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PD di Formia in festa dal 9 al 12 settembre DIA nel lazio meridionale: la proposta e l’analisi Uso dei beni sequestrati alle mafie: esperienza di libera Forum, legalità e democrazia con Lorenzo Diana Le mafie non conoscono crisi: analisi del potere economico Storia di Formia nelle pagine di Giovannino Bove pagg pagg pagg pag pagg pagg 20-23 3-4 5-7 8-9 10 18-19 Rivista di cultura, (in)formazione e antimafia terra LIBERA tutti! n 0 - anno I settembre 2010

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PD di Formia in festa dal 9 al 12 settembre

DIA nel lazio meridionale:la proposta e l’analisi

Uso dei beni sequestrati alle mafie: esperienza di libera

Forum, legalità e democrazia con Lorenzo Diana

Le mafie non conoscono crisi: analisi del potere economico

Storia di Formia nelle pagine di Giovannino Bove

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Rivista di cultura, (in)formazione e antimafia

terra LIBERA tutti!

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Som

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3 Dia la proposta

4 La politica e la questione morale

5 Dare dignità ad una terra Riutilizzo dei beni confiscati

6 Campi Libera

8 Forum Lorenzo Diana

10 Gli affari delle mafie non conoscono crisi

12 Ecomafia

13 Infanzia e mafie

14 Usura

15 CNA

17 Lo scaffale

18 Storia formiana

20 PD in festa

24 La bacheca di wow

Class actiondi Raffaele Vallefuoco

Mentre in Italia una lobby confe-zionava a tavolino il Nobel per

la Pace, dall’altro capo del mon-do l’entourage di Barack Obama apprendeva la notizia del confe-rimento del Premio al 44° presi-dente degli Stati Uniti. Un “Wow” spezzava il silenzio della notte americana. Confer-mava che l’audacia della speranza paga, la fiducia nel cambiamento funziona. Non una wrong way, ma l’unica strada praticabile per un futuro migliore. Non a caso ben 45 anni dopo il mitico “I have a dream” l’America ha eletto il primo presidente nero. E’ come se il premio Nobel per la Pace Martin Luther King avesse avuto una visione: un afroamericano che giura sulla Bibbia di Lincoln. Rievocando quella stupenda giornata di giustizia e amore, a Washington, il reve-rendo King racconta che “tutto ad un tratto” mise da parte gli appunti per condividere un sogno, quello che “i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore del-la pelle, ma per l’essenza della loro personalità”. Un sogno che oggi possiamo dare (quasi) per realizzato. Una premessa, quindi, per dire che nulla è impossi-bile, che non possiamo adeguarci alla prospettiva “è sempre stato così”. Infatti, se è vero che nella patria del Ku klux klan è stato eletto un presidente nero, allora perché dobbiamo rassegnarci alla mediocrità della nostra classe dirigente? La verità è che “le vec-chie strade non funzionano” e per dirla ancora con le parole di Jonh Fitzgerald Kennedy: “E’ tempo per una nuova generazione di leader”. Una classe politica che abbia a cuore l’ambiente, la legalità e la polis. Il cam-biamento non è difficile se ognuno di noi fa un piccolo passo, ma è necessario che sfoderiamo il meglio di noi stessi. Ce lo dice Ghandhi, che ha fatto dell’etica la sua strada maestra: “Sii il cambiamento che vuoi ve-dere nel mondo” ammoniva. Quel cambiamento deve essere il nostro obiettivo e Wow è il fruscio della no-stra ascesa; l’entusiasmo delle nostre idee, l’eco dei nostri pensieri. Tuttavia le nostre ambizioni saranno più forti se metteremo da parte dispute manichee e personalismi, accettando la lezione del ‘Kennedy nero’ (Obama), il quale guarda a ciò che unisce e non ciò che divide. Robert Kennedy diceva: “Alcuni uomini vedono le cose come sono e dicono “perché?” Io sogno le cose come non sono mai state e dico “perché no?”. Spetta a noi realizzarle.

Direttore responsabile Raffaele VallefuocoProgetto grafico e impaginazione Stephanie ValerianoFumettista Marco InseroStampaPresso la Graficart di Penitro, Strada Provinciale AusenteInternetwww.wowweb.itVideoclipAntonio ColaruotoloLe collaborazione esterne si ritengono a titolo gratuito. Tutti i testi sono riservati. La riproduzione è possibile a patto di cit-are Wow e il relativo autore. Si declina ogni responsabilità in relazione al materiale pubblicitario fornito dagli inserzionisti.IN QUESTO NUMERO CON NOI: Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Antonino Caponnetto; Giuseppe Lumia, componente della commissione parlamentare antimafia (PD); Orfeo Notaristefano, scrittore e giornalista; Luisa Laurelli, già presidente della commissione Sicurezza della Regione Lazio

rivista di cultura,(in)formazione e

antimafia del movimento

generazionaleClass Action

Anno I – N. 0 – Settembre 2010 Registrazione in corso di presentazione presso il Tribunale di Latina

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La creazione di una sezione distaccata della Dia. E’ que-sta la proposta lanciata nel

corso della seduta straordinaria del Consiglio regionale del Lazio del 22 gennaio 2009, nel corso della qua-le l’allora maggioranza, non ancora travolta dalle dimissioni del presidente Marraz-zo, propose al Ministero dell’Interno, mediante mozione, la creazione di un ufficio della Direzione Investigativa Antimafia per il Lazio meridionale. Una scelta maturata a seguito della crescente consapevolezza che Roma e il La-zio non sono immuni dai fenomeni mafiosi, ma che anzi, costituiscono uno snodo fondamentale nelle dina-miche globali di questi sodalizi. Per questo e sull’onda degli arresti e dei sequestri effettuati, il Consiglio inte-se lanciare un messaggio forte, met-tendo da parte contese e diatribe, almeno nelle premesse dell’assise. In fondo, sembra il ragionamento di alcuni consiglieri, se le organizzazio-ni criminali riescono a dissezionare il territorio in funzione delle loro logiche spartitorie, perché non met-tiamo le polemiche da parte e ap-prontiamo uno strumento in grado di fare sistema? Quello strumento

fu individuato nella sezione distac-cata della Dia, acronimo di Direzio-ne Investigativa Antimafia. Si tratta di un corpo interforze, istituito dal-la legge 410/1991, competente nei reati connessi alle attività delle cri-minalità organizzate. In particolare,

tra gli obiettivi strategici perseguiti dalla Dia, as-sume un’importanza par-ticolare quella relativa al contrasto della forza economico - finanziaria delle mafie. Una specifici-

tà ulteriore è legata all’aggressione agli ingenti patrimoni illecitamen-te accumulati, che, attraverso uno specifico percorso normativo, ven-gono restituiti, non senza difficoltà, all’utilità collettiva, e al contrasto della penetrazione nel tessuto eco-nomico e imprenditoriale, con effet-ti distorsivi della libera concorrenza. In quest’ultimo settore particolare attenzione è rivolta, d’intesa con le Prefetture – Uffici Territoriali del Governo, a scongiurare l’infiltrazio-ne negli investimenti pubblici. Ma i numeri, meglio di ogni altra parola, possono essere indicativi del valore e della forza della Dia. Dal 1992 al 2008 sono state emesse 8631 or-dinanze di custodia cautelare. La più colpita, tra le mafie, è stata la ndrangheta con 2466 misure. Per quanto riguarda, invece, i sequestri sono stati sigillati patrimoni per oltre sette milioni di euro. Non è quindi un caso che l’attenzione del Consiglio regionale si sia rivolta alla Dia. Per questo noi oggi rilanciamo questa proposta, invocando un nuo-vo e sereno dibattito.

DIA nel Lazio Meridionale:LA PROPOSTA

Le infiltrazioni criminali nella pro-vince di Latina e Frosinone ma anche nel resto del Lazio sono ormai accer-tate dalle indagini, dagli arresti e dai numerosi episodi di violenza, estor-sione, usura registrati sul territorio. Gli interessi criminali si ramificano laddove si nega la loro esistenza e questo, purtroppo è accaduto per anni nel Lazio. Mentre le mafie cresceva-no. Esse operano oggi nella compra-vendita di immobili, nell’edilizia, nel commercio di prodotti ortofrutticoli, nel traffico di droga. Così alterano la libera concorrenza, danneggiano le imprese oneste, spesso vittime di atti intimidatori, costrette ad abbando-nare il territorio. Impoverendolo. Le mafie hanno contatti con le istituzio-ni, si infilano nella politica e cambia-no il modo di pensare dei cittadini. Fare finta di nulla non vuol dire pro-teggere quei territori. La richiesta di istituire una sezione staccata della Dia a Latina o a Frosinone nasce da queste considerazioni. La mafia non si combatte semplicemente facendo girare qualche pattuglia in più nel territorio o mettendo due videocame-re di sorveglianza. Essa va colpita nei suoi interessi economici. Solo così è possibile far mancare le basi su cui si fonda e cresce. La precedente am-ministrazione regionale aveva dato grande rilevanza alla lotta contro la criminalità organizzata, creando la commissione speciale di cui ero pre-sidente e varando, prima regione in Italia, l’Agenzia regionale per i beni confiscati. Una legge che venne vota-ta all’unanimità dal Consiglio perchè la legalità non ha colore politico e non tollera divisioni. La legge facilita il ri-utilizzo dei beni confiscati mettendo a disposizione degli enti assegnatari ri-sorse economiche. Il bene mafioso che torna a disposizione della collettività ha un gran valore simbolico: dice che lo Stato c’è e che ha a cuore la legali-tà. Quella fu una grande vittoria per tutta l’istituzione Regione. Perchè il compito della politica in questa bat-taglia è essere presente, non lasciare mai soli quei cittadini e imprenditori coraggiosi, dire con atti e parole che il sistema mafioso non può avere in-gresso fra i suoi esponenti.

Con la Dia del Lazio meridionale si

colpiscono gli interessi economici delle mafie

di Raffaele Vallefuoco di Luisa Laurelli

a destra: Luisa Laurelli, già presidente del-la commissione sicurezza della regione Lazio; in alto: uomini della Dia in azione

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La Dia è un organismo in-terforze che è utilissimo nella lotta contro la ma-

fia che quotidianamente avviene sul nostro territorio nazionale grazie alla mirabile sinergia es-istente tra ministero dell’interno, magistratura e forze di polizia. All’interno di questo quadro, per arrivare ad avere un’ancora maggiore incisività nella difficile lotta contro la mafia che è -si badi bene- un fenomeno arcaico nelle tradizioni ma al contempo moderno nelle strategie e nelle capacità espansive, è opportuno potenziare organismi quali la Dia. La Dia concepita da Gio-vanni Falcone è espressione di modernità nella lotta contro la mafia. Permette infatti di avere una visione completa e di anal-isi del fenomeno mafioso. Per questo va rafforzata ed imple-mentata numericamente e come numero di sedi ove il territorio lo richieda. In particolare le re-gioni del centro e del nord che si trovano di fronte ad una sempre più massiccia criminalità orga-nizzata anche straniera neces-sitano di una maggiore presenza della Dia. Per questi motivi sono favorevole ad una distaccamento Dia nel basso Lazio.

Legalità contromano:perchè dico si alla Dia nel Lazio

di Salvatore Calleri di Luca Magliozzi

“La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la que-stione politica prima ed essenziale, perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico”. Con queste parole, rilasciate nel 1981 a La Repubblica, Enrico Berlinguer centra una delle problematiche rimaste irrisolte dalla nascita della Repubblica ad oggi, ovvero la necessità di far coincidere l’esercizio della cosa pubblica con una condotta personale etica. Nel corso degli anni la questione morale è stata riproposta da più fronti, ma viene, o quasi sempre liquidata come un becero strumento propagandistico di soggetti, che per volontà dell’elettorato, non sono ammessi a gestire la cosa pubblica, o non trova quasi mai applicazioni concrete. In realtà la questione morale non riguarda, come sostengono alcuni, esclusivamente la classe politica, ma più in generale l’intera classe dirigente del nostro Pae-se: in questi ultimi decenni non vi è stata istituzione, corpo dello Stato o categoria professionale che non sia stata toccata da gravi scandali legati a episodi di corruzione o a ruberie varie.In un paese in cui vi è generalmente una scarsa attenzione al rispetto delle leggi e un’alta propensione a ricorrere a furberie ed a sotterfugi, c’è anche da chiedersi se i cittadini non siano poi così lontani da chi li governa. Le leggi e i regolamenti interni ai partiti potrebbero anche non servire, baste-rebbe soltanto maggiore buonsenso nelle formazioni politiche e nell’eletto-rato: le prime nello scegliere le candidature, il secondo nel negare il proprio voto a chiunque non dimostri una condotta trasparente e rispettosa della legge. La questione morale potrà essere risolta solo se l’intero Paese, citta-dini compresi, deciderà di fare un grosso passo in avanti dal punto di vista del rispetto dei principi etici.COSA POTREBBERO FARE I PARTITI: ALCUNE PROPOSTEChiunque venga chiamato a ricoprire incarichi all’interno dell’ammini-strazione pubblica ha il dovere, più di ogni altro, di garantire una condotta esemplare sia dal punto di vista dell’etica, sia della trasparenza. Da qui ha origine la necessità che tutti i partiti selezionino con maggiore serietà la propria classe dirigente e si dotino di norme che vadano a sanzionare chi viene meno a tale principio, utilizzando il proprio incarico per finalità lon-tane da quelle che perseguono il bene comune. Bisogna assolutamente di-stinguere quelle che sono le responsabilità giuridiche, da quelle che invece rimangono all’interno del buonsenso della politica. Le prime, infatti, sono sottoposte al vaglio della magistratura, le seconde devono essere regolate da apposite norme interne. Si è colpevoli dinanzi alla giustizia quando si viene condannati in via definitiva con una sentenza passata in giudicato, ma si è “politicamente responsabili” ogni qualvolta vi siano elementi concreti che testimonino disonestà o malafede. Ogni partito per garantire una maggiore trasparenza e legalità al proprio interno potrebbe adottare le seguenti pro-poste:1. L’automatico invio di funzionari di partito in tutte quelle sezioni o circo-li, presenti in Comuni, in cui il partito stesso siede nella maggioranza, che vengono sciolti per infiltrazioni mafiose o per corruzione.2. L’intervento da parte degli organi di partito competenti in tutte quelle sezioni locali dove si siano verificati gravi violazioni dei principi di legalità e trasparenza. In particolare in quelle sezioni in cui si siano appurate peri-colose contiguità con ambienti di provenienza malavitosa.3. Il rifiuto della tessera del partito, o la revoca in caso ne siano già in pos-sesso, a tutti coloro che abbiano avuto condanne in via definitiva, per reati di tipo mafioso, per corruzione, per concussione e peculato.4. Pubblicazione di un’ anagrafe degli eletti , in cui siano indicati, per ogni parlamentare nazionale o consigliere regionale, i seguenti elementi: a) in-carichi ricoperti all’interno del partito; b) incarichi istituzionali con relativi compensi; c) composizione e tipologia di contratto del proprio entourage; d) incarichi amministrativi passati o recenti in società di capitali.

Politica, responsabilitàQuestione morale

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Editoriale di Raffaele Vallefuoco

Dare dignità ad una terra

Restituire dignità ad una terra scal-fita nell’orgoglio. E’ questo il senso della battaglia intrapresa quoti-dianamente da quegli uomini e da quelle donne impegnate nel resti-tuire alle proprie zone quello che è stato estorto con le dinamiche ille-gali. La questione della destinazio-ne dei beni sottratti alle criminalità organizzate è la fase 2 del contrasto alle mafie. Significa inoltrarsi in un cammino nuovo e più arduo, fatto di veti incrociati e muri insormontabi-li. Significa confrontarsi aspramente con scartoffie e burocrazie. Significa sentirsi sfiduciati, ma mai sconfit-ti. I fallimenti sono dietro l’angolo. I nemici celati da doppiopetti o da papillon istituzionali. In quei luoghi dove le mafie hanno controllato tut-to hai la sensazione di non poterti fidare di nessuno. Geometri, tecnici o consulenti. Il degrado dilagante sembra seguirti. Sembra ricordarti delle difficoltà che lo Stato incontra nel riappropriarsi delle appendici infette. Un malessere che dimentichi, però, appena arrivi in questi presidi di legalità. E’ qui che incontri que-gli uomini e quelle donne che hanno fatto propria la filosofia dei “piccoli passi”. Le Terre di don Peppe Dia-na sono l’emblema della dignità che rifiorisce. Come l’edera che riveste i muri, così tutti i giorni i ragazzi di Libera rifoderano di dignità queste terre, ancora ricalcitranti e schia-ve della collusione. Il senatore del Partito Democratico, Giuseppe Lu-mia, sa bene che se lo Stato vuole uscire vincitore da questa battaglia non può permettere che le aziende sequestrate muoiano all’indomani dell’interdizione. Deve dimostrare che solo quelle attività che accet-tano le regole democratiche sono in grado di stare sul mercato. Il segna-le, poi, è tanto forte se dalle stalle in cui Michele Zazza allevava i suoi puledri nasce una cooperativa di giovani che produrranno mozzarel-la biologica. Insomma chi dice che le mafie sono invincibili non ha mai passato una giornata nelle Terre di don Peppe Diana né ha mai ascolta-to parlare il senatore Giuseppe Lu-mia. E’ il momento di farlo.

Sono passati circa due decenni prima che l’intuizione di Pio La Torre, il sequestro e la confisca dei beni alle mafie, pagata dal segretario del Pci siciliano con la vita, diventasse una risorsa

concreta dell’antimafia. Solo nel 1996, infatti, grazie all’iniziativa di Libera e di tutto il popolo antimafia si è arrivati alla legge 109. E solo dopo alcuni anni il riuso sociale dei beni confiscati è divenu-to una realtà. Adesso, seppur tra molte insidie e difficoltà, in tutta Italia associazioni, cooperative, gruppi di giovani … gestiscono beni confiscati, producendo legalità e sviluppo concreto.In molti terreni vengono coltivati il grano, la vite, gli ortaggi con cui si producono pasta, vino e conserve. Sono i prodotti dal sapore della legalità e con il profumo della libertà. Alcuni edifici sono diventati agriturismi, al-tri sedi di associazioni di volontariato, luoghi di incontro e di ritrovo socio-culturale. Gran parte, invece, sono stati messi al servizio dei vari organi dello Stato (polizia, carabinieri ecc.).L’impatto di queste realtà sul territorio è preziosissimo sotto tutti i punti di vista. Sul piano economico, perché producono posti di lavoro e ricchezza in aree depresse e con tassi di disoccupazione altissimi. Sul piano socia-le, perché i beni confiscati e riutilizzati dalla società civile diventano luoghi di relazione, di impegno sociale e crescita valoriale. Infine, sul piano culturale, perché la gestione efficace di un bene confiscato alla mafia dimostra alla comunità che la legalità conviene ed è un principio inderogabile per la civile convivenza ed il bene comu-ne.Quando tutto ciò avviene le mafie subiscono un danno enorme e la cultura della legalità progredisce notevolmente. L’aggressione ai patrimoni e il riuso sociale dei beni confiscati è uno dei fronti di contrasto che la criminalità organizzata teme di più.Certamente rimane ancora molto da fare. Gran parte dei beni confiscati in tutta Italia non riescono ad essere assegnati per due ordini di motivi: il primo di carattere burocratico, il secondo di carattere economico.Si sa, la burocrazia in Italia ha procedure complicate e tempi lunghi. Questo vale anche per il riuso sociale di un bene confiscato.A ciò si aggiungono le cattive condizioni nelle quali versano i beni. I mafiosi e i loro familiari, infatti, prima che il bene venga in possesso dello Stato lo danneggiano in modo tale da impedirne l’utilizzazione. Lo Stato purtroppo non è in grado di risolvere il problema.Più volte in Commissione antimafia e in Parlamento abbiamo proposto prov-vedimenti per facilitare il riuso. Finalmente dopo tante battaglie il governo ha istituito l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni con-fiscati. Un risultato a metà perché andrebbero create delle agenzie locali più vicine alle esigenze dei territori. Inoltre, pensiamo che sia necessario utilizzare le risorse economiche confiscate per ristruttura-re i beni e fare in modo che siano resi immediatamente produttivi.Bisognerebbe ricominciare da qui per dare un impulso e far sì che il riuso sociale dei beni confiscati abbia una maggiore incidenza per la costruzione di una società basata sulla legali-tà, lo sviluppo e la promozione del bene comune.

Riutilizzo dei beni confiscati:vi spiego perchè la legalità conviene

di Giuseppe Lumia

Questione morale

Il senatore Giuseppe Lumia al Filangeri di Formia

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Castelvolturno, città di cui spesso sentiamo parlare per cronache legate alla malavita organizzata, è, fortunatamente, anche luo-

go con tanta voglia di ricominciare! Nella strut-tura dedicata a Don Peppe Diana, in via Del Ci-gno, l’associazione Libera di Caserta, nel corso dei Campi Estivi ha organizzato una serie di momenti per offrire una conoscenza più realistica del pro-blema Legalità. Spesso, quando si parla di uomini insorti contro le mafie, si tende ad accomunare la loro persona alla figura di “eroe”. Già, perché non voler pagare il pizzo è una cosa strana, essere co-stretti ad avere rapporti commerciali sfavorevoli è normale al giorno d’oggi. Ma che scherziamo? “È un eroe, nella sua stessa situazio-ne non credo che mi sarei comporta-to allo stesso modo!” E’ la classica affermazione che tutti sentiamo nel momento in cui leggiamo di persone uccise per essersi ribellate al solito andazzo, conosciuto da tutti, ma de-nunciato da pochi. Il vero problema è l’inadeguata educazione alla Lega-lità, perché segnalare questi malavi-tosi dovrebbe essere ovvio, invece si accomuna la figura di eroe a queste persone che si ribellano alle associazioni criminali, chiaro sin-tomo di ignoranza sociale. Ospiti di Libera, oltre ai ragazzi dei Campi, abbiamo incontrato Raffaele Sardo, giornalista e scrittore, e Gennaro Del Prete, figlio di Federico Del Prete, sindacalista ucciso dal-la camorra, il quale spiega: “Le mafie non pagano, bisognerebbe condurre i cittadini al ragionamen-to. È inutile vietare una cosa senza dare adeguate motivazioni. Le organizzazioni criminali sono come un cancro: inizialmente non lo vedi, poi quando ti accorgi di essere malato, è troppo

tardi. Il rimedio è la preven-zione. Così avere una buona cultura aiuta a salvaguardare il territorio, in quanto ti rende consapevole delle conseguen-ze in cui ci si può imbattere. In tutte le cose – continua Del Prete – vi è del marcio; anche all’interno dello Stato vi è una parte ‘sporca’. Ma sono sicuro che la parte pulita è di gran lunga maggiore, perché quella parte siamo noi! È essenziale

partire dalle piccole cose per-ché, se tutti sapessero che la camorra non dà lavoro, ma lo toglie, non so quanti se-guirebbero quelle orme. È di fondamentale importanza capi-re che la cultura è l’unica vera arma. Arrestare malavitosi non basta, possono reclutare altra manovalanza perché c’è pover-tà! Deve esservi prima un movi-mento. Nel nostro paese manca

IL gIoConon vale la candela

di Gennaro Ciaramella

“Le mafie non pagano,

bisognerebbe condurre i cittadini al

ragionamento”

il “comune sentire”, come tra nord e sud - conclude Del Prete -. Bisogna capire che i problemi del nord

sono anche del sud e viceversa”. Un cittadino campano sa che la camorra è parte attiva del territorio e si rico-nosce, a malincuore, in questa realtà, accettandola quasi con rassegnazione. Ma facendo un ragionamento analogo, potrebbe identificarsi in uomini che la Campania l’hanno amata davvero, come Federico Del Prete e don Peppe Diana. Quindi deve cambiare com-pletamente il senso d’appartenenza

al proprio territorio perché solo identificandosi in queste personalità può mutare il sentirsi campano. Nel momento in cui iniziamo a capire che la realtà non è proprio come consideravamo, ci schieriamo, involontariamente. Ma ci collochiamo a favore di una fazione. Due minoranze si schierano a favore o contro le mafie, mentre la stragrande maggio-ranza si astiene, tagliandosi fuori dalla dialettica. Ma nel momento in cui ci chiamiamo fuori, è come se ci schierassimo a favore delle organizzazioni criminali. La cultura della Legalità serve proprio a questo; possono togliere di mezzo qualcuno ma non possono uccidere tutto il Paese, quello onesto. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare qualcosa. Basta volerlo!

da sx Alessandra Tommasino e Gennaro del Prete

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di Cristina VellucciUn sogno ancora da realizzare per LIBERA

La tenuta di sette ettari, situata a Castelvol-turno, confiscata nel 2002 a Zazza, boss della camorra, è stata affidata a Libera

Caserta nel 2009. La struttura è destinata ad ac-cogliere la prima cooperativa “Libera Terra”, con l’obiettivo di offrire “un’alternativa” alla crimi-nalità organizzata. I primi soci che lavoreranno in questi territori sono 5 giovani, impegnati in un corso di formazione. Il cuore della tenuta è rappre-sentato da una fattoria che sfrutterà la bioenergia, contando su un impianto di fitodepurazione che prevede l’ utilizzo di piante, in grado di depurare le acque di raccolta del caseificio. “Ogni ambiente della tenuta nasce dall’ esigenza di un rinnova-

mento, affinché le terre che una volta sono state simbo-lo di morte, ora rinascano”, spiega Alessandra Tommasi-no, esponente di Libera. La countryhouse è il simbolo di quello che è il sogno di un turismo sostenibile: persone curiose di conoscere non solo le bellezze architettoniche, ma anche quelle che sono le realtà

del territorio, potranno alloggiare proprio in que-sto luogo e prendere coscienza di ciò che rappresenta. La struttura, poi, acco-glie anche una biblioteca contenente migliaia di volumi, donati dalle Regio-ni Toscana ed Emilia-Romagna, che hanno fornito anche fondi per acqui-stare i mezzi che serviranno a lavorare le terre. Il caseificio, struttura realiz-zata dalla Regione, sarà destinato alla produzione di mozzarella biologica, il cui latte inizialmente sarà fornito dall’ associazione “Improsta”, di Ebo-li, anche se l’ obiettivo è l’allevamento bufalino. L’ex sala per l’ abbeveratoio delle bufale è sede di murales e di firme da parte di studenti che ogni anno fanno visita alla struttura. In essa vi è, inoltre, lo striscione con la frase «Per amor del mio popolo non tacerò», letta da Don Peppe Diana in chiesa la notte di natale del 1991, e che simboleggia lo spirito dei ragazzi di Libera che custodiscono questa struttura con cura. Prima dei sigilli della Polizia, punto di forza dell’ intera tenuta erano le scuderie. Il cavallo di razza,infatti,

rappresenta-va l’archetipo della scalata sociale nel mondo ca-mor r i s t i c o . Nelle scuderie verrà allesti-to un alleva-mento di asi-ne, il cui latte l’ingresso alle terre di Don Diana

da sx Alessandra Tommasino e Gennaro del Prete

è fondamentale per la produzione di cosmetici e farmaci per l’ età infantile. Dislocati dal centro del caseificio si possono trovare dei canili, nei qua-li Libera Caserta vorrebbe creare un ambiente per la pet therapy, e degli alloggi contenenti trenta-quattro posti letto forniti dall’ imprenditore anti-racket di Santa Maria Capua Vetere, Pietro Russo. Numerosi sono i sostegni in questo progetto, ma altrettanti sono le difficoltà incontrate. Nonostante la disponibilità della politica la realtà è un’altra: il 19 marzo dello scorso anno è stato firmato un pro-tocollo secondo il quale il Comune si impegnava a fornire all’ associazione un caseificio funzionale. Ciò non è avvenuto e come se non bastasse è neces-sario un secondo adeguamento, quando per il pri-

mo erano stati spe-si 50 mila euro. Quindi portare avanti un progetto che coinvolge una struttura pubbli-ca si sta rivelando molto difficoltoso, basti pensare che per avere corren-te elettrica ci sono voluti ben 7 mesi. A rallentare i lavo-

ri concorre anche la disattenzione delle istituzioni che, se da un lato mostrano disponibilità, dall’ altro offrono poca at-tenzione verso il progetto. Infatti, l’ associazione ha trovato montati dei pannelli solari in modo del tutto non adeguato: anziché essere rivolti comple-tamente a sud, lo sono solo per metà. E se tutto ciò derivasse dal fatto che la nuova struttura dovrebbe nascere su un bene confiscato alla camorra? Non è dato saperlo.

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forum:D

iana

Chi è Lorenzo Diana?Per capire chi è Lorenzo Diana è forse utile sfogliare Gomorra, nel quale viene definito come “uno di quei rari uomini che sa che combattere il potere della camorra com-porta una pazienza certosina, quella di ricominciare ogni volta da capo, dall’inizio, tirare a uno a uno i fili della matassa economica e raggiungerne il capo criminale”. Un impegno che gli sono valsi riconoscimenti e problemi. Lorenzo Diana, infatti, è diventato un costante punto di riferimento per i più giovani, e non solo. Una statura vissuta come un pugno negli occhi dalla camorra. Da anni, infatti, vive sotto scorta, riuscendosi a guadagnare anche il rispetto dei “suoi” uomini. Lorenzo Diana comincia giovanissimo ad interessarsi alla politica, giungendo al suo naturale approdo che è la commissione parlamentare antimafia, del quale è stato vicepresidente. Attualmente è dirigente dell’Italia dei Valori.

«Dopo la loro morte in Italia c’ è stato un punto di non ritor-no ed è avvenuta una rottura all’interno dell’ opinione pub-blica. Tale rottura ha creato la possibilità di costruire un impi-anto antimafia nella magistra-tura, nell’istruzione e nelle forze dell’ordine. L’ impianto faceva tesoro del pool antimafia, costru-ito a Palermo, che diede la pos-sibilità di successo nel Maxipro-cesso. Si è fatto tesoro di quanto un gruppo di magistrati pionieri

aggregato man mano sempre più masse. Questo movimento cul-turale fu come un fiume carsico: fu forte dopo la morte dei due uomini, fino a contribuire alla domanda di cambiamento in Ita-lia (non a caso negli anni ‘93-94 ci furono tanti nuovi “sindaci del cambiamento” e in qualsiasi ten-denza politica si avvertì l’ aria di rinnovamento), ma a poco a poco andò attenuandosi. Così è stato possibile comprendere come, già dall’ inizio degli anni 2000, sia stato possibile avere politici e, persino, ministri della repubbli-ca che affermavano la necessità di convivere con la mafia. Il min-istro Ronaldi fu tra coloro che portarono avanti tale principio. Le sue parole simboleggiarono la fine della fase di cambiamento e della reazione antimafia dopo la morte di Falcone e Borsellino. Se ciò fosse avvenuto nell’ ultimo decennio del secolo scorso, sare-bbe stato uno scandalo. Nonos-tante questo il sentimento anti-mafia è quello che prevale, come dimostrano le manifestazioni del 21 marzo (giornata della legal-ità) degli ultimi tre anni a Bari, Napoli e Milano».

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due simboli della lotta contro la ma-fia, ma per ora sembra che la battaglia sia stata vinta dalla criminalità orga-nizzata. Lei pensa che sia cambiato qualcosa nell’ animo degli italiani dopo che entrambi sono stati uccisi, la loro morte è riuscita a smuovere davvero l’ opinione pubblica?

aveva maturato sul campo dell’ esperienza di lotta alla mafia. Quindi la morte di Falcone e Borsellino ha accelerato il pro-cesso di espansione, nell’ intero Stato italiano, di un patrimonio sviluppato da parte di questi magistrati che hanno pagato con la vita il loro impegno. Tutto ciò ha fatto capire agli italiani che le mafie sono un nemico. Ci fu una vera e propria reazione cul-turale, culminata nella nascita di un movimento antimafia, che ha

Lore

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Dia

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Legalità e democrazia

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«La Legalità è quell’insieme di regole sulla quale si base una convivenza. Non c’è polis senza regole. Pertanto non è un’opzio-ne discutibile se avere Legalità o meno. Ma questa non è solo un fattore etico, è anche un motore di modernizzazione. Una comu-nità che voglia progredire e vi-vere in un contesto globalizzato deve necessariamente accrescere il livello di legalità. Non per cre-are più vincoli, ma per dare di-namismo, strizzando l’occhio alla meritocrazia. Se c’è un maggior

livello di legalità è garantita la competitività. Questo permette a chi abbia merito di potersi affer-mare. Altrimenti prevalgono di-namiche alterate. Si tratta quindi di uno scudo, in quanto le regole riducono l’impatto selvaggio del potere economico o della violen-za intimidatoria. La Legalità, quindi, non solo è giusta, ma è un fattore di convenienza economica e sociale. Si guardi all’esperienza americana, più avvezza ad essere governata all’interno delle regole. Gli Usa, che fino a 50 anni fa vie-

tavano matrimoni misti, hanno permesso ad un afro – americano di diventare capo della nazione più potente. La sfida dell’Ita-lia, quindi, è proprio su questo punto. Se il nostro paese vuole ripartire deve guardare alla Le-galità quale fattore di progresso e garanzia. Un humus del genere facilita l’emersione di un conte-sto culturale che faccia da argine alle criminalità organizzate. Se abbassiamo il livello di legalità, l’Italia va verso una deriva peri-colosa».

Si parla tanto di Legalità, in Tv, sui giornali. Ma cos’è ‘sta Legalità, a quali principi tende, è possibile darne una definizione?

«Dopo lunghi anni in cui avevo posto, nelle sedi politiche oppor-tune, questioni che riguardavano le infiltrazioni della camorra negli enti locali e nella politica, dopo aver denunciato e posto il problema della divergenza di al-cune scelte politiche con le dichi-arazioni di sostegno alla lotta alla camorra, non ho visto fare scelte coerenti e consequenziali su questi argomenti. Ho visto ancora una volta scelte tese ‘a ti-rare a campare’ piuttosto che ad

ma di quelli superiori, che han-no fatto finta di non vedere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso si è verificata prima delle ultime elezioni regionali: nel programma del centrosinistra, a livello regionale e provinciale, c’era il no alla privatizzazione dell’acqua, ma contemporanea-mente venivano candidate nelle liste regionali persone che in quelle settimane si erano ampi-amente mosse per privatizzare l’acqua con pratiche dichiarata-mente illegali».

Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta ad uscire dal Partito Democratico alla vigilia delle ultime elezioni regionali?

aprire una fase nuova nella mia provincia (Caserta ndr), la terra di Gomorra, ma soprattutto non ho riscontrato il coraggio di

c a m b i a r e classe diri-gente in quei t e r r i t o r i . C’erano delle scelte da fare: decidere di

presentarsi con quelli che combat-tevano la camorra per scelta politica

o con quelli che teorizzavano l’abbassamento dell’asticella della legalità. Era inoltre intol-lerabile sentir circolare qual-che accusa di professionismo dell’antimafia anche nella mia parte politica, ma soprattutto vedere ricandidati alcuni am-ministratori mandati a casa per scioglimento del comune per in-filtrazioni mafiose. Dopo aver posto queste ques-tioni non mi ha meravigliato l’atteggiamento dei livelli locali,

un momento del forum

foto Andrea Acampora

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Qualsiasi Governo, di centro-destra o di centrosinistra, ha sempre grandi difficoltà nel far passare una legge finanziaria o una manovra di assestamen-to. L’ultimo esempio a luglio, quando la manovra di circa 25 miliardi del Ministro Tremonti è stata approvata dal Parlamento con il ricorso al voto di fiducia. Tutto ciò con Governo e Parla-mento nella pienezza dei poteri e dei numeri nelle due Aule di Camera e Senato.Non ha invece difficoltà la ‘ndrangheta calabre-se, la mafia più forte in questo momento, a continuare a gesti-re qualcosa come 44 miliardi di euro all’anno derivanti dal traf-fico mondiale di stupefacenti. La ‘ndrangheta ha i suoi ‘cervelli’ operativi in località del Reggino e della Locride e ramificazioni in tutto il mondo. Gestisce diretta-mente in Colombia, in Brasile, in Uruguay la produzione di cocai-na e poi controlla direttamen-te l’intero circuito del traffico e della distribuzione della cocaina nei Paesi occidentali. Ha diversi-ficato anche le basi operative e le rotte del narcotraffico, marcando la sua presenza in Africa, da cui partono fiumi di polvere bianca verso i Paesi europei. Ovviamen-te questi 44 miliardi la ‘ndran-gheta li fa fruttare: li reinveste in attività lecite e apparentemente

lecite, è entrata nei circuiti della finanza e nei pacchetti azionari di importanti imprese quotate in borsa, com-preso il colosso energe-tico Gazprom, per cui, anno dopo anno, il bi-lancio complessivo che le ‘ndrine si spartisco-no si attesta attorno ai 70-80 miliardi di euro. In questo momento, la

‘ndrangheta fa la parte del leo-ne: con il business del narcotraf-fico, ha innescato dei meccanismi collaudati che le consentono di raddoppiare i propri introiti in-filtrandosi ovunque: dal control-lo del trasporto delle merci nei mercati ortofrutticoli da Fondi a Milano, all’ingresso nei grandi circuiti della finanza ‘drogata’, alla penetrazione negli appalti pubblici, oltre che nella tradi-zionale attività del racket delle estorsioni.Le altre mafie, seppu-re da una posizione di sudditan-za, non stanno a guardare. Cosa nostra e la stidda, le due mafie siciliane, non hanno rinunciato ai loro affari, nonostante pesanti decapitazioni dei vertici, da Ri-ina a Provenzano. Così la sacra corona unita, operante soprat-tutto in Puglia. La camorra, con la sua derivazione del Clan dei Casalesi, continua a gestire, an-che se a livello locale, il traffico di stupefacenti, nonché le attivi-tà illecite nei territori campani, compresi appalti pubblici e ciclo del cemento, con sconfinamenti anche nella ricostruzione post-terremoto in Abruzzo. Andando a sommare gli introiti delle cin-que mafie italiche, la valutazione è che il volume complessivo degli illeciti arricchimenti ammonta a 130 mila euro. E’ una specie di

economia parallela all’econo-mia legale. Un’economia ille-gittima, perciò fasulla, che non crea né sviluppo né occupazione, un’economia di rapina verso il Mezzogiorno e il Paese intero. E’ un’economia funzionale soltanto agli interessi delle mafie. In tal senso, le mafie continuano a esse-re la vera zavorra per il Sud, con il paradosso calabrese che si con-ferma anno dopo anno: la Cala-bria è sempre più povera mentre la ‘ndrangheta è sempre più ric-ca. E questo è lo specchio del Pa-ese: aumentano i poveri, aumen-ta l’indebitamento delle famiglie anche per i consumi ordinari, la crisi morde imprese, lavoratori e cittadini perbene, mentre non conosce crisi il ‘fatturato’ del-le mafie. Le azioni di contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine vanno avanti, non conoscono tregua: sono stati as-sicurati alla Giustizia pericolosi latitanti, ci sono stati centinaia di arresti, sono stati scompagi-nati pericolosi sodalizi criminali, ma non basta. Occorre rilanciare con maggior forza l’aggressione ai patrimoni mafiosi, perché le mafie devono essere colpite nei loro interessi, negli affari e nei soldi. Al tempo stesso occorre in-tensificare le iniziative antimafia nella società, nelle scuole, nelle attività produttive. I boss ma-fiosi, ‘ndranghetisti, camorristi devono essere isolati dai contesti sociali, bisogna togliergli l’aria che respirano e l’acqua dove nuotano. Questo loro temono: l’isolamento, specialmente se la società si compatta nella difesa della legalità e della giustizia, in altre parole se riesce ad afferma-re la libertà di essere liberi dalle mafie.

li affari delle mafie non conoscono crisiViaggia sui 130 miliardi di euro all’anno il volume complessivo degli arricchimenti illeciti della ‘ndrangheta, di cosa nostra, della camorra e della sacra corona unita. Anno dopo anno, gli italiani sono sempre più poveri e le mafie sempre più ricche.

di Orfeo Notaristefano

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li affari delle mafie non conoscono crisi

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Dai reati al ciclo del cemento alle agromafie, passando per il traffico illecito di rifiuti. È un’immagine piuttosto sconcertante quella

che Legambiente dipinge della Regione Lazio e più in particolare della provincia di Latina. Nell’ulti-mo dossier prodotto dall’associazione ambientali-sta, il Lazio scala la triste classifica delle illegalità ambientali piazzandosi al ter-zo posto. Oltre 3 mila infrazioni nel solo 2009, più di 2 mila persone denunciate e quasi un migliaio di sequestri. Sono solo alcuni dei dati più eclatanti che emer-gono dal <Rapporto ecomafie 2010>, redatto come ormai avviene da anni con il supporto delle forze dell’ordine. Una volata che, certo, risente anche dell’enorme influsso della Capitale. Tuttavia negli ultimi anni le Provincie e gli episodi di illegalità diffusa hanno contribuito

Pontino>. Affari sporchi o verrebbe quasi da dire <maleodoranti> messi a segno anche sul ciclo di rifiuti. Nella classifica provinciale, Latina finisce al secondo posto contando 83 persone denunciate, 51 infrazioni accertate, 35 sequestri, ma purtrop-po neanche una persona arrestata. Un business che

non fa sconti. Né all’ambiente, né tan-tomeno ai cittadini. <Nella prima metà del 2009 – si legge nel dossier - sono tornate in primo piano le dichiarazio-ni rese nel 1993 dal pentito di camorra Carmine Schiavone, che aveva parlato di fusti tossici interrati dalla criminali-tà organizzata nella discarica di Borgo

Montello, Latina. I magistrati pontini hanno tro-vato tracce di una notevole quantità di fusti conte-nenti rifiuti tossici derivanti da scarichi industriali di aziende del Nord Italia, interrati all’inizio degli

a far lievitare la percentuale oltre il tetto record. Basti pensare che il territorio di Latina in pochi anni ha scalato la vetta confezionandosi il terzo posto in Italia per i reati legati al ciclo del cemen-to. Secondo il dossier diffuso, il piazzamento trova ragione negli ultimi 329 reati. Ma le indagini della direzione nazionale antimafia evidenziano il cre-scente peso delle infiltrazioni anche nel comparto agricolo. Ne è un chiaro esempio il caso del Mer-cato Ortofrutticolo di Fondi. < Il Lazio – spiega Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio - è dilaniato tra piccoli e grandi reati. Si rischia una crescita delle illegalità diffuse, mentre conti-nua la pericolosa ascesa della criminalità organiz-zata. L’Ecomafia nel Lazio ha una doppia faccia: da un lato quello dell’illegalità ambientale diffusa, che va sempre più denunciata e repressa, dall’altro quella della criminalità organizzata e delle mafie che si conferma ben oltre i livelli di guardia nel sud

anni Novanta. A novembre, inve-ce, sono arrivate le rivelazioni del collaboratore di giustizia Fran-cesco Fonti. L’ex ‘ndranghetista, ascoltato dal-la Commissione p a r l a m e n t a r e d’inchiesta, ha

Il mostro che abbruttisce l’Italia:l’ecomafiamedaglia di bronzo per il Lazio; male anche il sud pontino

i pentiti parlano di fusti

tossici interrati in una discarica di Borgo Montello

Militari del Noe pongono i sigilli ad una struttura abusiva

parlato di rifiuti provenienti dalle centrali nucle-ari, tirando in causa anche Latina e un presunto traffico che partiva dalla centrale nucleare di Bor-go Sabotino. Fonti ha affermato, infatti, che il suo coinvolgimento negli smaltimenti illeciti è iniziato nel 1987 con 500 fusti andati in Somalia e 100 interrati in Basilicata>.

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“Le colpe dei padri infami e traditori ricadranno sui

figli. Lei e i suoi complici siete stati avvisati da troppo tempo. Lei e i suoi amici magistrati sare-te la causa di tutto”. Sono queste le parole ritrovate all’interno di una busta contenente un proiet-tile di Kalashnikov, indirizzata al figlio di Massimo Ciancimino, il nipote dell’ex sindaco di Paler-mo, Vito Ciancimino. Protago-nista è il piccolo Vitoandrea di quasi sei anni, il cui nome era scritto nella lettera rinvenuta ad agosto. E’questo uno dei tanti episodi che vede coin-volti infanti nelle dinamiche criminali. Al di là dell’atten-dibilità dell’episodio, ciò che emerge è il coinvolgimento dei minori in fatti legati al fenomeno mafioso. Benve-nuti nel mondo dell’infanzia negata; Vitoandrea Cianci-mino, i ragazzi di Scampia, quelli dello Zen e molti altri ancora sono i volti dell’infan-zia “nera” che ha perso il suo candore, la sua innocenza e si è trasformata in negazione dei diritti fondamentali: la liber-tà e la sicurezza, l’istruzione, la tutela dei minori, la protezione della famiglia e la salute in senso ambientale. I sogni per loro non esistono; i desideri non conta-no e gli atti ludici sono spesso vietati. Vessati, costretti, sfrut-tati, addestrati, per poi divenire adulti senza scrupoli. La leva del bambino “malavitoso” prende corpo dai primi anni di vita; pre-sto si diventa ingranaggio di un sistema da cui si fatica ad uscire. Il Gomorra di Matteo Garrone ci lascia immagini crude sull’adde-stramento dei ragazzi di camorra.

Li arruolano appena sviluppano l’attitudine alla fedeltà al clan. Hanno dai dodici ai diciassette anni e sono il nuovo esercito. I vantaggi per i clan sono molte-plici: remunerazione dimezzata, nessuna incombenza familiare, nessun vincolo, massima dispo-nibilità, ma, soprattutto, è sem-pre disposto a stare per strada. Si inizia con lo spaccio di droga, per così dire leggera, l’hashish,

armi, i giovani adepti indossa-no il giubbotto antiproiettili e subiscono i colpi. Un giubbotto può essere il vaccino alla paura? L’unico modo per anestetizzare ogni timore è mostrare come le armi possono essere neutraliz-zate. Il volto dell’infanzia viene progressivamente indurito da-gli spari delle armi, l’anima si incupisce e gli occhi, un tempo innocenti, diventano specchio di connivenza. Diceva Ulpiano, giurista latino: -“Honeste vivere,

alterum non laedere, suum cuique tribuere”- Vivere con onestà, non danneggia-re gli altri, dare a ciascuno il suo”; solo così potrà realiz-zarsi uno Stato civile. Ogni buon padre/madre di fa-miglia dovrebbe insegnare al proprio bambino questi principi, coadiuvato dalla scuola e dalle altre Istituzio-ni. Non tutti possono esse-re ricchi, ma tutti possono e devono essere onesti per non avvitarsi nella morsa dell’illegalità.magari, per poi occuparsi, una

volta ‘adulti’, del narcotraffico. Il tipo di droga smerciata qualifica il trafficante. Le pasticche presto per i più “produttivi” vengono sostituite con la cocaina, scam-biata nelle università, fuori dai locali, ad alberghi e in stazioni. A ciò si aggiunge la dotazione di armi che i ragazzini affiliati ottengono dai clan, per difen-dersi e per farsi valere. Si tratta di una “promozione” che lascia sperare una ascesa ai vertici del clan; “Pentagono” di pistole au-tomatiche e semiautomatiche saranno discariche di spazzatu-ra, caverne o campagne isolate. Lì per superare la paura delle

Infanzia negata: i bambini e l’illegalità

Iniziazione di un giovane al clan nei frame di Gomorra

Militari del Noe pongono i sigilli ad una struttura abusiva

di Giuseppina Sorrentino

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Mafie e usura è diventato un binomio inscindibile nelle dinamiche delle

criminalità organizzate. Lo di-mostrano le carte degli arresti che si susseguono nelle cronache locali e nazionali. La spiegazione è legata, in primis, ai problemi di liquidità che affliggono gli istituti bancari, i quali soffrono oltremodo della contrazione eco-nomica globale. Le banche sono sempre più restie a concedere prestiti o mutui, facendo man-care un appoggio fondamentale agli imprenditori o alle famiglie in difficoltà. Le mafie, invece,

questo deficit non lo regi-strano. Anzi, in tempi di crisi le attività di ri-ciclaggio sono floridissime. Si capisce, quin-di, la facilità con cui posso-no concedere “prestiti”. Ma è come se si si-glasse un patto

con diavolo. Perché? Lo spiega Enzo Ciconte, presidente uscente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio. Chiarisce: “Le banche hanno un problema di liquidità, le imprese, il commercio hanno un problema di liquidità, le mafie hanno esat-tamente il problema opposto, una grande liquidità che hanno la necessità di trasformare da denaro nero, denaro sporco, in denaro esposto alla luce del sole. Quindi hanno una possibilità enorme in questo momento”. La figura dell’usuraio è mutata col tempo. Si è evoluta contempora-

neamente all’accrescimento del potere economica della holding Mafia spa. Infatti “il vecchio “cravattaro” non aveva nessuna intenzione di strozzare l’usurato, anzi aveva tutto l’interesse a far-lo andare avanti per tantissimi anni perché, così, per tantissimi anni avrebbe pagato gli interessi. L’usuraio mafioso ha l’interesse opposto. Ti presta i soldi per-ché alla fine vuole rilevare la tua azienda, perché attraverso quel-la azienda ricicla denaro, attra-verso quella azienda può presen-tare una responsabilità borghese che prima non aveva. E in quel modo può diventare proprieta-rio di attività economiche, com-merciali, industriali. Questo è il pericolo dell’usura mafiosa oggi in regioni come la nostra” con-clude il professore. Per questo è necessario che le istituzioni fac-ciano sistema, affiancando l’im-prenditore e la famiglia con una rete di protezione che coinvolga-no anche le banche, attraverso l’istituzione di fondi di garanzia che faccia da ammortizzatore al contraccolpo subito.

Tra un’affissione e un’altra fac-cio anche la spesa. E’ questo sicuramente un ‘ottimo’ modo per razionalizzare il tempo, ma non è certamente conforme alla mansione a cui siamo sta-ti riservati. Si chiede pertanto all’amministrazione comuna-le un più rigoroso controllo su mezzi, strutture e uomini in do-tazione. Brunetta docet.

Usura:come siglare un patto col diavolodi Raffaele Vallefuoco

Tra un’affissione e un’altra faccio anche la spesa

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Per entrare in contatto con la redazione scrivici [email protected]

Frecciatine

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come siglare un patto col diavoloIl sistema CNA si articola in ambiti differenziarti per specializzazioni. Tra questi vi sono le Unioni di mestiere organizzate a livello provinciali , regio-nali, nazionali. Ogni Unione rappresenta una ma-croarea di aggregazione di interessi professionali e di settore, allo scopo di :Garantire le attività svolte alla tutela delle azien-de rappresentate in ambito istituzionale , sociale e politico;Rappresenta le identità professionali, di mestie-ri, di settori,d i filiera, di distretto produttivo, di territorio,degli associati presenti all’interno dell’Unione a livello provinciale, regionale e nazio-nale;promuove iniziative atte allo sviluppo, alla cresci-ta e all’innovazione, nonché alla valorizzazione attraverso l’associazionismo tra imprese per una migliore penetrazione e presenza dei mercati.

È un servizio di analisi dei fabbisogni finanzia-ri dell’impresa, di ricerca delle opportunità e dei prodotti finanziari accessibili e più idonei al caso aziendale, di assistenza nella definizione delle pra-tiche fino all’ottenimento del finanziamento. GARANZIE ARTIGIANE s.c.a.r.lCooperativa artigiana di garanzia: presta garan-zia al 75% sui finanziamenti, anticipi di fatture, fido di cassa, sturt up degli artigiani, commercianti e delle PMI. Convenzioni con i più importanti Istituti di Credi-to della provincia: UNICREDIT BANCA DI ROMAUNICREDIT LEASING BNLUGF BANCA,BCC di Pontinia.PER SAPERNE DI PIÚ: [email protected] POINT CNA LATINA Predisposizione richieste per contributi in conto interessi (Legge 949/52- Legge 240/81) sui finan-ziamenti e leasing concessi agli artigiani.Accesso all’inserimento diretto delle richieste di credito delle imprese tramite il portale artigian-cassa.PER SAPERNE DI PIÚ: www.artigiancassa.itCREDITO AGEVOLATO Consulenza su tutte le forme di agevolazioni previ-ste dalla normativa Regionale, Nazionale e Comu-nitaria sia per gli artigiani che per le PMI.Misure coofinanziate dai fondi europei per i ter-ritori POR FERS 2007- 2013 (Fondo rotativo PMI) . Contributi ed Incentivi (L.R.10/07, L.R. 20/03, programma AR.CO. di Italia Lavoro).Incentivi alla nuova imprenditoria: L.R. 19/99 (Prestito d’Onore), L.R. 29/96, D. Lgs 185/00Convenzioni con vari Istituti di Credito al fine di agevolare l’accesso al credito per le aziende start-up con garanzia fino al 75% .

SVILUPPO IMPRESA SRLSocietà di servizi alle imprese del sistema CNA di Latina:- contabilità, consulenza fiscale e societaria, de-nuncia dei redditi; consulenza del lavoro e tenuta libri paga;- servizi per la creazione, lo sviluppo e l’internazio-nalizzazione delle imprese;- sicurezza e medicina del lavoro, igiene degli ali-menti: corsi per RSPP (Responsabili Servizio Pro-tezione e Prevenzione) e per RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza), stesura del docu-mento di valutazione dei rischi, piano di sicurezza nei cantieri edili, ecc...;- consulenza finanziaria e assistenza tecnica per facilitare l’accesso alle agevolazioni, analisi degli strumenti finanziari (regionali, nazionali e comu-nitari), gestione dei rapporti convenzionati con gli Istituti di credito. EPASA è il patronato della CNA per la tutela so-ciale a favore degli artigiani, delle loro famiglie, dei cittadini. EPASA interviene, gratuitamente, per la richiesta di tutte le prestazioni previdenzia-li e assicurative previste dalla legge sui patronati; pensioni di vecchiaia, invalidità, anzianità, inabi-lità, sociale, reversibilità, superstiti, ricostituzioni, maggiorazione e supplemento di pensione; infor-tuni e malattie professionali; riconoscimento degli eventi contestati dall’INAIL; richiesta indennità per inabilità temporanea; richiesta di tutte le pre-stazioni sociali acquisite o da acquisire nell’ambito dell’Unione Europea, USA, Australia, Canada; ac-certamento e recupero di periodi assicurativi ma-turati all’estero.PER SAPERNE DI PIÚ: www.epasa.cna.itCAFIl CAF CNA srl è il Centro Assistenza Fiscale dipen-denti e pensionati costituito dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola Impre-sa - CNA - regolarmente iscritto all’Albo dei CAF con decreto del 31 marzo 1993 del Ministro delle Finanze.

I servizi di assistenza erogati dal CAF CNA ri-guardano: Dichiarazione dei redditi Modello 730; Dichiarazioni RED/INPS; Certificazioni ISEE e ISEU (ISE Universitaria); Certificazione e calco-lo per Assegno Nucleo familiare e per Assegno di Maternità; ICI - Dichiarazione, calcolo e predispo-sizione bollettini.PER SAPERNE DI PIÚ: www.caf.cna.it

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L’affrancamento del meridione parte da gomorraIn questa pagina e in questo numero Gomorra non poteva mancare. Il libro che più di ogni altro ha scosso l’intera nomen-clatura della camorra e che ha reso celebre Roberto Saviano ha diritto ad essere inserito al verti-ce di un’ideale classifica di libri dall’alto potenziale d’influenza sull’opinione pubbli-ca. Un successo che gli sono valsi due milioni e mezzo di copie vendute, una versione economi-ca e cinquantadue traduzioni nel mondo. Ma quello che, secondo me, più di ogni altra cosa ha in-teressato i lettori di Gomorra è l’aver reso la camorra non un problema dei campani, ma una

questione nazio-nale. Un’opera-zione di cui Sa-viano non può dirsi unico pa-dre, ma del quale è stato regista di successo. Sarò onesto: Gomorra

è il mio l i b r o p r e -ferito. Non tanto perché in

esso si disvela l’area di influenza della camorra, la quale irradia il suo potere come cerchi concen-trici che inondano il mio paese di nascita e quello di mia madre, rispettivamente Gaeta e Parete,

quanto perché si analizza nel profondo la camorra. Non una guerra tra poveri, ma una par-tita tra borghesi che si gioca da Mondragone ad Aberdeen a colpi di kalashnikov e attività impren-ditoriale.

specchio di etica e

civiltà

gomorra ha reso la

camorra non solo un

problema dei campani, ma una que-

stione nazionale

MAFIA ExPortl’internalizzazione delle mafie moderne

La strage di Duisburg ha mostrato la ragnatela globalizzata tessuta negli anni dalle criminalità organizzate. Proprio nel momento in cui si affermava la consapevolezza delle mafie come questione naziona-le, e non solo meridionale, l’opinione pubblica deve fare i conti con una realtà in costante mutamento. E nel farlo non può non attingere da Mafia Export, ultimo lavoro di Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare antimafia. Un testo che offre un quadro piuttosto chiaro del fenomeno dell’internazionalizzazione delle mafie. Non quindi una questione di paese, ma una realtà glo-balizzata, nella quale i vari sodalizi criminali operano in contatto, curando specifici segmenti del mercato della droga, della prostitu-zione e del riciclaggio. Francesco Forgione mette in rilievo le logi-che spartitorie messe in atto in terra straniera dalle “nostre” mafie, analizza la colonizzazione di interi paesi e le dinamiche di pace che si tessono pur di assicurare e tutelare i propri traffici. Inoltre, come espressamente dichiarato dall’autore, Mafia Export vuole combat-tere l’ipocrisia di chi guarda con interesse alla movimentazione di denaro messa in atto dalle mafie. Ma, spiega Forgione, questo non tiene conto del fatto che dove arrivano i soldi delle organizzazioni criminali, lì approda la cultura di violenza e alterazione del mercato, tipiche dei paesi nei quali sono germinate.

Non una questione di

paese, ma una realtà

globalizzata

lo scaffale di Raffaele Vallefuoco

in collaborazione con la Mondadori di Enza e Riccardo Campino

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18 maggio 1944: LA VITA RICOMINCIA

La mattina del 18 maggio 1944, dopo un ultimo bombardamento aeronavale che annientò le residue resistenze della 94a Divisione di fanteria tedesca comandata

dal maggiore Generale Bernard Steinmetz, le pat-tuglie della 85a Divisione della V Armata Ameri-cana avanzarono dagli avamposti di Santa Croce verso Formia. Per liberare l’Appia, ingombra di calcinacci e permettere il transito delle truppe e dei mezzi corazzati, furono impiegati poderosi bul-ldozer e occupate intere squadre di artiglieri. Gli uomini della 338a Compagnia poterono entra-re in città solo nel pomeriggio, seguendo le fettucce bianche che indicavano i sentieri bonificati dalle mine tedesche. Ad accoglierli non vi furono auto-rità e cittadini festanti pronti ad abbracciarli, ma trovarono solo palazzi demoliti, strade scomparse sotto cumuli di macerie, corpi straziati di soldati tedeschi, carogne di muli, carri armati sventrati e mine dappertutto. Dopo nove lunghissimi mesi eravamo finalmente liberi anche se la guerra, con-tinuando il suo spietato cammino di morte e di di-struzione, prolungava il calvario delle già provate famiglie formiane deportate dai tedeschi nelle città del Centro e del Nord della nostra penisola ancora sotto giogo germanico.Rivivo ancora con emozione quel lontano pome-riggio. Eravamo all”Auciana “, una località mon-tana di Maranola. Nella nostra “ mandra” c’erano anche altre famiglie: quella dei Monetti e quella dei De Santis di Caposelice. Poco distante da noi c’ era un’altra “mandra” con la famiglia di Giovanni

De Meo. La moglie Amelia, poveretta, era dispera-ta per il marito gravemente ammalato, che morì dopo qualche settimana.La linea “Gustav” era stata smantellata e i tede-schi erano in rotta. I cannoni avevano cessato il loro martellante bombardamento e gli Americani erano vicinissimi. Verso le ore 16.00, infatti, sta-vamo sotto un albero vicino alla casetta, quando vedemmo due file di soldati scendere cautamente dalla collina e venire verso di noi. Erano le prime avanguardie della 88a Divisione “Bufalo” del gen. John E. Sloan. Le nostre donne li abbracciarono e li baciarono. Commossi, essi aprirono i loro zaini e ci diedero scatole di carne e carote, pane bianchissimo, bi-scotti, salsicciotti, sigarette, e a noi bambini cara-melle e chiwing-gum. Poi un maggiore chiese agli uomini se vi fossero tedeschi armati nei dintorni: lo rassicurammo, dicendo che erano passati in notta-ta in fuga verso Itri con i loro muli. Tra essi c’erano

Formia ricostruzione e sviluppodi Giovanni Bove

come si presentava Formia il 13 Maggio 1946

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due italo-americani che subito fraternizzarono.Ci raccontarono che i loro padri erano andati in America, perché nei loro paesi c’era tanta miseria. Mentre il maggiore consultava con due aiutanti la mappa del territorio, un radio-telegrafista segna-lò alle truppe retrostanti che potevano avanzare tranquillamente. Dopo pochi minuti, vedemmo sbucare da dietro la montagna tre grandi pale meccaniche in fila indiana. In un batter d’occhio aprirono la strada larga un paio di metri. Sbalor-diti per tanta organizzazione ed efficacia, vedem-mo passare, su quella strada appena aperta, carri armati, jeeps, camion e migliaia di soldati armati, che procedevano in doppia fila, guardinghi, dietro i carri armati. Di fronte a quella potenza di mezzi e di capacità organizzativa zio Umberto esclamò: -- E contro questi l’Italia voleva vincere la guerra?-.

Si accamparono poco distanti da noi per passare la notte: ogni soldato, con la pala in dotazione, scavò una piccola fossa per dormire.Dopo qualche ore, un aereo sorvolò il campo e lan-ciò col paracadute viveri e munizioni. Ci sembrava essere rinati. Adesso tutto era quiete e le montagne non rimbombavano più per gli scoppi delle mici-diali granate provenienti dalle navi inglesi ancora-te nelle acque di Formia, e dal fronte del Gariglia-no, che tante vittime aveva mietuto fino a pochi giorni prima. Quel giorno mangiammo tanto da dimenticare per un momento le amarezze, le pene e la sofferenze di quei terribili nove mesi trascorsi in montagna. Ma i cibi in scatola che i soldati ame-ricani ci dettero con tanta generosità, contenevano troppe proteine e vitamine per noi che eravamo ormai abituati ad una alimentazione ipocalorica di emergenza. Diarree violente e mal di stomaco colpirono un po’ tutti, grandi e piccini.Poi gli esuli formiani incominciarono a scende-re dalle montagne e a rientrare a piccoli gruppi. Stanchi, con barbe incolte e aria patita non vole-vano altro che cibo e pace.Ma lo spettacolo raccapricciante che si presen-tò davanti ai loro occhi no lo avrebbero mai più dimenticato: palazzi abbattuti, strade cancellate, buche enormi come crateri e un ammasso di rovine avvolte dalla polvere sollevata dal continuo avan-zare di carri armati e di camino, carichi di soldati e di mezzi di artiglieria pesante, che si dirigevano verso la pianura pontina per entrare in Roma.Tutto era stato distrutto e si camminava sui cal-cinacci con rispetto, perché si sapeva che sotto vi erano i corpi martoriati di tante vittime innocenti spazzate via dalla grande bufera di un bombarda-mento insensato, che aveva colto tutti di sorpresa la mattina di quel tragico venerdì 10 settembre 1943.

Quel giorno io e mia madre, con due secchi e una pentola, eravamo usciti dalla galleria della cava d’argilla che fiancheggia il colle della Madonna di Ponza, per andare alla “Fòrma “ a prendere l’ac-qua per cucinare un po’ di pasta per il pranzo.Eravamo rifugiati dentro il tunnel insieme a tante famiglie di Mola dal giorno precedente. Arrivati a metà dello stradone “Fòsse”, sentimmo il rumore di molti aerei. Io, come facevo sempre quando pas-savano nel cielo di Formia, incominciai a contarli: uno, due, tre…diciannove; non feci in tempo a dire venti che vidi una pioggia di bombe cadere sulle case di Mola.Rimanemmo paralizzati dalla paura e fummo scaraventati a terra da un violento spostamento d’aria. Non so quando tempo restammo tramortiti a terra. Ricordo solo dense nubi di fumo e di polve-re di calcinacci che avvolgevano l’intero quartiere e che il vento di ponente, proveniente da Gaeta, spingeva piano piano verso le colline.In quel terrificante bombardamento, durato circa dieci minuti, scomparvero intere famiglie e il nu-mero delle vittime resterà sempre indeterminato, perché vi furono anche soldati italiani di istanza a Formia e a Gaeta, soldati tedeschi, gente di pas-saggio.I soccorritori restarono inebetiti di fronte a tanta rovina e le scene raccapriccianti che si presentaro-no alla loro vista non seppero mai descriverle nella loro cruda realtà.Ma i nostri padri seppero reagire coraggiosamente e senza cedere alla disperazione e con gran voglia di voltare pagina, “affuciunènnese le màneche”, incominciarono a rimuovere le macerie, a dare se-poltura alle vittime, a far sbocciare la vita dalle rovine.“Post Fata Resurgo”: la ricostruzione era comin-ciate e Formia, fedele al suo motto, riprese il suo cammino facendo risorgere dalle macerie le sue case, le sue scuole, le due fabbriche, la sua flotta peschereccia, il suo fiorente commercio che l’aveva sempre fatta primeg-giare il tutto il sud pon-tino. (1 - continua)

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Formia 9-10-11-12 Settembre 2010

Inserto del Partito Democratico di Formia

Claudia M

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Segno con un “mi piace” il pro-clama del presidente del Consi-glio di sconfiggere le mafie. Ma con quali strumenti? Con la magia, forse? Mi sembra l’unica praticabile in questo momento se è vero, come risulta nelle inten-zioni di parte della maggioran-za, che si vuole mettere un tappo negli orecchi dei magistrati, un bavaglio sulla bocca dei gior-

nalisti e una benda sugli occhi dell’opinione pubblica. Inoltre gli ambiziosi obiettivi del presi-dente resteranno lettera morta se ci saranno altre Fondi o se si continuerà a pensare che il pro-blema delle mafie siano Roberto Saviano e La Piovra. Insomma di questo e di altro ancora parlere-mo venerdì 10 settembre in com-pagnia del direttore de L’Unità,

Concita De Gregorio, Luca Lan-dò, direttore de L’Unità on line e Lorenzo Diana, consigliere della Fondazione Antonino Ca-ponnetto, nel corso dell’incontro “Informazione e Legalità: indi-spensabili per la Democrazia”, organizzato nell’ambito della Festa Democratica di Formia 2010.

Democrazia e informazione: a colloquio con il direttore de l’Unità

di Raffaele Vallefuoco

Una nuova storia per Formia pagg. 21-22

Difendere la scuola dalla controriformapag. 22

I Teatri socchiusi: il concorsopag. 23

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Questa nostra città ha rag-giunto quota 38 mila abi-tanti ma resta con gravi

problemi di ordine infrastrut-turale, economico e sociale. La crisi si supera realizzando idee, progetti, azioni che perseguano il bene comune e non gli interessi di parte, le clientele e il voto di scambio che annulla i diritti e favorisce il malaffare.Per curare il proprio interesse o del clan di appartenenza si perde di vista il disegno generale della città che resta condizione neces-saria per favorire un ampio be-nessere, crescita sociale e buona qualità della vita.Formia dal 2002 al 2009, in sette anni, è cresciu-ta di 1620 unità (saldo immigra-ti/emigrati, nati/morti). Negli ul-timi tre anni sono giunti 2862 im-migrati ma sono emigrate 2385 persone. Si trat-ta di un ricam-bio fortissimo. In buona parte sono giovani che vanno via in cerca di lavoro o per motivi di studio. E’ come se la città cambiasse pelle. Negli ultimi tre anni sono giun-te 762 persone dai comuni della provincia di Napoli, 737 dai co-muni della provincia di Latina, 287 dai comuni della provincia di Caserta e 175 dai comuni del-la provincia di Roma. Lo stesso andamento si registra negli anni 2002/2006: Napoli, Latina, Ca-serta, Frosinone e Roma.Il più delle volte gli immigrati hanno come riferimento coloro che si sono adoperati per il rilascio del-la residenza i quali, al momento opportuno come nelle elezioni,

sanno cosa chiedere e per chi.Nel rilascio della residenza sarebbe opportuno effettuare seri con-trolli sul domicilio dichiarato e soprattutto sui mestieri e profes-sioni svolte. Ma oggi la residen-za si rilascia prevalentemente a tavolino dato che un solo vigile urbano non ce la fa ad effettuare il controllo della residenza di-chiarata.Formia, con le sue pre-gevoli caratteristiche ambientali resta fortemente ambita come residenza. La nostra città, ri-spetto alle grandi aree metropo-

litane, soprattutto Napoli, offre ancora buoni livelli di sicurezza e di convivenza civile ed è per questo che molte persone cer-cano la residenza a Formia ma continuando a lavorare a Napo-li.Tutto ciò produce la continua richiesta di alloggi e soprattutto tiene alto il valore commerciale dei suoli e degli immobili. A For-mia centro il valore commerciale di un appartamento va dai 2500 euro al metro quadro a 4000 se l’alloggio è in posizione pano-ramica, ha grandi balconi, ecc.. Per i negozi andiamo sugli 8000 euro/metro quadro. A S. Pietro si va dai 2500 ai 3000 euro/mq.

di Francesco Carta

mentre i negozi si attestano sui 2500 euro a metro quadro. Sul-le frazioni se l’appartamento ha vista panoramica sul golfo si può giungere anche a 3000 euro/mq. , altrimenti un alloggio medio ri-strutturato oscilla tra i 2000 e i 2200 euro/mq.. I negozi valgono 2000 euro/mq..A Penitro, fino allo scorso anno, si raggiungeva-no i 3000 euro/mq. Mentre oggi si va dai 2400 ai 2500 euro/mq.. I negozi oscillano tra i 1500 e i 1660 euro/mq.L’Architetto Franco Purini, in-

caricato nel di-cembre 2008 di redigere un nuovo piano regolatore ge-nerale, ancora non ha conse-gnato una boz-za. Nel frattem-po il Sindaco Michele Forte con la sua mag-gioranza con-tinua a gestire il territorio al di fuori di una qualsiasi piani-ficazione. Il re-perimento delle aree per l’edili-

zia convenzionata è stato realiz-zato proponendo ai proprietari delle zone agricole (lotto minimo mq.6687) di cedere il 70% per le cooperative in cambio del 30% di edilizia residenziale privata.Nel frattempo mancano indirizzi ed iniziative certe in materia di viabilità. La strada di collega-mento Stazione ferroviaria e via Solaro batte il passo (5 milioni di euro ereditati dalla preceden-te amministrazione di centrosi-nistra).La ex Sparanise, nel tratto periferi-co Appia Hotel (500 mila euro, an-che questi messi lasciati dal centro-sinistra), è ancora in progettazione

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Una nuova storia per Formia!

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La chiamano Riforma Gelmini ma è la proposta di legge Aprea del 2008, in cui appare chiaro l’obiettivo di delegittimare la scuola pubbli-ca perché ha la colpa di proporsi come luogo di cultura che garantisce il diritto universale all’istruzione, perché insegna a coltivare la li-bertà di pensiero, perché educa allo sviluppo della capacità critica.Noi la chiamiamo Controriforma perché segna un ritorno al passato di oltre quarant’anni.I pesantissimi tagli fatti alla scuola pubblica e sbandierati come dettati dalle esigenze econo-miche del momento ( nel 2008 non si parlava di crisi) rispondono ad un piano ideologico e strutturale della destra peggiore. Tant’è vero che le più importanti nazioni, per far fronte alla crisi, fanno grandi investimenti sulla scuola in modo da poter produrre innovazioni nella ri-cerca e garantire il futuro ai giovani e al Pae-se attraverso una conoscenza più ampia e più qualificata.L’irragionevole riduzione di risorse peserà sulle famiglie che già quest’anno pagano un maggior contributo all’atto dell’iscrizione per permettere alla scuola di affrontare le spese indispensabili. Tanti studenti non potranno frequentare i corsi di ampliamento dell’Offerta Formativa perché saranno a pagamento. Con questa legge la scuo-la pubblica italiana sarà sempre più povera, di-venterà una scuola di emarginati inoffensivi e costretti a subire qualunque peso o minaccia.Questo governo non interviene sui veri mali del-la scuola italiana: pastoie burocratiche, struttu-re carenti o inesistenti,mancanza di laboratori e di attrezzature, necessità di rivedere gli assi fondamentali dell’azione didattica, costruzione di migliori strumenti di valutazione. Interviene invece massacrando il sapere e il saper fare con la diminuzione del le ore di italiano e, in alcuni casi, anche di matematica; con la soppressione delle ore di laboratorio negli istituti professiona-li; annullando la pratica della democrazia con la cancellazione della rappresentanza sindacale e del personale ATA,con l’indebolimento degli organi collegiali, con l’ inserimento di soggetti esterni e privati alla gestione della scuola.Difendiamo la scuola pubblica obbligando il governo ad investire in risorse umane ed eco-nomiche.Facciamo in modo che non sia destinata ai “figli di nessuno”.

Difendiamo la scuola pubblicadi Ada Filosa

(compreso il ponte).Non parliamo della pedemontana, i cui costi sono saliti a 850 milioni di euro che non ci sono e probabilmente non ci saranno mai.Del sovrap-passo piazza della Vittoria-porto ex commerciale, sono saltati i fondi regionali (anche questi dispo-sti dalla precedente amministrazione regionale di centrosinistra) perché il Sindaco aveva deciso di non realizzarlo più.Formia si avvita su se stessa. Le due aree industriali dismesse, nel centro della città, sono ferme. La ex SALID sembrerebbe en-trare nelle indagini che hanno interessato la DE-SCO di Terracina. La ex D’Agostino, dopo ben due convenzione sottoscritte col centrosinistra, ritor-na allo stato di partenza dopo l’ennesima revoca dell’attuale maggioranza.Eppure in tutto il mondo si afferma l’orientamento urbanistico (ma si tratta di buon senso) per cui prima di aggredire le aree vergini si recuperano le aree industriali dismesse e degradate.Del nuovo ospedale se ne sa più nulla e l’amministrazione comunale non prende la benché minima iniziativa.Del porto turistico si sa ben poco se non addirittura difficoltà legate alla profondità dei fondali dove dovrebbe essere realizzato.Da quanto detto appare chiaro come sia necessa-rio un vero e proprio ripensamento programma-tico della città ma per far questo è necessario che le forze più vive, intelligenti e soprattutto disposte alla cura del bene comune, si uniscano nell’elabo-rare e realizzare una nuova storia.

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Un altro modo per sottoli-neare che a Formia i te-atri comunali non sono

aperti. Ossia sono chiusi. Siamo a settembre e la prospettiva in-vernale per ciò che riguarda le attività serali mi fanno già venire i brividi. Anche di freddo perché in ogni caso saremo fuori dai te-atri. E nelle sale comunali anche le prove di qualunque spettacolo non è permesso farle , a meno di non avere il patrocinio dell’at-tuale amministrazione comunale o pagare. Salgo e scendo le scale di via Sarinola per il solo gusto di guardare il caldo legno della porta del Remigio Paone. Tra-scorro istanti molto belli in com-pagnia della sola immaginazio-ne: il pubblico seduto in sala che aspetta chiacchierando un po’, noi dietro le quinte indaffarati e ansiosi, poi le luci si spengono, c’è silenzio in sala, il mio cuore batte forte, si comincia, è tutto ok ed ecco infine uno scrosciante applauso riempie ogni angolo e mi fa sbattere le tempie, un fa-scio di fiori e poi ancora e ancora applausi. Si, è bello fare teatro, è bello andare a teatro in una stra-ordinaria intesa di comunicazio-ne e di senso! Solo pochi istanti e di nuovo inciampo nella dura realtà. Il teatro è chiuso. Grata di non essere finita faccia a ter-ra su quei gradoni che scendevo bambina per andare al Cinema, proseguo, perplessa e triste, pen-sando anche ai tanti giovani a cui sono state chiuse le porte per fare musica. I due teatri comuna-li sono chiusi. Perché? Quando li apriranno? Cosa aspettano? Le sale comunali sono state messe a pagamento. Anche per sposarsi. Il che potrebbe essere positivo per abbassare il numero di divorzi! Ma scherzi a parte: per fare at-tività culturali dobbiamo andare in mezzo alla strada? Pagheremo anche il suolo pubblico!Tanto Klaus (pace a lui che non ha

mai fatto male a nessuno) ci ha lasciato il posto al coperto sotto la biblioteca. E sono state chiuse anche le fontane. Bravi ben fatto. Così abbiamo allontanato anche i barboni. Ora le efficientissime tubature dell’acquedotto strari-pano e perfino tra i bambini che giocano a pallone in piazza Vit-toria o alla Villa si evidenziano differenze tra chi può permetter-si ogni giorno una, due o tre bi-bite al bar e chi non può più bere alla fontanella. Ma illusa che un concorso teatrale possa aiutare a fare il punto della situazione per cambiare la prospettiva di una triste condizione socio-culturale, colgo l’occasione per ringrazia-re tutti coloro che insieme a me sono visionari e si stanno dando da fare per il concorso. Un grazie alla redazione che mi ha chiesto, a suo rischio, di scrivere questo mio primo articolo. Ribadisco l’invito. L’associazione Gramsci e il comitato Parco Monti Aurun-ci presentano la prima edizione de “I teatri socchiusi“ concor-so cittadino dedicato a Rasimi-no Cannavale; primo premio € 300,00; una giuria competente assegnerà il premio; 6 i lavori in gara. L’esibizione avverrà il 12 settembre 2010 in occasione dell’ultima giornata della festa del Partito Democratico nella Villa Comunale. Saranno ospiti Rifondazione comunista, Arci, IDV, Sinistra e Libertà e quanti altri abbiano a cuore la situazio-ne dei teatri e delle sale comu-nali. Ma soprattutto sono invita-ti tutti coloro che credono nelle possibili risorse di Formia e nella diffusione della cultura senza di-stinzioni di partito o associazio-ne. Ancora un pensiero a Rasimi-no Cannavale. Uomo di grande spirito, onesto e laborioso. Il con-corso è dedicato a lui perché gli amici possano salutarlo ancora e chi non lo abbia conosciuto pos-sa conoscerlo un pò.

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24 Wow sudoku powered by Erasmo De Meo

Max,Leo e Ugo erano amici.Max rubò la palla a Ugo.Ugo pianse e andò via.Leo rise(non aveva visto...)Max e Leo rimasero amici,Max e Leo continuarono a “giocare”...Max rubò la palla a Leo.Leo si arrabbiò e andò via(la palla era SUA...)Max non capì,Max non chiese scusa,Max cercò nuovi amici.Max,gino e Aldo diventarono amici.

Max rubò la palla ad Aldo.Aldo pianse e andò via.gino si vergognò,si arrabbiò,andò via(aveva visto...)Max e gino non rimasero amici.Max restò solo,Max non aveva con chi “giocare”,Max non aveva più voglia di “giocare”...Max quella volta capì,Max chiese scusa,Max ora ha tanti amici.

Paraboletta secondo Maria di Maria Scognamiglio

per le tue dediche,

messaggi o au-guri,

scrivici a [email protected]