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Francesco Parnisari I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti tra Lombardia e Abruzzo (secoli XVII-XVIII) Conobbi per la prima volta Cabiaglio araverso gli a notarili con- serva nell’Archivio di Stato di Milano, lavorando alla mia tesi di doo- rato sull’emigrazione dall’alto Varesoo in età moderna 1 . Più che al paese in sé, mi riferisco ai cabiagliesi vissu nei secoli XVII- XVIII, uomini e donne disciplinate soo l’egida delle loro gerarchie lai- che ed ecclesiasche, sia nel villaggio sia nell’ambito più esteso della pieve di Valcuvia, una valle delle Prealpi varesine aperta verso il Lago Maggiore. La piccola comunità era rea secondo le forme di autogoverno lo- cale proprie della Lombardia d’anco regime, a parre dall’assemblea dei capi di casa, che in base ad anchi statu eleggeva le cariche pub- bliche, gesva l’ulizzo dei boschi e dei pascoli aper allo sfruamento collevo, riparva gli oneri tributari e regolava ad ogni livello la parte- cipazione alla vita comunitaria. Questa si esprimeva anche nelle pra- che religiose parrocchiali, come evidenziano, fra l’altro, la presenza di confraternite laiche e il fervore nel culto dei san, specialmente verso il patrono sant’Appiano, la Vergine Maria e san Carlo Borromeo. Questo breve quadro potrebbe far pensare, in apparenza, a una re- altà staca e sostanzialmente chiusa. Al contrario, Cabiaglio guardava ben oltre i suoi confini; anche tradizioni migratorie ne tracciavano un profilo dinamico. La scarsità di risorse agricole, lì come in molte aree della fascia prealpina lombarda, dovrebbe aver favorito fin da tempi re- mo lo sviluppo di specializzazioni lavorave desnate a trovare sboc- co in un’emigrazione spesso di qualità, che fece la fortuna, almeno in determinate fasi della loro parabola storica, di famiglie come gli Arioli, i Canobini, i Leoni, i Ronchelli e gli Zacchei, solo per citare alcuni esempi.

I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti tra Lombardia e Abruzzo (secoli XVII-XVIII), in D. Rossi (a cura di), Giovanni Battista Ronchelli. Atti del convegno nel 300° anno

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Francesco Parnisari

I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti tra Lombardia

e Abruzzo (secoli XVII-XVIII)

Conobbi per la prima volta Cabiaglio attraverso gli atti notarili con-servati nell’Archivio di Stato di Milano, lavorando alla mia tesi di dotto-rato sull’emigrazione dall’alto Varesotto in età moderna 1.

Più che al paese in sé, mi riferisco ai cabiagliesi vissuti nei secoli XVII-XVIII, uomini e donne disciplinate sotto l’egida delle loro gerarchie lai-che ed ecclesiastiche, sia nel villaggio sia nell’ambito più esteso della pieve di Valcuvia, una valle delle Prealpi varesine aperta verso il Lago Maggiore.

La piccola comunità era retta secondo le forme di autogoverno lo-cale proprie della Lombardia d’antico regime, a partire dall’assemblea dei capi di casa, che in base ad antichi statuti eleggeva le cariche pub-bliche, gestiva l’utilizzo dei boschi e dei pascoli aperti allo sfruttamento collettivo, ripartiva gli oneri tributari e regolava ad ogni livello la parte-cipazione alla vita comunitaria. Questa si esprimeva anche nelle prati-che religiose parrocchiali, come evidenziano, fra l’altro, la presenza di confraternite laiche e il fervore nel culto dei santi, specialmente verso il patrono sant’Appiano, la Vergine Maria e san Carlo Borromeo.

Questo breve quadro potrebbe far pensare, in apparenza, a una re-altà statica e sostanzialmente chiusa. Al contrario, Cabiaglio guardava ben oltre i suoi confini; antiche tradizioni migratorie ne tracciavano un profilo dinamico. La scarsità di risorse agricole, lì come in molte aree della fascia prealpina lombarda, dovrebbe aver favorito fin da tempi re-moti lo sviluppo di specializzazioni lavorative destinate a trovare sboc-co in un’emigrazione spesso di qualità, che fece la fortuna, almeno in determinate fasi della loro parabola storica, di famiglie come gli Arioli, i Canobini, i Leoni, i Ronchelli e gli Zacchei, solo per citare alcuni esempi.

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Quando in una seconda fase delle mie ricerche frequentai l’archi-vio parrocchiale del paese, ebbi finalmente l’occasione di ammirare dal vivo un piccolo borgo giunto fino a noi conservando gran parte della sua identità urbana: arroccato su un’altura, solcato da strette vie su cui si affacciano, attraverso dei portoni, antiche corti rurali, edifici umili alternati a residenze di stampo signorile e a pregevoli architetture reli-giose. Intorno, i versanti boscosi dei monti. È probabile che di fronte a quei portoni, nei secoli passati, molti cabiagliesi si siano congedati dai loro famigliari prima d’intraprendere il lungo cammino verso sud, che li avrebbe trattenuti lontano da casa anche per diversi anni.

Il terzo centenario della nascita del pittore Giovanni Battista Ronchel-li, figura di rilievo nel panorama artistico lombardo, offre l’occasione di approfondire la storia della grande famiglia Ronchelli, che occupò fra il Sei e il Settecento una posizione di primo piano nel quadro dell’emi-grazione cabiagliese. Bisogna precisare, tuttavia, che il tema presenta ancora molte zone d’ombra, che soltanto un’accurata analisi delle fonti abruzzesi, e particolarmente aquilane, potrà meglio illuminare.

Da Giovanni Battista “de Roncherio” a Francesco “Ronchelli”

Fu negli anni a cavallo fra il Cinque e il Seicento che un certo Giovanni Battista de Roncherio o de Ronché detto il Bogno si unì in matrimonio con Nicolina Rossi detta de Silvestro, dando vita al primo nucleo ca-biagliese dei Ronchelli di cui si abbiano notizie sicure. Mentre Nicoli-na era sicuramente originaria di Cabiaglio, più incerti paiono i natali di Giovanni Battista, il cui cognome, nonché il soprannome, potrebbero indicarne la provenienza da una località della pieve di Brebbia, Bogno, dove nel Cinquecento erano insediate diverse famiglie de Ronchario e presso cui esiste tutt’oggi, al confine con Brebbia, una località denomi-nata “Ronché” 2.

Giovanni Battista Bogno, in ogni caso, risulta ben inserito fin da subi-to nel tessuto sociale di Cabiaglio e nel flusso degli spostamenti tempo-ranei che legavano la Valcuvia all’Italia centro-meridionale. La procura con cui nel maggio del 1602 affidò alla moglie la cura della casa e di ogni suo interesse lo ricollega, infatti, a un costume tipico degli emi-granti, che erano soliti agire così prima di lasciare il paese 3. La loro meta, in genere, era l’Abruzzo, dove rimanevano anche per due o tre anni consecutivi svolgendo i mestieri più vari. Fra il tardo Medioevo e la prima età moderna l’Abruzzo si presentava, del resto, come un’a-rea complessivamente vivace e dinamica dal punto di vista economico,

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potendo contare su un sistema di fiere e mercati tra i più rilevanti del Regno di Napoli. L’Aquila, grazie alla sua posizione favorevole lungo le vie di comunicazione tra nord e sud della Penisola, costituiva una piaz-za mercantile di primaria importanza ed era fra le mete più praticate dagli emigranti «milanesi», ossia oriundi dello Stato di Milano 4. Da lì i flussi si irradiavano in direzione di Lanciano, sede di fiera e altro grande scalo commerciale, ma anche verso un buon numero di città e centri minori. I “cabiagliesi d’Abruzzo”, più ancora che nel settore dell’edilizia, caratteristico dei lombardi, si erano specializzati come mastri calzolai e mercanti di vari prodotti, dai tessuti ai manufatti di metallo. Il loro mondo, dunque, corrispondeva alla bottega o al «fondaco», gestiti in-dividualmente oppure da compagnie di durata temporanea e formate da un numero ristretto di parenti o compaesani. Nelle compagnie, in cui fondamentale era la fiducia tra gli associati, assieme ai guadagni venivano suddivisi gli oneri e i rischi dell’impresa 5.

Non si conosce, purtroppo, l’effettiva occupazione del Bogno, ma fu senz’altro lui a gettare le basi del futuro successo dei suoi discendenti in Abruzzo. Lo si nota, ad esempio, dall’accorta strategia matrimoniale volta a intrecciare i destini dei suoi figli, nati dalla prolifica unione con Nicolina, ai membri di altre famiglie che erano soliti emigrare in quelle terre.

Prima, tuttavia, bisognò affrontare il flagello della peste, che dal 1628 dilagò in Lombardia. «Battista Bogno» figura nell’elenco dei capifamiglia che il 13 giugno 1630, davanti al notaio Benedetto Cattonio, elessero i loro rappresentanti per la costruzione di una nuova chiesa dedicata ai ss. Carlo e Rocco, sperando che i due intercessori avrebbero impedito l’arrivo dell’epidemia 6. Ma la peste raggiunse egualmente il paese l’an-no successivo, colpendo, fra gli altri, lo stesso notaio Cattonio, spirato a causa del morbo il 13 agosto 1631 7. La comunità cabiagliese, composta da circa ottantacinque focolari «avanti il contagio», in una rilevazione del 1647 ne contava sessantacinque, indizio di una ripresa demografica lenta e faticosa 8.

I Roncherio, comunque, ebbero la fortuna di superare l’epidemia e la forza di reagirvi immediatamente, come attestano i matrimoni di due figlie di Giovanni Battista, celebrati già nell’ottobre del 1631. Angela andò sposa a Francesco Aldrighetti, figlio naturale di un canonico della collegiata di Cuvio, mentre Maddalena si unì ad Antonio Maria Peregalli di Rancio 9. Alle due giovani furono assegnate doti piuttosto cospicue, rispettivamente di 800 e 600 lire, che riflettevano un discreto benes-sere economico, anche se in entrambi i casi Giovanni Battista non fu subito in grado di versarle ai generi per intero 10. Nell’aprile del 1632 si

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celebrarono le nozze di un altro figlio, Francesco, con la compaesana Margherita de Albertolo 11. Tale matrimonio ricalcava i comuni interes-si dei Roncherio e degli Albertolo nella città dell’Aquila, ove il padre di Margherita emigrava da lungo tempo 12 e che lo stesso Francesco frequentava da almeno un decennio. Vi era «degentem et commoran-tem», secondo il classico formulario notarile, nel 1622 e nel 1627, allor-ché Giovanni Battista, forse abbandonata la vita dell’emigrante, gli affi-dò il disbrigo di delicate faccende, inerenti alla richiesta di un prestito e alla riscossione di debiti 13.

Il fatto che nel 1631 fosse stato Francesco a trattare con l’Aldrighetti per la dote della sorella Angela rivela che suo padre si affidava a lui anche per la gestione degli interessi di famiglia in patria. Ma in tal caso poteva contare sul suo appoggio e sulla sua vicinanza solo per periodi piuttosto brevi. Dopo essersi sposato, infatti, Francesco lasciò nuova-mente Cabiaglio. Nel settembre del 1634 comparve a Scurcola, picco-lo borgo montano della Marsica, testimone a una procura fatta da un emigrante di Rancio 14. Il notaio lo indicò come oriundo «de Cabiello», in diocesi di Como, e con il cognome «Ronchellus», che stava prenden-do piede accanto all’antica forma Roncherio.

Su Francesco, poi, le fonti tacciono fino al 1641, anno in cui fu con-dotta un’indagine sul patrimonio dei milanesi all’Aquila. Tra le varie compagnie di calzolai e commercianti fu censita anche la società di «fondachieri di panni» che egli dirigeva assieme ad altri due lombardi, Santo Lusignoli e Giovanni Battista Ferradini, quest’ultimo originario di Casasco in Val d’Intelvi, con un capitale di ben 8.000 ducati napoleta-ni 15. Il matrimonio del Ferradini con un’altra sorella di Francesco, Ma-ria, celebrato a Cabiaglio nel 1643, andò a rafforzare un legame d’affari già solido ma le cui origini restano nell’ombra 16. È impossibile, d’altra parte, risalire ai motivi per cui Francesco scelse due partner commer-ciali estranei non solo alla famiglia – almeno fin quando il Ferradini non divenne suo cognato – ma anche al folto gruppo degli emigranti valcu-viani. La nascita di simili sodalizi, coraggiosamente aperti oltre i limiti delle comunità d’origine, poteva essere motivata da particolari compe-tenze messe a frutto dai soci, nonché dalle loro conoscenze in merito ai canali di commercializzazione dei prodotti 17. È verosimile, pertanto, che il fondaco Ferradini-Lusignoli-Ronchelli, aperto sulla Piazza Mag-giore, sede di mercato permanente, fosse molto frequentato sia dai cittadini aquilani sia dalla comunità lombarda, di cui i tre soci, con le loro diverse provenienze, costituivano un campione molto rappresen-tativo e di cui il Lusignoli fu per un certo periodo il portavoce ufficiale, ricoprendo la carica di Console generale della Nazione milanese in tutto

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il Regno di Napoli 18. È altrettanto probabile che lo smercio di tessuti co-stituisse solo uno dei molteplici servizi offerti dall’impresa, che in una testimonianza più tarda sarebbe stata citata anche come «negozio di banchiere», ove si svolgevano attività di cambio e prestito di denaro 19.

Nel 1654 Francesco Ronchelli, in virtù del possesso di immobili e del-la sua residenza continuativa, fu ammesso alla cittadinanza dell’Aqui-la; segno di un’integrazione completa ma anche frutto di una scelta senz’altro ponderata. Da un lato, infatti, l’essere cittadini comporta-va indiscutibili vantaggi, ad esempio la riduzione dei dazi di frontiera, dall’altro, però, bisognava sottostare a un regime tributario più one-roso, che si materializzava con l’inclusione nel Catasto e l’intero paga-mento dell’imposta diretta 20.

Appena due anni più tardi, trovandosi gravemente malato, Francesco fece testamento designando come eredi universali i figli Giovanni Batti-sta, Carlo, Silvestro e Antonio Maria, con l’obbligo di conservare tutte le proprietà acquisite. La moglie Margherita era nominata usufruttuaria dei beni, a patto di mantenere l’«habito viduile», mentre alla figlia Ca-terina andavano corrisposte cinquanta lire, in aggiunta a quanto aveva già ricevuto in dote per il matrimonio con il ricco calzolaio Giovanni Maria Leoni. Il testatore si ricordò anche delle sorelle e dei fratelli Gia-como Antonio e Bernardino, beneficiari di piccoli legati in denaro.

Ormai terminata la sua vita di mercante, il Ronchelli era consapevole di non essersi comportato sempre in modo irreprensibile verso il Ferra-dini e il Lusignoli. Perciò a ciascuno di loro spettavano trenta ducati «in reguardo di qualche mancamento che io avessi commesso in bottega in loro pregiuditio, overo se io avessi pigliato alcuna cosa e per scordo non l’havesse notato, etiam per la mia mercede, e ciò per scarico di mia con-scienza». Al contempo, però, i due soci dovevano porre mano ai bilanci e rivedere i conti perché non risultassero errori a danno dei suoi eredi.

Sistemati i beni terreni, in linea con la sensibilità e le preoccupazio-ni tipiche del tempo, Francesco volle assicurarsi la salvezza dell’anima predisponendo un numero adeguato di suffragi nei luoghi di culto più cari alla sua memoria. Una parte del patrimonio doveva garantirgli, innanzitutto, la celebrazione di messe perpetue: in patria nella chiesa parrocchiale di S. Appiano, all’Aquila nella cappella dei milanesi eretta nel Duomo di S. Massimo:

«Voglio che l’infrascriti miei heredi constituiscono un corpo di cen-zo di capitale di scudi doicento, del frutto de quali sieno obligati essi heredi e loro successori far celebrare una messa la settimana in perpetuum nella chiesa di Santo Appiano a Cabieglio per l’anima

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mia e farci anche un offitio de morti per l’anime del Purgatorio, e l’offitio perpetuo si debba fare una volta l’anno solamente con l’in-tervento di sette sacerdoti […] Item lasso alla cappella di Sant’Am-brosio e San Carlo esistente nella cattedrale dell’Aquila ducati cento con obligo che li procuratori d’essa cappella sieno obligati ogn’anno in perpetuo a farmi celebrare in essa chiesa un offitio per l’anima mia il giorno appresso a quello quando si fa l’offitio in essa chiesa dalla Natione milanese, e voglio che di detti docati cen-to se ne faci compra de tanti beni stabili, seu cenzi, quali debban rimanere sempre per benefitio d’essa cappella perché si possi con il frutto d’essi ducati cento far celebrare l’offitio predetto» 21.

Il Ronchelli, sempre in cambio di messe e preghiere, beneficiò nu-merosi enti religiosi, il cui elenco contribuisce a definire una sorta di geografia delle sue frequentazioni devote.

A Cabiaglio la confraternita del SS. Sacramento avrebbe ricevuto dopo la morte del testatore sei ducati e quella del SS. Rosario due lib-bre di cera bianca. Ma la maggior parte dei legati andava ripartita fra varie istituzioni aquilane, a riprova del forte legame con la realtà citta-dina. L’appartenenza alla comunità lombarda veniva rimarcata dal la-scito di un ducato al cappellano dei milanesi per dieci messe all’altare privilegiato dei defunti eretto in S. Massimo e di venti carlini alla Con-gregazione dell’Immacolata Concezione della Nazione lombarda nel Collegio dei Barnabiti. Gli eredi dovevano accantonare, poi, il denaro necessario per cento messe nel convento di S. Giuliano fuori le mura, dove i padri francescani, per altri sette ducati, erano anche tenuti a celebrare una messa cantata all’altare di S. Bernardino. Tre ducati per ciascuno erano destinati, inoltre, alla Congregazione degli Scolari di S. Gerolamo, all’oratorio di S. Antonio da Padova nel palazzo dei signori de’ Nardis e alla chiesa di S. Maria del Suffragio. Dieci carlini, infine, andavano alla chiesa della Madonna del Rifugio per due messe cantate all’altare privilegiato dei defunti.

La moglie Margherita, i soci Ferradini e Lusignoli, i cabiagliesi France-sco Arioli, Ludovico Canobini e Pietro Leoni, nominati tutti esecutori te-stamentari, ebbero il compito di attuare tali disposizioni entro due anni.

Sulle orme paterne: i fratelli Giovanni Battista, Carlo e Antonio Maria

La scomparsa di Francesco precedette di poche settimane l’arrivo in città della peste, che dall’agosto del 1656 avrebbe provocato la morte

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di circa 2.500 persone 22. I riflessi del terribile evento non risparmiaro-no neppure la lontana Valcuvia, in particolare le famiglie coinvolte nel-le migrazioni verso il Mezzogiorno. Nei villaggi si attendeva con ansia qualche notizia sui propri cari dimoranti in Abruzzo, sperando che riu-scissero a scampare l’epidemia; in caso contrario bisognava affrettarsi a mettere in salvo i loro guadagni. Ben lo rivela la procura indirizzata a Giovanni Battista Ferradini dai parenti di Marcantonio Savini da Cuvio e Carlo Antonio Poncellini da Cavona, due mercanti stroncati dal «morbo contagioso», per ottenere dai Deputati della Sanità dell’Aquila le chiavi del loro fondaco, chiuso al sopraggiungere della peste 23. L’atto fu ro-gato il 18 giugno 1657, un mese dopo la dichiarazione dello «stato di salute» e una serie di solenni festeggiamenti per la fine del male, che in realtà continuò a mietere vittime nel contado aquilano ancora per diversi mesi. Soltanto il 2 novembre si pubblicò «con ordine stampato, a suon di trombe, la restitution del commercio» 24.

Fu drammatico, alla fine, il bilancio delle vittime cabiagliesi. Nel 1660 Bartolomeo de Iodano riferì di una comunità ancora «mezza distrutta per causa del contaggio seguito nel Regno di Napoli, dove [gli emigran-ti] concorrevano per guadagnarsi il vivere» 25.

I fratelli Ronchelli, per loro fortuna, erano riusciti a superare indenni il momento negativo e a conservare, secondo le disposizioni paterne, la partecipazione diretta alla gestione del fondaco «Battista Ferradini e Compagni».

Un ruolo chiave nella società fu ricoperto dal primogenito, Giovanni Battista, che proprio nel 1660, quando il de Iodano lamentò le miserie di Cabiaglio, si sposò in paese con Elisabetta Panzanelli, proveniente da un’altra buona famiglia dell’emigrazione cabiagliese tra i cui membri, secondo strategie ben visibili fra le élites del Sei-Settecento, accanto all’inclinazione per i commerci fiorivano vocazioni religiose destinate a rinfoltire le file del clero lombardo e abruzzese. Il matrimonio fu cele-brato dal sacerdote Cristoforo, fratello di Elisabetta, che avrebbe svolto almeno parte della sua carriera come canonico della collegiata di S. Vit-tore a Varese 26. All’Aquila, nel frattempo, il giovane Silvestro Ronchelli compiva una scelta ancor più radicale varcando la soglia del convento di S. Francesco, dove divenne “frate Filippo” 27.

Per il resto della famiglia, ad ogni modo, i decenni seguenti alla peste corrisposero a un periodo di prosperità, analogamente a quanto av-venne per molti altri nuclei di mercanti giunti in Abruzzo dall’Italia del Nord, in particolare dallo Stato di Milano e dalla Terraferma Veneta. “Forestieri” presenti da secoli nell’area, i cui successi economici si ac-

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compagnarono spesso a un chiaro disegno di ascesa sociale e politica 28.Occorre ricordare che nel Regno di Napoli la contrazione dei com-

merci ad ampio raggio aveva provocato fin dall’inizio del Seicento il declino delle antiche fiere cittadine, appuntamenti periodici in cui le materie prime del Mezzogiorno (grano, zafferano, seta ecc.) si immet-tevano nei grandi traffici commerciali d’Europa. Un tempo frequentate da numerosi operatori stranieri, le fiere avevano ristretto via via il loro raggio d’azione all’ambito locale. In «un contesto congiunturale di do-manda calante e di consumi bassi» venivano ora minacciate da botte-ghe e fondachi,

«luoghi deputati alla sola vendita e distribuzione di merci, spesso di origine non locale e per lo più tenuti da mercanti forestieri […] radicati in ambiente urbano […]; la ricchezza e la varietà della gam-ma dei prodotti posti in vendita riproduceva in miniatura lo stesso assortimento di una fiera, con il vantaggio di poterlo offrire tutti i giorni dell’anno» 29.

Così doveva presentarsi, almeno a grandi linee, il mondo attorno al quale gravitavano gli interessi di Giovanni Battista, Carlo e Antonio Maria Ronchelli: un negozio di tessuti e altri generi posto nel centro dell’Aquila, ben inserito nel circuito degli scambi e del credito, sorretto da una fitta rete di alleanze. Non è facile scandagliare con precisione la vita di tale realtà, nonostante siano diversi gli atti che mostrano i tre fratelli indaffarati per conto della compagnia Ferradini, soprattutto nel difficile recupero dei crediti concessi a chi si presentava al loro banco-ne. «Io non voglio né posso pagarla»: così si lamentò nel 1668 un mura-tore di Carnisio, villaggio prossimo a Cabiaglio, quando Carlo gli mostrò sulla Piazza Maggiore dell’Aquila una lettera di cambio sottoscritta da un suo parente, che in patria aveva ricevuto da Giovanni Battista dieci ducati d’argento. La vertenza si risolse l’anno dopo con l’acquisto da parte dei Ronchelli di un terreno in Trevisago intestato ai loro debitori, beneficiando di un forte sconto 30. Simili impegni, d’altra parte, si profi-lavano ogniqualvolta i tre fratelli tornavano in Valcuvia, come si nota a proposito di Giovanni Battista e di Antonio Maria 31. Oltre al bisogno di ricongiungersi con i famigliari, i rientri periodici al paese erano dovuti al disbrigo di varie pratiche, per prime quelle attinenti alla gestione di un patrimonio immobiliare sempre crescente, dato che, seguendo la tendenza tipica degli emigranti che facevano fortuna, anche i Ronchelli investivano i loro capitali in terre ed edifici. I beni di famiglia, all’inizio del secolo limitati a poche pertiche di terreno, avrebbero annoverato intorno al 1680 vaste estensioni di campi e boschi – a Cabiaglio e nei

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vicini comuni di Azzio, Caldana e Gemonio – che con gli affitti garanti-vano un’ulteriore fonte di reddito 32. In realtà, si trattava non soltanto del frutto di normali acquisti ma anche della cessione di beni stabili da parte di soggetti fortemente indebitati, spinti a sanare situazioni di inadempienza ormai compromesse.

La terra, che nel mondo dell’emigrazione offriva la più immediata ga-ranzia per accedere ai prestiti e sostenere in anticipo i costi d’impresa, era anche un importante strumento di affermazione sociale: obbiettivo per cui spese le sue migliori energie Carlo, presentato dalle fonti super-stiti come un soggetto ambizioso e intraprendente. Nel 1669 egli riuscì a farsi eleggere console generale della Nazione milanese nel Regno di Napoli, titolo già appartenuto a Santo Lusignoli e di cui il Ronchelli con-tinuò a fregiarsi fino alla morte 33. Ciò dovette garantirgli una notevole visibilità di fronte alle autorità civiche, nel gruppo degli emigranti lom-bardi e, ancor prima, fra i suoi conterranei, che spesso si affidavano a lui per la risoluzione di delicate questioni famigliari 34.

In parallelo alle attività commerciali e creditizie, già sufficienti ad ac-crescere il patrimonio dei Ronchelli non solo in patria ma anche nel contado dell’Aquila, Carlo fece proprie altre strategie di guadagno, che andavano dall’acquisizione di diritti sulle decime in Valcuvia alla gestio-ne temporanea di grandi proprietà ecclesiastiche: in Lombardia, prima del 1672, quelle appartenenti all’abbazia della Cavedra di Varese; in Abruzzo, più tardi, il feudo di S. Benedetto in Perillis, antico possedi-mento dei benedettini di S. Maria di Collemaggio 35. Il titolo di «barone del castello di S. Benedetto in Perillis» o, più semplicemente, di «baro-ne», che precede il nome di Carlo in tutti i rogiti successivi al suo ritorno definitivo nel Milanese, fu senz’altro connesso a intenti autocelebrativi, almeno da un certo periodo in avanti 36.

Sui metodi di arricchimento seguiti da Carlo getta non poche ombre la testimonianza di un mercante bergamasco residente a Sulmona, che nel 1673 indicò il Ronchelli tra quegli individui senza scrupoli «che da poveri siino fatte persone facultose» mediante il contrabbando di seta e zafferano verso lo Stato Pontificio 37. La denuncia, fin’ora non suffra-gata da altri documenti, metterebbe in risalto una spregiudicatezza af-faristica in netto contrasto con l’immagine dell’uomo integerrimo, pio, fervente devoto di san Carlo Borromeo, che il Ronchelli amava trasmet-tere anche attraverso gesti eclatanti, come la fondazione di una cappel-lania intitolata proprio al grande arcivescovo ambrosiano nella chiesa di S. Biagio dell’Aquila, riservando il giuspatronato ai suoi discendenti 38.

Nel 1672 i Ronchelli, che avevano condiviso fino ad allora utili e per-

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dite, si spartirono il patrimonio comune, fatta eccezione per la loro quota della società Ferradini, con una lunga lista di creditori sparsi tra Lombardia, Regno di Napoli e Stato Pontificio 39. Pur gettando le basi per percorsi di guadagno individuali, i tre fratelli ritenevano che l’im-presa avviata molti anni prima dal padre offriva ancora buone garanzie di prosperità per l’avvenire e doveva, pertanto, essere conservata in comunione fraterna. L’idea di proseguire l’alleanza commerciale con i Ferradini era sostenuta soprattutto da Giovanni Battista, che sperava di coinvolgervi un giorno i suoi figli ancor piccoli: Francesco e Carlo Si-gismondo 40. Non immaginava che la morte lo avrebbe strappato al suo lavoro e ai suoi progetti in quello stesso 1672.

Il suo testamento, come quello paterno, rivela i tratti tipici dell’uomo devoto, scrupolosamente attento alla salvezza dell’anima e desideroso, al contempo, di lasciare una traccia indelebile di sé nella memoria dei conterranei 41. La sua sensibilità religiosa era orientata verso la figu-ra di sant’Antonio da Padova, oggetto di un’accesa devozione tanto in Valcuvia, con fulcro il convento francescano di Azzio, quanto all’Aquila, scampata alle violente scosse telluriche del 1646 grazie all’intercessio-ne del santo. Giovanni Battista ordinò di costruire dopo la sua morte una cappella nella chiesa parrocchiale di Cabiaglio, ove collocare il qua-dro di sant’Antonio che si trovava nella sua casa in paese 42. La cappella «sotto il titolo et invocatione del glorioso santo Antonio di Padova» fu eretta nel volgere di pochi anni dai suoi giovanissimi eredi Francesco e Carlo Sigismondo, «mediante la persona del barone Carlo Ronchelli loro zio e di Elisabetta Panzanelli loro madre e tutrice» 43. Il patronato dei Ronchelli, approvato dal vescovo di Como, comportava la nomina del sacerdote beneficiario; scelta che ricadde significativamente su Er-cole Ferradini, rinsaldando ancora una volta il legame di fiducia con i soci dell’Aquila. Alla cappella di S. Antonio venne fornito, inoltre, tutto il corredo necessario al servizio liturgico, oltre a una cospicua dotazione per garantire i suffragi stabiliti nel 1656 da Francesco Ronchelli. Alle messe per l’anima del testatore scomparso ormai da un ventennio do-vevano sommarsi, in futuro, quelle a beneficio degli altri membri del casato che, morendo in paese, sarebbero stati tumulati in quello spazio esclusivo, riunendosi in una comunione ideale 44.

A dispetto delle ultime raccomandazioni di Giovanni Battista, il con-nubio con i Ferradini si stava avviando alla conclusione.

Nel settembre del 1677 Carlo partì dall’Aquila per stabilirsi a Milano e lasciò la quota dei Ronchelli nelle mani di Antonio Maria, con l’ob-bligo di render conto della sua gestione al fratello e ai nipoti. Dopo lo scioglimento ufficiale della Società Ferradini, nel 1679, Antonio Maria

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rilevò le mercanzie, il denaro e i crediti spettanti alla famiglia e si tra-sferì in un fondaco comprato già nell’aprile del 1677 a “Piedipiazza”, nelle vicinanze del Duomo di S. Massimo 45. La conduzione del nuovo negozio, poi, procedette fra alti e bassi, risultando nel complesso poco remunerativa. Alla scomparsa di Antonio Maria, nel 1698, vari creditori vi irruppero sequestrando molta merce e Carlo, come erede universale del defunto, fu costretto a intentare contro di loro una causa assai di-spendiosa 46.

A differenza del padre e del fratello, che avevano scelto come ultima dimora la cappella dei milanesi in S. Massimo, Antonio Maria volle che il suo corpo fosse condotto scalzo e senza pompa alla Madonna del Ri-fugio, proibendo categoricamente il suono delle campane 47. Si preoc-cupò, inoltre, di affidare alla pietà e all’affetto dell’erede una sua figlia naturale di nome Giovanna, con l’onere di assegnarle la dote. Anche Carlo, dal canto suo, si era unito verso il 1684 con una certa Maddalena de Vincentiis di Azzio e dal loro rapporto era nata Teodora Elena. Nel 1700 avrebbe ottenuto la legittimazione della giovane, all’epoca edu-canda nel monastero di S. Martino a Varese 48.

Poco si conosce dei decenni trascorsi da Carlo in Lombardia, alter-nando la sua residenza fra Cabiaglio e l’abitazione acquistata a Milano nel sestiere di Porta Comasina. Di certo continuò nel commercio dei panni, specialmente lungo l’asse Milano-Genova-Madrid 49.

Nel 1716, ormai prossimo alla fine, poteva contare su una discreta fortuna che gli consentiva, fra l’altro, di ordinare per testamento la ce-lebrazione di mille messe di suffragio, vari legati alla prepositurale di S. Tommaso in Terra Amara, scelta come luogo di sepoltura, e gene-rosi atti di carità a favore dei cabiagliesi 50. Una volta deceduto, infatti, ad ogni famiglia del paese dovevano essere distribuite tre lire, oppure tanto sale per un valore corrispondente. Ma il suo pensiero si rivolse soprattutto ai focolari più poveri, vincolati ai pochi prodotti dell’agri-coltura locale. Per alleviarne i disagi volle creare un piccolo monte fru-mentario intitolato a san Carlo Borromeo, situato in una camera al pia-no superiore della sua «casa principale sulla piazza di Cabiaglio, vicino al torchio». I contadini in stato di bisogno avrebbero potuto richiedere un certo quantitativo di grano, con l’obbligo di restituirne l’equivalente entro l’anno del prelievo 51. La devozione a san Carlo era ancora mol-to accesa nel testatore, che stranamente non fece alcuna menzione della cappellania intitolata al Borromeo che lui stesso aveva fondato anni prima all’Aquila. Nominò eredi universali i nipoti maschi Francesco e Carlo Sigismondo, ma senza scordarsi di beneficiare anche le fem-mine, in particolare la figlia Teodora Elena, le nipoti Giovanna e suor

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Rosa Giacinta, le numerose pronipoti. Piccoli legati andarono, infine, alla servitù e ad altri abitanti di Cabiaglio legati ai Ronchelli per vincoli parentali o clientelari.

Due percorsi differenti: il notaio Francesco e il mercante Carlo Sigismondo

I destini professionali dei figli di Giovanni Battista Ronchelli parvero segnati fin dal loro battesimo. Il primogenito Francesco, infatti, ebbe come padrino il notaio Giovanni Angelo Porta di Zuigno mentre per Carlo Sigismondo fu presente il mercante Bartolomeo Marchi di Casa-sco, giunto appositamente dall’Aquila su mandato di Carlo Ronchelli 52.

In contrasto con le attività ma non con le ambizioni del parentado, Francesco divenne notaio, iniziando a rogare i suoi primi atti nel 1684. I testimoni interrogati per verificare se il giovane avesse i requisiti per accedere all’esame di abilitazione lo descrissero come il rampollo di una famiglia agiata, con «casa da nobile» e numerosi altri beni che gli assicuravano di «vivere da gentilhuomo senza fare professione alcu-na». A ciò bisognava aggiungere la sua quota del «negotio grosissimo» dell’Aquila, diretto all’epoca dallo zio Antonio Maria 53.

Nel 1689 Francesco conseguì la laurea in utroque iure, che in seguito gli permise di ottenere ulteriori profitti svolgendo l’officio di pretore in varie giurisdizioni dell’alta Lombardia 54. Nel 1692 le nozze con Caterina Botta, di una famiglia radicata da sempre nelle gerarchie del clero e del notariato locale, combaciarono perfettamente con i suoi interessi e le sue aspirazioni 55.

Nei periodi trascorsi a Cabiaglio l’elegante dimora di famiglia, in se-guito trasformata e abbellita, costituiva un autentico centro di pote-re 56. Oltre a rogare atti per un’ampia e variegata clientela, nei saloni della residenza Francesco amministrava le proprietà fondiarie, trattava con debitori e creditori, interveniva in vario modo in liti e questioni re-lative a singole famiglie, alla comunità o all’intera pieve di Cuvio.

Diverso fu l’ambiente in cui visse e operò Carlo Sigismondo, che ver-so il 1684, ancora adolescente, si trovava già all’Aquila come garzone nel fondaco dei Ronchelli 57. Alla morte di Antonio Maria assunse la conduzione dell’esercizio, riuscendo a traghettarlo oltre la congiuntura negativa conseguente al terremoto del 1703, di cui si dirà più avanti. Carlo Sigismondo, del resto, aveva ereditato la capacità dei suoi paren-ti di muoversi con accortezza nelle maglie della società aquilana e nel gioco di alleanze e rivalità fra commercianti forestieri. Lo attesta, ad

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 41

esempio, il suo matrimonio con Rosaria Mandola, proveniente da una famiglia mercantile bergamasca di discreto successo 58.

Pur percorrendo strade così diverse, i contatti tra Francesco e Carlo Sigismondo rimasero a lungo costanti, non soltanto per ragioni affetti-ve ma soprattutto per il fatto che i loro beni disseminati fra Cabiaglio e l’Abruzzo, ereditati o frutto del lavoro di ciascuno, rimasero posseduti in comunione 59. Dopo vari decenni, tuttavia, sorsero in proposito delle controversie, al punto che i due fratelli nel 1729 decisero di stipulare un accordo di fronte al notaio varesino Alberto Alemagna. Per quanto riguardava le abitazioni, Carlo Sigismondo rinunciò a ogni pretesa sulla casa da nobile di Cabiaglio, mentre Francesco cedette i propri diritti sul-la residenza posta nella città dell’Aquila «di più membri da cielo a terra» e un altra casa in Cabiaglio, anch’essa «di più membri da cielo a terra», con un giardino circondato da muri. Rispetto all’eredità trasmessa loro dal padre e dallo zio Carlo nello Stato di Milano, i due accettarono di di-videre tutto a metà, e allo stesso modo avrebbero diviso l’intero patri-monio immobiliare nel Regno di Napoli, oltre alle mercanzie e ai crediti amministrati da Carlo Sigismondo. Ciascun fratello, poi, doveva sotto-scrivere lo stato giurato delle rispettive sostanze: Francesco in patria e Carlo Sigismondo all’Aquila. Nonostante Francesco, in seguito, avesse incaricato più volte il figlio Giulio Maria (1698-1762) di attuare i termi-ni della convenzione, il lungo iter per la divisione dei beni si completò solo alcuni anni dopo la morte di Carlo Sigismondo, avvenuta intorno al 1735 60. Il 10 novembre 1739 Giulio Maria si recò nella casa dello zio all’Aquila, dove la signora Rosaria Mandola viveva con i figli Silvestro e Giuseppe Maria Ronchelli, ancora minori e quindi sottoposti alla tutela materna. In adempimento al precedente atto le due parti presentarono gli stati giurati di tutti i beni di loro pertinenza 61. Risultò che a Giulio Maria toccavano in terra abruzzese proprietà per 25.330 lire imperiali, mentre a Silvestro e Giuseppe Maria spettava a Cabiaglio un capitale di circa 18.370 lire. In vista della grande distanza che separava le due parti dalle rispettive proprietà, le tasse che avrebbero gravato su di esse e la necessità di mantenere degli amministratori, Giulio Maria e Rosaria Mandola decisero di procedere a uno scambio che il notaio Francesco Ronchelli ratificò il 30 aprile 1740.

Questo ramo del casato giunse, in tal modo, a una definitiva rottura. Da allora non si seppe più nulla in merito ai due figli di Carlo Sigismondo cresciuti in Abruzzo, che oggi verrebbero definiti immigrati “di seconda generazione”, mentre Giulio Maria avrebbe ristretto il proprio raggio d’azione alla Valcuvia avviandosi anch’egli, dopo la morte del padre, alla professione notarile 62. A metà Settecento il Catasto “Teresiano”

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registrò, insieme con il palazzo e le case di Cabiaglio, i suoi numerosi fondi nelle pievi di Cuvio e di Brebbia 63.

Il ramo di Giacomo Antonio RonchelliNel settembre del 1655 un figlio di Giovanni Battista de Roncherio

di nome Giacomo Antonio si sposò con Angela de Battino, che già nel maggio seguente diede alla luce il piccolo Pietro Maria 64. Nello stesso periodo i fratelli di Angela, dapprima emigranti temporanei, si trasfe-rirono definitivamente nel Regno di Napoli e le loro tracce sarebbero scomparse del tutto dalla memoria dei compaesani se al bambino non fosse stato affibbiato il soprannome “de Battino”, che lo avrebbe ac-compagnato per sempre 65.

A differenza degli zii materni, Pietro Maria scelse un’esistenza di tipo stanziale, da piccolo possidente, procurandosi entrate aggiuntive me-diante l’attività creditizia e l’assunzione di incarichi civici come quello di esattore, che ebbe in appalto per l’anno 1694 66. Verso l’anzianità ottenne una posizione di spicco anche nella vita religiosa del paese, fino a rivestire la carica di priore della confraternita del SS. Sacramento 67.

La via dell’emigrazione fu intrapresa dal primogenito di Pietro Ma-ria, Angelo Antonio, presente fra i numerosi impresari milanesi attivi nella ricostruzione dell’Aquila dopo il sisma che la devastò il 2 febbraio 1703 68. Ai margini delle compagnie valcuviane all’opera nei cantieri del Duomo, del Palazzo di Governo e dei principali luoghi pubblici aquila-ni 69, il Ronchelli si associò con il molisano Annibale Cascitto, vincendo l’appalto per il rifacimento di alcuni tratti delle mura presso l’orto di S. Vito e a Campo di Fossa, più le Porte Rivera, Barete e Bazzano 70. Tali lavori fruttarono ai due soci la somma di 1.434 ducati, corrisposti dalle autorità cittadine entro il 1704.

In quel periodo di intenso lavoro Angelo Antonio poté contare sull’appoggio del parente Carlo Sigismondo Ronchelli, nonché sul so-stegno finanziario dello zio Giovanni Battista, fratello di Pietro Maria, il quale prestò fideiussione a favore del nipote in sede di appalto 71. Le successive vicende dell’impresario, tuttavia, restano oscure, così come le circostanze della sua prematura scomparsa. Nel 1723, con un atto formale, suo padre perdonò e sollevò da ogni responsabilità un certo Francesco Borghini di Città della Pieve, in Umbria, per le ferite mortali inferte «medio scopulo» al povero Angelo Antonio 72. Così Pietro Maria, che già aveva perso un figlio di appena undici anni, dovette affrontare un altro grave lutto prima di spegnersi anch’egli nel 1731 73.

Le fonti consentono di gettare una luce più nitida sull’altro figlio di

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 43

Giacomo Antonio, Giovanni Battista – da non confondere con il cugino Giovanni Battista Ronchelli di Francesco – e sulla sua discendenza 74. Giovanni Battista esercitò la mercatura negli ultimi decenni del Seicen-to mantenendo i suoi interessi distaccati da quelli del fratello Pietro Maria – fra i due non è attestato un regime di comunione dei beni – e senza instaurare forme di collaborazione durature con i cugini, con i quali ebbe comunque dei contatti 75. Nel febbraio del 1703 sarebbe scampato miracolosamente al terremoto, dandone testimonianza nel corso di un’inchiesta sui danni provocati dal sisma:

«Racconta il signor Giovanni Battista Ronchelli che nella mattina suddetta delli 2, havendo fatto le sue divozioni, si portò a Col-le Maggio per adorare il Santo Protettore, e tutto che distorna-to da molti che stavan fuori, entrò, e genuflesso avanti il Santo, nel principiare ad orare, sentì dirsi tre volte va via; onde partitosi, incontratosi fuori dalla chiesa con un contadino, gli raccontava il fatto, aggiungendo che egli presagiva qualche sventura da un sal-vamento, e nell’avanzarsi alla Porta di Bazzano, come tal racconta, si scosse la terra, e deplorò le ruine rimanendo egli salvo» 76.

Il mercante, al quale non restavano comunque molti anni di vita, fu presto affiancato dai figli Giacomo Antonio e Raimondo, che ne avreb-bero proseguito l’attività conservando la comunione dei beni. In quegli anni di faticosa ripresa per la città colpita dal terremoto, i due scelsero di rafforzare la loro posizione nel gruppo degli emigranti cabiagliesi, associandosi con esponenti delle famiglie Leoni e Porani.

Nel 1710 a Giacomo Antonio andò in sposa Maria Grazia Porani, figlia dell’artista Antonio Maria detto del Frate, con testimoni di nozze il cu-gino dello sposo, Angelo Antonio Ronchelli, e Antonio Maria Canobini, ultimo discendente di un’altra stirpe di «pubblici mercanti» all’Aquila 77.

Le nozze spianarono la strada per il coinvolgimento nei traffici dei Ronchelli di un figlio di Antonio Maria Porani, Giovanni Battista. Ma il loro socio principale restò ancora per alcuni anni Giacomo Leoni, che solo al momento di lasciare definitivamente L’Aquila, nel 1718, cedette la direzione del suo fondaco in Piazza Maggiore a Giacomo Antonio 78. Raimondo, nel frattempo, era spesso in viaggio per conto della compa-gnia nei principali centri fieristici del Regno di Napoli. Il suo nome non compare neppure nella lista dei compaesani di stanza all’Aquila che nel 1721 finanziarono la realizzazione di un nuovo crocifisso per la parroc-chiale di S. Appiano 79.

Restando celibe, Raimondo aveva meno ragioni del fratello per rive-dere Cabiaglio. Pertanto, durante una sosta a Foggia nel 1714, inviò una

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procura a Giacomo Antonio affinché da lì in avanti potesse agire anche a suo nome in qualsiasi atto riguardante i loro comuni interessi 80. Ad ogni ritorno in patria, del resto, Giacomo Antonio era atteso da una se-rie di compravendite, investiture di terreni, riscossioni di crediti e affitti che lo rendevano un cliente fisso del notaio Francesco Ronchelli, suo parente; come nel dicembre del 1714, quando rilevò dal nobile varesi-no Filippo Castiglioni un credito di 152 lire contro gli eredi del defun-to Bernardino Arioli 81. Trascorrendo l’inverno a casa, il mercante poté assistere il 1° febbraio 1715 alla nascita del suo primogenito Giovanni Battista, seguito anni dopo da altri due figli: Carlo Ildefonso (1718) e Maria Elisabetta (1724) 82.

Nel 1732 Giovanni Battista Porani morì, devolvendo la sua quota so-cietaria al padre Antonio Maria, allo zio Pietro Paolo e al fratello Fran-cesco 83. La perdita, seppur pesante, non allentò il profondo legame dei Porani con L’Aquila. Un fratello di Antonio Maria, Carlo Giuseppe, vi compì parte dei suoi studi e, una volta sacerdote, divenne titolare della cappella del Presepe nella chiesa di S. Francesco, giuspatronato della nobile famiglia Pica. Nell’estate del 1712, trovandosi a Cabiaglio, aveva incaricato un emigrante di recarsi a Barisciano per riscuotere i canoni del suo beneficio 84. Nel XVIII secolo non era affatto raro imbattersi in casi del genere, dato il buon numero di milanesi che frequentavano il seminario e ricevevano gli ordini in Abruzzo per essere poi investiti di un canonicato o di una cappellania nei centri in cui gli emigranti aveva-no stretto relazioni più salde con i patriziati locali 85.

Nel caso specifico dei Porani, ad agevolarne i buoni rapporti con la nobiltà aquilana fu senza dubbio il prestigio raggiunto dall’altro fratello di Antonio Maria, Pietro Paolo, uno stimato architetto attivo dal 1705 al 1746 86. Portarono certamente la sua firma il progetto della nuova Porta di Bazzano, alla cui edificazione lavorò Angelo Antonio Ronchelli, e quello della fontana in Piazza Santa Maria di Paganica.

Dopo la morte del nipote, Pietro Paolo avrebbe frequentato più assi-duamente il fondaco condotto dai Ronchelli, che però era giunto al suo ultimo decennio di vita. Tra il 1737 e il 1741, infatti, sarebbero scompar-si in rapida successione Giacomo Antonio, la moglie Maria Grazia e il fratello Raimondo 87.

Il pittore Giovanni Battista Ronchelli e la fine dei rapporti commerciali con L’Aquila

Secondo la biografia tracciata del Giovio, Giovanni Battista fu desti-nato inizialmente alla mercatura «ma l’inclinazione il fece pittore» 88.

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 45

È dunque verosimile che nel periodo passato all’Aquila dando «opera alle lettere umane», forse sotto la guida di un precettore privato, abbia anche praticato il fondaco di famiglia in veste di garzone al fianco del padre Giacomo Antonio, che lo immaginava come prosecutore dell’atti-vità. Resta pressoché sconosciuto, purtroppo, questo delicato periodo formativo in cui il futuro artista operò una scelta dirompente rispetto alla tradizione famigliare e alle aspirazioni paterne, ottenendo, infine, la possibilità di trasferirsi a Roma, dove a diciotto anni divenne allievo di Francesco Mancini.

L’Urbe, luogo ideale di apprendistato per generazioni di emigranti lombardi nel campo delle arti edili, tripudio di meraviglie artistiche per cui «anche li siocchi si rafinano» 89, fu la meta prescelta da Giovanni Battista. Nella Roma del primo Settecento, tra l’altro, la presenza dei valcuviani era capillare e il giovane, nei quattro anni trascorsi in città, poté approfittare dell’appoggio di conterranei come il mercante Gio-vanni Giacomo Arioli. Nacque probabilmente lì la buona amicizia tra suo figlio Filippo e l’aspirante pittore; accomunati dal ceto ma anche dalle circostanze della vita visto che nel volgere di pochi anni entrambi avrebbero perso il padre. La loro amicizia era ancora viva all’inizio del 1744 quando i due erano in patria e Filippo Arioli, in procinto di tornare a Roma per badare al suo negozio, affidò al Ronchelli il duplice com-pito di procurare un bravo maestro a suo fratello Giovanni Battista e di collocare in educandato sua sorella Marianna. A Cabiaglio, come in molte altre comunità della valle, l’insegnamento scolastico era ritenuto essenziale per i piccoli destinati all’emigrazione ma solo l’élite artigiana e mercantile poteva permettersi di fornire ai suoi membri la migliore istruzione possibile 90.

Dopo la perdita dei genitori, Giovanni Battista e suo fratello Carlo Il-defondo, avviato al sacerdozio, si trovarono alle prese con un fardello di responsabilità fino a poco prima inimmaginabili. Fu la morte dello zio Raimondo, tuttavia, a rappresentare il momento più critico. Nomina-ti eredi universali, i due acquisirono il controllo di un patrimonio com-prendente «terreni, azioni, ragioni, crediti, capitali di mercanzie, oro, argento, monete» 91: in apparenza una vera fortuna, che però rischiava di dissiparsi a causa di debitori renitenti come un certo Casimiro Leteo di Chieti, il quale doveva a Raimondo 900 ducati 92. Erano parecchi, inoltre, i debiti accumulati dalla società stessa: motivo per cui nel 1742 Giovanni Battista rinunciò formalmente alla sua parte di eredità, mentre Carlo Ildefonso tentava di riassestare i bilanci con l’aiuto dell’anziano paren-te Pietro Paolo Porani 93. D’altra parte il chierico non intendeva abban-donare definitivamente L’Aquila, a maggior ragione dopo che nel 1740

46 ● Francesco Parnisari ●

il notaio Francesco Ronchelli lo aveva investito della cappellania di S. Carlo Borromeo, l’istituzione fondata dal barone Carlo Ronchelli 94. Nei periodi in cui risiedeva a Cabiaglio, lontano dal suo beneficio ecclesiasti-co, continuò ad avvalersi dei Porani anche per riscuoterne le rendite 95.

La sollecitudine dei Porani non era disinteressata: come soci dei de-funti Giacomo Antonio e Raimondo, per anni reclamarono dai nipoti la restituzione dei capitali a suo tempo investiti. La lunga vertenza ebbe termine solo nel 1747 con un compromesso, allorché Carlo Ildefonso, anche per conto del fratello assente, promise di devolvere ai parenti la somma di 500 lire 96. Si trattò dell’ultimo atto riguardante le imprese commerciali dei Ronchelli all’Aquila.

ConclusioneIl percorso dei Ronchelli attraverso i secoli XVII-XVIII non sembra di-

scostarsi da quello di tante altre famiglie dell’area alpina che basarono le loro fortune sull’emigrazione e i commerci nelle città d’Italia.

Nonostante ci sia ancora molto da indagare sulle loro attività, le fonti analizzate hanno mostrato la storia di uomini capaci d’inserirsi con in-traprendenza nei mercati abruzzesi e di percorrere un cammino che li innalzò dalla massa in gran parte “anonima” degli emigranti fino a un livello di agio e rispettabilità.

Radicatasi all’Aquila, la famiglia dovette distribuirsi tra il villaggio d’o-rigine e i luoghi di lavoro adattandosi a un sistema di mobilità – talvolta di rotazione degli individui – proprio delle migrazioni temporanee. Se da un lato, infatti, bisognava portare avanti la conduzione dei fondachi, presidiare le posizioni acquisite nella struttura socio-economica cittadi-na e in seno alla Nazione milanese, dall’altro non si poteva interrompe-re il vincolo con Cabiaglio, dove la famiglia allargata conservava i suoi diritti a livello comunitario, la sua struttura irrinunciabile di clientele e rapporti personali, oltre a un patrimonio terriero che si voleva sempre più esteso. L’uso di accorte alleanze parentali, la costituzione di socie-tà con elementi del paese, della Valcuvia o di altre valli, la comunione universale dei beni come orizzonte di sicurezza e prosperità, da mante-nere il più a lungo possibile, sono aspetti che emergono con chiarezza dagli sviluppi del casato nei suoi due rami principali, quello di Francesco († 1656) e quello di Giacomo Antonio. Ma in entrambi si notano anche soluzioni di vita, indirizzi lavorativi e vocazioni religiose che, nell’imme-diato o alla lunga, portarono alla scomposizione dei nuclei e all’abban-dono delle rotte verso il Mezzogiorno.

Quando non si verificarono episodi violenti, oppure la naturale estin-

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 47

zione delle discendenze, furono una serie di scelte individuali a deter-minare la fine dei commerci. Così fu per il pittore Giovanni Battista Ron-chelli, che alla carriera del mercante preferì quella dell’artista e ottenne notorietà grazie alle sue pregevoli opere, giunte solo in parte fino ai nostri giorni.

Schema genealogico dei Ronchelli di Cabiaglio

Giovanni Battista

de Roncherio

Francesco

† 1656Giacomo Antonio

Antonio Maria

† 1698

Carlo

† 1716

Giovanni Battista

† 1672

Silvestro

(frate francescano)Giovanni Battista

Pietro Maria

1656-1731

Angelo Antonio

† 1723 ca.Giacomo Antonio

Carlo Ildefonso

(sacerdote)

Giovanni Battista

(pittore)

1715-1788

Francesco (notaio)

1662-1745

Carlo Sigismondo

1668-1735 ca.

Giulio Maria

(notaio)

1698-1762

Giuseppe Maria

Silvestro

Raimondo

† 1741

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Note1. Cfr., di chi scrive, «Andare per il mondo dalle valli lombarde». Migrazioni,

comunità e culture locali in età moderna, Milano 2015.2. Si tratta, naturalmente, di una cauta ipotesi. Sui de Ronchario a Bogno:

Archivio Storico Diocesano di Milano (d’ora in poi ASDMi), Sez. X, Visite Pastorali, Pieve di Besozzo-Brebbia, vol. 5, q. 34, Status animarum Bonii, 1596. Un documento più antico, il censimento dei fuochi che compone-vano la pieve di Brebbia nel 1537, tramanda il nome di un certo «Battista di Ronche», il quale a Bogno ricoprì quell’anno la carica di console: Ar-chivio di Stato di Milano (d’ora in poi ASMi), Atti di Governo, Censo, p.a., cart. 13/A.

3. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Cattonio quondam Cristoforo, cart. 24234, 22 maggio 1602: Giovanni Battista de Roncherio q. Giulio nomina sua procuratrice la moglie Nicolina Rossi q. Francesco.

4. Cfr. A. De Matteis, L’Aquila e il contado. Demografia e fiscalità (secoli XV-XVIII), Napoli 1973; R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori. Strutture sociali ed urbane della città nel Sei e Settecento, voll. II e III di Antinoriana. Studi per il bicentenario della morte di Antonio Ludovico Antinori, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, L’Aquila 1978; A. Bulgarelli Lukacs, L’econo-mia ai confini del regno. Mercato, territorio, insediamenti in Abruzzo (XV-XIX secolo), Lanciano 2006; S. Mantini, Reti cittadine, cultura e società all’Aquila alla vigilia del terremoto del 1703, in Città e Storia, 6 (2011), 1, pp. 33-81.

5. Cfr., in generale, M. Cavallera, Imprenditori e maestranze: aspetti della mobilità nell’area prealpina del Verbano durante il secolo XVIII, in G.L. Fontana-A. Leonardi-L. Trezzi (a cura di), Mobilità imprenditoriale e del lavoro nelle Alpi in età moderna e contemporanea, Milano 1998, pp. 75-116; L. Lorenzetti, Controllo del mercato, famiglie e forme imprenditoriali tra le élite mercantili sudalpine, dalla fine del Cinquecento al Settecen-to, in S. Cavaciocchi (a cura di), La famiglia nell’economia europea, secc. XIII-XVIII, Atti della “Quarantesima settimana di studi” (6-10 aprile 2008), Firenze 2009, pp. 517-526.

6. ASMi, Notarile, Benedetto Cattonio q. Giovanni Giacomo, cart. 24242, de-putatio, 13 giugno 1630. Gli uomini di Cabiaglio riconoscevano nei due santi i loro speciali protettori in ogni tempo, ma specialmente «in praesen-taneo et eminenti periculo epidemiae». Le vicende della chiesa attraverso i secoli sono ripercorse da D. Rossi, Oratorio di San Carlo: la chiesa per il Paese, Associazione Culturale Gruppo Ronchelli, Castello Cabiaglio 2009.

7. ASMi, Notarile, Rubriche, cart. 1498. Suo fratello Giacomo Antonio, anch’egli notaio, annotò che Benedetto «e morbo contagioso mortuus est» a Cabiaglio, in località «Silva Piana», dove erano stati condotti gli appestati.

8. ASMi, Atti di Governo, Feudi Camerali, p.a., cart. 24. 9. Archivio Parrocchiale di Castello Cabiaglio (d’ora in poi APCa), Registro dei

matrimoni, 1605-1677. Francesco Aldrighetti era vedovo della cuviese An-

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 49

gelina Cappia, che gli aveva dato due figli: ASMi, Notarile, Giovanni Aloisio Leoni q. Gabriele, cart. 21638, codicillo del canonico Matteo Aldrighetti, 17 gennaio 1631.

10. Il 12 settembre 1631, a Cuvio, Francesco Aldrighetti ricevette un anticipo di 50 lire; il 16 gennaio 1632 Giovanni Battista gli avrebbe consegnato altre 130 lire e diversi terreni a Cabiaglio, saldando il suo debito: ASMi, Notarile, Giovanni Aloisio Leoni q. Gabriele, cart. 21638. Qualche mese dopo, il 29 ottobre 1632, il Roncherio consegnò al Peregalli la dote di Maddalena, con l’esclusione di 174 lire che prometteva di racimolare al più presto: ASMi, Notarile, Giacomo Antonio Cattonio q. Giovanni Giaco-mo, cart. 26989.

11. APCa, Registro dei matrimoni, 1605-1677, matrimonio di Francesco «de Roncherio detto il Bogno» di Giovanni Battista e Margherita de Albertolo q. Francesco, 25 aprile 1632.

12. ASMi, Notarile, Giovanni Aloisio Leoni q. Gabriele, cart. 21634, 7 maggio 1615: Francesco de Albertolo q. Alberto, «de proximo recessurus in civi-tatem Aquilae, Regni Neapolis» nomina sua procuratrice la moglie Cate-rina de Leoni de Iano.

13. ASMi, Notarile, Giovanni Aloisio Leoni q. Gabriele, cart. 21636, procura, 12 marzo 1622; Benedetto Cattonio q. Giovanni Giacomo, cart. 24242, procura, 4 marzo 1627.

14. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Ruffino, cart. 25563, venditio cum pacto gratiae et investitura, 28 marzo 1635. In allegato si trova la procura dettata da Gabriele de Thoma di Rancio al notaio Francesco de Martino. Nell’atto il nostro si firmò «Francesco Ronchelio».

15. R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. II, pp. 144-145. Guardando agli altri cabiagliesi, il loro esercizio surclassava attività pur fiorenti come quella dei fratelli Bartolomeo e Giovanni Maria Leoni, calzolai con 2.000 ducati, o dei fondachieri Francesco Canobini e Giovanni Arioli, con 1.000. Un ducato corrispondeva a cinque lire imperiali dello Stato di Milano.

16. APCa, Registro dei matrimoni, 1605-1677, matrimonio di Giovanni Batti-sta Ferradini q. Ercole con Maria Ronchelli di Giovanni Battista, 10 agosto 1643.

17. Cfr. L. Lorenzetti, Controllo del mercato, famiglie e forme imprenditoriali, cit., pp. 521-522.

18. R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. II, p. 187.19. ASMi, Collegio dei notai e dei causidici, cart. 81, testimonianza del notaio

Pietro Maria Marchetti, 9 agosto 1684.20. A. Bulgarelli Lukacs, L’economia ai confini del regno, cit., pp. 284-287.21. APCa, cart. 7, fasc. 34, estratto del testamento di Francesco Ronchelli,

rogato dal notaio aquilano Carlo Magnante l’11 aprile 1656. Per quanto riguardava i suffragi cabiagliesi, se gli eredi Ronchelli avessero rinunciato a tale onere il censo di duecento scudi sarebbe passato in dote alla con-fraternita del SS. Sacramento, oppure, in caso di rinuncia anche da parte dei confratelli, al curato pro tempore di Cabiaglio. Nel 1741, visto che il

50 ● Francesco Parnisari ●

reddito garantito dal censo era ormai insufficiente a supportare il legato, il notaio Francesco Ronchelli (del quale si tratterà più avanti) volle ceder-lo, incontrando però il duplice rifiuto dei priori della confraternita e del parroco: ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39022, abstinentia, 17 gennaio 1741.

22. L. Del Vecchio, La peste del 1656-1657 in Abruzzo. Quadro storico-geo-grafico-statistico, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Pa-tria», 66-68 (1976-1978), pp. 83-138, a p. 120.

23. ASMi, Notarile, Francesco Bernardino Savini q. Ruffino, cart. 24761, pro-cura, 18 giugno 1657. I destinatari dell’atto, oltre al Ferradini, erano Pietro Poncellini e Carlo Forzanetti, «omnes exercentes artem mercium diversis generis». Nel 1641 Marcantonio Savini risultava attivo nel commercio di panni assieme a Giacomo e Bernardino Poncellini, probabilmente cugini di Carlo Antonio, la cui società fu censita con un capitale di 4.000 ducati: R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. II, p. 145.

24. L. Del Vecchio, La peste del 1656-1657 in Abruzzo, cit., pp. 118-119.25. R. Merzario, La buona memoria. Il ricordo familiare attraverso la parola

e il gesto, in «Quaderni storici», 17 (1982), 3, pp. 1001-1026, a p. 1011.26. APCa, cart. 2, fasc. 1, Registro dei matrimoni, 1605-1677, matrimonio di

G. B. Ronchelli q. Francesco ed Elisabetta Panzanelli di Giovanni Andrea, 18 aprile 1660. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart. 33432, divisione dei beni tra i fratelli Cristoforo Cattonio, sacerdote, e Giovanni Angelo Panzanelli del fu Giovanni Andrea, 7 luglio 1672. Per conto del secondo agiva Giorgio Zacchei, mediante procura ro-gata all’Aquila dal notaio Pietro Paolo Guerrerio (14 ottobre 1671).

27. Appaiono meno nette, invece, le mosse di suo fratello Antonio Maria, che continuò a praticare la mercatura anche dopo aver vestito, a un certo punto, l’abito clericale, figurando in vari atti come «chierico beneficia-to»: ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart. 33436, 10 novembre 1682; Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36810, 17 maggio 1687; Carlo Antonio Marchetti q. Pietro Maria, cart. 35246, 17 gennaio 1701.

28. A. Bulgarelli Lukacs, L’economia ai confini del regno, cit., pp. 278-281.29. Ivi, pp. 176-177.30. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart.

33430, vendita, 7 agosto 1669. Bernardino di Giorgio q. Giorgio, anche a nome di suo nipote, vende a Giovanni Battista Ronchelli q. Francesco un campo con viti a Trevisago, dove si dice «al Gagiolo» per 190 lire. Lire 65 ½ vengono trattenute per saldare il debito di dieci ducati d’argento, men-tre le restanti lire 124 ½ sono incamerate dal venditore. In allegato l’atto rogato all’Aquila il 20 novembre 1668 da Pietro Paolo Guerrerio.

31. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart. 33430, prorogatio termini ad solvendum, 10 gennaio 1670. Giovanni Bat-tista Ronchelli concede una proroga a Bernardino de Iodano per il pa-gamento di un debito. In allegato la vendita rogata all’Aquila dal notaio

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 51

Guerrerio il 20 maggio 1669: Gabriele de Iodano q. Antonio vende a Car-lo Ronchelli, pubblico mercante, che accetta anche a nome di Giovanni Battista e Antonio Maria suoi fratelli, il credito di 700 lire imperiali che possiede contro Bernardino de Iodano. ASMi, Notarile, Tobia Nolini q. Francesco, cart. 29138, procure di Antonio Maria Ronchelli per recupera-re i debiti di Paolo Fontana di Lugano verso la società Battista Ferradini e Compagni, 23 aprile 1671 e 16 settembre 1672.

32. Archivio Storico Civico di Milano, Località foresi, cart. 49, perticato rurale di Cabiaglio, 1620 circa, f. 107. Terre intestate a «Battista Bonino, over Bogno, et Nicolina sua moglie»: tavole 22 di aratorio, pertiche 3.11 di «avidato», pertiche 3.10 di «prato sutto», pertiche 7.12 di selva, pertiche 7.12 di brughiera, tavole 6 di «sito di casa». Ogni pertica, divisa in 24 ta-vole, corrispondeva a 654,5 metri quadrati. Sul patrimonio immobiliare successivamente acquisito: ASMi, Collegio dei notai e dei causidici, cart. 81, testimonianza del notaio Pietro Maria Marchetti, 9 agosto 1684.

33. R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. II, p. 187 n. 34. Così fece, ad esempio, Caterina Rossi, che nel 1671 perse all’Aquila il ma-

rito e il figlio in un drammatico incendio. La donna sperava che il Ronchel-li, in virtù della sua autorità di rappresentante della Nazione milanese, avrebbe facilmente recuperato i crediti lasciati dai defunti: ASMi, Nota-rile, Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart. 33431, procura, 6 aprile 1671.

35. ASMi, Notarile, Gaudenzio Botta q. Giovanni Antonio, cart. 34685, divi-sioni, 12 aprile 1672; R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. III, p. 531-532 n.

36. ASMi, Notarile, Carlo Gariboldi q. Giovanni Battista, cart. 37175, testa-mento del barone Carlo Ronchelli, 20 maggio 1716. Nel 1707, quando Car-lo si fregiava ancora del titolo baronale, signore di S. Benedetto in Perillis era il nobile Ascanio Alfieri Ossorio, barone d’Arischia e di S. Vittorino: R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. III, p. 531 n.

37. A. Bulgarelli Lukacs, L’economia ai confini del regno, cit., p. 340.38. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39021, ellectio, 30

luglio 1740. Il periodo in cui avvenne tale fondazione resta imprecisato.39. ASMi, Notarile, Gaudenzio Botta q. Giovanni Antonio, cart. 34685, divi-

sioni, 12 aprile 1672. All’atto furono presenti solo Antonio Maria e frate Filippo, quest’ultimo come procuratore dei fratelli rimasti nel Regno di Napoli (le procure furono rogate dai notai Guerrerio dell’Aquila e Antonio Campanile di Napoli nell’ottobre del 1671).

40. APCa, Registro dei nati, 1656-1699. Francesco fu battezzato il 31 dicem-bre 1662; Carlo Sigismondo l’8 novembre 1668.

41. L’atto fu rogato il 12 ottobre 1672 dal notaio Guerrerio. Se ne conserva un estratto in APCa, cart. 1, fasc. 6, e una breve menzione in un documento relativo a Carlo Ronchelli: ASMi, Notarile, Carlo Antonio Marchetti q. Pie-tro Maria, cart. 35246, 17 gennaio 1701.

42. APCa, cart. 1, fasc. 6. Il dipinto dell’apparizione di Gesù Bambino a sant’An-

52 ● Francesco Parnisari ●

tonio, tutt’ora esposto nella parrocchiale cabiagliese, meriterebbe un attento confronto con quello realizzato all’Aquila nel 1643 da Francesco Bedeschini su commissione del cavaliere Ludovico de’ Nardis: cfr. «Appari-zione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova», scheda a cura di Daphne De Luca, in L. Arbace-L. Baratin (a cura di), Restauri d’arte. Opere dell’A-bruzzo recuperate dopo il sisma, Catalogo della mostra (Sulmona, 13-30 settembre 2012), Ancona 2012, pp. 76-81; L. Pezzuto, Novità su alcuni “pe-tits maîtres” del Seicento tra L’Aquila, Roma e Ascoli Piceno: Francesco Be-deschini, Cesare Fantetti, Ludovico Trasi, in F. Grisolia (a cura di), Disegnare a Roma tra l’età del Manierismo e il Neoclassicismo, numero monografico di «Horti Hesperidum», 4 (2014), 1, pp. 147-205. Fu il dipinto del Bedeschi-ni, ritenuto miracoloso per lo scampato pericolo del 1646, a incentivare l’erezione dell’oratorio di S. Antonio de’ Nardis, al cui cantiere lavorarono diversi artisti lombardi e che divenne presto un importante centro di spi-ritualità, frequentato dagli stessi Ronchelli: si veda, in proposito, il piccolo lascito destinatogli da Francesco nel testamento del 1656.

43. APCa, cart. 1, fasc. 24, cronistoria del legato Ronchelli dal 1656 al 1712.44. APCa, cart. 1, fasc. 26. La cappella divenne un punto di riferimento per

l’intera comunità cabiagliese, come testimoniano i legati disposti a suo vantaggio da diversi testatori nei decenni seguenti.

45. Sull’acquisto cfr. R. Colapietra, Gli aquilani d’antico regime davanti alla morte, 1535-1780, Roma 1986, p. 157. Piazza Maggiore, su cui si affaccia il Duomo, si divide tutt’oggi in “Capopiazza” e “Piedipiazza”.

46. ASMi, Notarile, Carlo Antonio Marchetti q. Pietro Maria, cart. 35246, mandatum, 17 gennaio 1701. Per proseguire la causa già avviata Carlo nominò suoi procuratori l’avvocato Giovanni Battista Giura di Napoli, il barone Gregorio Antonelli e il nipote Carlo Sigismondo Ronchelli, tutti abitanti all’Aquila.

47. R. Colapietra, Gli aquilani d’antico regime davanti alla morte, cit., p. 157. Il testamento fu rogato dal notaio Perseo Capulli il 31 marzo 1698. La morte di Antonio Maria, il 13 aprile, fu seguita a breve distanza da quella della sorella Caterina, avvenuta il 20 maggio a Cabiaglio (APCa, Registro dei morti, 1683-1773).

48. ASMi, Notarile, Carlo Antonio Marchetti q. Pietro Maria, cart. 35245, pro-cura, 29 luglio 1700; legittimazione, 18 agosto 1700.

49. ASMi, Notarile, Carlo Gariboldi q. Giovanni Battista, cart. 37175, testa-mento e codicillo del barone Carlo Ronchelli, 20 e 30 maggio 1716.

50. ASDMi, Registro dei morti della parrocchia di S. Tommaso in Terra Amara, 1652 al 1755: il barone Ronchelli morì il 17 giugno 1716 all’età di 72 anni, ricevuti i sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione. Al funerale, seguito il giorno dopo da un officio solenne (secondo le ultime volontà del defunto), intervennero dodici sacerdoti. ASMi, Notarile, Carlo Gari-boldi q. Giovanni Battista, cart. 37175, testamento e codicillo del barone Carlo Ronchelli, 20 e 30 maggio 1716; Carlo dichiarò di non aver mai fatto testamento prima di allora.

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 53

51. Resta il dubbio se una simile istituzione sia stata effettivamente realiz-zata. Il monte doveva essere costituito con le 200 staia di grano (1 staio era pari a 18,27 litri) dovute al testatore dai «signori fratelli Luini delle Fornaci di Valcuvia».

52. APCa, Registro dei nati, 1656-1699. La presenza di Giovanni Angelo Porta, esponente di una prestigiosa famiglia della valle, è rivelatrice dei rapporti di amicizia dei Ronchelli con le élites locali.

53. ASMi, Collegio dei notai e dei causidici, cart. 81, testimonianza rilasciata dal notaio Pietro Maria Marchetti di fronte al Collegio dei Notai di Mila-no, 9 agosto 1684. Cfr., inoltre, S. Contini, Il “libro della comune” e i suoi copisti, in Ead. (a cura di), Il “Libro della Comune” di Cabiaglio in Valcuvia. Comunità, diritti e confini, Gavirate 2005, pp. 9-21, a p. 12.

54. ASMi, Notarile, Rubriche, rubrica di Francesco Ronchelli q. Giovanni Bat-tista, cart. 4190. Fu regio avvocato fiscale a Varese (1690-1691); commis-sario delle Tre Pievi Superiori del Lago di Como a Gravedona (1696-1698); castellano della Riviera di San Giulio sul Lago d’Orta (1698-99); pretore regio a Pallanza e feudale a Luino (1700-1701); ancora pretore di Laveno con la sua giurisdizione (1702-1703); di Laveno, Cuvio, Angera e poi com-missario del borgo di Arona (1704-1705); pretore di Laveno (1706-1708); di Lesa e del Vergante (1708-1709); di Angera (1710-1711); della Valcuvia (1723-1724); di Gavirate e delle Fracce di Varese (1736-37); della Valcuvia e della Valtravaglia (1738-1743).

55. ASMi, Collegio dei notai e dei causidici, cart. 185. Copia dell’atto di ma-trimonio rilasciata nel 1745 per attestare i legittimi natali di Giulio Maria Ronchelli, figlio di Francesco: «17 febbraio 1692. Io, Carlo Gerolamo Corti, prevosto nella chiesa di S. Lorenzo di Cuvio, sposo Francesco Ronchelli di Cabiaglio e Caterina Botta di Cuvio. Testimoni Bernardo Madio e Pietro Antonio de Eusebio».

56. Il riferimento è all’odierno Palazzo Ronchelli. Sull’edilizia di pregio nei vil-laggi montani legati all’emigrazione cfr. R. Ceschi, La «città» nelle mon-tagne, in «Histoire des Alpes/Storia delle Alpi/Geschichte der Alpen», 5 (2000), pp. 189-204.

57. ASMi, Collegio dei notai e dei causidici, cart. 81, testimonianza del notaio Pietro Maria Marchetti, 9 agosto 1684.

58. Il padre di Rosaria, Giovanni Pietro Mandola, aveva ricevuto la cittadinan-za aquilana nel 1700: cfr. R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. II, p. 189. Non è noto se Carlo Sigismondo sia riuscito a ottenere la cari-ca di Console generale della Nazione milanese, come auspicato da suo zio Carlo prima di morire: «Ricordo a miei eredi di procurare il consolato generale della natione milanese nel Regno di Napoli in persona di Carlo Sigismondo nel Regio Collaterale Consiglio. Essendo in casa nostra li pri-vilegii, e li possessi, come pure nel Senato eccellentissimo, per favorire sempre la natione et anco il Governo, che ne ha questa cura tanto in Spagna quanto nel Regno di Napoli».

59. Un esempio della loro azione comune in ASMi, Notarile, Giovanni Andrea

54 ● Francesco Parnisari ●

Savini q. Cesare, cart. 39002, assignatio, 15 aprile 1704. In allegato: atto del 5 settembre 1703 con cui Bernardino Leoni di Cabiaglio, residente a Napoli, nomina procuratore Nicolò Appiani di Pallanza per cedere ai fra-telli Ronchelli il credito di 600 lire imperiali che deve conseguire dalla fa-miglia Voroni di Pallanza; non solo «per spontanea volontà, attento anche la corrispondenza et amicitia che ho con detti Francesco e Sigismondo fratelli», ma anche a causa del denaro che i Ronchelli, come eredi del q. Giovanni Battista, pretendono dall’eredità di suo padre Domenico Leoni.

60. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39015, procura, 17 dicembre 1729; cart. 39018, procura, 25 aprile 1735; cart. 39020, procu-ra, 15 febbraio 1738.

61. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39021, ratifica, 30 aprile 1740. In allegato l’atto rogato dal notaio Domenico Antonio Zam-petti nella casa del q. Carlo Sigismondo Ronchelli. I beni in area aquilana consistevano in appezzamenti distribuiti per lo più fra Coppito, Pettino, Bazzano, Colle Vernesco, Pizzoli, Valle di Sant’Anza, Ocre, Bagno e Arischia.

62. APCa, Registro dei morti, 1683-1773: il notaio Francesco Ronchelli si spen-se il 22 giugno 1745. ASMi, Collegio dei notai e dei causidici, cart. 185, testimonianza di Giuseppe Christer, 15 dicembre 1745: «[Giulio Maria] da teneri anni ha atteso alli studii scolastici, poi è stato in collegio a Como, indi ha fatto pratica sotto la direzione del suo signor padre, di notaio e causidico»; «Possiede sicuramente effetti stabili nel luogo e territorio di Cabialli et altri luoghi della Valcuvia, consistenti in casa da nobile e case da massari, vigne, campi, boschi, e quelli li renderanno di netto più di tre mille lire all’anno». Il notaio Francesco ebbe un altro figlio maschio, forse avviato alla carriera ecclesiastica in Abruzzo; cfr. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39004, fideiussione, 23 agosto 1710: poiché Giovanni Battista Ronchelli del notaio Francesco, originario di Cabiaglio ma abitante all’Aquila, per motivi di studio deve vestire l’abito clericale, presta per lui fideiussione il canonico della collegiata di Cuvio Domenico Blasino.

63. Archivio di Stato di Varese (d’ora in poi ASVa), Atti catastali, Registri dei possessori a corredo del Catasto di Maria Teresa d’Austria. Giulio Maria era intestatario di 208 pertiche di terreno al paese natale, 169 a Trevisa-go, 152 a Cuvio, 100 a Cocquio, 39 a Gemonio e 22 a Orino.

64. APCa, Registro dei matrimoni, 1605-1677, 12 settembre 1655; Registro dei nati, 1656-1699, 25 maggio 1656.

65. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36810, con-venzioni, 18 giugno 1688.

66. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36811, ven-dita, 11 gennaio 1695.

67. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36816, ven-dita, 16 giugno 1719.

68. Si rimanda, in generale, a R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. III, p. 493 e seguenti. Il 1703 (17 aprile) fu anche l’anno del matrimonio

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 55

di Angelo Antonio con Candida Beltramini di Gemonio: ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36814, 21 marzo 1713, Pie-tro Maria Ronchelli accetta dal consuocero Francesco Beltramini il versa-mento della dote per la figlia Candida.

69. F. Parnisari, Andare per il mondo dalle valli lombarde, cit., pp. 117-119.70. Cfr. R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. III, p. 523. 71. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36813, pro-

cura, 16 agosto 1704.72. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36816, re-

missio, 13 maggio 172373. APCa, Registro dei morti, 1683-1773, morte di Giovanni Battista Ronchelli

di Pietro Maria, 3 ottobre 1700. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36817, 27 agosto-6 settembre 1731: atti relativi a Pietro Maria Ronchelli e inventario dei beni da lui lasciati dopo la morte, avvenuta il 5 settembre 1731. Stranamente il decesso non compare nei registri della parrocchia.

74. In questo ramo dei Ronchelli, ancor più che nell’altro, si nota la tipica tendenza a perpetuare la linea onomastica famigliare. È comunque vero-simile che Giovanni Battista sia nato dal precedente matrimonio di Giaco-mo Antonio Ronchelli con Caterina Arioli, registrato il 27 febbraio 1639: APCa, Registro dei matrimoni, 1605-1677.

75. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart. 33436, procura, 10 novembre 1682. Carlo Ronchelli q. Francesco, barone di S. Benedetto in Perillis e «Consul Generalis Nationis Mediolanensis in toto Regno Neapolis», nomina suoi procuratori il chierico Antonio Maria Ronchelli q. Francesco e Giovanni Battista Ronchelli q. Giacomo Antonio, residenti all’Aquila.

76. Cfr. V. Zannetti, Di due diverse relazioni sul tremuoto del 2 febbraio 1703, in «Bollettino della Società di Storia Patria Anton Ludovico Antinori negli Abruzzi», 6 (1894), pp. 59-65.

77. APCa, Registro dei matrimoni, 1677-1850, 29 giugno 1710. Tra i vari docu-menti su Antonio Maria Canobini e suo padre Bernardo: ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36815, procura, 1° aprile 1717; Giovanni Andrea Cattonio q. Giovanni Battista, cart. 33435, vendita, 27 maggio 1681. Cfr., inoltre, S. Contini, Il “libro della comune”, cit., p. 14. Un fratello di Antonio Maria, Francesco, sposò la sorella di Giacomo Antonio Ronchelli, Caterina.

78. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39014, procura, 26 luglio 1729. Brigida, Caterina ed Elisabetta Leoni q. Antonio Maria, eredi universali del fratello Giacomo Leoni, nominano procuratore Giovanni Pietro Mandola per curare i loro interessi nel fondaco diretto da Giacomo Antonio Ronchelli.

79. APCa, cart. 2, fasc. 43. Delle 136 lire raccolte, nove furono sborsate da Car-lo Sigismondo Ronchelli, sette da Giacomo Antonio Ronchelli e due da Gio-vanni Battista Porani. Il crocifisso fu progettato da Antonio Maria Porani.

56 ● Francesco Parnisari ●

80. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36816, ven-dita, 30 luglio 1723. Giacomo Antonio Ronchelli, agendo anche per conto del fratello assente, vende due sedimi di casa e altri diritti in Cabiaglio a Giovanni Battista Signorino per 700 lire imperiali. In allegato la procura rogata a Foggia dal notaio Francesco Consolo il 22 marzo 1714.

81. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36815, ces-sione, 11 dicembre 1714.

82. Cfr. C. Parravicini, Giovanni Battista Ronchelli ed il suo tempo, in C. Par-ravicini-M. Perotti-V. Villa (a cura di), I teleri di S. Giuliano e l’opera del Ronchelli, Bolzano Novarese 1993, pp. 25-45, a p. 26. Maria Grazia Porani non soltanto assicurò a Giacomo Antonio la perpetuazione della famiglia ma fu anche un’amministratrice attenta e affidabile del patrimonio in as-senza del marito: ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Batti-sta, cart. 36816, venditio cum obligatione, 10 dicembre 1732; cart. 36818, retrovendita, 27 giugno 1735; obligatio, 21 novembre 1735.

83. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36818, pro-cura, 15 ottobre 1733. Un accenno al testamento, rogato dal notaio Giu-seppe Antonio Brunelli il 12 giugno 1732, in R. Colapietra, Gli aquilani d’antico regime davanti alla morte, cit., p. 177.

84. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36814, pro-cura, 6 agosto 1712.

85. F. Parnisari, Andare per il mondo dalle valli lombarde, cit., pp. 277-281.86. A. M. Negrini, L’architetto Pietro Paolo Porano e gli elementi di arredo

urbano a L’Aquila nel Settecento, in L’Architettura in Abruzzo e nel Moli-se dall’antichità alla fine del secolo XVIII, Atti del XIX Congresso di Storia dell’Architettura (L’Aquila, 15-21 settembre 1975), L’Aquila 1980, vol. II, pp. 373-377.

87. Il 15 aprile 1737 Giacomo Antonio comparve ancora tra i milanesi che di-chiararono di non risiedere stabilmente all’Aquila ma di mantenere “casa aperta” in Lombardia: R. Colapietra, L’Aquila dell’Antinori, cit., vol. III, p. 712. Sua moglie morì vedova il 7 febbraio 1739: APCa, Registro dei morti, 1683-1773. Raimondo morì dopo aver dettato le sue ultime volontà al notaio Domenico Antonio Zampetti il 28 gennaio 1741: ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36819, repudiatio, 22 feb-braio 1742.

88. G. B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi antichi, e moderni nelle arti, e nelle lettere illustri. Dizionario ragionato (Supplemento al Dizionario), Modena 1784, pp. 445-447.

89. R. Merzario, Adamocrazia. Famiglie di emigranti in una regione alpina (Svizzera italiana, XVIII secolo), Bologna 2000, p. 41.

90. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36819, pro-cura, 24 febbraio 1744. Filippo Arioli era tutore dei fratellini Tommaso, Giovanni Battista (di circa otto anni) e Marianna. Per quest’ultima il Ron-chelli poteva scegliere qualunque monastero femminile – quasi certa-mente a Varese – concordando con le monache la dozzina. Sulle istituzio-

● I Ronchelli di Cabiaglio: una famiglia di mercanti ... ● 57

ni scolastiche a Cabiaglio in antico regime: D. Rossi, Oratorio di San Carlo, cit.; M. Macchi Morandi - G. Musumeci, La scuola pubblica e privata in Valcuvia tra ‘700 e ‘800, Mesenzana 2012, pp. 79-81. Sul rapporto fra istruzione di base ed emigrazione nelle aree di montagna cfr., tra i vari studi, S. Bianconi, Alfabetismo e scuola nei Baliaggi svizzeri d’Italia, in «Archivio storico ticinese», 26 (1985), 101, pp. 4-26.

91. Cfr. C. Parravicini, Giovanni Battista Ronchelli, cit., p. 29. 92. Da Cabiaglio i fratelli incaricarono Pietro Paolo Porani di riscuotere la

somma: ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36819, procura, 9 settembre 1741.

93. ASMi, Notarile, Francesco Ronchelli q. Giovanni Battista, cart. 36819, re-pudiatio, 22 febbraio 1742; procura, 24 febbraio 1742. I fratelli avrebbero conservato a lungo indivisi l’abitazione e i terreni in paese (130 pertiche): ASVa, Atti Catastali, Registro dei possessori e Tavola del Nuovo Estimo di Cabiaglio, 1757.

94. ASMi, Notarile, Giovanni Andrea Savini q. Cesare, cart. 39021, ellectio, 30 luglio 1740.

95. ASMi, Notarile, Giulio Maria Ronchelli q. Francesco, cart. 44573, procura, 15 aprile 1747. Il sacerdote Carlo Ildefonso Ronchelli nomina procuratore Francesco Porani di Antonio Maria per riscuotere ducati 7 ½ dai debitori del suo beneficio, eretto nella chiesa di S. Biagio dell’Aquila, «nuper colla-ti dicto Carlo Idelfonso Ronchelli prout melius constat ex ipsa collatione in actibus Curiae Episcopalis […]». Inoltre, tra il 1744 e il 1750 Carlo Ilde-fonso rimpiazzò il titolare della cappella dei Ss. Carlo e Rocco a Cabiaglio: D. Rossi, Oratorio di San Carlo, cit., p. 159.

96. ASMi, Notarile, Giulio Maria Ronchelli q. Francesco, cart. 44573, conven-zioni, 14 aprile 1747.