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il Ducato di Daniele Ferro ZINGARI: ABITANTI ZINGARI: ABITANTI SENZA QUARTIERE SENZA QUARTIERE Milano, maggio 2008: scatta l’«emergenza rom», ancora in vigore a due anni di distan- za. Oggi, mentre gli sgomberi degli insediamenti abusivi continuano, il Comune si appresta a chiudere quattro campi autorizzati. Un primo passo sperimentale che ha l’obiettivo di smantellare tutti e 12 i campi comunali - dove i rom di Milano, nomadi solo per convenzione, vivono da decenni - nel volgere di pochi anni. Entro il 2010 quasi mille persone andranno ad abitare altrove. Ma gli zingari, e gli operatori sociali che lavorano con loro, non sanno ancora dove, né con quali modalità di sostegno. Questa inchiesta è il lavoro di fine corso di Daniele Ferro per l’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino (biennio 2008/10) pub- blicato con la testata della scuola “Il Ducato”. Documenti e testimonianze sono state raccolte tra dicembre 2009 e febbraio 2010

"Zingari: abitanti senza quartiere" - di Daniele Ferro

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Milano, maggio 2008: scatta l’«emergenza rom». Dopo due anni, mentre gli sgomberi degli insediamenti abusivi continuano, il Comune si appresta a chiudere quattro campi autorizzati. Un primo passo sperimentale che ha l’obiettivo di smantellare tutti e 12 i campi comunali - dove i rom di Milano, nomadi solo per convenzione, vivono da decenni - nel volgere di pochi anni. Entro il 2010 quasi mille persone andranno ad abitare altrove. Ma gli zingari, e gli operatori sociali che lavorano con loro, non sanno ancora dove, né con quali modalità di sostegno.

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il Ducato

di Daniele Ferro

ZINGARI: ABITANTIZINGARI: ABITANTISENZA QUARTIERESENZA QUARTIERE

Milano, maggio 2008: scatta l’«emergenza rom», ancora in vigore a due anni di distan-za. Oggi, mentre gli sgomberi degli insediamenti abusivi continuano, il Comune si appresta achiudere quattro campi autorizzati. Un primo passo sperimentale che ha l’obiettivo di smantellaretutti e 12 i campi comunali - dove i rom di Milano, nomadi solo per convenzione, vivono dadecenni - nel volgere di pochi anni. Entro il 2010 quasi mille persone andranno ad abitare altrove. Ma gli zingari, e gli operatori socialiche lavorano con loro, non sanno ancora dove, né con quali modalità di sostegno.

Questa inchiesta è il lavoro di fine corso di Daniele Ferro per l’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino (biennio 2008/10) pub-blicato con la testata della scuola “Il Ducato”. Documenti e testimonianze sono state raccolte tra dicembre 2009 e febbraio 2010

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Entrare nel campoTriboniano signifi-ca uscire da Milanopur rimanendo incittà. Qui, tra viaTriboniano e via

Barzaghi, tra la ferrovia e le altemura grigie del cimitero Mag-giore, vivono secondo i dati uf-ficiali quasi seicento rom, sud-divisi in quattro aree. A parte l’“enclave” di una cinquantinadi rom bosniaci, tutti gli altriabitanti sono rom rumeni.Ci sono altre zone di Milanodove i quartieri sono popolatida immigrati. Ma questo non èun quartiere. È una zona ombradella città - grande come duecampi di calcio e distante duechilometri dalla fermata più vi-cina dei mezzi pubblici - chenel corso degli anni è stata de-finita dai critici “ghetto” o “dis-carica umana”. L’amministra-zione comunale, invece, haparlato di un “campo modello”da quando nel gennaio 2007 irom, per avere alcuni contai-ner e l’autorizzazione a rima-nere al Triboniano, firmaronoun “Patto di socialità e legalità”che avrebbe dovuto portare alrispetto di alcune regole (fre-quenza dei bambini a scuola,pulizia del campo, impegno la-vorativo per gli uomini, divietodi ospitare estranei).Ora il “campo modello” verràchiuso. Entro il 2010. L’ammi-nistrazione comunale ha cam-biato strategia. Secondo alcuni(ad esempio l’Opera nomadi)all’improvviso, guarda casocon l’avvicinarsi dell’Expo: ilcampo si trova nell’area dovesorgerà uno svincolo stradalelegato all’esposizione. E colTriboniano verranno smantel-lati altri insediamenti, uno deiquali in via Novara (anch’essazona legata all’Expo).Per l’assessore alle Politichesociali Mariolina Moioli la que-stione è diversa: i campi non

rom risiede qui al Triboniano.Entro nel campo accompagna-to da Mario, un operatore dellaCasa della carità (l’associazio-ne che gestisce l’area), e subitovedo il pregiudizio comune ri-guardo gli zingari camminaresulle gomme di una Mercedes.Poco dopo passa un’Audi. Autodi qualche anno, ma comun-que pezzi grossi. Prima che anche qui si facessesentire la crisi, la metà degli uo-mini lavorava, chi in regola echi in nero: muscoli da carpen-tieri e muratori per ingrossarel’enorme cantiere in espansio-ne che è Milano. Forse quelleauto sono state comprate one-stamente. Forse appartengonoall’altra metà degli uomini chenon lavora. Chissà.Mario mi porta da Anghelina,dove si può ascoltare un po’ distoria del campo. Nel containerci sono anche sua figlia Simonae la nipote di due anni. La bam-bina, che indossa solamenteuna maglietta bianca, piagnu-cola finché la nonna la prendein braccio. Allora la piccola siacquieta, e poco dopo si addor-menta con il ciuccio in bocca. Ilsuo morbido russare accom-pagna la voce della nonna. “In Romania dopo Ceausescueravamo in un disastro. Aveva-mo sentito di molti che anda-vano a Milano - racconta An-

ghelina - e così nel ’98 siamovenuti qui. Dodici anni fa que-sto posto era un parcheggio,avevamo fatto amicizia con ca-mionisti turchi, russi…faceva-mo l’elemosina. Adesso rispet-to a prima è un lusso”.A differenza degli altri campicomunali, sorti negli anni ’80 edestinati a italiani, è a fine anni’90 che tra via Triboniano e viaBarzaghi iniziano ad arrivarerom rumeni, bosniaci, mace-doni e kosovari. C’è chi scappadai conflitti dei Balcani, chicerca fortuna. Nell’agosto 2001il Comune porta kosovari e ma-cedoni in un campo in via No-vara, e a novembre inizia la len-ta regolarizzazione del Tribo-niano. Le condizioni abitative eigieniche rimangono ai limitidell’umano fino al 2006. Rac-conta Annamaria Nardini, pe-diatra che ha lavorato come vo-lontaria nel campo: “Eranoroulotte in mezzo al fango, c’e-ra soltanto una stradina che iodovevo fare in mezzo ai topi”. EDaniele Nani, un altro medicovolontario, ricorda: “Quandosono arrivato, la prima cosache mi è saltata all’occhio era-no le pantegane, la seconda lemacchinone, e la terza è che titrovi queste persone così alle-gre, ma poi noti che le donne siportano addosso una grandesofferenza”.

hanno portato all’integrazionedei rom, quindi vanno chiusi egli abitanti si devono spostarein vere case, grazie a percorsi diagevolazione ed inserimentolavorativo.Lo scorso settembre il ministe-ro dell’Interno ha stanziato peril Comune 13,5 milioni di euro.La maggior parte dei soldi sa-rebbe destinata allo smantella-mento dei campi e ad opera-zioni di sicurezza (come l’ab-battimento delle varie barac-copoli rom sparse per la città).Solo due o tre milioni servireb-bero al sostegno finanziarioper i rom. Le varie associazioni che aiuta-no gli zingari (Casa della carità,Caritas, Padri somaschi, Operanomadi, Gruppo everyone) di-cono che dei fondi - e del per-corso per l’inserimento abita-tivo e lavorativo di cui parla ilComune - non si sa nulla. La maggioranza che siede a Pa-lazzo Marino è divisa. Lo scor-so settembre, dopo una rela-zione dell’assessore Moioli(Udc) sulla ripartizione deifondi per i rom, il capogruppodella Lega Nord Matteo Salvinirispose: “Chiederemo chiari-menti in giunta per evitare chei fondi del piano Maroni fini-scano per agevolare i rom nellaricerca di casa e lavoro”. “Il miotimore - disse il capogruppoPdl Carlo Fidanza - è che i soldiper l’inserimento abitativo sia-no visti dai milanesi come unacorsia preferenziale per i no-madi” (da la Repubblica di Mi-lano, 5 settembre 2009).Il numero di rom in città è sti-mato tra i 4 e i 5 mila: quasi 1500nei dodici campi comunali, glialtri si dividono in diverse aree,alcune legali di fatto (perchéesistenti da molti anni), altrepiù o meno tollerate, altre an-cora continuamente sgombe-rate. La maggiore concentrazione di

Le cose, oggi, sembrano cam-biate. Almeno un po’, almenoper alcuni. Grazie alla Caritas,Anghelina distribuisce perstrada il mensile Scarp de ten-nis, e la figlia Simona - sposatacon un muratore - lavora in unasartoria. “Le dita della mano -dice Anghelina - non sonouguali, c’è quella grande equella piccola. Anche gli uomi-ni sono diversi. Noi lavoriamoe vogliamo uscire dal campo,abbiamo fatto domanda per lacasa popolare”. Mario spiegache “a Milano per potere gareg-giare devi essere in una posi-zione tra 0 e 300. Purtroppo An-ghelina è a più di 5 mila”. “Noi siamo contenti se chiudo-no il campo - dice Simona - mavogliamo sapere dove ci man-dano. Finiamo in mezzo allastrada?”.In un altro container da 12 me-tri per 3 si ascoltano le stesseopinioni. Il capofamiglia, Ven-tila, è perentorio: “Abbiamovergogna a vivere qui. Siamo indieci. Hanno più spazio le gal-line da allevamento che noi”.“Siamo contenti se chiudono ilcampo - dice uno dei cinque fi-gli di Ventila - perché qui se ru-ba uno, allora dicono che glizingari rubano tutti. Se invecehai una casa sei un signore”.Ventila è un veterano dei romromeni immigrati a Milano, e la

Le bollette dell’elettricità (che viene usata per scaldarsi e cucinare:dopo un incendio il gas è stato vietato) possono superare i mille euro.Molti rom hanno allacciato le case alle prese dei bagni comuni

Triboniano, la cittadellaDietro il cimitero Maggiore si trova il campo più grande e popoloso di Milano,

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ABITANTI SENZA QUARTIERE

Foto centrale: nel campo non ci sono solo container. Al di fuori di questa baracca con annes-sa roulotte è appesa carne di maiale. In alto, Ventila, un capofamiglia rom, mostra con soddi-sfazione il ritratto in cui indossa il basco, alla Che Guevara. Sotto, via Barzaghi di sera (con lemura del cimitero sulla destra e quelle del campo a sinistra) e una strada tra i container

sua storia profuma di leggen-da. Mentre ci offre caffè e otti-mi biscotti al cioccolato fatti incasa, racconta di essere statotra le guardie del corpo diCeausescu, anche se non rivelaparticolari che ne possano da-re conferma. Poi è venuto inItalia: “Ho casa a Craiova, ma inRomania non c’era lavoro. Arri-vato a Milano - racconta Venti-la - sono andato vicino alla sta-zione Garibaldi, stavamo nellebaracche. Piano piano veniva-no sempre più persone, finchéci siamo spostati qui. Sono sta-to cinque anni a lavorare per unitaliano e quando ho imparatobene il lavoro del muratore hofatto una ditta mia con i figli”. Ma da un paio d’anni è fermo.Uno degli ultimi lavori si è in-terrotto all’improvviso: “Lavo-ravo a casa di un italiano - spie-ga Ventila - che mi diceva: staiattento, di qui passano gli zin-gari. Poi ha saputo che io sonouno zingaro e non mi ha fattopiù lavorare”.Anche sua figlia Betty ha vissu-to questa esperienza. Ha lavo-rato per alcuni mesi in una por-tineria nel centro di Milano.Quando hanno scoperto chelei abita in via Triboniano, èstata allontanata. Avere la resi-denza in via Triboniano o viaBarzaghi significa avere segna-to lo stigma dello zingaro. Zin-

garo da una parte, gagio (comei rom chiamano chi rom non è)dall’altra. Anche Titel è un padre di fami-glia, con una moglie che ci offreuna morbida, altissima torta, edue bambini (Leonardo, setteanni, Elisa di tre) che giocanotra gridolini di gioia. “Sono ve-nuto in Italia nell’aprile del ’91- racconta Titel - perché a Bu-carest lavoravo per Cesare Pa-ciotti e mi pagavano 100 dolla-ri per fare 36 paia di scarpe. Cimettevo quasi un mese e nonriuscivo neanche a mantener-mi”. Arrivato a Milano, Titel hadormito per mesi alla stazioneCentrale e poi ai Giardini pub-blici: “Lo zoo aveva chiuso etutti andavamo nelle gabbie,gli animali non c’erano più.Trovavamo coperte, materas-si…eravamo una sessantinatra marocchini, egiziani, tuni-sini, romeni, albanesi, e ci aiu-tavamo a vicenda”. Poi Titel haconosciuto Ventila, che l’haportato nelle baracche di Gari-baldi e gli ha trovato un lavoroda manovale. Oggi Titel lavora,ancora in nero, come carpen-tiere. Sulla chiusura del campomastica dubbi e timori: “Nonabbiamo nessuna possibilitàdi prendere una casa, chi ti dàun prestito in banca senza con-tratto di lavoro? I miei capi di-cono che non possono farme-

lo, che pagano troppe tasse.Non sappiamo cosa farà il Co-mune, uno dice una cosa, un al-tro ne dice un’altra, siamo nel-le mani loro”. E se l’ammini-strazione desse una casa popo-lare, e lui si impegnasse a paga-re l’affitto? “Saremmo contenti- dice Titel - perché in un cam-po non riesci ad abituarti mai.Siamo emarginati, invece inuna casa sei a contatto con lacittà”.I bambini, dopo una pausa dipianto di Elisa, riprendono agiocare. Quando Titel dice cheLeonardo frequenta la secondaelementare, gli chiedo se vor-rebbe che continuasse a stu-diare: “E come no. Se studia di-venta qualcuno e non deve farefatica a lavorare”. Mi rivolgo albambino per sapere cosa vuolefare da grande, e lui rispondesecco: “Il poliziotto”. “Andiamobene...vuoi arrestare le perso-ne?”, esclama stupito suo pa-dre. Chiedo a Titel se secondolui Leonardo si sente diversodagli altri bambini. “No, loronon sanno qual è la differenza,ancora non lo sanno”. Mentre dice queste parole, Ti-tel guarda suo figlio con unosguardo di rimpianto, come ascusarsi di non potergli evitaredi conoscere, un giorno, qualesia la differenza che passa traun rom e un gagio.

dei rom da smantellareex “modello” della politica del Comune verso gli zingari: entro il 2010 verrà chiuso

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“Italia e Romaniadevono collaborare”

Parla il commissario aggiunto della Polizia locale

Liliana Mauri: “Bisogna smettere di dire che i rom sono dappertutto”

Liliana Mauri è com-missario aggiuntodella Polizia locale.Da 15 anni lavora nel"Servizio unità ope-rative specialistiche

- Nucleo problemi del territo-rio", che "è specializzato - spie-ga il commissario - nel control-lo degli insediamenti di cittadi-ni zingari ed extracomunitari aMilano".Liliana Mauri si siede dietro lascrivania di un collega, lontanadall'ingresso dell'ufficio. Ap-pese alla parete ci sono foto se-gnaletiche. Facce straniere.Nomi arabi e dell'est. Su una fo-to c'è scritto "catturato", suun'altra una freccia indica lachioma di un ricercato: "è unaparrucca".Il Nucleo problemi del territo-rio è formato da un commissa-rio capo, tre commissari ag-giunti e 30 agenti, che hannouna preparazione specifica.Dottoressa Mauri, quanta par-te del vostro lavoro riguardagli zingari?Tantissimo, circa l'80 per cen-to. Quello degli zingari è unproblema molto importanteper Milano, visto che due anni

fa si è decretato lo stato diemergenza, dichiarata a livellostatale e richiesta dal sindaco edalla Regione. C'è stato un af-flusso massiccio di popolazio-ne dall'est dovuta all'entratanell'Unione europea della Ro-mania, e questa è stata la goc-cia che ha fatto traboccare il va-so. Noi l'abbiamo riscontratosubito sul territorio: baracco-poli, occupazioni di edifici ab-bandonati, segnalazioni deicittadini. È una cosa percepibi-le, gli zingari si vedono davantialle chiese, ai supermercati, al-le fermate, in mezzo alla strada.Quindi si è creata una situazio-ne di grande disagio per la po-polazione e si è notato dal pun-to di vista statistico un aumen-to davvero elevato di crimini. Come operate?Ogni anno facciamo un dos-sier, in cui riportiamo dati de-mografici e individuiamo le di-verse criticità: campi nomadiautorizzati, campi non auto-rizzati ma consolidati, presen-ti da una ventina d'anni, inse-diamenti abusivi in area priva-ta o pubblica, cioè zingari chehanno comprato il terreno emagari costruiscono abusiva-

per cento dei casi, perché stoc-cano la merce rubata nelle par-ti comuni del campo. C'è tolle-ranza non per l'illegalità, manei confronti delle famiglie.Adesso la tolleranza è finita colprogetto di riqualificazione deicampi. L'emergenza causatadall'arrivo dei rom rumeni hafatto sì che finalmente il pro-blema della presenza degli zin-gari in città sia diventato pale-se, e che quindi si prendesserodecisioni. Chi ha proprietà abi-tative da altre parti non puòstare in un campo. Allora ab-biamo iniziato ad abbattere al-cune case, ad esempio in viaBonfadini. Ora che il fenomenoè sotto controllo si può comin-ciare a lavorare senza essere inemergenza. Se i giornali lasmettessero di rovinarci la vitatutti i giorni. Perché un campo,una roulotte, due baracchenon sono un'emergenza ma unproblema affrontabile: la gentedeve smetterla di dire che glizingari sono dappertutto e chesono la causa di tutto quanto.La situazione allora sarà com-pletamente risolta?No, ormai…può essere miglio-rata. Noi ci diamo da fare tan-tissimo, ma miriamo soprat-tutto a far sì che le sacche di cri-minalità siano ridotte. Per i ru-meni il cammino è più difficileperché è proprio una questio-ne di cultura. Il passo principa-le sarà far collaborare lo Statoitaliano con la Romania, comesi è fatto con Albania e Libia: bi-sogna convincere le autoritàrumene a dare facilitazioni nelloro Paese, di modo che nonvengano più qua.

parte dello Stato e la società lirifiuta assolutamente. Per noi èveramente un grosso proble-ma visto a tutto tondo, ci sonotante cose che non riusciamo arisolvere. All'interno dellagrande disperazione di questidiseredati vanno a infilarsi i ve-ri criminali, che sono quelli chesfruttano i bambini o gli handi-cappati. Lei ha detto che anche neicampi autorizzati i rom vivo-no di illegalità. Allora ci sonosacche di illegalità tollerata?Il problema è che in un campol'attribuzione del reato a unaspecifica persona sfugge nel 99

mente case, poi ex giostrai, ba-raccopoli, occupazione di edi-fici dismessi, e infine staziona-menti in pubblica via degli zin-gari che sono ancora nomadi earrivano a Milano con le rou-lotte. Sia gli zingari che vivononei campi autorizzati sia gli al-tri vivono di illegalità.Nel dossier viene segnalataanche l'origine etnica deglizingari. A cosa serve, soprat-tutto per gli italiani? Sono con-cittadini, perché indicare l’ori-gine sinta lombardo-veneta,rom harvata o abruzzese? Nei campi ci devono stare solole persone autorizzate, chiun-que deve essere individuato.Per gli altri, rumeni o extraco-munitari, dobbiamo sapere sehanno carta d'identità o per-messo di soggiorno per rima-nere qui.Come avviene uno sgombero?Prima andiamo ad avvisarli e licensiamo, e il giorno dellosgombero ci presentiamo con iservizi sociali per l'assistenzaimmediata. Lo sgombero vieneeffettuato da polizia locale ecarabinieri, con le ditte cheprovvedono all'abbattimentoe alla pulizia dell'area.Poi le persone dove vanno?Spesso costruiscono altre areeabusive. Cerchiamo almeno dicontenere il numero. I rom ru-meni non vogliono tornare inRomania. Vengono in Italiasemplicemente per guadagna-re in elemosina, in furto, in la-voro nero, visto che sono per-sone tra le più sfruttate e po-chissimi si mettono in regola.Stare in Italia in quelle condi-zioni per loro significa spende-re poco di quello che guada-gnano e inviare il denaro in Ro-mania per costruire case.Intenzione degli sgomberi sa-rebbe rimandarli in Romania?Sì. Ma là non hanno aiuti da

Sopra, un’auto nel campoTriboniano.A destra, un rom davantialle macerie dell’abitazio-ne dove viveva, nel campodi via Bonfadini. “Hanno fatto uno sfregioa buttare giù tutto -sostiene - perché alla finea cosa è servito? Iorimango qui, ospite damia cognata. Avevo speso30mila euro per costruir-mi la casa. Comunque imiei figli vanno a scuolalo stesso, non facciocome altri che non man-dano più i bambini a scuo-la dopo che gli hanno but-tato giù la casa”

Una rielaborazione della mappa comunale della Polizia loca-le: vengono segnalati tre tipi di insedimento degli zingari, tracui i 12 campi autorizzati (con l’indicazione dell’indirizzo)

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ABITANTI SENZA QUARTIERE

Da uno spiazzoabbandonato aimarg in i de lcampo la pano-ramica è simbo-lica. Dietro le te-

gole di una cascina diroccata,al di là del muro che segna il li-mite dell’insediamento zinga-ro, spunta la ciminiera fumosadi una fabbrica. Più a destraemerge dalla foschia un grap-polo di parabole: la torre di Me-diaset. L’orizzonte della metro-poli stride con la terra dellospiazzo, beccata da galline ne-re che zampettano nei detriti.Anatre bianche si muovono ingruppo, mentre un pavone na-sconde in solitudine i coloridella sua bellezza piumata. Il panorama, insieme indu-striale e agreste, è triste e affa-scinante.Ideato dal Comune nel 1989, ilcampo di via Idro è come unisolotto nella città, circondatoda un lato dal naviglio Martesa-na e dall’altro dal fiume Lam-bro, al di là del quale scorre latangenziale est. Tra roulotte,camper e case in muraturacondonate per stato di necessi-tà, qui vivono quasi duecentopersone, sinti e rom harvati(gruppo etnico di origine croa-ta). Sono tutti cittadini italiani.Dentro la casa di Marco e Fran-ca la legna scoppietta nel cami-no. La cucina e la sala sonograndi, più che dignitosi. Spaziche comunque non chiarisco-no, a un gagio, come si possastare in quindici: quattro gene-razioni di un intero nucleo fa-migliare.Marco lavora all’Amsa (l’azien-da per la raccolta dei rifiuti) eFranca fa la mediatrice cultu-rale per i bambini che vanno ascuola. Sembrano la classicacoppia ormai non più giovaneche pur battibeccando si ama

profondamente. Spiegano checon un mutuo hanno compra-to una cascina a Mezzana Bigli,un paesino nel pavese accantoal Po. Lontano dalla metropoli.“La popolazione dice che nonci integreremo mai, ma comefacciamo se stiamo qui nelcampo?”, si chiede Marco. “Anoi piace stare all’aperto, tene-re gli animali - prosegue Fran-ca - e per stare in un palazzo midovrebbero sparare”. “Uno cheè nato in un campo - aggiungesuo marito - come fa ad abi-tuarsi a una casa popolare?”.Questa famiglia brama per an-darsene da qui. Ma la cascinanel pavese è tutta da ristruttu-rare, e non possono trasferirsise prima non trovano lavoro inquella zona. Intanto il campo ètra quelli che il Comune chiu-derà entro l’anno: diventeràun’area di sosta temporanea. Marco e Franca non sanno qualè il piano dell’amministrazio-ne, se saranno spostati in con-dominio o se ci sarà un aiutoperché possano trovare lavorodalle parti di Mezzana e siste-mare la cascina. “Abbiamo unpo’ paura - confessa Franca -perché fuori dal campo è comese non riuscissimo a vivere.Comprando la cascina abbia-mo fatto un grande passo”.Giovanni, uno degli operatorisociali, mi porta a fare altre vi-site. Senza un accompagnatoresarebbe difficile riuscire a par-lare con i rom: i giornalisti nonsono visti bene. Qui al campoc’è un Centro polifunzionale,una grande struttura che do-vrebbe servire soprattutto aibambini. Inutilizzata perchégelida: finita la cisterna del ga-solio nessuno l’ha più riempi-ta. L’anno scorso giornalisti diuna tivù locale hanno filmato ilCentro e l’hanno presentatocome la villa di uno zingaro. Si

era in campagna elettorale.Incontriamo Giordano in mez-zo allo spiazzo dove stanno lesue due roulotte, a 50 metri dal-la casa di Marco e Franca; maper il degrado che c’è in questapiazzola non sembra di trovar-si nello stesso campo. Giordano è seduto vicino alfuoco. Ha quattro figli. La pic-cola Martina è al suo fianco,impegnata a impastare polen-ta su un tavolino, mentre intor-no le galline beccano la farinagialla in terra. “Qui ci sono sololadri e galera”, dice Giordano,che dalla galera è uscito da nonmolto. “Se mi danno la casa po-polare altroché ci vado. Qui imiei figli che futuro hanno?Questa non è vita, all’apertonon si sta bene”.Le sue figlie adolescenti seguo-no corsi di parrucchiera e sar-toria, mentre l’unico maschiosta andando a scuola e abita alCentro ambrosiano di solida-rietà, al Parco Lambro. “L’hodovuto dare a don Massimo”,dice Giordano, facendo inten-dere che qui stava prendendouna brutta strada. Gli abitanti del campo - spiegaGiovanni mentre lasciamo lapiazzola - sono divisi a metà,tra chi vive onestamente e chi siarrangia. E la vita in via Idro è li-tigiosa. Osservando i bagni co-muni si capisce perché i bam-bini - come raccontava Franca- fanno la doccia a scuola e gliadulti si lavano scaldando l’ac-qua nelle pentole. I bagni sonotutti rotti: ai litigi si aggiungel’incuria per i beni della comu-nità. In un’altra piazzola una signo-ra dai capelli neri e gli occhichiari sta accendendo il fuocodavanti alla sua casa in mura-tura. “Io in un palazzo non ciandrei, sarebbe come andarein carcere”, dice. Una delle fi-glie ribalta la domanda con du-rezza: “Tu che sei abituato a unappartamento verresti a viverenel campo? No. Per noi è la stes-sa cosa”. “Ci devono agevolarenel lavoro - propone la signora- mentre adesso mio maritopuò solo raccogliere il ferro efare qualche trasloco. Noi nonce l’abbiamo con i rom del Tri-boniano, sono esseri umanianche loro. Però vengono piùaiutati di noi che siamo italiani.Se mio marito avesse un buonlavoro io prenderei una cascinae coltiverei fiori. Accanto allacasa - racconta la signora - ave-vo la serra e vendevo primule,viole, gerani, begonie. Potevofare la spesa e mettere via qual-cosa. Poi l’hanno abbattutaperché non era in regola, avevocostruito la serra anche col ce-mento”.Uscendo dal campo si ha lasensazione che qui, a stridere,non siano solo il cielo delle ci-miniere e la terra beccata dal-le galline.

L’isolotto degli zingarie il miraggio del lavoro all’orizzonte

Gli abitanti del campo Idro attendono la chiusura

Sopra, uno scorciodal campo Idro, tral’orizzonte della metropolie la terra beccata dalle galline.A destra il signor Giordanosi scalda al fuocoinsieme alla figlia

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Maurizio Paga-ni è il vice-p re s i den t ed e l l 'Ope r anomadi mi-lanese. A suo

parere, dagli anni '90 le ammi-nistrazioni comunali hannopreferito rispondere all'afflus-so di rom con gli sgomberi,piuttosto che con piani di inse-rimento sociale.Nel 2008 è scattata l'"emer-genza rom". Riconosce che cisono stati problemi?Con l'arrivo di rom rumeni apartire dal 2002 i disagi ci sonostati, ma legati alla mancanzadi strutture di accoglienza e diabitazioni. L'emergenza è sta-ta causata da questo. Si sonoquindi create forti concentra-zioni di persone che non sape-vano dove andare. Indubbia-mente ci sono stati fenomeni dicriminalità, che hanno ancheriguardato questioni primanon ascrivibili all'universozingaro: lo sfruttamento dellaprostituzione femminile e mi-norile. La risposta del Comuneè stata la costruzione di un gi-gantesco insediamento cheMilano non aveva mai vistoprima, 700-800 persone chesono andate a vivere in ungrande slum urbano. In più c'èstata un'espulsione continuadi altrettante persone. E illega-le: le espulsioni dovevano esse-re fatte solo in forma indivi-duale, cioè perché una personacommetteva un particolarereato, invece avvenivano informa collettiva, e infatti ci fuuna condanna europea. Laparte di rom immigrata negliultimi anni si è trovata dentrouno scenario ampio di assenzadi politiche pubbliche. Sonostati gli sgomberi la politicapubblica di Milano da 20 anni aquesta parte: prima erano ri-volti ai rom della ex Jugoslavia,poi soprattutto ai rom rumeni.Come avviene uno sgombero?In via Lorenteggio ce n'è statouno a inizio febbraio. Un grup-po famigliare di circa 30 perso-ne abitava in una zona verde aridosso delle case popolari.Stava lì da più di un anno, la si-tuazione era risaputa. Il pome-riggio precedente la Polizia diStato era andata lì a dire: o ve neandate o domani veniamo e ol-tre a buttar giù tutto quanto viportiamo via i bambini. Ci sonoanche minacce di questo tipo.L'indomani sono tornati e han-no abbattuto tutto quanto, lepersone si sono ritrovate perstrada, con parecchi bambini.Non c'è stato nessun interven-to di sostegno da parte dei ser-vizi sociali, nessuna alternati-va almeno temporanea. Cosìavviene normalmente. Polizia e Comune dicono cheviene offerta ospitalità al dor-mitorio pubblico.Mentono sapendo di mentire.

Quando questa offerta vienefatta, nella stragrande maggio-ranza dei casi o i posti non ci so-no proprio, o a una richiesta didecine di persone i posti dispo-nibili sono una manciata. Equesto indipendentementedal fatto che molti comunquenon accetterebbero perché l'o-spitalità viene data solo a don-ne e bambini, e così la famiglianon starebbe più insieme. Nonmi sembra un dato marginale.E allora dopo uno sgomberodove vanno queste persone?Spesso qualcuno ospita i romper alcuni giorni, dopodichénormalmente le persone si ri-posizionano, se non nello stes-so posto, nelle immediate vici-nanze. Qualcuno raggiunge in-vece altri parenti che stannonelle stessa condizioni, ma inaltre parti della città. La que-stione quindi si ripropone, so-no i numeri stessi a confermar-lo, altrimenti il vicesindaco[Riccardo De Corato, con dele-ga alla sicurezza, ndr] non sivanterebbe di avere fatto due-cento sgomberi. Questo dimo-stra esattamente l'inefficaciadell'intervento, non il fatto cheabbia successo.È d’accordo con la chiusuradei campi? Il motivo per cui si vuole chiu-dere i campi non è per favorirel'integrazione, ma perché sivuole far sparire gli zingari dal-la percezione pubblica. I cam-pi di per sé non sono né un ma-le né un bene, ci sono tante si-tuazioni sia in Italia che in Eu-ropa dove gli zingari, pur incontesti abitativi, stanno peg-gio che in un campo. Ciò che fala differenza è la mancanza dipolitiche sociali: uno nasce ecresce nel campo senza avere lapossibilità di determinare la

propria vita in altro modo. As-sistiamo solo al tentativo, chesta avendo successo, di disfarsipubblicamente di un pezzo dipopolazione invisa, e in molticasi di liberare sbrigativamen-te quelle zone che sono desti-nate a trasformazioni pubbli-che oppure servono a opera-zioni speculative degli immo-biliaristi milanesi. I campi invia Triboniano e via Novara so-no aree interessate da opere di-rettamente connesse con l'Ex-po. C'è una scansione tempo-rale che lo dimostra: fino a unanno e mezzo fa l'amministra-zione portava Triboniano co-me esempio di politiche pub-bliche, poi è stata dato l'an-nuncio di un finanziamento diun milione di euro perché quelcampo diventasse di caratteresemiresidenziale. Nel giro dipochi mesi, hanno iniziato adire che il campo era diventatoingestibile e che bisognavachiuderlo. Immediatamentedopo, a questo si è associata lanotizia che quell'area era inte-ressata dall'Expo.Non riconosce almeno che lagiunta di Letizia Moratti ha at-trezzato il Triboniano , ponen-do fine a una situazione di de-grado assoluto del campo?Ma la Moratti ha semplicemen-te portato a compimento quel-lo che Albertini [Gabriele, sin-daco per due mandati con ilcentro-destra, ndr] aveva do-vuto fare nella sua ultima fasedi amministrazione. I lavoriper attrezzare il campo eranogià partiti, la Moratti li ha con-clusi. Io ricordo la campagnaelettorale della Moratti: eranomolti gli spot dichiaratamentecontrari a qualunque forma disostegno nei confronti dellecomunità zingare.

Una visita del dott.Daniele Nani nell’ambulatorio del campo

“Gli sgomberi unicapolitica comunale”

L’Opera nomadi boccia la chiusura dei campi

Maurizio Pagani: “Si vuole far sparire i rom dalla percezione pubblica”

In alto, musica ecanti nellaprocessionedi un matrimonio (foto diPaolo Poce)

I medici: al Triboniano carie, diabete e depressione La situazione sanitaria del

campo Triboniano, sep-pure i problemi non man-

cano, non è allarmante comeforse si sarebbe tentati a pensa-re. A dirlo sono i dottori deiMedici volontari italiani, unaonlus che nel campo gestisceun ambulatorio. Certo la situa-zione nelle baraccopoli è di-versa: lì, come spiega il presi-dente dell’associazione Fau-stino Boioli, “le condizioni abi-tative sono devastanti”. A met-terci una pezza è un’altra orga-nizzazione: il Naga, che haun’equipe per la “Medicina distrada”.Tornando al Triboniano, spie-gano la situazione i dottori Da-niele Nani e Annamaria Nardi-ni. Quest’ultima, pediatra inpensione, ha smesso di andarenel campo a settembre, non so-lo per motivi di salute: “Lì è un

piccolo mondo, si trova di tut-to. Sono affezionata a loro, madopo un po’ si perde la motiva-zione, perché molti ne appro-fittano e alcune volte sono sta-ta trattata male”. Per quanto ri-guarda i bambini, la dottoressadice che “sono protettissimi,perché i rom hanno un affettoparticolare per loro, sono puli-ti e curati. L’unico problemadei bambini, come per gli adul-ti, sono le carie, perché un den-tista al campo non c'è, e non cisono pronti soccorso dentisti-ci”. Gli abitanti del campo uti-lizzano molto il pronto soccor-so: hanno assegnato il medicodi base, ma per lo più non civanno, sia perchè non ne han-no mai avuto l’abitudine, siaperché nello studio del medicosi creano situazioni di disagio(ad esempio rom che non ri-spettano la fila, o donne che

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Sotto,una stradadel campoin viaNovara

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“Bi s o g n aavere fi-d u c i a ,credere inquesto la-voro. Ven-

t’anni fa i bambini venivanoaddirittura portati fuori dallaclasse perché si pensava chenon si potesse riuscire a farlistare seduti”. A parlare è l’inse-gnante di una scuola elemen-tare che da molto tempo ha trai suoi alunni piccoli rom. Se “una volta c’era solo assi-stenzialismo, sette anni fa ab-biamo iniziato un percorso checi ha fatto fare passi da gigante.I problemi li abbiamo vissutinel passato, oggi grazie allemediatrici culturali - spiega lamaestra - i genitori dei bambi-ni hanno capito che la scuolapuò essere un miglioramentoper il futuro. I casi in cui abbia-mo difficoltà stanno diventan-do sempre più sporadici”.La prima tappa che è stata rag-giunta è la frequenza piena deibambini che abitano nel cam-po vicino alla scuola, dice l’in-segnante: “Abbiamo conqui-stato questo obiettivo con unmonitoraggio quotidiano dellepresenze e un lavoro di sensibi-lizzazione. I primi tempi siamoandati nel campo a prendere leiscrizioni, adesso sono loro chevengono qui a portare le sche-de”. Le famiglie hanno iniziatoa collaborare quando hannocapito che da parte della scuo-la c’era un impegno continua-to: “Abbiamo dato aiuto, anchemateriale - spiega la maestra -per far sì che i bambini parteci-passero a tutte le attività, perfarli sentire uguali agli altri.Questo tra i bambini è fonda-mentale. E così, anno dopo an-no, si è creata una fiducia reci-proca”.Il lavoro con i piccoli rom, però,non è finito: “Stiamo puntandosulla scuola materna - dice l’in-segnante - perché i bambiniche prima di entrare alle ele-mentari hanno già cominciatoun percorso scolastico, grazieall’aiuto delle mediatrici cultu-rali, non hanno quasi difficoltàdi apprendimento quando ar-rivano da noi. Inoltre bisognamigliorare la situazione allemedie, dove ancora ci sonotanti problemi e i professorihanno un approccio alla que-stione diverso dal nostro”. Ci sono poi altre preoccupazio-ni. Questi alunni abitano inuno dei quattro campi che ver-rà chiuso: “Se andranno ad abi-tare lontano da qui - sostienel’insegnante - cambierannoscuola e il cammino che abbia-mo fatto verrà interrotto. Do-vranno ricominciare da capo,bambini e genitori: il rapportodi fiducia, ciò che serve con lo-ro, non si costruisce da un mo-mento all’altro”.E la fiducia, insieme alla com-petenza e alla passione, hannodato finalmente buoni frutti.La maestra racconta con vocegioiosa: “L’anno scorso una in-segnante ha scritto nella sche-da di valutazione di una bam-bina rom che lei è il fiore all’oc-chiello della classe”.

“Abbiamo fattopassi da giganteSe i bambini si allontananoil nostro lavoroverrà interrotto”

L’insegnante

Tommaso Vitale, so-ciologo e docenteall’università Bi-cocca di Milano, faparte del TavoloRom, una “rete” che

unisce varie associazioni e cer-ca di porsi come interlocutoredel Comune.Professor Vitale, qual è la pro-posta del Tavolo Rom?Bisogna superare totalmente ilmodello campo attraverso l’of-ferta di una molteplicità distrumenti. L’inserimento abi-tativo può avvenire nel merca-to privato o nell’edilizia pub-blica, oppure ci possono essereformule di autocostruzione oristrutturazioni di cascinali. Laquestione fondamentale è chenon bisogna forzare le personead uscire dal campo con ununico strumento, qualunqueesso sia. Ciò può essere anzicontroproducente. Bisognaverificare famiglia per famigliaquale può essere la soluzionepiù adatta dal punto di vistaeconomico e culturale. I romnon sono tutti uguali, non sonoun unico popolo. Ogni gruppoha la sua forma sociale: sonoestremamente differenti perlingua, religione, cultura, abili-tà professionali. Lo strumentoadeguato per alcuni può essereun fallimento per altri. Di cosa c’è bisogno?È necessario costituire un’a-genzia pubblica, la cui regia siadel Comune, che lavori con ilterzo settore per elaborare per-corsi personalizzati. Questa èla nostra proposta. Il Comune cosa dice?L’amministrazione non ha vo-luto confrontarsi con nessunadelle organizzazioni, finora cisono state soltanto chiusure ri-spetto a una posizione mode-

rata delle associazioni. Anzi cisono state prese di distanzamolto dure da parte di alcuniassessori nei confronti delmondo cattolico. Qual è il progetto del Comune?Un piano di sistemazione abi-tativa non si è visto, non è statochiarito a nessuno né neglistrumenti, né negli obiettivi,né nella parte economica. Pos-so solo denunciare che è moltourgente ragionare in manierapragmatica e documentata. Vale a dire?Credo che semplicemente sidebba guardare a cosa hannofatto altre amministrazioni.Venezia ha sistemato in un an-no più di mille rom. Ma non bi-sogna pensare che ci sianoesempi da seguire in assoluto,perché ogni contesto ha carat-teristiche proprie: Milano, adifferenza di altre città, ha tuttii diversi gruppi di rom. Non sipuò prendere un modello e ap-plicarlo qui. L’importante è ca-pire che nelle esperienze ri-uscite è emerso un metodo.Bergamo dal 2003 al 2005 ha si-stemato 400 persone, prove-nienti dai Balcani, che sonopassate dai campi all’ediliziapopolare, e in minor parte inquella privata. Il tasso di suc-cesso, cioè famiglie che riesco-no a pagare interamente l’affit-to in autonomia, è superiore al70 per cento. Questo è avvenu-to perché quei rom abitavanogià, nei loro paesi d’origine, incase popolari. Ciò è possibilesolo nei piccoli numeri, a Mila-no non si potrebbero collocaretutti i rom nell’edilizia popola-re. Non c’è una soluzione gene-ralizzabile a tutti gli zingari.Ci sono altri esperimenti inLombardia ?L’esperienza di Mantova è mol-

to interessante. È tutta basatasulla proprietà privata, perchéper i sinti e i rom a cui si rivolgeè molto importante il concettodi proprietà. Qui la questione èfavorire il microcredito per po-tere acquistare piccole areesulle quali andare a vivere co-me famiglia allargata, trenta-cinque persone al massimo.Poi è necessario l’inserimentolavorativo per guadagnarsi laproprietà del terreno.Il Comune di Mantova comeha lavorato?C’è un ufficio che incontra lefamiglie, parla con gli operato-ri sociali, trova una mediazio-ne con il quartiere, si occupadell’inserimento lavorativo. Ilprogetto è ancora in corso, al-cune aree sono già state acqui-state dai rom dieci anni fa, altresono solo edificate. Ora si stadismettendo l’ultimo campo.Una politica diversa dunqueesiste, e non da poco tempo.A partire dalla stagione di mi-grazioni rom durante la guerranell’ex Jugoslavia, alcune cittàhanno subito una pressionemigratoria più forte. Per risol-vere la questione sono stateprese strade diverse. Milano èstata una delle città che più haeffettuato sgomberi e ha indi-cato questi gruppi come la cau-sa di tutti i mali. Ma dal ’95 inpoi, Mantova, Bergamo, Bolo-gna, Padova, Venezia, e poi tan-ti piccoli comuni, hanno capi-to che il modello del camponon era sostenibile, perché coni servizi sociali hanno guardatoin faccia queste persone e par-lato con loro. Bisogna elimina-re i fattori di discriminazione efavorire i processi di conoscen-za e di inserimento sulle que-stioni fondamentali: casa,scuola e lavoro.

I problemi sono vecchi,la ricetta è antica:scuola, casa e lavoro

Le proposte del sociologo Tommaso Vitale

Sopra, unabaracca trauna roulottee un’abitazio-ne in legno alcampo Idro.Alcune fami-glie (in bassoa destra)hanno invececostruito la casa in muratura e curano il giardino

I medici: al Triboniano carie, diabete e depressione stringono la borsetta). Alcunimedici cercano di risolvere ilproblema dedicando giorniparticolari alle visite dei rom.Il dottor Daniele Nani, che la-vora come anestesista e va alcampo un paio di volte al mese,racconta che gli abitanti delTriboniano “mangiano male,bevono, fumano in maniera in-demoniata sin da giovanissimi.È pieno di persone che hanno ildiabete scompensato. Servi-rebbe un progetto educativo,ma noi medici siamo troppopochi, solo tre. Nel campo -prosegue il dottore - ci sonoproblemi psichiatrici, attacchidi panico e depressione. Nesoffrono molto le donne. GiàMilano è una città che può es-sere triste, e i rom si deprimonoancora di più perché là dentronon hanno accesso alla bellez-za. Le donne quindi si lasciano

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ABITANTI SENZA QUARTIERE

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ABITANTI SENZA QUARTIERE

“Il sindaco Leti-zia Moratti miha nominatoassessore il 23giugno 2006 di-cendomi: “Ma-

riolina mi raccomando, gli an-ziani e i rom”. Il 19 luglio sonoandata a vedere Triboniano.Quando sono uscita da quelcampo ho detto agli operatorisociali: noi li aiutiamo, ma lorodevono mettersi in gioco”.Mariolina Moioli (Udc) è asses-sore alla Famiglia, scuola e po-litiche sociali del Comune diMilano. Nonostante un forteraffreddore si infiamma ed alzala voce quando le vengono ri-portate voci critiche sul suooperato: “chiacchiera” chi so-stiene che gli sgomberi lascia-no in mezzo alla strada le fami-glie rom, “è una che scrive enon sa niente” Anna Rita Cala-brò - docente di sociologia al-l’università di Pavia - che sichiede perché esista il campoTriboniano nonostante “tutti[…] sostengono che i grandi in-sediamenti sono solo fonte didegrado e deriva delinquen-ziale” (Zingari. Storia di un’e-mergenza annunciata, p.258ed. Liguori 2008 ).Ed è proprio sul campo Tribo-niano che verte subito il discor-so della Moioli.Assessore, come definisce la

Il 7 dicembre 2009, nel tradizionale “discorso alla città”della vigilia di sant’Ambrogio (patrono di Milano) il cardi-nale Dionigi Tettamanzi, riferendosi allo sgombero delnovembre scorso di un insediamento rom in viaRubattino, ha affermato che “la risposta della città edelle istituzioni alla presenza dei rom non può esserel’azione di forza, senza alternative e prospettive, senzafinalità costruttive. […] Non possiamo, per il bene ditutta la città, assumerci la responsabilità di distruggereogni volta la tela del dialogo e dell’accoglienza nellalegalità che pazientemente alcuni vogliono tessere”.Oltre che dal centro della curia milanese, anche dallaperiferia si alza la voce di un sacerdote, che all’inizio difebbraio ha inviato una lettera a Gianfranco Fini, peraderire a un appello - recentemente rinnovato - che ilGruppo Everyone (associazione per la difesa dei dirittiumani) aveva rivolto l’anno scorso al presidente dellaCamera, durante un incontro istituzionale. Scrive ilsacerdote: “Mi chiamo don Matteo Panzeri; ho 33 annie svolgo il mio servizio presso la parrocchia di S. Elena,in zona S. Siro. Da anni mi occupo, per dovere dicoscienza, dell'assistenza alla esigua popolazione romche vive nel territorio comunale […] La prego, La implo-ro, da testimone di troppe lacrime: difenda almeno Lei,come coraggiosamente si impegnò a fare, questi senza-diritti”.

LE PAROLE DELLA CHIESA

prefetto [Gian Valerio Lombar-di, commissario per l’ “emer-genza rom” dal maggio 2008,ndr]. Le persone che hanno giàuna casa di loro proprietà le al-lontaniamo e vanno ad abitarenelle loro case. Le persone chehanno condanne definitivenon possono stare nel campo,quindi le allontaniamo dandoloro tempo per trovarsi una si-stemazione. Le famiglie che in-vece hanno già qualcuno chelavora, le accompagniamo inun percorso di integrazione.Gli diciamo: “guardati attorno,devi trovare una casa per anda-re in affitto”.Gli operatori sociali e gli stessirom non conoscono il percor-so di integrazione di cui leiparla.No, mi dispiace ma io sotto-scritta sono andata in assem-blea con loro e appena il pro-getto è stato approvato ho det-to a tutti: “vi ricordate l’incon-tro di tre anni fa? Vi avevo pro-messo acqua, fogne, luce,scuola, mediatrici culturali,ma vi avevo avvertito: verrà unmomento in cui da qui andretevia tutti, quindi correte ai ripa-ri”.Mi hanno detto tutti bugie?Sì. Sono bugiardi eh.Anche la Caritas e la Casa del-la Carità, siccome dicono chenon si sa quando il Tribonianoverrà chiuso e perciò le fami-glie vivono nell’incertezza?No, figurarsi se dico che questeassociazioni sono bugiarde, bi-sogna fargli un monumento.Ognuno di questi campi ha unpresidio sociale che si siede altavolo con me e che progettacon me. Lo sanno loro megliodi me quali sono le famiglie chedevo integrare e quali se ne de-vono andare. Ed entro la finedell’anno Triboniano lo dob-biamo svuotare.Una data precisa però non c’è.Entro fine anno, entro il 31/12.Ma lo capisce quello che dico?Capirà che una famiglia do-vrebbe sapere se andrà via dalcampo tra un mese o a novem-bre, per organizzarsi e proget-tare il futuro.Intanto i bambini finisconol’anno scolastico, e nel frat-tempo si pensa al percorso diintegrazione. Io li ho già avvisa-ti tutti. E scriverò una letteraprecisa a tutti. Tutti sanno per-fettamente. Quando li ho in-contrati l’ultima volta nessunomi ha detto “per noi è una sor-presa”. Poi capisco bene chequesta è una sfida grandissi-ma. Ma per le famiglie che fan-no un percorso di integrazionec’è il nostro accompagnamen-to. Insomma c’è un termine, mauna data precisa no.Ma io la data precisa l’ho con-dizionata dal fatto che questifanno ricorso, e devo aspettarequello che dice il Tar. Uno che èlì, che non lavora, ha sotto per-sone che faticano per lui e cosìguadagna un sacco di soldi, se-condo lei viene via volentieri?Le norme non ci favoriscono.Si farà attenzione perché ibambini dei campi che stannoandando a scuola vadano adabitare nelle vicinanze dellastessa scuola?

politica di Milano per i rom? È una politica di accoglienza elegalità: accogliamo tutte quel-le persone che si pongono al-l’interno delle regole. Quandosiamo arrivati nel 2006 abbia-mo trovato una situazionemolto pesante, che si è aggra-vata con l’ingresso della Roma-nia nell’Unione europea. Allo-ra abbiamo attrezzato il Tribo-niano, che era in condizioni in-degne, spendendo un milionee mezzo di euro. Il ragiona-mento è stato: diamo un tettocon i container, acqua, fogne,luce e scuola. Il passaggio suc-cessivo è lavoro e casa, non nelcampo.Che infatti verrà chiuso.Assolutamente, entro la finedell’anno, insieme a quelli divia Novara, Bonfadini e Idro. Diquest’ultimo faremo un campososta temporaneo. Adesso pro-viamo con questi quattro, se ilprogetto funziona procediamocon gli altri.È il riconoscimento che il “mo-dello campo” è sbagliato?Il modello campo è sempresbagliato. Ma dove le mettevoio le persone del Triboniano? Inuna situazione di emergenzaabbiamo dato un minimo di di-gnità. Allora il piano qual è?C’è un regolamento del com-missario straordinario che è il

La cosa più importante è che iloro genitori lavorino e che ab-biano una casa. Che poi vada-no a scuola qui o a scuola là noncambia assolutamente nulla.Abbiamo le mediatrici cultura-li, se cambiano scuola che pro-blema c’è? Si aiutano. Il ministero dell’Interno a set-tembre ha stanziato 13 milionidi euro per i rom. Quanti ver-ranno utilizzati per l’inclusio-ne sociale, rispetto a quelli perla gestione della sicurezza? Siparla di 2 o 3 milioni.C’è un progetto di massimasulla quale sono state date le ri-sorse. Per la cifra si tratta di al-cuni milioni. La minima parte.E beh, certo. Quando si abbatteuna casa che è stata abbando-nata, per evitare che ci vadadentro altra gente, si hannodelle spese. Il cardinale Dionigi Tettaman-zi nel dicembre scorso ha criti-cato l’operato del Comune[vedi box in basso]. Lei che ècattolica (l’assessore aggiun-ge: “anche praticante”) e faparte del Comitato contro ladiscriminazione e l’antisemi-tismo del ministero dell’Inter-no, come vive queste accuserivolte al Comune?Non credo che l’arcivescovo in-tendesse accusare l’ammini-strazione. Mi sento assoluta-mente in sintonia con quelloche dice il cardinale. Io alledonne, oltre che ai bambini, of-fro possibilità di ricovero, e lelibero dalla schiavitù maschile.È per questo che non voglio icampi, si creano situazioni didisagio. Laddove la donna nonè libera ed è fortemente condi-zionata dall'uomo che la usa esfrutta, ecco che queste donnesi trovano a metà strada tra noiche le vogliamo aiutare a inte-

“Tutti conoscono il nostro piano”Mariolina Moioli respinge le critiche: le famiglie che si vogliono integrare saranno aiutate

Il progetto per la chiusura dei campi rom: parla l’assessore alle Politiche sociali

grarsi e un sistema fortissimodi potere del maschio. Questo èun problema culturale gravis-simo, comporta un lavoro mol-to lungo, ed io non so se riusci-remo a fare quello che voglia-mo. La situazione è talmentecomplicata che il nostro pianonon accontenta nessuno. Ma lasfida va affrontata. E a me toc-ca operare con gli strumenti ela situazione che ho.Da quando si è insediata lagiunta Moratti ci sono stati al-meno duecento sgomberi.Certo non è lei a ordinarli.Ma non importa. Occorre farlarispettare la legge. Se sotto ca-sa sua si mettono tre famiglieche rubano, che sporcano equant’altro, vorrei vedere leicosa dice. Questi non lavorano,hanno la macchina, mandanole donne a elemosinare, nellamigliore delle ipotesi…io houn piano con la Moratti e lo ri-spetto. Il problema è che c’è unsistema consolidato che è statolasciato andare.Quindi accusa anche chi l’hapreceduta, le giunte di centro-destra di Gabriele Albertini.Certo, e lo faccio molto serena-mente. Lei si trova a dovere fare i con-ti con una campagna in certicasi discriminatoria nei con-fronti dei rom. Basti pensare achi indossa una maglietta conlo slogan “più rum meno rom”(il capogruppo in Comunedella Lega Nord Matteo Salvinialla festa delle Lega a Pontida,nel giugno 2009). Sarà difficileper lei lavorare con l’aria chetira.Sì. Ma io non ci bado. Ho diffi-coltà in tutti i sensi. Da una par-te questi qua, dall’altra quelliche difendono i rom a spadatratta. In mezzo c’è chi tenta dirisolvere i problemi.

Sopra,MariolinaMoioili.Qui a fiancouna foto diPaolo Pocedurante losgomberoin viaRubattino

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