27
IL LIVENTINO ED IL VENETO SETTENTRIONALE: CENNI SU TESTI ANTICHI E MODERNI Le acquisizioni dialettologiche sul gruppo veneto-settentrionale (ma piu' in generale su tutta l'area nord-orientale italiana) si debbono in massima parte alla cinquantennale attivita' di Giovan Battista Pellegrini (e della sua scuola patavina), i cui innumerevoli studi sull'area hanno potuto dimostrarne la forte affinita' con le aree contermini ladine centrali, all'interno di una sostanziale unita' linguistica arcaica di matrice cisalpina. Trova ulteriore impulso quindi la necessità che si continui a perseguire anche il filone 'archeologico' della ricerca dialettologica, e ciò è tanto più vero proprio per la parlata trevigiano-bellunese in relazione al ruolo fondamentale di snodo che essa ricopre fra i vari dominî della Cisalpina . In particolare risulta piuttosto poco studiato dalla ricerca dialettologica il 'liventino'. 1) IL CONFINE LINGUISTICO TRA VENETO E FRIULANO Tradizionalmente i dialettologi collocano al fiume Livenza la separazione storica dei dominî linguistici veneto e friulano, almeno per quanto riguarda la loro base storica. Si tratta di un'opinione che ora e' in via di riconsiderazione poiche' concordemente si riconosce che questo corso d'acqua mal si presta a costituire una netta barriera etnico-linguistica (Zamboni 1986:617 e 1988a:215). Ne' il corso della Livenza ne' il confine amministrativo corrispondono ai confini linguistici fra veneto e friulano. Zamboni qualifica come fenomeni piu' macroscopici di discordanza i seguenti: a) il contatto veneto-friulano sulla fascia di confine occidentale (la cosiddetta amfizona, in senso stretto o lato); b) l'espansione storica del veneziano, che ha creato una vasta gamma di tipi 'coloniali' nei centri urbani e nella Bassa friulana e ancor piu' nel tergestino e nell'area giuliano-dalmata in generale. Se si tralascia quest'ultima questione ed anche i contatti (storici) fra veneto e friulano lungo la fascia montana (comelicano, cadorino, gortano, fornese, ertano, cellinese) e ci si sofferma sulla fascia di pianura, appare chiaro che l'andamento del confine veneto-friulano nella zona compresa fra le sorgenti della Livenza ed il mare e' complicato e mal descrivibile in termini di isoglosse semplici. Alla relativa chiarezza del contatto alto bellunese-friulano (ertano e cellinese) si contrappongono infatti le profonde interferenze che cominciano dalla zona prealpina e si allargano nella pianura (lungo il sistema fluviale Meduna- Livenza), col bellunese e il trevigiano dapprima, col veneziano verso il mare poi, dove storicamente e' (o era) friulana buona parte del mandamento di Portogruaro (Zamboni 1988). Infatti anche localita' pienamente venete, come ad es. S. Stino di Livenza, dimostrano si' una assoluta concordanza lessicale col dominio di appartenenza ma fanno emergere qualche eccezione, che potrebbe essere la spia di una diversa realta' passata. Cortelazzo 1982 segnala le seguenti forme che S. Stino ha in comune col friulano: croat "corvo", verus-cio "rosolia", nadain "ciocco di Natale", codoa' "strada selciata", coa "pavimento della stalla", corleta "filatoio", lavador "asse da lavare". Alcuni di questi lessemi pero' sono presenti anche ad Oderzo (o a Belluno) tanto che qualcuno pensa anche ad un centro irradiatore opitergino. Ma altre forme di S.Stino e di Corbolone piu' rustiche, come ospedar "sbadigliare" o zare "vaso per lo strutto", sono prettamente friulane e diffuse ad Aviano, Tramonti di Sotto, Barcis, Fanna, Azzano Decimo, Cordenons, Poffabro, Vito d'Asio, Ronchis. Quindi si puo' perlomeno supporre che la zona del portogruarese sia (stata) percorsa da correnti lessicali contrastanti, venete e friulane. Ne costituisce un esempio la resa del termine "chicchi di granturco abbrustoliti"; dall' ASLEF emergono due risposte, il tipo "confetti" (a) ed il tipo "signore" (b), con questa

Il liventino ed il veneto-settentrionale: cenni su testi antichi e moderni

Embed Size (px)

Citation preview

IL LIVENTINO ED IL VENETO SETTENTRIONALE: CENNI SU TESTI ANTICHI E MODERNI

Le acquisizioni dialettologiche sul gruppo veneto-settentrionale (ma piu' in generale su tutta l'area nord-orientale italiana) si debbono in massima parte alla cinquantennale attivita' di Giovan Battista Pellegrini (e della sua scuola patavina), i cui innumerevoli studi sull'area hanno potuto dimostrarne la forte affinita' con le aree contermini ladine centrali, all'interno di una sostanziale unita' linguistica arcaica di matrice cisalpina. Trova ulteriore impulso quindi la necessità che si continui a perseguire anche il filone 'archeologico' della ricerca dialettologica, e ciò è tanto più vero proprio per la parlata trevigiano-bellunese in relazione al ruolo fondamentale di snodo che essa ricopre fra i vari dominî della Cisalpina . In particolare risulta piuttosto poco studiato dalla ricerca dialettologica il 'liventino'. 1) IL CONFINE LINGUISTICO TRA VENETO E FRIULANO Tradizionalmente i dialettologi collocano al fiume Livenza la separazione storica dei dominî linguistici veneto e friulano, almeno per quanto riguarda la loro base storica. Si tratta di un'opinione che ora e' in via di riconsiderazione poiche' concordemente si riconosce che questo corso d'acqua mal si presta a costituire una netta barriera etnico-linguistica (Zamboni 1986:617 e 1988a:215). Ne' il corso della Livenza ne' il confine amministrativo corrispondono ai confini linguistici fra veneto e friulano. Zamboni qualifica come fenomeni piu' macroscopici di discordanza i seguenti: a) il contatto veneto-friulano sulla fascia di confine occidentale (la cosiddetta amfizona, in senso stretto o lato); b) l'espansione storica del veneziano, che ha creato una vasta gamma di tipi 'coloniali' nei centri urbani e nella Bassa friulana e ancor piu' nel tergestino e nell'area giuliano-dalmata in generale. Se si tralascia quest'ultima questione ed anche i contatti (storici) fra veneto e friulano lungo la fascia montana (comelicano, cadorino, gortano, fornese, ertano, cellinese) e ci si sofferma sulla fascia di pianura, appare chiaro che l'andamento del confine veneto-friulano nella zona compresa fra le sorgenti della Livenza ed il mare e' complicato e mal descrivibile in termini di isoglosse semplici. Alla relativa chiarezza del contatto alto bellunese-friulano (ertano e cellinese) si contrappongono infatti le profonde interferenze che cominciano dalla zona prealpina e si allargano nella pianura (lungo il sistema fluviale Meduna-Livenza), col bellunese e il trevigiano dapprima, col veneziano verso il mare poi, dove storicamente e' (o era) friulana buona parte del mandamento di Portogruaro (Zamboni 1988). Infatti anche localita' pienamente venete, come ad es. S. Stino di Livenza, dimostrano si' una assoluta concordanza lessicale col dominio di appartenenza ma fanno emergere qualche eccezione, che potrebbe essere la spia di una diversa realta' passata. Cortelazzo 1982 segnala le seguenti forme che S. Stino ha in comune col friulano: croat "corvo", verus-cio "rosolia", nadain "ciocco di Natale", codoa' "strada selciata", coa "pavimento della stalla", corleta "filatoio", lavador "asse da lavare". Alcuni di questi lessemi pero' sono presenti anche ad Oderzo (o a Belluno) tanto che qualcuno pensa anche ad un centro irradiatore opitergino. Ma altre forme di S.Stino e di Corbolone piu' rustiche, come ospedar "sbadigliare" o zare "vaso per lo strutto", sono prettamente friulane e diffuse ad Aviano, Tramonti di Sotto, Barcis, Fanna, Azzano Decimo, Cordenons, Poffabro, Vito d'Asio, Ronchis. Quindi si puo' perlomeno supporre che la zona del portogruarese sia (stata) percorsa da correnti lessicali contrastanti, venete e friulane. Ne costituisce un esempio la resa del termine "chicchi di granturco abbrustoliti"; dall' ASLEF emergono due risposte, il tipo "confetti" (a) ed il tipo "signore" (b), con questa

distribuzione: Mansue' (b), Corbolone (a,b), Gorgo (a,b), Lugugnana (a), Chions (a,b), Cordovado (a,b), Ronchis (b). L'indagine svolta dallo studioso tedesco Lüdtke 1956, volta a stabilire il confine veneto-friulano, individuo' una fascia che va dalle sorgenti della Livenza fino alla laguna di Caorle e che segna in realta' un confine sociolinguistico, poiche' si inserisce tra due zone monolettali (in cui si parla o veneto, o friulano) come zona bidialettale (con un patois locale friulaneggiante e una koine' veneta). Egli traccio' il confine sulla base dell'esistenza o meno nelle parlate locali di una serie di fenomeni fonetici, morfologici e lessicali, tipici del friulano e assenti nel veneto, ben noti a tutti i dialettologi. Tale fascia dunque lascerebbe a destra (cioe' al veneto) Sarone, Caneva, Sacile, Tamai, Prata, Pasiano, Chions, Sesto al Reghena, Cinto-Caomaggiore e i paesi vicini al corso inferiore della Livenza; a sinistra invece (cioe' al friulano) Polcenigo, Vigonovo, Fontanafredda, Palse (fraz. di Porcia), le frazioni meridionali di Pordenone (mentre Pordenone citta' e parte dei suoi dintorni sono ormai veneti), Azzano Decimo, Villotta, Bagnarola, Gruaro, le frazioni intorno a Portogruaro, Concordia Sagittaria. Piu' di recente Frau 1982 e 1983 ha fornito un'ulteriore precisazione sul confine nell'area di Portogruaro addebitando al friulano -seppur in forme diverse- anche i seguenti comuni: San Michele al Tagliamento capoluogo con le frazioni di S. Giorgio al Tagliamento, Pozzi, Malafesta, S.Mauretto, S.Mauro, Villanova della Cartera, S.Filippo, Cesarolo, Marinella, Bevazzana, Bibione, Baseleghe, Fossalta di Portogruaro, con le frazioni di Alvisopoli, Fratta, Gorgo, Vado, Teglio Veneto capoluogo, e poi, oltre a Gruaro capoluogo, Giussago, Lugugnana, Summaga, inoltre le frazioni o localita' di Concordia costituite da Spareda, Ponte Casali, Bosco Bonassa, via Frassine, via S.Pietro gia' S.Giusto, Sindacale, e via Cavanella. A quest'amfizona in senso stretto, all'interno del dominio linguistico friulano, se ne collega una piu' ampia definita "fascia di transizione occidentale veneto-friulana" (varieta' che rientra nel 'friulano occidentale' assieme al friulano occidentale comune, al friulano della fascia nordoccidentale del basso Tagliamento, all'asíno, al tramontino e all'ertano), in cui la fondamentale struttura fonologica del friulano non e' piu' completamente riconoscibile (Francescato 1966). Secondo il Frau il limite di queste due sezioni correrebbe all'incirca lungo una linea che, da Cordovado, congiunge i paesi di Teglio Veneto, Gorgo, Fossalta di Portogruaro, Vado, Giussago, Rivago, Lugugnana, e che corrisponderebbe al percorso della roggia di Lugugnana, la quale giunge al mare all'altezza di Porto Baseleghe, dopo aver preso il nome di Canale dei Lovi. 2) IL LIVENTINO: OSSERVAZIONI SOCIOLINGUISTICHE Per quanto riguarda la parlata veneta, nella fascia costiera fra Piave e Livenza, fino al Portogruarese, il 'liventino' comprende i dialetti posti tra Conegliano, il Piave, la Livenza (e oltre, sino ai confini friulani, come si e' detto) e il mare, cioe' le zone di Oderzo, Mansue', Motta di Livenza, S. Stino di Livenza, S. Dona' di Piave, Ceggia, Portogruaro e Fossalta di Piave, mentre per la zona del Vittoriese bisogna parlare piu' propriamente di un'appendice basso bellunese. Quanto al liventino

(1)

prendiamo in considerazione la trascrizione di un testo dialettale raccolto a San Giovanni di Motta di Livenza e pubblicato in trascrizione fonetica in appendice alla monografia riservata al Veneto del "Profilo dei dialetti italiani" (Zamboni 1974:88-89), e osserviamone innanzitutto i fenomeni sociolinguistici di interferenza tra dialetto rustico trevigiano, sovrapposizione della koine' veneziana e superstrato italiano popolare. Per non appesantire troppo l'apparato fonetico si adotta un sistema semplificato di trascrizione, talora diverso rispetto al testo in trascrizione fonetica di riferimento.

Numerosi indizi nel parlato dell'informatrice evidenziano una situazione di variabilita'. Ci limitiamo a registrarne alcuni, soprattutto in ambito fonologico, livello che possiede, assieme al lessico, e diversamente dalla sintassi e dalla morfologia, la massima variabilita' potenziale a causa di influssi extralinguistici e sociali (cfr. Berruto 1995: 62). In un contesto più informale con riferimenti al proprio passato sentimentale, che chiameremo (a), l'informatrice usa parké "perche'", col tipico fenomeno dialettale di apertura di /e/ protonica davanti ad /r/; ma in un segmento narrativo caratterizzato dalla presenza formalizzante dell'elemento religioso, che chiameremo (b), un filtro di interferenza linguistico col dominio superiore (l'italiano regionale) produce la chiusura in perké. Viceversa, a fronte di un generale fenomeno venezianeggiante di lenizione di /l/, appare la forma conservata in èa la ghe risponde. Assai istruttivo e' il fenomeno della caduta delle vocali finali, cosi' tipico del gruppo dialettale trevigiano-bellunese. Nel nostro testo, ad una ricca serie di lessemi apocopanti, che travalicano le condizioni veneziane, risponde la presenza di alcuni termini con la vocale conservata nel contesto (b): kanpi, fato; anche in legame fonosintattico: tuto kontento. Analogamente, (a) presenta vòi "voglio", con la caduta della vocale finale, mentre in (b) compare vòio, con il blocco della regola apocopante. Ma il blocco dimostra la sua asistematicita' sia nel contesto (a) in cui appare el diz "egli dice", che nel contesto (b): infatti a due occorrenze dize "(ella) dice" risponde la forma abberrante diz (intermedia fra l'esito di koine' dize ed il rustico dis), indice certo di insicurezza e di interferenza linguistica. Inoltre nel testo la vocale non cade dopo velare (bianko) o dopo labiale (kanpi): il fenomeno si mantiene quindi in posizione intermedia tra le condizioni veneziane e quelle schiettamente altovenete. La variabilita' del codice emerge anche nei seguenti fenomeni: - realizzazione dell'interdentale sonora [ð] < DJ (che ha distribuzione simile a [ð], allofono di /d/): mèða "mezza", assente invece in italianismi lessicali come giorno, Giovani, imagine; - riduzione a continua dell'occlusiva velare intervocalica in sioralo•o, le •anbe contro il mantenimento in neghe, dighe, ecc.; - perdita della velarizzazione in kando (contro kuà) e conservazione italianizzante in el guardi (contro varda); - alternanza fra la pronuncia labiodentale vèc'a, vén•e, 'nfermo e quella approssimante bilabiale sonora e sorda ßecét, ßén•e, 'n•ermo. In campo morfologico traluce la medesima condizione di variabilita': - articoli allomorfi al/el (o si tratta solo di variazione fonologica?); - l'imperfetto mi ièra contro il tipico morfema /e/ in ghevée, neghe, aspete; - il congiuntivo vèña dove ci aspetteremmo l'indicativo veñe, più omogeneo col registro più rustico espresso da forme come il condizionale in /ae/ baearàe; - la concrezione veneziana dell'avverbio ghe col verbo aver da cui la forma go da dar contro il trevigiano-bellunese mi ò dit. In campo lessicale abbiamo sedia (dove ci saremmo aspettati karèga), e una coppia sinonimica, tratta da due codici diversi, con un evidente intento didascalico: cizioét / kapitel. Anche all'interno del codice dialettale rustico, regole fonologiche categoriche, in origine distinte, sembrano risentire di interferenze morfofonologiche, per cui, ad es., l'informatrice pronuncia pert, con [t], il participio passato "perso", invece di pers, con /s/. L'esito con la dentale potrebbe risentire della forma dialettale pert " (egli) perde", derivante da normale desonorizzazione della consonante finale rimasta scoperta , oltre che di interferenze da ottimizzazione diasistematica del tipo pers / per•. Emblematica, per le sue implicazioni sociolinguistiche, la cospicua emergenza

nel testo di tratti di nasalizzazione della vocale (ûn, tânte, pônt, ecc.), a cui risponde, ma in variabile indipendente, il caratteristico tratto veneto dell'allofono nasale velare [•], generalizzato in posizione finale e in chiusura di sillaba anteconsonantico (per cui, piu' correttamente, û•, tâ•te, pô•t, ecc., ma anche senza nasalizzazione, ad es., ka•pi, ko•parì). 3) IL LIVENTINO: CONSIDERAZIONI DIALETTOLOGICHE Dall'analisi del testo mottense riportato da Zamboni -di cui or ora abbiamo fatto notare l'emergenza di fenomeni di variabilita' nella competenza linguistica- emergono tratti venezianeggianti affiancati a tratti di notevole conservativita' trevigiano-bellunese, caratteristica questa tipica del liventino. I tratti maggiormente ascrivibili al veneziano sono i seguenti: - il trattamento di /l/ evanescente (voéa, baeàr, se easén, ecc.; mentre finale kapitel); - la dittongazione nella serie palatale e in quella velare (píe, ankúo, e sioralo•o con la tipica riduzione /uo/ > /io/ veneziana): emblematiche soprattutto le ricorrenze del verbo "essere" ièra, ierési (in cui compare, pero', il caratteristico /-si/ enclitico); - il trattamento di CL > [c'] (ßecét) . I tratti invece piu' aderenti al patois trevigiano-bellunese, in campo fonologico e della struttura della parola, appaiono questi: - la caduta delle vocali finali dopo dentale e sibilante (pont, dit, pitost, 'ndat, e tante ben con la vocale /-e/ di ripristino, ecc.; ades, dis) ; - la presenza delle interdentali, sorda /•/ e sonora /ð/, tratto assai tipico del patois trevigiano-bellunese ed estraneo al veneziano; il fatto che l'informatrice nel nostro testo usi le interdentali e non le sibilanti forti indica un registro piuttosto rustico; - la chiusura di /e/ protonico in /i/ davanti a palatale: ti si, ßistìa, ßiñù. Per quanto riguarda la morfologia trevigiano-bellunese notiamo: - il morfema /-e/ di prima persona singolare (ghevée, neghe, aspete); - l'imperfetto con vocale tematica /e/ nei verbi della prima coniugazione come estensione di -EBA ('ndéa "andava"); - le caratteristiche forme verbali di I e II persona plurale con l'enclitico /-si/ (qui ierési) (su cui v. Marcato 1990:84); - la tipica terminazione /-en/ di prima plurale: easén (derivante da un incrocio tra /-emo/ e /-on/); - il condizionale arcaico in /ae/: baearae; - la conservazione delle forme originarie (e)l é "è" contro veneziano zé, e del verbo "avere" senza /g/ contro la concrezione del clitico esistenziale ghe "ci" in veneziano, peraltro ancora distinto sino all' 800; - la forma debole di participio passato s' a ga konparì "e' comparsa", con l'uso dell'ausiliare "avere" e l'eccezionale presenza del SIC narrativo in un costrutto presentativo, con soggetto posposto, gia' segnalata da Sanga 1996:91,n.193. In ambito sintattico -che pure costituisce un livello di analisi privilegiato perche' meno suscettibile di altri di essere toccato dall'influsso esterno, sociale, extralinguistico-, ora in grande sviluppo anche nella dialettologia italiana, osserviamo solamente un esempio di inversione dei clitici, secondo l' ordine, rispettivamente: 1) oggetto diretto 2) oggetto indiretto: dighe k el t o dito mi, diversamente dalla forma canonica con ordine inverso. Ma che il liventino abbia posseduto storicamente tutte le caratteristiche del veneto settentrionale rustico e' confermato sia dalla ricognizione toponomastica condotta magistralmente da Zamboni 1983, sia dalla documentazione, praticamente sconosciuta, lasciata nel 1874 dal parroco di Pianzano Giuseppe Barozzi, intelligente precursore degli studi dialettologici liventini, pur con le inevitabili ingenuita' proprie della sua epoca.

Dunque, Zamboni conferma che le caratteristiche dialettali mostrate dai toponimi esaminati tra Piave e Livenza si confanno esattamente al tipo veneto trevigiano-bellunese (con fenomeni peculiari gia' ribaditi, come la caduta diffusa delle vocali finali e la presenza antica delle interdentali) e lasciano emergere arcaismi interessanti, fra i quali: - la neutralizzazione del contrasto sorda/sonora in finale di parola (dal Barozzi abbiamo: fret "freddo", spanz [con (z) che indica l'interdentale sorda!] "spande", falz "falce", Alpac "Alpago", spac "spago", os "voce", bef "beve", vif "vive"); - l'esito labializzato del tipo RIVUS > ru; - resti di metafonesi, specie di contatto; - l'esito /u/ (< /uo/) da O breve latino; - dittongazione discendente in sillaba chiusa; - l'esito iert "erto"; - il passaggio /au/ > /ol/, frequente nel trevigiano antico (Barozzi: calcolsa "qualcosa", olsar "osare"); - la tendenza a dileguo di /-j-/; - casi di betacismo (Barozzi: bolp "volpe", banpor "vapore", banpa "vampa"); - passaggio /-dj-/, /-gj-/ > /-j-/; - sincope dell'intertonica davanti a /r/ (Barozzi: lievro "lepre"; e con epentesi, tipica del trevigiano-bellunese, di /d/: vendre "venerdi'", zendre "cenere"); - il passaggio /-n(n)-/ > /-nd-/; - la caduta di /v/ iniziale di parola (Barozzi: os "voce", olta "volta") ; - conservazione di /s/ finale nei nomi; - casi diffusi di epitesi consonantica; - casi di dileguo, in determinate condizioni, delle consonanti in uscita; - frequenza dell'ampliamento verbale in /-ejo/ (Barozzi: bestemea "bestemmia"; con ampliamento simile anche nell'imperfetto congiuntivo alla prima e seconda persona plurale: finisesse, stabilisesse, morisesse, sentisesse); - frequenza delle formazioni di plurale in /-oi, -ai/ < -ONI, -ANI (Barozzi: botoi "bottoni", portoi "portoni", palazzoi "palazzoni"); - la valenza (non accrescitiva) di -O, -ONIS (ad es. Piavon) (Barozzi, come ampliamento verbale: cridonar "gridare", strepitonar "strepitare"). Dal Barozzi inoltre aggiungiamo (oltre a fenomeni gia' citati, come il morfema /e/ della prima persona verbale e il condizionale in /ae/): - innanzitutto l'inequivocabile indizio di palatalizzazione di /ka/ (ciapuzzar "inciampare"); - /aj/ > /e/ (egua "acqua"); - /tj-/ > /c'/ (cior "prendere" da *tjol < tuol < TOLLERE); - caduta di /g-/ (onfio "gonfio"); - /l/ > /n/ (pons "polso"); - /n/ > /l/ (lumero "numero") - /l/ > /r/ (S. Fris "S. Felice", fragel "flagello"); - /m/ > /n/ (fan "fame", fun "fumo", on "uomo"); - /n/ > /m/ (somet "sonnetto"); - /n-/ > /ñ/ (gnon "nome") - /g'-/ > /j-/ (jaz "ghiaccio", jan "ghianda"); - /g'/ > /j/ (panoia "pannocchia", reia "orecchia"); - variabilita' e scambio tra /f/ e interdentale sorda ( ferion/zerion "lettiga? bestia da soma?"; nel dizionario di Caneva: thenocio "finocchio" [/th/ indica l'interdentale], thiap "molle, tenero, sgonfio" rispettivamente per fenocio, fiap); - metatesi (malisandra "salamandra"); - epentesi di /r/ (arcassia "acacia") ( in malamentre "malamente" forse meglio metatesi); - metaplasmi nominali ('l nef "la neve", 'l not "la notte"; la fiel "il fiele", la miel "il miele", la gnon "il nome", la solz "il solco"); - pronome personale tu (ti tu é "tu sei", ti tu a "tu hai");

- metaplasmi verbali (disande "dicendo", ridande "ridendo"); - /-si/ enclitico nella prima e seconda persona plurale dei verbi (erionsi "eravamo", eriessi "eravate", vionsi "avevamo", viessi "avevate"); - /-on/ di prima persona plurale dei verbi (noi altri son "noi siamo", noi altri on "noi abbiamo"); - gerundio in /-ande/, famoso nella storia della dialettogia alto-veneta perche' il Salvioni ne fece uno dei tratti distintivi del trevigiano rispetto al bellunese (magnande, sonande, disande, ridande); - suffisso /-ot/ (grandot "piuttosto grande", pizzolot "piuttosto piccolo", un pezzot "alquanto tempo", esser in tenpot "essere piuttosto attempatello"); - nel lessico, segnaliamo un gruzzolo di termini racimolati dal Barozzi, moltissimi dei quali trovano preciso riscontro ad es. nella parlata di Caneva (Rupolo-Borin 1982), territorio amministrativamente friulano ma linguisticamente "trevisano rustico orientale, con venature friulane concordiesi esterne", secondo la definizione di G.B. Pellegrini: ancoi "oggi", bela "forse", cuca "noce", doi "due", ost "agosto", farsora "padella da friggere" (anche padovano e vicentino), imprumar "usare una cosa per la prima volta", ponder "fare le uova", sgarba "poppa della vacca" (anche nord-padovano), strumar "emettere un aroma intenso", asiva "agnella che ha passato l'anno senza figliare", pat "pianerottolo" (anche padovano e vicentino), morona "serto", muzzola "pannocchia di granoturco mai sviluppata, con radi chicchi", petar "percuotere", dindia "tacchina", arbol "albero", sesola "paletta di legno a manico molto corto, usata per i cereali" (anche padovano, vicentino e veneziano), arar "vivere miseramente penando", corason "cuore", ladin "facile a dire male d'altrui", stela "scheggia di legno" (panveneto), zanche "trampoli", fien de anton "fieno di falce" (anche padovano e vicentino), per amorde "affinche'", starnir "apprestare la lettiera ai bovini", posent "luogo protetto dal vento, e ben esposto al sole", descalz "scalzo", turlindana "drappo sottilissimo da coprire i bambini per difenderli dalle mosche", brega "tavola", brenta "tino" (panveneto), olsar "osare" (anche padovano e vicentino), garnel "semente", magon "stomaco" (panveneto), fondal "tagliere", gardus "maggiolino", ignor "da vicino", ian "ghianda", laip "truogolo", matant "tantissimo", nome' "solamente" (anche veronese), razza "anitra", strasegne "grondaie", truscar "cozzare", ucar "urlare", cea "vacca piccola" (cfr. cèo veneziano e trevigiano), vanuia "cassamadia ove si scotta il porco", zurlo "trottola", paz "sporco", cair "cadere" (anche padovano), mudol "rospo del pantano", pelegren "grembiule", mular "muggire", concol "porca", crot "malato", bondola "salsiccia" (anche padovano), inbramirse "gelarsi", cogner "bisognare" (panveneto antico), comòdo "come", dessedarse "svegliarsi", desmissiarse "svegliarsi" (panveneto), feda "pecora", greme "quanto lascia la bestia dell'erba da mangiare", pander "rivelare", sedel "vaso per mungere", sunar "raccogliere" (panveneto), verta "primavera", van "vaglio", rumar "grufolare" (panveneto), castegna "castagna", pisa "specie di trottola", sculier "cucchiaio" (panveneto), criola "cesta da polli", lor "bianco-bruno", in pè "invece", a una "insieme", buscar "cercare", caiarse "coagularsi", despò "dopo", era "aia" (panveneto), chiz "noce a cui e' difficile estrarre il gheriglio", lazzon "gheriglio", grap "fossa davanti ai cimiteri, coperta di una grata di ferro, per impedire il passaggio ai quadrupedi", incozzarse "sporcarsi", lungar "arrivare", sghirlo "nodo di vento", smalzar "scremare (il latte)", smir "strutto", utia "frasconaia", lenzer "leccare", mas "quantita' di terreno", rinzinar "nitrire", panera "madia" (panveneto), spienza "milza". 4) IL DIALETTO TREVIGIANO-BELLUNESE: CONSIDERAZIONI IN DIACRONIA Per inquadrare il liventino e' opportuno anche dare uno sguardo nel suo complesso al 'diasistema' trevigiano-bellunese, soprattutto secondo un'ottica storica . Come e' noto, tale parlata risulta caratterizzata lungo l'arco alpino, da nord-ovest a sud-est, da ampie zone di transizione cosicche' il trevigiano-bellunese sfuma a Nord senza una netta linea di demarcazione nel dominio linguistico ladino centrale, a cui si collega attraverso una vasta amfizona ladino-veneta, funzionalmente simile (ma con fenomeni diversi!) a quella friulano-veneta

(2)

.

Gli studi linguistici hanno evidenziato con chiarezza la stretta affinita' diacronica esistente tra il veneto settentrionale (storico), il ladino dolomitico-atesino e l'alto trentino e, piu' ampiamente, l'esistenza storica di una romanita' "italica" costituita da aree venete, trentine e lombarde. Se esaminiamo allora il trevigiano-bellunese da un punto di vista diacronico, esso risulta costituito dal bellunese, dal feltrino, dalla subarea del Primiero, dall'agordino-zoldano-basso cadorino (zona d'interferenza col tipo ladino), e dal trevigiano rustico, con la varieta' liventina e l'amfizona veneto-friulana . Storicamente ha assunto una fisionimia ben definita, molto piu' marcata quando non era ancora fortemente sottoposto alla martellante pressione della koine', mentre, attualmente, i fenomeni piu' conservativi si possono cogliere, nel trevigiano, solo nelle aree appartate. I tratti caratterizzanti tale gruppo si ritrovano soprattutto nei testi degli autori eglogistici in patois del '500, come il notaio bellunese Bartolomeo Cavassico o il nobile trevigiano Paolo da Castello

(3)

. Quest'ultimo e' un letterato di notevole importanza a fini dialettologici, come sappiamo fin dai tempi degli studi di Salvioni (per la bibliografia v. Mazzaro 1991), e i suoi testi non smettono di rivelarsi una preziosa fonte di comparazione diacronica con fenomeni del veneto settentrionale attuale: interessante, ad esempio, a tale riguardo, il riconoscimento dell'estensione del SE riflessivo anche alla seconda persona plurale in "guardasse" [= guardatevi] nel verso 303 dell'Egloga Maggiore (Cennamo 1993:56), che si apparenta senz'altro ad analogo fenomeno presente nella parlata attuale di Revine-Lago (e non ignota a dialetti friulani periferici) (Pellegrini 1983a:9) [ e cfr. nel bisiacco Zamboni 1986:635]. Di Paolo da Castello trascrivo un sonetto che parla, in chiave comico-parodistica, del giudizio universale (lo trascrivo, con leggerissime varianti, dall'edizione Salvioni 1902-5, astraendo da implicazioni filologiche approfondite -su cui v. qualche accenno in Mazzaro 1991- che qui non sono necessarie per il nostro assunto): Hè pensà tante volte ne la ment che chi le ombràs sarove un million, che 'l preve dis che a resussiterón co' piè, co' man, nas, vuogi, cavié e dent. E che a son de trombetta incontanent tutti de trentatrè agn retornerón a star in chiap a muò castron, a spittar d'estre grami e chi content. No'l creze che se drome in compagnia e leve su a bon' hora senza lum, e tuoge su una scarpa, e la no é mia. E lu vorà che zarnona d'un grum de osse, che sarà d'ogni zenìa, le nostre gambe, brazze, piè e cossúm. Po', se un se niega in fium, e g'ha magnà le man pì de cent pes, pur a bignarge i det starove un mes. E qui che muor dal mal frances, che ge ha magnà, me perdona, l'ordegn, cugnirà suscittar co' un de legn.

Ne diamo una traduzione: ho pensato tante volte nella mente che qui (nell'aldila') le ombre dovrebbero essere un milione, (e) che il prete dice che resusciteremo con piedi, mani, naso, occhi, capelli e denti. E che (il prete dice che) d'improvviso al suono di una tromba ritorneremo tutti, a trentatre anni, a stare in mucchio come i pecoroni, ad aspettare di essere condannati o destinati alla beatitudine eterna. Non credo che si dorma in compagnia e (che) ci si alzi di buon mattino quando e' ancora buio, e (che) si raccolga una scarpa, ... e poi invece non e' la mia. E (non credo che) Lui vorra' che scegliamo da un mucchio di ossa, formato (da ossa) di tutte le razze, le nostre gambe, braccia, piedi e cosce. E poi! Se uno annega in un fiume e gli hanno mangiato le mani piu' di cento pesci, solamente a riattaccargli le dita bisognerebbe starci un mese! E quelli che muoiono di 'mal francese', (male) che ha mangiato loro, mi si perdoni, ...l'arnese, bisognera' che resuscitino con un (arnese) ... di legno! Come si vede, aldila' della divertente e salace parodia religiosa, sublimata dalla 'pointe' dell'ultimo verso, appare violenta la configurazione linguistica dialettale, se paragonata, ad esempio, alla "scripta" del mottense Daniele di Chinazzo nella "Cronica de la guerra da Veneciani a Zenovesi" del primo '400. Tra la ricca messe di fenomeni che meriterebbero attenzione, dopo aver accennato cursoriamente ad alcuni, ci soffermeremo in particolare su due. In tutti i settori emergono tratti interessanti come, ad es.,: nella grafia: (ch) per [c']; (ge) per [ge]; (sc) per [s]; (c) e (z) per le interdentali sorda e sonora; (ll) forse grafia ipercorretta, sintomo di incipiente lenizione; nella fonetica: -sviluppo condizionato da palatale in hè "ho" (/aj/ > /e/), fenomeno qui, in questo lessema, peculiare di Paolo da Castello; -iperdittongazione: tuoge, caviè, niega, ecc.; -apertura di /e/ protonica in /a/ davanti ad /r/: zarnona (<CERNERE); -sincope di /e/ postonica, con consonante epentetica: estre "essere"; -chiusura di /e/ > /i/ protonica (ma forse qui estensione in sede atona di chiusura di dittongo in sillaba chiusa!): spittar; -passaggio di I lunga latina ad /é/ in ordégn, dal lat. parlato *ORDINIU(M), forse reazione ipercorrettiva alla metafonesi; -chiusura di /ó/ in /u/ promossa da nasale: cossum "coscioni"; -massiccia caduta di vocali finali ( lasciando scoperte, ad es., anche le palatali: agn, legn, ordegn), che costituisce l'elemento di gran lunga piu' distintivo del gruppo dialettale trevigiano-bellunese rispetto agli altri dialetti veneti; -desonorizzazione delle consonanti sonore finali, altro tratto assai tipico del gruppo altoveneto: dis, nas (forse anche ombràs "ombre", con suffisso peggiorativo); -palatalizzazione di nasale davanti a palatale: bignar "abbinare, riattaccare" (v. Less.), cugnir "bisognare" (con consueta estensione analogica dalle forme

personali), agn "anni" (/nj/ > /ñ/), pure questo fenomeno peculiare dell'altoveneto; -passaggio /-CL-/ > /-GL-/ > [g']: vuogi "occhi" (< *OCLI), esito importante dal punto di vista dialettologico poiche' [g'] e' ritenuto piu' schiettamente rustico del concorrente esito [c'] nelle parlate altovenete; -perdita della velare: chi "qui" (/ku/ > /k/); -metatesi di /r/: drome; nella morfologia: -metaplasmo di declinazione in osse "ossa", brazze "braccia"; -modificazione del tema: creze "credo" (* CREDJO); -I persona singolare del verbo in /-e/: creze, e I plurale in /-on/: resussiteròn, zarnona "cerchiamo" (piu' /-a/ analogico del congiuntivo), caratteristiche del trevigiano-bellunese; nella sintassi: -uso del clitico a (su cui v. Beninca' 1983); -'variatio' sintattica in: a spittar d'estre grami e chi content; -la locuzione tuoge su "prender su"; nel lessico: preve ( < prevede) "prete", tipica forma dialettale antica; bignar "abbinare, riattaccare", da BINI "a due a due", presente a tutt'oggi nei dialetti veneti con la forma non palatalizzata binàr (dai dialetti settentrionali vi e' stato poi il passaggio all'italiano "abbinare"); zarnir (zernir) "scegliere", in italiano voce dotta (ma presente nel volgare settentrionale del XIII sec. di Uguccione da Lodi), trevigiano e bellunese odierni zernir, padovano e vicentino insèrnare, lombardo scernì; cugnir "bisognare, essere necessario", padovano, vicentino rustico cognere, bellunese cògner, valsuganotto cognèr, da CONVENIRE "adattarsi", italiano "convenire"; villò "lì" < IBI-LOCO ( o IBI-ILLOC) > ivilò > villò, frequente nel pavano del '500 e, piu' in generale, nel cisalpino; castron "agnelli (castrati)", tipico del trevigiano-bellunese e del pavano del '500, dal latino medioevale CASTRONE, CASTRONUS. Dopo questo veloce excursus notiamo in particolare: 1) PASSAGGIO DA /-N/ A /-M/: cossum "coscioni". Potremmo spiegare tale tratto come fatto grafico ipercorrettivo della tendenza trevigiano-bellunese alla neutralizzazione di /m, n/ in /n/ (interpretazione avvalorata peraltro anche dalla chiusura di /ó/ in /u/). Tuttavia, se assegnassimo a questo tratto una patina piu' di patois che di koine' si potrebbe prestare attenzione alla possibilita', espressa da Tuttle 1981-2: 26, n.10, che grafie inverse (-n) > (-m) in testi antichi abbiano potuto avere "veracita' fonetica". Il fenomeno prenderebbe avvio dalla reazione nei confronti della tendenza di (-n) a cadere dopo aver nasalizzato la vocale precedente: le nasali finali /-m/, /-n/ cosi' si rafforzerebbero, neutralizzandosi in [-m], come realizzazione "fortis" Di qui, l'equivalenza tra la forma "allegra" fâ

n

e quella "lenta" (o di registro piu' curato e conservatore) fam avrebbe coinvolto anche il tipo pâ

n

, creando un'alternanza del tipo: fâ

n

pân

------------- = ------------ fam (pam) 2) CONDIZIONALE IN /-OVE/: sarove, starove. Paolo da Castello nelle sue egloghe presenta anche forme senza vocale finale (-ou), (-oo), (-o), ad es.,: magnerou, saroo, poro, ma sempre esclusivamente con la vocale tonica /o/. Tale tratto gli e' assai peculiare e lo differenzia nettamente da tutti gli altri testi antichi trevigiano-bellunesi, che pure hanno gli stessi riflessi di condizionale indigeno rustico da HABUI (o da HABET) (contro i

riflessi di koine' in /-ia/, da HABEBAM), ma con vocale tonica /a/, come e' norma anche dell'attuale patois altoveneto. La forma in /o/ tuttavia non e' del tutto sconosciuta ai dialetti, antichi e moderni, settentrionali: appare, ad es., nel lombardo, nel piemontese e nei dialetti 'ladini' dolomitici; inoltre, nel bellunese Cavassico e nel trevigiano-bellunese rustico attuale, ad esempio a Lamon e in Valcavasia. Per quanto riguarda la formazione del tipo, sia Salvioni 1902-5:259, che Rohlfs II:327, sono d'accordo nel ritenere che -U- di HABUI si sia legata alla vocale tonica, da cui HABUI > *auve, e poi, con la monottongazione in /o/, avremmo gli esiti finali ovi, ove, of. Per ammettere tale sviluppo bisogna pero' introdurre una variante fonetica valida solo per il tipo con vocale tonica /o/, che contrasta con la trafila normale di gran parte dei dialetti settentrionali, nei quali -U- scompare. In considerazione di cio', analizzando solo le forme 'ladine' - veneto settentrionali, si potrebbe tentare di accennare ad un'altra possibilita' (valida indifferentemente, sia che il condizionale rustico in /-ave/ risulti dal tipo HABUI sia -secondo altre ipotesi- dal tipo HABET). Invece di postulare uno sviluppo autonomo dell'uno rispetto all'altro, si potrebbe pensare ad un'evoluzione dei due tipi, in /a/ e in /o/, congiunta fino allo stadio /-ave/, vista la loro comune origine etimologica. A questo punto, dopo la caduta della vocale finale (in seguito restituita), com'e' norma del veneto settentrionale, la /v/, da un lato assordisce a /f/, come ad es., in Auliver (v. Pellegrini 1977:359) dando /af/ (o da /ave/, con caduta della fricativa intervocalica, passa, come nel Cavassico, in Morel, e come oggi, ad /ae/), dall'altro ad /w/ (ma non ancora ad /u/, "dove l'irrecuperabilita' della fase originaria non consente ormai piu' restituzione", Zamboni 1987:86). Infatti mentre il bellunese e il trevigiano antico di solito hanno /f/ (v. anche le condizioni attuali in Mafera 1957:171-2, che distingue Destra -esito /w/- da Sinistra Piave -esito /f/-, e si ricordi il citatissimo brano di Dante nel De Vulgari Eloquentia), la vocalizzazione /-v/ > /-w/ e' tipica del feltrino (v. ad es., Pellegrini 1977:244; Lax 195). In questo secondo caso si arriva dunque ad /-aw/, da cui poi potrebbe essersi sviluppato /-ow/, tratto ora assai tipico del ladino, con le successive evoluzioni /oo/, /o/. Si consideri infatti la presenza nel trevigiano rustico attuale dell'esito /o/, da -ATU > /aw/ > /o/ (v. ad es., plantò "impiantito", in Pellegrini 1983a:8). Tale esito e' tipico altresi' del veneto lagunare di Marano (accanto all'esito /-ao/ di Grado), in contrapposizione al tratto rialtino (e in seguito di koine') in /-a/ (v. Marcato 48). La trafila comunemente accettata e' quella tipica del pavano, che prevede -ATU > /-ado > -ao > -o/, con conservazione della vocale finale. Ma tale caratteristica non e', indubbiamente, propria del veneto settentrionale, e cio' costituisce il principale elemento di perplessita' nell'accogliere l'ipotesi di una simile evoluzione locale nel trevigiano-bellunese. D'altra parte -ATU, per caduta della consonante intervocalica, da' /-óu/ nella massima parte del Cadore centrale (Pellegrini 1953:141) e nel Comelico: /-ó/, /-óu/ (Zamboni 1974:71). Quindi, se si accetta l'ipotesi di sviluppo locale nel trevigiano-bellunese, accanto alla poco probabile possibilita' di evoluzione parallela al "pavano", e' da tenere in considerazione l'eventualita' di una trafila alternativa, del tipo -ATU > /-aw > -ow > -o/. Del resto, in altro contesto, anche nei dialetti agordini 'ladini' si trova l'esito /ow/ da AU (Pellegrini 1954-5:329), e si ricordi la vicenda di AU > /al- ÷ ol-/ nel veneto antico. Ma soprattutto il dittongo /ow/ da AU e' presente nel Cavassico (Salvioni 1893:312), nel codice 1729 del Fiore di Virtu', ritenuto trevigiano-bellunese (Corti 1960a:58), nel Lapidario Estense (Tomasoni 1973:174) nonche' a Lio Mazor

(Levi 51). Inoltre il trevigiano-bellunese e' stato storicamente un sistema dialettale caratterizzato dalla sicura presenza di dittonghi discendenti, le cui attestazioni vanno dai testi antichi ritenuti trevigiani come il Lapidario Estense (ma sugli studi della Corti e della Tomasoni a tale riguardo vanno avanzate alcune riserve)

(4)

alle opere cinquecentesche del Cavassico e del Mezzan (con dittonghi discendenti nella serie -ous = italiano -oso), per arrivare agli attuali relitti conservativi localizzabili nell'area del dialetto di Lamon e, piu' su, in quello di La Valle ad Agordo (Pellegrini 1982a:16; Zamboni 1984:55). Questo sviluppo troverebbe, allora, nei testi di Paolo da Castello in particolare, singolare riscontro con un'eventuale, simile convergenza nel condizionale. Rimane il problema di spiegare l'alternanza delle forme con vocale finale e col recupero dei tratti di ostruenza della labiodentale /-ove/ (come nel nostro caso); con vocale finale e dileguo della consonante /-oe/; senza vocale finale /-ow/, ed evoluzioni seriori. E' ormai assodato che /e/ costituisce la tipica vocale trevigiano-bellunese di ripristino, la cui presenza o meno dipende da oscillazioni di natura sociolinguistica. Non e' difficile quindi supporre che le forme /-ove, -oe/ indichino una ricostruzione successiva, caratterizzata da maggiore prestigio sociale e convivente con /-ow/ su piani di macrodiglossia. Pertanto, secondo me, la trafila potrebbe essere stata la seguente: 1. /ave/ Da HABUI (o da HABET) 2. /av/ Caduta della vocale finale 3. /aw/ Progressiva perdita dei tratti di ostruenza 4. /ow/ Armonizzazione 4a. /oo > o/ Monottongazione 5. /ove/ Restituzione di /e/ e realizzazione di /w/ come /v/ fra vocali 6. /oe/ Caduta di /v/ intervocalica 6a. /oe/ Restituzione della vocale ad /o/ gia' monottongato. Analogamente ci aspetteremmo anche nel passato remoto di Paolo da Castello un'evoluzione simile, che dovrebbe portare comunque a /*-ov >*-ow > *-o/: e' evidente pero' che una simile trafila ne vanificherebbe la distinzione funzionale. Difatti nei testi del Nostro compaiono invece, nella I e nella III persona singolare degli ausiliari, 'strane' ricorrenze di passato remoto (per l'evoluzione 'normale' settentrionale v. sotto): I havì, III havì; I fuì, III foè (e per "avere" abbiamo attestazioni anche in Cavassico: I havì, III havì). Salvioni 1902-5:268, n.3 le considera tutte forme arizotoniche. Probabilmente la presenza delle forme deboli nella I e nella III persona di "avere" (modellate sulla II: havìs) deriva dalla necessita' di evitare il pericolo di cui si e' appena discorso. Poi un'estensione analogica potrebbe aver colpito anche "essere"; in Paolo da Castello questo ausiliare presenta nel passato remoto un'alternanza dell'allomorfo lessicale: /fu/ nella I e II persona, /fo/ nella III, che sembra andare di pari passo con le vocali toniche desinenziali: /i/ nella I e II, /e/ nella III. Nella II persona, in particolare, puo' esservi la conferma che pure le altre due sono arizotoniche: infatti fuìs, poiche' gia' nel latino parlato la II era ridotta a FUSTI (Tekavcic, II, 349), non puo' derivare direttamente da FUISTI ma e' chiaramente una forma analogica, con morfema /is/, probabilmente, come detto, da "avere". 5) LA LINGUA DELLA "CRONICA" DI DANIELE DI CHINAZZO Ben diversa risulta naturalmente la lingua dei primi decenni del 1400 della "Cronica de la guerra da Veniciani a Zenovesi ” del mottense Daniele di Chinazzo, che non rappresenta certamente il "parlato" del suo autore. Con questi tratti linguistici, sostanzialmente, tranne qualche diversita' locale,

scrivevano tutti gli autori settentrionali in volgare dell'epoca. Tale "scripta", caratterizzata da una patina linguistica condivisa da una vasta area settentrionale, presenta invece qualche differenza rispetto al coevo volgare toscano, talora anche accentuata (ma non bisogna dimenticare che il toscano e' penetrato piuttosto precocemente in Veneto, a differenza del resto dell'Italia settentrionale). In Daniele di Chinazzo, farmacista trevigiano di Motta, si sviluppa naturalmente un dettato aderente alla koine' veneziana, che gia' in quel periodo, all'inizio del '400, dominava in Veneto nella produzione scritta (con notevole attrazione verso il toscano) e che presenta, nell'ambito della sua appartenenza al cisalpino, dei caratteri tuttavia autonomi. Vediamo comunque alcuni elementi della "scripta" di Daniele, desunti principalmente dall'analisi dell'incipit della “Cronica ”, soprattutto nell'ambito della grafia, a parzialissima integrazione dello studio di Pellegrini 1992. Prescindiamo qui da considerazioni e implicazioni filologiche, basandoci sull'edizione di Lazzarini, Mon. dep. veneta, Nuova serie, II (1958). GRAFIA

In generale non emergono grafemi caratterizzati da valore connotativo cioe' tali da essere portatori di un valore culturale e stilistico rilevante, mentre compaiono alcune varianti combinatorie (allografi), distinte dal grafema vero e proprio. Tra i segni usati dal copista -d'ora in avanti indicati con la parentesi tonda- si possono segnalare, tra i piu' interessanti, i seguenti: (ch) rappresenta, in condizione di allografia con (c), l'occlusiva velare sorda sia davanti a vocale posteriore (chossa, chomo, Chonstantinopoli, Chierandronicho) che ad /a/ (chavar, chanal, Chaloiani); davanti a vocale anteriore solo nel nome proprio Chierandronico, Chierandronicho, probabilmente con leggero valore connotativo. Il digramma e' impiegato anche, e sempre nella forma (chi), a rappresentare l'esito del nesso -CL-, CL- palatalizzato (ochii, chiave), come avviene spesso a partire dalla meta' del Trecento nei testi veneti antichi, cfr. ad es., Migliorini 204; Stussi XXIV; Tomasoni 1973:165; Lomazzi 91. Ma per giexia, p.197, v. (g). (c) in distribuzione simile a (ch), assume sempre valore velare, davanti a vocale posteriore (cossa [contro chossa], Chierandronico [contro Chierandronicho], corando, cussì). Non compare mai con valore ne' velare ne' palatale davanti a vocale anteriore; piuttosto, in questa posizione, rappresenta l'affricata dentale, normalmente resa da (ç) o (z), in forza di una oscillazione grafica dovuta al persistere delle abitudini grafiche latine: generacion. Cfr. Migliorini 212-3; Brugnolo 134; Tomasoni 1973:166; Stussi XXV. (g) assume valore velare davanti a vocale anteriore nel contesto -ge [ghe] (parendoge, farge), in conformita' alla tradizione settentrionale, cfr. Stussi XXIV; Tomasoni 1973:165; Lomazzi 91; Brugnolo 130. In giexia "chiesa", invece, la scrizione (gi) rappresenta l'esito palatalizzato sonoro da (-)CL-: su questo tratto, e sulla scrizione (lgi) di filgiuola, p.26, v. Fonologia. (z) alterna con (ç) e con (c) a rappresentare l'affricata dentale settentrionale dell'epoca (azò, zenovexi). Cfr. Migliorini 214. (ç)

abaçinar, çò, veçudo (da *VEDJO). Valgono le stesse osservazioni di (z), con l'aggiunta che (ç) e' un segno grafico tipico della "scripta" settentrionale, cfr. Stussi XXV. (x) tipico grafema veneto che rappresenta le costrittive /s, z/ nella loro realizzazione arcaica arretrata [s', z'] (qui probabilmente solo [z']): zenovexi, pluxor, prexo; amixi, Veniexia (questi ultimi tuttavia forse [s']), ecc. Il grafema dimostra una notevole vitalita' storica dato che perdura sino ai nostri giorni, fossilizzato soprattutto nella forma xé [zé] "è" Cfr. Migliorini 206, 215; Stussi XXIX e LVI; Tomasoni 1973:167; Lomazzi 93; Tuttle 1985:8 e n.5. Secondo Tuttle la grafia (x) si spiegherebbe per la fusione seriore a quella ['s, 'z ÷ s', z'] > [s', z'], ma anch' essa preletteraria, di C

I,E

fra sonoranti pure come [z'], insieme all'estensione a sproposito della X del nominativo nel latino medioevale, per es., CRUX, CRUCEM ma cruxaria "crocevia", v. anche Stussi XXIX, n.17. Di qui grafie come croxe, çudexe, luxe suggerite da nominativi (CRUX, IUDEX, LUX, ecc.) ed estensioni come casa ÷ caxa "casa", dese ÷ dexe "dieci", ecc. Invece la scrizione (x) per la sorda non sarebbe che grafia etimologica, del tipo coxa = [cos'a], laxare = [las'are], maxima = [mas'ima], ecc. (s), (ss) rappresentano, indifferentemente, la costrittiva dentale sorda intervocalica: metese; fesse, podesse, esser, cossa, ecc., v. Migliorini 206 sgg.; Stussi XXIX; Lomazzi 93. In posizione iniziale (s), ma si noti il raddoppiamento fonosintattico, fatto di "pura meccanica scrittoria", in ssiando, ssusidio p.2 (anche ffo, e in morfosintassi le qual letre "le quali lettere"). Cfr. Migliorini 219; Stussi XXX; Lomazzi 93; Brugnolo 137; Tomasoni 1973:167. (n), (m) davanti a labiale: tenpo, inperador. La grafia (n) rappresenta preferibilmente l'effettiva realizzazione veneta nasale (talvolta piu' velare che dentale) di /n/ piuttosto che la solita alternanza grafica, tipica dei testi meno colti, su cui v. Migliorini 217; Stussi XXVII; Tomasoni 1973:167; Lomazzi 92. In posizione finale invece accanto ad (n) per /n/: non, in, men, un, generacion, compare anche la scrizione (m): veniciam, cum, im p.2 "in", piem p.2 "pieno", bem p.2 "bene". Tali forme si potrebbero spiegare come ipercorrezioni (cum anche come latinismo) a fronte della tipica tendenza del patois trevigiano-bellunese a neutralizzare /m, n/ finali in /n/ velare. (geminate) (s) e (ss) alternano liberamente a rendere la costrittiva sorda intervocalica, con (ss) inserito nel quadro del normale raddoppiamento grafico "toscano", accanto ai settentrionalismi del tipo cossa; lo stesso per (l), (ll): queli, falido; ello, quelli. Appaiono invece solamente i segni scempi per le dentali e le labiali (t) e (p): tuti,tratado, cita', ecc.; tropo; la rotata al contrario e' rappresentata con raddoppiamento: terra. Unica forma di ipercorrezione gallie (con dissimilazione /èe/ > /ìe/) "galee". Cfr. Migliorini 217; Stussi XXX; Lomazzi 92: (h) oltre che nella formazione del digramma (ch), compare solo (h) etimologica: habitada, homeni. Cfr. Migliorini 204 sgg. FONOLOGIA: Compaiono fenomeni tipici della "scripta" settentrionale come, ad es., la mancanza di anafonesi in longo; il mantenimento di /e/ protonica o postonica

contro la chiusura fiorentina in navegar, segnoria, simel; dissimilazioni del tipo stancievele, favorevele; metatesi del tipo arsata' "assaltarono"; ecc. Inoltre: 1) SVILUPPO CONDIZIONATO DA PALATALE SEGUENTE: assè "assai" /aj/ > /è/. La forma assè e' un tipo panveneto, che assumera' poi marcata ascendenza pavana. Il fenomeno, ma non in questo lessema assai comune, assunse una marcata coloritura dialettale altoveneta nei testi antichi feltrini (ad es. nel Villabruna; ma con esempi anche moderni, v. Pellegrini 1977:243) e bellunesi (ad esempio nel Cavassico), ed ora e' tipico dei dialetti agordini ladino-veneti (Pellegrini 1954-5:294 sgg.; ecc.). 2) AU- > AL-: alturio "aiuto", dal latino tardo ADIUTU(M), participio passato sostantivato di ADIUVARE, con suffisso -ORIU e sincope di -DI- > *AUTURIO > (AU- > AL-) = alturio. E' avvenuta qui la restituzione di /al-/ nell'ambito della nota alternanza sociolinguistica che prese avvio dalla velarizzazione di /l/ e conseguente velarizzazione in /w/ davanti a dentale. Il fenomeno e' ben noto nel veneto antico (cfr. in particolare Levi 51), e si conserva ancora, per es., nei dialetti agordini (v. Pellegrini 1954-55:328 sgg.; ecc.). Cio' provoco' presso le classi colte la restituzione ipercorretta di /l/ per /w/ indistintamente in tutti i dittonghi /aw/, coinvolgendo cosi' anche /aw/ primario (ad es., AUDIRE > aldir). Anche il dittongo gia' restituito ipercorrettamente in relazione alla monottongazione /aw > o/ subi' l'ulteriore pressione sociolinguistica e si crearono cosi', secondo la felice definizione di Tekavcic I:61, "ipercorrettismi al quadrato": aunor > alnor (da HONORE), aunest > alnest (da HONESTU). 3) DITTONGAZIONE: da E, O brevi latine: - in sillaba aperta: iera "era", brieve "breve", muodo "modo"; - condizionata da palatale: Veniexia "Venezia", miedexi "medici" (ma medexine in sillaba atona), tuor (da TOLLERE) "prendere" (ma voia "vogliamo", senza dittongo). Sono tutte forme ben presenti nella "scripta" veneta del '300- '400 (per non parlare del '500 in cui assumono connotazione dialettale, soprattutto nel pavano, ma anche nelle egloghe trevigiano-bellunesi) e tutte tali da travalicare le normali condizioni dittonganti del toscano. La forma tuor nel trevigiano-bellunese ha subito un'ulteriore evoluzione che l'ha portata all'attuale c'ol, con riduzione veneziana /wo/ > /jo/ e susseguente palatalizzazione da *tjor (v. anche Mafera 1957:148-9, n.2), che quindi si contrappone all'attuale forma di koine' tor, senza dittongo. Cosi' pure permangono attualmente nel trevigiano bellunese alcuni esempi di dittongazione in sillaba libera da O breve latina, spesso con riduzione /wo/ > /jo/, o con /ó/, sicuro indizio di precedente dittongo (v. Mafera 1957; Ascoli 417; Pellegrini 1977:243; Cappello 7; Pellegrini 1954-5:318), ma gia' l'Ascoli ne sottolineava la scarsa vitalita', mentre resiste assai meglio /jè, jé/ (v. Mafera 1957). Analogamente, mentre la dittongazione in sillaba chiusa da E breve latina, ancorche' sporadica, e' attestata anche nella parlata attuale feltrino-bellunese, gli esempi da O breve latina si riducono alle tenui spie dei dialetti agordini (Pellegrini 1954-5:318). 4) COMPORTAMENTO DI /e/ POSTONICO DAVANTI AD /r/: letre "lettere", ma meter "mettere". In letre e' avvenuta la sincope: e questa e' la posizione classica in cui avviene tale fenomeno nel trevigiano-bellunese, oggi limitato alle parlate piu' rustiche, con eventuale inserzione di occlusiva epentetica (v. Ascoli 408; Mafera 1957:168-9; Cappello 76; Zamboni 1974:54). In meter vi e' invece la conservazione di /e/, ma con un esito comunque conservativo rispetto alla generale tendenza veneta all'apertura in /a/, non solo negli infiniti, nella formula: consonante + /e/ +

/r/ (v., ad es., Zamboni 1974:26). A tal proposito anche Mafera 1957 rileva che a Feltre e a Belluno la desinenza dell'infinito in -ERE e' /-er/ mentre a Treviso e Venezia e' /-ar/. Ma sara' ancora una volta da precisare che ampie zone del trevigiano rustico conservano le condizioni bellunesi, per es., la varieta' liventina o la zona del vittoriese, con propaggini che scendono molto piu' a Sud di quanto rilevato dal Mafera, sin quasi alle porte di Treviso. Per il fenomeno in questione si vedano ad es. le attestazioni moderne in /-er/ nel DBA e nel DFR. La medesima oscillazione fra sincope (con conservazione della vocale finale) e mantenimento di /e/ (con caduta della vocale finale) negli infiniti in -ERE si nota anche nei testi antichi trevigiano-bellunesi (ad es. in Auliver, nel codice U del Rainaldo, nel Lapidario Estense, nel Tristano Corsiniano, nelle egloghe di Paolo da Castello, nell'egloga coneglianese di Morel, nel Cavassico). Una spiegazione dell'alternanza la fornisce Tuttle 1981-2:35, n.1, secondo il quale la natura potenzialmente semivocalica di /r/ doveva dar luogo ad una articolazione debole delle vocali mediane contigue; quindi, da una variazione molto leggera, potevano nascere i due tipi vicini 4a) e 4b) secondo lo schema seguente: 1) PIPERE > pévere > pév•r• 1) Indebolimento in presenza di /r/ 2) *pév•r• > pévr• 2) Sincope 3) *pév•r• > pév•r 3) Apocope 4a) pévr• > pévre 4a,b) Rafforzamento di schwa 4b) pév•r > péver / pévar come vocale piena 5) PASSAGGIO -LJ- > [j]: voia "vogliamo", conseio "consiglio", ma > [lg']: filgiuola "figliola". L'esito [j] puo' essere considerato gia' di koine' dopo la lunga fase di coesistenza con [g'] nel veneziano, mentre il rinforzo affricato [lg'] potrebbe costituire una variante fonetica dialettale, nel quadro di una serie di tratti palatalizzanti assai tipici del patois veneto settentrionale odierno, che colpiscono, oltre a /lj/ > [lg'], /tj/ > [c'], /dj/ > [g'], /rj/ > [rg'], /vj/ > [g'] (cfr. Ascoli 414, 418, e 429 analoghi esempi nel pavano; Pellegrini 1954-5:347-8; Prati 1968:L; Mafera 1957:179-81, e 1975:57; Zamboni 1974:55; DFR XVIII; Pellegrini 1977:244, e 1979:319; Lax 200).

(5)

MORFOLOGIA: 6) DESINENZA DI PLURALE MASCHILE: cholori "coloro", sul tipo veneto del sostituente personale di III persona plurale lori, lore "loro (masch. e femm. pl.)". Cfr. Rohlfs II:135. Gruppo verbale: 7) METAPLASMI DI CONIUGAZIONE: tegnir "tenere". Lo spostamento dalla II alla IV classe verbale continua l'evoluzione gia' tardolatina: nei dialetti italiani e' assai frequente lo spostamento di "tenere" alla IV classe (come nel francese "tenir"), sotto l'evidente influsso di "venire". Cfr. Tekavcic II:271; Rohlfs II:362. La tendenza attuale nel trevigiano-bellunese sembra, invece, esattamente opposta, con veñér, véñer, vèñer che si adegua a teñér, téñer, tèñer (cfr. ad es., DBA 207 che registra il moderno vèñer e l'antico vignir). Tale tendenza gia' si nota nel Cavassico, che propone vigner allato a vegnir, Salvioni 1893:340. 8) MODIFICAZIONI DEL TEMA: - alternanza consonantica /ñ/ contro italiano /ng/, di nuovo in tegnir. E' un fenomeno tuttora panveneto (per es. anche in veñér, ecc.), proprio anche di molti dialetti italiani e di alcuni idiomi romanzi (ad es. portoghese); nei modi

non personali (come in questo caso) e' frutto di estensione analogica. Il fonema /ñ/ scaturi' dalla prima palatalizzazione (da TENEO > TENIO > TENJO; VENIO > VENJO) delle otto forme verbali interessate (la I e VI del presente indicativo e tutto il congiuntivo presente); di qui si e' poi esteso anche a sedi non originarie, come il participio e l'infinito.

- *DJ > (ç) = [dz] contro italiano moderno D > /d/: veçudo "veduto". Dalla prima palatalizzazione si ottennero le normali forme del tipo VIDEO > veggio; in tutte le altre forme si sviluppo' regolarmente l'allomorfo /d/ che, essendo prevalente, provoco' in italiano la creazione delle forme tipo "vedo", mentre il tipo "veggio" scomparve; ma la coesistenza determino' accanto al tipo "cado" la forma "caggio"; analogamente nei dialetti accanto a vedo, cado coesistettero *vedjo, *cadjo che diedero, giusta l'evoluzione settentrionale, dapprima l'affricata dentale sonora (come nel nostro caso) e poi, eventualmente (nel trevigiano settentrionale ad es.) l'interdentale sonora (e la sorda in posizione finale); di qui poi -come abbiamo detto appena sopra- l'estensione della forma ai modi indefiniti. 9) TERZA SINGOLARE PER TERZA PLURALE: sape "seppero", pote "poterono", volsse "vollero", ave "ebbero", felo "(lo) fecero". E' naturalmente sistematico questo tratto caratteristico del volgare settentrionale e a tutt'oggi di molti dialetti settentrionali. Piu' precisamente i "fulcri" (Rohlfs II:256) di questa identita' fra la terza persona singolare e quella plurale sono la Lombardia col Canton Ticino, il Veneto e la Romagna, mentre nel piemontese, nell'emiliano-bolognese e, per lo piu', anche nel ligure, le due persone vengono distinte. 10) IMPERFETTO CONGIUNTIVO DI "FARE": fesse "facesse". In Veneto questo e' un tratto caratteristico del gruppo trevigiano-bellunese (cfr., ad es., i paradigmi del DBA e del DFR); inoltre del polesine, del basso veronese ed anche del padovano, dove attualmente e' confinato nella fascia sud-occidentale, ma che era molto ricorrente in tutta la provincia sino ad un recente passato (cfr. Rizzi 1989:137). Lo ignora invece il veneziano ed ormai gran parte della zona di pianura invasa dalla koine'. In sostanza tale tratto coincide con l'estensione dei foni interdentali. Inoltre dove non c'e' il tipo féa, fese (ed invece fazéa, fazése) non c'e' mai nemmeno /e/ nei verbi in -ARE; dove c'e' féa, fese c'e' sempre, senza eccezione, anche il tipo parléa, parlesse. E' probabile che il nesso tra interdentali e vocale tematica /e/ non sia casuale e che il processo -ABA > -EBA nei verbi della prima coniugazione abbia preso avvio da "fare" (< FACERE), verbo etimologicamente in /e/, poi confuso con quelli in /a/. 11) CONDIZIONALE: serave "sarebbe". Vedi sopra la discussione sul condizionale in /-ove/. 12) PASSATO REMOTO: tutte le forme verbali indicate al 9) sono al passato remoto, ora scomparso -come si sa- dai dialetti veneti, probabilmente a partire dal '700 (infatti il Villabruna ne conserva ancora traccia). Distinguiamo: - forme deboli (arizotoniche): poté, fé(lo) L'interpretazione prevalente fa risalire tali forme, derivanti chiaramente dal neolatino perfetto in /-ei/, all'influsso esercitato dal perfetto di DARE (v. lo sviluppo in Tekavcic II:294-7). - forme forti (rizotoniche): àve, sàpe, vòlsse. In particolare per àve "ebbero", il normale sviluppo settentrionale prevedeva appunto la forma rizotonica (Rohlfs II:327; Tekavcic II:303) e quindi anche panveneta (cfr. ad es., Stussi LXVI; Sattin 118; Brugnolo 236; Tomasoni 1973:194; Ineichen 397; ecc.). Cosi' ad es., avi (HABUIT) compare nel Ritmo bellunese, e Pellegrini 1983:681 preferisce intendere àvi, con accento originario, da cui poi, per ragioni metriche, av (da

stampare af, secondo pronuncia). Ma probabilmente non e' cosi' nelle egloghe trevigiano-bellunesi di Paolo da Castello: in esse -come ho cercato di dimostrare piu' sopra- appaiono delle forme deboli nella I e III persona del passato remoto di "avere" (e di "essere"), analogicamente alla II, probabilmente per motivi di distinzione funzionale. 13) GERUNDIO IN -ANDO IN CLASSI DIVERSE DALLA I: abiando, siando "essendo", corando. La generalizzazione di /-ando/ in tutte le classi verbali e' norma nei dialetti antichi settentrionali (Rohlfs II:365-6; Tekavcic II:323; ecc.). Al proposito, e' ormai diffusa la teoria che avvicina la sostituzione settentrionale di /-endo/ con /-ando/ alla sostituzione di /-ante/ con /-ente/ per esigenze di distinzione funzionale, in seguito alla confusione provocata dalla caduta delle vocali finali e dalla desonorizzazione delle consonanti (v. Tuttle 1981-2:25; Pellegrini 1980:160; Tekavcic II:324). Gli aspetti morfosintattici e sintattici della "scripta" di Daniele di Chinazzo meriterebbero un'analisi approfondita, sulla scorta dei recenti sviluppi in tali campi, anche nei dialetti veneti, ad opera soprattutto di P. Beninca' e L. Vanelli. Accenno solo, ad es., alle seguenti forme: - habitada per homeni zenovexi "abitata da (uomini) genovesi": latinismo, complemento di mezzo /d' agente con "per" + nome animato; nel campo dei clitici : - el regnava "regnava", col clitico soggetto dialettale; - mai piu' el non se metese "non si mettesse piu'": e' importante notare qui la posizione nella negazione dopo il clitico soggetto, contrariaramente all'uso dialettale veneto moderno. Tale posizione si trova infatti nel dialetto veneto antico, ad es. in Ruzante (Beninca'-Vanelli 14) o nella commedia cinquecentesca Veniexiana (Lepschy 76), o anche, per quanto riguarda il trevigiano-bellunese antico, in Paolo da Castello (Mazzaro 1991) e nel Mezzan (Pellegrini 1982:146), oltre al francese e ad altri dialetti settentrionali. Questa inversione nell'ordine dei clitici con negazione rimane, ad es., anche nell'ampezzano (con paralleli friulani) (Zamboni 1984:65). Per il lessico cito qualche lessema o locuzione, ad es.: - agrevando...de farlo morir "dolendogli gravemente...(di farlo morire)", con significato affine ad altri testi veneziani del '400 (v. Sattin 1986); - in processo tempo "nel prosieguo del tempo, in futuro"; - pluxor "piu'", da PLUS + -ORE, comparativo analogico sul tipo MAGGIORE, MINORE, tipico dell'italiano antico; - avogolado "accecato", da AB-OCULARE "tirare via dall'orbita, estirpare" (cfr. fr. aveugle). - esser in aida "aiutare"; - insembre "insieme", tipico del volgare settentrionale, e anche del patois trevigiano-bellunese; - avosto "agosto", normale nel veneziano antico. NOTE 1) Il liventino (soprattutto il basso liventino), a parte alcune pregevoli raccolte lessicografiche o

studi di singole zone (v. n. 2), rimane ancora poco studiato. Cfr. i rapidi cenni di Zamboni 1974:62-

63 e 1988:531 (ma v. anche il pregevole repertorio toponomastico di Zamboni 1983), ma anche Marcato

1990 e Borin 1992. Importanti indicazioni sul liventino (e sul veneto settentrionale in generale)

delle colonie italiane nei Balcani si trovano in Sanga 1996.

2) Per le raccolte lessicografiche sul trevigiano-bellunese rustico v. almeno il Dizionario del

feltrino rustico (= DFR) ed il Dizionario di Revine-Lago [= Dizionario del bellunese arcaico] (=DBA);

in area laterale, a contatto col friulano Rupolo-Borin 1982; inoltre Prati 1960 (per il valsuganotto)

e Tissot 1976 (per il primierotto); per il trevigiano di Destra Piave v. Bello' 1991; per Segusino

Mackay 1993. Alcune delle ultime descrizioni sincroniche di localita' dialettali trevigiano-

bellunesi sono, ad es., Corra' 1989 (per Vidor e Colbertaldo); Corra' 1991 (per Valdobbiadene);

Cunial 1983 (per la Valcavasia); Marcato 1990 (per Brugnera, amministrativamente friulana, ma

linguisticamente veneta, seppur a contatto con i tipi friulani).

3) E' notevole ormai -ma non ancora esaustivo- il corpus di edizioni e studi concernenti i testi

dialettali antichi trevigiano-bellunesi. Citiamo, ad es.,: per il Ritmo bellunese del 1193,

Pellegrini 1983; per la tenzone trilingue di Nicolo' de' Rossi, Corti 1966; Brugnolo 1977, 1983,

1986; per la Canzone di Auliver, Pellegrini 1977:337-374; Contini 1960:507-511; per il Lapidario

Estense ed il trevigiano trecentesco, Corti 1960, 1960a, 1961; Tomasoni 1973, 1976, 1980, 1990; per

l'opera del notaio bellunese cinquecentesco Bartolomeo Cavassico, Salvioni 1893, 1894; Pellegrini

1977:287-336; per le egloghe e i sonetti del nobile trevigiano cinquecentesco Paolo da Castello,

Salvioni 1902-1905; Conto' 1984; Contini 1985, 1985a; Mazzaro 1991; per l'egloga coneglianese

cinquecentesca di Morel, Pellegrini 1977:375-442; per la Canzon alla rustica del notaio Gerolamo

Mezzan, Pellegrini 1982b; per il feltrino settecentesco Vittore Villabruna, Pellegrini 1979; Mafera

1975; Lax 1983, 1984, 1987; ecc.

4) Ad esempio tutti i codici e i documenti locali citati a riscontro del Lapidario Estense da Corti

1960 per sostenere la presenza del dittongo discendente /ó/ > /ow/ nel trevigiano sono

inutilizzabili. O si sono dimostrati di altra area linguistica, come il codice 275 della Biblioteca

Civica di Treviso che e' di area ligure, oppure sono stati utilizzati con clamorosi errori lessicali:

la scheda 207, n.111 -ora 112- dell'Archivio Notarile di Treviso contiene un documento notarile

datato 25 maggio 1368, in cui compare piu' volte l'attestazione (oure), e secondo la Corti e'

preziosa testimonianza dell'esito dittongato da HORA(M) "ora (lavorativa)". Tale esito e' stato

sottolineato anche da Tomasoni 1973 che l'ha dichiarato "isolata e pure importantissima

documentazione della partecipazione del trevisano antico a questa innovazione".

Ma, ad una semplice lettura del testo, appare chiaramente che la forma (oure) sta invece per "opere,

chi lavora a giornata" e quindi "operai" da OPERA, REW 6070, in un'accezione notissima, ancora vitale

e gia' viva in latino, con una veste sincopata ben nota in tutto il Veneto ed anzi caratterizzante

per il trevigiano bellunese.

Che poi la pronuncia fosse [òwre] e non [òvre] e' possibilissimo, come e' norma ora nei dialetti

ladino-veneti, ma questo e' un altro discorso, che da un presunto esito [ó] > [ow] va tenuto

nettamente distinto.

In realta', che il sistema veneto settentrionale abbia conosciuto i dittonghi discendenti -seppur in

seguito abortiti- e' sicuro, per le ragioni storiche e sistematiche che G. B. Pellegrini e A. Zamboni

nei loro numerosi lavori hanno definitivamente chiarito.

Ma nel caso del Lapidario Estense le perplessita' rimangono grandi: rimasto isolato e senza quei

riscontri locali cronologicamente e stilisticamente omogenei troppo frettolosamente invocati dalla

Corti, il Lapidario Estense effettivamente (da un controllo che ho effettuato sull'edizione della

Tomasoni) presenta ricorrenze di /ó > ow/ molto piu' frequenti rispetto agli altri dittonghi

discendenti della serie, considerati "friulani" dalla Corti.

Pero' non e' possibile escludere l'eventualita' che anche tale esito rientri nella competenza

linguistica soggettiva del copista, il quale -come la Tomasoni ha ben dimostrato- si e' lasciato

"prendere la mano al punto di immettere, proprio nel settore della fonetica trevisana che doveva

riuscirgli piu' estraneo [...] quella dittongazione della sua terra d'origine, che doveva essere,

come abbiamo visto, il Friuli Occidentale" (Tomasoni 1973:204). Si tratta del semisistema "a doppia

dittongazione coincidente" della varieta' d'oltre Tagliamento che, come hanno precisato Francescato,

e poi Rizzolatti, Vanelli, ecc., si compone di /è >éj/, /é > éj/, /ò > ów/, /ó > ów/.

Semmai si potrebbe ribaltare l'ottica e valutare l'eventualita' di un inserimento nella struttura

linguistica del trevigiano di tutti i dittonghi supposti "friulani" del Lapidario Estense. Ma

isolarne un esito rispetto agli altri, quando tutti rientrano in un compatto e preciso sistema,

appare ipotesi priva di consistenza.

5) Si potrebbe discutere piu' a fondo la questione dell'alternanza degli esiti [j], [g'] da /lj/ nel

trevigiano-bellunese antico e moderno, dal momento che Tomasoni 1973:181 propose -a mio avviso

forzatamente- la diversita' di tali riflessi, rispettivamente [g'] nel trevigiano, e [j] nel

bellunese, quale discriminante fondamentale fra questi due sottosistemi dialettali.

Partiamo dall'ipotesi di partenza: e' indiscutibile la coesistenza delle due varianti fonetiche nei

testi attribuiti all'area trevigiana e non v'e' alcun dubbio che cio' corrispondesse ad un'effettiva

alternanza anche a livello sincronico, probabilmente su binari di diglossia fra tipi sociali. Vorrei

pero', prima di tutto, ristabilire le proporzioni.

Poiche' Corti 1960:112-3 trova numerosi esempi di /lj/ > [g'] nel Lapidario Estense (che tuttavia non

sono affatto prevalenti rispetto a [j]), afferma che tale esito "e' discretamente documentato a

Treviso", ma fra tutti gli statuti, i testamenti e le matricole consultate, puo' citare solo il

codice 656 della Biblioteca Civica di Treviso "Scuola dei Becheri", ritenuto "assai piu' dialettale

degli altri", il quale "testimonia discretamente l'esito: consegeri, consegieri (2 volte), ecc."

(non ha alcun valore la testimonianza del codice 275, al quale la Corti dava tanta importanza, dopo

che ne e' stata dimostrata dalla Tomasoni e da me confermata, l'appartenenza all'area linguistica

ligure).

Tomasoni 1973:180-1, n.1, riporta esempi di oscillazione fra i due esiti negli antichi testi

trevigiani: accomuna testi letterari del '300 (Auliver) e del '500 (l' egloga "maggiore" di Paolo da

Castello nella redazione B, e l'egloga coneglianese di Morel) a testamenti, statuti e codici

miscellanei del '3-'400. L'esito [g'] sarebbe testimoniato, oltre che dai testi letterari ora citati,

anche dai codici 117 e 1051 della Biblioteca Civica di Treviso (non cita, invece, pur avendolo in

bibliografia, il codice 656 -unica testimonianza addotta dalla Corti-, riportato, tra l'altro, come

"Statuti dei Becari [!] de Treviso", intestazione che, se corrispondesse alla lezione esatta, la

direbbe lunga sulla "patavinita'" di tale testo, in considerazione di -ARIUS > -aro).

Per quanto riguarda Auliver entrano in gioco soprattutto i problemi della resa grafica: e' probabile

che le grafie (gli), (gl) e piu' ancora (lg) rappresentino l'affricata ma vorrei ricordare, per es.,

il caso del letterato trevigiano trecentesco de' Rossi che, come cronologia, geografia ed ambiente

culturale, si presta bene ad una comparazione con l'autore della "Canzone di Auliver" (anche se il

Canzoniere del de' Rossi ed Auliver viaggiano su registri linguistici completamente diversi); a

proposito del Canzoniere Brugnolo 188 afferma: "e' ozioso chiedersi a quale sostanza fonica effettiva

corrisponda la grafia (gl): il caso del bisticcio coya:cygli, o quello dell'oscillazione grafica

nelle parole rima [...] mostra abbastanza chiaramente che il suono "reale" in questione e' uno solo,

e cioe' [j]".

Per quanto riguarda l' egloga maggiore di Paolo da Castello (dopo l'analisi della redazione P e la

scoperta della redazione T, che si affiancano alla redazione B edita da Salvioni 1902-5), e l'egloga

minore (scoperta da Conto' 1984, e da me riedita, Mazzaro 1991), l'indagine ha dato questi risultati:

l'egloga minore presenta 17 ricorrenze di [j] contro nessuna di [g'] da /lj/; nell'egloga maggiore

importanti differenze si notano anche in T (e in parte in P) rispetto a B che, finora, testimoniando,

accanto a qualche forma con [j], una nutrita serie in [g'], rappresentava la prova piu' autorevole

della genuinita' dell'esito affricato nel trevigiano: infatti, di contro a 35 ricorrenze [g'] e 2 [j]

in B, abbiamo 18 ricorrenze [g'] e 19 [j] in T (e 28 [g'] contro 9 [j] in P).

E certamente qui solo una severa endoscopia filologica potra' accertare quale redazione si mantenga

piu' aderente al registro linguistico del patois, voluto da Paolo da Castello.

Una forzatura e' poi la citazione da parte della Tomasoni di smaravegia in Morel senza altre

spiegazioni, poiche' questa e' l'unica ricorrenza di [g'] contro l'esito univoco e compatto [j],

costituito da ben 21 (e oltre) ricorrenze.

Fra i testi non letterari citati dalla Tomasoni, non ritengo un testimone attendibile il codice 117,

il quale, data l'assoluta mancanza di dittongazione, ben difficilmente potra' essere considerato di

patina linguistica trevigiana. Rimarrebbe il solo 1051, "Statuti de la Scuola dei Casaruoli di

Treviso", secondo la Tomasoni "messi insieme a piu' riprese; interessante soprattutto la prima parte

che porta la data: Milli tresento vintinove..", con ben due [!] attestazioni: oglio e conseglio (si

osservera' solo che il derivato da OLEU(M) e' un lessema dal trattamento talora particolare: si veda

ad es. l'egloga maggiore di Paolo da Castello, in cui e' l'unica parola a mantenere la grafia

etimologica; cosi' pure nel Lapidario Estense: olio, ollio, e v. anche il DELI, s.v. "olio").

La Tomasoni cita poi le attestazioni ottocentesche della Novella del Papanti 1875: quelle di

Castelfranco Veneto, Conegliano e Montebelluna con [g'] contro quelle bellunesi con [j].

A parte Castelfranco Veneto che non rientra nella nostra area, in quanto e', da sempre,

"padovanizzata", l'unica a rispecchiare, in qualche modo, la parlata rustica e' la versione

montebellunese mentre quella di Conegliano e' infarcita di italianismi e non si presta pertanto, a

mio avviso, a validi giudizi sulla situazione dialettale.

Massiccia e' invece l'attestazione dell'esito [j] nel trevigiano, dai testi antichi a quelli moderni,

da quelli letterari ai documenti notarili, ecc.

Per es., oltre a quelli gia' citati, il codice U del Rainaldo ha sempre (i) (Lomazzi 109); il

Canzoniere del de' Rossi, accanto a (gl) (si sono viste le osservazioni di Brugnolo) ha sempre (y/i),

con solo quattro casi di (g); nell'analisi del codice Riccardiano 1729 del Fiore di Virtu' (Corti

1960a:55-63) non si tocca tale argomento e presumibilmente la Corti non avrebbe mancato di farlo se

l'esito fosse stato [g']; nel sonetto "tarvisinus" della Tenzone trilingue trecentesca, eminente

testimone del patois trevigiano, compare la forma Palay, v.7, "Pelagio", con [g'] > [j] (mentre /-

lli/ > [g']: ig, v.12); inoltre l'esito [j], come si e' detto, e' notevolmente attestato anche nel

Lapidario Estense, cosi' come nei testi notarili trecenteschi trevigiani (v. n.1 di Tomasoni 1973 e,

soprattutto, della stessa 1980:189: "da LJ univoco esito di koine' in i").

Fra le opere consapevolmente dialettali del '500, le redazioni inedite dell'egloga maggiore e

l'egloga minore di Paolo da Castello -come abbiamo dimostrato- presentano robustamente l'esito, non

venendosi a trovare piu' quindi la lingua del da Castello nettamente separata da quella di Morel e

dall'univoco esito [j] del Cavassico (Salvioni 1893.318) (a parte, in quest'ultimo, i voluti tratti

padovani della "Barzeleta" sull'assedio di Padova); cosi' il feltrino Villabruna nel '700 (Lax 203),

con eventuale caduta di [j] intervocalica; cosi' attualmente nel veneto settentrionale, uniformemente

a tutto il resto della regione (tranne a Venezia, che conserva ancora il doppio esito) (v., per es.,

Mafera 1957:179-80; Cappello 79; Pellegrini 1954-5:386; ecc.).

Mi pare quindi che l'esito affricato, pur indiscutibilmente presente (v. Prati 1968:XLIX), non abbia

avuto un peso determinante nella parlata veneto settentrionale.

Certo, vi e' quello che la Tomasoni chiama il "terzo esito" [lg'] (con il rinforzo affricato di cui

s'e' discusso sopra), il quale serpeggia diacronicamente lungo tutta l'evoluzione del dialetto

dell'area, testimoniato a partire dai codici trecenteschi 30 e 181 (Tomasoni 1973:180), poi nelle

egloghe del da Castello (ricorderei dolgios 142 di T), quindi soprattutto nel Villabruna (Lax 203),

nella parlata piu' rustica dell' '800 (Ascoli 414, 418; Marchesan 306-7), e odierna (DFR XVIII;

Mafera 1957:179-80; Prati 1960:VIII, e 1968:XLIX; ecc.).

E' una realizzazione che richiede una spiegazione nell'ambito dell'alternanza suddetta.

Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che l'esito [j] (da LJ > [l'] > [j]) preceda il

successivo rinforzo affricato [g'], cioe' [j] > [g'] (cfr. Stussi LI-LIII; Ineichen 98-9; Tuttle

1985:17, n.16; ecc.), ed io ritengo che [j] nella redazione T dell'egloga maggiore, o nell'egloga

minore, o in Morel, o nel Cavassico, o nel Villabruna, o attualmente nei dialetti agordini, che hanno

sempre [j], sia quello originario conservativo, e non il successivo esito di koine' che prevale nel

Veneto ai nostri giorni.

Corti 1960:112 nota giustamente, a proposito dell'esito [g'] nei testi trevigiani antichi (molto poco

documentato, come s'e' visto) che "evidentemente l'epicentro fu Padova donde l'estensione a Treviso"

(v., ad es., Ineichen 377-8 e Pellegrini 1977:29; ma non escluderei nemmeno la possibilita' che

taluni dei codici trecenteschi citati possano essere stati scritti direttamente da padovani: il da

Carrara governo' direttamente Treviso dal 1384 al 1388 e "sostitui' ai vecchi funzionari del

precedente dominio ufficiali e stipendiari suoi -Michieli 83", cosi' come il dominio scaligero -

veronese!- si esercito' sulla citta' della Marca dal 1329 al 1339).

Infatti nel '300 Padova era senz'altro il centro irradiatore di maggior prestigio nel Veneto, e

Treviso ha risentito a lungo, anche per altri casi ben noti, della sua influenza linguistica, non

essendo ancora ben sviluppata la grande forza accentratrice di Venezia che, come si sa, si sarebbe

dispiegata compiutamente solo a partire dal secolo successivo (ma, per quanto riguarda in particolare

Treviso, l'influenza della citta' lagunare fu assai piu' precoce se si pensa che la Serenissima vi

domino' fin dal 1339 per 42 anni -1339/1381-, e poi dall'88 ininterrottamente: cio' senz'altro

avvalora l'ipotesi che l'esito [g'] sia stato sostenuto, sin da allora, da entrambe le direttrici,

padovana e veneziana, come sostiene Contini 293, appoggiando la tesi dell'esito conservativo della

redazione T dell'egloga nei confronti di B: "(T) ha i tipi arcaici con -y- contro l'innovazione con

g' in (B) diffusa da Venezia").

Aggiunge pero' Corti 1960:113 che "l'esito e' discretamente documentato a Treviso e in modo, e'

ovvio, indirettamente proporzionale alla aspirazione letteraria dei testi": se in questo modo intende

avvalorare la tesi che l'esito proveniente da Padova abbia attecchito prima di tutto presso le

classi inferiori e che percio' sia stato percepito come piu' rustico, cio' contrasta con i meccanismi

ben noti dell'espansione linguistica, secondo i quali sono le classi colte del centro minore a

recepire per prime le innovazioni considerate piu' evolute socialmente, dando quindi il via a quel

processo a catena che portera' solo in prosieguo di tempo all'espandersi dell'innovazione presso le

classi sociali subalterne quando, magari, a livello sociale superiore, questa e' gia' stata superata

e sostituita (si pensi agli esempi ben noti del participio in /-esto/ proveniente da Venezia, o alle

interdentali da Padova).

Questo, credo, sia il caso dell'esito [g'], il quale, introdottosi con la qualifica di piu' elevato

nel trevigiano, pur non attecchendo in profondita', e' coesistito per un certo periodo (favorito

anche nei secoli successivi dall'alternanza, presente a tutt'oggi, del veneziano) ma solo lentamente

e' filtrato presso gli strati inferiori della societa.

Costoro, identificandolo come piu' "elegante", hanno cominciato ad inserirlo nella propria struttura,

inizialmente forse attraverso [lg'] che, tuttora, nelle zone piu' laterali, e' (o era fino a qualche

anno fa, ormai) assunto ad indice di maggior elegnanza, mentre, paradossalmente, all'osservatore

colto sembra un tratto estremamente arcaico (cosi' doveva apparire al Villabruna).

Sintomatico e' quanto afferma Prati 1968:XLIX, a proposito "dell'uso popolare di mutare in [g'] lo

[j] di parole d'impronta letteraria, e quindi di dire familgia, folgio, Italgia..."; e' chiaro che si

tratta di una tendenza ipercorrettiva tendente ad "italianizzare" e non viceversa.

E' assai istruttiva inoltre la retroformazione antica nel tipo formag'o > formajo > formai, divenuto

popolare e di violenta configurazione dialettale, con un processo di evidente inserimento in una

coerente struttura dialettale con [j], che costituisce un esempio paradigmatico di molte altre

analoghe retroformazioni (v., per es., Salvioni 1893:323, n.1).

Quando finalmente da Venezia si e' optato per [j] (ad es. nei testi quattrocenteschi veneziani non vi

e' alcun esempio di [g'], che alternava invece con [j] nei testi editi da Stussi, v. Sattin 86),

probabilmente dopo una lunga "battaglia" (v. Tuttle 1985:17, n.16: "..lo sviluppo -j- > -dz'- non fu

immediato, [...] non si compi' nel breve passaggio da una generazione all'altra; le due fasi

conobbero una lunga convivenza"; come si e' detto, l'esito affricato c'e' ancora in citta', ma

sarebbe d'altro canto ben strano se l'ormai conclamato esito di koine' [j] si fosse sviluppato come

tratto omogeneizzante contro il veneziano, centro propulsore di koine' per eccellenza), e in epoca

sicuramente tarda, prese avvio l'imposizione di tale tratto, con un processo ancora in corso nelle

zone piu' rustiche del trevigiano-feltrino-basso bellunese le quali, a differenza del bellunese vero

e proprio fino a poco tempo fa conoscevano l'influenza "superiore" di [g'].

Cosi' il tratto di koine' e' venuto a confondersi con l'originario [j] (quello del Villabruna, del

Cavassico, di Paolo da Castello, di Morel, ecc.), appiattendo in un unico riflesso sincronico due

realta' fonetiche di evoluzione diacronicamente diversa.

Si spiegherebbe cosi' l'affermazione di Mafera 1957:180 secondo il quale oggi il trevigiano [j] (di

koine') "ha invaso tutto il territorio fino a Belluno"; affermazione che disturbava la Tomasoni,

tanto da indurla a contrapporre una teoria opposta (181: "abbiamo visto come l'esito j pare

caratteristico proprio di Belluno, non di Treviso, per cui, se e' forse azzardato arrivare a

capovolgere la freccia indicata dal Mafera, affermando un influsso Belluno > Treviso, pare pero'

ragionevole ammettere che l'originario e piu' tipico esito trevisano da LJ fosse g', oggi sostituito

completamente, o quasi, da j, per influsso non solo del bellunese, ma anche della koine' veneta, che

rappresenta ormai ovunque l'esito j quasi esclusivo").

A mio parere tuttavia, per quanto riguarda i rapporti fra Treviso e Belluno, questa supposizione

della Tomasoni e' stata formulata rovesciando l' impostazione corretta del problema, dal momento che

"la montagna non puo' mai aver avuto un peso determinante sullo sviluppo dei dialetti di pianura; si

osserva, infatti, di norma, un movimento innovatore esattamente opposto" (Pellegrini 1977:30, a

proposito delle interdentali; e 50 "una influenza linguistica, vale a dire culturale, dell'area

alpina sulla pianura, e' assolutamente impensabile"; ecc.).

Sulle cause dell'esito [j] nel trevigiano-bellunese, che io ritengo originario, come ben dice

Brugnolo 189 "la questione va vista anche in rapporto al problema del passaggio CL > g'"; e

certamente, in relazione alle osservazioni di Stussi 1965 sulla collisione CL, LJ > [g'], se, come

pare, possiamo ammettere per il trevigiano-bellunese l'esito schietto [g'] da -CL-, non sconverrebbe

un parallelo esito LJ > [j], per motivi di distinzione funzionale.

BIBLIOGRAFIA ASCOLI, Graziadio Isaia 1873, Saggi ladini, "Archivio glottologico italiano", 1 ASLEF = Atlante Storico Linguistico Etnografico Friulano, diretto da G.B. Pellegrini, Udine 1972 ssg. BAROZZI, Giuseppe 1874, Esortazione allo studio del patrio dialetto di Giuseppe Barozzi, parroco di Pianzano, indirizzata alla gioventu' trivigiana, Venezia BELLO', Emanuele 1991, Dizionario del dialetto trevigiano (di Destra Piave), Treviso

BENINCA', Paola 1983, Il clitico a nel dialetto padovano, in AA.VV., Scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini, Pisa, p.23-35 1983-1984, Un'ipotesi sulla sintassi delle lingue romanze medievali, "Quaderni patavini di linguistica", 4, p.3-19 1986, Punti di sintassi comparata dei dialetti italiani settentrionali, in Raetia antiqua et moderna. W.Th. Elwert zum 80. Geburstag, Tubingen, p.457-479 1989, Note introduttive a un atlante dialettale sintattico, in Dialettologia e varia linguistica per Manlio Cortelazzo (a cura di G.L. Borgato - A. Zamboni), Padova, p.11-17 BENINCA', Paola - VANELLI, Laura 1982, Appunti di sintassi veneta, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti , 4, p.7-38 1984, Italiano, veneto, friulano: fenomeni sintattici a confronto, "Rivista italiana di dialettologia", 8, p.165-194 BERRUTO, Gaetano 1995, Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari BORIN, Luciano 1992, Caneva: un ponte fra la parlata friulana e quella veneta, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 14, p.83-114 BRUGNOLO, Furio 1977, Il Canzoniere di Nicolo' de' Rossi. Lingua, tecnica, cultura poetica, II, Padova. 1983, Per il testo della tenzone veneta del Canzoniere Colombino di Nicolo' de' Rossi, in AA.VV., Scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini, Pisa, p.371-380 1986, La tenzone tridialettale del Canzoniere Colombino di Nicolo' de' Rossi. Appunti di lettura, "Quaderni veneti", 3, p.41-83 CANEPARI, Luciano 1979, I suoni dialettali e il problema della loro trascrizione, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 1, p.45-82 CAPPELLO, Teresa 1957-1958, Note di fonetica bellunese, "Atti dell'Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti", 116, p.67-95 CENNAMO, Michela 1993, L'estensione del dominio referenziale del riflessivo in testi italiani antichi, "Archivio Glottologico Italiano", 78, p.53-62 CONTINI, Gianfranco 1960, Poeti del Duecento, Milano-Napoli 1985, Angiolieri a Treviso. Con una postilla, "Studi trevisani", a.II, 4, p.17-20 1985a, Un sonetto trevisano del primo Cinquecento, "Filologia e critica", a.X, fasc.II-III, p.291-294 CONTO', Agostino 1984, Egloga in lingua villanesca di Busat e Croch. Testo inedito trevisano del sec.XVI, "Studi trevisani", a.I, 1-2, p.55-79 CORRA', Loredana 1989, Tradizione e innovazione nel dialetto di Vidor e Colbertaldo, in AA.VV., Due villaggi della collina trevigiana: Vidor e Colbertaldo, IV, p.339-355 1991, Parlar dialetto a Valdobbiadene, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 13,

p.129-146 CORTELAZZO, Manlio 1982, Aspetti lessicali del portogruarese, in R. Sandron (a cura di), L'area portogruarese tra veneto e friulano, Atti del Convegno tenuto a Portogruaro il 18-19 dicembre 1982, Portogruaro-Padova, p.148-155 CORTI, Maria 1960, Emiliano e veneto nella tradizione manoscritta del Fiore di virtu', "Studi di filologia italiana", 18, p.29-68 1960a, La lingua del "Lapidario Estense" (con una premessa sulle fonti), "Archivio glottologico italiano", 45, p.97-126 1961, Recensione a G. Contini, Poeti del Duecento, "Lettere italiane", a.XIII, 1, p.503-514 1966, Una tenzone poetica del sec. XIV in veneziano, padovano e trevisano, in Atti del Convegno di Studi "Dante e la cultura veneta", Firenze, p.129-142 CUNIAL, Daniele 1983, Il dialetto e le tradizioni, in AA.VV., La Valcavasia. Ricerca storico-ambientale, Crespano del Grappa, p.175-266 DBA (= TOMASI 1992

2

) DFR (= MIGLIORINI-PELLEGRINI 1971) FRANCESCATO, Giuseppe 1966, Dialettologia friulana, Udine FRAU, Giovanni 1982, Le parlate friulane del portogruarese negli ultimi cento anni, in R. Sandron (a cura di), L'area portogruarese tra veneto e friulano, Atti del Convegno tenuto a Portogruaro il 18-19 dicembre 1982, Portogruaro-Padova, p.21-37 1983, Il confine veneto-friulano, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 5, p.7-22 INEICHEN, Gustav 1968, El libro agrega' de Serapiom, II, Venezia-Roma LAX, Eva 1983, Dialetto "riflesso" e coscienza linguistica, in AA.VV., Scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini, Pisa, p.381-391 1984, Un imitatore feltrino di Ruzante, "el Campanon", a.XVII, 55-56, p.14-17 1987, Fonetica del dialetto feltrino del settecento (in base alle opere in prosa di Vittore Villabruna), "Giano pannonio", 3, p.105-208 LEPSCHY, Giulio 1983, Clitici veneziani, in Linguistica e dialettologia veneta. Studi offerti a M. Cortelazzo dai colleghi stranieri (a cura di G. Holtus - M. Metzeltin), Tubingen, p.71-77 LEVI, Ugo 1904, I monumenti del dialetto di Lio Mazor, Venezia LOMAZZI, Anna 1972, Rainaldo e Lesengrino, Firenze LUDTKE, Helmut 1956, Inchiesta sul confine dialettale fra il veneto e il friulano, "Orbis", 6, p.118-121

MACKAY, J. Carolyn 1993, Il dialetto veneto di Segusino e Chipilo, Cornuda (Tv) MAFERA, Giovanni 1957, Profilo fonetico-morfologico dei dialetti da Venezia a Belluno, "L'Italia dialettale", 22, p.131-184 1975, Un inedito in dialetto feltrino rustico del secolo XVIII, "Italica belgradensia", 1, p.141-157 MARCATO, Carla 1987, Linee di storia linguistica esterna del veneto lagunare di Grado e Marano, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 9, p.47-61 1990, Il territorio di Brugnera: profilo dialettale, in Brugnera. Feudo e comune (a cura di M. Baccichet - P.C. Begotti - E. Contelli), Brugnera, p.71-92 MARCHESAN, Angelo 1923, Treviso medievale, 2 voll., Treviso MAZZARO, Stefano 1991, Un'egloga rustica veneto-settentrionale del primo '500, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 13, p.35-74 MEYER-LUBKE, Whilehm 1935

2

, Romanisches etymologisches Worterbuch, Heidelberg (= REW) MICHIELI, Adriano Augusto 1958

2

, Storia di Treviso, Treviso MIGLIORINI, Bruno 1957, Note sulla grafia italiana nel Rinascimento, in IDEM, Saggi linguistici, Firenze, p.197-225 1971, Dizionario del feltrino rustico, Padova (= DFR) MIONI, Alberto - TRUMPER, John 1977, Per un'analisi del 'continuum' linguistico veneto, in Aspetti sociolinguistici dell'Italia contemporanea, (a cura di R. Simone - G. Ruggiero), Roma, p. 329-372 PAPANTI, Giovanni 1875, I parlari italiani in Certaldo alla festa del V centenario di messer Giovanni Boccacci[o], Livorno PELLEGRINI, Giovan Battista 1947-1948, Appunti etimologici e lessicali sui dialetti ladino-veneti dell'Agordino, I parte in "Atti dell'Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti", 106, p.251-279 1948-1949, Appunti..., II parte in "Atti...", 107, p.165-194 1954-1955, Schizzo fonetico dei dialetti agordini. Contributo alla conoscenza dei dialetti di transizione fra il ladino dolomitico atesino e il veneto, "Atti dell'Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti", 113, p.281-424 1972, Saggio sul ladino dolomitico e sul friulano, Bari 1975, Saggi di linguistica italiana, Torino 1977, Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa 1979, La "lingua rustega feltrina" in Vittore Villabruna (sec. XVIII), in Medioevo e Rinascimento veneto, con altri studi in onore di Lino Lazzarini, II, Padova, p.307-322 1982, Osservazioni di sociolinguistica italiana, "L'Italia dialettale", 45, p.2-36

1982a, Alcune osservazioni sul "retoromanzo", "Linguistica", 22, p.3-56 1982b, Un inedito testo poetico in bellunese antico, in La pastorizia transumante del Feltrino, "Quaderni della Comunita' montana feltrina. Centro per la documentazione della cultura popolare" (a cura di D. Perco), 3, Feltre, p.143-148 1983, Il dialetto bellunese nelle sue fonti letterarie antiche, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca. Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia, III, Firenze, p.667-684 1983a, Prefazione a G. Tomasi, Dizionario del dialetto di Revine-Lago, Belluno, p.7-11 1987, Ricerche di toponomastica veneta, Padova 1992, Noterelle sulla lingua della "Cronaca de la guerra da Veniciani a Zenovesi" di D. Chinazzo, "Italianistica", a.XXI, 2-3, p.621-636 PELLEGRINI, Giovan Battista - SACCO, Sergio (a cura di) 1984, Il ladino bellunese. Atti del Convegno internazionale. 2-3-4 giugno 1983, Belluno PELLEGRINI, Giovan Battista - STUSSI, Alfredo 1976, Dialetti veneti (nel Medioevo), in Storia della cultura veneta (a cura di M.P. Stocchi e G. Arnaldi), 1, Vicenza PRATI, Angelico 1960, Dizionario valsuganotto, Venezia-Roma 1968, Etimologie venete, Venezia-Roma RENZI, Lorenzo - VANELLI, Laura 1983, I pronomi soggetto in alcune varieta' romanze, in AA.VV., Scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini, Pisa, p.121-145 REW (= MEYER-LUBKE 1935

2

) RIZZI, Fabio 1989, Le ricerche sul dialetto padovano contemporaneo, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 11, p.131-149 ROHLFS, Gerhard 1966-1969, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino ROSSI, Giovan Battista 1984, Note lessicali e fonetiche sul dialetto dell'Agordino Centro-Meridionale, in Pellegrini-Sacco..., p.131-141 RUPOLO, Luciano - BORIN, Luciano 1982, Piccolo dizionario della parlata di Caneva, Caneva (Pn) SALVIONI, Carlo 1893, Annotazioni linguistiche, in Le Rime di Bartolomeo Cavassico, notaio bellunese della prima meta' del sec. XVI, con introduzione e note a cura di V. Cian e con illustrazioni linguistiche e lessico a cura di C. Salvioni, II, Bologna, p.307-437 1894, Ancora del Cavassico. La Cantilena bellunese del 1193, in Miscellanea Nozze Cian-Sappa Flandinet, Bergamo, p.223-240 1902-1905, Egloga pastorale e sonetti in dialetto bellunese rustico del sec. XVI, "Archivio glottologico italiano", 16, p.69-104; Illustrazioni sistematiche, p.245-332 SANGA, Glauco 1996, Materiali dialettologici, folkloristici e storici sulla colonizzazione

italiana dei Balcani, in G.B. Pellegrini (a cura di), Terza raccolta di saggi dialettologici in area italo-romanza, Padova, p.67-108 SATTIN, Antonella 1986, Ricerche sul veneziano del sec. XV (con edizione di testi), "L'Italia dialettale", 49, p.1-172 STUSSI, Alfredo 1965, Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, Pisa TEKAVCIC, Pavao 1980

2

, Grammatica storica dell'italiano, 3 voll., Bologna TISSOT, Livio 1976, Dizionario primierotto, Calliano TOMASI, Giovanni 1992

2

, Dizionario del dialetto di Revine-Lago [= Dizionario del bellunese arcaico], Belluno (=DBA) TOMASONI, Piera 1973, Per una storia dell'antico trevisano, "Studi di grammatica italiana", 3, p.155-206 1976, Il "Lapidario Estense". Edizione e glossario, "Studi di filologia italiana", 34, p.131-186 1980, Ancora sull'antico trevisano: testi inediti del secolo XIV, in Tomaso da Modena e il suo tempo , Treviso, p.185-199 1990, Lapidario Estense, Milano TRUMPER, John 1972, Il gruppo dialettale padovano-polesano. La sua unita', le sue ramificazioni, Padova 1977, Ricostruzione nell'Italia settentrionale: sistemi consonantici. Considerazioni sociolinguistiche nella diacronia, in Problemi della ricostruzione in linguistica (a cura di R. Simone - U. Vignuzzi), Roma, p.259-310 TUTTLE, Edward 1981-1982, Un mutamento linguistico e il suo inverso. L'apocope nell'Alto Veneto, "Rivista italiana di dialettologia", a.V-VI, p.15-35 1985, Le interdentali venete nella storia delle sibilanti romanze occidentali, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, 7, p.7-43 VANELLI, Laura 1987, I pronomi soggetto nei dialetti settentrionali dal Medio Evo a oggi, "Medioevo romanzo", a.XII, 1, p.174-211 VANELLI, Laura - RENZI, Lorenzo - BENINCA', Paola 1985-1986, Tipologia dei pronomi soggetto nelle lingue romanze, "Quaderni patavini di linguistica", 5, p.49-66 VIGOLO, Maria Teresa 1986, La palatalizzazione di CA e GA nei dialetti veneti, "Archivio Glottologico Italiano", 71, p.60-80 1989, La palatalizzazione di CA e GA nel dialetto alto vicentino, in G.B. Borgato - A. Zamboni (a cura di), Dialettologia e varia linguistica. Per Manlio Cortelazzo, "Quaderni patavini di linguistica. Monografie 6", Padova, p.383-389 ZAMBONI, Alberto 1974, Veneto, (Profilo dei dialetti italiani, 5), Pisa

1983, Toponomastica e storia religiosa fino al IX secolo, in AA.VV., Le origini del cristianesimo tra Piave e Livenza, da Roma a Carlo Magno, Vittorio Veneto, p.43-78 1984, I dialetti cadorini, in PELLEGRINI - SACCO 1984, p.45-83 1986, Sul neolatino delle aree marginali friulane: il problema del 'bisiacco' e la presenza storica del veneto, in Raetia antiqua et moderna. W.Th. Elwert zum 80. Geburstag, Tubingen, 617-646 1988, Italienisch: Areallinguistik IV. a) Venezien, in Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), IV, p.517-538 1988a, Alle origini del neolatino nell'Italia nord-orientale: ipotesi sul friulano, in Cultura in Friuli. Omaggio a Giuseppe Marchetti, Udine, p.205-222 1988b, Divergences and convergences among Neo-Latin systems in North-Eastern Italy, in Folia Linguistica Historica, VIII/1, p.233-268 1989, Per una grammatica storica regionale (con particolare riguardo al dominio veneto), in AA.VV., La dialettologia italiana oggi: studi offerti a Manlio Cortelazzo, Tubingen, 197-208.