15
Il ciclo dei costumi de’ Romani antichi del Buen Retiro di Madrid Stefano Pierguidi Nel 2005 il Museo del Prado ha organizzato una grande mostra incentrata sui dipinti, ancora in larghissima parte nelle sue collezioni, inviati dal- l’Italia tra il 1633 e il 1641 per decorare il pa- lazzo del Buen Retiro. 1 Se il ciclo di soggetto storico commissionato ai maggiori pittori spa- gnoli del tempo e quello dei paesaggi eseguiti da artisti francesi e olandesi attivi a Roma sono am- piamente noti e non presentano più grandi pro- blemi interpretativi, molti sono ancora gli interrogativi senza risposta in merito alle tele raf- figuranti scene ispirate all’antica Roma. Non è infatti perfettamente chiaro quale fosse il filo conduttore che legava tutti i dipinti, che fin dal- l’inizio erano stati probabilmente pensati come più cicli dedicati a soggetti accomunati dalla te- matica dell’antico, quali scene di sacrificio, epi- sodi della vita di un imperatore e combattimenti di gladiatori. È impossibile ricostruire l’origina- ria collocazione delle tele, poiché il primo in- ventario che ci rimane delle collezioni reali del Buen Retiro è quello stilato nel 1701, all’indo- mani della morte di Carlo II (1661-1700). 2 La cri- tica ha da tempo ricollegato quasi tutti i dipinti ancora oggi al Prado e provenienti dal Buen Re- tiro alle corrispettive voci di quell’inventario, dalle quali però si possono ricavare molte più in- formazioni di quanto fin qui creduto. Furono Manuel Fonseca y Zùñiga, sesto conte di Monterrey, e Manuel de Moura y Corte-Reale, secondo marchese di Castel Rodrigo, a inviare a Madrid i dipinti eseguiti in Italia per il Buen Re- tiro. Il primo era a quel tempo il Viceré di Napoli (1631-1637), il secondo l’ambasciatore del re di Spagna a Roma (1631-1641), carica che aveva rivestito lo stesso Monterrey dal 1628 al 1631. Monterrey era legato da un vincolo familiare strettissimo con Gaspar de Guzmán y Pimentel, conte duca di Olivares, l’onnipotente primo mi- nistro di Filippo IV che diresse energicamente la costruzione del Buen Retiro: egli ne aveva spo- sato la sorella, e l’Olivares stesso aveva a sua volta sposato la sorella di Monterrey. 3 Castel Ro- drigo, al contrario, era stato un rivale dell’Oliva- res, che lo aveva a lungo vessato prima di decidere di servirsene come ambasciatore a Roma. 4 È probabile che le redini di tutta l’im- presa fossero quindi nelle mani di Monterrey, il più vicino all’Olivares, e uno dei collezionisti spagnoli più importanti del tempo. 5 È stato inol- tre dimostrato che i contatti con i pittori che la- voravano a Roma non erano tenuti direttamente da Castel Rodrigo, ma da altri agenti spagnoli, 6 laddove le fonti, come si dirà, ci informano chia- ramente che Monterrey a Napoli era in rapporto diretto con Domenichino e Giovanni Lanfranco. E anche la scelta di commissionare una serie di paesaggi con anacoreti, il tema dei capolavori di Claude Lorrain e Nicolas Poussin inviati in se- guito da Roma, era stata del viceré, che già nel 1633 ne aveva inviata una serie da Napoli. 7 Dopo quella prima spedizione ce ne fu una seconda, nel 79 * Desidero ringraziare Mario Epifani per l’aiuto ed i suggerimenti nella preparazione di questo testo.

Il ciclo dei costumi de' Romani antichi del Buen Retiro di Madrid

Embed Size (px)

Citation preview

Il ciclo dei costumi de’ Romani antichi del BuenRetiro di Madrid

Stefano Pierguidi

Nel 2005 il Museo del Prado ha organizzato unagrande mostra incentrata sui dipinti, ancora inlarghissima parte nelle sue collezioni, inviati dal-l’Italia tra il 1633 e il 1641 per decorare il pa-lazzo del Buen Retiro.1 Se il ciclo di soggettostorico commissionato ai maggiori pittori spa-gnoli del tempo e quello dei paesaggi eseguiti daartisti francesi e olandesi attivi a Roma sono am-piamente noti e non presentano più grandi pro-blemi interpretativi, molti sono ancora gliinterrogativi senza risposta in merito alle tele raf-figuranti scene ispirate all’antica Roma. Non èinfatti perfettamente chiaro quale fosse il filoconduttore che legava tutti i dipinti, che fin dal-l’inizio erano stati probabilmente pensati comepiù cicli dedicati a soggetti accomunati dalla te-matica dell’antico, quali scene di sacrificio, epi-sodi della vita di un imperatore e combattimentidi gladiatori. È impossibile ricostruire l’origina-ria collocazione delle tele, poiché il primo in-ventario che ci rimane delle collezioni reali delBuen Retiro è quello stilato nel 1701, all’indo-mani della morte di Carlo II (1661-1700).2 La cri-tica ha da tempo ricollegato quasi tutti i dipintiancora oggi al Prado e provenienti dal Buen Re-tiro alle corrispettive voci di quell’inventario,dalle quali però si possono ricavare molte più in-formazioni di quanto fin qui creduto.Furono Manuel Fonseca y Zùñiga, sesto conte diMonterrey, e Manuel de Moura y Corte-Reale,secondo marchese di Castel Rodrigo, a inviare a

Madrid i dipinti eseguiti in Italia per il Buen Re-tiro. Il primo era a quel tempo il Viceré di Napoli(1631-1637), il secondo l’ambasciatore del re diSpagna a Roma (1631-1641), carica che avevarivestito lo stesso Monterrey dal 1628 al 1631.Monterrey era legato da un vincolo familiarestrettissimo con Gaspar de Guzmán y Pimentel,conte duca di Olivares, l’onnipotente primo mi-nistro di Filippo IV che diresse energicamente lacostruzione del Buen Retiro: egli ne aveva spo-sato la sorella, e l’Olivares stesso aveva a suavolta sposato la sorella di Monterrey.3 Castel Ro-drigo, al contrario, era stato un rivale dell’Oliva-res, che lo aveva a lungo vessato prima didecidere di servirsene come ambasciatore aRoma.4 È probabile che le redini di tutta l’im-presa fossero quindi nelle mani di Monterrey, ilpiù vicino all’Olivares, e uno dei collezionistispagnoli più importanti del tempo.5 È stato inol-tre dimostrato che i contatti con i pittori che la-voravano a Roma non erano tenuti direttamenteda Castel Rodrigo, ma da altri agenti spagnoli,6

laddove le fonti, come si dirà, ci informano chia-ramente che Monterrey a Napoli era in rapportodiretto con Domenichino e Giovanni Lanfranco.E anche la scelta di commissionare una serie dipaesaggi con anacoreti, il tema dei capolavori diClaude Lorrain e Nicolas Poussin inviati in se-guito da Roma, era stata del viceré, che già nel1633 ne aveva inviata una serie da Napoli.7 Dopoquella prima spedizione ce ne fu una seconda, nel

79

* Desidero ringraziare Mario Epifani per l’aiuto ed i suggerimenti nella preparazione di questo testo.

1638, quando Monterrey tornò definitivamentein patria, portando con sé anche la propria vastacollezione di dipinti; Castel Rodrigo inviò invecei dipinti da Roma nel 1639 e nel 1641.8

Le informazioni ricavabili dalle fonti contempo-ranee, come si dirà, indicano che le tele ispirateall’antica Roma furono eseguite grossomodo apartire dal 1634. È quindi piuttosto sorprendenteche Paolo Finoglio, che lasciò per sempre Napolinel 1635 per trasferirsi a Conversano, in Puglia alavorare a tempo pieno per il conte GiangirolamoII Acquaviva d’Aragona,9 fosse stato in grado dieseguire ben quattro grandi dipinti per quel cicloin un lasso di tempo così breve. Se infatti si pre-sta attenzione ai soggetti dei quadri consegnatida Finoglio a Monterrey emerge chiaramentecome due di essi fossero sostanzialmente estraneial ciclo ispirato all’antica Roma: quelle tele fu-rono probabilmente inviate in Spagna già nel1633 ed i loro temi erano stati scelti avendo inmente alcuni capolavori di storia antica espostialla celebre mostra romana del 1632 fantasiosa-mente rievocata da Joachim von Sandrart nella

sua Teutsche Academie (Norimberga 1675),10 equelli già nel Salon Nuevo dell’Alcázar di Ma-drid dalla fine degli anni Venti.11 Quando a Mariade’ Medici era stato offerto il Ratto di Elena (Pa-rigi, Louvre) che Guido Reni aveva dipinto perFilippo IV, ma che per un incidente diplomaticonon era mai stato inviato in Spagna, la regina diFrancia aveva invitato Reni a trasferirsi a Parigiper completare il ciclo iniziato da Peter Paul Ru-bens con episodi della vita di Enrico IV. Dopo ilrifiuto del bolognese, il cardinale BernardinoSpada, che agiva da intermediario tra la regina ei pittori suoi amici, aveva proposto il nome diGuercino, e Maria de’ Medici aveva chiesto unsaggio della capacità dell’artista, che si misequindi al lavoro su un soggetto proposto dal car-dinale, la Morte di Didone (Roma, GalleriaSpada). Dopo la caduta in disgrazia della reginaBernardino Spada entrò in possesso di quel di-pinto per una cifra relativamente modesta, con lapromessa che avrebbe cercato a Roma un acqui-rente per conto di Guercino. La Morte di Didonevenne quindi esposta a S. Maria di Costantino-

FIG. 1 Paolo Finoglio, Masinissa piange la morte di Sofonisba. Madrid, Museo Nacional del Prado

80

poli a Roma nel 1632 insieme agli altri dipinti ri-cordati da Sandrart come ‘commissionati’ da Fi-lippo IV (tra i quali anche la replica del Ratto diElena di Reni che lo Spada aveva fatto eseguirea Giacinto Campana, ancora oggi nella GalleriaSpada di Roma).12 È probabile che Monterrey,che come si dirà più avanti aveva seguito perconto di Filippo IV la sfortunata vicenda dellacommissione a Reni del Ratto di Elena, fossebene informato su quella mostra. Sandrart erastato a Napoli nell’autunno del 1631, quando ilconte era stato da poco nominato nuovo viceré(14 maggio 1631). Il pittore tedesco afferma cheStanzione era stato invitato ad esporre un dipintoalla mostra di S. Maria di Costantinopoli, ma chenon lo aveva terminato in tempo: subito dopo, ef-fettivamente, il pittore napoletano avrebbe ese-guito alcune tele su commissione di Monterreyper il Buen Retiro. Il viceré, come vedremo, at-traverso Castel Rodrigo o altri agenti spagnoli aRoma, alla metà degli anni Trenta commissionòalcune tele a Poussin destinate sempre al palazzodi caccia di Madrid: i suoi rapporti con Roma ri-manevano quindi molto forti, e se non ebbe lapossibilità di vedere personalmente la mostra del1632, certo ne era stato ragguagliato. È alla lucedi queste considerazioni che si deve analizzareun dipinto di Finoglio del Prado il cui soggetto nonè stato ancora identificato con certezza (FIG. 1).Un catalogo del Prado del 1845 si riferiva allatela come a «Masinisa llorando la muerte de So-fonisba»:13 la donna in terra, chiaramente defuntae identificabile come una regina per la corona elo scettro, ha infatti una catena al piede, per allu-dere al suo stato di prigioniera dei romani, qualeera appunto Sofonisba. Figlia di Asdrubale, emoglie di Siface, re della Numidia occidentale,che aveva mosso guerra contro i romani, Sofoni-sba venne catturata da questi insieme a Masi-nissa, re della Numidia, nel 203 a.C. QuandoMasinissa la incontrò, subito dopo aver sconfittoSiface, ancora nel campo di battaglia, si inna-morò subito di lei, e per evitare che fosse fattaprigioniera, la sposò il giorno stesso. In secondopiano, nel dipinto di Finoglio, si vede appuntoSofonisba in ginocchio di fronte a Masinissa nelmomento del loro primo incontro. Ma Scipione

l’Africano non accettò il matrimonio del suo al-leato con una prigioniera, e Masinissa, per evi-tare a Sofonisba l’umiliazione di esser portata intrionfo a Roma come prigioniera, mandò al-l’amata una coppa con del veleno. Era questa lascena più volte raffigurata dagli artisti del Cin-que e Seicento, mentre nel dipinto di Finoglio sivede Masinissa inorridire di fronte al corpo de-funto di Sofonsiba, mentre gli viene offerta da unpaggio la corona e lo scettro: Livio riporta infatticome solo dopo quella dolorosa scelta da partedel suo alleato, Scipione l’Africano chiamò reper la prima volta Masinissa.14 Nell’inventariodel 1701 il dipinto è indicato come «la Historiade la reina dido difunta»,15 poiché vennero con-fuse le due eroine: errore facilmente comprensi-bile, trattandosi in entrambi i casi di regine diCartagine. Viene naturale pensare che la scelta diun tema tanto inusuale fosse stata suggerita dalsuccesso all’esposizione romana della Morte diDidone di Guercino. Monterrey commissionò aFinoglio anche un dipinto perduto che l’inventa-rio del 1701 descrive come «El certamen de lasflechas», il cui soggetto era probabilmente Lacompetizione dei pretendenti di Penelope:16 unaltro tema legato ai poemi omerici, proprio comeil Ratto di Elena e l’Achille scoperto tra le figliedi Licomede di Rubens e Anton van Dyck già ap-prodato al Salon Nuevo dell’Alcázar.17

Nei primi anni Trenta Monterrey dovrebbe avercommissionato anche il ciclo di Storie di sanGiovanni Battista eseguito in parte a Roma, daAlessandro Turchi (quattro tele, di cui ne so-pravvivono due nelle collezioni del Prado, seb-bene in deposito presso altre istituzioni) e in partea Napoli, da alcuni dei protagonisti della scenaartistica partenopea di quegli anni: ArtemisiaGentileschi, che si era trasferita in città nel 1630,e i napoletani Finoglio e Stanzione. Il ciclo eradestinato alla Ermita di S. Giovanni Battista, unpiccolo edificio nel parco del Buen Retiro, chel’Olivares aveva eletto a suo ritiro: la costru-zione, iniziata nella primavera del 1633, era ter-minata già nel marzo del 1634. Si ritienegeneralmente che la commissione del ciclo ri-salga appunto al 1633-1634 circa, troppo tardiperché i dipinti napoletani potessero essere im-

81

FIG. 2 Nicolas Poussin, Caccia di Atalanta e Meleagro. Madrid, Museo Nacional del Prado

FIG. 3 N. Poussin, Sacrificio a Priapo. San Paulo, Museo d’Arte Assis Chateaubriand

82

83

barcati per la Spagna nel novembre del 1633.18

Ma in quella prima spedizione erano ben dodicicasse di dipinti, e non si può escludere del tuttola possibilità che l’Olivares avesse richiesto aMonterrey un ciclo di dipinti per la sua Ermitain costruzione già dall’inizio del 1633, e che al-cuni di essi (o tutti) fossero stati inviati alla finedi quell’anno.19

Nel novembre del 1630 Domenichino si trasferì aNapoli, per eseguire gli affreschi della Cappella delTesoro di San Gennaro nella Cattedrale: egli firmòun contratto in cui si impegnava a non assumerenessun altro incarico, ma quando si sentì minac-ciato dai pittori locali, gelosi della commissione, esi rivolse a Monterrey in cerca di protezione, si ri-trovò nella troppo scomoda posizione di doversi ri-fiutare di lavorare per il viceré.20 A partire dal1634, infine, un altro grande pittore proveniente daRoma, Giovanni Lanfranco, era disponibile sulmercato napoletano, e proprio intorno a quelladata Monterrey, non sappiamo se sua sponte odopo aver ricevuto precise istruzioni da Madrid,iniziò a commissionare dipinti raffiguranti sceneispirate all’antica Roma, non più soggetti di storiatratti da fonti ben identificabili. E preferì, finquando gli fu possibile, rivolgersi a pittori prove-nienti da Roma o lì ancora attivi.Se i più celebri paesaggi del Buen Retiro, quellidipinti da Nicolas Poussin, Claude Lorrain, JeanLemaire, Herman van Swanevelt, Gaspar Dughete Andries e Jan Both, vennero tutti certamentespediti da Castel Rodrigo, più difficile è stabilireda quale città furono imbarcate le tele con sceneispirate all’antica Roma, poiché queste venneroeseguite da artisti attivi sia a Roma che a Napoli.Un solo pittore prese parte ad entrambi i cicli, esi trattava dell’artista più celebre e richiesto tratutti quelli impiegati dagli agenti spagnoli: Nico-las Poussin. Nel 1635 il cardinale duca ArmandJean du Plessis de Richelieu aveva commissio-nato al francese le prime tele del celebre ciclo deiBaccanali, destinato ad essere esposto nel suo ca-stello di Richelieu accanto ai dipinti rinascimen-tali di Andrea Mantegna, Pietro Perugino eLorenzo Costa provenienti dallo studiolo di Isa-bella d’Este di Mantova (il ciclo di Poussin è inparte perduto e noto attraverso copie; tre tele

sono alla National Gallery di Londra, al Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City e al Phila-delphia Museum of Art).21 I dipinti avevanosegnato la consacrazione del prestigio interna-zionale faticosamente raggiunto dall’artistaormai nella sua piena maturità, alla quale sarebbepoco dopo seguito l’invito ufficiale di Luigi XIIIa trasferirsi a Parigi (1639). Proprio poco primadi rientrare in patria, Poussin eseguì almeno tretele per il Buen Retiro: il Paesaggio con san Gi-rolamo, e i pendants con la Caccia di Atalanta eMeleagro e il Sacrificio a Priapo (quest’ultimo èoggi a San Paulo, Museo d’Arte Assis Chateau-briand; FIGG. 2-3).22

È certo sorprendente che ai dipinti più importantitra tutti quelli inviati dall’Italia negli anni Trentadel Seicento, l’inventario del 1701 si riferiscasemplicemente come a tele «Original de Ytalia»(le due di soggetto mitologico) o opera «de manodel Yttaliano» (il paesaggio).23 La sorpresa nascedal fatto che nello stesso inventario, un dipintocerto meno notevole come il Trionfo di Bacco diFinoglio è invece correttamente attribuito all’ar-tista che lo aveva effettivamente eseguito.24 Mon-terrey, come già accennato, inviò da Napoli anchetele raffiguranti Storie di san Giovanni Battista,ed anche in questo caso l’inventario del 1701 èstraordinariamente preciso nell’indicazione deisoggetti e dei loro autori: Stanzione (quattro di-pinti), Gentileschi (un dipinto), e di nuovo Fino-glio (un dipinto).25 Le tele dello stesso cicloeseguite da Turchi ed inviate da Roma, invece,nell’inventario del 1701 sono erroneamente attri-buite a Félix Castelo, seguace e collaboratore diVicente Carducho.26 È evidente che i compilatoridell’inventario del 1701 non fecero altro che co-piare le indicazioni dei precedenti inventari per-duti della collezione reale conservate al BuenRetiro. Leggevano il nome di Paolo Finoglio oquello dell’ «Yttaliano» e si limitavano solo, sem-pre e comunque, a riportarlo fedelmente. La Te-stamentaria di Carlo II è un inventario di grandidimensioni, che per il solo Buen Retiro contapoco meno di mille dipinti: gli estensori si limi-tavano soltanto a verificare l’esistenza dei dipintigià elencati negli inventari precedenti. Ed è pre-sumibile che anche i compilatori di questi ultimi,

a loro volta, non avessero fatto altro che ricopiarele indicazioni con le quali i dipinti erano arrivatiin Spagna negli anni Trenta e Quaranta. Non è uncaso che i paesaggi di Poussin, Lorrain, Lemaire,van Swanevelt, Dughet e dei Both siano quasitutti attribuiti all’ «Yttaliano» nell’inventario del1701. È stato scritto che gli autori dell’inventarioavevano riconosciuto in quei paesaggi, per la rap-presentazione degli effetti di luce, una radice co-mune, “italiana”.27 Ma non è possibile che icompilatori non fossero in grado di individuare labenché minima differenza tra un paesaggio diClaude e uno dei fratelli Both, e distinguesseroviceversa la mano della Gentileschi e quella di Fi-noglio all’interno di un ciclo di tele, tutte dellestesse dimensioni, eseguito in gran parte dalloStanzione. Se ne deduce che ad accompagnare idipinti inviati da Roma da Castel Rodrigo ci fos-sero solo indicazioni molto generiche, soprattuttoper quanto riguardava i loro autori, mentre quellispediti da Napoli da Monterrey erano stati inven-tariati con maggiore attenzione. E questa circo-stanza riconfermerebbe che il vero “committente”

di tutto il ciclo, al di là naturalmente di FilippoIV, fosse Monterrey, e che Castel Rodrigo si fossesolo occupato della spedizione delle tele.Il dipinto raffigurante

Una Pira, o Sepulcro de los Gentiles con gladia-tores Sacrifiçios y ottras Zerimonias de suis rittos demanera Ittaliana

identificabile con le Esequie di un imperatore ro-mano di Domenichino, venne quindi presumibil-mente inviato da Roma.28 Si è già detto deiproblemi che afflissero l’artista nel corso del suosoggiorno napoletano: nel 1634 egli, alla dispe-rata ricerca di un po’ di tranquillità, si era rifu-giato a Grottaferrata, alle porte di Roma.Giovanni Pietro Bellori, nella sua vita del Do-menichino, scriveva:

Nel tempo che egli si trattenne in Roma, che fu oltreun anno, dipinse uno de’ quadri del ViceRé, rappresen-tanti li costumi de’ Romani antichi, et era quello de’ fu-nerali, e deificatione de gl’Imperatori, con decursione.29

FIG. 4 P. Finoglio, Trionfo di Bacco. Madrid, Museo Nacional del Prado

84

Anche Giovanni Battista Passeri riporta che

Si trattenne il Giampieri in Roma tutto il residuodi quell’anno 1635. [...] Ma per non istare in otio, sipose a terminare uno di quelli Quadri incominciati peril Vice Re, cagione de’ suoi disturbi.

In uno dei manoscritti delle Vite del Passeri silegge in realtà che l’artista «poi lo terminò [il di-pinto] in Napoli»30 ma è possibile che in quel se-condo passaggio il biografo intendesse riferirsiall’intera commissione che il pittore avrebbe do-vuto portare a termine a Napoli. Il Monterrey, in-fatti, aveva richiesto a Domenichino più di unatela, ed è stato verosimilmente ipotizzato che du-rante il suo soggiorno a Grottaferrata lo Zampierisi fosse in parte liberato delle pressioni del viceréaffidando l’esecuzione di una o forse due tele alsuo allievo Andrea Camassei.31 In passato anche ildipinto dello stesso Domenichino, in ragione dellasua esecuzione non eccellente, è stato attribuito alCamassei, che potrebbe effettivamente averne por-tato a termine alcuni brani a Roma prima di affi-

darlo, insieme al suo lavoro, agli agenti incaricatidi inviare entrambe le tele in Spagna.32 Il dipintoeseguito da Camassei, raffigurante la Festa dei Lu-percali, nell’inventario del 1701 è segnalato comeun «sacrificios del Dios pan de manera Romana»,ed è, forse sintomaticamente, elencato subitoprima di quello di Domenichino.33

La tela di Camassei ha le stesse dimensioni, cm230 x 360 circa, di altre due tele dedicate comequella alle cerimonie religiose degli antichi ro-mani: il già nominato Trionfo di Bacco del Fino-glio e il Sacrificio a Bacco dello Stanzione (FIGG.4-5).34 Poco più piccoli sono i due dipinti diPoussin (160 x 360), i più vicini per soggetto aquelli appena ricordati. La Caccia di Atalanta eMeleagro, in realtà, raffigura un episodio mito-logico preciso, ma è interessante notare che nel-l’inventario del 1701 esso sia stato indicato comeuna «Una marcha Con petrechos de Caza dondeay dos esttatuas, Una de el Dios Pan y otra deDiana». Si trattava, è vero, di una descrizione ge-nerica, nella quale non erano individuati i veriprotagonisti della storia, ma allo stesso tempo si

FIG. 5 Massimo Stanzione, Sacrificio a Bacco. Madrid, Museo Nacional del Prado

85

poneva l’accento sulle due statue raffigurate insecondo piano, che effettivamente costituivanol’elemento essenziale per raccordare il dipinto alciclo a cui apparteneva. Nei dipinti di Stanzionee Camassei, così come in quello di Poussin a SanPaulo, sono infatti raffigurate le statue delle di-vinità tutelari della festa raffigurata (Bacco, Pane Priapo), e se ne deduce che il francese avevavoluto dipingere due pendants dedicati a due rititra loro contrapposti ma in qualche modo paral-leli, in cui protagonisti sono l’universo femmi-nile e quello maschile. Da una parte, cioè, eranole donne che danzano offrendo fiori a Priapo, ildio della fertilità, e dall’altra erano gli uomini chepartono per la caccia, sulla strada indicata dallastatua di Diana che alza una freccia. Il dipinto di

Finoglio sembra un canonico Trionfo di Bacco,ma l’inventario del 1701 lo descrive come «lafiestas de Baco entro los Gentiles llevandole enUn carro». Quello raffigurato sul carro, quindi,forse non è Bacco in persona, ma un “Gentile”portato in trionfo nelle vesti del dio il giornodella sua festa. Dal confronto tra questi due di-pinti emerge comunque la relativa libertà lasciataai pittori. Monterrey stava mettendo insieme unciclo raffigurante i Costumi de’ Romani antichi,ed il soggetto dei dipinti dello Stanzione e delCamassei era in linea con quel tema. Si direbbeinvece che Poussin, che come Camassei lavoravaa Roma e non aveva quindi un contatto direttocon il suo committente, avesse elaborato da soloi soggetti per una coppia di pendants in qualche

FIG. 6 Giovan Giacomo Sementi, Duello tra donne. Madrid, Museo Nacional del Prado

86

87

modo già conclusa in sé stessa. Finoglio, infine,sembrerebbe avere in parte mancato l’obiettivo,quello di raffigurare una festa dedicata a Bacco,e la descrizione dell’inventario, ripresa certa-mente da quella che accompagnava il dipinto almomento dell’arrivo da Napoli, serviva a rimar-care il rapporto iconografico con le altre tele.È ben noto come la parte del leone nel ciclo raf-figurante i Costumi de’ Romani antichi toccasseal Lanfranco, che eseguì ben sei tele: per tutte,tranne una sulla quale si ritornerà, l’inventariodel 1701 fa il nome del pittore parmense.35 Tra leprime era certamente quella con le Esequie di unimperatore romano (1634-35 circa), raffiguranteun soggetto molto simile a quello del dipinto diDomenichino, realizzato nello stesso giro di anni.Non si può escludere l’ipotesi che Monterrey vo-lesse mettere in competizione i due grandi mae-stri, il cui precedente scontro nel cantiere romanodi S. Andrea della Valle doveva essere ben noto.È anche possibile che la scelta da parte del vicerédi concentrarsi sul motivo dei gladiatori, al qualevennero dedicate numerose tele, sia nata in se-guito al successo delle Esequie di un imperatoreromano di Lanfranco, dove dominano in primopiano tre gruppi di combattenti. Costretto a mi-surarsi con un tema, quello dei costumi dellaRoma antica, certamente a lui non congeniale,Lanfranco citò nelle figure all’estrema sinistra eall’estrema destra, seppur con una certa libertà,due celebri statue antiche rinvenute a Roma nelprimo Seicento, rispettivamente il GladiatoreBorghese e il Galata morente (che si riteneva raf-figurasse un gladiatore).36 Lo stesso Lanfrancoavrebbe in seguito dipinto un soggetto similenella tela del Banchetto con gladiatori, dellostesso formato dei Gladiatori con spade di legnodi Giovanni Francesco Romanelli (230 x 360).Quest’ultimo venne certamente eseguito a Na-poli dove il pittore, come ci informa lo stessoLanfranco in una lettera dell’agosto 1639 a Fer-rante Carli, si trovava intorno al 1639.37 E infattiil dipinto nell’inventario del 1701 è indicatocome «original de Pedro de corttona»:38 Mon-terrey forse aveva dato istruzioni affinché il di-pinto fosse spedito in Spagna come opera delmaestro di Romanelli, o forse la tela era origina-

riamente indicata come scuola di Pietro da Cor-tona e venne promossa a lavoro autografo delBerrettini solo in seguito. Ma, evidentemente, ilnome di Pietro da Cortona non era stato speso acaso, trattandosi di un dipinto del suo più impor-tante allievo.Il Trionfo di un imperatore romano di Lanfranco,per il formato ed il soggetto, si lega naturalmentea due tele a pendant provenienti dal Buen Retirodi attribuzione problematica, le cosiddette En-trata trionfale di Costantino in Roma ed Entratatrionfale di Vespasiano in Roma, e agli anonimie modesti Trombettieri oggi in deposito al Museodi Malaga.39 L’inventario del 1701 non offre nes-suna indicazione circa l’autore di questi ultimi,ma attribuisce disinvoltamente le prime due a unpittore che certamente non poteva averle ese-guite, Orazio Borgianni.40 Questi aveva soggior-nato più volte in Spagna ed era morto a Roma nel1616, oltre venti anni prima della spedizione deidipinti da Napoli, una città dove egli non avevamai lavorato. Monterrey, nel 1634, aveva acqui-stato quattro dipinti di Borgianni appartenentialla collezione di Juan de Lezcano, morto a Na-poli nel novembre di quell’anno.41 È quindi pos-sibile che gli agenti del viceré avessero deciso dinobilitare la paternità di quei due dipinti, piutto-sto importanti nel contesto di tutto il ciclo (cm155 x 355), ma di una qualità non certo eccelsa. Il Trionfo di un imperatore romano di Lanfranconell’inventario del 1701 compare come «escuelade Guydo», mentre il Sacrificio di un imperatoreromano come «escuela de Guydo del Cavalierlanfranqui».42 Il primo è l’unico tra i sette dipintidi Lanfranco di questo ciclo ad essere giudicatoda E. Schleier come un’opera eseguita con ampiointervento di bottega.43 Lanfranco aveva effetti-vamente lavorato nel 1609-1610 come assistentedi Guido Reni agli affreschi della cappella del-l’Annunciata al Quirinale, a quelli di uno deglioratori di S. Gregorio al Celio e a quelli di S. Se-bastiano fuori le mura,44 ma negli anni Trentanessuno lo avrebbe più definito un pittore della«escuela de Guydo» Egli si era infatti formatocon Agostino e Annibale Carracci ed era poi di-venuto un artista di grande successo, al quale nonci si poteva riferire semplicemente come ad un

allievo di un altro maestro; soprattutto all’internodi un inventario dove veniva menzionato espli-citamente e chiaramente un pittore di secondopiano quale Finoglio. Come nel caso del dipintodi Romanelli, quindi, sembrerebbe che Monter-rey avesse dato istruzioni affinché le tele di Lan-franco fossero inviate in Spagna come opera diun artista della scuola di Reni, a quel tempo il pit-tore più ricercato e famoso d’Italia e, con le solepossibili eccezioni di Rubens e Poussin, di tutta

Europa. Un altro dipinto nell’inventario del 1701è segnalato come opera «de la escuela deGuido»: si tratta del Duello tra donne (FIG. 6) chenella bibliografia relativa al Buen Retiro è ancoraoggi presentato sotto una poco convincente attri-buzione a Andrea Vaccaro.45 Già da molti anni,però, il dipinto è stato incluso nel corpus di Gio-van Giacomo Sementi, senza peraltro mai esserericollegato agli altri dipinti provenienti dal BuenRetiro.46 L’attribuzione è supportata dal contesto

FIG. 7 Aniello Falcone, Sacrificio a Flora. Madrid, Museo Nacional del Prado

88

89

storico in cui è inquadrabile la commissione delletele destinate alla nuova residenza di Filippo IV.Nel 1627 Reni, all’apice della fama, aveva ce-duto alle pressioni dei Barberini ed era tornato aRoma per eseguire ad affresco una pala d’altareper S. Pietro raffigurante la Trinità. Una voltagiunto in città l’artista aveva ricevuto subito, daparte di Iñigo Vélez de Guevera y Tasís, quintoconte di Oñate e ambasciatore di Filippo IV aRoma, la commissione per due importanti teledestinate alla Spagna: il già citato Ratto di Elenae una pala con l’Immacolata Concezione per l’In-fanta (oggi a New York, Metropolitan Museum).Reni iniziò a perdere grandi somme al gioco e,forse non più a suo agio con la tecnica dell’af-fresco, portava avanti il lavoro in San Pietro conestrema lentezza. Carlo Cesare Malvasia riportache Sementi, certo amareggiato per aver perso lacommissione per un’altra pala d’altare in S. Pie-tro, per la quale egli aveva avanzato la sua can-didatura nel 1626, sparse la voce per Roma cheReni non avrebbe mai portato a termine la Tri-nità.47 Guido effettivamente finì per lasciareRoma nel 1628 senza completare l’affresco, eportando con sé il Ratto di Elena. Da quel mo-mento in avanti le trattative con la Spagna, che siconclusero con un sostanziale fallimento, ven-nero condotte dal successore dell’Oñate, ovveroMonterrey. Secondo Bellori a Reni sarebbe statoin seguito commissionato un Sansone,48 mentreMalvasia riporta che Filippo IV, «risaputo il suc-cesso del Ratto di Elena, dolutosene cogli Am-basciadori, avea fatto ordinargli» una grande telain seta raffigurante Latona trasforma i pastori inrane che Reni non finì mai, e il cui prezioso sup-porto venne trovato nella bottega dell’artistadopo la sua morte.49 Il sovrano, quindi, aveva ri-petutamente cercato di assicurarsi un dipinto diGuido eseguito espressamente per lui,50 e il Mon-terrey, incolpato del fallimento delle trattative perla consegna ed il pagamento del Ratto di Elena,doveva essere ansioso di presentare al sovranoqualcosa almeno della scuola del maestro. Sispiegherebbe in questo modo perché due dipintidi Lanfranco arrivarono in Spagna come scuoladi Guido. Ma Monterrey riuscì anche a commis-sionare un dipinto a Sementi, uno degli allievi

più brillanti e ambiziosi di Guido, che nel 1626-1627 era arrivato quasi ad ottenere la commis-sione di una pala in S. Pietro.51 Quanto detto finqui suggerirebbe l’ipotesi che il dipinto, a diffe-renza di quelli di Poussin, Camassei e Domeni-chino, fosse stato spedito da Napoli: sebbene nonsia quindi documentato, è possibile che Sementi,proprio come Romanelli, avesse brevemente sog-giornato nella città partenopea alla metà deglianni Trenta, prima di morire a Roma nel settem-bre del 1636,52 o che il suo dipinto fosse primainviato a Napoli e poi a Madrid.I pochi dati documentari non consentono di sta-bilire con certezza se Monterrey spedisse da Na-poli, entro il 1638, tutti i dipinti con scene ispiratealla Roma antica o se alcuni di essi venisserocommissionati solo dal suo successore, RamiroNúñez de Guzmán, duca Medina de las Torres, vi-ceré dal 1638 al 1644. Secondo Schleier, per il ci-clo delle scene ispirate alla Roma antica Mon-terrey si sarebbe rivolto prima di tutto a pittori cheaveva avuto modo di conoscere negli anni in cuiera stato ambasciatore a Roma, e quindi Dome-nichino, Lanfranco, Romanelli e Poussin, ai qualisi deve aggiungere ora anche il nome di Se-menti.53 Non fanno eccezione le quattro grandiprospettive del bergamasco Viviano Codazzi, chesi era formato a Roma, popolate da figurine delnapoletano Domenico Gargiulo, detto Micco Spa-daro, che nell’inventario del 1701 sono puntual-mente indicate come opere di «Viviano y las fi-guras de Anelo falconi».54 Aniello Falcone, inrealtà, non sembrerebbe aver mai collaborato conCodazzi, ma Gargiulo, nato intorno al 1610, si eraformato proprio nella bottega di Falcone, dove eraentrato allo scadere del terzo decennio del secolo.L’attività dell’artista è documentata a partire dal1638, quando egli iniziò a lavorare per i monacidella Certosa di S. Martino. I dipinti del Prado,verosimilmente spediti in Spagna proprio in quel-l’anno, sarebbero quindi tra le primissime opererealizzate da Gargiulo in collaborazione con Co-dazzi, che era giunto a Napoli nel 1634. La so-stituzione del nome dello Spadaro con quella delsuo maestro, nella cui bottega egli forse era an-cora attivo, non può quindi considerarsi un veroerrore da parte di colui che stese l’inventario

delle tele inviate in Spagna per conto del Mon-terrey; è anzi da sottolineare come venisse chia-ramente indicata la distinzione tra l’autore dellaprospettiva architettonica e quello delle figure. Gli altri dipinti ispirati all’antica Roma eseguitida pittori napoletani per il Buen Retiro potrebberoessere stati eseguiti per conto di Medina de lasTorres, verosimilmente entro il 1641, quando laposizione a corte dell’Olivares cominciò a vacil-lare (egli sarebbe caduto in disgrazia all’inizio del1643): lo suggeriscono il soggetto delle tele, leloro dimensioni e un evidente errore dell’inven-

tario del 1701. Tra queste sono i Lottatori di Ce-sare Fracanzano e il perduto Caribes che l’inven-tario del 1701 attribuisce allo stesso pittore: da unpunto di vista stilistico i due dipinti sembrereb-bero databili agli anni Quaranta e la corretta indi-cazione del loro autore si spiega facilmente colfatto che i Lottatori sono chiaramente firmati daFracanzano, così come poteva esserlo anche latela perduta.55 Il nuovo ambasciatore si rivolse poia Falcone, commissionando due dipinti al mae-stro ed uno al suo allievo Andrea de Lione. Ilprimo eseguì i Soldati romani in un circo e il Sa-

FIG. 8 Andrea de Lione, Elefanti nel circo. Madrid, Museo Nacional del Prado

90

crificio a Flora (FIG. 7), il secondo gli Elefantinel circo (FIG. 8).56 Pur nella sostanziale conti-nuità si assiste in qualche modo ad un cambia-mento: non più combattimenti di gladiatori, scenelegate alla vita di un imperatore o raffigurazioni disacrifici, ma cavalieri e elefanti che sfilano in uncirco e un dipinto, quello raffigurante il Sacrifi-cio a Flora, che costituisce un trait d’union an-cora più efficace con le tele commissionate daMonterrey. In esso si vede un gruppo di atleti pre-sentare delle offerte alla statua di Flora, collocataverosimilmente lungo la spina centrale del CircoMassimo: sullo sfondo sono infatti le stesse gra-dinate coronate da un portico raffigurate da Co-dazzi nel suo dipinto con la Corsa di bighe nelCirco Massimo. Anche l’altro dipinto di Falconee quello di Andrea de Lione, raffigurando cavallie elefanti sfilare in un anfiteatro, si andavano adaffiancare naturalmente ai dipinti di Romanelli eFinoglio. I formati dei dipinti, però, variano oramolto di più: si va dai cm 92 x 183 dei Soldati ro-mani in un circo di Falcone ai cm 186 x 183 del-l’Offerta a Flora sempre di Falcone fino ai cm156 x 128 della tela di Andrea de Leone: questidipinti, nell’inventario del 1701, sono tutti e treattribuiti a Pietro Testa.57 Si è già sottolineata piùvolte l’affidabilità delle informazioni fornite dacoloro che si occuparono, per conto di Monter-rey, di inviare in Spagna nel 1638 i dipinti di Lan-franco, Sementi, Finoglio, Stanzione e Artemisia

Gentileschi. Testa, invece, non eseguì nessu-n’opera per il Buen Retiro, non aveva mai lavo-rato a Napoli e non risulta presente nellacollezione dei dipinti di Monterrey: non è quindifacile offrire una spiegazione convincente perquesta svista. Le tre tele di Falcone e Andrea deLeone costituiscono un documento di eccezionaleinteresse dell’influenza esercitata sull’ambientenapoletano da Poussin, di cui Testa era certamenteil seguace più fedele e importante. Le incisionicon temi tratti dalla storia antica erano tra le operepiù note di Testa, che nel 1630 aveva realizzatoanche una famosa stampa raffigurante l’elefanteche in quell’anno era stato mostrato al pubblico aRoma creando una certa sensazione.58 Questi ele-menti potrebbero aver suggerito l’associazionedel nome di Testa a dipinti dei meno noti Falconee Andrea de Leone. Paradossalmente, quindi, nel-l’inventario del 1701 il nome di Falcone compa-riva associato a dipinti ai quali non avevalavorato, le Prospettive di Codazzi, e non a quelloche era certamente uno dei suoi maggiori capola-vori. Il Sacrificio a Flora costituiva infatti lachiave di volta dell’intero ciclo, poiché da un latosi legava ai dipinti con scene di gladiatori e dicombattimenti e giochi circensi, e dall’altro mo-strava un gruppo di uomini portare delle offertead una statua di divinità, un tema già affrontatonei capolavori di Stanzione e Poussin eseguitiqualche anno prima per il Monterrey.

91

1 A. Úbeda de los Cobos (a cura di), Paintings for thePlanet King: Philip IV and the Buen Retiro Palace, cat.della mostra (Madrid, Prado), Londra 2005. Tranne le po-che eccezioni che verranno segnalate, tutti gli altri dipintiqui discussi sono al Prado di Madrid.2 G. Ferna�ndez Bayton (a cura di), Testamentaria delRey Carlos II, 3 voll., Madrid 1975-1985, II, 1981, pp.277-351; sul possibile significato della collocazione deidipinti nel Buen Retiro cfr. B. von Barghahn, Philip IVand the «golden house» of the Buen Retiro: in the tradi-tion of Caesar, New York 1986.3 J. Brown, J. H. Elliott, A palace for a king: the Buen Re-tiro and the court of Philip IV, New Haven 2003, p. 12.4 J. Connors, Borromini and the Marchese di Castel Ro-drigo, The Burlington Magazine, CXXXIII, 1991, p. 434.5 Sulla collezione del duca cfr. A.E. Perez Sanchez, Las

colecciones de pintura del conde de Monterrey (1653), Bo-letin de la Real Academia de la Historia, CLXXIV, 1977,pp. 417-459; M. B. Burke, P. Cherry, Collections of Pain-tings in Madrid 1601-1755 (Spanish Inventories I), 2 voll.,Los Angeles 1997, I, pp. 501-520; sulla sua attività dicommittente per la Chiesa degli Agostiniani di Salamanca,cfr. P. D’Agostino, Un bronzetto spagnolo di Cosimo Fan-zago a New York, Prospettiva, 109, 2004, pp. 83-88.6 G. Capitelli, The Landscapes for the Palace of Buen Re-tiro, in Úbeda de los Cobos (a cura di), cit., pp. 245-248.7 Capitelli, cit., pp. 244-245.8 Brown, Elliott, cit., pp. 124-126 e 129-130.9 Sulla carriera del pittore cfr. Paolo Finoglio e il suotempo. Un pittore napoletano alla corte degli Acquaviva,cat. della mostra (Conversano, Pinacoteca Comunale),Napoli 2000.

Note:

92

10 Sulla mostra romana del 1632 cfr. soprattutto O. Bon-fait (a cura di), Roma 1630. Il trionfo del pennello, cat.della mostra (Roma, Villa Medici), Milano 1994; A. Co-lantuono, Guido Reni’s Abduction of Helen: the politicsand rhetoric of painting in seventeenth-century Europe,Cambridge 1997, pp. 38-46; S. D. Pepper, La storia delRatto di Elena di Guido Reni: la conferma del resocontodi Sandrart del 1632, in D. Mahon (a cura di) NicolasPoussin: i primi anni romani, cat. della mostra (Roma, Pa-lazzo delle Esposizioni), Milano 1998, pp. 129-143.11 V. Gérard, Philip IV’s Early Italian Commissions,Oxford Art Journal, V/1, 1982, pp. 9-14.12 Colantuono, cit., pp. 29-35.13 A. Úbeda de los Cobos, The History of Rome Cycle,in Úbeda de los Cobos, cit., pp. 180-182 e 188, nota 57.14 Tutta la storia è narrata in Tito Livio, Historiae, XXX,12,11-15,11.15 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 284, n. 93. 16 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 299, n. 279; Úbeda de losCobos, cit., p. 187, nota 14.17 Gérard, cit., pp. 11-12.18 A. Vannugli, Stanzione, Gentileschi, Finoglia: le Storiedi San Giovanni Battista per il Buen Retiro, Storia dell’arte,80, 1994, p. 69; G. Finaldi, Works by Alessandro Turchi forSpain and an unexpected Velázquez connection, The Bur-lington magazine, CXLIX, 2007, pp. 754-756. I dipintieseguiti a Napoli dalla Gentileschi (Nascita di san Gio-vanni), da Stanzione (Annuncio a Zaccaria, Commiato disan Giovanni dai genitori, Predica di san Giovanni e De-collazione di san Giovanni) e da Finoglio (San Giovanni inprigione, perduto) erano sensibilmente più grandi (l’al-tezza oscilla tra i cm 180 e i 190, la larghezza tra i 258 e i337) di quelli di Turchi (Battesimo di Cristo, Banchetto diErode, e i perduti Decollazione di san Giovanni e San Gio-vanni battezza nel Giordano: 135 X cm 160), ma dovevanoappartenere allo stesso ciclo: difficilmente, altrimenti, sispiegherebbe il fatto che un solo soggetto sembrerebbefosse ripetuto due volte. È possibile, peraltro, che la perdutaDecolazione di Turchi raffigurasse un momento immedia-tamente precedente o successivo a quello del dipinto di Stan-zione, ed in ogni caso si trattava di uno degli episodi più notidella vita del Battista. Più difficile, in ogni caso, sarebbespiegare l’esistenza di un ciclo dedicato al santo in cui nonfosse raffigurato il Battesimo di Cristo (quello napoletano)o la Nascita di san Giovanni Battista (quello di Turchi).19 L’unico elemento che davvero suggerisce una data-zione più tarda del ciclo è la lettera di Artemisia del 1635a Ferdinando II de’ Medici in cui la pittrice menzionavaalcune opere da poco terminate, o sul punto di esserlo,commissionatele dal Monterrey. Ma, come è già statosottolineato, l’obiettivo di Artemisia era quello di posti-cipare un suo eventuale viaggio in Inghilterra (R.W. Bis-sell, Artemisia Gentileschi and the authority of art: cri-tical reading and catalogue raisonné, University Park

1999, p. 253), ed infatti la pittrice parlava al plurale, seb-bene sembri che il Monterrey le commissionasse una solatela del ciclo dedicato a san Giovanni Battista. La tela,insomma, poteva essere già stata terminata nel 1633, maad ogni modo, tutta la serie dovrebbe essere databile en-tro il 1634, quando Monterrey passò a commissionaretele con soggetti ispirati all’antica Roma.20 R. E. Spear, Domenichino, 2 vols, New Haven 1982,I, p. 304.21 H. Wine, National Gallery Catalogues - The SeventeenthCentury French paintings, London 2001, pp. 358-361.22 Úbeda de los Cobos, cit., pp. 224-225.23 Ferna�ndez Bayton, cit., pp. 309, nn. 403 e 410, e 288,n. 142; Úbeda de los Cobos, cit., pp. 224 e 267.24 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 396, n. 493; Úbeda de losCobos, cit., p. 204.25 Vannugli, cit., p. 60.26 Finaldi, cit., p. 754.27 Capitelli, cit., pp. 243-244.28 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 285, n. 103; Úbeda de losCobos, cit., pp. 200-201.29 G. P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architettimoderni (Roma 1672), edizione a cura di E. Borea, To-rino 1976, p. 356.30 G.B. Passeri, Die Künstlerbiographien, a cura di J.Hess, Leipzig 1934, p. 64; Spear (cit., p. 304) ritienequindi che il dipinto sia stato terminato a Napoli.31 Spear, cit., p. 304.32 È impossibile, peraltro, accogliere la tesi, sostenuta an-che di recente, della completa autografia del Camassei perquesto dipinto, cfr. S. Nessi, Andrea Camassei: un pittoredel Seicento tra Roma e l’Umbria, Perugia 2005, pp. 83-84.33 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 285, n. 102; Úbeda de losCobos, cit., pp. 181-182.34 Il dipinto dello Stanzione, pur destinato originaria-mente al Buen Retiro, venne trasferito presto all’Alcázardi Madrid (come il Duello femminile di Ribera) per ser-vire da pendant alla famosa Favola di Bacco (di que-st’ultima rimangono alcuni frammenti al Prado e in unacollezione privata di New York) di Ribera, cfr. S. Orso,Vela�zquez, Los Borrachos, and painting at the Court ofPhilip IV, Cambridge 1993, pp. 124-127; Úbeda de losCobos, cit., pp. 234-235.35 Sui dipinti di Lanfranco cfr. soprattutto E. Schleier,Disegni di Giovanni Lanfranco: (1582 - 1647), cat. dellamostra, Firenze 1983, pp. 185-192; cfr. anche Úbeda delos Cobos, cit., pp. 206-209.36 E. Schleier [Pietro da Cortona e la nascita del baroccoa Roma, in A. Lo Bianco (a cura di), Pietro da Cortona1597-1669, cat. della mostra (Roma, Palazzo Venezia),Milano 1997, p. 43] ha giustamente definito l’opera di Lan-franco degli anni Trenta «del tutto priva di riferimenti al-l’antico». I dipinti di Madrid, quindi, sono un’eccezione im-portante all’interno del corpus di Lanfranco. È forse il

caso di notare che le tele raffiguranti scene dell’anticaRoma, con la loro enfasi sul nudo maschile e sulle scenedi combattimenti di gladiatori, dovettero giocare un ruolosignificativo nelle successiva scelta, da parte di Filippo IV,di inviare a Roma il suo pittore di corte, Diego Velázquez,con l’incarico di ottenere calchi dalle maggiori statue an-tiche conservate nelle collezioni della città. Nel 1650,quindi, a dieci anni circa dall’arrivo a Madrid delle tele diLanfranco, Falcone e Fracanzano (cfr. infra), venivanocommissionate copie in bronzo di statue quali il Galdiatoremorente e i Pugilatori di Villa Medici (oggi agli Uffizi), aiquali si affiancavano altre figure di nudi eroici, come il Ger-manico (oggi al Louvre) e l’Ares Ludovisi (Roma, Pa-lazzo Altemps). A quell’epoca sul Buen Retiro, dopo la ca-duta in disgrazia dell’Olivares nel 1643, era già calato ilsilenzio, e le costosissime e prestigiose copie bronzee daimarmi romani erano destinate ad ornare l’Alcázar.37 Schleier, cit. 1983, p. 187.38 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 315, n. 479; Úbeda de losCobos, cit., p. 231.39 B. Daprà, La vita e le opere di Micco Spadaro, in B. Da-prà (a cura di), Micco Spadaro: Napoli ai tempi di Masa-niello, cat. della mostra (Napoli, Certosa di San Martino),Napoli 2002, p. 38, e schede di T. Scarpa, ibidem, pp. 74-75.40 Ferna�ndez Bayton, cit., pp. 283, n. 88, e 284, n. 98;Úbeda de los Cobos, cit., pp. 183-184 e 190.41 A. Vannugli, Orazio Borgianni, Juan de Lezcano anda ‘Martyrdom of St Lawrence’ at Roncesvalles, TheBurlington Magazine, CXL, 1998, pp. 89-9.42 Ferna�ndez Bayton, cit., pp. 285, n. 108, e 286, n. 114;Úbeda de los Cobos, cit., p. 206.43 E. Schleier, Lanfranco, Giovanni, in Dizionario bio-grafico degli italiani, 63, Roma 2004, p. 587.44 E. Schleier, Note sul percorso artistico di GiovanniLanfranco, in E. Schleier (a cura di), Giovanni Lanfranco:un pittore barocco tra Parma, Roma e Napoli, cat. dellamostra (Colorno, Reggia; Napoli, Castel Sant’Elmo;Roma, Palazzo Venezia), Milano 2001, pp. 31-33.45 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 314, n. 471; Úbeda de losCobos, cit., p. 170.46 E. Negro, Giovan Giacomo Sementi, in M. Pirondini,E. Negro (a cura ), La scuola di Guido Reni, Modena1992, p. 330; D. Benati, Sementi, Giovan Giacomo inThe Dictionary of art, 28, London 1996, p. 395; D. Be-nati e L. Peruzzi (a cura di), L’amorevole maniera: Lu-

dovico Lana e la pittura emiliana del primo Seicento, cat.della mostra (Modena, Galleria Estense), Cinisello Bal-samo 2003, p. 33, nota 102.47 C. C. Malvasia, Felsina pittrice: vite de’ pittori bolo-gnesi, a cura di G. Zanotti, II voll., Bologna 1841, I, p. 26.48 Bellori, cit., p. 527.49 Malvasia, cit., p. 42; Per una possibile identificazionedella Latona di Reni cfr. A. Colantuono, Guido Reni’s La-tona for king Philip IV: an unfinished masterpiece; lost,forgotten, rediscovered and restored, Artibus et Historiae,XXIX/58, 2008, pp. 201-21650 Non sappiamo se nelle collezioni di Filippo IV fossegià l’Atalanta e Ippomene oggi al Prado (1618-1619circa), segnalato per la prima volta da Cosimo de’ Me-dici nella sua visita a Madrid del 1668-1669, mentrel’Amorino con l’arco (1637-1638 circa) sempre al Pradoera stato probabilmente un dono di Camillo Massimi, cfr.L. Beaven, Reni’s “Cupid with a bow” and Guercino’s“Cupid spurning riches” in the Prado: a gift from Ca-millo Massimi to Philip IV of Spain?, The BurlingtonMagazine, CXLII, 2000, pp. 437-441.51 L. Rice, The altars and altarpieces of new St. Peter’s: out-fitting the Basilica, 1621 – 1666, Cambridge 1997, p. 233.52 A. Foratti, Sementi, Giacomo, in Allgemeines Lexikonder bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegen-wart, XXX, Leipzig 1936, p. 485.53 Tra loro erano comunque anche pittori napoletani:Finoglio, Stanzione e Ribera.54 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 286, nn. 117-118; Úbeda delos Cobos, cit., pp. 196-199.55 Ferna�ndez Bayton, cit., pp. 309. n. 404 e 316, n. 491.56 Anche V. Farina (Sulla fortuna napoletana dei «Bac-canali» di Tiziano, Paragone, LVIII/71, 2007, pp. 13-16)ritiene che i dipinti di Falcone e Andrea de Lione sianodatabili al 1638-39 circa, ma la studiosa pensa che la lorocommissione risalisse comunque al Monterrey, cfr. ancheFarina, Aniello Falcone, in B. de Dominici, Vite de’ pit-tori, scultori ed architetti napoletani, ediz. a cura di F.Sricchia Santoro e A. Zezza (III, Napoli 1742), Napoli2008, p. 126. Secondo M. di Penta (Storia dell’arte, inquesto numero), invece, i dipinti di Falcone e di deLione sarebbero databili al 1635 circa.57 Ferna�ndez Bayton, cit., p. 314, n. 473.58 E. Cropper, C. Dempsey, Nicolas Poussin: friendshipand the love of painting, Princeton 1996, in part. pp. 61-63.

COMPENDIO

Il palazzo del Buen Retiro di Madrid è oggetto dell’analisi dell’autore che prende in esame i dipinti inviati dall’Italia tra il1633 e il 1641, con temi di storie romane, anni in cui il conte Manuel de Guzman di Monterrey era ambasciatore del re diSpagna a Roma. L’autore attribuisce un ruolo significativo al Monterrey, profondo conoscitore degli artisti romani e na-poletani del primo Seicento in particolare di A. de Leone, A. Turchi, G. Reni, G. Lanfranco, N. Poussin e A. Gentileschi.

93