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Un focus sui laureati di eccellenza

Introduzione di Fabrizio Martire Perché un focus sui laureati eccellenti? Arrivare alla laurea con un curriculum di esami di alto profilo significa aver investito molto nella formazione universitaria. Proprio per questo i "laureati di eccellenza" possono assumere una valenza strategica al fine di studiare il rapporto tra università e mondo del lavoro. E’ presumibile che, in quanto persone motivate a giocarsi fino in fondo la carta della loro formazione accademica, i laureati eccellenti in comunicazione possano essere considerati testimoni privilegiati delle opportunità che offre e delle difficoltà cui espone la laurea in Comunicazione. Per circoscrivere la categoria dei laureati di eccellenza abbiamo preferito fare riferimento al voto di ammissione piuttosto che al voto di laurea. In primo luogo, perché il bonus che si può ottenere in seduta di laurea può avere l’effetto di appiattire su una votazione alta percorsi di studio molto diversi tra loro. Realisticamente, si può prendere 110 e lode sia partendo da 106, sia da 109. Certo, anche la tesi fa parte del percorso di studio, ma – per individuare l’eccellenza – abbiamo preferito adottare criteri molto stringenti e quindi concentrarci sulle persone che hanno mantenuto un alto profilo durante l’intero percorso e non solo nella preparazione della tesi. Inoltre, se si considera il voto di laurea, quasi il 60% dei laureati ha avuto il massimo possibile in termini di voti e, restringendo a quelli che hanno avuto anche la lode, si scende al 47%. A livello statistico, quindi, prendere 110 e lode appare una cosa normale, ordinaria; mentre l’eccellenza è per definizione straordinaria. Abbiamo, pertanto, definito eccellenti i laureati che sono arrivati alla discussione della tesi con un voto di ammissione pari o superiore a 108. In virtù di questo criterio risultano eccellenti l’11,7% dei laureati di secondo livello del 2009 (43 su 368). L’incidenza degli eccellenti varia molto tra i diversi corsi di laurea magistrale; cumulando i dati del 2009 con quelli degli anni prossimi, sarà interessante capire se uno o più corsi di laurea si configurano in pianta stabile come luoghi dell’eccellenza, o se invece le incidenze degli eccellenti variano di anno in anno in maniera non sistematica. Abbiamo intervistato 20 dei 43 laureati eccellenti, ricorrendo alla tecnica dell’intervista in profondità. Nell’impianto della traccia di intervista, proprio perché abbiamo considerato gli eccellenti come testimoni, non ci siamo limitati solo ad includere domande utili per ricostruire le loro biografie. Oltre alle loro vicende personali, ci è parso cruciale delineare i climi di opinione che caratterizzano i contesti più o meno stretti in cui si muovono. Cominciando dai territori più vicini e quotidiani gli intervistati hanno ricostruito le aspettative delle persone con cui collaborano, evidenziato le qualità più valorizzate e ciò che invece sembra non importare, soprattutto in riferimento agli aspetti legati alla formazione universitaria. Inoltre, in base alle loro esperienze dirette, ma anche alle testimonianze di amici e colleghi, hanno indicato se nel mondo del lavoro c’è richiesta delle competenze in comunicazione e quali sono i principali concorrenti dei laureati in comunicazione (economisti, ingegneri gestionali, etc.). Ovviamente, l’obiettivo degli interrogativi posti non era finalizzato a delineare a livello macro-aggregato gli spazi delle professioni della comunicazione nel mercato, quanto piuttosto a fornirci un’idea dei micro-ambienti in cui i laureati in comunicazione muovono i primi passi nel mondo del lavoro. Abbiamo ipotizzato che i laureati eccellenti siano piuttosto sensibili a questi temi, incluso quello relativo all’immagine stereotipica di Comunicazione veicolata dai media. Concludo questa introduzione con un breve cenno alla situazione occupazione dei laureati di eccellenza. Molti lavorano (14 su 20), ma la precarietà è la regola: solo un intervistato ha un

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contratto a tempo indeterminato; prevalgono, in netta misura, contratti che durano meno di sei mesi. Ciò non stupisce: abbiamo intervistato persone ad un anno dalla laurea; un anno (il 2010) peraltro molto difficile in termini di sbocchi e opportunità occupazionali. Dando spessore cronologico e longitudinale all’approfondimento sui laureati eccellenti potrebbe essere interessante, intervistando le stesse persone a distanza di due e cinque anni, cogliere e ricostruire i flussi delle loro carriere, almeno nella fase di avvio. Ci sono però anche buone notizie: i laureati eccellenti con un’occupazione lavorano in settori attinenti alla comunicazione; sin dall’inizio, riescono ad entrare in contatto con un mondo lavorativo che promette, se non proprio stabilità e sicurezza economica, un certo grado di coerenza rispetto agli studi.

Gli eccellenti al “primo giro” di Christian Bonafede Abbiamo definito “primo giro” il periodo dei primi contatti e delle prime traiettorie d’ingresso nel mondo del lavoro. Non bisogna dimenticare che il 2009, cornice temporale delle nostre interviste, è l’annus horribilis della crisi economica e finanziaria, e ciò ha di sicuro aggravato le già difficili condizioni di entrata al mercato del lavoro che caratterizzano di norma il delicato passaggio di status da studente a lavoratore. Il “primo giro” si costituisce come area di confine o di trincea dove i neo-laureati ri-modellano, spesso cambiandone il senso, il proprio giudizio sulla formazione ricevuta e sulle aspettative di carriera futura, mutandone in questo ultimo caso la portata. Le conclusioni provvisorie che emergono dall’analisi delle interviste indicano proprio una riduzione delle aspirazioni in seguito alle difficoltà incontrate nel primo approccio con il mercato del lavoro; un calo ancora più preoccupante se si considera lo status di laureati eccellenti che contraddistingue i nostri intervistati.

Le considerazioni di Claudio, uno dei nostri intervistati1, esemplificano questo clima. Alla domanda sul lavoro ideale Luca risponde senza dubbio alcuno e con estrema decisione “Google!”; sentendo però, subito dopo, il bisogno di specificare che stava scherzando: “a parte gli scherzi…”; lasciando così intendere che Google non può che essere un sogno fuori dalla sua portata. Michela invece vorrebbe diventare un project manager, ma pensa di non avere chances perché, a suo avviso, quel lavoro “richiederebbe un altro tipo di formazione”.

Invitati a valutare la formazione ricevuta, gli eccellenti segnalano la carenza degli aspetti laboratoriali e delle competenze tecniche.

La testimonianza di Simone rappresenta in maniera efficace un’opinione diffusa tra i nostri intervistati: “Qui la facoltà di Comunicazione..., bella la facoltà ma strumenti tecnici non ti lascia proprio nulla [...] Nei colloqui quello che conta sono le esperienze tecniche, perché le chiacchiere stanno a zero, “che cosa hai fatto?” “che cosa sai fare?”.

Si tratta, a nostro avviso, di un effetto specifico del primo giro; i laureati sembrano far proprie in modo acritico le prospettive e le opinioni dei datori di lavoro con cui entrano in contatto, formulando giudizi ingenerosi anche nei confronti di quelle lauree che, manifesto degli studi alla mano, puntano molto sui laboratori e sulle competenze professionalizzanti.

1 Per garantire il diritto alla privacy degli intervistati le citazioni dalle interviste che riporterò nel testo saranno tutte attribuite a nomi di fantasia.

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La forza d’impatto, di imprinting, delle prime esperienze di lavoro per quanto attiene aspirazioni e auto-valutazioni del percorso formativo è dovuta in primis ad alcuni fattori di contesto che riguardano soprattutto le inefficienze sperimentate all’entrata del mercato del lavoro e gli stereotipi che assiepano il discorso pubblico sulle lauree di Comunicazione. Per quanto riguarda le “ristrettezze” del mondo del lavoro, dalle interviste affiorano difficoltà “in ingresso”. Come già accennato si tratta dell’anno forse più difficile della crisi, però ciò non ci impedisce di cogliere alcuni nodi problematici del mercato del lavoro che sembrano riguardare proprio i laureati in Comunicazione, almeno stando alle convinzioni degli intervistati. Gli ostacoli maggiori si riscontrano nella difficoltà a ottenere colloqui, nella proliferazione di stage, specie non retribuiti e senza possibilità di inserimento, e nella persistenza di settori di lavoro ad elevata opacità, dove, come dichiara Giorgio, “il mercato esiste per chi sta dentro, chi sta fuori non sa nemmeno dove sono le porte”. L’esperienza mortificante degli stage, quale soluzione stabile e non preparatoria, è un cruccio ricorrente nei racconti degli intervistati, che in maniera molto precisa ne indicano i limiti e la de-regolazione.

Ad esempio Sara racconta che prima di iniziare uno stage le hanno subito chiarito le condizioni, come per fugare qualsiasi ambiguità che avrebbe potuto dar luogo a speranze mal riposte: “lo stage non configura rapporto di lavoro, necessariamente finisce il 31 dicembre.” È significativa anche l’esperienza di Carla: “mi sono allontanata dal mondo delle Ong e della cooperazione internazionale, [...] la cosa più ingiusta e immorale che si possa fare, prendere ragazzi fino a 35 anni a fare stage non retribuiti...”

Il secondo vincolo contestuale messo a fuoco è rappresentato dagli stereotipi che accompagnano nell’opinione pubblica la considerazione nei confronti dei corsi di laurea in Comunicazione. Da questo punto di vista è interessante l’ipotesi suggerita dagli intervistati a proposito della genesi e della diffusione del pregiudizio sulle lauree in Scienze della Comunicazione. Secondo i laureati eccellenti è possibile collegare la scarsa reputazione del percorso di studi universitario affrontato a un semplice trinomio: umanistica, giovane (moderna) e di moda. Tre caratteristiche che possono essere interpretate secondo la prospettiva girardiana: l’attributo “umanistica” può essere tradotto, tenendo conto del clima culturale attuale, in “di minore valore”; “giovane” può essere sostituito da “indifesa”; “di moda” con “visibile”. In sintesi, Comunicazone assume a pieno il ruolo di capro espiatorio. Il riferimento a un’articolazione teorica complessa, quale quella sviluppata da René Girard, ha in questo caso lo scopo preciso di suggerire una altrettanto sofisticata rappresentazione relativa alle dinamiche e agli effetti del clima di opinione che affligge i nostri corsi di laurea e i nostri laureati. Eppure, superato lo scoglio del primo giro, i laureati eccellenti in comunicazione sembrano farsi valere. Infatti, un’apertura densa di prospettive ci viene dalla constatazione di un pieno e positivo giudizio da parte dei datori sulle performance lavorative dei laureati. Se verificate sul campo, le competenze e le capacità acquisite nel percorso universitario danno buoni risultati, come si apprende dalla valutazione dei datori e dei colleghi rispetto alle capacità dimostrate sul lavoro e dall’aumento delle responsabilità e dei compiti ricevuti dai neo-laureati. La testimonianza di Nicola invita all’ottimismo: “La scrittura dei progetti, che non è uno degli aspetti prima curati dall’azienda, mi è stato affidato senza sapere bene se potesse essere un ambito adatto alla mia preparazione, lo stiamo sviluppando insieme [...] da parte della azienda c’è grande aspettativa in me, grande investimento”.


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