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ANNO LXXXI (2015) ESTRATTO ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER GLI INTERESSI DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA Piazza Paganica, 13 int. 2 - Roma

Aspetti del commercio e dell'organizzazione mercantile in Calabria nel XVIII secolo

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ANNO LXXXI (2015)

E S T R AT TO

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER GLIINTERESSI DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA

Piazza Paganica, 13 int. 2 - Roma

ASPETTI DEL COMMERCIOE DELL’ORGANIZZAZIONE MERCANTILE

IN CALABRIA NEL XVIII SECOLO

Verso la metà del XVIII secolo una più elevata tonicità econo-mica, vissuta nel contempo da buona parte dell’Europa con l’inci-piente sviluppo industriale e la rivoluzione demografica, significòper le regioni del Regno di Napoli una maggiore possibilità diespansione verso nuovi mercati e, quindi, un impulso alla produ-zione e al commercio di beni primari.

Nel corso dei due secoli precedenti la Calabria aveva persoquella posizione che l’aveva promossa, a partire dal XIV secolo,punto di accesso obbligatorio per il transito commerciale nel Medi-terraneo, poiché gli interessi mercantili della Spagna nel frattemposi erano spostati in proporzione maggiore verso l’Atlantico (1). Aquesto fattore si associavano una serie di congiunture negative –come la peste del 1656, la carestia del 1671-72, la rivolta dellavicina Messina del 1674-78 – che influirono sul già precario equili-brio economico e sociale della regione.

L’asperità del paesaggio che caratterizzava tre quarti del territo-rio contribuiva a condizionare uno sviluppo economico omogeneoe nel Settecento le due Calabrie, affermava Achille Grimaldi,«potevano dirsi estranee fra di loro per assoluto difetto di mezzi dicomunicazione. Il viaggiatore vi era ad ogni tratto pieno di disagi edi perigli, e se qualche Calabrese affidatasi di affrontarli, si dispo-

(1) Per un approfondimento, cfr. A. PLACANICA, La Calabria nell’Etàmoderna, I, Uomini, strutture ed economia, Edizioni Scientifiche Italiane,Napoli, 1985; G. GALASSO, Economia e società nella Calabria del Cinquecento,Guida, Napoli, 1992. Sui traffici del mare in generale si veda R. SALVEMINI (acura di), Istituzioni e traffici nel Mediterraneo tra età antica e crescita moderna,CNR-ISSM, Napoli 2009; D. ANDREOZZI, L. PANARITI e C. ZACCARIA (a cura di),Acque, terre e spazi dei mercanti. Istituzioni gerarchie e pratiche dello scambiodall’età antica ala modernità, Trieste 2009.

nea a far testamento, tanto n’era incerto il rimpatriare» (2). Consi-derata la sua conformazione orografica, la maggior parte del com-mercio veniva effettuato attraverso il cabotaggio, spesso ostacolatodalle avverse condizioni meteorologiche, danneggiato da frodi aval-late da simulazioni di naufragio e dalla pirateria.

In questa parte estrema del Regno, commercianti liguri incetta-vano e riversavano sui mercati napoletani ed esteri grandi quantita-tivi di grano e di seta fin dal Cinquecento, grazie anche ai privilegifiscali di cui godevano e agli asientos, cioè ai prestiti a breve termineche stipulavano con la Corona spagnola (3). Difatti, fin dal 1519Carlo V aveva riconosciuto ai trafficanti genovesi presenti nei suoidomini omnia privilegia, nella convinzione del ruolo assunto dai mer-caderes genoveses, catalizzatori delle microeconomie presenti all’in-terno del Regno di Napoli utili a incrementare le transazioni dell’at-tività creditizia. L’imperatore intuiva l’importante funzione svoltadalla natio genovese nell’attività non solo mercantile, ma anche ban-caria e speculativo-finanziaria in una visione economica globalelegata agli scambi dell’economia spagnola con le Americhe (4).

Con le riforme attuate da Carlo di Borbone (5), le relazionicommerciali intraprese dai Napoletani si orienteranno, oltre cheverso Genova e l’Inghilterra, specialmente in direzione della Fran-cia (6). La scelta seguiva la linea della modernità economica «fatal-

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(2) La Cassa Sacra ovvero la soppressione delle manomorte in Calabria nelsecolo XVIII per Achille Grimaldi, Stamperia dell’Iride, Napoli 1863, p. 29.

(3) Per questo argomento, cfr. A. MUSI, Mercanti genovesi nel Regno diNapoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996, p. 7 e passim. I commer-cianti genovesi avevano rafforzato le loro posizioni grazie all’espulsione degliEbrei dal Regno, avvenuto in seguito all’Editto di Granada del 1492. Perquanto riguarda, ad esempio, le ripercussioni economiche a Reggio, cfr. B. CHI-MIRRI, Le relazioni politiche e commerciali fra Liguria e la Calabria fin dai tempidella dominazione Sveva, in «Archivio Storico della Calabria», a. III, OppidoMamertina 1992.

(4) Cfr. G. BRANCACCIO, «Nazione genovese». Consoli e colonia nella Napolimoderna, Guida, Napoli 2001, pp. 18, 19. La stessa elezione dell’imperatore erastata resa possibile grazie agli anticipi rilevanti assicurati da banchieri genovesi(Cfr. E. OTTE, Il ruolo dei Genovesi nella Spagna del XV e XVI secolo, in LaRepubblica internazionale del denaro tra XV e XVII secolo, a cura di A. DE

MADDALENA e H. KELLENBENZ, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 20 e sgg.).(5) Sulle riforme in questo settore, cfr. G. CARIDI, La modernizzazione

incompiuta nel Mezzogiorno borbonico (1738-1746), Rubbettino, Soveria Man-nelli 2012.

(6) Sulle relazioni commerciali tra Mezzogiorno e Francia meridionale cfr.B. SALVEMINI e M.A. VISCEGLIA, Marsiglia e il Mezzogiorno d’Italia (1710-1846).Flussi commerciali e complementarietà economiche, in «Mélenges de l’École

mente dualistica e colonialista» (7). In questo senso, se, affermasostanzialmente Ruggiero Romano, il Regno di Napoli producevapiù beni di quanto inglesi e genovesi ne potessero assorbire, e, inun quadro diverso, gli opifici francesi cercavano lana, seta e olioper sostenere il ritmo crescente delle loro industrie, era naturaleche questi ultimi si rivolgessero al Mezzogiorno d’Italia dove lematerie prime potevano essere acquistate a prezzi convenienti (8).

A metà Settecento nella risalita marittima tirrenica era facileincontrare grandi négociants, uomini impegnati nei commerci, mer-canti, marinai e padroni di barca di varia nazionalità, tutti dediti atrasportare merci per conto proprio o a lavorare su commissionedelle maisons marsigliesi. In tutto questo variopinto mondo emergevail «far negozio» in spazi non sempre rigidi e difficili da definire,anche se alla fine grano, olio, seta ed altre fibre riempivano le stive dipinchi, tartane e feluche diretti verso il nodo marsigliese (9). Da quiparte della merce confluiva nel grande centro produttivo di Lione,in Svizzera e in Germania (10).

La domanda proveniente dai Paesi esteri era condizione prima-ria nel commercio dell’olio senza del quale, come rilevava all’epocaFilippo Briganti, l’attività nazionale sarebbe rimasta «in gran partesospesa e la via della prosperità preclusa» (11). Non esistevano,infatti, canali alternativi nel mercato interno, non soltanto permotivi legati alle peculiarità del prodotto, più appropriato ad un

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Française de Rome et Méditerranée», n. 103/1991, pp. 103-163; ID., Pour unehistoire des rapports économiques entre Marseille et le Sud de L’Italie au XVIIIe

siècle e au début du XIXe siècle. Flux marchands, articulations territoriales, choixpolitiques, in «Provence historique», n. 117/1994, pp. 321-365; A. CARRINO, Surla route entre Marseille et le Royaume de Naples: la Méditerranée au XVIIIe

siècle, in T. FABRE (sous la direction de), La Méditerranée. Frontières et passages,Actes Sud, Arles 1999, pp. 99-126.

(7) A. BLANDO, Da un «monopolio naturale» all’altro: il grano e lo zolfosiciliano, in Lo spazio tirrenico nella «grande trasformazione». Merci, uomini eistituzioni nel Settecento e nel primo Ottocento (a cura di B. SALVEMINI), Edipu-glia, Bari 2009, p. 1.

(8) R. ROMANO, Le commerce du Royaume de Naples avec la France, et lespays de l’Adriatique au XVIIIe siècle, Librairie Armand Colin, Parigi 1951, p. 9.

(9) A. CARRINO, Un «folla» mercantile fra pratiche e identità: nella Marsi-glia settecentesca risalendo il tirreno, in Lo spazio tirrenico…, cit., p. 218. Sullapresenza inglese cfr. C. VASSALLO e M. D’ANGELO (a cura di), Anglo-Saxons, inthe Mediterranean: commerce, politics and ideas (XVII-XX centuries, UniversityPress, Malta 2007.

(10) A. BLANDO, Da un «monopolio naturale»…, cit., p. 5.(11) F. BRIGANTI, Esame economico del sistema civile, Simoniana, Napoli

1780, p. 74

utilizzo industriale, ma anche a causa della relativa inflazione dellamerce, dovuta alla progressiva diffusione delle piante in tutto ilRegno. Nel corso del Settecento, la produzione olearia calabreseriusciva a penetrare nel mercato interno in proporzioni più ridottenella sola area napoletana e in quella della Terra d’Otranto neglianni in cui il raccolto non era sufficiente al fabbisogno locale (12).

Nella bilancia commerciale del Regno, dunque, il prodottoacquistava un peso considerevole, poiché quello destinato al mer-cato estero, da solo, secondo i dati riportati dal Galanti a finesecolo, costituiva 1/3 del valore globale delle esportazioni (13). Inquesto quadro, a fronte dei cospicui beni introdotti dall’estero,l’olio rivestiva un ruolo primario nell’equilibrio tra le importazionie le esportazioni e per molte aree calabresi esso rappresentava unvalore aggiunto (14).

Oltre ai ceti mercantili, una quantità vasta e composita di sog-getti partecipava ai meccanismi associati alle attività di lavorazionee di negoziazione di questo prodotto: contadini, vaticali, magazzi-nieri, armatori e marinai.

Per la distribuzione olearia esistevano zone di competenza suf-ficientemente definite, deputate a drenare il prodotto provenientedalle rispettive fasce costiere e a farlo confluire sui bastimenti. Esseerano le spiagge di Gioia e Pietrenere (presso Palmi), Vibona,Pizzo, Amantea e S. Lucido situate sul versante tirrenico; Bovalino,Monasterace, Trebisacce, e Rossano sul litorale jonico. Nel cabotag-gio locale, fin dal XVI secolo la marina di Pietrenere aveva svoltoun ruolo primario non solo lungo la costa tirrenica calabrese, maanche verso la Sicilia, nelle isole vicine e fuori Regno trasportandoolio, seta, vino e cereali (15). Questa marina, meta di acquirentiprovenienti dalla costa amalfitana, da Lipari, dalla Sicilia e daGenova, non era solo luogo di sbarco-imbarco di merci, ma anchespazio dove i mercanti potevano siglare contratti e recarsi nell’en-

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(12) M.A. VISCEGLIA, Commercio e mercato in Terra d’Otranto nella se -conda metà del XVIII secolo, «Quaderni Storici», n. 28, gen./apr. 1975, p. 159.

(13) G. M. GALANTI, Della descrizione geografica e politica delle due Sicilie,Soci del Gabinetto Letterario, Napoli 1788 (ristampa a cura di F. ASSANTE E D.DE MARCO), Società Editrice Napoletana, Napoli 1969, II, p. 480.

(14) Cfr., V. CATALDO, L’olivicoltura calabrese nel Settecento, in «Roge-rius», a. XVIII, n. 2/2015, pp. 35-44.

(15) A. DE SALVO. Ricerche e studi storici intorno a Palmi, Seminara e GioiaTauro, G. Lopresti, Palmi 1899, pp. 132, 133. I felucari palmesi raggiungevanoPalermo, Napoli, Roma, Livorno, Genova e Marsiglia.

troterra a commerciare (16). Nella zona dell’ancoraggio il principedi Cariati Giovanni Battista Spinelli Savelli, al fine di potenziare eagevolare i traffici, aveva fatto costruire diversi magazzini e altridepositi venivano utilizzati a riporre le barche con tutti gli attrezzidella tonnara di Palmi (17). Dell’interesse del principe, teso a favo-rire chiaramente i commerci nei suoi feudi, è emblematico l’acqui-sto, per la somma di 102 ducati, di un terreno di 12 tomolate di pro-prietà dell’università di Palmi per trasformarlo in un ortalizio desti-nato ai passeggeri in transito nella stessa spiaggia di Pietrenere (18).

Un altro posto di rilievo per le spedizioni era occupato daBagnara, da dove partivano legname, doghe, pesce salato e casta-gne. Il porticciolo da solo copriva quasi il 58% degli imbarchi dimerci e assieme ad altri «scari» del Tirreno l’89% del traffico com-merciale calabrese (19). Negli elenchi delle tratte sono assenti gliapprodi della fascia jonica, probabilmente inseriti in quel risibile9% di marine non specificate (20). Per quanto riguarda i padronidi barca che operavano in Calabria Ultra, è stato calcolato chel’87,7% proveniva dal napoletano (in particolare sorrentini) o dallavicina Sicilia e l’1% da Stati stranieri (21).

Nel 1783, in Calabria Citra i prodotti inviati dalla Marina diSan Lucido a Napoli avvenivano tramite padroni di tartane e felu-che provenienti da varie zone del Regno e da Stati stranieri (22). Le

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(16) V. PIPINO, Palmi nel secondo Settecento, Falzea, Reggio Calabria 2002,p. 36. L’Autrice riporta alcuni esempi di padroni di feluche provenienti dallacosta amalfitana, che da molti anni navigavano e approdavano lungo il litoralecalabrese, cariche di mercanzie.

(17) Ibid., p. 37.(18) Ibid., p. 39.(19) Tra il 1735 e il 1799 furono espletati 3.238 carichi.(20) M. GANGEMI, Esportazioni calabresi nel XVIII secolo. Le tratte di «sec-

camente salumi tavole legnami ed altro», ESI, Napoli, 1991, pp. 35n, 50, 54, 55.Già fin dalla fine del Seicento si ha testimonianza dell’esportazione di fichidall’approdo di Bovalino ma anche di legname, fichi, pasta di liquirizia e uvapassa da Gerace, Siderno e Roccella (Sezione Archivio di Stato Locri, Notar F.Camuso, b. 83, vol. 769, f. 43r, Gerace 4 novembre 1696).

(21) M. GANGEMI, Esportazioni…, cit., p. 56.(22) Da Gaeta Salvatore Marullo e Filippo Tartaglino; da Procida Michele

Ambrosiano e Domenico Guido; da Trapani Gioacchino Ferrante, AntonioPalumbo, Giuseppe Mancoso, Stefano Bertino, Sebastiano Cosentino, France-sco Lipari, Antonio Gaetano e Francesco Ania; da Sorrento Stefano di Lauro eAntonio Scarpati; da Malta Santo Mella; da Trani Angelo Prosa e Giulio Cre-cillà; da Lipari: Antonino Tricoli e Diego Pascale; da Maratea Biagi Branno; daTaormina Nino di Carlo; da San Remo Giov. Andrea Massa; da Napoli Gioac-chino Marino (Archivio di Stato di Napoli = ASNa, Arrendamenti, b. 326,ff. 1-3, S. Lucido 16 gennaio 1738).

esportazioni di maggior rilievo consistevano in pece nera navale,pece bianca e doghe per barili; fra i prodotti alimentari imbarcati sirilevano pistilli, fichi secchi e alici salate (23).

Le operazioni di scarico-scarico delle merci venivano effettuatevicino alle foci delle fiumare da feluche, paranze e sciabecchi (24).Queste imbarcazioni, facilmente manovrabili, veloci, con un equi-paggio compreso tra i 10 e i 20 uomini, navigavano a vista dallacosta e trasportavano carichi per un massimo di 400 tomoli dimerce. Il transito delle piccole navi calabresi era spesso ostacolatodal sistema fiscale e dai diritti che regolavano il mercato marittimo.Infatti, una delle difficoltà più considerevoli per lo sviluppo delcommercio nel Regno era rappresentato, assieme all’insufficienza eall’impraticabilità delle strade, sicuramente dal sistema doganaleoppressivo, estremamente complesso durante la prima dominazioneborbonica (25).

Alle quantità esportate ufficialmente dai caricatoi si contrappo-nevano in misura maggiore le esportazioni furtive fatte in spiaggia,facili e lontane dai controlli doganali, che riducevano drasticamentei fatturati dei vari arrendamenti. Il contrabbando, «grandissimo epoco rimediabile» (26), affermava il Galanti, veniva praticato daogni fascia sociale e in esso si trovavano collusi funzionari e guar-die. La seta e l’olio caricati nelle stive – una volta pagata la spedi-zione di terra – sembravano corrispondere a metà di quelle dichia-rate e molti carichi venivano ulteriormente imbarcati al largo, lon-tano da occhi indiscreti (27). Se lo sbocco messinese da una partecostituiva un impulso alla moltiplicazione di caricatoi della spondaopposta, tale da favorire l’espansione commerciale locale, dall’altrala stessa città dello Stretto alimentava la frode calabrese, poiché

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(23) Ibidem. La pece nera del catrame di legno era usata per calafatare,mentre quella bianca ottenuta dalla resina di abete rosso era utilizzata in farma-cia. Dalla stessa Sila avveniva la cosiddetta «carrea» degli alberi ed antenne tra-sportati per il servizio del Regio Arsenale di Napoli (ASNa, Segreteria deiVicerè – Viglietti originali, b. 2017, Cosenza 11 ottobre 1732).

(24) M. G. MARRA AMADDEO, L’attività commerciale reggina ed il Consolatodi terra e di mare, in R. G. LAGANÀ (a cura di), La città e il mare, Gangemi,Roma - Reggio Calabria, 1988, p. 93.

(25) G. B. M. JANNUCCI, Economia del commercio del Regno di Napoli (acura di FRANCA ASSANTE), Giannini, Napoli 1981, pp. 80-81.

(26) G. M. GALANTI, Della descrizione geografica…, cit., II, p. 576.(27) Da una relazione dell’ispettore dell’arrendamento delle sete di Cala-

bria, in D. CICCOLELLA, La seta nel Regno di Napoli nel XVIII secolo, EdizioniScientifiche Italiane, Napoli 2003, pp. 284, 284.

tutta la fascia costiera da Tropea fino alla Fossa di San Giovanniviveva «col traffico delle barchette con la Sicilia, navigandovi ancole donne» (28).

L’organizzazione commerciale che regolava le relazioni tra pro-vincia, territori e città calabresi con le piazze internazionali si arti-colava in una scala gerarchica mercantile ben definita, all’internodella quale i negozianti locali interpretavano un ruolo subalterno,senza resistenze, nella piena consapevolezza che fosse l’unico modoper dare vita ad un commercio extraregionale. Il traffico granariod’estrazione del Crotonese ne è un valido esempio. Il primo anellodella catena era il negoziante napoletano, che quasi sempre antici-pava il capitale in provincia attraverso fidati agenti, emissari e inter-mediari locali. L’imprenditore era di solito inserito nell’organizza-zione del monopolio dell’annona nella capitale e controllava largaparte del commercio estero (29). L’ultimo segmento del circuito erail produttore, il bracciante agricolo, il cui lavoro era regolamentatoprevalentemente dal contratto ad meliorandum (30). A rilevare ilprodotto vi erano spesso massari, benestanti locali, ma anche mer-canti-imprenditori di origine napoletana stabilitisi in Calabria perdirigere direttamente i loro affari dove, sovente, finivano per con-trarvi matrimonio. Ne sono una dimostrazione a Crotone Dome-nico Aniello Farina – che esercitava la mercatura comprando granie formaggi per conto di acquirenti della capitale (31) – e il massaroLorenzo Aricagnolo che, oltre a detenere 41 animali vaccini, dispo-neva di 200 ducati utilizzati in «negozio» di grani (32). Del resto èdai ranghi di questo ceto intermedio che emergono figure in gradonelle generazioni successive di assumere posizioni di rilievo, deter-minando fenomeni di infiltrazione sociale da cui scaturiva la ricerca

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(28) V. CATALDO, Arrendamenti nel Mezzogiorno del Settecento: il casoCalabria, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», a. LXXVIII(2012), pp. 137-139.

(29) P. MACRY, Mercato e società nel Regno di Napoli. Commercio del granoe politica economica del ’700, Guida, Napoli 1974, p. 76 e passim.

(30) Per questa tipologia di contratto, cfr. V. CATALDO, Contratti e rapportidi produzione nella Calabria del XVIII secolo, Edizioni Scientifiche Italiane,Napoli 2012, p. 52 e passim.

(31) Archivio di Stato di Napoli (= ASNa), Catasto onciario di Crotone,vol. 6955, f. 67r. Fra gli altri beni, il negoziante possedeva due magazzini per laconservazione del grano, molte terre, 48 bovini, 18 somare utilizzate per il tra-sporto del grano, 2 cavalli e 2 mule (il reddito complessivo ammontava a 460once).

(32) Ibid., f. 142v. Reddito 165 once.

di quella tanto agognata «dinamica ascensionale» (33). Tuttavia,questo era un contesto non in grado di indirizzare i capitali verso ilprogresso delle strutture socio-economiche, né di sostenere o difavorire la creazione di una flotta mercantile in grado di misurarsicon Francesi e Genovesi. A livello locale, infatti, tranne alcune epi-sodiche realtà ben definite, affiorava una organizzazione fragile, sot-toposta alla sfera delle speculazioni, dipendente e, soprattutto, nonin grado di creare un moto auto-propulsivo capace di generareflussi finanziari e investimenti.

Di fronte all’insufficienza di una categoria mercantile solida,rappresentanti del primo ceto riuscivano ad avere una funzione nelcontrollo «politico» – oltre che puramente economico – delle dina-miche che contraddistinguevano le relazioni commerciali con lacapitale e con l’estero. Il commercio del grano interessava l’area delMarchesato (34), una sub regione limitata al settore jonico e gravi-tante intorno a Crotone, fornitrice della maggiore quantità del pro-dotto regionale e base logistica dei grandi spostamenti che si verifi-cavano dalla Puglia. A Crotone il settore cerealicolo si reggeva suun’organizzazione ben sperimentata: una corona di fosse e dimagazzini circondava la città dove confluivano dal retroterraingenti carichi di grano, pronti ad approvvigionare la capitale, altriluoghi del Regno e Stati stranieri.

Al controllo dell’incetta del grano, dell’olio o della seta parteci-pava con vigore, infatti, il patriziato locale che, assieme al raccoltodei propri possedimenti fondiari, accaparrava altre produzioni e siinseriva attivamente nel commercio in qualità di intermediario.All’affare prendevano parte famiglie patrizie del primo seggio diCrotone, come il marchese Francesco Cesare Berlingeri, uomo tal-mente ricco da potersi permettere un medico personale (FeliceSportelli di Mola di Bari), un cameriere francese, due famigli, unanutrice e sei serve (35).

I commercianti crotonesi particolarmente operosi, capaci diinvestire danari, riuscivano a raggiungere ragguardevoli posizioni

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(33) M.A. VISCEGLIA, Commercio e mercato…, cit., p. 190.(34) Su questa area cfr. G. CARIDI, Il latifondo calabrese nel Settecento,

Herder, Roma 1990, pp. 13-67.(35) ASNa, Catasto onciario di Crotone, cit., f. 69v. Uno dei due famigli

era originario di Capua. Il Micilotto possedeva 863 tomolate di terra e 5 magaz-zini per la conserva del grano. Deteneva case affittate, capitali dati in prestito (ilpiù impegnativo di 4.300 ducati), 200 bovini, 2.000 pecore, per un redditocomplessivo di 2.135 once.

economiche e sociali. Uno per tutti, il negoziante di grani GiuseppeMicilotto viveva «splendidamente, trattando con liberalità mante-nendo la sua numerosa famiglia con Lusso, con Servidori, e Cuoco,e tenendo Cavalli alla stalla per uso del suo calesse, e baroccioli,pareggiando le più ricche, e principali famiglie di questa Città,cosicché le spese erano grandissime. Era di parimenti utile allasocietà con far elemosine ed altri benefizi» (36).

Monteleone, come Crotone, catalizzava i prodotti agricoli del-l’entroterra e di una vasta area che si protraeva fino allo Jonio meri-dionale. Dal porto di Vibona avveniva l’estrazione dell’olio verso isaponifici marsigliesi; carichi di seta confluivano invece nell’area delCratere di Napoli. L’insediamento di diversi uomini d’affari delNapoletano in Calabria aveva coinvolto anche questa città, partico-larmente dinamica e animata da diverse figure professionali. GliScannapieco, famiglia notoriamente presente sul litorale jonicomeridionale nell’Ottocento, era già attiva a Monteleone a metà Set-tecento con il negoziante Filippo. Nella sua bottega abbondavamerce non specificata del valore di 300 ducati (con ogni probabilitàsi trattava di panni) assieme ad un’altra tranche di mercanzia equi-valente, appartenente ad un secondo mercante (37). Un suo parente,Francesco, mercante di panni, «cittadino napoletano» (38), in virtùdei privilegi esibiti godeva delle relative franchigie. In genere,questi negozianti esercitavano il commercio in prima persona oattraverso loro stretti congiunti e molto frequentemente rimanevaun canale sempre aperto con il posto di origine per avviare, mante-nere e concludere i loro lucrosi affari (39).

L’area serviva anche da entrepôt del munizionamento prodottonelle Ferriere di Stilo, trasportato a sua volta a Pizzo da cui, attra-verso vaticali e piccole imbarcazioni, giungeva a Bivona per essereimbarcato alla volta di Napoli (40). Pizzo dimostrava una certa ver-

145ASPETTI DEL COMMERCIO E DELL’ORGANIZZAZIONE MERCANTILE

(36) Archivio di Stato di Catanzaro (= ASCz), Notar Giuseppe Smerz, b.1774, vol. 11534, f. 6r, 10 maggio 1786.

(37) Archivio di Stato di Monteleone (= ASVV),Catasto onciario di Mon-teleone, vol. II, f. 331r. Viveva con due sorelle, la madre e aveva una serva a ser-vizio.

(38) Ibid., vol. II, f. 347r. Nella numerosa famiglia dello Scannapieco pre-stava la sua opera una serva.

(39) Cioè l’esenzione dai tributi locali, come nel caso dello stesso France-sco Scannapieco, il quale lo ritroviamo attivo anche come intermediario in ope-razioni finanziarie (Ibid., Notar N.F. Pisani, b. 539, ff. 97r-98r, Monteleone 10giugno 1753).

(40) M. PACIFICO, Pizzo nei documenti d’archivio. Dal secolo XV al secolo

satilità al commercio via mare, grazie anche alla sede del regio fon-daco del sale e del ferro, e molti paesi come Soriano e lo Stato diArena si giovavano dal suo approdo per effettuare spedizioni diolio e tele (41). Nel 1777 una società per il trasporto di 400 salmedi olio a Marsiglia era stata fondata tra quattro commercianti nepe-tini, impegnati ognuno a versare diverse quote di botti, e il padronedi barca Saverio Musolino che partecipava con denaro liquido. Laspedizione veniva eseguita con un bastimento francese padroniz-zato da Giovanni Bourret. In questo caso, il Musolino aveva sol-tanto il compito di associarsi al capitano francese nella risalita finoa Marsiglia dove avrebbe assistito alle operazioni di vendita delcarico (42).

Privilegiata dalla sua posizione geografica e agevolata dal suoporto naturale, Pizzo era anche base logistica per le partenze versoLivorno, città con la quale la marineria nepetina stipulava frequen-temente contratti societari per il trasporto dell’olio d’oliva (43).Oltre a rivendere questo prodotto, i pizzitani si erano specializzatinella lavorazione e nel commercio del tonno. La città si profilava inquesto quadro come il centro ittico regionale più importante graziead esperti tonnaroti, rais e imprenditori locali, capaci di gestire eamministrare le tonnare anche degli altri centri rivieraschi (44). Aregolare l’attività vi era il capo mastro delle tonnine della duchessadell’Infantado. Si trattava di una persona esperta nel conservare iltonno sotto sale, generalmente interpellata per relazionare sullaqualità del pesce messo in salamoia o per dirimere eventuali contro-versie sulla integrità e la conservazione del prodotto. Il commerciosi irradiava in diverse direzioni. Nel 1750 ottanta barili di tonninarisultavano immagazzinati per conto di Cesare Mariano d’Amico diMilazzo. In attesa di essere imbarcati e trasportati dal suo conterra-

146 VINCENZO CATALDO

XX, II, Aragon, Pizzo 2013, p. 7; ID., Pizzo nei documenti d’archivio. Dal secoloXV al secolo XX, I, Imaging & Solutions, Ionadi, p. 32); ID., L’antico Porto diPizzo. Viaggio in una città di mare, Edizioni Romano, Tropea 2007, p. 22.

(41) Ibid., I, p. 16.(42) Ibid., II, p. 16. Mulattieri e vaticali nepetini si recavano nei paesi

dell’entroterra ad acquistare olio e rivenderlo alle barche genovesi ormeggiatenell’approdo della città (M. PACIFICO, Pizzo nei documenti d’archivio…, cit., I,p. 31).

(43) M. PACIFICO, L’antico Porto di Pizzo…, cit., p. 23.(44) Come dimostra nel 1754 il rais Rosario Ventrice, che con il suo equi-

paggio costituisce una società per l’affitto della tonnara di Mezzapraia (M. PACI-FICO, Pizzo nei documenti d’archivio…, cit., I, p. 38).

neo Onofrio Marino, per verificare lo stato di conservazione dellamerce fu chiamato il mastro di tonnine Francesco Zuppone (45).

Le operazioni commerciali non erano una prerogativa soltantodegli uomini. Per mezzo del notaio Antonino Teramo, Anna Pinosa,moglie del marchese Pignatelli di Monteleone, era riuscita a piaz-zare sul mercato orientale una notevole quantità d’olio a 31 ducatila botte; prezzo considerato come il più vantaggioso esistente sulmercato (46).

L’attività imprenditoriale della marchesa continuava con ilpatrizio Nicolò delli Chiavi, il quale risultava debitore di 205:70ducati per l’acquisto di 50 botti d’olio (47). Partito da Monteleonealla volta di Livorno senza tenere fede a quanto stabilito, il delliChiavi subì l’azione legale della nobildonna che, tramite la Corteducale, procedette alla riscossione delle obbliganze. Come spessoaccadeva, al fine di evitare una dispendiosa lite giudiziaria, la mar-chesa rinunciò alla confisca di un immobile del debitore preten-dendo solo 100 ducati a titolo di risarcimento.

Non mancava chi investiva nei trasporti, consentendo l’ingressonell’area commerciale di soci provenienti dal settore delle professioni.Nel 1754 padron Diego Grillo di Pizzo aveva fatto costruire a Napoliuna feluca di circa 16 metri, per il prezzo di 650:22 ducati, «provvi-sta e adornata con tutti quei ordigni ed attrezzi [utili] al noleggio diquella» (48). Ritornato in Calabria il Grillo pensò di vendere unaparte dell’imbarcazione allo scritturale Marzio Varano (49); un’altraal notaio Francesco Antonio Piromalli di Casalnuovo per 108:37ducati; e un’altra ancora a Gennaro Zenna di Napoli. Anche la realtàscillese era caratterizzata dalla compartecipazione di più persone allacostruzione della feluca, il cui valore era diviso in carati (50).

147ASPETTI DEL COMMERCIO E DELL’ORGANIZZAZIONE MERCANTILE

(45) Ibid., I, p. 29. Una società della «Fritta di tonno» in aceto fu costi-tuita sempre a Pizzo nel 1776. Si tratta dei padroni di barca Filippo di Rosi eGiorgio Camillò, che si obbligarono di trasportare a Roma 42 barili di tonnofritto in aceto (Ibid., p. 35).

(46) ASVV, Notar A. Teramo, b. 1756, f. 2v, (senza indicazione, ma anno1753).

(47) Ibid., f. 80r, 18 maggio 1753.(48) Ibid., vol. 1757, f. 165r, Monteleone 19 novembre 1754.(49) Ibid., Catasto onciario di Monteleone, cit., vol. III, f. 551v. A servizio

della famiglia Varano vi erano una nutrice e un servo. Pagava 20 ducati d’affittoannui, possedeva 4 tomolate di terra e una casa palazziata sita nella centralis-sima Piazza delli Frutti, che affittava per 12 ducati annui. Altro danaro ricevevaancora da altre 4 affittate e da censi. Insomma un personaggio che aveva saputoinvestire in vari settori, compreso quello del noleggio di imbarcazioni.

(50) G. CINGARI, Scilla nel Settecento: «feluche» e «venturieri» nel Mediter-raneo, Casa del Libro, Reggio Calabria 1979, p. 40.

Uno degli osservatori più importanti e utili a capire il volumedi affari che orbitava intorno ai traffici commerciali con l’estero, èla Santè marsigliese, il porto francese in cui, fra l’inizio delle regi-strazioni (1710) e la metà degli anni Quaranta dell’Ottocento, sonoannotati 21.098 arrivi di imbarcazioni mercantili provenienti dalRegno di Napoli (51). La domanda che Marsiglia rivolgeva ai Paesidel Mediterraneo riguardava principalmente la fornitura di materieprime destinate a tre settori in forte espansione: la produzione disapone, l’industria della molitura e della panificazione e la lavora-zione delle fibre. Di fronte alla crescente richiesta francese, per-tanto, il Mezzogiorno – e in particolare la Calabria – sembra per-dere ogni ambizione manifatturiera per situarsi come fornitore dimerce grezza. Lo schema conferma la zonizzazione del territoriocalabrese organizzato intorno ad un insieme di porticcioli, marine,approdi, spiagge, caricatoi, seni, scari, pronti a evadere la domandadi un’area extraterritoriale impegnata nella trasformazione dellemercanzie.

Secondo l’indagine di Carrino e Salvemini, in tutto il Regnocomplessivamente erano 198 i moli che avevano rapporti con Mar-siglia (52). Nel primo dei tre periodi presi in esame, considerevolesi presentava la merce caricata dai porticcioli calabresi del Tirrenoalla volta del porto francese. Fra l’estate del 1730 e quella del 1731,ad esempio, da Bivona, Mezzapraja, S. Eufemia e Pizzo (ricadentinel Golfo di S. Eufemia) partì il 56% dell’olio esportato dalla Cala-bria Ultra settecentesca, mentre dal Golfo di Gioia (con in testa laspiaggia di Pietrenere) il 34% (53). Nella città francese, complessi-vamente dalla Calabria giungeva il 40% dell’olio meridionale. Oltrea manufatti, al ritorno pinchi e martincane trasportavano bigiotte-ria, cristalleria, porcellane, libri, fiori artificiali, orologi, prodotticoloniali, sete di Lione e drappi di lana di Linguadoca (54).

Nonostante l’intesa commerciale, in questa prima fase i rap-porti tra Marsiglia e il Mezzogiorno erano in via di ridetermina-zione a causa della guerra di successione spagnola e della conse-guente occupazione del Regno da parte delle truppe austriache,

148 VINCENZO CATALDO

(51) M. CARRINO e B. SALVEMINI, Porti di campagna, porti di città. Traffici einsediamenti del regno di Napoli visti da Marsiglia (1710-1846), «Quaderni Sto-rici», a. XLI, n. 1, aprile 2006, p. 212.

(52) Ibid., p. 214.(53) Dati riscontrabili in ASNa, Dipendenze della Sommaria, I serie,

Dogane e portolani, b. 349, fasc. 6.(54) M. CARRINO e B. SALVEMINI, Porti di campagna…, cit., p. 216.

della peste di Marsiglia del 1720 e della guerra di successioneaustriaca.

Le rotte appaiono controllate, con gradazioni diverse, da fran-cesi genovesi e napoletani. Nel primo periodo, la presenza di perso-nale genovese era più massiccio solo in taluni porti della costa tirre-nica, i napoletani primeggiavano invece su alcuni porti della costacentrale pugliese e fra essi «capitani-mercanti campani di Sorrento,Ischia e Pozzuoli, e calabresi di Palmi e di Bagnara, si ritagliano unruolo significativo anche nelle esportazioni di olio dalle coste dellaCalabria» (55).

Nel periodo della hausse settecentesca (1763-1792) nonostante lascomoda presenza inglese, le merci continuavano a confluire versoMarsiglia ed il Mezzogiorno assumeva sempre più il classico modellocoloniale (56) deputato a rifornire olio, seta, grano, ma anche doghee cerchi per botti specialmente da Bagnara, dove fin dal Seicento ilprincipe Ruffo vi aveva impiantato delle segherie per la lavorazionedel legno proveniente dalle sue foreste d’Aspromonte (57). Dal ver-sante opposto, il capitano francese Giuseppe Denanz nel porto diCrotone caricava sul suo leuto grano da condurre a Marsiglia perconto del negoziante francese Giovanni Fuchet (58).

La flotta genovese con i suoi capienti pinchi occupava gli spazidelle grandi rotte con grosse partite di merci (59). Del resto eranoproprio i Genovesi – in questa nuova prospettiva mercantilesegnata dall’utilizzo di navi che potevano affrontare meglio rotte dilunga percorrenza e dell’utilizzo dell’olio d’oliva per i saponificimarsigliesi – a indurre i calabresi a sradicare i gelsi dalle loro col-line per piantare olivi (60).

149ASPETTI DEL COMMERCIO E DELL’ORGANIZZAZIONE MERCANTILE

(55) Ibid., p. 217.(56) Su questa affermazione cfr. P. MACRY, Mercato e società…, cit., p. 8.(57) G. CARIDI, La Spada, la Seta, la Croce. I Ruffo di Calabria dal XIII al

XIX secolo, SEI, Torino 1995, pp. 134, 135.(58) ASCz, Notar S. Labonia, b. 764, vol. 4579, 9v-11r, Crotone 21 luglio

1752; f. 13r, Crotone 10 ottobre 1752.(59) Lo conferma il capitano francese Pietro Merlo, che per conto del

genovese Domenico Emanuele nel 1752 fece rotta per Reggio, Crotone, Tarantoe altre destinazioni per scaricare dalla sua tartana merce varia e caricare abordo nei medesimi luoghi altra mercanzia. L’accordo stabiliva di dividere dueparti per l’imprenditore genovese e una per il capitano (ASCz, Notar S. Labo-nia, b. 764, vol. 4579, f. 13r, Crotone 10 ottobre 1752).

(60) A. PLACANICA, I caratteri originali, in Storia d’Italia. Le regioni. LaCalabria (a cura di P. BEVILACQUA e A. PLACANICA), Einaudi, Torino 1985, p. 87.Per uno studio più articolato cfr. D. CICCOLELLA, La seta…, cit..

Una delle poche organizzazioni mercantili calabresi capaci dicompetere con il monopolio di armatori genovesi e napoletani, si tro-vava in un piccolo centro del Tirreno. In questi traffici un ruolo pre-dominante veniva infatti assunto dalla marineria di Parghelìa, uno deicasali di Tropea, la cui attività era connessa alle iniziative commercialicon Marsiglia (61). La comunità marittima di questo villaggio si pre-senta come un caso particolare, inserito in un contesto geografico esociale molto variegato costituito dai 23 borghi, dipendenti daTropea, ognuno dotato di caratteri e funzioni diversi (62). A diffe-renza di altri luoghi calabresi, dove l’imprenditoria mercantile èdefinita «irregolare» e in cui il commercio veniva regolato dasocietà «effimere», gli abitanti di Parghelia erano stati capaci dicreare un felice connubio nel quale si intersecavano fattori produt-tivi dell’entroterra e attività mercantili e creditizie sistematicamenteorganizzate (63).

In primavera molti abitanti abbandonavano il paese e si trasfe-rivano in Lombardia, in Francia, in Spagna e in Germania per traf-ficare coperte di cotone, sete ed essenze; e al ritorno portavanogeneri di lusso rivenduti successivamente in tutta la regione (64).Per questo motivo gli abitanti del villaggio furono definiti da uncoevo «i Genovesi della Calabria» (65).

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(61) M. SIRAGO, Fra Parghelia e Marsiglia a fine Settecento: l’abate AntonioJerocades e l’«uomo di mare» Andrea Mazzitelli dalla massoneria al giacobinismo,in Lo spazio tirrenico…, cit., pp. 300-319.

(62) F. CAMPENNÌ, Commercio e identità: un’esemplare comunità di mercantitra Calabria, Mediterraneo e Atlantico, in La Calabria nel Mediterraneo. Flussi dipersone, idee e risorse (Atti del Convegno di Studi, Rende, 3-5 giugno 2013),Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, pp. 320, 321; A.M. RAO, La Calabria nel Set-tecento, in Storia della Calabria moderna e contemporanea. Il lungo periodo (acura di A. PLACANICA), Gangemi, Roma-Reggio Calabria 1992, p. 330.

(63) B. SALVEMINI, Innovazione spaziale, innovazione sociale: traffici, mer-canti e poteri nel Tirreno del secondo Settecento, Introduzione a Lo spazio tirre-nico…, cit., pp. V-XXX.

(64) D. S. T. DE DOLOMIEU, 1783 in, A. TROMBETTA, La Calabria del ’700nel giudizio dell’Europa, Ed. Fratelli Conte, Napoli 1976, p. 214; G. Vivenzio inI. PRINCIPE, Città nuove in Calabria nel tardo Settecento, Effe Emme, ChiaravalleCentrale 1976, p. 47. Anche lo Swinburne nel suo diario di viaggio in Calabriaricordava con sorpresa i Parghelioti impegnati nella produzione di tessuti enella loro distribuzione fino a Marsiglia (H. SWINBURNE, Travels in Two Siciles inthe years 1777-1778-1779 and 1780, II, printed for P. Elmsly in the Strand,London 1783-1778, p. 431).

(65) F. SERGIO, Chronologica collectanea de Civitate Tropea eiusque territo-rio, ms. del 1720, rist. anast. (a cura di P. RUSSO), Athena, Napoli 1988, f. 10.

Nel 1759, epoca della compilazione del catasto onciario, a Par-ghelia si contavano 4 feluche «per viaggio» governate da 176addetti (mentre nella vicina Tropea ve n’era solo una con 24 mari-nai). Nel piccolo centro gli addetti alla marineria e i raissi, cioè icapi, e marinai di tonnara impiegavano un capitale complessivo di6.380 ducati in negozi o commerci (66).

Nonostante il periodo di grande incertezza economica, causatada conflitti bellici tra le maggiori potenze coloniali europee, Parghe-lia, era riuscita a cogliere le congiunture favorevoli e a inserirsi nellemaggiori correnti del traffico mondiale, ottenendo in questo modonotevoli vantaggi economici (67). Lo stesso Galanti era testimone del«miracolo economico» vissuto dai Parghelioti, capaci di intessererelazioni commerciali non solo con la Francia e la Spagna ma perfinocon aree del Centro-Sud America dove (68), grazie alle opportunitàofferte dai gruppi mercantili provenzali, diversi esponenti della fami-glie del villaggio calabrese, in occasione della guerra coloniale traFrancia e Inghilterra ebbero l’occasione di intraprendere la carrieranella marina militare francese, spagnola e napoletana (69).

Nel Tirreno meridionale, vicino allo Stretto di Messina, Scilla sipresentava come un altro importante scalo mercantile in grado dimantenere contatti con l’Adriatico. Per l’approvvigionamento delgrano si affidava alle feluche locali e, per l’esportazione dell’olioverso Marsiglia, di pinchi e mercanti genovesi. Le feluche scillesipuntavano su Venezia e Trieste e su rade disposte lungo le due rivedell’Adriatico con una capacità di penetrazione anche a nord diBolzano, di Udine e di Gorizia. Quello scillese, come nel caso diParghelia, a differenza di altre zone della Calabria, era un trafficonon certamente sporadico, al quale vi partecipavano sistematica-mente molte feluche con un equipaggio complessivo equivalente a150-200 marinai, e in cui vi erano coinvolti quasi tutti gli abitanti,dai notabili fino ai contadini (70). La feluca era quasi sempre rea-

151ASPETTI DEL COMMERCIO E DELL’ORGANIZZAZIONE MERCANTILE

(66) M. SIRAGO, Fra Parghelia…, cit., pp. 300, 301.(67) F. CAMPENNÌ, Commercio e identità…, cit., p. 321 e passim. L’Autore

documenta la vocazione marittima di Parghelia e la storia delle famiglie chehanno contribuito al successo economico del villaggio.

(68) G. M. GALANTI, Della descrizione geografica…, cit., II, p. 187.(69) Lo attestano vari componenti della famiglia Jerocades, frequentatori

degli empori commerciali del Golfo del Messico e delle isole caraibiche (F.CAMPENNÌ, Commercio e identità…, cit., pp. 348-349, 353).

(70) G. CINGARI, Scilla nel Settecento…, cit., p. 22; ID., I traffici tra l’areacalabro-sicula e la costa orientale adriatica nel Settecento, in «Archivio storicoper la Sicilia orientale», nn. 1-2, 1979.

lizzata da maestranze della vicina Bagnara, con il legname deiboschi aspromontani, costruita di norma a due alberi e dodici remiper lato.

Le imbarcazioni trasportavano bombace (cotone), fustagno,uva passa e qualche volta seta. Il primo prodotto, assieme all’uvetta,costituiva il grosso del traffico intercettato e caricato specialmentenei paesi dello Stato di Briatico. Le compagnie scillesi erano insostanza intermediari capaci di esitare queste merci all’andata e, alritorno, di immettere nel mercato calabrese panni leggeri di lana,guanti e berretti.

Il fatto più considerevole, oltre alla capillare partecipazionefinanziaria locale, era il sistema incentrato sulle compagnie e sullesocietà, alle quali prendevano parte anche le donne, con partecipa-zioni azionarie. Come ha osservato Ruggiero Romano, per unasocietà costituita nel 1793 alla raccolta di un capitale di 24.327ducati contribuirono 149 persone, di cui poche erano di Messina,Matera e Monopoli e la stragrande maggioranza Scillesi con quoteche, di norma, ruotavano intorno ai 25 ducati a testa o tra i 10 e i15 ducati. Il che dimostra il ruolo che il traffico marittimo-commer-ciale giocava nell’economia del luogo (71).

Poiché avevano bisogno di mezzi finanziari per comprare lemerci sia durante la fase dell’esportazione che in quella dell’impor-tazione, per realizzare i loro viaggi i felucari scillesi e palmesi ricor-revano al prestito marittimo o al prestito a cambio marittimo. Tra idue contraenti si creava un rapporto simile a quello tra creditore edebitore per la durata del viaggio di andata e ritorno. Tale sistemaalla fine risultava vantaggioso non solo per i felucari, perché con-sentiva loro di disporre di maggiore liquidità impiegata ad alimen-tare le imprese marinare e incrementare i profitti, ma anche per isoci che non partecipavano direttamente alla navigazione, destina-tari di guadagni sicuri ricavati dall’interesse del prestito; anche se,occorre precisare, il denaro viaggiava a rischio anche del creditore.Infatti, negli stessi «patti e condizioni» rogati, rischi, danni e peri-coli erano esplicitamente a carico del mutuante, salvo i casi di con-trabbando, furto, baratteria e rapina praticata dalla pirateria,sempre incombente nei mari del Mediterraneo, che a volte giungevaanche al sequestro dell’equipaggio (72).

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(71) In, G. CINGARI, Scilla nel Settecento…, cit., p. 32. (72) Per questo argomento, cfr. l’ampia bibliografia contenuta in V.

CATALDO, La frontiera di pietra. Uomini, torri e pirati nella Calabria moderna,Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2014.

Al cambio marittimo partecipavano mercanti e cittadini bene-stanti, ma non mancavano anche figure femminili (73). I prestitimolto spesso venivano erogati tramite la forma del censo bullalecaratterizzato da un interesse tra il 4 e il 10%. Alcuni prestiti veni-vano concessi gratis, senza oneri aggiuntivi (imprestito grazioso).Dietro questa tipologia l’interesse poteva essere occultato: o il debi-tore si faceva corrispondere anticipatamente l’utile, oppure ilmutuario si obbligava a restituire in un’unica soluzione il capitalericevuto con il relativo interesse (74). D’altronde, questo potevaavvenire in situazioni in cui nessuno dei contraenti, e nemmeno ilnotaio, avevano l’intento di indicare esattamente il relativo tasso,poiché il diritto canonico e quello civile condannavano quote supe-riori al 10%, considerate usura. Per esigere e corrispondere paga-menti a distanza, i mercanti utilizzavano polizze di banco e letteredi cambio. Il contratto di cambio evitava l’accusa di usura, assicu-rava la restituzione della moneta in un altro luogo e permetteva aimercanti di non condurre somme consistenti di danaro.

Un’ulteriore occasione di interscambio commerciale era costi-tuita dalle fiere, diffuse durante l’anno su tutto il territorio regio-nale. La fiera rappresentava una valida occasione per contadini,massari, artigiani di acquistare e piazzare diverse varietà di merci emanufatti; ai mercanti permetteva di concludere lucrosi affari (75).

Nel Settecento, con gradazioni diverse, piccoli imprenditori egrandi incettatori intercettavano i prodotti dell’agricoltura (e inquantità minori altre derrate e merci) per veicolarli alla volta diNapoli, Genova e Venezia e nei mercati dell’Europa meridionale.Come si è visto, però, il comparto delle esportazioni calabresi, puressendo vivace e ricco di iniziative, risultava limitato a determinate

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(73) In diverse obbligazioni appaiono donne che concedono prestiti. Fra itanti esempi, Stefano Cosentino si obbligava a restituire alla magnifica NicolinaBagalà di Palmi 200 ducati che gli occorrevano nella città di Lecce per spen-derli « in mercanzia del suo mestiere» (V. PIPINO, Palmi…, cit., pp. 44, 45, 48).

(74) A. PLACANICA, La Calabria nell’età moderna…, cit., p. 365.(75) In Calabria Ultra erano molto frequentate la fiera di Sant’Orsola di

Radicena, di San Bruno del Bosco, di S. Domenico di Soriano, della Maddalenadi Monteleone, della SS. Annunziata di Oppido, dell’Assunta di Seminara, dellaCandelora e dell’Immacolata di Polistena, dell’Immacolata di Gerace, diSant’Elia di Pedavoli, di San Bartolomeo di Mesoraca,di Sant’Andrea di Terra-nova, di Santa Lucia di San Martino, di Santa Maria della Catena di SantaGiorgìa, del Salvatore di Varapodio, di San Giuseppe di Molochio, di SantaMaria delle Grazie di Sinopoli, del SS. Crocifisso di Terranova, della Madonnadella Sacra Lettera di Palmi.

aree ed era incapace di indirizzare i propri capitali verso il pro-gresso delle strutture socio-economiche, determinando effimereprobabilità di incidere sull’economia futura. Il settore del trasportosi presentava legato alla supremazia delle flotte mercantili soprat-tutto francesi, genovesi e napoletane, sebbene vi fosse la presenzadi una marineria locale particolarmente attiva solo, però, in alcunipunti nevralgici del Tirreno calabro meridionale.

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