Leopardi scienza e disincantamento

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Questo volume raccoglie testi del convegno"Leopardi e il pensiero scientifico"Roma, 14-15-16 maggio 1998

organizzato da:

COMUNE DI ROMAASSESSORATO ALLE POLITICHE CULTURALIAssessore: Gianni Borgna

DIPARTIMENTO CULTURADirettore: Giovanna Marinelli

UFFICIO CONVEGNI MOSTRE CONFERENZEResponsabile: Maria Ida GaetaOrganizzazione: Laura Boari, Maria Teresa Chiaranti,Stefano Di 1bmmaso, Giovanna Merli

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI "LA SAPIENZA"FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIADIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA E SPETTACOLO

GIUNTA NAZIONALE LEOPARDIANA

Stampato con il contributodelle banche tesoriere del Comune di Roma

rbBNL8anca Nazlonala dal Lavoro

'MONTEDEIPASCHIDI SIENABANCA DAL 1m

Giorgio StabileSCIENZAE DISINCANTAMENTODEL MONDO:POESIA, VERITÀ, NULLAIN LEOPARDI

Nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, che in realtà èuna ripresa a compimento di una lunga, finissima, considerazione delloZibaldone (Zib. 15) sulle famose Osservazioni di Lodovico di Breme intor­no alla poesia moderna e romantical, Leopardi affermava con grande de­terminazione:

Già è cosa manifesta e notissima che i romantici si sforzano di sviareil più che possono la poesia dal commercio coi sensi, per li quali è na­ta e vivrà finattantoché sarà poesia, e di farla praticare coll'intellet­to, e strascinarla dal visibile all'invisibile e dalle cose alle idee, e tra­smutarla di materiale e fantastica e corporale che era, in metafisicae ragionevole e spirituale2.

Dichiarazione di grande portata perché, al di là delle finalità immediata­mente o apparentèmente letterarie, essa metteva in gioco una questione, ilcommercio coi sensi, capace di evocare problemi capitali della filosofia e del­la scienza europea, dibattuti quanto meno a partire dalla rivoluzione coper­nicana nella seconda metà del Cinquecento e che avevano trovato un puntodi svolta nella radicale messa in dubbio, dapprima in Galilei e, più formal­mente e sistematicamente, in Cartesio, del contenuto di veridicità delle sen­sazioni corporee quanto alla realtà esterna, alla natura, al mondo. Rappor-

1. Si tratta delle osservazioni di Lodovico di Breme pubblicate nell'articolo 1/Giaurro. Fram­mento di novella turca, scritto da Lord Byron, e recato da//' inglese in versi italiani da Pelle­grino Rossi (Ginevra 1818), nello "Spettatore", tomo x, gennaio 1818, pp. 46-58, 113-45, poiin opuscolo, Pirotta~ Milano 1818; si possono leggere anche in Discussioni e polemiche sulRomanticismo (1816-1826), ristampa a cura di A. M. Metterle, I, Laterza, Bari 1975, pp. 254­313 (Biblioteca degli Scrittori d'Italia degli Editori Laterza, Reprint 9).

2. G. Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in Id., Tutte le poesie etutte le prose, a cura di L. Felici e E. Trevi, Newton & Compton, Roma 1997, p. 969; il corsivoè mio.

to di verità tra sensi e natura, cioè rapporto di rispecchiamento diretto traoggetto esterno, sensi e intelletto, ch'era stato viceversa un presupposto"realista" pur discusso ma saldo delle teorie della conoscenza delle filosofieantiche e medievali, cosÌ come delle filosofie di scuola umanistiche e rina­scimentali, e ancora, al di là della rottura cartesiana, della filosofia e dellateologia degli ordini religiosi, in particolare domenicani e gesuiti, quantodire sino ai primi istitutori di casa Leopardi3. Di questa vicenda è opportu­no ripercorrere qui alcuni punti capitali che, per essere lucidamente pre­senti alla coscienza culturale di Leopardi, spiegano la coerenza della suadifesa delle ragioni inattuali della poesia. La poesia, cioè, se vuoI essere ta­le, non può che mantenere commercio con i contenuti ingenui e immediatidei sensi, quella zona antropologicamente primitiva della percezione, suicui intere civiltà avevano costruito l'immagine del mondo, e che, proprioperché inconfutabilmente smentita, disingannata, disincantata dal verodella scienza, non può che essere praticata e vissuta - con consapevole, eroi­ca inattualità - come illusoria. Ed è appunto la tensione tra ineludibile ve­rità del vero, di questo vero, e l'altrettanto ineludibile fascinazione dell'er­rore dei sensi, che conferisce alla poesia di Leopardi il suo registro tragico,il segno inconfondibile dell'autentico, che è poi il segno del suo diritto all'e­sistenza. Che i sensi non dicessero il vero era stata scoperta traumatica ­e, proprio per questo, inaccettabile a molti - direttamente conseguente allarivoluzione copernicana. Scoperta che era tuttavia necessario accettare co­me vera se si riconosceva per vero il sistema copernicano, e viceversa. L'i­potesi che a muoversi non fosse il Sole attorno alla Terra ma la Terra at­torno al Sole, e che le stelle fossero in realtà immobili e solo in apparenzain rotazione per effetto dell'inversa rotazione terrestre, fu dallo stesso Co­pernico qualificata come opinione assurda opposta, in modo particolare, al

3. Racconta Monaldo Leopardi: "La mia Madre però e li miei zii, avendo determinato di !,!du­carmi in casa pensarono alla scelta di un precettore e lo cercarono tra gli ex-Gesuiti spagno­li che espulsi dalla Spagna [per decreto di Carlo 111 nel 17671abbondavano nel nostro stato. Inquel tempo le reliquie disperse di quell'ordine illustre e straziato erano l'ordinario rifugio dichiunque cercava un uomo saggio dotto e dabene, ed è incredibile quanto vantaggio recas­sero alle nostre provincie questi esuli rispettabili. A me toccò don Giuseppe Torres nato gen­tiluomo in Veracroce nell'America settentrionale"; M. LeoPélrdi, Autobiografia, VII, Edizionidell'Altana, Roma 1997, p. 64. Di questo vantaggio non si giovò solo Monaldo ma anche Gia­como, di cui Torres continuò ad essere precettore fino all'età di nove anni. "Lo istruì" dice an­cora Monaldo, "fino agli anni 9 di età il mio stesso istitutore Signor Don Giuseppe Torres ex­gesuita americano di Vera Croce, ma questo degnissimo sacerdote era già vecchio e infermo.Nel 1807 presi in casa il Signor D. Sebastiano Sanchini sacerdote di Mondaino diocesi di Ri­mino, il quale ammaestrò Giacomo e il suo minore fratello Carlo fino alli 20 di Luglio del 1812,in cui diedero ambedue pubblico sperimento di filosofia"; M. Leopardi, Memoriale Autografoad A. Ranieri, in Carteggio inedito di varii con Giacomo Leopardi, a cura di G. e R. Bresciani,Rosenberg & Sellier, Torino 1932, p. 479. Quanto dire una ininterrotta continuità di ratio stu­diorum e di filosofia cattolica, realista, antiscettica e anticartesiana, che giunge dalla secon­da scolastica gesuita e spagnola (qui ispano-americana) di due secoli prima fin nella primaeducazione dei fanciulli di casa Leopardi, quanto meno di due generazioni.

senso comune4• Assurda proprio perché imponeva di negare l'evidenza deisensi, evidenza che aveva sin lì reso inespugnabile il sistema di Tolomeo, ilquale aveva solidificato in teoria null'altro che i dati derivanti dal commer­cio immediato coi sensi. Si trattava di un vero e proprio stravolgimento per­cettivo in un giocoinvertito di illusioni ottiche e realtà fisica che imponeva diriconoscere il vero come falsificazione dei sensi: dover cioè riconoscere comeillusione ciò che la vista certifica sulla volta celeste in una notte stellata, do­ver riconoscere come illusione la certezza nella centralità cosmica dell'osser­vatore che la contempla, dover riconoscere come illusione l'immobilità dellaterra che l'osservatore sperimenta poggiando su di essa il suo corpo distes06.Ma era soltanto l'inizio. Proiettata nel cosmo a orbitare col doppio, simulta­neo movimento di una trottola, la Terra di Copernico non soltanto laceraval'ordine gerarchico delle sfere e rendeva illusorio un patrimonio ininterrottodi certezze sensibili su cui avevano costruito l'immagine del mondo civiltàcontadine, pastorali e marinare di antichità secolare, ma imponeva di spie­gare perché mai questo suo vorticare fosse non percepibile ai sensi e perchémai i corpi poggianti o cadenti su di essa non ne venissero sconvolti e di­spersi. Spiegazione che impose una graduale distruzione dell'antica teoriadel moto, anch'essa fondata sui dati immediati della percezione, e la costru­zione di una fisica interamente nuova. Fu questa l'impresa di Galilei che laquestione copernicana obbligò a iniziare dallo studio degli effetti sui gravi delmoto terrestre. Nullo alla percezione Galilei rivelò il moto della Terra perché,come nell'interno di una nave in moto perfettamente uniforme, tutti, uomi­ni, animali e oggetti, sono partecipi dello stesso moto, e il moto dei corpi per­cepito al suo interno è solo moto relativo, accelerazione inferta in aggiunta al

4. Nella lettera dedicatoria a Paolo 111 in apertura del De revolutionibus orbium caelestium(1543) aveva affermato: "inde igitur occasione m nactus, coepi et ego de Terrae mobilitate co­gitare. Et quamvis absurda opinio videbatur, tamen ..." e poco prima si era posto da sé la do­manda che si attendeva, come infatti accadde, dagli altri, cioè come gli venne in mente diosare mai di immaginare, contro l'opinio recepta degli astronomi e, soprattutto, contra com­munem sensum - cioè contro il comune commercio coi sensi - un qualche moto della Terra (siveda in N. Copernico, De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione generale del/' u­niverso, a cura di A. Koyré, Einaudi, Torino 1975, I Libro, pp. 18 e 14).

5. "Giacendo supino, adesso guardava l'alto del cielo senza nubi. 'Non so forse che questo èlo spazio infinito e non è una volta rotonda? Ma per quanto strizzi gli occhi e aguzzi la mia vI­sta, non posso non vederlo rotondo e limitato e, nonostante la mia consapevolezza dello spa­zio infinito, sono certo più nel vero quando vedo una volta azzurra e solida, di quando mi sfor­zo di vedere più in là di essa' "; L. Tolstoj, Anna Karenina, Parte VIII, cap. XIII, qui nella tradu­zione di Pietro Zvetermich, Garzanti, Milano 1965, pp. 805-806. Debbo l'indicazione, cosi giu­stamente incastonata nel discorso, ad Alessandra Sorci, già mia allieva. Come si vede l'im­patto fu enorme e grande la delusione per questo inganno dei sensi, una delusione conti­nuata per secoli, specie nel fondo ingenuo di percezione immediata tipico delle grandi civiltàagrarie come appunto la russa, un fondo, come mirabilmente testimoniato qui da Tolstoj, ge­losamente conservato quale condizione di certezza nel mondo e conseguente riluttanza aguardare più in là. Questa caduta di certezza e delusione radicale, non altro, è alle origini delnichilismo moderno.

moto comune e non percepibile a tutti. Ma se ogni corpo immobile sulla na­ve, ogni nave immobile sulla terra, ogni corpo parimenti immobile su qual­siasi pianeta, è in realtà partecipe inconsapevole di un moto perenne, allorala quiete è un inganno dei sensi, essa è solo moto non percepito. Il moto èdunque lo stato naturale dei corpi, sovvertimento anch'esso dell'ingenuaesperienza dei sensi, che costantemente testimonia della tendenza dei corpia restare immobili, o a recuperare in fretta l'immobilità una volta spinti oproiettati nello spazi06• Ma volendo pur isolare mentalmente un corpo nellasua immobilità, esso denuncerebbe col proprio gravare, col proprio peso, ilproprio insopprimibile conato a muoversi, l'accumulo per così dire di motoinespresso e che si esprime immediatamente non appena è tolto !'impedi­mento che lo trattiene. Ma se il moto è lo stato naturale dei corpi ciò vuoI di­re che tale è lo stato originario della natura e del mondo. Per Galilei infattiil moto di gravità è la regola primitiva dei corpi e, dunque, dell'intero uni­verso. Moto di gravità e di caduta di cui Galilei ricerca e trova la legge nonin termini di pulsioni o desideri dei corpi, ma di semplici relazioni geometri­che e numeriche. L'antropomorfico termine di inclinazione, con cui la fisicaaristotelica attribuiva ai corpi un metafisico desiderio di raggiungere il pro­prio luogo naturale e lì restare in quiete, diventa in Galilei l'angolo di incli­nazione di un piano che misura la velocità di un corpo rotolante su di essodalla cima alla base7• Regola del piano inclinato a cui non si sottrasse, perGalilei, neppure Dio nel creare il mondo allorché fece rotolare i pianeti lun­go piani diversamente inclinati per convertire la velocità da ciascuno acqui­sita per accelerazione in velocità perennemente uniforme lungo il cerchio del­le rispettive orbiteB• Il Dio della Genesi non crea più il mondo secondo attisuccessivi di libera volizione, ma secondo una sola e semplice legge meccani­ca e universale, alla quale egli per primo si assoggetta. Legge che regola l'an­dare dei pianeti lungo i sempiterni calli, e su uno dei quali continua a roto­lare quella che, con termine ristretto, è la natura abitata dall'uomo. Termineristretto poiché essa è soggetta a una legge che prescinde dal contenuto sen­sibile dei corpi e dalla loro collocazione in qualsiasi luogo dell'universo. Lamateria dell'universo è dovunque uguale9. Il che portava con sé l'abbandonodi un'altra illusione dei sensi, cioè la netta divisione tra sempiterni ritornidei panorami celesti, e variazioni continue di quelli terrestri, illusione pro-

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6. Tutto ciò in G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Coper­nicano (1632), in particolare Dialogo secondo, ed. a cura di L. Sosio, Einaudi, Torino 1975, pp.141-162,166-177, 227-246.

7. Ivi, pp. 26-38.

8. Ivi, pp. 27-28.

9. L'unificazione della fisica celeste e della fisica terrestre fu una grande novità del galilei­smo; proprio sulla base del riconoscimento di una identica materia comune, come quella ter­restre, a tutti i pianeti. L'universo diventava sede di fenomeni fisici le cui leggi, in qualsiasipunto awenissero, sulla terra e su ogni altro pianeta, rimanevano identiche: condizione in­dispensabile allo sviluppo dei nuovi sistemi del mondo di Cartesio e di Newton.

mossa a teoria dalla cosmologia antica con la distinzione ontologica tra mon­do celeste ingenerabile e incorruttibile e mondo sublunare, unica sede di ge­nerazioni e corruzioni. Illusione dei sensi ed errore teorico che Galilei intesedistruggere rivelando a un tempo verità dell'ipotesi copemicana e uniformitàdella costituzione dei corpi nell'universo. Cannocchiale e geometria, cioè po­tenziamento dell'esperienza dei sensi e certe dimostrazioni, lo condussero nelSidereus NunciuslO a farsi vittorioso annunciatore di verità, delle verità ce­lesti, una delle quali egli volle ritratta nei disegni della Luna. Un pianeta ca­rico di miti e credenze secolari, incorruttibile e levigato come una perla, èsvelato nella sua scabra nudità. La vergine Luna è una irregolare massa, cor­porea e opaca come la Terra, per di più desolata e inerte di vita. Una vera im­magine simbolo di quello che Max Weber ha felicemente chiamato il disin­cantamento del mondo, die Entzauberung der Welt, cioè l'esorcismo operatosul mondo dalla scienza moderna, nella forma della liberazione dall'alonemagico con cui l'uomo per secoli lo aveva investitoll.Per Weber la modernità, in particolare la scienza e la tecnica indirizzatadalla scienza, ha prodotto una crescente intellettualizzazione e razionaliz­zazione del mondo e la conseguente convinzione o fiducia che, anche laddo­ve, nelle sue zone ignote, esso non è tradotto in schemi razionali, esso èsemplicemente non ancora tradotto in schemi razionali. La fiducia nella ge­neralità delle leggi meccaniche, nella loro costanza in ogni momento e inogni punto, si traduce nella convinzione che, in via di principio, la naturanon è un gioco di forze misteriose e imponderabili ma, al contrario, che tut­to nella natura può essere dominate attraverso il calcolo. In ciò sta il di­sincantamento del mondo: non dover più ricorrere, come facevano i primi­tivi e i selvaggi, ai mezzi della magia, attraverso pratiche o formule volte asoggiogare forze di potere inspiegabile e a costringere o a invocare la beni­gnità degli spiriti, delle divinitàl2• Un'interpretazione, questa di Weber,

10. Pubblicato a Venezia nel 1610, consapevole, già nel frontespizio, di manifestare alla vistarealtà mai percepite dai sensi (magna longeque mirabilia spectacula). All'ampliamento e uni­ficazione dell'universo corrispondeva la rottura della concezione della materia celeste comemateria cristallina e incorruttibile. Una battaglia combattuta e vinta nelle pagine, tra le tan­te, di grande vigore scientifico come quelle, appunto, del Sidereus Nuncius, del bellissimo re·soconto ragionato di osservazioni astronomiche che è la /storia e dimostrazioni intorno al/emacchie solari (1613) e laddove, nella prima parte del Dialogo sopra i due massimi sistemi(1632), ricordava che la materia non si trasforma transitando da una sostanza a un'altra, nontrasmuta di essenza, ma per effetto del moto varia di posto (traspone) continuamente le sueparti in un succedersi metamorfico di configurazioni corporee sempre identiche nelle ultimecomponenti: "il rappresentarmisi un corpo sotto un aspetto e di lì a poco sotto un altro dif·ferente assai, non ho per impossibile che possa seguire per una semplice trasposizione diparti, senza corrompere o generar nulla di nuovo, perché di simili metamorfosi ne vediamonoi tutto il giorno"; G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, cit., p. 50.

11. M. Weber, La scienza come professione [Wissenscha[t als Berufl, introduzione, traduzionenote e apparati di P.Volonté, testo tedesco a fronte, Rusconi, Milano 1997, pp. 88, 128, 130.

12. Ivl, pp. 86, 88.

che, collocando con grande chiarezza il disincantamento sulla linea di frat­tura tra scienza postcopernicana e mentalità magica, non poteva non in­tercettare in pieno il territorio di riflessione leopardiano che appunto, con­sapevolmente, si collocòsulla faglia di rottura e di scontro tra inganno e di­singanno, tra incantamento primitivo e ingenuo operato dalla magia e dal­la poesia e disincantamento operato dalla inconfutabile verità della ragio­ne e della scienza.Ma è proprio nella natura dell'incantamento che si misura quanto brutalesia la verità disincantata. L'incantamento è alle origini stesse dell'atto poe­tico, è poesia nella sua ragione antica e nativa. L'incantamentum, l'incanta­tio, la cantio è per antichissima istituzione formula ritmata e cantata, inparticolare dalla donna, la cui funzione è rivolgere evocazioni (richiami), in­vocazioni (preghiere), o intimazioni (comandi) alle cose, alla natura, al mon­do13• Il carmen, come quello cantato da Circe o dal risuonante pettine di Sil­via, è espressione di questa comunicazione, di questo commercio con il mon­do attraverso la voce. In uno stretto rapporto tra incantamento, poesia e ma­gia il mito orfico della natura sensibile al canto e agli effetti dell'armoniapresuppone l'idea che tra uomo e cose ci sia "commercio dei sensi", che le co­se ascoltino, rispondano, ubbidiscano. Forma primitiva di questa illusione èl'eco come rispecchiamento sonoro e colloquio. L'eco come legame tra suononaturale e voce umana. Un legame sonoro che trasmette rumore finché nonsi presta udito, ma appena c'è qualcuno che presta udito, quel rumore di­viene voce, parola, significato. Alla radice della cantio poetica c'è lo incanta­mentum magico come voce capace di catturare l'ascolto e legare il mondo al­l'assenso. Annota Leopardi: "Un esempio di quanto fosse naturale e piena diamabili e naturali illusioni la mitologia greca, è la personificazione dell'eco"(Zib. 52). In un altro passo ricorda la grande efficacia poetica nell'impiega­re l'invisibile presenza di un'emittente dei suoni, soprattutto dell'eco, delrimbalzo sonoro come misterioso colloquio della natura (derivazione dell'ecoè del resto la rima o il ripetersi del ritornello in una canzone):

Quello che altrove ho detto sugli effetti della luce, o degli oggetti vi­sibili, in riguardo all'idea dell'infinito, si deve applicare parimente alsuono, al canto, a tutto ciò che spetta all'udito. [... ] È piacevole qua­lunque suono (anche vilissimo) che largamente e vastamente sidiffonda, come in taluno dei detti casi, massime se non si vede l'og­getto da cui parte. A queste considerazioni appartiene il piacere chepuò dare e dà (quando non sia vinto dalla paura) il fragore del tuono,massime quand'è più sordo, quando è udito in aperta campagna; lostormire del vento, massime nei detti casi, quando freme confusa­mente in una foresta, o tra i vari oggetti di una campagna, o quandoè udito da lungi, o dentro una città trovandosi per le strade ecoPe­rocché oltre la vastità e l'incertezza e confusione del suono, non si ve­de l'oggetto che lo produce, giacché il tuono e il vento non si vedono.È piacevole un luogo echeggiante, un appartamento ecoche ripeta il

13. Si veda R. Heim, Incantamenta magica graeca latina, Teubner, Lipsiae 1892.

calpestio de' piedi, o la voce ecoPerocché l'eco non si vede ecoE tantopiù quanto il luogo e l'eco è più vasto, quanto più l'eco vien da lonta­no, quanto più si diffonde; e molto più ancora se vi si aggiunge l'o­scurità del luogo che non lasci determinare la vastità del suono, né ipunti da cui esso parte ecoeco(Zib. 1928-1929).

Nell'abbozzo in prosa dell'Inno ai Patriarchi lo scenario di una natura mur­mure, ma dalla quale è assente ancora l'umanità, ha come idea centrale ilgorgoglio delle acque come primordiale articolazione del suono, come di­scorso naturale. Ma questo discorso è manchevole, è 'privo di senso' finché ilsuono è inudito, finché manca (vanità dell'eco) un orecchio che riceve, chetraduca la sensazione in sentimento. È infatti il sentimento associato allasensazione (gioia, terrore) quello che conferisce significato al suono, e nelconferirlo istituisce al con tempo una 'risposta' ad esso e, di fatto, un collo­quio, un commercio con le cose. Ecco perché il vociare della natura senza uo­mo è una vociare vano (vano come il ripetere dell'eco al vento), senza collo­quio. Inutile dire che attribuire solitudine personificata a cose sorde e ina­nimate deriva tutta dall'idea magica, alla radice della poesia, di una natu­ra imputabile di ascolto, di sentimen.ti e affetti. Annota Leopardi:

Ad Adamo. Tu primo contempli la purpurea luce del sole, e la voltadei cieli, e le bellezze di questa terra. Descrizione dello stato di soli­tudine in cui si trovava allora il mondo non abitato per anche dagliuomini, e solamente da pochi animali. Il torrente scendeva inuditodalla sua rupe, ed empieva le valli d'un suono che nessun orecchio ri­ceveva. L'eco non lo ripeteva che al vento. L'erbe de' prati erano in­tatte da' piedi de' viventi: le frutta pendevano senza che la loro vistaallettasse alcuno a cibarsene, e immagine della futura nostra cadu­cità, si rotolavano giù mature appiè dell'albero che le aveva prodotte.Le foglie stormivano ecoecoi fonti ecoecoIl tuono non atterriva ecoillampo, la pioggia ec.J4

E la magia non è altro che un'illegittima imputazione di affetti alla marmo­rea oggettività del reale, nel supposto commercio di sensi tra uomini e cosee delle cose tra loro, in una continuità di linguaggio e comunione di signifi­cati e di segni, che lascia possibilità di colloquio e di ascolto, in un continuovicendevole intreccio di evocazioni, invocazioni e risposte che conferisce almondo, uomini, animali, piante, pietre, acque il carattere di un organismoretto da fini comuni. Visione magica di cui un monumento esemplare è il Desensu rerum et magia di Campanella, sensus rerum appunto, cose dotate disenso al pari dei viventil5. Ma non ci sfugga la profonda implicazione che

14. G. Leopardi, Argomenti e abbozzi di poesie, in Id., Tutte le poesie e tutte le prose, cit., p. 470•

15. T. Campanella, Del senso delle cose e della magia, nel Lib. I, cap. 5°, afferma nel titolo Dal·l'azioni e passioni degli enti, tutti sentire si prova, e senza senso il mondo sarebbe caos, négenerazione né corruzione si vederebbe (testo inedito italiano a cura di A. Bruers, Laterza,Bari 1925, pp. 12-13).

questa espressione assume per effetto del trivalente valore della parola sen­so (cioè senso come sensibilità, senso come significato, senso come direzioneorientata) e che si risolve nel seguente enunciato: cose che sono dotate disensibilità sono anche dotate di significato e di orientamento a un fine e vi­ceversa. Quanto dire, finché le cose sono imputate di sensibilità, cioè di vi­ta, sono anche imputabili di significato e, dunque, di fini. Nel caso opposto,e la trivalenza è altrettanto impressionante, le cose insensate, cioè privatedella magia della sensibilità e della vita, saranno anche prive di significato,e dunque prive di un loro orientamento nel mondo, di un loro fine. PerciòCampanella afferma che se gli enti fossero privi di senso il mondo sarebbeun caos. La coerenza del mondo magico, la sua compatta unità non derivadal soggiacere ai vincoli di forze esterne, alla necessità meccanica della fisi­ca di Galilei o di Descartes. Il mondo sta assieme e non è caos perché ogniente è spontaneamente partecipe di quel formidabile elemento di comunio­ne che è il consensus rerum (e nel caso delle masse il consensus gentium), l'a­ver cioè tutte le cose o tutti gli uomini il medesimo sensus, la medesima sen­sazione, da cui deriva un medesimo affetto o sentimento, e un orientamen­to comune. Il mondo sta assieme perché consente e dà ascolto, e opera per­ché obbedisce a Dio realizzando in tal modo la propria conservazione. Maper poter operare ha bisogno di conoscere il fine, il senso del proprio opera­re16• Questo consenso nasce dal fatto che gli enti sono forniti di sensibilità edi conoscenza, di sentimento d'appetizione e di fuga, di desiderio e di ripul­sa, il che rende il mondo un organismo, un corpo vivente. Gli enti si con­giungono o separano sulla base della simpathia e antipathia nel valore pro­prio di con-sentire o dis-sentire. Una natura fondata non su leggi meccani­che, ma sulla sensibilità, non obbedisce ciecamente, ma per istinto orienta­to dal sapere il perché e 'verso cosa' si opera17•Il disincantamento è brutale perché interrompe questa idillica illusione, per­ché comporta il processo opposto: il privare le cose di istinto, di sensi, di con­sapevolezza, restituendole "smagate" alloro stato di porzioni di materia sot­toposte a vincoli meccanici, di oggetti esistenti ma non viventi. In tal modole cose, perdendo senso, perdono significato e fine, hanno valore prossimo alnulla. È questo disvalore del mondo, questa sua riduzione a fatto senza sen-

16. Ivi, Libro I, cap. 6°; "e se dirai che obedisce a lui [Dio] il fuoco e la terra, bisogna dire chesentano il suo comandamento, poiché non li mena con corporei ·instrumenti... ogni cosa hatanto senso quanto basta alla sua conservazione" (p. 17).

17. Ivi, Libro I, cap. 7°: "Dunque l'istinto è impulso di conoscente natura; e se le opere per­fette di Dio sono e ogni natura per operare ha bisogno di sapere il fine, è forza dire che ogninatura senta e che il fuoco in su vada, spinto da sua forma senziente il bene suo in alto e ilsuo male qui a basso; e così il caldo e il freddo e ogni altra cosa operarà con senso ... Dio è al·le cose intrinseco più che le stesse forme, dice sant'Agostino, e non tira al fine se non con l'i·stesse nature, imprimendo virtù, non solo d'andare al fine, ma di saper andare ... perciò scon­viene affermare che la natura senta il fine e operi per quello senza il senso che ella tiene, oche non lo tenga. Everamente ogni senso è partecipanza alla prima sapienza" (pp. 18-19). lanatura è partecipazione all'eterna legge, cioè alla volontà di stare in comune.

so, senza significato18, che risulta istintivamente inaccettabile all'uomo, que­stione su cui la riflessione Leopardi si fa trovare consapevole e puntuale.L'ingenito desiderio degli uomini di vedere e toccare cose vive - egli dice ­provoca la fantasia a vivificare oggetti insensati19• E proprio resistendo aquesto ingenito desiderio, che Galilei scienziato oppose la non illusoria ve­rità di una natura insensata, priva dell'incanto fantastico dei sensi, mac­china di corpuscoli perennemente in moto, che si aggregano e disgreganonon per simpatie o antipatie, ma in ragione delle loro proprietà geometrichee delle forze in gioco.Né Galilei ebbe motivo di negarlo. In quel piccologran­de manifesto della nuova scienza che è la lettera del 21 dicembre 1613 a Be­nedetto Castelli egli afferma che

la natura [è] inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue re­condite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capa­cità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini del­le leggi impostelillo•

Natura inesorabile, immutabile e nulla curante. Inesorabile è quanto direinsensibile alle invocazioni e alle preghiere e dunque sorda, priva di sensi,insensata; di qui immutabile, perché, priva di finalità e di libere volizioni,macchinalmente ripete e non deroga mai dai limiti delle sue leggi, e perciòancora incurante, perché, in quanto macchina, è vuota di cure, di affetti. Mauna volta privata di sensibilità e di sentimenti la natura non è imputabilené di significati né di valori, è in un stato di immutabile, virginale amora­lità, al di qua del bene e del male. È la natura disincantata, priva di ascol­to e di eco, insensibile, perché incapace di percepire l'evocazione o l'invoca­zione dell'incantamentum, della cantio: essa si scopre 'inesoranda' e 'sorda'come i numi e i regi d'Olimpo e di Cocito di Bruto minore che non a caso in­carnano la necessità immutabile, i decreti del fato (vv. 12, 106-107).Ma all'assenza di affetti della natura Galilei aggiunse l'assenza delle qua­lità sensibili affermando che suoni, odori, colori, sapori, non sono attributidella sostanza materiale ma solo e soltanto del soggetto senziente. In un ce­lebre passo de Il SaggiatoreJl1 egli affermò che condizioni necessarie e suffi­cienti a concepire come esistente fuori di noi la materia erano le sue pro-

18. E sulla sinnlosigkeit, sulla "mancanza di senso" del mondo (sinn der Welt) provocata dalprocesso di disincantamento (Entzauberungsprozem torna più volte Weber; il mondo disin­cantato (entzauberten Welt) è perdita di senso (Sinn) come fine (Zweck); si veda M. Weber,La scienza come professione, cit., pp. 86, 88, 94, 96, 110, 112, 122, 124.

19. G. leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, cit., p. 991: "è, certomanifestissimo e ingenito non solo ne' poeti ma universalmente negli uomini, un desideriomolto efficace di vedere e toccare e aggirarsi tra cose vive, dal qual desiderio mossa la fan­tasia vivifica oggetti insensati".

20. Le Opere di Galileo Galilei, edizione nazionale a cura di A. Favaro, Nuova ristampa, v, Bar­

bera Editore, Firenze 1968, p. 283.

21. Le Opere di Galileo Galilei, cit., VI, § 48, pp. 347 sgg.

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prietà geometriche e fisiche (figura, volume, moto), ma che nulla implicassela necessità che la materia fosse bianca o rossa, amara o dolce, sonora o mu­ta, di grato o ingrato odore. Tali affezioni, dice Galilei, sono 'tutte nostre',apparenze soggettive. Il corpo vivente, e solo il vivente perché sensitivo, in­vestito su tutta la sua superficie dal flusso perenne delle particelle in moto,reagisce con affezioni 'tutte proprie' e diverse a seconda degli organi di sen­so in cui è colpito. A queste affezioni egli dà un nome con il quale traduce lasensazione in cosa reale, ma soltanto a livello di linguaggio. Infatti, privo direferente oggettivo, il nome dato alte qualità è nome vuoto, nudo nome, di­ce Galilei, puro fonema. Nomi pieni sono invece corpo, materia, gravità, fi­gura, volume ecc., mentre nudi nomi, cioè - ripeto - parole senza significatooggettivo sono, ad esempio, pallido, viola, rosa, azzurro, bianco, albore,biancheggiar, imbruna, sereno, luce, squilla, silenziosa, dolce, amaro, il coc­codè della gallina in su la via, e cosÌ di seguito, provocatoriamente sce­gliendo tra l'aggettivazione leopardiana. Quanto dire che tutto il linguaggioqualificativo delle sensazioni, cardine della affettività animale, del commer­cio coi sensi e, quindi, della poesia, deprivato del suo oggetto, diventa vuotodi significato. Ma deprivare i sensi delle qualità dei loro oggetti vuoI direprivarli della soddisfazione di un bisogno primario, cioè il godimento o di­letto derivante dalla sicurezza di credere non illusorio ma realmente fonda­to il contenuto affettivo (in primo luogo il sentimento di piacere e di dolore)correlato alla propria sensazione. E, per Leopardi, in tanto la poesia deve es­sere verisimile in quanto suo fine è garantire questo specifico diletto, cioè ilsapere che qualità e affetti sono dentro le cose e perciò emanano dalle cose,tanto più che il verisimile implica che oggetti privi di vita e di senso abbia­no viceversa affetti o pensieri umani:

Ma tanta è la forza del verisimile, che noi siamo più propensi a cre­der vivo qualunque oggetto inanimato s'accosta alla figura ordinariadegli animali, che non qualunque animale se ne scosta notabilmente[...l. Ora poniamo che il poeta abbia avvivato oggetti privi di senso,lasciando loro né più né meno la forma naturale: o questi oggetti sta­ranno sempre immobili e inoperosi, e al poeta basterà di dire che vi­vono e amano e odiano e sperano e temono e cose tali; o dovendo darsegni di vita, e operare, e dimostrare colle cose di fuori le cose di den­tro, saprei volentieri che moti che atti che operazioni, in somma chevita esterna attribuirà loro il poeta; e quali effetti farà l'intrinseco, ilquale come ho detto non può essere altro che umano, nell'estrinsecoil quale sarà tutt'altro; e parimente in che modo le cose esterne ope­reranno in questi oggetti che non hanno organi come noi né come glialtri animali".

Il diletto che procede dal verisimile è soggetto a disinganno e reso illusorioproprio a partire da questa irrevocabile verità della scienza galileiana: chetra affezioni qualitative della sensibilità e cose non c'è nessun rapporto di

22. G. Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, cit., p. 993.

somiglianza. Al di là dello schermo delle qualità sensibili, la natura si rive­la, o meglio si indovina, come materia senza luce, incolore, insapore, inodo­re, silente, indistruttibile e agitata da moto perenne. La natura non è altroche materia buia e indistruttibile, quindi eternamente esistente, ma non perquesto eternamente viva. Viva è soltanto - per una più o meno grande por­zione di tempo - quella minima, insignificante porzione di esseri, l'umanitàanimale, che ha avuto in sorte di essere configurata in modo tale da patiree percepire gli effetti di questa incolore e oscura agitazione di atomi. Ma sela materia è eterna, eterne non sono le sue configurazioni e, tra queste, an­che la vita. Idea tragica, ovviamente tutta nostra e di cui la natura non sicura. Idea deducibile da un'altra deduzione di Galilei colpevole soltanto dilucidità razionale, presente anch'essa in questo passo, non a caso famosissi­mo, de Il Saggiatore:

Per lo che io vo pensando che questi sapori, colori, odori ecc. per la par­te del suggetto nel quale ci par che riseggano, non siano altri che pu­ri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì cherimosso l'animale, sieno levate e annichilate tutte queste qualità1l8•

Soluzione annichilatoria pensata da Galilei come sola ipotesi, ma che nien­te impedisce a Leopardi di pensare come reale. Una volta rimosso l'animale,cioè asportata la porzione di materia vivente dall'universo, l'universo potràcontinuare a esistere: ad esistere appunto, non a vivere, come materia. Anni­chilare la sostanza sensitiva e vivente non vuoI dire annichilare il mondo co­me sostanza corporea. Essa è materia insensata perché priva di sostanza vi­vente, ma che le forze meccaniche di reciproca attrazione possono conserva­re secondo quella particolare configurazione di masse che è il sistema sola­re. Questa tragedia della distruzione della materia vivente è il presuppostoda cui parte Leopardi nel Dialogo di un {olletto e di uno gnomo, in cui un ge­nio dell'aria e uno della terra raccontano cosa è diventato l'universo spoglia­to, ma in forma non idillica come nell'Inno ai Patriarchi, del genere umano.Esso ha perso tutti i contenuti delle sensazioni o, meglio, delle apparenzesoggettive delle sensazioni umane - suoni, odori, sapori, colori - e finalmen­te si svela nella sua oggettiva verità, scoperta dalla scienza e enunciata dal­la filosofia, di massa muta e sorda. Le forze di attrazione reggono ancoraquesta massa nella configurazione di un sistema del mondo, ma neppurequesto è certo. Le forze che agiscono sul sistema planetario, e il moto mole­colare che agita la materia, come insegnavano teorie attorno al futuro del si­stema newtoniano, possono rallentare e'collassare, degradando il sistema so­lare a massa uniforme. È la fine del mondo ipotizzata nel Frammento apo­cri{o di Stratone da Lampsacoll4, quello Stratone, è opportuno ricordarlo, an­ticamente accusato di empietà per il suo radicale naturalismo. È qui che il"nulla" si manifesta nella sua concretezza, un nulla che per Leopardi non è,

23. Le Opere di Galileo Galilei, cit., VI, § 48, p. 348.

24. G. Leopardi, Operette morali, in Id., Tutte le poesie e tutte le prose, cit., p. 580.

e non può essere, un puro nome, ma che denota il solido nulla, cioè una mas­sa concreta e inerte, come la lava solidificata de La ginestra. Ma anche que­sto solido nulla può essere, questa volta sì, annichilato, ma annichilato delsuo attributo, la solidità, senza che il sostantivo rimanga puro nome. Nellasua fase estrema, il nulla rimane come il kenòs degli atomisti, un recettosvuotato della solidità, spazio vuoto; dice Leopardi: Però il nulla è necessa­riamente luogo (Zib. 4233). Soluzione prospettata nel Cantico del gallo si l­vestre dove - sul filo di una insistita analogia vitalistica con lo spegnimentodel ciclo animale - l'annichilazione, che in precedenza aveva coinvolto la so­stanza vivente, ora coinvolge la sostanza esistente, cioè l'intera materia. Ra­dicalmente annullata, ciò che rimane è il solo 'nulla dello spazio' riempito disilenzio e d'inerzia: un silenzio nudo, e una quiete altissima, empierà lo spa­zio immens026• Questa apocatastasi nel nulla di uno spazio epicureo e lucre­ziano totalmente privo degli atomi, sembra promuovere a compimento ulti­mo dell'universo un'altra annihilatio, quell'annihilatio mundi con cui Hob­bes, nel De corpore, dava viceversa inizio, sulla base di una concezione ato­mistico-corpuscolare, alla costruzione materialistica del mondo.Che queste fossero alcune delle più radicali deduzioni di Leopardi intornoal mondo disincantato e disingannato dal vero della filosofia e della scien­za non deve recare scandalo, come scandalo non ne recò a Leopardi. Eglistette fermo alle verità incolpevoli della scienza, prendendone atto, e traen­done le estreme conclusioni. Verità che spesso vengono esorcizzate e gra­vate di colpe per paura delle conclusioni che è forza trarre da esse. Su que­sto coraggio di rivendicare le verità della scienza viene opportuno porre ariscontro Leopardi e Galilei, e sulla medesima questione, quella copernica­na, che in ambedue fu all'origine dei maggiori tormenti o delle maggiorispeculazioni. Testimonianza di coscienze altrettanto alte di un intellettua­le e di uno scienziato sul dovere di non far sottostare la ragione all'interes­se, la verità alla convenienza. Da un lato la forza di Leopardi, che non eb­be paura di trarre deduzioni ineludibili dal sistema di Copernico, accettan­done come verità le conseguenze che ne derivavano nel disincantare il mon­do. Dall'altro la professione scientifica di Galilei sull'impossibilità per unoscienziato di riconoscere non vero ciò che vede come ineludibile vero, datain risposta a quanti lo incolpavano proprio di conferire verità scientifica alsistema copernicano.Dice Leopardi per bocca di Copernico nell'omonima Operetta morale:

Ma voglio dire in sostanza, che il fatto nostro non sarà cosÌ semplice­mente materiale, come pare a prima vista che debba essere; e che glieffetti suoi non appariranno alla fisica solamente: perché esso scon­volgerà i gradi delle dignità delle cose, e l'ordine degli enti; scambierài fini delle creature; e pertanto farà un grandissimo rivolgimento an­che nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla parte specula­tiva del sapere. E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vor-

25· IvI, p. 577.

ranno discorreresanamente, si troveranno essere tutt'altra roba daquelloche sonostati sin qui, e che si hanno immaginatodi essereS6•

Mentre dice da parte sua Galilei, nella Lettera a Cristina di Lorena:

Il comandarpoi a gli stessi professoridi astronomia,che procurinoper lor medesimidi cautelarsi contro alle proprie osservazionie di­mostrazioni,comequellechenon possinoesser altro chefallaciee so­fismi, è un comandarglicosapiù che impossibilea farsi; perché nonsolamentegli se comandachenonvegghinoquel chee'veggonoe chenon intendinoquel chegl'intendono,ma che,cercando,trovinoil con­trario di quel che glivien per le mani1l7•

Se nella fisica galileiana erano già tutte contenute le ragioni del disin­ganno dei sensi e del disincantamento del mondo, fu Descartes, 'filosofodel dubbio' per Leopardi, a promuovere tali ragioni a sistema filosofico escientifico. Dopo quanto detto da Mambella altrove in questo volume ri­sulta ancora più chiara l'importanza della riflessione leopardiana su Car­tesio per la identificazione dei caratteri del moderno. Non c'è dubbio cheper Leopardi Cartesio esprime, più che non Galilei, la modernità. Vale lapena sottolineare al riguardo come Descartes partì proprio dal dubbio in­torno alla veridicità dei sensi portandolo, in modo più sistematico di Gali­lei - ma da lui ispirato, come sottolineerà malignamente Algarotti nel suoSaggio sopra il Cartesio - a una vera analitica dei processi sensoriali. Ana­litica dei processi sensoriali che è l'antefatto di quella psicologia o analiti­ca dell'animo che Leopardi non a caso rimprovererà tanto ai romantici.Per Descartes la principale causa della falsità dei sensi, e dei conseguen­ti errori, deriva dai pregiudizi dell'infanziallB che non sappiamo dimenti­care nel corso della vita1l9 a meno che non intervenga il dubbio, nella for­ma di una terapia del disinganno. I préjujés sono i giudizi dati in anticiposull'esperienza per cui, a causa di una nativa e impropria fusione tra sen­timenti e corpo, l'uomo attribuisce all'oggetto, e come proveniente dall'og­getto, ciò che viceversa è soltanto proprio delle sue percezioni. Meccani­smo erroneo da cui traggono origine tutte le affabulazioni ani mistiche eantropomorfiche intorno alla natura e al cosmo. Tutto il passato miticodella storia dell'umanità non è che una mitologia di errori e di pregiudizi,la cui raccolta, catalogazione, e critica razionale, talvolta derisoria, di­verrà un genere letterario ampiamente coltivato nel Settecento, genere acui lo stesso Leopardi pagherà il tributo con il Saggio sopra gli errori po-

26. G. Leopardi, Operette morali, cit., p. 590.

27. Le Opere di Galileo Galilei, cit., v, pp. 325-326. '

28. Principia philosophiae, I 71, in Oeuvres de Descartes publiées par Charles Adam et PaulTannery, voI. VIII, 1, p. 35.

29. Ivi, I 72, pp. 36-37.

aoo

polari degli antichi80, ma come tesoro di favole poetiche nate dai pregiudizicome primitive e ingenue illusioni dei sensi. Abituati a giudicare secondoopinioni preconcette, gli uomini, per Descartes81, si sono assuefatti a colle­gare i propri concetti a parole che non rispondono esattamente alle cose8!.Altra formula per dire quanto già Galilei aveva affermato attorno ai puri no­mi, ma formula decisiva per negare qualsiasi radicamento naturale dellin­guaggio. Le parole, infatti, non hanno alcuna rassomiglianza con le cose chesignificano. Concezione che rinforza la già sconvolgente teoria, da Descartescondivisa, della soggettività di tutte le percezioni qualitative e che pone acarico del soggetto tutto ciò che di esse, cioè colore, luce, calore, sapore, suo­no e così via, appare provenire dagli oggetti, dal mondo. Il mondo per De­scartes è del resto una macchina di corpuscoli, massa fluida, indefinita e incontinua agitazione, che riempie lo spazio e in cui lo spazio si risolve. Cosìcome il mondo anche l'organismo di qualsiasi animale, uomo compreso, èuna macchina, i cui moti, positure, atteggiamenti, sono semplici risposte au­tomatiche alle pressioni degli oggetti esterni. Concezione meccanicistica del­la struttura dei sensi che, nell'uomo, ha come decisivo risultato quello dispostare all'interno della cavità cerebrale il punto in cui le sensazioni mec­caniche convergono e si traducono in percezione. Punto costituito da unapiccola ghiandola posta al centro della massa cerebrale, la fantomatica etroppo derisa ghiandola pineale, sulla quale si proiettano e configurano leimmagini sensibili e dove l'anima avverte e percepisce, ha sensazioni, sen­timenti, passioni, ha pensieri, idee, volizioni. Lì è la coscienza dell'io comepercipiente, della totalità degli oggetti percepiti, delle immaginazioni e del­le idee. Cosa significa tutto ciò?Anzitutto la definitiva introiezione nel chiu­so del soggetto dell'intero universo. L'idea che siamo noi ad affacciarci conla vista sullo lo spettacolo della natura è pura illusione. Lo spettacolo colo­rato della natura è un film di immagini che il soggetto confeziona entro disé e per sé, che non ha nessuna rassomiglianza con il mondo esterno, il qua­le continua a rimanere una massa opaca senza qualità, attingibile solo co­me cedevolezza o resistenza al tatto o come schema geometrico percepitodalla vista. A questo si aggiunga un'altra decisiva novità: l'accentramentonel cervello non solo di idee e di percezioni, ma anche di sentimenti ed emo­zioni, chiudeva un capitolo della fisiologia antica ritenuta vera ancora nelprimo Seicento, cioè che il terminale delle passioni e dei sentimenti fosse ilcuore. Il sostegno scientifico al linguaggio dei sentimenti e della poetica delcuore viene in tal modo a cadere. Espressioni come buono di cuore, cuore

30. G. leopardi, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, cap. 1: "Noi parliamo dei pre­giudizi dell'infanzia con indifferenza. Si sa che bisogna disfarsene, che non si può esser sag­gi senza averli deposti. Essi però si suppongono inevitabili. Ma perché mai deve il fanciullocrescere tra gli errori? Possiamo assicurarci che i pregiudizi della infanzia sarebbono ben po"chi, se non si avesse cura di accrescerli"; in Id., Tutte le poesie e tutte le prose, cit., p. 873.

32. R. Descartes, Principia phi/osophiae, I 73, in Oeuvres de Descartes, cit., voI. VIII, l, p. 37.

32. Ivi, I 74, pp. 37"38.

sensibile, cuore sensitivo, cuore delicato, ardentissimo di cuore, freddezza dicuore, facoltà di cuore, divengono anch'essi puri nomi. L'opposizione tra cuo­re e cervello, come rispettive sedi di sentimentalità e ragione, è pura me­tafora. Ce n'è quanto basta per comprendere la portata del disinganno delvero provocato dal progresso di cosmologia, fisica, meccanica, fisiologia, eper poter ritornare alle considerazioni di Leopardi sulla poesia come com­mercio coi sensi. A questo punto, credo, si spiegherà meglio la sua dura ac­cusa contro di Breme e i romantici di trascinare la poesia dal visibile all'in­visibile e dalle cose alle idee, e di trasmutarla di materiale e fantastica e cor­porale che era, in metafisica e ragionevole e spirituale38• I romantici voglio­no scendere a compromessi con la scienza, di Breme parla della vicendevolefratellanza delle scienze e delle arti, dei miracoli dell'industria84, essi accet­tano l'analitica dell'anima e delle percezioni. La psicologia è scienza dell'a­nimo umano già certa, e quasi matematica e risolutamente analitica86, diceLeopardi, disponibile a tradursi in figure geometriche e per computi e for­male numerali86• La scelta di Leopardi è formale, la poesia vive dellinguag­gio dei sensi e del diletto provocato dal verisimile, cioè del godimento di unfondamento non illusorio del contenuto affettivo delle sensazioni. Ma com­promesso dall'avvenuta scissione tra s~nsi e natura, irriconoscibili gli uniall'altra, il linguaggio poetico deve diventare linguaggio dell'illusione deisensi, caricare su di sé l'esperienza della verità sotto forma dell'esperienzadel disinganno. Su questa via non rimane che il regresso nelle regioni pri­mitive del sensibile illusorio, quello dei fanciulli, degli antichi, delle genticontadine, e di lì restituire eidola, idilli, proiezioni visibili di panorami de­privati di commercio col reale e segnalare sotto forma di regresso nel tempo(nostalgia, ricordo, rimembranze) la consapevolezza di questa insanabileprivazione di un bisogno primario: il tatto o contatto immediato con la na­tura invariata e primitiva87 col naturale schietto e illibato a cui la natura in­sensata della filosofia e della scienza ha sottratto senso e significato. La so­la via è quella di rimettersi coll'immaginazione, nello stato primitivo de' no­stri maggiori, cioè nel primitivo irriflesso incontro tra sensi e natura, nel di­letto puro e sostanziale delle sensazioni88• Questo recupero dell'antico nellaforma del primitivo non è né meramente letterario né di gusto, ma di por­tata antropologica, impossibile a essere catturato nella cinta del classicismoe ancor meno dell'antiquaria89• Leopardi non falsifica l'antico, lo restaura.Per far questo egli dà corso a un processo analitico, identico ma diametral-

33. G. Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, cit., p. 969.

34. Ivi, p. 973.

35./bid.

36. /bid., e si veda ancora pp. 989, 991-993.

37. Ivi, p. 973.

38. Ivi, pp. 971-972.

39. Si veda ivi, p. 992.

mente opposto a quello cartesiano, regredendo dalla verità al pregiudizio edal pregiudizio all'errore, agli 'errori popolari degli antichi', perfettamentecosciente del meccanismo che li ha provocati, in primo luogo quello della per­sonificazione, e scegliendo come base la critica di Senofane dell'antropomor­fism040• Meccanismo basilare dell'affabulazione mitica, la personificazionenon è altro che la proiezione sugli oggetti della propria corporeità, del pro­prio patrimonio sensibile, sensitivo, un prestito inconscio di animismo e divita alla 'insensata' morfologia del reale, sola condizione per consentirle diascoltare e rispondere, di evocare e di essere evocati, e per esorcizzare la so­litudine di un colloquio senza risposte. È proprio delle immaginative puerili- egli dice - il vivificare oggetti insensati, la "personificazione" è vestire gli og­getti insensati di forme umane. Forseché - egli si domanda - veruno di noi sipuò figurare positivamente nessuna vita diversa dall'umana?41 Processo dipersonificazione e di reincantamento del mondo che può ottenersi trasfor­mando, ad esempio, un romantico panorama lunare in un più arcaico e pri­mitivo colloquio con la luna. Quello di Leopardi, come dicevo, è un processodi restauro e non di mera falsificazione letteraria tanto che, tutto teso al re­cupero della mentalità primitiva, egli attinge agli antichi ancora viventi,cioè ai fanciulli, anzi l'io fanciullo. La sua analisi della poesia come commer­cio coi sensi è una vera e propria analiticll della sensibilità infantile, che ap­proda a una deduzione delle forme della mentalità primitiva. Il sensismoleopardiano non appare una scelta ideologica precostituita e dottrinaria, masembra nascere spontaneo dalla deduzione dei caratteri propri della poesia,come prima forma di appropriazione sensibile del reale. Speculare a questoè la sua ricerca filologica, né pedante né antiquaria, ma febbrile risalita ver­so le idee prime dell'umanità, attraverso i segni dei linguaggi, consideratianzitutto come contrassegni di sensazioni sonore, squisitamente foniche, se­gni di reazioni primitive alle circostanze, e strettamente connesse ai carat­teri, ai costumi, ai climi. Le lingue primitive sono un grande patrimonio diricordi delle prime sensazioni, impressioni attenuate che traducono i primisentimenti perché concomitanti con il godimento primitivo di una appro­priazione reciproca tra io e natura. Fanciullezza e antichità fanno perciòtutt'uno, le immagini e la fantasia degli antichi e le ricordanze della primaetà sono le idee prime nostre che noi siamo così gagliardamente tratti adamare e desiderare42. Materiale primario e non artefatto è sia il ricordo, ilge­nio per le memorie della puerizia, sia la natura che si palesa e regna nei put­ti. Alla notazione del di Breme che ormai smagata, cioè disincantata, è diquesta immaginazione favolosa la mente dell'uomo43, Leopardi sembra im­plicitamente rispondere che il recupero della primitiva esperienza della poe­sia si pone ormai come terapia dell'esperienza della verità e del nulla.

40. Ivi, p. 993.

41. Ivi, p. 992.

42. Ivi, p. 973.

43. Ivi, p. 969.

Ma la consapevolezza del vero scientifico era ormai intrinseca allo sguardosul mondo degli uomini dotti d'Europa. In apertura dei Dialoghi sopra l'ot­tica newtoniana44 Algarotti aveva sottratto la sua amabile Marchesa dallamusica di un verso di Pope, per attrarla su una sua terzina, genuflessa,avrebbe detto Leopardi, alle ragioni della scienza:

o dell'aurataluce settemplicei varioardenti, e misti almi color!

Versi impossibili a cogliersi, se si è soltanto forniti del commercio immedia­to dei sensi con la natura. La luce aurata, quella solare, può diventare set­templice, solo a condizione di porre tra aurata e settemplice non già l'occhioumano ma una lente prismatica, e dietro settemplice uno schermo bianco.Sia lente che schermo avrebbero fatto transitare la poesia dall'illusione alvero perché, diffratta dal prisma, l'aurata luce si sarebbe rivelata non sem­plice ma mista, in quanto sullo schermo si sarebbe proiettata una banda, lospettro solare, suddivisa in sette diversi e consecutivi colori, dal rosso al vio­letto. Per passare poi al varioardenti dèl terzo verso, si sarebbero dovutiporre sette termometri, ognuno su ciascun colore, per scoprire che, a parti­re dal violetto, ciascuna colonnina di mercurio saliva di grado fino a rag­giungere il massimo con il rosso. I colori, cioè, erano di diversa temperatu­ra, varioardenti. La terzina di Algarotti, in realtà, era il sunto ritmato di unesperimento scientifico a riprova della teoria di Newton sulla natura com­posta della luce, con in più la prova sperimentale che a ogni colore corri­sponde una specifica temperatura. Difficile dire se esperienza del vero edesperienza della poesia in questo caso coincidono. Certo è che si è ormai pas­sati all'al di là della percezione immediata e che su questo terreno la scien­za si è ormai attestata. Quello di Algarotti è il caso di una poesia conciliatacon la scienza, quello di Leopardi è viceversa quello di una poesia non con­ciliata, ma che vive di un'occulta tensione col vero, e perfettamente consa­pevole di esso. Non è altro che il vero quello che irrompe nella chiusa ormaiproverbiale di A Silvia, ormai proverbiale perché il poeta gli ha volutamen­te affidato con la forza - si badi bene - della personificazione (la marmoreafanciulla neoclassica che mostra una tomba) il compito di "ultimo" e "vero"messaggio di quella poesia. Nelle Ricordanze il contenuto illusorio delle sen­sazioni (immagini e fole fantasticate un tempo nel contemplare l'aspetto del­le vaghe stelle dell'Orsa) sono elemento decisivo a scatenare il pathos no­stalgico, e così pure la successiva, insistita serie di sensazioni irrecupera­bilmente tradite dalla consapevolezza del loro non essere fondate nel reale.Nella Ginestra, il picciol pomo, che cade incolpevole e amorale dall'alberosul popolo di formiche, non è che il pomo la cui caduta, come ricorda nella

44. In Opere di Francesco Algarotti e di Saverio Bettinelli, a cura di E. Bonora, in I/luministiItaliani, tomo Il, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1969, pp. 17-19 ("la letteratura Ita­liana. Storia e Testi", voI. 46, tomo Il).

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Storia dell'astronomia'", avrebbe rivelato a Newton la forza di attrazione,certo come legge regolatrice del cosmo, ma anche come meccanica regolatri­ce del precipitare della lava ardente su un intero popolo scomparso di colpodalla Terra. Popolo che più felice sarebbe se a governarlo non fosse la con­sapevolezza del dolore, ma la semplice pulsione dei bisogni, in una transu­manza nel tempo e nello spazio al pari del gregge del Pastore errante nel­l'Asia. Gregge che piegato a terra, e non rivolto al cielo a carpire risposte va­ne alla Luna, conosce le durate brevi e ripetute della pastura e della sazietà,ignara della morte.E se andiamo a due versi infantili della sua Canzonetta II (vv. 11-12)46, chesuonano con allegria anacreontica:

I pascoli graditi,Cercando il gregge và

rimane da chiederei se a far esplodere il minuscolo nucleo tematico di que­sti due versi - risolvibile in pura ascendenza ideologica o letteraria all'ora­ziano eamus / quo gula ducit (Epist. 16, 56-7) - nel tragico e straordinariogregge errante del canto della maturità non sia stata proprio la tensione traverità e illusione, tra scienza e poesia.Ma si farebbe un torto a Leopardi selo si lasciasse rinchiuso nell'hortus, cer­to straordinario, dei suoi Canti. E venuto il tempo, io credo, di restituire di­gnità non minore alla prosa delle Operette morali, uno dei più alti esempi disatira e di disincantamento, ma dove - proprio per questo - il pensiero scien­tifico è innervato, riflettuto, discusso, quasi a ogni pagina, e si mostra con­notato indispensabile per riconoscere in Leopardi un intellettuale di dimen­sione europea.

4S. "Vide cader pomi dagli alberi", in G.leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, cit., p. 827.

46. Ivi, p. 314.