figli deifiori. Il grande Nietzsche ha scelto la follia per non lottare in difesa di una legge che nonpoteva accettare. Tra il seguire la legge con acritica intransigenza o rifiutarla in blocco,tertium datur9. Il pensiero religioso è superiore al pensiero politico.

Intervento 3 – L’intevenuto mostra perplessità sull’ipotesi che sia meglio stare accanto che con.Abbiamo bisogno degli altri. Poi accusa una sorta di agnosticismo che crede di avere ravvedutonelle posizioni del Vitiello. Ci sono realtà e vanno accettate.

Risposta 3 – Probabilmente c’è stato un problema di chiarezza. Il rispetto della legge ènecessario per stare con gli altri, si tratta però di delimitare gli ambiti sia della portata delleleggi che del confine del rispetto. Sulle verità si tratta di intendersi, il panno rosso chericopre il tavolo è rosso solo in certe condizioni di luce e solo per vedenti sensibili allagamma cromatica. Il Vitiello non si sente agnostico, ma forse potrebbe anche definirsi tale(nomina non sunt res10), e comunque accetta come un dono la realtà dell’intervenuto.Perché essere Cristiani? Il Vitiello pensa il Cristianesimo come verità assoluta, e si dichiaracristiano nei momenti di superbia, ma riconosce l’assolutezza di tutte le religioni, non soloquelle del libro Si sente Cristiano di un Cristianesimo astorico, universale. “Posso

9 latino: c’è una terza via10 nomina non sunt res, lat.: i nomi non sono cose

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rispettare le altrui religioni in quanto gli altri rispettano la mia. Agnostico? Può darsi, amoun Dio che non voglia prevaricare sugli altri (dei ed umani).

E’ mio dovere di coerenza precisare che non sto dicendo alcuna verità, sto solo portando lamia testimonianza.”

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1.3 RIFERIMENTI

1.3.1 VINCENZO VITIELLOVincenzo Vitiello (Napoli, 26 settembre 1935) è un filosofo italiano.Ha studiato in particolare filosofi dell'idealismo tedesco quali Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Friedrich Nietzsche eMartin Heidegger.Ha sviluppato una originale teoria ermeneutica, la topologia, basata su una reinterpretazione dei concetti di spazio etempo oltre che di dialettica ed ermeneutica.Più recentemente ha affrontato più volte il tema della fede, da un punto di vista laico, collaborando con teologi qualiBruno Forte e Piero Coda.Ha fondato la rivista di filosofia Paradosso (di cui è condirettore) con Massimo Cacciari, Sergio Givone e Carlo Sini.Collabora all'annuario Filosofia, edito da Laterza, e a numerose altre riviste specialistiche del settore filosofico.

Monografie Pubblicate

• Filosofia della pratica e dottrina politica in Benedetto Croce /, Napoli, 1963• Etica e liberalismo nel pensiero di B. Croce, Napoli, 1964• Il carattere discorsivo del conoscere, Napoli, 1965• Carlo Antoni interprete di Croce, Napoli, 1968• Storiografia e storia nel pensiero di Benedetto Croce, Libreria Scientifica Editrice, Napoli, 1968• Feeling e relation nella filosofia del conoscere di David Hume, Napoli, 1968• Storiografia e storia nel pensiero di Benedetto Croce, Napoli, 1968• Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità, Argalia, Urbino, 1976• Dialettica ed ermeneutica: Hegel e Heidegger, Guida, Napoli, 1983• Utopia del nichilismo , Guida, Napoli, 1983• Studi Heideggeriani, Roma, 1983• Ethos ed eros in Hegel e Kant, ESI, Napoli, 1984• Logica e storia in Hegel"(in collaborazione con R.Racinato), Napoli, 1985• Bertrando Spaventa ed il problema del cominciamento, Guida, Napoli 1990• La palabra hendida, Barcellona, 1990• Hegel e la comprensione della modernita, 1991• Topologia del moderno, Marietti, Genova, 1992• La voce riflessa. Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi, Milano, 1994• Elogio dello spazio. Ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano, 1994• Cristianesimo senza redenzione, Laterza, Roma-Bari, 1995• Non dividere il sì dal no. Tra filosofia e letteratura , Laterza, Roma-Bari, 1996• Filosofia teoretica : le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni, Milano, 1997• La favola di Cadmo ,Roma-Bari 1998• Vico e la topologia, Cronopio, Napoli 2000• La vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte (in collaborazione con Bruno Forte), Roma 2001• Il Dio possibile, esperienze di cristianesimo , Città Nuova, Roma 2002• Hegel in Italia, Milano 2003• Dire Dio in segreto, Roma 2005• Cristianesimo e nichilismo , Brescia 2005• Estetica e ascesi, Modena 2006• Il Decalogo. Ricordati di Santificare le feste (in dialogo con Emanuele Severino), 2007• Oblio e memoria del sacro , Moretti & Vitali, Bergamo 2008• Grammatiche del pensiero. Dalla kenosi dell'io alla logica della seconda persona , Edizioni ETS, 2009