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Definizione e metodi di stima della qualità nei servizi: il caso dei trasporti Edoardo Marcucci e Valerio Gatta 1. Introduzione La qualità sta acquisendo un ruolo sempre più centrale nel moderno processo di competizione tra le imprese. La competizione di prezzo ha, in molti settori, ceduto il passo ad una competitività imperniata sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti e servizi. Il processo di progressiva terziarizzazione della produzione realizzatosi nelle economie dei paesi più sviluppati e industrializzati, con la conseguente crescita del peso dei servizi, ha stimolato un approccio sistematico ed approfondito allo studio della qualità nei servizi. Numerosi articoli in letteratura sono dedicati allo studio della qualità nei servizi (Hensher e altri, 2003; Cronin e Taylor, 1992; Parasuraman e altri, 1988). Tuttavia va subito chiarito che non si riscontra un’accordo tra i vari Autori, a partire dalla stessa definizione di qualità o dai metodi più opportuni per procedere ad una sua misurazione. A differenza di ciò che è successo nel campo del controllo della qualità dei prodotti industriali, nel quale sono stati approntati una serie di metodi statistici, ormai consolidati, basati sulla valutazione di elementi tangibili, nei servizi manca ancora uno schema di riferimento universalmente accettato. Lo sviluppo di approcci e metodologie di controllo della qualità ha dovuto scontare delle limitazioni dovute, oltre che alla complessità della misurazione delle caratteristiche proprie di un servizio, spesso intangibili, anche alla grande diversità tra i convincimenti di base circa che cosa sia effettivamente la qualità nei servizi. Infatti, se alcuni sostengono l’opportunità di mutuare le tecniche già impiegate per la misurazione della qualità dei prodotti ritenendo, quindi, che sia corretto concentrare l’attenzione su chi eroga il servizio piuttosto che considerare ciò che il cliente percepisce, altri hanno, addirittura, asserito che la qualità dei servizi, poiché non valutabile quantitativamente, non sia affatto misurabile (Negro, 1995). Indipendentemente dalle difficoltà connesse alla valutazione e stima della qualità nei servizi, occorre chiarire che i benefici potenzialmente derivanti sarebbero molto elevati. Il presente articolo intende proporre e descrivere alcune tecniche di indagine e metodi di stima della qualità nei servizi, ponendo particolare attenzione alla famiglia dei modelli a scelta discreta. Il paragrafo 2 introduce il problema della qualità, della sua definizione, evoluzione nel tempo e caratterizzazione basata sulle differenze ed analogie tra prodotti e servizi. Segue una sintetica descrizione tripartita delle diverse interpretazioni del concetto di qualità. Tre sono i modi di intendere la qualità: ingegneristica, aziendale ed economica. Discendono da tali concezioni diversi approcci e suggerimenti in quanto ai metodi di 201

Definizione e metodi di stima della qualità nei servizi: il caso dei trasporti

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Definizione e metodi di stima della qualità nei servizi: il

caso dei trasporti

Edoardo Marcucci e Valerio Gatta

1. Introduzione

La qualità sta acquisendo un ruolo sempre più centrale nel moderno processo di competizione tra le imprese. La competizione di prezzo ha, in molti settori, ceduto il passo ad una competitività imperniata sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti e servizi.

Il processo di progressiva terziarizzazione della produzione realizzatosi nelle economie dei paesi più sviluppati e industrializzati, con la conseguente crescita del peso dei servizi, ha stimolato un approccio sistematico ed approfondito allo studio della qualità nei servizi.

Numerosi articoli in letteratura sono dedicati allo studio della qualità nei servizi (Hensher e altri, 2003; Cronin e Taylor, 1992; Parasuraman e altri, 1988). Tuttavia va subito chiarito che non si riscontra un’accordo tra i vari Autori, a partire dalla stessa definizione di qualità o dai metodi più opportuni per procedere ad una sua misurazione.

A differenza di ciò che è successo nel campo del controllo della qualità dei prodotti industriali, nel quale sono stati approntati una serie di metodi statistici, ormai consolidati, basati sulla valutazione di elementi tangibili, nei servizi manca ancora uno schema di riferimento universalmente accettato. Lo sviluppo di approcci e metodologie di controllo della qualità ha dovuto scontare delle limitazioni dovute, oltre che alla complessità della misurazione delle caratteristiche proprie di un servizio, spesso intangibili, anche alla grande diversità tra i convincimenti di base circa che cosa sia effettivamente la qualità nei servizi. Infatti, se alcuni sostengono l’opportunità di mutuare le tecniche già impiegate per la misurazione della qualità dei prodotti ritenendo, quindi, che sia corretto concentrare l’attenzione su chi eroga il servizio piuttosto che considerare ciò che il cliente percepisce, altri hanno, addirittura, asserito che la qualità dei servizi, poiché non valutabile quantitativamente, non sia affatto misurabile (Negro, 1995).

Indipendentemente dalle difficoltà connesse alla valutazione e stima della qualità nei servizi, occorre chiarire che i benefici potenzialmente derivanti sarebbero molto elevati. Il presente articolo intende proporre e descrivere alcune tecniche di indagine e metodi di stima della qualità nei servizi, ponendo particolare attenzione alla famiglia dei modelli a scelta discreta.

Il paragrafo 2 introduce il problema della qualità, della sua definizione, evoluzione nel tempo e caratterizzazione basata sulle differenze ed analogie tra prodotti e servizi. Segue una sintetica descrizione tripartita delle diverse interpretazioni del concetto di qualità. Tre sono i modi di intendere la qualità: ingegneristica, aziendale ed economica. Discendono da tali concezioni diversi approcci e suggerimenti in quanto ai metodi di

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misurazione. Il paragrafo 3 discute, in dettaglio, delle tecniche di indagine per la valutazione della qualità nei servizi, illustrando in particolare l’analisi congiunta delle preferenze “multi-attributi” mediante esperimenti di scelta in contesti ipotetici. Nel paragrafo 4 si esaminano i principali modelli a scelta discreta, modelli il cui impianto teorico poggia sull’assunto di Lancaster e sulla teoria dell’utilità casuale (Lancaster, 1966; Thurnstone, 1927). Nel paragrafo 5 viene esposto un caso di studio nel settore dei trasporti, illustrando la procedura per la stima di un indice della qualità del servizio. Completano l’articolo le considerazioni finali sugli argomenti trattati e le note bibliografiche.

2. Il problema della definizione della qualità La qualità costituisce un fattore strategico per conseguire il successo e la crescita di

un’azienda pubblica o privata. Che cosa si intende esattamente con qualità? La domanda non è banale vista la

moltitudine di definizioni utilizzate. La qualità è un concetto astratto che può essere definito o spiegato in diversi modi.

La gamma delle definizioni impiegate è molto ampia tanto che si va dalla “conformità alle specifiche o requisiti”, passando per l’“idoneità all’uso”, fino ad arrivare all’ampia sfera della “soddisfazione del cliente”.

Senza entrare nel merito di ciascuna definizione, si può affermare che la qualità è caratterizzata da una intrinseca multidimensionalità e dipende dal contesto specifico nel quale viene considerata (Lai, 2003). La sua natura multidimensionale è stata esplorata a fondo nella letteratura cercando di definire e di identificare la serie di dimensioni critiche che la caratterizzano.

Prima di analizzare la distinzione tra qualità nei servizi e qualità nei prodotti, è utile ripercorrere sinteticamente le tappe del processo di mutamento socio-economico che ha generato la graduale trasformazione del concetto di qualità.

2.1 Evoluzione del concetto di qualità nel tempo

Facciamo un passo indietro e occupiamoci dell’evoluzione nel tempo della visione del concetto di qualità.

Da un punto di vista storico, l’origine del concetto risale all’avvento della rivoluzione industriale; prima, infatti, la risorsa primaria era il suolo, la figura economica dominante il contadino, mentre le figure del “produttore” e del “consumatore” non esistevano nemmeno e, quindi, il problema della qualità non era particolarmente sentito. Con l’industrializzazione si determina un sistema economico caratterizzato da un forte squilibrio tra domanda e offerta a favore della prima. Il consumatore, in posizione dominata, non è sensibile alle caratteristiche di qualità dei prodotti e dei servizi ma trova la sua soddisfazione nella realizzazione di bisogni mai avvertiti in precedenza. Le imprese, nell’ottica di avviare una produzione sempre più massiccia, sono attente alla rilevazione di difetti o imperfezioni dei prodotti ricorrendo a metodi di controllo della qualità a valle del processo produttivo.

Successivamente, si assiste ad un progressivo ribaltamento dello squilibrio tra domanda e offerta, il consumatore diviene parte attiva che va conquistato e le imprese

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ampliano la definizione della qualità estendendola anche alla modalità di utilizzo del prodotto. La concorrenza nel mercato, poi, spinge le imprese al perseguimento dell’obiettivo dell’affidabilità del prodotto nel tempo, così da fidelizzare, anche grazie all’offerta di servizi di supporto al prodotto, il consumatore che ha ormai piena coscienza delle proprie necessità. Gestire la qualità in termini di soddisfazione del cliente diventa quindi una componente importante per garantire il successo dell’impresa. La fase di sviluppo del terziario segna l’ingresso definitivo dei servizi nel mondo della qualità, generando la necessità di un’operazionalizzazione del concetto di qualità del servizio.

2.2 La qualità nei prodotti e nei servizi

La distinzione tra qualità nei prodotti e nei servizi costituisce un’azione imprescindibile per elaborare un sistema di valutazione appropriato ed efficace. Le conoscenze sviluppate sulla qualità dei prodotti e le diverse tecniche utilizzate in questo ambito, come ad esempio le tradizionali “carte di controllo di Shewhart” (Montgomery, 1996), non sono sufficienti a garantire una corretta determinazione della qualità nei servizi. Il trasferimento indiscriminato al campo dei servizi di approcci e metodologie ideate e sviluppate per il settore manifatturiero, non solo risulterebbe limitante ma, addirittura, erroneo (Negro, 1995). Ciò è dovuto alle profonde differenze tra le caratteristiche peculiari dei prodotti e dei servizi. I principali elementi di distinzione riguardano:

- l’intangibilità, infatti mentre il prodotto ha caratteristiche fisiche ben identificabili e misurabili che permettono di stabilire le specifiche della qualità e verificare le conformità ai requisiti di progetto, il servizio è, per sua natura, immateriale e risulta, quindi, difficile definire opportunamente gli elementi da osservare e valutare;

- la contestualità, vale a dire l’inseparabilità tra il momento di produzione e quello di erogazione del servizio. La qualità si manifesta nel mentre il servizio viene prodotto/consumato ed il cliente costituisce una parte integrante del processo di consumo e, necessariamente, anche di quello di valutazione. Infatti, non sarebbe possibile valutare la qualità del servizio se non nel momento stesso in cui viene fornito. Ben diversa è la situazione nel caso dei prodotti che possono essere costruiti in un posto e controllati in un altro da persone completamente diverse;

- l’eterogeneità, determinata dall’incidenza del fattore umano. La qualità del servizio, in misura nettamente maggiore rispetto a quella del prodotto, viene fortemente influenzata dalle condizioni e dal contesto. Ciò deriva non soltanto dalle differenze riscontrabili tra clienti, ma anche da quelle caratterizzanti il comportamento di uno stesso cliente in momenti e contesti diversi. La stessa soggettività e variabilità è potenzialmente riscontrabile nell’erogatore del servizio. In altre parole, uno stesso servizio può, di volta in volta, essere domandato e, quindi, valutato in modo diverso e, allo stesso modo, essere offerto con modalità e risultati completamente dissimili (Franceschini, 2001).

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Le differenze evidenziate tra i beni ed i servizi impongono, in temini di definizione, misurazione e valutazione della qualità una necessaria separazione tra i metodi utilizzati per i primi e quelli impiegati per i secondi.

2.3 Le diverse visioni della qualità

È possibile individuare tre concezioni separate, anche se interconnesse, del concetto di qualità, vale a dire quella ingegneristica, quella aziendale e quella economica.

La concezione più strettamente ingegneristica si basa sull’idea di rispetto delle

specifiche, vale a dire della conformità del prodotto o servizio ai requisiti previsti dal

progettista ed alle procedure e norme previste dall’organizzazione che ha il compito di

controllare la qualità. Una volta stabilito il target di prestazione del prodotto o servizio

e le caratteristiche del sistema di produzione, se ne verifica l’uniformità con quanto

viene sviluppato e fornito, con l’obiettivo di evidenziarne tempestivamente eventuali

scostamenti ed attivare interventi correttivi. In questo caso si parla di qualità progettata

e prestata.

La concezione aziendale della qualità ne amplia il dominio estendendo la visione

strettamente connessa all’ambito intrinseco del prodotto o servizio sino a comprendere

anche quello organizzativo più in generale. La qualità, in questo caso, comprende,

infatti, tutte le attività aziendali che generano il prodotto o servizio (progettazione,

pianificazione, programmazione, erogazione, vendita, amministrazione) con l’intento

del controllo e del miglioramento continuo. Si parla, infatti, di filosofia manageriale

impostata al perseguimento della “Qualità Totale”.

La visione economica sposta completamente il riferimento sul cliente e l’obiettivo

primario diventa quello di individuarne i desideri, i bisogni ed i criteri di valutazione e

di giudizio. In questo ambito si privilegia l’analisi del comportamento degli individui,

attraverso lo schema interpretativo microeconomco che poggia sui concetti

fondamentali di utilità, scelta razionale e sovranità del consumatore.

Nel resto di questo lavoro si fa uso di questa chiave interpretativa della qualità e

verrà utilizzata per capire e misurare la qualità dei servizi.

3. Il problema della valutazione della qualità nei servizi Il problema della valutazione della qualità nei servizi è costituito principalmente

dalla determinazione del metodo di calcolo. Al fine di ottenere la stima della qualità nei

servizi, sono state sviluppate varie tecniche che, sebbene abbiano la caratteristica

comune di analizzare i giudizi del cliente, risultano differenti.

In un’ottica microeconomica che pone tra i suoi pilastri fondanti la sovranità del

consumatore non si può prescindere, nel processo di valutazione della qualità, da

un’attenta analisi dei meccanismi di scelta dei consumatori. La qualità deve essere

quindi indagata analizzando le scelte effettuate dai consumatori.

I principali metodi adottati in passato, invece, non prevedevano lo studio delle

scelte degli individui ma si basavano essenzialmente sulle loro percezioni e aspettative.

Il primo metodo ha preso spunto dal paradigma della “non-conferma”,

disconfirmation, usato tradizionalmente per la stima della soddisfazione del cliente.

Secondo tale approccio, la qualità di un servizio è il risultato della comparazione tra

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aspettative e percezioni delle prestazioni fornite (Oliver, 1980; Gronroos, 1982; Churchill e Surprenant, 1982; Parasuraman e altri, 1988). Lo strumento di calcolo maggiormente utilizzato a tale scopo è il cosiddetto SERVQUAL, introdotto per la prima volta da Parasuraman, Zeithaml e Berry (1988), che assume quale fondamento teorico la differenza tra qualità percepita e qualità attesa. Il SERVQUAL è una scala multi-item, ossia un questionario a più enunciati che, nella sua prima versione, è costituito da due scale identiche di 22 enunciati ciascuna, suddivisi in 5 dimensioni (elementi tangibili, affidabilità, capacità di risposta, capacità di rassicurazione, empatia) che rappresentano gli elementi essenziali della qualità di un generico servizio. La prima scala è utilizzata per identificare le attese, expectations (E), circa il livello del servizio, la seconda per giudicarne le prestazioni, performance (P). Gli intervistati, dunque, sono chiamati per ogni enunciato prima a definire, secondo una scala di tipo differenziale semantico a sette punti, ciò che si aspetterebbero da un servizio eccellente e poi a giudicare, mediante la stessa scala, ciò che è stato loro concretamente offerto. Questo modello intende fornire uno strumento di misurazione della qualità che possa essere applicato in forma generale nei diversi settori.

Nella seconda versione (Parasuraman e altri, 1991) viene aggiunta una sezione per la valutazione diretta dell’importanza di ciascuna dimensione, misurata attraverso la

ripartizione di 100 punti tra le 5 dimensioni. La qualità risultante non è altro che la

somma, ponderata per il peso delle dimensioni, delle distanze tra P ed E.

Un esempio di un enunciato della prima scala, vale a dire delle aspettative, è

riportato qui di seguito:

Il personale delle aziende eccellenti deve erogare il servizio ai clienti in maniera

tempestiva

1 2 3 4 5 6 7

Non sono

assolutamente

d’accordo

Sono

perfettamente

d’accordo

Lo stesso enunciato nella seconda scala è:

L’azienda in questione eroga prontamente il servizio

1 2 3 4 5 6 7

Non sono

assolutamente

d’accordo

Sono

perfettamente

d’accordo

Nonostante le molteplici applicazioni, tale strumento è stato anche ampiamente

criticato. I problemi associati al SERVQUAL possono essere raggruppati in tre

principali categorie: l’instabilità delle dimensioni, l’ambiguità dell’interpretazione delle

aspettative, l’inaffidabilità del punteggio differenziale. La prima categoria di critiche ha

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a che vedere sia con le modalità di ripartizione degli enunciati tra le varie dimensioni (Hebert, 1993; White e altri, 1994) sia con il fatto che enunciati poco rilevanti, appartenenti però a dimensioni con un forte peso, possano essere sovrastimate e viceversa (Landrum e Prybutok, 2004). Inoltre, l’utilizzo delle cinque dimensioni,

nonostante possa risultare appropriato per un servizio in un determinato settore, può

dimostrarsi inadeguato per un altro rendendo tale strumento inapplicabile

trasversalmente a tutti i contesti (Carman, 1990). La seconda categoria di critiche

concerne l’equivoca definizione di aspettative del cliente nella prima scala.

Quest’ultime possono venire interpretate come predizione di ciò che sarà il servizio,

come manifestazione dello standard ritenuto ideale o, infine, come rivelazione

dell’importanza degli enunciati (Teas, 1993). La terza categoria riunisce i problemi di

limitazioni della varianza, affidabilità e validità associati alla misurazione effettuata

con punteggio differenziale tra attese e percezioni (Peter e altri, 1993).

Cronin e Taylor (1992) sono i primi a suggerire un diverso approccio che non tenga

conto delle aspettative ma venga basato esclusivamente sulla percezione delle

prestazioni. In tal modo, alcune delle critiche sopra citate vengono superate, anche se

rimangono le limitazioni sulla pentadimensionalità del modello. Lo strumento da loro

proposto, SERVPERF, è molto simile al precedente (utilizza la stessa scala a 22 voci).

Il metodo, però, che riteniamo essere il più valido per la misurazione della qualità

dei servizi, sebbene prevalentemente destinato ad altre applicazioni, è quello che

prevede lo studio delle preferenze dei consumatori sulla base delle loro scelte. Questo

metodo è utilizzato in vari settori per la risoluzione di numerose problematiche: nel

marketing, per l’analisi dei prezzi di prodotti nuovi o già sul mercato; nei trasporti, per

l’analisi della domanda di trasporto merci e passengeri; nella sanità, per lo studio della

riduzione dei rischi (Danielis, 2003), ma sono poche le applicazioni specificatamente

mirate al tema della qualità (Hensher e altri, 2003; Prioni e Hensher, 2000; Swanson e

altri, 1997; Marcucci e altri, 2004).

La tecnica, a differenza di quelle descritte in precedenza, non prevede la

classificazione delle diverse voci del servizio su una scala di soddisfazione, bensì

un’analisi diretta delle scelte degli intervistati.

3.1 L’analisi delle preferenzeIl fondamento teorico su cui poggia l’analisi delle preferenze individuali è dato dal

paradigma di Lancaster (1966) e dalla teoria dell’utilità casuale, random utility theory

(RUT), originariamente proposta da Thurnstone (1927).

La teoria microeconomica del consumatore ha l’obiettivo di studiare il

comportamento degli individui, tentando di spiegare come vengono effettuate le scelte

di consumo sulla base delle preferenze che sono legate al concetto di utilità ricevuta. La

differenza rispetto alla teoria tradizionale ha a che vedere con il postulato secondo il

quale l’utilità del consumatore non dipende dal bene o servizio in sè bensì dalle sue

caratteristiche intrinseche. Sarà necessario, quindi, adottare metodi di indagine multi-

attributo in grado di incorporare le molteplici qualità intrinseche del bene o servizio

(Lancaster, 1966). La preferenza per un servizio è indiretta, esso risulta utile per gli

attributi da cui è formato.

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Nel paragrafo precedente sono state descritte alcune tecniche di valutazione della qualità del servizio basate sulla misura della soddisfazione attraverso scale. A questo punto è lecito chiedersi come interpretare un risultato prodotto da quelle tecniche in un contesto quale quello ora considerato. Ad esempio, se la risposta su una scala da 0 (= completamente insoddisfacente) a 10 (= completamente soddisfacente) fosse 6, che cosa significherebbe? Sarebbe un giudizio positivo o negativo? Per capire ed interpretare il comportamento di un individuo è necessario conoscere la teoria del processo che lo porta a dare quella determinata risposta (Louviere e altri, 2000).

La teoria sottostante il processo di formazione delle preferenze è quella dell’utilità

casuale. Secondo la RUT, il cliente ha una perfetta capacità di discriminazione, mentre

l’analista dispone di informazioni incomplete dovute, principalmente, all’impossibilità

di considerare tutti i fattori che influenzano la preferenza di un individuo. Ciò implica

che l’utilità è costituita da una componente sistematica e da una casuale. Definendo Uiq,

l’utilità dell’alternativa i percepita dall’individuo q, essa può essere così rappresentata

Uiq = Viq + iq [1]

come la somma della componente sistematica (Viq) e della componente casuale ( iq).

La componente sistematica viene espressa, senza perdita di generalità, come la

funzione lineare, nei parametri, delle variabili esplicative, vale a dire le caratteristiche o

gli attributi fondamentali del servizio

Vi = Xi [2]

dove è il vettore k-dimensionale dei coefficienti associati al vettore X delle k variabili

esplicative.

Chiamato C l’insieme dei servizi alternativi offerti ad un cliente, la RUT assume

che l’individuo darà la sua preferenza all’alternativa che fornisce l’utilità maggiore,

ossia

j i C, Uiq > Ujq (Viq + iq) > (Vjq + jq) (Viq - Vjq) > ( jq - iq) [3]

L’analista, non potendo osservare la differenza a secondo membro dell’ultima

disuguaglianza, non è in grado di indicare, in maniera deterministica, quando è valida

tale disuguaglianza e perciò ricorre ad un approccio probabilistico. Si può affermare,

quindi, che la probabilità che l’individuo q scelga l’alternativa i è data da

P(i|C) = P[( jq - iq) < (Viq - Vjq)] [4]

Per il calcolo basta definire la distribuzione statistica dell’errore casuale , come

vedremo successivamente nel paragrafo 4.

In sintesi, l’analisi delle preferenze dei clienti è un metodo che può servire a stimare

la qualità di un servizio. Grazie ai due principi cardine di questo approccio sopra

enunciati, è possibile affermare che il giudizio complessivo sulla qualità espresso dal

cliente deve passare necessariamente attraverso la valutazione, sulla base dell’utilità

percepita, degli attributi che caratterizzano il servizio. Una volta individuato il peso di

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ciascun attributo, si è in grado di determinare il valore della qualità del servizio offerto ed inoltre di conoscere come questa varia al variare dei livelli degli attributi.

3.1.1 La tecnica dell’analisi congiunta basata sulle scelte

Gli economisti sono generalmente scettici circa la rappresentatività e significatività delle dichiarazioni dei consumatori riguardo ai loro futuri effettivi comportamenti. Proprio per questa ragione gli economisti preferiscono osservare direttamente l’effettivo comportamento dei consumatori. In questo caso si parla di dati di preferenze

rivelate, revealed preferences (RP).

Quando, invece, l’analisi è basata su questionari attraverso cui gli intervistati

esplicitano le proprie preferenze tra alternative ipotetiche, allora si parla di dati di

preferenze dichiarate, stated preferences (SP).

I vantaggi di un’analisi SP sono ascrivibili: alla possibilità di testare l’importanza di

tutti gli attributi che si ritengono interessanti (nelle indagini RP si possono valutare

solamente gli attributi esistenti); all’opportunità di sottoporre a giudizio qualsivoglia

livello degli attributi (i livelli osservati sul mercato hanno generalmente una variabilità

ridotta); alla possibilità di non avere o almeno di controllare la correlazione tra gli

attributi (sul mercato tale correlazione è elevata); al costo inferiore di acquisizione dei

dati sia in termini di tempo sia di denaro (Louviere e altri, 2000).

Una preferenza può essere espressa in tre modi diversi: la scelta di un profilo di

servizio tra due o più alternative, choice; l’ordinamento di tutti i profili osservati,

ranking; l’assegnazione di un voto di preferenza a ciascun profilo, rating (Louviere,

1988). La decisione circa la modalità di preferenza da adottare dipende principalmente

dal numero di attributi e di livelli degli attributi che si vogliono indagare; infatti,

all’aumentare di questi, cresce necessariamente il numero di profili di servizio

alternativi da testare, determinando così un più alto livello di difficoltà ed uno sforzo

cognitivo maggiore per l’individuo. In tali casi, è più opportuno impiegare la modalità

choice che, sebbene meno informativa rispetto alle altre, risulta essere più facile e

veloce da attuare per l’individuo (Ortuzar e Garrido, 1994). La modalità choice è da

preferire soprattutto perchè è la più realistica: in un contesto di acquisto di un servizio

sul mercato, infatti, il cliente, dopo aver valutato le possibili alternative, opera una

scelta.

La tecnica che appare più opportuno utilizzare per la stima della qualità dei servizi è

l’analisi congiunta basata sulle scelte, conjoint based-choice analysis (CBC), che

prevede la somministrazione ad un campione di individui di una serie di esercizi di

scelta nei quali sono presenti due o più profili di servizio, vale a dire combinazioni dei

livelli degli attributi controllate attraverso il disegno degli esperimenti (Louviere e

altri, 2000), e per i quali gli intervistati sono chiamati a scegliere l’alternativa preferita.

In tal modo è possibile stimare il peso di ciascun attributo del servizio e, combinandolo

con i dati RP, che si riferiscono ai livelli attuali degli attributi del servizio offerto,

ottenere un indicatore della qualità del servizio nel suo complesso. La combinazione

delle due fonti di dati non è semplice e diretta poiché va considerato il diverso fattore

di scala (Hensher e altri, 1999).

Le principali fasi funzionali per la realizzazione di una tale indagine sono: la

selezione degli attributi rilevanti, l’assegnazione dei relativi livelli, la scelta del disegno

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sperimentale e l’individuazione della più opportuna strategia di disegno per la costruzione degli esercizi di scelta (Louviere e altri, 2000; Bateman e altri, 2002).

4. I modelli a scelta discreta Finora, abbiamo analizzato e descritto i fondamenti teorici del metodo CBC ed

abbiamo affermato che tale sistema ci consente di stimare la qualità dei servizi. Si procede ora ad illustrare la modellizzazione dei dati ottenuti con la tecnica CBC tramite una rassegna dei modelli a scelta discreta, così denominati poiché agli individui è richiesto di operare scelte tra una serie finita di alternative.

Per derivare modelli operativi dalla funzione di utilità occorre specificare la distribuzione congiunta degli errori j nell’equazione [4]. L’obiettivo è quello di stimare la significatività delle determinanti di V, vale a dire del vettore dei parametri associati al vettore delle variabili esplicative. Assunzioni diverse, generano diversi modelli probabilistici di scelta che richiedono particolari tecniche statistiche per la stima dei parametri. Tra le più importanti citiamo: il metodo della massima verosimiglianza, maximum likelihood estimation, che è il più usato; il metodo full

information maximum likelihood; Pseudo-Monte Carlo; Quasi-Monte Carlo; cubature; Gaussian quadrature e Bayesian estimation (Bhat, 2003; Louviere e altri, 2000).

Dai risultati del modello è possibile ricavare preziose informazioni riguardo la valutazione del peso degli attributi. Si potranno stimare le utilità marginali, l’elasticità (Greene, 2002) e calcolare sia la disponibilità degli individui a pagare per ottenere un determinato livello di un attributo che accresca la loro utilità, (willingness to pay, WTP) sia la disponibilità ad accettare un livello di un attributo che riduca la loro utilità (willingness to accept, WTA) (Bateman e altri, 2002). Tutto ciò non servirà solamente ad identificare il livello di qualità prodotto dal servizio, ma contribuirà anche alla comprensione degli interventi da attuare per produrre un miglioramento della qualità.

4.1 Il modello di riferimento nelle applicazioni: il Multinomial Logit

Il Multinomial Logit (MNL) è il più popolare all’interno della famiglia dei modelli a

scelta discreta, ed è utilizzato come base di confronto. Il MNL si fonda sull’assunzione

che gli errori sono indipendenti ed identicamente distribuiti (IID) con distribuzione type

1 extreme-value (EV1), anche detta GUMBEL

GUMBEL( , ) f( ) = e- ( - ) exp[-e- ( - )] [5]

dove è il parametro di localizzazione e è il parametro di scala.

La probabiltà che un dato individuo q scelga il profilo i tra l’insieme delle

alternative C è dato, dunque, da:

P(i|C) = e Viq / j C e Vjq [6]

Comunemente si definisce in modo arbitrario =1, assunzione che in molti casi non

ha particolari implicazioni, anche se è bene non ignorarne l’esistenza (Bierlaire, 1997),

ottenendo l’espressione classica del modello MLN

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P(i|C) = e Viq / j C e Vjq [7]

Le ipotesi di fondo di tale modello sono: l’indipendenza degli errori, secondo la

quale non ci sono fattori inosservati comuni che incidono in maniera diversa sulle

utilità delle alternative (propr.1); l’ipotesi di distribuzione identica degli errori, secondo

la quale fattori inosservati comuni che incidono sulle utilità presentano una stessa

variazione tra le alternative (propr.2); l’omogeneità tra gli individui nella sensibilità

verso gli attributi; si assume, in altre parole, che non vi sia variabilità delle preferenze

rispetto a specifici attributi spiegabili tramite caratteristiche inosservate degli individui

(propr.3); la struttura della matrice di varianza-covarianza degli errori delle alternative

è identica per ciascun individuo (propr.4) (Bhat, 2003).

Una proprietà importante che scaturisce dalle ipotesi formulate è quella

dell’indipendenza ed irrilevanza delle alternative (IIA), secondo la quale il rapporto tra

le probabilità di scelta di due alternative è indipendente dall’esercizio di scelta o, in

modo equivalente, che tale rapporto non è influenzato dall’utilità sistematica di

qualunque altra alternativa (Ben-Akiva e Lerman, 1985). L’esempio tradizionale è

quello cosiddetto del paradosso dell’autobus blu e rosso analizzato in un contesto di

scelta modale nei trasporti. Si consideri la scelta tra autobus blu, autobus rosso e

macchina e si supponga che le probabilità di scegliere le tre alternative siano uguali,

P(blu)=1/3, P(rosso)=1/3 e P(macchina)=1/3. Se l’autobus rosso è fuori servizio,

essendo strettamente complementare a quello blu, ci si aspetta che P(blu)=2/3 e

P(macchina)=1/3, mentre l’IIA implica che P(blu)=1/2 e P(macchina)=1/2.

La popolarità del MNL è dovuta sia alla comoda accessibilità ai pacchetti statistici,

sia al fatto che si tratta di un modello in forma chiusa per cui risulta facile ottenere

stime, test di bontà e test predittivi senza dover ricorrere a complessi calcoli di integrali

(Louviere e altri, 2000).

4.2 I modelli più appropriati ai diversi contestiL’assunzione di IIA precedentemente descritta può, in alcuni casi, risultare una

limitazione alla formulazione realistica del problema in esame. In diverse applicazioni

pratiche, infatti, tale ipotesi viene violata rendendo necessaria la specificazione di

modelli alternativi che prevedano ipotesi differenti rispetto a quelle su cui poggia il

MNL.

Nel caso di applicazioni in cui ci sono attributi non-osservati che hanno una diversa

variabilità tra le alternative è opportuno ricorrere alla classe di modelli denominati

Heteroskedastic models in cui si rinuncia all’ipotesi di identica distribuzione degli

errori. Nel campo dei trasporti, ad esempio, se la scelta modale va effettuata tra treno e

macchina e la caratteristica non-osservata è il “comfort”, si può supporre che tale

attributo vari molto per il treno, a seconda del grado di affollamento e del percorso del

mezzo, e meno per la macchina (Bhat, 2003). Il modello più famoso è

l’Heteroskedastic Extreme Value (HEV) formulato da Bhat (1995) che assume che gli

errori seguano la distribuzione EV1 permettendo alla varianza degli errori di risultare

differente tra le alternative.

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In situazioni dove l’utilità derivante da un fattore non-osservato è diversa tra le alternative, ci si avvale della cosiddetta classe di modelli Generalized Extreme Value (GEV) derivata da Mc Fadden (1978) in cui viene meno l’ipotesi di indipendenza degli errori. Riprendendo l’esempio precedente, se si ipotizza che il fattore non-osservato è l’“opportunità di socializzare”, allora lo stesso fattore produrrebbe per l’intervistato una maggiore utilità nel caso del treno rispetto alla macchina. Rientra in questa classe il modello Nested Logit (NL) proposto da Ben-Akiva (1973), applicabile quando le alternative possono essere raggruppate in modo naturale in due o più gruppi. Le alternative hanno caratteristiche simili all’interno di ogni gruppo e diverse rispetto alle alternative degli altri gruppi. Tale modello, basato ancora sull’assunzione che gli errori si distribuiscano EV1, rinuncia all’ipotesi IID tra i gruppi anche se viene mantenuta quando si considerano le alternative disponibili all’interno di ogni gruppo. In questo modo si supera anche il problema derivante dall’ipotesi IIA. La popolarità del modello NL deriva essenzialmente dalla sua somiglianza con il modello MNL e, quindi, dalla relativa facilità di stima dei parametri (Hensher e Greene, 2002).

Nei casi in cui oltre alle ipotesi IIA e IID si voglia rimuovere anche la propr.3 del MNL, allora è indispensabile impiegare una terza classe di modelli, chiamati flexible

structure models. Ad esempio, sempre nel campo dei trasporti, se l’attributo considerato fosse “durata del viaggio” si potrebbe presumere che la sua valutazione possa dipendere da caratteristiche non-osservate degli intervistati; alcuni individui, infatti, per loro natura, potrebbero essere più attenti di altri alla durata del viaggio. I modelli più flessibili sono i Random Parameters Logit (RPL) o Mixed Logit (ML). Tale famiglia di modelli costituisce un’estensione del MNL, si utilizzano distribuzioni casuali dei parametri per descrivere la variabilità tra i vari intervistati, permettendo così di calcolare medie e varianze individuali oltre che di studiarne la correlazione (Mc Fadden e Train, 2000). Un modello alternativo altrettanto flessibile è il Multinomial

Probit (MNP), dove si ipotizza che gli errori seguano la distribuzione Gaussiana. Tale modello, però, resta poco applicato a causa dell’alta complessità di calcolo degli integrali multinormali richiesti per la stima dei parametri (Louviere e altri, 2000). Altri tentativi per ovviare a questo problema ed ottenere, quindi, stime corrette ed affidabili sono: includere variabili socio-economiche nella funzione di utilità facendo interagire le caratteristiche specifiche degli intervistati con gli attributi del servizio; stratificare la popolazione in vari segmenti e approntare l’analisi separatamente per ciascun segmento; utilizzare i modelli Latent Class (LC), che forniscono un’approssimazione semi-parametrica dei modelli ML poiché i parametri seguono una distribuzione discreta anzichè continua. Per la prima strategia, occorre tener presente che la selezione a priori delle variabili che determinano l’eterogeneità e del numero di interazioni potrebbe limitarne l’efficacia. Esistono aspetti critici anche per il secondo approccio. Infatti, i criteri di segmentazione devono essere pre-definiti e le osservazioni disponibili per ogni segmento potrebbero essere insufficienti. Per quanto riguarda il terzo tentativo, Greene ed Hensher (2003) fanno notare che i modelli LC e ML sono entrambi utili per studiare l’eterogeneità anche se non è possibile affermare che l’uno sia sempre migliore dell’altro.

In alcune circostanze può non essere valida l’ipotesi per cui la varianza degli errori delle alternative sia la stessa tra gli individui. Nell’esempio dei trasporti, gli individui

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potrebbero venire intervistati lungo due tragitti distinti, serviti da veicoli caratterizzati da condizioni di comfort molto diverse, ecc. In questi casi, partendo da un qualunque modello a scelta discreta, si può abbandonare la propr.4 parametrizzando la struttura delle varianze e covarianze degli errori come funzione di attributi individuali (Bhat, 2003).

Da quanto esposto in questo paragrafo, risulta evidente che per ricavare una stima affidabile della qualità di un servizio occorre, da parte dell’analista, disporre di una profonda conoscenza del problema oggetto dell’analisi, così da adottare il modello più appropriato.

5. Un caso di studio nel settore dei trasporti In questo paragrafo si propone una rilettura critica di un caso di studio condotto da

Hensher, Stopher e Bullock (2003) con riferimento al trasporto passeggeri urbano ed extra urbano nel New South Wales (Australia). Tale applicazione costituisce un perfezionamento di un’indagine pilota svolta dall’Institute of Transport Studies (ITS) nel 1999. Lo studio, sulla base della metodologia SP e del modello MNL, mirava al calcolo di un indice globale della qualità del servizio e, contemporaneamente, ad individuare gli attributi del servizio che erano maggiormente in grado di influenzare la soddisfazione del cliente. I principali cambiamenti rispetto all’indagine pilota dell’ITS hanno riguardato la segmentazione dell’area geografica analizzata, una nuova strategia di campionamento e l’utilizzo di un modello più adatto. Due operatori del servizio, uno pubblico e uno privato, sono stati invitati a partecipare allo studio.

5.1 Un esempio di stima di un indice della qualità del servizio

Le fasi principali di un’indagine basata sull’approccio SP si possono così riassumere: definizione dell’obiettivo; selezione degli attributi ed assegnazione dei livelli; combinazione dei livelli per la configurazione delle alternative e costruzione degli esercizi di scelta (disegno degli esperimenti); definizione del campione; scelta del tipo di questionario; somministrazione del questionario; acquisizione dei dati; stima del modello ed analisi dei risultati (Bateman e altri, 2002).

Nel paragrafo precedente è stato chiarito l’obiettivo dello studio in questione, ora procediamo con l’illustrazione delle altre fasi. I 13 attributi utilizzati per descrivere la qualità del servizio sono stati selezionati sulla base delle indicazioni presenti in letteratura, dello studio pilota condotto e di un questionario somministrato agli operatori del servizio. I 3 livelli individuati per ciascun attributo sono stati definiti assieme agli operatori che hanno suggerito dei valori realistici.

È stata utilizzata la tecnica del fractional factorial design per la combinazione dei livelli degli attributi e la successiva determinazione di 81 esercizi di scelta. Avendo deciso di sottoporre ogni intervistato a 3 esercizi esercizi di scelta, sono stati preparati 27 questionari distinti.

Una volta definiti i 9 segmenti proposti dai due operatori, il piano di campionamento a tre stadi ha previsto: l’estrazione di un campione di rotte per ciascun segmento; l’estrazione di un campione di corse tra le rotte campionate; il censimento degli individui a bordo delle corse selezionate. Sono stati distribuiti, principalmente

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nelle ore di punta, 500 questionari in ciascuno dei 9 segmenti per un totale di 4500 questionari.

I questionari, di tipo cartaceo, consistevano in due sezioni: la prima, caratterizzata da 25 domande sulle caratteristiche socio-economiche dell’intervistato (età, sesso, reddito) e sul viaggio in corso (ad esempio è stato chiesto all’intervistato il costo del biglietto; la durata del viaggio; se fosse stato seduto per tutto il viaggio, solo in parte o per niente; se la temperatura a bordo fosse stata giusta, troppo bassa o troppo alta), forniva i dati RP; la seconda, costituita da 3 esercizi di scelta, forniva i dati SP. In quest’ultima sezione, gli intervistati venivano invitati a scegliere il profilo descrittivo del servizio di trasporto offerto tra 3 alternative, due ipotetiche ed una corrispondente al viaggio attuale. Di tutti i questionari distribuiti, sono stati utilizzati solamente i dati provenienti da questionari completi o da quelli in cui, oltre alla prima parte, era stato risposto ad almeno un esercizio SP (per un totale di 1478 questionari). I questionari sono stati somministrati a bordo.

Per identificare l’importanza di ciascun attributo è stato impiegato il modello NL. Con la somma dei prodotti tra i pesi degli attributi ed i valori RP di tali attributi è stato possibile definire l’indice di qualità del servizio, Service Quality Index (SQI), per ciascun individuo. L’SQI di un segmento è stato calcolato come la media degli SQI degli intervistati di quel segmento.

5.2 L’SQI di Hensher: osservazioni critiche e problemi aperti

In questo paragrafo si propongono alcune osservazioni riguardo allo studio descritto nel paragrafo precedente. Si mettono in luce: motivazioni plausibili di alcune scelte degli Autori, considerazioni critiche, questioni tecniche e problematiche non risolte.

La prima considerazione riguarda i motivi che hanno spinto gli Autori ad effettuare un’indagine che fosse migliorativa rispetto alla precedente, stratificando l’area di studio in 9 segmenti. Si può supporre che tale esigenza sia nata principalmente dal fatto che l’area sotto osservazione fosse così ampia che l’importanza degli attributi potesse risultare significativamente diversa da zona a zona.

La motivazione dell’utilizzo della tecnica del fractional factorial design discende dalla possibilità di ridurre il numero di profili senza perdere informazioni statistiche rilevanti. Ogni combinazione dei livelli degli attributi descrive un profilo unico. Tutti i possibili profili che si possono creare da un particolare set di attributi e livelli provengono dalla combinazione fattoriale di questi ultimi. Un disegno degli esperimenti così realizzato si definisce full factorial design. In questo modo si riescono a stimare gli effetti diretti degli attributi e tutte le loro possibili interazioni. Spesso, però, nelle applicazioni pratiche si preferisce l’impiego del fractional factorial design ossia un particolare sottoinsieme del full factorial design che genera un numero nettamente inferiore di profili assicurando tuttavia la stima degli effetti diretti. La preferenza verso questa tecnica deriva dal fatto che, solitamente, la maggior parte degli effetti incrociati degli attributi non sono di grande interesse e molti dei profili originati non sono, comunque, realistici (Louviere e altri, 2000). Nello studio in questione, con 13 attributi e 3 livelli, qualora si fosse usato il full factorial design si sarebbero generati

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313 = 1.594.323 profili con una conseguente difficoltà nella raccolta delle osservazioni per la stima di tutti gli effetti.

Per quanto riguarda il modello impiegato, è da sottolineare che l’utilizzo di MNL distinti per ciascun segmento non avrebbe permesso la comparazione dei risultati tra i diversi segmenti, non consentendo più di perseguire uno degli obiettivi principali dello studio. Ogni modello stimato separatamente, infatti, ha un differente fattore di scala che incide sul peso degli attributi come descritto nel paragrafo 4.1, per cui se si vogliono paragonare i coefficienti di due modelli distinti è necessario prima normalizzarli per il fattore di scala. Da quanto detto, occorre fondere i dati in un unico modello tenendo presente il problema dei fattori di scala. La procedura corretta, quella seguita dagli Autori, consiste nell’adottare una struttura NL come escamotage per stimare contemporaneamente parametri e fattori di scala di ciascun segmento. Successivamente si procede alla normalizzazione del fattore di scala di un segmento ponendolo pari ad 1, lasciando gli altri liberi di variare (Hensher e Bradley, 1993). La struttura ad albero prevedeva 9 rami (segmenti) ciascuno avente 3 sottorami (i profili nell’esercizio di scelta), per un totale di 27 alternative. Ogni intervistato forniva informazioni relative ad un determinato ramo. Tale struttura ha scarsa valenza comportamentale e costituisce per lo più un artificio statitstico in grado di affrontare il problema (Louviere e altri, 2000, p. 242).

L’individuazione di realistici livelli degli attributi, resa possibile grazie alle indicazioni degli operatori del servizio, è da ritenersi fondamentale. Se questa caratteristica venisse meno, infatti, gli intervistati si troverebbero a confrontare livelli al di fuori della loro esperienza personale e difficilmente immaginabili, così da fornire risposte inappropriate o scarsamente informative (Louviere e altri, 2000).

Vengono evidenziati, ora, alcuni aspetti critici. Una questione rilevante riguarda la numerosità degli attributi considerati (13). Infatti, sebbene sia corretto il procedimento adottato per individuare gli attributi di qualità più importanti sulla base di focus group, studi pilota e della letteratura, si sottolinea anche che, di norma, si utilizza un numero di attributi non superiore a 5 (Aaker e Day, 1990). Questo perchè all’aumentare degli attributi e/o dei loro livelli cresce anche il numero di profili necessari per la stima del modello e, conseguentemente, aumenta la difficoltà nel rispondere al questionario, con una contestuale riduzione della qualità delle informazioni ottenute. Infatti, l’affaticamento che ne deriverebbe potrebbe spingere l’intervistato ad adottare una strategia di decisione semplicistica (Arentze e altri, 2003). Esiste, dunque, un problema connesso alla quantità di attributi da memorizzare e livelli da comparare; in questo caso è verosimile ipotizzare che le scelte possano essere state prese solamente o prevalentemente sulla base di uno o due attributi che l’intervistato reputa più importanti prescindendo, in buona sostanza, dagli altri. É da notare, tuttavia, che gli Autori non specificano se hanno impiegato esperimenti di scelta full o partial profile in cui i profili sono caratterizzati, rispettivamente, da tutti o solo da una parte degli attributi. L’utilizzo del partial profile garantisce la riduzione del numero di attributi da confrontare in ogni singolo esperimento di scelta, rendendo più semplice l’operazione ed assicurando così una più elevata affidabilità delle risposte. Tradizionalmente, però, è il full profile ad essere impiegato sia per la maggiore quantità di informazioni che si

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raccolgono, sia perchè usando tutti gli attributi contemporaneamente la descrizione dei profili di scelta diventa più realistica.

Un’altra causa di affaticamento può derivare dal numero di profili alternativi che l’intervistato deve valutare. Lo studio in discussione, però, non presenta tale problema: 9 infatti è un numero accettabile di profili da vagliare, dato che è stato dimostrato che gli intervistati riescono a giudicare fino a 24 alternative senza distrarsi (Swait e Adamowicz, 2001).

Un’ulteriore critica concerne il numero di esercizi di scelta presentati ad ogni intervistato. Questo risulta così esiguo che per un’adeguata raccolta di informazioni è stato necessario intervistare un numero elevato di individui, rendendo ancor più dubbia l’ipotesi di omogeneità tra gli intervistati di ciascun segmento. Questa strategia, inoltre, non ha consentito l’utilizzo di esercizi di scelta mirati alla verifica dell’affidabilità delle risposte. Il problema in questione potrebbe essere affrontato inserendo in un esercizio di scelta tre profili: attuale, dominato e dominante. Il primo è caratterizzato dai livelli correnti degli attributi; il secondo da quelli meno soddisfacenti; il terzo da quelli migliori. In tal modo, le risposte degli intervistati che non scelgono correttamente il servizio dominante potrebbero essere escluse dal campione assicurando una maggiore attendibilità dei risultati ottenuti (Marcucci e altri, 2004).

Si mettono in evidenza, adesso, alcune questioni tecniche. La prima è legata alla modalità di somministrazione del questionario. Dai risultati dell’analisi emerge che la quasi totalità degli intervistati ha avuto un posto a sedere per l’intero viaggio. Ciò potrebbe suggerire che i passeggeri in piedi abbiano trovato difficoltà nel completare il questionario o che si siano rifiutati di riempirlo. Se così fosse, si avrebbe uno sbilanciamento campionario con conseguente distorsione dei risultati ottenuti.

Un’altro problema deriva dall’acquisizione dei dati così come previsto nella fase di campionamento: gli stessi Autori evidenziano come sia nelle ore di punta, a causa dell’affollamento degli autobus, sia nel resto della giornata, a causa della scarsità delle persone a bordo e dell’alto tasso di rifiuto degli intervistati anziani, non sia stata possibile la distribuzione programmata dei questionari. La non rappresentatività del campione e le possibili distorsioni causate dalle modalità di somministrazione del questionario rimangono problemi irrisolti.

Da notare, infine, che i dati relativi a ciascun segmento provengono da due operatori distinti, quindi se si volesse calcolare l’SQI per ciascun operatore si dovrebbe ristimare il modello prendendo in esame solamente i dati di quell’operatore senza tener conto della segmentazione.

I risultati raggiunti dallo studio di Hensher, Stopher e Bullock (2003) hanno reso possibile l’individuazione degli attributi significativi, il relativo peso e il loro contributo all’SQI per ciascun segmento. L’applicazione è un esempio di come sia possibile stimare la qualità di un servizio sulla base della tecnica CBC. Grazie alla CBC si è in grado, inoltre, di analizzare il comportamento dei clienti, identificare gli attributi che l’operatore del servizio deve potenziare ed individuare la politica che renda il servizio più attraente.

6. Considerazioni conclusive

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Questo articolo ha messo in evidenza l’esigenza di applicare una metodologia appropriata per la valutazione della qualità nei servizi. Tale necessità nasce dall’impossibilità di importare le tecniche largamente usate nell’industria manifatturiera nel settore dei servizi; impossibilità causata dalle profonde differenze intrinseche caratterizzanti il servizio rispetto al prodotto industriale.

Dopo aver tracciato il percorso evolutivo del concetto di qualità nel tempo ed aver definito la qualità sulla base di una visione economica, che pone il cliente in posizione centrale, sono stati descritti, sinteticamente, tre diversi metodi per la misurazione della qualità. Una volta mostrate le debolezze e le incongruenze caratterizzanti gli approcci più diffusi, si è argomentata l’opportunità di adottare le tecniche CBC, già ampiamente utilizzate per obiettivi diversi, per la stima della qualità nei servizi. È stata messa in risalto la logica su cui poggia tale tecnica ed il funzionamento dei relativi modelli a scelta discreta, ponendo particolare attenzione all’impiego del modello più idoneo al contesto di studio.

L’illustrazione di un’applicazione relativa al settore dei trasporti è servita, poi, a dimostrare come si possa ottenere un indice della qualità di un servizio sulla base della tecnica CBC, sottolineando i possibili risultati a cui si può giungere.

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