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28 .Società .LA STAMPADOMENICA 25 SETTEMBRE 2016

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Lei è direttrice e unodei  fondatori  delCentro  Primo  LeviNew York. Qual è  ilruolo del centro?«Il Centro, nato nel

1998, promuove il dibattito sulle que-stioni sollevate da Primo Levi e la co-noscenza dell’ebraismo italiano inAmerica. Siamo molto fortunati adavere nel consiglio direttivo StellaLevi che mette continuamente in di-scussione il significato delle attivitàe ha instillato un senso profondo del-le tradizioni ebraiche italiane e se-fardite, la riflessione sull’Americadal punto di vista dello straniero, suivalori della convivenza e di quel cheoggi rimane di Auschwitz».

Quali sono le vostre attività?«Organizziamo conferenze, film e ta-vole rotonde, seminari e progetti diricerca. Quest’anno abbiamo anchecontribuito a un borsa di studio allaScuola Normale Superiore di Pisache speriamo di rinnovare. Abbiamoanche una rivista elettronica, unapiccola casa editrice, CPL Editions,e stiamo lavorando a una bibliotecadigitale di studi ebraici italiani».

Il Centro sembra avere successo… 

«Successo sì, con molti ostacoli e sfi-de. Siamo riusciti a creare uno spaziodove persone di campi diversi dalle scienze umane, al diritto, alla scienza,trovano un terreno comune per parla-re di questioni etiche e sociali».

E la pubblicazione delle opere completedi Primo Levi?

«La Liveright-Norton ha intrapresoquesto straordinario progetto più di15 anni fa per dare al pubblico inglesela possibilità di apprezzare gli scrittidi Primo Levi nel loro insieme. A unanno dalla pubblicazione, lo abbiamopresentato ieri al National Book Festi-val a Washington e credo abbia cam-biato profondamente il modo in cui silegge Levi in America. Abbiamo coin-volto il Centro Internazionale di StudiPrimo Levi a Torino. Sono loro i “filo-logi” di Levi e grazie a loro l’opera èuscita con un apparato di strumentidi lettura».

Oggi Primo Levi è assai noto in America.«Certo più di vent’anni fa. È un’impor-tante voce alternativa in un momentodi crisi del discorso sulla Shoah. Leviha parlato dei fascismi e dello stermi-nio come fatto storico-politico e comeesperienza umana. I suoi lettori, inogni lingua, riconoscono l’importanzadella riflessione sull’uomo e sulla rela-zione tra individuo e potere. Il modo incui Levi pensa allo sterminio, storico euniversale al tempo stesso, è molto di-verso dalla prevalente narrativa percui l’Olocausto (il termine ufficiale inAmerica che a Levi non piaceva) di-venta o una questione “etnica” o uncontenitore generale di qualunquepersecuzione».

Presentate anche  il  libro Venezia, gliEbrei e l’Europa. Come l’avete scelto?

«Venezia rappresenta un capitolo im-portante nella storia degli ebrei in Ita-lia e la mostra sui 500 anni del ghettoha dato il via a dibattiti rivelatori dellesfide dell’ebraismo contemporaneo inItalia e non solo. Ci ha fatto molto pia-cere poter sostenere Marsilio in que-sta avventura americana e ospitare laprofessoressa Donatella Calabi, cheha curato la mostra e il libro. Il pubbli-co si è mostrato molto ricettivo».

Qual è il ruolo di Primo Levi per la vostraorganizzazione?

«Gli scritti di Primo Levi, il suo inte-resse per la storia, per le questioni le-

gate alla libertà individuale e alle rela-zioni col potere, la sua curiosità e il suoamore per la storia ebraica, piemonte-se, italiana o di altri luoghi, la sua pre-occupazione di come la memoria e lastoria funzionano in relazione reci-proca al livello sociale, e molte altrequestioni da lui sollevate sono il cuoree l’ispirazione del nostro lavoro».

L’antisemitismo è uno dei vostri temi dilavoro?

«Certo. La difficoltà è farlo rimanereun oggetto di riflessione e non un filtroattraverso cui leggere il mondo».

Esiste una comunità di ebrei italiani ne­gli Stati Uniti?

«In America qualunque gruppo ha bi-sogno di definizioni semplici e visibili.Questo è difficile con l’ebraismo italia-no perché è una realtà complessa e didimensioni molto piccole e nessuno hamai creato una sinagoga italiana. Ep-pure l’ebraismo italiano rimane unarealtà storica e culturale profonda-mente diversa da quello americano.Non solo per l’unicità della liturgia edelle usanze ma per come ha formatola sua visione del mondo e le dinami-che di interazione sociale nel corso deisecoli. Con il Centro ci siamo permessiil lusso di fare tutto il possibile per farvivere quelle differenze almeno al li-vello culturale. Tanto tempo fa uno deinostri soci mi disse che il Centro avevacreato un tetto. Questa metafora mi toccò molto e la porto sempre con mecome una specie di amuleto».

Avete rapporti con le comunità ebrai­che in Italia?

«Uno dei nostri principali partners inItalia è il Cdec a Milano, il primo archi-vio e centro di ricerca sulla Shoah inItalia e sull’ebraismo italiano del No-vecento. Altri importanti referenti so-no appunto il Centro Internazionale diStudi Primo Levi a Torino, il MuseoEbraico di Roma, la Biblioteca RenatoMaestro a Venezia, il Museo Ebraicodi Trieste e la Fondazione per i BeniCulturali Ebraici. Penso sia importan-te valorizzare la natura regionale, mu-nicipale per essere precisi, dell’ebrai-smo italiano che ha mantenuto unastruttura decentrata fino al primotrentennio del Novecento. Questa plu-ralità di centri e le sue dinamiche sto-riche costituiscono un elemento di ri-flessione molto importante».

Domenicacon

Alain Elkann

Natalia Indrimi

“Abbiamo creatoun tetto per gli ebreiitaliani a New York”

Direttrice del Centro Primo Levi New York

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