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167 «Di greco in latino». Considerazioni sull’ underdrawing di Giotto, come modello mentale Roberto Bellucci, Cecilia Frosinini «… essendo il disegno e l’invenzione il padre e la madre di tutte queste arti e non d’una sola» (Giorgio Vasari, Vita di Giotto) Fin dal nascere della leggenda giottesca 1 – la sistematica creazione del mito dell’ingegno primi- genio alle radici della pittura occidentale rinata – la straordinaria abilità disegnativa del maestro fu argomento centrale e fondante. La sublime sprez- zatura, secondo la pregnante definizione datane da Serena Romano 2 , del racconto della “O” come ci è stato tramandato da Vasari in poi («con un pennel- lo che egli aveva in mano tinto di rosso, fermato il braccio al fianco per farne compasso e girato la mano, fece un tondo sì pari di sesto e di proffilo, che fu a vederlo una maraviglia grandissima») 3 non è, ovviamente solo paradigma della superiorità di Giotto nei confronti del mondo medievale che con lui, irrimediabilmente e recisamente, «rimutò … di greco in latino e ridusse al moderno» 4 , ma è anche l’eco di una tradizione ben precisa sulla sua abilità e maestria tecnica. Non è nota la fonte dalla quale Vasari deriva l’apologo della “O” 5 . E anche se la rivisitazione di una tradizione classica non può mai essere esclu- sa, nel momento in cui si vengono a costruire cor- pose biografie di personaggi che evidentemente assumono connotati cittadini, politici e culturali quasi sovrumani, Vasari aggiunge al racconto un particolare interessante: il riferimento ad un pro- verbio popolare («Tu sei più tondo che l’O di Giot- to»). Questo dato sembrerebbe quindi confermare non solo l’autenticità dell’aneddoto, ma anche la conoscenza diffusa che se ne era avuto in Firenze, se su questo si era venuto a creare anche un fram- mento di saggezza popolare, in forma di canzona- tura (come è tipico della fiorentinità). Si può quindi sostenere che insieme all’autenticità dell’episodio, la sua diffusione (e volgarizzazione) ne conservas- se la motivazione originale per cui lo si conosceva: l’esaltazione della contrapposizione tra popolano e nobile e la validazione della superiorità del primo sul secondo in virtù della tecnica specialissima. La tradizione di una competenza tecnica spe- cialissima nel disegno da parte di Giotto sta all’ori- gine del costituirsi della tradizione artistica fio- rentina, in modo che appare logico e concatenato. Intorno a Giotto, in un modo che ancora aspetta di essere completamente chiarito dal punto di vista “politico”, il sistema corporativo della repubblica fiorentina crea, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, l’Arte dei dipintori, affiliata all’Arte dei Medici e degli Speziali. I pittori, dunque, per po- ter essere incorporati ad una delle Arti Maggiori vengono annoverati come speziali «qui emunt, ven- dunt et operantur….colores» 6 . La data esatta della costituzione della sottocorporazione dei dipintori non è nota (e sarebbe in realtà antistorico anche cercarne una) 7 ; esiste uno statuto (considerato il primo, ma forse solo il più antico giunto a noi) del novembre 1315, in aggiunta agli statuti dell’Arte dei Medici e Speziali approvati l’anno precedente 8 . Ma a integrazione di questo esistono trascrizioni antiche di perduti registri di immatricolazione che riportano iscritti all’Arte dei pittori anche in data anteriore allo statuto del 1315, per lo meno a partire dall’anno 1297 9 . In particolare, riguardo a Giotto e alla costruzione della sua immagine come fondan- te la tradizione artistica fiorentina, è importante, fra questi registri di trascrizioni delle matricole, il codice 7 dell’Archivio dell’Arte dei Medici e Spe- ziali, conservato all’Archivio di Stato di Firenze. Si tratta di una compilazione delle matricole più an- tiche, sotto forma di uno spoglio in ordine alfabe- tico. Il redattore, però, per quanto riguarda i primi nomi inseriti nell’elenco, ha certamente compiuto un’operazione forte di tipo ricostruttivo, elencan- do coloro che, al momento in cui scrive, sono ormai riconosciuti come i capostipiti dell’arte fiorentina. Questa compilazione fa riferimento ad un perdu- to libro delle matricole, del quale si specifica che era in uso nel 1312. Il nome di Giotto era il primo

"Di Greco in Latino". Considerazioni sull’underdrawing di Giotto come modello mentale, in L’officina di Giotto. Il restauro della Croce di Ognissanti, edited by M. Ciatti, Florence

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«Di greco in latino».Considerazioni sull’underdrawing di Giotto, come modello mentaleRoberto Bellucci, Cecilia Frosinini

«… essendo il disegno e l’invenzione il padre e la madre di tutte queste arti e non d’una sola» (Giorgio Vasari, Vita di Giotto)

Fin dal nascere della leggenda giottesca 1 – la sistematica creazione del mito dell’ingegno primi-genio alle radici della pittura occidentale rinata – la straordinaria abilità disegnativa del maestro fu argomento centrale e fondante. La sublime sprez-zatura, secondo la pregnante definizione datane da Serena Romano 2, del racconto della “O” come ci è stato tramandato da Vasari in poi («con un pennel-lo che egli aveva in mano tinto di rosso, fermato il braccio al fianco per farne compasso e girato la mano, fece un tondo sì pari di sesto e di proffilo, che fu a vederlo una maraviglia grandissima») 3 non è, ovviamente solo paradigma della superiorità di Giotto nei confronti del mondo medievale che con lui, irrimediabilmente e recisamente, «rimutò … di greco in latino e ridusse al moderno» 4, ma è anche l’eco di una tradizione ben precisa sulla sua abilità e maestria tecnica.

Non è nota la fonte dalla quale Vasari deriva l’apologo della “O” 5. E anche se la rivisitazione di una tradizione classica non può mai essere esclu-sa, nel momento in cui si vengono a costruire cor-pose biografie di personaggi che evidentemente assumono connotati cittadini, politici e culturali quasi sovrumani, Vasari aggiunge al racconto un particolare interessante: il riferimento ad un pro-verbio popolare («Tu sei più tondo che l’O di Giot-to»). Questo dato sembrerebbe quindi confermare non solo l’autenticità dell’aneddoto, ma anche la conoscenza diffusa che se ne era avuto in Firenze, se su questo si era venuto a creare anche un fram-mento di saggezza popolare, in forma di canzona-tura (come è tipico della fiorentinità). Si può quindi sostenere che insieme all’autenticità dell’episodio, la sua diffusione (e volgarizzazione) ne conservas-se la motivazione originale per cui lo si conosceva: l’esaltazione della contrapposizione tra popolano

e nobile e la validazione della superiorità del primo sul secondo in virtù della tecnica specialissima.

La tradizione di una competenza tecnica spe-cialissima nel disegno da parte di Giotto sta all’ori-gine del costituirsi della tradizione artistica fio-rentina, in modo che appare logico e concatenato. Intorno a Giotto, in un modo che ancora aspetta di essere completamente chiarito dal punto di vista “politico”, il sistema corporativo della repubblica fiorentina crea, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, l’Arte dei dipintori, affiliata all’Arte dei Medici e degli Speziali. I pittori, dunque, per po-ter essere incorporati ad una delle Arti Maggiori vengono annoverati come speziali «qui emunt, ven-dunt et operantur….colores» 6. La data esatta della costituzione della sottocorporazione dei dipintori non è nota (e sarebbe in realtà antistorico anche cercarne una) 7; esiste uno statuto (considerato il primo, ma forse solo il più antico giunto a noi) del novembre 1315, in aggiunta agli statuti dell’Arte dei Medici e Speziali approvati l’anno precedente 8. Ma a integrazione di questo esistono trascrizioni antiche di perduti registri di immatricolazione che riportano iscritti all’Arte dei pittori anche in data anteriore allo statuto del 1315, per lo meno a partire dall’anno 1297 9. In particolare, riguardo a Giotto e alla costruzione della sua immagine come fondan-te la tradizione artistica fiorentina, è importante, fra questi registri di trascrizioni delle matricole, il codice 7 dell’Archivio dell’Arte dei Medici e Spe-ziali, conservato all’Archivio di Stato di Firenze. Si tratta di una compilazione delle matricole più an-tiche, sotto forma di uno spoglio in ordine alfabe-tico. Il redattore, però, per quanto riguarda i primi nomi inseriti nell’elenco, ha certamente compiuto un’operazione forte di tipo ricostruttivo, elencan-do coloro che, al momento in cui scrive, sono ormai riconosciuti come i capostipiti dell’arte fiorentina. Questa compilazione fa riferimento ad un perdu-to libro delle matricole, del quale si specifica che era in uso nel 1312. Il nome di Giotto era il primo

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L’officina di Giotto. Il restauro della Croce di Ognissanti

voleva probabilmente raccogliere la tradizione fiorentina trecentesca che stava inesorabilmente avviandosi al tramonto e al tempo stesso chiudere le porte a tutte quelle spinte autonomistiche degli iscritti, ai tentativi di sperimentare nuove tecni-che e nuovi materiali che dovevano essere vissu-ti come pericoli inconcepibili in una società che fa della tradizione e della continuità uno dei suoi fondamenti più importanti. Un testo che propugna rigidità ancora maggiori delle leggi stesse, proprio in omaggio allo spirito proibizionistico e conserva-tore che è l’anima trecentesca delle corporazioni. Un testo scritto su commissione, quindi, nella scia di quello che, pare, facessero all’epoca altre Arti. Questo intento fortemente restrittivo dell’Arte dei Medici e Speziali sullo scorcio del XIV secolo e nel primo decennio del XV secolo è del resto ben do-cumentato anche sul piano storico e attraverso gli atti legislativi della stessa Arte e va di parallelo alla politica della repubblica fiorentina, che, dopo la reazione oligarchica del 1383, vide una forte ri-presa dell’elemento conservatore al suo interno. A partire dal 1392 anche le magistrature dell’Ar-te introducono leggi fortemente limitative della libera attività degli artigiani, si creano restrizioni e incompatibilità legali nuove per l’accesso alle cariche istituzionali, viene introdotto per i medi-ci un esplicito obbligo a sottoporsi ad un esame per ottenere l’immatricolazione. Tutto questo mo-vimento oligarchico e fortemente proibizionista corrisponde ad una precisa volontà generale della società fiorentina (e specifica dell’Arte dei Me-dici e Speziali) di espansione economica e com-merciale basata sui valori della cultura artigiana tradizionale. A buona ragione, quindi, la stesura del Libro dell’Arte di Cennino Cennini può situarsi in questo quadro di riferimento storico e politico. Verosimilmente non si trattò mai di un manuale da distribuire agli aspiranti all’immatricolazione: considerazioni molto pratiche legate alla reale ca-pacità di leggerlo da parte dei fruitori destinati (i dipintori), alla possibilità di diffonderne copie in quantità (sia per l’alto costo della carta, sia per l’impiego di copisti), impediscono una ipotesi così ingenua ed antistorica. Se ne può, al più, ipotizza-re un uso presso la magistratura dell’Arte, quale testo di riferimento. Si consideri del resto come fin da epoca antica se ne conosca una sola copia in circolazione, quella che Vasari vede in possesso di «Giuliano orefice sanese, eccellente maestro e amico di quest’arti» e che con estrema probabili-tà corrisponde al manoscritto della Laurenziana, copiato (come da epigrafe interna) alle Stinche, il carcere fiorentino, il 31 luglio 1437 13. Sono proprio queste considerazioni, insieme a considerazioni di ordine documentario, già altrove discusse 14, che

della lista di pittori immatricolati in questo libro. Essendo l’originale perduto, non possiamo sapere se la posizione dell’artista fosse stata tale per cro-nologia o per scelta politica, ma pare significativo comunque che lo si registri come tale anche nella ripresa della compilazione tarda.

È certo infatti che la selezione degli immatri-colati “storici” da registrare certo non ci fornisce un elenco esaustivo, piuttosto corrisponde ad una scelta politica ben precisa. Giotto quindi viene scelto dalla corporazione stessa dei pittori (e, in senso allargato, anche dalla repubblica fiorentina) come rappresentante e ideale iniziatore dell’arte fiorentina.

La percezione e la scelta di Giotto come punto di inizio di un nuovo corso della pittura, seppure inserito all’interno di un sistema diacronico or-ganico da Vasari, non risale allo storico aretino, ma, come già da tempo ben chiarito, è una azio-ne quasi immediata che parte dai contemporanei per poi diventare vera e propria codificazione presso gli immediati successori 10. Per esempio intorno agli anni Novanta del Trecento, la novella CXXXVI, del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, dà voce agli artisti fiorentini stessi che si inter-rogano circa chi possa dirsi il miglior pittore «da Giotto in fuori». E gli artisti stessi non sanno dar-si una risposta; anzi, per Taddeo Gaddi «questa arte è venuta e viene mancando tutto dí». Nessu-no sarebbe in grado di venire fuori dall’impasse, se non fosse per la famosa battuta sulle donne fiorentine che sono i miglior pittori, seconde solo a Dio, nell’usare il trucco 11.

Questa vestizione di Giotto con i panni di co-lui che, unico, incarna l’essenza stessa dell’arte fiorentina, come abbiamo visto dall’esame del-le tracce nei libri dell’Arte, è probabilmente una scelta politica della corporazione stessa che ha bi-sogno di un riferimento assoluto e che con facilità quasi lapalissiana lo trova nel maggior esponente artistico di una città al culmine del suo sviluppo economico, ricercato da tutti i massimi signori e le massime autorità religiose dell’epoca. La crea-zione del riferimento a Giotto trova una dimostra-zione ulteriore nel ruolo che egli riveste nel Libro dell’Arte di Cennino Cennini, scritto probabilmente nel primo decennio del Quattrocento, da un arti-sta che rivendica a sé il merito di essere l’ultimo di una linea ininterrotta di filiazione che risale fino a Giotto. La complessa, recente riflessione sul-la vera essenza del testo in questione ha portato chi scrive alla elaborazione di una proposta di in-terpretazione del Libro dell’Arte, non più come in passato era stato detto, manuale del pittore, ma piuttosto come libro della corporazione di dipin-tori 12. Un manuale normativo con il quale l’Arte

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ne memorialistica, così importanti da spingerlo a cercare alcuni disegni sopravvissuti.

«Onde nullo dipintore potrebbe porre alcuna figura, se intenzionalmente non si facesse prima tale quale la figura essere dee» (Dante, Convivio, IV/X, 11)

Lo studio intorno al disegno di Giotto, data la considerevole letteratura che circonda la figura dell’artista, è un campo degno di essere esplorato attraverso mezzi sussidiari che possano sopperire alla mancanza di opere grafiche riferibili alla sua autografia diretta. La ricerca ha cominciato a svol-gersi, quindi, in epoca abbastanza recente, diret-tamente sulle opere del grande maestro, seguendo tracce dell’impostazione grafica della composizio-ne e delle singole figure, tramite le occasioni for-nite da cantieri di restauro e, soprattutto, grazie al contributo delle indagini diagnostiche, in par-ticolare della riflettografia IR che permette, nella pittura su tavola, la visualizzazione del cosiddet-to underdrawing, il disegno sottostante gli strati pittorici, tracciato sul gesso della preparazione 23. La lettura di questi dati non è sempre facile ed immediata come falsamente l’aspetto da foto in bianco e nero potrebbe far credere. Comunemente l’approccio è quello della ricerca quasi esclusiva di elementi che si discostano nettamente dalla soprastante stesura pittorica o del tratto veloce e schizzato, tipico del disegno a mano libera. La pri-ma cosa, quindi che è necessario fare è mettere a fuoco che per sua natura underdrawing e disegno su supporto cartaceo sono due tipologie grafiche del tutto diverse: non solo per mezzi, strumenti e materiali, ma soprattutto per funzione. L’esame dell’underdrawing, quindi, diventa particolarmente importante ed interessante tanto quanto si riesce a focalizzarne la relazione tra ideazione e realiz-zazione dell’opera e non lo si confina ad una mera elencazione di strumenti e dettagli visuali.

Tra i vari elementi che non sarà mai sufficien-te sottolineare ce n’è uno, principalissimo, relativo alla contestualizzazione: in questo caso è da rimar-care come ci si trovi di fronte ad un ambito cultura-le e artistico in cui l’invenzione, la libertà creativa, la modifica di getto non hanno posto. Tutta l’im-magine è pianificata in modo preciso e puntuale, come dimostrano, naturalmente, le necessità di padroneggiare spazi e maestranze plurime, nel caso dei grandi cicli su muro; ma come certo era necessario fare anche nel caso della pittura su ta-vola, delle grandi croci dipinte, per esempio, in cui si dovevano spartire campi costituiti da elementi vari, affidati verosimilmente a maestranze diverse nell’ambito della bottega, e dei quali si va ad allog-

ostano alle tradizionali ipotesi circa una redazione padovana del suo trattato. Questa, a ben guardare, è suffragata solo da alcuni termini dialettali usati da Cennini, compatibili con prestiti dovuti alla sua permanenza nella città veneta, mentre forte è la incongruità storica di una destinazione padovana a fronte della diffusione solo fiorentina del suo te-sto nei manoscritti antichi 15.

Il Libro dell’Arte, dunque, invocando a grande antenato Giotto, colui che «rimutò l’arte del dipi-gnere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avesse mai più nes-suno» 16, istituisce e codifica, sulla scorta, appun-to, del grande maestro, il fondamento dell’arte nel disegno. «El fondamento dell’arte, e di tutti questi lavorii di mano principio, è il disegno e ‘l colori-re» 17; e ancora: «Sì come detto è, dal disegno t’in-cominci» 18. Oppure: «Sai che ti avverrà, praticando il disegnare di penna? che ti farà sperto, pratico, e capace di molto disegno entro la testa tua» 19.

Al momento in cui Vasari si accinge a scrivere la sua opera monumentale, il mito di Giotto, come padre dell’arte fiorentina, e la preminenza del dise-gno, come caratteristica specifica della tradizione cittadina, a Giotto comunque legata e da Giotto derivata, è già, per così dire, pronto per essere confezionato, elaborato e portato alle sue massi-me conseguenze di spina dorsale dell’architettura delle Vite. «E miracolo fu certamente grandissi-mo che quella età e grossa et inetta avesse forza d’operare in Giotto sì dottamente che ’l disegno, del quale poca o nessuna cognizione avevano gli uomini di que’ tempi, mediante sì buono artefice ritornasse del tutto in vita» 20.

Purtroppo la perdita pressoché totale dell’ope-ra grafica di Giotto ha forse inibito generazioni di studiosi dal dedicarsi con maggior passione allo studio di Giotto disegnatore 21. Invece l’attività di Giotto in questo settore e alcune testimonianze di essa erano ben note anche a Vasari, che con-clude la Vita dell’artista con le parole: «E perché possino coloro che vorranno vedere dei disegni di man propria di Giotto e da quelli conoscere mag-giormente l’ecce[llenza] di tanto uomo, nel nostro già detto libro ne sono alcuni maravigliosi, stati da me ritrovati con non minore diligenza che fatica e spesa» 22. Rileggere l’apprezzamento per l’ec-cellenza di Giotto anche, e proprio, nel campo del disegno, tanto importante per lo storico aretino, non rischi però di abbassare l’attenzione sul fatto che, appunto, questi esemplari della collezione di Vasari erano pressoché unici ed era stato possibi-le procurarseli solo a prezzo di «fatica e spesa». L’apprezzamento e la ricerca degli esemplari da parte di Vasari dovette perciò, verosimilmente, ba-sarsi prima su un assunto teorico ed una tradizio-

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ne da un apprendistato in cui all’abilità di disegno sono spesso devoluti anni di pratica, arriva davanti al supporto del gesso di preparazione dopo aver elaborato a parte l’immagine. Le caratteristiche morfologiche stesse del gesso di preparazione, e la levigatezza che veniva conferita alla sua super-ficie dalla lavorazione, caratteristiche imprescin-dibili per ottenere gli effetti pittorici desiderati, al tempo stesso non permettevano la cancellazione continua di errori, le ripassature, le correzioni tipi-che del disegno di getto, così come lo conosciamo attraverso la grafica su carta 25. Tutta questa fase di pensiero, elaborazione e correzione, anche in se-guito alle scelte della committenza, avveniva quin-di in precedenza e solo al momento in cui raggiun-geva un certo grado di completezza si procedeva allora a lavorare graficamente sul gesso. Questa fase di pianificazione dava luogo a un “progetto di lavoro”, un’espressione forse più consona ad una realtà di work in progress e meno fuorviante di quella di “disegno preparatorio”, ormai caricata di troppi significati di maniera. Questo progetto di lavoro veniva poi trasferito sul gesso della prepa-razione attraverso l’uso, anche simultaneo, di più

giare la figura gigante del Cristo. L’insieme, quindi, ma anche i particolari, ci rimandano ad un’opera frutto di uno studio e una pianificazione prelimina-re, nella quale, disegno e stesure corrispondenti, spazi per le lavorazioni di preparazione e di stesura della foglia d’oro, effetti di decorazione delle stes-se, spazi e fasi di composizione per l’esecuzione degli incarnati, singole figure e loro composizione interna, dimostrano una stretta corrispondenza tra impostazione e successiva realizzazione pittorica. Anche l’analisi della fortissima personalità uma-na ed artistica di Giotto, assai attento agli aspetti economici della propria attività, rende poco proba-bile che egli permettesse l’emergere di personalità artistiche alternative alla sua che a lui potessero essere concorrenziali 24. Il disegno quindi veniva ad essere anche uno strumento di controllo oltre che di pianificazione. È chiaro che una fase così im-portante come questa non poteva essere lasciata all’improvvisazione: questa è un’idea di arte come estro creativo assolutamente estranea alla menta-lità medievale. Arte, in questo momento storico è essenzialmente abilità consumata di padroneggia-re strumenti e metodi di lavoro. L’artista, che vie-

1. Giotto, Madonna col Bambino, Borgo San Lorenzo, pieve di San Lorenzo, particolare della Vergine addolorata in a) Riflettografia IR; b) elaborazione grafica dei contorni

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tecniche che andavano dalle punte metalliche (che lasciavano sul gesso linee incise che al tempo stes-so risultavano in una traccia lasciata dal metallo), al carbone usato a secco o disciolto in soluzioni molto diluite di colla, all’inchiostro. L’organizza-zione del piano poteva prevedere anche l’utilizzo di patroni (sagome in cartone spesso, ritagliate lungo i margini, che venivano riportate sul piano tramite un’incisione che le scontornava), relative a singole parti delle figurazioni (teste, mani, gambe, ecc.) da riusare e riprodurre in un continuo gioco di combinazioni diverse sia di posizionamento che di reciprocità 26. L’utilizzo di questa tecnica di costru-zione dell’immagine, oltre a permettere una certa velocizzazione dei tempi grazie alla possibilità di controllare meglio l’intervento di aiutanti di vario livello, otteneva essenzialmente due scopi:- una sorta di identificabilità pressoché perfetta di quello che con termine moderno potremmo indica-re come “marchio di fabbrica”, vale a dire la ripeti-zione di stilemi e tipi fisionomici identificativi della bottega; concetto oggi contrario al nostro gusto estetico, ma all’epoca considerato valore impre-scindibile e garanzia di qualità;

2. Giotto, Madonna di San Giorgio alla Costa, Firenze, Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte, particolare della Vergine addolorata in a) Riflettografia IR; b) elaborazione grafica dei contorni

3. Sovrapposizione dei grafici delle due immagini precedenti

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- la possibilità concreta di visualizzare direttamen-te sul supporto definitivo (intonaco o tavola inges-sata) il posizionamento, la proporzione e i rapporti di reciprocità delle immagini senza insistere su una superficie fragile.

Negli studi condotti ormai da molti anni sulla tec-nica artistica di Giotto, l’ipotesi dell’utilizzo di sago-me o patroni nella fase di trasferimento del disegno di progetto sulla superficie definitiva dell’opera ha trovato alcuni interessantissimi riscontri tecnici non soltanto nella pittura su muro, ma anche in quella su tavola. Il ritrovamento non si basa solo sulla indivi-duazione di una linea di incisione che scontorna le figure, di per sé già indicativa di un mezzo di traccia-mento diretto da una sagoma. Ma nel caso sia della Croce di Santa Maria Novella 27 che in quello della Croce di Ognissanti 28 le sostanziali modifiche di-mensionali del supporto, apportate in corso d’opera, si giustificano soltanto con una necessità di cambia-mento imposta dal riferimento ad una misura e ad un posizionamento del corpo del Cristo, conosciuto preliminarmente alla fase della vera tracciatura. Solo una sagoma in grandezza 1:1 avrebbe dunque per-messo di verificare l’inadeguatezza del piano ligneo costruito a parte da un carpentiere e sulle dimensio-ni e proporzioni del quale il pittore, evidentemente, non era potuto intervenire prima 29.

La lettura di questo stretto collegamento tra costruzione dello spazio e costruzione dell’imma-gine deve essere particolarmente valorizzata e utilizzata anche ai fini più ampi dello studio del-le procedure di lavoro all’interno delle botteghe pittoriche. Infatti, finora l’uso dei patroni è stato generalmente accettato come ipotesi di lavoro quasi esclusivamente per quanto riguarda la pit-

tura murale (e non senza difficoltà legate a dover ammettere che anche il genio del grande autore poteva sottostare a pratiche di lavoro ritenute troppo meccanicistiche). In questo caso sembrava lecito poterlo affermare a causa della necessità da parte del maestro e capo-cantiere di padroneg-giare le grandi superfici del muro e di impaginare scene, spesso complesse e affollate di personaggi. Come altre volte affermato, però, lo studio dei pa-troni deve cominciare a prendere in esame anche la pittura su tavola, dato che le procedure di ela-borazione dell’immagine all’interno della pratica artistica erano le stesse e che, come dimostrato dal caso del cambiamento delle dimensioni del-le grandi croci, padroneggiare ed organizzare lo spazio è sempre elemento primario della messa in opera dell’immagine.

Lo studio comparato delle riflettografie di di-verse opere di Giotto ha portato nuovi e inaspet-tati elementi a riprova del possibile uso e riuso di patroni da parte della bottega dell’artista. La cosa particolarmente interessante, nel nostro caso, è avere scoperto che questo riuso avveniva all’in-terno della bottega, sì, ma con una persistenza diacronica e non solo, come era stato notato sugli affreschi di Assisi 30, all’interno di un periodo cro-nologico conchiuso.

L’esame riflettografico del frammento di Ma-donna di Borgo San Lorenzo, infatti, comparato per sovrapposizione alla riflettografia della Ma-donna di San Giorgio alla Costa dimostra come per entrambe le figure sia stato utilizzato lo stesso strumento di riporto dell’immagine, che chiamere-mo, per il momento ancora “patrono”. Il disegno di contorno delle due Madonne è dimensionalmente

4. Giotto, Croce, chiesa Santa Maria Novella, particolare della Vergine addolorata in a) Riflettografia IR; b) elaborazione grafica dei contorni

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identico e l’inversione speculare di una – la Madon-na di San Giorgio alla Costa – e la piccola rotazione necessaria per trovare la giusta sovrapposizione dà semplicemente conto della economica e tipica versatilità di utilizzo del mezzo.

Il ritrovamento ha tutte le caratteristiche dell’esattezza e della scientificità, in quanto le ri-flettografie sono state ottenute grazie all’utilizzo della tecnologia a scanner, ormai da anni patrimo-nio dell’Istituto Nazionale di Ottica e dall’Opifi-cio che, oltre a consentire la massima risoluzione dell’immagine e la massima penetrazione dei ma-teriali finora possibile tra la strumentazione esi-stente, permette di acquisire immagini esenti da deformazione ottica e identiche all’originale 31.

Altri esempi di utilizzo di uno stesso patrono sono evidenti in altre opere di Giotto esaminate secondo lo stesso metodo di indagine, prima, di comparazione, poi. Per esempio le Madonne addo-lorate della Croce di Santa Maria Novella e della Croce di Ognissanti; e i volti del Cristo delle stesse opere. In questi ultimi, oltre all’identica sovrappo-sizione dei contorni è particolarmente interessan-te come coincidano anche gli spazi non tracciati dalla linea perimetrale da riservare, in coincidenza della sommità della testa, all’elemento decorativo dei tre piccoli vetrini che decorano la croce incisa a bulino all’interno dell’aureola.

Sempre continuando ad esaminare questo aspetto della linearità dei contorni, particolarmen-te interessante è la identica sovrapponibilità, nelle due coppie di underdrawing, anche dei lineamenti interni delle figure. Questo fatto induce a spingersi avanti nelle considerazioni e a motivare il perché della prudenza nel chiamare il metodo di traccia-mento del disegno “patrono” sic et simpliciter. Per quanto noto dall’esame accurato della trattatisti-ca e dei documenti relativi a patroni (variamente definiti, secondo le epoche e i contesti culturali, antibola, pattern, templates, ecc.) 32 risulterebbe che essi siano principalmente da intendersi come sagome rigide da usare per il tracciamento dei contorni esterni della figura. Mentre la definizio-ne dei tratti interni verrebbe fatta risalire ad un altro tipo di disegno preparatorio, quello che tal-volta è stato definito come “disegno di modello” 33. Il termine è però troppo generico o, altrimenti, troppo vicino ad una diversa categoria della grafi-ca progettuale, quella del “disegno da modello” 34, con cui si intende, in epoca medievale, il tipo del

5. Giotto, Croce, chiesa di Ognissanti, particolare della Vergine addolorata in a) Riflettografia IR; b) elaborazione grafica dei contorni

6. Sovrapposizione dei grafici delle due immagini precedenti

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piccolo repertori tascabili che gli artisti creavano per se stessi e per la propria bottega, schizzando dal vero o copiando da opere o da repertori altrui e che solo raramente o frammentariamente sono sopravvissuti. Da un taccuino di questo genere, quindi, stando alle interpretazioni fin qui proposte, un libro di modelli, perduto, che Giotto avrebbe te-nuto quale patrimonio di bottega, l’artista avrebbe tratto, di volta in volta, i disegni di progetto delle varie opere e poi dal disegno di progetto, il patro-no a grandezza 1:1. Ci si domanda, a questo pun-to, però, dopo il ritrovamento dell’evidenza delle completa sovrapponibilità tra gli underdrawing, se fosse davvero possibile tutte le volte a distanza di tanti anni, partendo da un modello di dimensioni ri-dottissime e verosimilmente schematico, ricreare un patrono identico a quello dell’opera preceden-te. Non sarebbe forse il caso, invece, di rivedere l’intera questione e provare a pensare che ci si possa trovare davanti ad un “cartone”? Il brusco salto mentale nell’utilizzare un termine che porta con sé una enorme e pregnante valenza storica e tecnica, non spaventi. La storia delle tecniche spesso ha visto scoperte che hanno costretto a anticipare la nascita e l’uso di metodologie e stru-menti che si ritenevano confinati cronologicamen-te e che poi, invece, si è scoperto essere stati già usati e compresi in periodi molto anteriori. Qui, nel caso di Giotto e della sua bottega, il contesto storico ci obbliga a dare alla parola “cartone” un significato e una accezione ben determinata, lega-

ta solo all’oggetto di lavoro, cioè la progettazione grafica di una pittura, un disegno finito in scala 1:1 rispetto all’opera definitiva. Del resto, il concetto di “cartone” ci viene testimoniato già nella tratta-tistica e nei documenti di primo Quattrocento, e Cennini, in particolare, l’epigono della tradizione giottesca, pur non utilizzando la parola “cartone” ci parla di un metodo di riporto del disegno (uti-lizzato per le vetrate) che si serve di un supporto costituito da più fogli aggiuntati per raggiungere la misura di superficie desiderata 35.

Il fatto che la sopravvivenza di questi disegni da trasporto su carta sia pressoché nulla per tut-to il Medioevo e buona parte del Quattrocento 36, oltre ad essere dovuto alla casuale e fisiologica perdita dei materiali di lavoro, dimostra la diversa considerazione che si aveva del disegno prepara-torio da parte dell’artista e del pubblico. Il dise-gno preparatorio, fosse esso redatto nella forma di cartone o di patrono, era considerato soltanto un mezzo di lavoro e come tale non si sentiva nes-suna necessità di conservarlo: l’utilizzo diretto su intonaco bagnato, l’inevitabile annerimento da carbone dovuto a pratiche di trasporto, oppure an-cora l’indiscriminata lacerazione della superficie segnata dalle incisioni producevano, ovviamente, l’impossibilità che questo ne uscisse in condizioni tali da essere conservato. Conosciamo solo alcuni ritrovamenti di tipo quasi archeologico di questi strumenti di lavoro, patroni o “cartoni” che fosse-ro, legati a cantieri di pitture murali a Tolentino e a

7. Giotto, Croce, chiesa di Santa Maria Novella, particolare del volto del Cristo in a) Riflettografia IR; b) elaborazione grafica dei contorni

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R. Bellucci, C. Frosinini, «Di greco in latino». Considerazioni sull’underdrawing di Giotto, come modello mentale

Pomposa e anche in questo caso il loro riaffiorare deriva dal fatto che furono all’epoca buttati via e inseriti come materiale di riempimento di buche pontaie 37.

La differenza tra patrono e “cartone” sta, a pa-rere nostro, nel tipo di utilizzo che l’artista ne fa: sagoma da scontornare, per il patrono, dettaglio del trasferimento anche dei lineamenti interni per il “cartone”. Ecco quindi che la esatta sovrapposi-zione non solo dei contorni esterni, ma anche dei lineamenti delle figure, può trovare una spiegazio-ne convincente. Inoltre quella che sarà, in pieno Cinquecento, la tecnica del cosiddetto “cartone sostitutivo”, cioè il trarre da un cartone originario, che si conservava nel tempo all’interno di un ate-lier artistico, un cartone puramente sussidiario, da utilizzare secondo le pratiche usuali, senza doversi curare della sua conservazione, spiegherebbe mol-to bene anche il fatto che negli esempi di Giotto fin qui osservati si riscontri la persistenza del disegno a così tanta distanza di tempo. Il disegno prepara-torio “sostitutivo” avrebbe consentito di lasciare intatto il modello per repliche successive, il «ben finito cartone», secondo la terminolgia attestata nel Cinquecento, che ne era stato all’origine 38.

La scoperta del riutilizzo di modelli o patroni o “cartoni” in opere tra loro lontane nel tempo è un elemento importantissimo nello studio, non solo nell’affrontare gli aspetti della pratica di lavo-ro dell’artista, ma anche per quanto riguarda una maggiore comprensione di Giotto stesso e della

sua programmatica mentalità di organizzatore e imprenditore. Si tratta quindi di rivedere o suffra-gare, grazie a questa scoperta, le considerazioni sull’organizzazione della bottega o, meglio, dell’im-presa giottesca; ma anche di considerare come l’artista abbia la capacità di considerare patroni,

8. Giotto, Croce, chiesa di Ognissanti, particolare del volto del Cristo in a) Riflettografia IR; b) elaborazione grafica dei contorni

9. Sovrapposizione dei grafici delle due immagini precedenti

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L’officina di Giotto. Il restauro della Croce di Ognissanti

modelli o “cartoni” per quello che sono: un ausilio alla pianificazione, sul quale poi reinterviene anco-ra a livello di underdrawing, costruendo modellato e volumi attraverso un trattamento delle ombreg-giature e delle luci che è molto diverso da un’opera all’altra (come è logico avvenga, intercorrendo fra l’una e l’altra un periodo considerevole di anni). La Madonna di Borgo San Lorenzo, per esempio, viene definita attraverso un chiaroscuro ancora di tipo linearistico e grafico, mentre la Madonna di San Giorgio alla Costa balza fuori dal piano con rilievo scultoreo ottenuto tramite un chiaroscuro a larghe macchie, fuso eppure molto contrastato. Per non parlare poi, naturalmente, della fase pittorica che sormonta gli underdrawing così descritti, come ben esemplifica il fatto che certo non si potrebbe pen-sare ad un disegno unico di base per le Madonne di Borgo San Lorenzo e di San Giorgio alla Costa, l’una così scarnificata, l’altra perfetto esempio del dipingere “unito” di Giotto; oppure come nel caso

delle Madonne dolenti delle Croci, dove a partire dallo stesso tracciato di base, quella di Ognissan-ti, impostata da prima una ombreggiatura scul-torea, viene poi differenziata pittoricamente con l’accentuata drammaticità del dolore con tratti assai marcati. Un metodo, quindi, che riafferma il concetto stesso di “officina giottesca”, un am-biente culturale e tecnico in cui la mente domina-trice e direttiva del grande artista creava idee, ma non solo: creava anche il metodo e lo strumento per far sì che le sue idee si perpetuassero e fos-sero gestibili da esecutori diversi così che non si perdesse quella sostanziale omogeneità figurativa che identificava la bottega. Ma questa gigantesca rete, a maglie apparentemente strette, era elastica e flessibile, al tempo stesso, tanto da non impri-gionare al suo interno le maestranze o il maestro stesso, ma, anzi, da consentire lo sviluppo sia tec-nico che artistico, pur nella certezza di un marchio inconfondibile di appartenenza 39.

1 M.V. Schwarz, Poesia e verità: una biografia critica di Giotto, in Giotto e il Trecento: “il più Sovrano Mae-stro stato in dipintura”, catalogo della mostra (Roma, 2009), a cura di A. Tomei, Milano, 2009, I, pp. 9-29.2 S. romano, La O di Giotto, Milano, 2008, pp. 251-252.3 G. VaSari, Le Vite, a cura di P. Barocchi-r. BeT-Tarini , Firenze, 1966-1971, II (1967), pp. 103-104.4 C. cennini, Il Libro dell’arte, a cura di F. Brunel-lo, Vicenza, 1971, cap. I, p. 3-5.

5 E.T. FalaSchi, Giotto: The literary legend, in «Italian studies», XXVII (1972), pp. 1-27.6 Così nell’introduzione al libro delle matricole del 1297, citato in R. ciaSca, L’Arte dei Medici e Speziali nella storia e nel commercio fiorentino dal sec. XII al XV, Firenze, 1927, p. 66, nota 2.7 C. FroSinini, L’organizzazione del mestiere ar-tistico nel XII secolo, in La Croce di Rosano e la

pittura del XII secolo. Storia e tecniche, Atti del Convegno internazionale di studi (Firenze, 2009), in corso di stampa.8 C. Fiorilli, I dipintori a Firenze nell’Arte dei Me-dici, Speziali e Merciai, in «Archivio storico Italia-no», LXXVIII (1920), 2, pp. 5-74; R. ciaSca, Statuti dell’Arte dei Medici e Speziali, Firenze, 1922; id., L’Arte dei Medici e Speziali nella storia e nel com-mercio fiorentino dal secolo XII al XV, Firenze, 1927; id., Storia dell’Arte dei Medici e Speziali di Firenze, dalle origini alla metà del secolo XV, Melfi, 1924.9 Nel fondo Medici e Speziali dell’Archivio di Stato di Firenze si trovano quattro importanti re-gistri di matricole. Il primo, il codice 7, registra i nomi in ordine alfabetico e distribuiti sotto gli anni 1297, 1301, 1312, 1320 , 1353-1386, 1386-1 gennaio 1409, 1409-1444. È una trascrizione di più antiche matricole, eseguita da Giovanni di Francesco Neri

Cecchi, coadiutore del notaio dell’arte; a fianco di ciascun nome è indicata la carta della vecchia ma-tricola in cui esso si trovava registrato. Il secondo, il codice 8, è invece un originale e contiene le ma-tricole dal 1320 al 1347, divise per gruppi di anni e distribuiti secondo la loro residenza nei quartieri della città. Il terzo, il codice 9, contiene i matrico-lati del 1358, del 1363, e dal 1372 al 1380 ed è una compilazione antica, redatta per comodità dell’Ar-te. Il quarto, infine, il codice 21, l’unico completo, contiene le matricole della città, della campagna e dei forestieri dal 1410 al 1444, secondo l’ordine cronologico delle iscrizioni. Per gli studi sulle ma-tricole fiorentine dei Medici e Speziali, vedi U. Pro-cacci, Il primo ricordo di Giovanni da Milano a Firen-ze, in «Arte antica e moderna», IV (1961), pp. 49-66; I. hueck, Le matricole dei pittori fiorentini prima e dopo il 1320, in «Bollettino d’arte», LVII (1972), pp. 114-121; M. haineS, Una ricostruzione dei perduti libri di matricole dell’arte dei medici e speziali a Fi-

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R. Bellucci, C. Frosinini, «Di greco in latino». Considerazioni sull’underdrawing di Giotto, come modello mentale

renze dal 1353 al 1408, in «Rivista d’arte», IV (1989), serie V, XLI, pp. 173-207.10 Per un riassunto della questione si veda Sch-warz, Poesia e verità … cit.11 «Nella città di Firenze, che sempre di nuovi uomeni è stata doviziosa, furono già certi dipinto-ri e altri maestri, li quali essendo a un luogo fuori della città, che si chiama San Miniato a Monte, per alcuna dipintura e lavorío che alla chiesa si dovea fare; quando ebbono desinato con l’Abate e ben pasciuti e bene avvinazzati, comincioro-no a questionare; e fra l’altre questione mosse uno, che avea nome l’Orcagna, il quale fu capo maestro dell’oratorio nobile di Nostra Donna d’Orto San Michele: - Qual fu il maggior maestro di dipignere, che altro, che sia stato da Giotto in fuori? - Chi dicea che fu Cimabue, chi Stefano, chi Bernardo, e chi Buffalmacco, e chi uno e chi un altro. Taddeo Gaddi, che era nella brigata, dis-se:- Per certo assai valentri dipintori sono stati, e che hanno dipinto per forma ch’è impossibile a natura umana poterlo fare -; ma questa arte è venuta e viene mancando tutto dí» (F. SaccheTTi, Il Trecentonovelle, a cura di V. marucci, Roma, 1996, novella CXXXVI, pp. 412-415).12 R. Bellucci-c. FroSinini, Working Together, in The Panel Paintings of Masolino e Masaccio. The Role of Technique, a cura di C.B. STrehlke-c. Fro-Sinini, Milano, 2002, pp. 29-67.13 L’identificazione tra i due testi, quello citato da Vasari e il codice della Laurenziana, venne autore-volmente già avanzata dal Baldinucci. Domenico Maria Manni citava un altro esemplare nella biblio-teca dei Beltramini a Colle Val d’Elsa, che però nes-sun altro ricercatore dopo di lui ha mai rintracciato. Attualmente se ne conosce una seconda copia, più tarda, presumibilmente del XVI secolo, alla Riccar-diana (codice 2190). E una terza, settecentesca, alla Biblioteca Vaticana (nota come esemplare Ot-toboniano). Per una storia dei diversi codici cfr. C. e G. milaneSi, Il Libro dell’Arte di Cennino Cennini, Firenze, 1859, introduzione. La circolazione di altri trattati tecnici del periodo, il De Pictura dell’Alberti, o il Trattato del Filerete sembrerebbe essere stata molto più ampia, dato che se ne conoscono più ma-noscritti. Ci sono undici copie del XV secolo della versione latina del De Pictura e tre copie della ver-sione italiana (L.B. alBerTi, Opere volgari, a cura di C. GraySon, Bari, 1960-1973, III (1973), pp. 299-329). Del Filarete ci sono tre copie quattrocentesche (A. aVerlino, deTTo il FilareTe, Trattato di architettura, a cura di A.M. Finoli-l. GraSSi, Milano, 1972, pp. CVII-CXI).14 Bellucci-FroSinini, Working Together … cit.15 Alcune di queste ipotesi trovano sostegno, e in certo senso avallo preliminare, in quanto soste-nuto da S. Baroni, I ricettari medievali per la prepa-razione dei colori e la loro trasmissione, in Il colo-re nel Medioevo: arte, simbolo, tecnica, Atti delle giornate di studi, (Lucca, 5-6 maggio 1995), Lucca, 1996, pp. 117-144; S. Baroni-S.B. ToSaTTi, Sul Libro dell’Arte di Cennino Cennini, in «ACME. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano», LI (1998), pp. 51-72. Per le precedenti, tradizionali, interpretazioni di Cenni-ni cfr. la disamina fattane da G.L. mellini, Studi su Cennino Cennini, in «La Critica d’Arte», LXII (1962) e LXXV (1965), pp. 48-64. Le nostre ipotesi sono state in parte accolte (ma non riconosciute

bibliograficamente) da F. FrezzaTo, Introduzione. La questione cenniniana: i committenti e i desti-natari, in C. cennini, Il Libro dell’arte, a cura di F. FrezzaTo, Vicenza, 2003, pp. 11-17 e S.B. ToSaTTi, Trattati medievali di tecniche artistiche, Milano, 2007 (che però rimangono sull’ipotesi padovana, sostenendo la scrittura del Libro dell’Arte per la corporazione dei pittori della città veneta). Di contrario avviso sono V.M. SchmidT, Hypothesen zu Funktion und Publikum von Cenninis Libro dell’Arte, in Fantasie und Handwerk: Cennino Cennini und die Tradition der toskanischen Male-rei von Giotto bis Lorenzo Monaco, catalogo del-la mostra (Berlino, 2008), a cura di w.d. löhr-S. wePPelmann, München, 2008, pp. 147-151 (ipotesi di una redazione diaristica); E.S. SkauG, Painters, punchers, gilders or goldbeaters? A critical survey report of discussions in recent literature about early Italian painting, in «Zeitschrift für Kunst-geschichte», 71(2008), 4, pp. 571-582; E.S. SkauG, More Cenniniana: technical notes on the origin and purpose of “Il libro dell’arte”, in «Arte Cris-tiana», XCVIII (2010), 857, pp. 81-88.16 cennini, Il Libro … cit., cap. I, pp. 4-5.17 Ivi, cap. IV, p. 6.18 Ivi, cap. V, p. 8.19 Ivi, cap. XIII, p. 15.20 VaSari, Le Vite … cit., II (1967), p. 96.21 Per un riassunto del problema critico e per nuove proposte si veda A. monciaTTi, Giotto e i disegni, in Medioevo: le officine, Atti del XII Con-vegno Internazionale di Studi – AISAME (Parma, 22-27 settembre 2009), Milano, 2010, pp. 597-608.22 Cfr. VaSari, Le Vite … cit., II (1967), p. 123.23 Si vedano gli interessanti spunti di riflessione offerti da M. ciaTTi, L’officina di Giotto, in Medio-evo: le officine … cit., pp. 575-583, con bibliografia specifica precedente.24 M. ciaTTi, Tecnica e stile, in Giotto e il Trecen-to… cit., pp. 347-364.25 R. Bellucci-c. FroSinini, Art in the Making: Sassetta and the Borgo Sansepolcro Altarpiece, in Sassetta: the Borgo San Sepolcro altarpiece, a cura di M. iSraëlS, Firenze, 2009, p. 383.26 Sui patroni nella tecnica artistica ad affresco, cfr. B. zanardi, Il cantiere di Giotto. Le storie di San Francesco ad Assisi, Milano, 1996, con bibliografia precedente; id., Giotto e Pietro Cavallini. La que-stione di Assisi e il cantiere medievale della pittura a fresco, Milano, 2002, pp. 106-108. Sull’utilizzo dei patroni anche nella pittura su tavola cfr. R. Belluc-ci-c. FroSinini, Ipotesi sul metodo di restituzione dei disegni preparatori di Piero della Francesca: il caso dei ritratti di Federico da Montefeltro, in La Pala di San Bernardino di Piero della Francesca. Nuovi stu-di oltre il restauro, a cura di E. daFFra-F. TreViSani, Firenze, 1997, pp. 167-187; C. FroSinini, Considera-zioni su Lorenzo Monaco: problemi di documen-tazione e di tecnica, in Lorenzo Monaco: tecnica e restauro, a cura di M. Ciatti-C. FroSinini, Firenze, 1998, pp. 15-20; Bellucci-FroSinini, Working together … cit., pp. 35-37 e R. Bellucci-c. FroSinini, Reading underdrawing in early Italian Panel Paintings, in The panel Painting … cit., pp. 56-57.27 Giotto. La Croce di Santa Maria Novella, a cura di M. ciaTTi-m. Siedel, Firenze, 2001 (in particolare si veda il contributo di P. Bracco-o. ciaPPi, Tecni-

ca artistica, stato di conservazione e restauro della Croce in rapporto con le altre opere di Giotto. La pittura, pp. 272-359: 279.28 Si vedano in questo stesso volume i contri-buti di P. Bracco-o. ciaPPi-a.m hillinG e di A.M. hillinG- a. SanTaceSaria.29 Marco Ciatti ipotizza che la carpenteria della Croce di Santa Maria Novella potesse essere sta-ta preparata per Cimabue e poi la commissione dell’opera passasse a Giotto, che per questo non aveva avuto alcuna supervisione in merito. ciaTTi, L’officina … cit., p. 575.30 B. zanardi-c. FruGoni-F. zeri, Il cantiere di Giotto: le storie di San Francesco ad Assisi, Mila-no, 1996 ( in particolare alle pp. 19-58).31 Circa la mancanza di deformazione ottica e l’identicità dimensionale si veda M. maTerazzi-l. PezzaTi-P. PoGGi, La riflettografia infrarossa, in Vene-re e Amore. Michelangelo e la nuova bellezza ideale, catalogo della mostra (Firenze, 2002), a cura di F. FalleTTi-J. k. nelSon, Firenze, 2002, pp. 244-248.32 C. Seccaroni, I patroni, in «Kermes», XIX (2006), 61, pp. 55-68.33 zanardi, Giotto e Pietro Cavallini … cit., pp. 61-62. A p. 63 l’autore afferma poi che nel linguaggio medievale il termine “patrono” venisse riferito anche ai disegni di modello.34 L’utilizzo da parte di Giotto della copia dei modelli disegnati è in W. Tronzo, Giotto’s Figures, in Medioevo: arte lombarda, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 26-29 settembre 2001), a cura di a.c. QuinTaValle, Milano, 2004, pp. 287-297. Sui disegni da modello, in generale, si veda R. W. Scheller, Exemplum: Model-Book Dra-wings and the Practice of Artistic Transmission in the Middle Ages (ca. 900-Ca. 1470), Amsterdam, 1996. 35 cennini, Il Libro … cit., cap. CLXXI, p. 181-182: «E pertanto, quando i detti [maestri vetrai] ver-ranno a te, tu piglierai questo modo: el ti verrà cholla misura della sua finestra, larghezza e lun-ghezza. Tu torrai tanti fogli di charta inchollati in-sieme, quanti ti farà per bisognio alla tua finestra: e disegnerai la tua figura …».36 C.C. BamBach, Piero della Francesca, the Study of Perspective and the Development of the Cartoon in the Quattrocento, in Piero della Francesca tra arte e scienza, Atti del Convegno internazionale di studi (Arezzo, 8-11 ottobre 1992; Sansepolcro, 12 ottobre 1992), a cura di M. dalai emiliani-V. cur-zi, 1992, Venezia, 1996, pp. 143-166.37 zanardi, Giotto e Pietro Cavallini … cit., p. 63.38 Sul cartone sostitutivo in epoca rinascimen-tale si veda in particolare C.C. BamBach, Drawing and Painting in the Italian Renaissance Workshop, Cambridge (U.K.), 1999, pp. 283-295.39 Sulla bottega giottesca si vedano, storica-mente, almeno i seguenti testi fondamentali: G. PreViTali, Giotto e la sua bottega, Milano, 1967; G. raGionieri, Allievi e gregari nella bottega di Giotto, in La bottega dell’artista tra Medioevo e Rinascimento, a cura di R. caSSinelli, Milano, 1988, pp. 55-70; G. BonSanTi, La bottega di Giot-to, in Giotto. Bilancio Critico di sessant’anni di studi e ricerche, catalogo della mostra (Firenze, 2000), a cura di A. TarTuFeri, Firenze, 2000, pp 55-75.