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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO NUOVI STUDI STORICI - 39 FORMAZIONE E STRUTTURE DEI CETI DOMINANTI NEL MEDIOEVO: MARCHESI CONTI E VISCONTI NEL REGNO ITALICO (SECC. IX - XII) Atti del secondo convegno di Pisa: 3-4 dicembre 1993 II ROMA NELLA SEDE DELL'ISTITUTO PALAZZO BORRONUNI 19%

Le famiglie comitali della Marca Veronese (secoli X-XIII), in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX-XII), II,

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ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

NUOVI STUDI STORICI - 39

FORMAZIONE E STRUTTURE DEI CETI DOMINANTI NEL MEDIOEVO: MARCHESI CONTI E VISCONTI

NEL REGNO ITALICO (SECC. IX - XII)

Atti del secondo convegno di Pisa: 3-4 dicembre 1993

II

ROMA

NELLA SEDE DELL'ISTITUTO

PALAZZO BORRONUNI

19%

ANDREA CASTAGNETTI

LE FAMIGLIE COMITALI DELLA MARCA VERONESE (SECOLI X-XIII)

1. INTRODUZIONE

Ritorno, a distanza di oltre un decennio, sul tema delle famiglie .comitali: ne trattai in due contributi, elaborati nello stesso periodo, -concernenti le due famiglie comitali veronesi 1 e i conti di Vicenza e di Padova 2. L'intento di completare il quadro relativo alla Marca Veronese 3 con la trattazione dei conti di Treviso non è stato attuato, per motivi vari; ma ho continuato a raccogliere gli sparsi documenti .che li concernono 4.

Non intendo in questa sede soffermarmi sui molteplici aspetti .connessi allo studio delle famiglie marchionali e comitali e a quello dei territori da loro amministrati, secondo i criteri proposti da Cin­zio Violante e dai suoi collaboratori s. Mi limiterò a sottolineare gli .aspetti e i riflessi politici delle vicende delle famiglie comitali, proce­<tendo per tratti essenziali, quasi schematici.

2. CONTI E COMITATI IN ETÀ CAROLINGIA E POSTCAROLINGIA

Durante l'Impero carolingio e il Regno Italico indipendente la presenza dei conti nella regione che in età ottoniana sarà conosciuta

1 A. Castagnetti, Le due famiglie comitali veronesi: i San Bonifacio e i Gan­dolfingi-di Palazzo (secoli X-inizio XIII), in Studi sul medioevo veneto, a cura di G. Cracro, Torino 1981, pp. 43-93.

2 A. Castagnetti, I conti di Vicenza e di Padova, Verona 1981. 3 Sulla costituzione della Marca Veronese si veda sotto, par. 3. 4 Stante il carattere sintetico del presente contributo, rinuncio a segnalare

"tutta la documentazione, finora reperita, concernente i conti di Treviso: me ne av­varrò, forse, in altra occasione.

5 G. Andenna M. Nobili-G. Sergi-C. Violante, Introduzione, in Formazione .e strutture dei ceti dominanti nel medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno Jtalico (secc. IX-XII), Roma 1988, pp. 3-10.

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cadde in completa disgrazia: Egelrico mantenne i suoi possessi e fu anche ammesso al seguito imperiale 20. Il fratello minore Milone, omo­nimo dello zio marchese, già titolare delle cattedre vescovili di Verona e di Vicenza, conservò il secondo seggio episcopale, tornando poi, dopo l'allontanamento di Raterio, sulla cattedra di Verona 21.

3. LA MARCA VERONESE

Il ruolo essenziale assunto dalla regione nord-orientale del Regno Italico nell'impero di Ottone I rende ragione, da un lato, del forte controllo ivi instaurato, che si manifesta, ancor prima che nella rivita­lizzazione dei vecchi comitati e nella formazione di uno nuovo e nel­l'immissione sistematica di conti - ne tratteremo appresso -, nella costituzione di una estesa circoscrizione pubblica nuova e atipica nel­l'ambito del Regno: ci riferiamo alla costituzione della Marca Vero­nese, avvenuta già all'indomani dell'assunzione della corona regia ita­lica, nell'estate del 952; un atto ben presto compromesso dalla politica di indipendenza svolta dai re Berengario II e Adalberto, ma ribadito da Ottone dopo la propria affermazione definitiva: la regione assunse un assetto stabile 22, che durerà per secoli, pur con alcune consistenti riduzioni, quali la sottrazione, nel corso del secolo XI, dei territori di Trento 23 e del Friuli 24. Dal momento della sua formazione la Marca Veronese rimarrà assegnata ad un duca tedesco, prima a quello di Baviera, Enrico I, fratello dell'imperatore, poi dal 976 al duca del­l'appena costituito ducato di Carinzia.

La Marca Veronese non può essere paragonata alle Marche del Regno Italico esistenti alla metà del secolo X, periodo discriminante tra le marche antiche e quelle nuove, prevalendo nelle prime il quadro territoriale, che si articola all'interno in comitati, nelle seconde l'ini­ziativa autonoma dei marchesi 25; se alle prime la nostra Marca può

20 G. Sergi, Movimento signorile ~ affermazione ecclesiastica nel contesto di­strettuale di Pombia e Novara fra X e XI secolo, «Studi medievali », ser. III, 16 (1975), p. 178.

21 Castagnetti, Minoranze etniche cit., pp. 113, 136. 22 Castagnetti, Il Veneto cit., pp. 110-113. 23 A. Castagnetti, Le città della Marca Veronese, Verona 1991, pp. 50-52. 24 Ibid., pp. 68-69. 25 M. Nobili· G. Sergi, Le marche del Regno Italico: un programma di ricerca,

«Nuova rivista storica », 65 (1981), p. 404.

26 Le verso l'esterno:

Klagenfurt 1984, pp.

di Germania 27

lingia e pp. 141-153.

28

cietà e B. Verci, Roma I, n. 1, 1123

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FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE 89'

essere avvicinata, da queste differisce per la sua nascita cronologica­mente sfasata, nel momento cioè in cui le marche tradizionali si av­viavano ad una crisi profonda, e per la sua persistenza nel tempo. Il governo della Marca non venne affidato a un ufficiale pubblico speci­fico. che a questo ufficio e al territorio della circoscrizione potesse legare la fortuna politica propria e della sua famiglia; ma ad un duca tedesco, designato nel contempo come «marchese della Marca di Ve­rona. 26

, il che facilitò, da un lato, l'evoluzione autonoma delle forze locali - chiese vescovili, famiglie comitali, signorili e, poi, feudali, ed altro ancora -, presenti nei singoli territori o comitati 21, dall'altro­Jato, la persistenza del controllo ducale o marchionale, in forme via via più deboli, ma pur sempre efficaci, anche nell'ambito dell'amministra­zione della giustizia, che continuerà ad essere svolta fino alle soglie dell'età comunale, sia pure occasionalmente, dal duca-marchese nel qua­dro territoriale della Marca, con l'assistenza di vescovi, conti e giudici provenienti dai territori stessi della Marca e da quelli vicini 28.

Non sappiamo se i conti fossero nominati direttamente dall'impe­ratore, come è probabile, almeno per i primi tempi, o dai duchi. Questi ultimi furono subito avvertiti dai contemporanei quali superiori diretti dei conti della Marca: ai duchi Enrico I di Baviera e alla moglie Giuditta, poi a questa, rimasta vedova, e al figlio Enrico fa più volte riferimento Raterio, vescovo di Verona, sottolineando, in un'occasione, l'intervento loro sul conte veronese Bucco, al quale essi affidarono la protezione del vescovo per difenderlo dalle minacce dei cittadini tu­multuanti 29; ricordando, in un secondo momento, che l'ufficio mis­satico del conte Nanno, incaricato di sottoporre a giudizio il vescovo~

marche vennero istituite, a quanto sembra, per fini prevalenti di difesa tali appaiono le marche del ducato di Carinzia, documentate dal terzuI­

timo decennio del secolo X: C. Friiss-Ehrfeld, Geschichte Kiirntens. I. Dar Mittelalter, 104-107. Se anche la costituzione della Marca Veronese rientrava

in questa politica, ovviamente diversa ne era la finalità, ravvisabile nel ruolo strategiCO' primario che la regione rappresentava per il controllo delle comunicazioni tra i regni

e di Italia. A. Castagnetri, Territori comitali e dinamismo delle forze locali in età caro­postcarolingia, in La ft Venetia" dall'antichità all'alto medioevo, Roma 1988,

A. Castagnetti, Dalla Marca Veronese alla Marca Trevigiana, in Istituzioni, so­potere nella Marca Trevigiana e Veronese (secoli XII-XIV). Sulle tracce di G.

1988, pp. 11-22, riedito in Castagnetti, Le città cit., pp. 22-26, e app. settembre 22.

Castagnetti, Il Veneto cit., p. 115.

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era stato a lui conferito dall'imperatore e dalla duchessa 30. Più volte, in seguito, i conti della Marca assistettero il duca nelle sedute giudi­ziarie 31; in un'occasione, un conte presiedette un placito assieme ad un messo del duca 32.

4. I CONTI NEL PRIMO PERIODO OTTONIANO

La famiglia di Milone era di nazionalità franca, il che rispettava una consuetudine consolidata di predominio politico degli elementi appartenenti alle etnie dominanti, franca e alamanna: a Verona non avvenne, prima dell'età ottoniana, una ripresa politica delle famiglie longobarde o, per meglio dire, di tradizione longobardo-italica.

Dopo la rotazione di alcuni conti nei primi anni di impero di Ottone I - i conti Ernesto e Bucco, noti soprattutto per le vicende del terzo periodo di episcopato di Raterio 33 -, nel quadro della po­litica ottoniana di potenziamento, ove possibile, della funzione comi­tale 3\ negli anni 967-978 divenne conte Gandolfo, di nazionalità 10ngobarda, proveniente da una famiglia comitale piacentina 35.

Se le vicende dell'ufficio comitale in Verona mostrano, da un lato, la vitalità conservata ancora dall'istituto e la persistenza del controllo regio e ducale, mostrano, dall'altro lato, che il processo di attenuazione progressiva della discriminazione etnica in ambito politico avviene in modi cauti e tardi, forse proprio per il ruolo strategico della città

30 Ibid., p. 117. 31 I placiti del f( Regnum Italicae n, a cura di C. Manaresi, 3 voll., Roma 1955­

1960, II/l, n. 218, 993 novembre, Verona; n. 224, 996 marzo 25, Verona; n. 240, 998 luglio 18, Verona; n. 267, 1001 novembre 3, Verona; II/2, n. 277, 1013 maggio 5, Verona; n. 294, 1017 gennaio 18, Asolo; III/l, n. 384, 1050 tnaggio 26, Vicenza; Ill/2, n. 466, 1085 marzo 3, Padova.

32 Ibid., III/l, n. 420, 1066 novembre 8, Vicenza. 33 Castagnetti, Il Veneto cit., pp. 114-115. 34 V. Fumagalli, Vescovi e conti nell'Emilia occidentale da Berengario I a Ottone

I, «Studi medievali», ser. III, 14 (1973), pp. 188 ss.; V. Fumagalli, Terra e società nell'Italia padana. I secoli IX e X, Torino 1976, pp. 95-96; Fumagalli, Il Regno Italico dt., pp. 203-204, 292-293.

35 Castagnetti, Le due famiglie cit., p. 51; sui Gandolfingi, oltre agli studi del FUtnagalli, citati alla nota precedente, si vedano R. Pauler, Das "Regnum Italiae" in ottonischer Zeit. Markgrafen, Grafen und Bischofe als poUtische Kriifte, Ti.ìbingen 1982, pp. 176-178, e F. Bougard, Entre Gandolfingi et Obertenghi: les comtes de Plaisance aux X, et XI' siècles, «Mélanges de l'École française de Rome. Moyen Age », 101 (1989), pp. 11-66, che propongono una ricostruzione prosopografica parzialmente dif­ferente.

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e del suo territorio, accresciutosi nell'età ottoniana con l'unione dei regni di Germania e d'Italia: l'assunzione dell'ufficio comitale in Ve­rona da parte di un conte appartenente ad una famiglia di tradizione longobarda, discendente, tuttavia, per via materna da una famiglia comitale franca 36, avviene a distanza di ben due secoli dalla conquista franca 37.

Il primo conte di Treviso di età ottoniana - nella pratica il primo conte trevigiano a noi noto, se si eccettua una menzione per l'età carolingia 38 - è Rambaldo, il quale assistette in Verona nell'anno 972 ad un placito presieduto dal patriarca di Aquileia 39, Egli va identificato con l'omonimo fidelis di Berengario II, destinatario di un privilegio negli anni 958/959, con cui il re gli donava la curtis di Lovadina, ora frazione di Spresiano, nel comitato di Treviso 40: un seguace 41, dunque, di Berengario II, che ha saputo attraversare il pe­riodo travagliato del trapasso e del cambio di dinastia regia. In lui, come vedremo, possiamo individuare il capostipite della famiglia co­mitale trevigiana, secondo un processo che è analogo a quello delle altre famiglie comitali della Marca.

Non disponiamo di notizie ulteriori sul personaggio. Pochi anni dopo, nel 980, i suoi presumibili figli ed orfani ricevettero un'ampia conferma e nel contempo una donazione di beni, con diritti giurisdi­zionali, dall'imperatore Ottone II 42: il padre defunto non è definito quale conte, ma la considerazione dei beni stessi confermati, fra cui la corte di Lovadina concessa al primo Rambaldo, prova che si tratta dei figli del nostro.

Una situazione decisamente anpIca si verifica per' i comitati di Vicenza e di Padova. Per la prima età carolingia, come abbiamo accen­

36 Bougard, Entre Gandolfingi cit., p. 27. 37 Castagnetti, Minoranze etniche cit., pp. 173-174. 1& Sopra, nota 9. 39 I piaciti cit., II/l, n. 170, 972 luglio 4, Verona. 4G I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di

L Scbiaparelli, Roma 1924 (Fonti per la storia d'Italia, 38), n. 12, 958/959 ottobre 25. 41 Per la non coincidenza di significato tra vassus e fidelis nel periodo dei re

d"haIia - più generico il secondo rispetto al primo, che implica un rapporto diretto di "M'M,...n.dazione vassallatica - rinviamo a Castagnetti, Minoranze etniche cit., pp. ,.,.91.

f2 Otwnis II. Diplomata, ed. 111. v. Sickel, in M.G.H., Dipl. reg. imp. Germ., 2/1. Haoooverae 1888, n. 220, 980 giugno 16.

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92 ANDREA CASTAGNETTI

nato, conosciamo un solo conte per i comitati vicentino e trevigiano 43;

il comitato padovano non esisteva affatto. Poiché questo comitato appare nella documentazione a partire

dagli anni 969-970 e comprende al suo interno anche il territorio di Monselice, ora definito iudiciaria 44, possiamo avanzare l'ipotesi che in quello stesso periodo o in un momento vicino l'imperatore abbia nominato un conte per il nuovo comitato. Questo conte potrebbe essere identificato con un conte di Padova, anzi dei comitati di Vi­cenza e di Padova insieme, noto da tempo agli studiosi. Si tratta di Vitale detto Ugo, figlio del duca di Venezia Pietro III eandiano e fratello di Pietro IV, il duca che si imparentò con una famiglia prin­cipesca del Regno Italico, sposando Waldrada, figlia del marchese Uberto di Toscana e sorella di Ugo 45.

L'identità del conte non è posta in dubbio. Permangono aspetti e problemi non del tutto chiariti o per i quali le soluzioni prospettate sono discordi: essi concernono, anzitutto, il periodo del suo ufficio, i rapporti con i membri della famiglia di provenienza o con altri perso­naggi omonimi, il matrimonio con una donna, appartenente presumi­bilmente ad una famiglia della Marca Veronese e di nazionalità 10n­gobarda.

Noi siamo propensi a ritenere che il comitato di Vicenza, con quello di Padova, appena costituito, sia stato assegnato dall'imperatore Ottone I a Vitale Candiano, fratello del duca Pietro IV, nel periodo successivo agli accordi tra Impero e Venezia della fine del 967, accordi che, dopo un periodo iniziale di ostilità, sancirono una posizione di subordinazione della seconda nei confronti del primo 46. Il secondo nome Ugo, assunto dal conte Vitale, potrebbe essere il frutto di una scelta deliberata tesa a dimostrare un'affinità con il marchese di Toscana, cognato del fratello, il quale marchese era anche subentrato nell'eredità patrimoniale e 'politica' del marchese Almerico II, fon­

43 Sopra, note 8 e 9. 44 Castagnetti, Il Veneto cit.) pp. 120-124, 193-194. 45 Le vicende accennate nel testo sono note agli studiosi del ducato veneziano

e della famiglia ducale dei Candiano: ci limitiamo a rinviare a M. G. Bertolini, Candiano Pietro (W), in Dizionario biografico cit., XVII, p. 764.

46 Castagnetti, I conti cit., pp. 19-24. Tutta la questione, con approfondimento dei rapporti tra le famiglie ducali veneziane e quella comitale vicentino-padovana di Vitale Ugo Candiano, è ora riconsiderata in un contributo di prossima pubblicazione: A. Castagnetti, Lo società veneziana nel medioevo. II. Le famiglie ducali dei Candiano, Orseolo e Menio e la famiglia comitale vicentino-padovana di Vitale Ugo Candiano (se­coli X-XI).

93 FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE

datore del monastero di S. Maria di Vangadizza e munifico benefattore del monastero veneziano della SS. Trinità e di S. Michele Arcangelo di Brondolo 47.

Già nel secondo decennio del secolo XI i figli del conte Vitale Ugo appaiono radicati nel cuore della Marca, in un territorio al confine fra i comitati di Vicenza e di Padova, con il controllo e poi il possesso di castelli e di basi signorili, che amplieranno sempre più, attuando una politica di radicamento locale, particolarmente 'fortunata ' per il ramo comitale vicentino 48.

Prima di procedere, è opportuno sottolineare la singolarità delle situazioni, che riflettono, tuttavia, la diversa importanza delle città e dei territori amministrati dai conti: a Verona nello spazio di pochi anni sono presenti due conti, che daranno origine a due famiglie co­mitali; per Vicenza e Padova viene ricordato un solo conte, dal quale, come vedremo, discenderanno due distinte famiglie comitali, di Vi­cenza e di Padova.

5. DALLA DINASTIA SASSONE ALLA DINASTIA SALICA

Nell'ultimo decennio del secolo X, quando i conti delle città della Marca tornano ad essere documentati, si assiste ad una rapida \rotazione dei conti, che coinvolge anche la vicina città di Brescia.

In Verona, in tempi brevi, appaiono un conte Riprando, figlio del conte Gandolfo, dunque un Gandolfingio, e un Ege1rico o Enrico, discendente certo del primo Engelrico, probabilmente suo figlio, dun­que un San Bonifacio 49. Dopo vicende alterne, che li vedono coinvolti nei conflitti fra Arduino ed Enrico II, i San Bonifacio prevalsero de­cisamente dalla metà del secolo, mantenendo l'ufficio fino all'età co­munale, con una chiara coscienza di stirpe nell'identificazione del capostipite Milone 50.

Lineare si presenta la vicenda dei conti di Treviso, che rafforza­rono il rapporto diretto con l'Impero, dal quale ricevettero ripetuta­mente beni e diritti e al quale resero servizi costanti: dal seguito

47 Castagnetti, Tra (( Romania" cit., p. 64. 48 Castagnetti, I conti cit., p. 25 per il periodo iniziale; pp. 76-84 per il periodo

posU!riore. 49 Castagnetti, Le due famiglie cit., p. 52; Castagnetti, I conti cit., pp. 28-29. 50 Castagnetti, Le due famiglie cit., pp. 60 58.

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nei viaggi a Roma 51 alla compagnia discreta e fidata offerta dal conte Rambaldo ad Ottone III nella visita segreta ' effettuata dal secondo I

nell'anno 1001 a Venezia presso il duca Pietro n Orseolo 52, Né sembra che abbiano oscillato nella loro lealtà durante il trapasso da Ottone In ad Enrico n, continuando Rambaldo a mantenere l'ufficio comitale e a schierarsi, sembra fin dal primo momento, con Enrico n 53,

Molto meno lineare e poco conosciuta è la vicenda dei conti di Vicenza e Padova, che tornano ad essere definiti quali conti, in do­cumenti privati come in documenti pubblici, senza che venga speci­ficato il territorio amministrato 54, Solo nell'anno 1050, in un placito presieduto in Vicenza dal duca Guelfo III di Carinzia, marchese della Marca Veronese, è presente, secondo la norma, Manfredo, conte del comitato vicentino 55, Da questo Manfredo discenderanno le due fa­miglie comitali di Vicenza e di Padova 56.

6. I CONTI NEL CONFLITTO TRA IMPERO E PAPATO

Nell'assenza, per i primi decenni del conflitto tra Impero e Pa­pato, di indicazioni univoche sulla scelta politica delle famiglie comitali della Marca, possiamo ravvisare un primo orientamento favorevole alla Chiesa romana nell'assoggettamento che a questa i conti di Treviso fecero del monastero di S. Eustachio di Nervesa 57, Non era ancora espressione di un orientamento definito: all'ingresso nel regno di Enrico IV essi riassunsero il loro atteggiamento antico filoimperiale, ottenendo nel 1077 un privilegio regio 58. Solo negli anni ottanta o novanta essi passarono decisamente dalla parte filoromana e riforma­

51 Castagnetti, Il Veneto cit., pp. 13()"132. 52 Giovanni diacono, Cronl1Ca veneziana, in Cronl1Che veneziane antichissime, a

cura di G. Monticolo, Roma 1890, p. 162. 53 D. Rando, Dall'età del particolarismo al comune (secoli XI-metà XIII), in

Storia di Treviso. II. Il medioevo, a cura di D. Rando - G. M. Varanini, Venezia 1991, p.50.

54 Castagnetti, I conti cit., pp. 31-32; Castagnetti, Le città cit., p. 58. 55 I pll1Citi cit., III/l, n. 384, 1050 maggio 26. 56 Castagnetti, I conti cit., pp. 43-46. 57 Ibid., p. 55. 58 Die Urkunden Reinrichs N, ed. D. v. Gladiss, in M.G.R., Dipl. reg. imp.

Germ., 6/2, Weimar 1952, n. 288, anno 1077; dr. Castagnetti, Le città cit., p. 68.

95 FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE

trice: un conte Rambaldo appare nell'evangelario della contessa Ma­tilde 59.

Questo conte fu colpito dal banno imperiale, dal quale i suoi due figli, minorenni, poterono liberarsi solo nell' anno 1116, dietro corresponsione di una pesante multa 60, per assolvere alla quale dovet­tero procedere anche alla vendita di una porzione cospicua del patri­monio, come ci attesta un documento dell'anno 1117 61

Nel secondo documento il maggiore dei due figli, Ansedisio, viene definito conte; ma egli scompare tosto dalla documentazione. Un altro Rambaldo, di cui non conosciamo il rapporto diretto di parentela, è attestato quale conte di Treviso negli anni venti 62: segnaliamo, per caratterizzarne l'attività pubblica, la sua presenza ad una seduta giu­diziaria presieduta in Verona dal duca di Carinzia nel 1123 63 e l'autorizzazione da lui concessa ad una vedova ed ai suoi figli mino­renni per una vendita di terre 64, una funzione propria del conte, secondo la tradizione carolingia.

Per i conti di Verona è ravvisabile un atteggiamento filoimperiale, che non appare particolarmente impegnativo, data la loro scarsa pre­senza al seguito di imperatori e duchi, una scarsa presenza, tuttavia,

59 A. Mercati, L'evangelario della contessa Matilde a Polirone, «Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province modenesi », ser. VII, 4 (1927), pp. 215­227, poi in A. Mercati, Saggi di storw e letteratura, Roma 1921, p. 222; dr. A. Casta­gnetti, Le dipendenze polironiane nella Marca Veronese fra XI e XII secolo, in L'Italia nel quadro dell'espansione europea del monachesimo cluniacense, Cesena 1985, p. 24, nota 24.

60 Muratori, Antiq., 2, Milano 1739, col. 39, doc. 1116 marzo 3, Treviso; re· gesto in K. F. Stumpf.Brentano, Vie Reichskantler vornehmlich des x., XI. und XII. Jahrhundert. II. Die Kaiserurkunden des X., XI. und XII. Jahrhunderts, Innsbruck, 1865·1883, n. 3127.

61 Codice diplomatico padovano dall'anno 1101 alla pace di Costanza (25 giugno 118J), a cura di A. Gloria, 1, Venezia 1879, n. 88, 1117 giugno 15, Altino, riedito in SS. Ilario e Benedetto e S. Gregorio, a cura di L. Lanfranchi - B. Strina, Venezia 1965, n. 18.

62 G. B. Verd, StoritJ della Marca Trivigiana e Veronese, voll. 20, Venezia 1768­1791, I, n. 12; 1120 giugno 2, riedito da P. A. Passolunghi, Da conti di Treviso a conti di Collalto e S. Salvatore: presenza politica ed impegno religioso della più antica famiglia nobiliare del TrevigÌilno, «Atti e memorie dell'Ateneo di Treviso », a. ace. 1983­1984, app., n. 2, 1120 giugno 2, pp. 32-33 dell'estratto.

63 Doc. dell'anno 1123, citato sopra, nota 28. 64 A. Lizier, Storw del comune di Treviso, Treviso 1901, p. 84, regesto 1126 di­

cembre 9.

96 ANDREA CASTAGNETTI

che può trovare una giustificazione nella rapida successione nell'uf­ficio comitale verificatasi nella seconda metà del secolo 6S.

Dopo l'ultima attestazione del conte Bonifacio III in un docu­mento pubblico dell'anno 1095 66

, gli successe nel comitato il figlio Alberto 67, che per la sua adesione all'Impero venne privato del feudo di Cerea, assegnato ai suoi predecessori alcuni decenni prima dai Canossa. Sempre nella bassa pianura veronese e veneta i Canossa e le forze del partito riformatore avevano tentato di eliminare le forze filoimperiali, ricevendo una sconfitta a Trecontadi, ma resi­stendo all'assedio del castello di Nogara. Nello stesso periodo, a ca­vallo dei due secoli, si svolsero scontri armati tra il conte Alberto di Verona e il conte Riprando, un gandolfingio, signore di Isola della Scala, che si avvalse dell'aiuto di vassalli canossiani. Solo alla fine del 1106, in una situazione di grave crisi per l'Impero, il conte Alberto poté riconciliarsi con il pontefice e con la contessa Matilde, che si trovavano in Verona.

Il medesimo conte, che assistette alla summezionata seduta giu­diziaria del duca nell'anno 1123, divenne negli anni venti e trenta uno dei protagonisti delle vicende politiche: capo della vassallità matildica, marchese e duca di nomina pontifica, si oppose a Lota­rio III nella sua prima discesa, chiudendogli le porte di Verona. Scomparve nel viaggio verso Oriente nell'anno 1135.

Dei conti vicentini mancano notizie dirette, ma una serie di in­dizi permette di cogliere con sicurezza il loro orientamento politico antimperiale: lontananza dalla città, assenza dal seguito di re e duchi­marchesi, nonché da quello dei vescovi, costantemente filoimperiali 68.

L'atto più significativo del conte vicentino Uberto Maltraverso è costituito dalla fondazione del monastero di S. Maria di Praglia, av­venuta all'inizio del secolo XII, monastero subito donato alla Chiesa romana. Tale fondazione, la quale differisce sostanzialmente da quelle padovane coeve o di poco anteriori, non può essere spiegata se non con la volontà del fondatore di stringere legami forti con la Chiesa romana e nello stesso tempo di creare nei suoi possedimenti antichi un centro di coesione per la sua famiglia, per i rami consanguinei,

65 Castagnetti, Le due famiglie dt., pp. 61-62. 66 I pIaciti dt., III/2, n. 475, 1095 maggio 31, Padova. 67 Castagnetti, Le due famiglie cit., pp. 63·70, per quanto segue. 68 Castagnetti, I conti dt., pp. 60·69.

97 FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE

per le famiglie signorili a lui variamente legate e per le popolazioni locali 69, La fondazione offriva un sostegno all'opera riformatrice del vescovo Sinibaldo, che, inviato a Padova nell'autunno del 1106 dal pontefice Pasquale II, dopo la deposizione del vescovo filoimperiale Pietro, fu di lì a poco, nell'anno 1110, espulso dalla sua sede per volontà regia, per breve tempo, invero, prevalendo definitivamente il partito riformatore 70,

Non abbiamo notizie o indizi di uno schieramento deciso dei conti di Padova nel conflitto delle investiture 71. Essi parteciparono, in una posizione di secondo piano, alla fondazione del monastero di S. Maria di Praglia 72. Nello stesso periodo entrarono in rapporto di vassallaggio con i marchesi estensi e con la chiesa vescovile pado­vana 73, divenuta quest'ultima un punto di raccordo e insieme un tramite dei rapporti complessi instauratisi fra gli esponenti della so· cietà signorile e gli eredi delle funzioni pubbliche, conti e marchesi 74,

7, LA PRIMA ETÀ COMUNALE

Dopo decenni in cui l'autonomia cittadina si era potuta manife­stare anche in forme di effettiva autonomia politica, contraendo trattati e impegnandosi in guerre regionali 75, il regime comunale con i suoi consoli appare costituito nel 1136 a Verona 76, nel 1138 a Padova 77,

nel 1147 a Vicenza 78 e nei primi anni sessanta a Treviso 79,

Si noti la successione, non casuale, che risponde ai diversi ritmi di evoluzione economica, sociale e politica delle singole città, evoluzione che trova rispondenza, come vedremo, anche nella efficacia di presenza, di azione e di mantenimento di prerogative pubbliche da parte dei conti delle rispettive città.

69 Ibid., pp. 69·71; Castagnetti, Le dipendenze polironiane cit., pp. 112-113. 70 Per le vicende politiche di Padova nel periodo si veda Castagnetti, Le città cit.,

pp. 80-81. 71 Castagnetti, I conti cit., pp. 50-51. 72 IbM., pp. 80-81. 73 Ibid., p. 47, nota 179. 74 Ibid., p. 86. 75 Castagnetti, Le città cit., pp. 82·85. 76 Ihid., pp. 103·107. n Ihid., pp. 112-117. 7& Ibid., pp. 126-127. 79 lhid., pp. 158-159.

98 ANDREA CASTAGNETTI

A ribadire, per Verona, se ve ne fosse bisogno, lo stretto rapporto tra le vicende della famiglia comitale e le vicende politiche, interne ed esterne, della città, stanno l'occasione e la modalità della comparsa dell'organizzazione comunale cittadina. I primi consoli veronesi assi­stettero, svolgendo la funzionè di mediatori e garanti, agli atti, che sancirono la fine di una lunga complessa controversia che aveva op­posto la famiglia comitale veronese, priva del suo capo autorevole, il conte Alberto, da poco scomparso, al monastero veneziano di S. Zac­caria per il possesso e il controllo del castello avito di Ronco sul­l'Adige, castello rivendicato dal monastero in forza di una clausola presente nel testamento del marchese Milone dell'anno 955 - è ap­pena il caso di sottolineare la persistenza della memoria -, che pre­vedeva l'acquisizione di Ronco, se gli eredi fossero venuti meno ai loro impegni annuali verso il monastero. Fu raggiunto un compro­messo onorevole, che riconosceva la proprietà del castello al monastero e la disponibilità alla famiglia comitale, con l'obbligo della correspon­sione di un fitto, che sostituiva il legato annuale. L'accordo era ga­rantito dalla cittadinanza, che lo approvò nella concione, impegnandosi a farlo rispettare, alla presenza del vescovo e dei consoli della città 80.

Nei decenni seguenti, fino al conflitto 'lombardo' con Federico I, la famiglia comitale, rimasta priva sostanzialmente di un capo, per la lunga minorità del conte Bonifacio, non partecipò alle vicende po­litiche 81.

In un periodo di poco antecedente, anche in Treviso, ove il co­mune non era tuttavia costituito, furono assenti i conti, forse per la minore età dei titolari del comitato: i due fratelli Manfredo e Schi­nella, entrambi qualificati conti, sono destinatari nell'anno 1155 di un privilegio imperiale 82.

Costituitosi il comune padovano senza la partecipazione iniziale di conti, signori e feudatari, tutti costoro, nelle difficoltà politiche e mi­litari delle guerre regionali che negli anni quaranta contrapposero le città della Marca, con il coinvolgimento, se non proprio per iniziativa, di Venezia, trovarono spazio, e ne furono richiesti, per riassumere un ruolo politico di primo piano: i conti furono posti a capo della

80 Uno dei tre documenti relativi alla controversia per il castello di Ronco, nei quali appaiono i consoli cittadini, è edito in Castagnetti, Le città cit., app. II, n. 2, 1136 giugno 30. Cfr. sopra, nota 76.

81 Castagnetti, Le due famiglie cit., p. 76. 82 Die Urkunden Friedrichs I. 1152-1158, ed. H. Appelt, in M.C.H., Dipl. reg.

imp. Cerm., 10/1, Hannover 1975, n. 114, 1155 luglio (?).

99 FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE

magistratura consolare e si impegnarono direttamente nelle trattative di pace".

Una situazione analoga si verificò a Vicenza, ove il conte, in posizione di rilievo, assunse il 'consolato nell'anno 1147, che vide, da un lato, la prima costituzione del comune vicentino, dall'altro lato, la conclusione con una pace generale di una lunga serie di osti­lità e scontri bellici tra le città 84.

8. DAL CONFLITTO DEI COMUNI CON L'IMPERO ALLE GUERRE CIVILI

I conti della Marca non appaiono molto attivi in età federiciana, per varie ragioni, anzitutto per quella della minorità o della giovane età dei conti di Verona e di Treviso.

Nel primo periodo, quello dell'affermazione imperiale, solo il conte Guido di Vicenza assunse una magistratura comunale, intorno alla metà degli anni cinquanta, fosse essa espressione autonoma del comune cittadino - è l'epoca dei reetores o potestates di estra­zione locale - o fosse approvata dall'Impero 8S. Notizie di poco ri­lievo rimangono per i conti di Padova 86.

Durante il conflitto dei comuni contro l'Impero, cade nell'anno 1169 la podesteria veronese del conte Bonifacio, scomparso l'anno seguente in Oriente; negli anni 1182-1183, quella del conte Sauro, probabilmente suo figlio, perito poco tempo dopo di morte violen­ta, per mano, sembra, di un suo congiunto. Entrambe le pode­sterie dei conti furono assunte in anni di contrasti attenuati con rIm­pero, come nel 1169, o cessati, per cui non possiamo affermare che esse, soprattutto la seconda, siano frutto di una scelta politica antim­periale; esse rappresentano, piuttosto, il segno di una volontà di af­fermazione interna all'organismo comunale, azione e finalità che genera­rono opposizioni dapprima sporadiche, poi organiche e che furono, probabilmente, fra le cause principali della nascita delle fazioni citta­dine, costituitesi prima della fine del secolo e giunte violentemente allo scoperto all'inizio del Duecento: una delle due partes faceva capo alla famiglia comitale, la pars eomitis 87, appunto, alleatasi con il par­

&3 Castagnetti, I conti cit., pp. 125-130. 14 IbitI., pp. 134-136. 15 IbitI., pp. 142-143. 16 IbitI., pp. 138-142. 17 Castagnetti, Le due famiglie dt,. pp. 78·80.

100 ANDREA CASTAGNETTI

tito dei marchesi estensi, che, giunti a capo di una pars in Ferrara 88,

tendevano a porsi alla testa delle fazioni cittadine della Marca e delle dttà vicine 89. Dopo un lungo periodo di guerre civili, che li videro a volte prevalere nettamente, i San Bonifacio furono espulsi dalla città nel 1239, ad opera di Federico II e di Ezzellno III da Romano, che si avviava a divenire signore incontrastato della città 90.

Analoga l'evoluzione politica di Vicenza, ove pure si venne a costituire una pars comitis, contrapposta a quella del vescovo o dei da Vivaro, avvocati della chiesa vescovile. Come per Verona, nel pe­riodo tra la pace di Venezia e quella di Costanza anche in Vicenza si manifestò la ripresa politica della famiglia comitale. Nell'anno 1181 il conte Ugezzone ricoprì l'ufficio di podestà, rafforzando la sua po­sizione politica con alleanze, anche matrimoniali, con la famiglia mar­chionale degli Estensi, con il ceto signorile e con esponenti di rilievo della società cittadina 91. A questo tentativo di egemonia va probabil­mente imputato il clima politico assai acceso che venne ad instaurarsi nella città, nella quale pur sempre il vescovo esercitava o sarebbe voluto tornare ad esercitare la sua supremazia. La situazione precipitò nel 1184 con l'uccisione del vescovo Cacciafronte. L'episodio rimane oscuro; vi venne coinvolto il conte Ugezzone, sospettato di essere stato il mandante o l'ispiratore dell'assassinio. Il conte fu privato del feudo cospicuo che deteneva dall'episcopio 92. Al periodo immediata­mente posteriore risalgono o meglio si acuiscono, definendosi, le di­visioni interne alle famiglie dominanti, di estrazione per lo più signo­rile: dell'esistenza certa di due fazioni abbiamo notizia solo alcuni anni dopo, dapprima per la testimonianza concorde dei cronisti, poi per attestazione diretta di documentazione privata e pubblica 93. Nelle lotte di fazione, che continuarono violente in Vicenza 94, i conti fu­rono ampiamente coinvolti e, in molte occasioni, anche protagonisti,

88 A. Castagnetti, Società e politica a Ferrara dall'età postcarolingia alla signoria estense (secoli X-XIIl), Bologna 1985, pp. 187-188.

89 Castagnetti, Le città eit., pp. 247-248. 90 Ibid., pp. 251-258; ed ora G. M. Varanini, Istituzioni, società e politica nel

Veneto dal comune alla signoria (secolo XIII -1329), in Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, a cura di A. Castagnetti. G. M. Varanini, Verona 1991, pp. 278-285.

91 Castagnetti, I conti eit., pp. 163-168. 92 Ibid., p. 161. 93 Ibid., pp. 168 58.

94 G. Craceo, Da comune di famiglie a città satellite (1183-1311), in Storia di Vicenza. II, L'età medievale, Vicenza 1988, pp. 85 55.

FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE 101

fino a quando, nell'anno 1239, furono assoggettati, come quelli di Verona, al bando dell'Impero 95.

All'indomani della pace di Venezia anche i conti di Padova tor­narono a svolgere, occasionalmente, un ruolo di rilievo nell'ambito del reggimento comunale. Nell'anno 1178 il conte Manfredino, figlio di Iacobo, assunse la podesteria del comune. Si trattava, invero, di una podesteria atipica, una sperimentazione istituzionale con la presenza >contemporanea di tre potestates 96: gli altri due furono un Tisolino, già podestà l'anno precedente, appartenente, con tutta probabilità, alla famiglia capitaneale dei da Camposampiero, e un Aldrigetto, membro di una famiglia cittadina di rilievo. Il ricorso o, forse meglio, il ritorno alla magistratura podestarile di cittadini e, in particolare, di esponenti -dei ceti più elevati, come i membri della famiglia comitale e di una capitaneale, corrisponde a quanto abbiamo notato o noteremo avvenire nelle città della Marca e, nel contempo, in molti altri comuni cit­tadini. In quest'ottica segnaliamo anche la podesteria in Padova del marchese Obizzo d'Este per gli anni 1180-1181 97

• I conti padovani rimasero legati alla città: pur provvisti di ampie proprietà, forse anche -del controllo di castelli, non fecero di questi la base del loro potere o per scelta politica o perché di fatto i castelli da loro posseduti, a vario titolo, finirono solitamente per essere controllati dai rami cadetti -della famiglia, mentre il ramo comitale rimaneva vieppiù legato alla dttà. È significativo, ad esempio, che poco dopo la metà del secolo XII il più noto rappresentante della famiglia fosse Manfredo d'Abano 98,

uomo ricchissimo, come è ricordato a distanza di un secolo 99, la cui figlia e la cui eredità furono contese fra da Camposampiero e da Ro­mano, dando avvio ad una delle più cruente guerre della Marca.

Negli anni seguenti i conti non tornano più a capo del comune, né appaiono impegnati direttamente in conflitti interni né tantomeno ·a capo di una propria pars; ma ciò dipende anche dall'evoluzione di­versa della politica interna nel com.me padovano rispetto a quanto avviene nei comuni di Verona e di Vicenza: in Padova non si costi­tuiscono partes stabili, con a capo famiglie comitali e capitaneali, ma l'azione politica interna si svolge, a partire dal primo Duecento, su

95 Ibid., p. 103; Castagnetti, Le città cit., p. 256; Varanini, Istituzioni cit., p. 284. 96 Castagnetti, Le città cit., p. 201. 97 Ibid., p. 202. 98 Castagnetti, I conti cit., pp. 80·82, 141-142. 99 Rolandini Patavini Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di

A Bonardi, in Muratori, R.I.5.2, 8/1, Città di Castello 1905-1908, p. 15.

102 ANDREA CASTAGNETTI

una differenziazione di ceti. I conti, nei rami principali della famiglia, furono sottoposti, come gli altri signori, alla legislazione antimagna­tizia, che prese avvio in Padova, precocemente, nel secondo decennio .del secolo XIII 100, culminando nei· provvedimenti dei decenni se­guenti 101 e nella prima lista antimagnatizia compilata intorno al 1236. nella quale fu incluso il conte Tiso 102. Ma il loro comportamento~ forse per il prestigio e la tradizione dell'ufficio pubblico, tendeva a distinguersi da quello degli altri signori, mostrando una maggiore consapevolezza e responsabilità (pubbliche'. E tale fu avvertito nella prima metà del Duecento dai contemporanei: i cronisti piangono la morte del conte Manfredino all'assedio del castello di Este nel 1213; pongono, poi, in risalto l'atto di ossequio alle istituzioni comunali dei conte Schinella, che, solo fra molti signori, obbedi, nel 1237, all'in­giunzione di recarsi in esilio temporaneo a Venezia 103.

La prima notizia dei consoli del comune di Treviso risale all'anno> 1166, quando la città era ancora schierata con l'Impero. Primo fra i consoli menzionati è il conte Schinella 104, uno dei due fratelli che un decennio prima era stato il destinatario di un privilegio federiciano 105.

Nel periodo seguente il conte Schinella, presente nella città, anche ad atti pubblici, non partecipò ad atti o ad azioni politiche rilevanti. Nel conflitto con Federico Barbarossa Treviso fu rappresentata da Ezzelino da Romano, che con Anselmo da Dovara è fra i capi della Lega nelle trattative di Montebello dell'anno 1175 l". TI conte Schi­nella apparve nell'estate del 1177, a Venezia, più volte al seguito del­l'imperatore 107, aspetto in sé non rilevante per una scelta politica, ma pur sempre significativo dei rapporti (privilegiati' intercorrenti, da

100 Castagnetti, I conti eit., pp. 146-154; Castagnetti, Le ciIù cit.. pp. 236-238; S. Bortolami, Fra ti alte domus 1/ e ti populares homines 1/; il comune di PMlova e il suo·· sviluppo prima di Ezzelino, in Storia e cultura a Padova nell'età di Sat'AmotIio, Padovll' 1985, pp. 17 ss.

101 Varanini, Istituzioni eit., pp. 303-304. 102 Statuti del comune di Padova dal secolo XII all'anno 128'. aL A. Gloria,.

Padova 1873, posta 645. Per la datazione della lista si veda Varanini, Istihaio"i cit.~ p. 415, nota 56, che cita le proposte avanzate negli studi più recenti.

103 Castagnetti, I conti eit., pp. 158-159. 104 Castagnetti, Le città cit., p. 214. 105 Sopra, nota 82. 106 A. Castagnetti, I da Romano e la loro ascesa politicll (1074--1207), in Nuovi"

studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, 2 volI., Roma 1992, I, p. Il. 107 Die Urkunden Friedrichs 1. 1168-1180, ed. H. Appelt, in M.GR., Dipl. reg.

imp. Germ., 10/3, Hannover 1985, nn. 691-692, 1177 agosto 3; D. 698, un agosto> 19; n. 701, 1177 agosto 27; n. 705, 1177 settembre 3.

FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE 103

secoli, fin dalle origini della stirpe comitale, tra l'Impero e i conti di Treviso. In un comune, come quello di Treviso, che segue tardiva­mente nella formazione e nell'evoluzione istituzionale le città • lom­barde ' e le rimanenti della Marca 108, i conti mantennero a lungo pre­rogative più vaste ed essenziali per la funzione pubblica, nonché per il loro prestigio, rispetto ai conti delle altre città della Marca. Basti una sola esemplificazione: ancora nel 1170 il conte Manfredo ammini­strava la giustizia nella sua curia comitis, in città 109. La ripresa po­litica dei conti all'interno del comune avvenne dopo la pace di Co­stanza, in ritardo, dunque, rispetto alla situazione verificatasi negli altri tre comuni della Marca. Il conte Schinella, questa volta con Ez­zelino II da Romano, riassunse il consolato negli anni 1186-1187, mentre il figlio conte Rambaldo divenne podestà negli anni 1188­1190 lIO. In Treviso, nonostante contrasti e turbolenze interne, due fazioni cittadine sono individuabili solo nel secondo decennio del se­colo XIII: poiché conosciamo la composizione di una, quella capeg­giata da Ezzelino da Romano e da numerosi esponenti del ceto signo­rile, ne deduciamo che l'altra doveva fare capo al conte Schinella lIl.

Ma anche in Treviso, nel corso dei primi decenni del secolo XIII, in ritardo nei confronti di Padova, ma con influenze certe provenienti da Padova stessa, prendeva avvio un'attività legislativa diretta a fre­nare i poteri giurisdizionali, e quindi a ridurre il peso politico, dei signori sulle popolazioni del contado 112, finché intorno al 1236 non vennero ripresi, in molti passi significativi, persino alla lettera, al­cuni statuti antimagnatizi padovani, aggiungendo ad essi - sempre sull'esempio padovano - un elenco di magnati, in testa ai quali com­parivano il conte Schinella e il conte Rambaldo, con i loro eredi, se­

108 Castagnetti, Le città cit., pp. 102-103. 109 P. Dotto, Il capitolo dei canonici di Treviso in rapporto all'economia, alla

società, alle istituzioni (104)-118), con appendice di 108 documenti, tesi di laurea dat­tiloscritta, Istituto di Storia medioevale e moderna, Facoltà di Lettere e filosofia, Uni­versità degli studi di Padova, a. ace. 1979-1980, app., n. 60, 1170 settembre 11; dr. Rando, Dall'età cit., p. 63.

lIO G. Biscaro, Il comune di Treviso e i suoi più antichi statuti fino al 1218, «Nuovo archivio veneto », n. ser., 1 (1901), pp. 95-130; 2 (1902), pp. 107-146; 5 (1903), pp. 128-160 (= I, II, III): III, p. 156; Castagnetti, Le città cit., p. 238; Rando, Dall'età cit., p. 63.

III Biscaro, Il comune cit., III, pp. 136 55.; Rando, Dall'età cit., p. 79. i12 Ibid., p. 85.

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guiti subito dai due noti fratelli da Romano, Ezzelino III e Albe­rico 113.

9. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Ritengo ancor valido quanto affermavo nei contributi precedenti, integrati ora dalla considerazione, pur rapida, della famiglia comitale trevigiana, circa la fecondità del metodo comparativo per il consegui­mento di risultati significativi 114. L'illustrazione delle vicende delle famiglie comitali - sostenevo allora permette, per i periodi e i territori considerati, di seguire, a grandi linee, l'evoluzione della di­strettuazione pubblica, dal momento che il quadro territoriale pub­blico periferico, costituito da marche e comitati, non viene meno del tutto fino alla prima epoca comunale, pur perdendo progressivamente di efficacia. Questo è tanto più valido per la Matta Veronese, per la presenza, con intensità diversa secondo i periodi, di un'autorità ducale e marchionale legata più strettamente all'Impero nonché di quella dinastica degli Estensi, le quali mantennero in vigore una tra­~dizione pubblica di strutture territoriali e di esercizio del potere. Anche sotto questo aspetto le famiglie comitali fomirooo, in modo diverso l'una dall'altra e in analogia al ruolo svolto dalle chiese ve­scovili, un 'ponte' di passaggio fra le strutture pubbliche dell'età precomunale e quelle dell'età comunale.

Per quanto concerne gli aspetti dell'evoluzione politica e sociale, che ora più ci interessano, il procedimento della comparazione fra situazioni diverse, anche se vicine geograficamente ed ancor più in­cluse nella stessa circoscrizione pubblica marcbiona1e., mostra la pos­sibilità di esiti differenziati per le città della Matta Veronese, nelle quali, nell'ambito di un'evoluzione generale che coimo1se le città co­munali di un'area più vasta, si svolsero processi evolutivi politici e sociali con caratteri e ritmi particolari, che possono presentarsi di­versi anche sostanzialmente.

113 Gli statuti del comune di Treviso (sec. XIII-XN), a cun. di B. Betto, 2 voll., Roma 1984-1986, p. 539, libro V, posta XXXII: la posta fa pm:U: di un gruppo di statuti, che inizia con la posta XVII, derivati direttamente dagli stlIbIti padovani; rinviamo per la dimostrazione ad un nostro contributo futuro.

114 Castagnetti, I conti cit., p. 9. Anche le osservazioni che seguooo sono in larga parte riprese, a tratti anche alla lettera, dalle osservazioni, c:ooclusive o meno, elaborate nei saggi sulle famiglie comitali della Marca Veronese, e da altre, presenti sparsamente in contributi posteriori.

105 FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE

Sui rapporti delle famiglie comitali con le cittadinanze, prima~ con i comuni cittadini, poi, occorre insistere, a partire dal conflitto fra Impero e Papato, fra XI e XII secolo, quando le cittadinanze~ sotto la protezione e la copertura delle loro chiese vescovili, come a Vicenza e a Padova, o in modi più autonomi, come a Verona, inizia­rono a condurre una politica propria, che si tradusse in un'azione spregiudicata, giungendo esse a stipulare accordi commerciali, fuori del quadro del Regno, a contrarre alleanze politiche, a condurre guerre e a concludere paci: è sufficiente ricordare il trattato stipulato nel­l'anno 1107 da Verona con Venezia, diretto negli aspetti militari e politici contro Padova e Treviso; nella nutrita rappresentanza di cit­tadini veronesi, che si recarono a Venezia per l'occasione, non ap­paiono conti, capitani o altri detentori di forme tradizionali di po­tere 115.

In questo periodo è ravvisabile l'ultimo momento favorevole ad una mobilità dei gruppi signorili, poiché in seguito venne meno la possibilità di realizzare o quanto meno continuare una politica signo­rile tesa alla fondazione su base dinastica di un ampio 'stato' nella pianura padana medio-orientale, mediante lo ' scacco' subito dall'azio­ne dei Canossa, dovuto non solo all'estinzione della famiglia, ma anche ai nuovi soggetti politici rappresentati dalle cittadinanze.

Le antiche famiglie comitali e quelle signorili, che si erano ve­nute affermando dalla seconda metà del secolo XI, si trovarono nel corso di pochi decenni a dover scegliere fra una politica ancora, per cosÌ dire, a largo raggio, ma non più di spostamenti, quale poté ancora essere svolta dai San Bonifacio a Verona, che si destreggiarono fra Impero, Papato e Canossa, finché il conte Alberto giunse a cap() della vassallità matilidica, o anche quella svolta dai conti vicentini, che si appoggiarono all'episcopio padovano e alla Chiesa romana, in­dotti e favoriti da circostanze specifiche, quali il persistere di loro ampie proprietà ed interessi politici nell'area collinare di confine fra i due comitati padovano e vicentino, come in quella della bassa pianura padovana, e dall'ostilità con l'episcopio vicentino, fedele partigian() dell'Impero, ed una politica sempre più ridotta per ambito territoriale, spinte ad identificare i loro interessi patrimoniali e politici con quelli che nello stesso periodo stavano realizzando le comunità cittadine. r gruppi signorili, costretti ormai a sviluppare la loro azione in ambiti

115 Castagnetti, Le città eit., pp. 82-85, con 11!lVI0 alla letteratura precedente; edizione del trattato ibid., app. II, n. 1, 1107 maggio.

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determinati, che venivano sempre più a coincidere con il territorio afferente ad una singola città, dovettero orientarsi, a volte per la ne­cessità stessa di sopravvivenza, in ogni caso quale risultato di una valutazione politica, verso un solo comune: i casi di famiglie comitali e signorili che cercassero di mantenere i legami politici con due città .comunali erano destinati a cessare a causa delle guerre fra le città, motivate prima da interessi prevalentemente commerciali - non se­.condari tuttavia quelli territoriali -, poi sempre più dal fine di con­trollare il proprio territorio, corrispondente grosso lIKX.Io all'antico .comitato o alla diocesi, sotto l'aspetto politico, economico, fiscale e, presupposto di tutti, militare. A tale fine, i comuni iniziarono subito, direttamente o indirettamente, ad allontanare dai • propri' comitati, -dei quali pure non avevano ancora il riconoscimento pieno della giu­risdizione, presenze • straniere', pericolose soprattutto se dotate di poteri signorili su distretti omogenei.

Fin dalla sua prima costituzione apparve evidente che la forza politica del comune cittadino tendeva a sovrastare di gran lunga quella delle singole famiglie signorili, anche delle più potenti. Il .comune aveva a disposizione strumenti sempre più effraci, di cui le seconde non disponevano o disponevano in quantità del tutto insuffi­,dente: le masse ingenti, relativamente all'epoca, di UOIDini che po­tevano essere mobilitate; il controllo di un teuitorio assai vasto, che tendeva a coincidere con quello dell'antico comitato cd anche della -diocesi; la possibilità di attrarre nella propria orbita di influenza, e poi di sottoporre alla propria giurisdizione, le comunità rurali, mag­,giori e minori; la forte spinta espansiva che correva sulle vie delle comunicazioni e, soprattutto, del commercio; la capacità di operare .con piani a lunga scadenza, per l'interesse della città e del territorio, indipendentemente dalle contingenze legate alle singole persone, fami­glie e gruppi; infine, le grandi risorse finanziarie, dovute aDa ricchezza -delle cittadinanze, alle attività del commercio e dell'industria nascente, particolarmente di quella tessile, ed anche agli apparati 6scaJi che via 'via si andavano apprestando, disponibilità essenziali nelle guerre. Ne discende che, se il comune cittadino rappresentava ormai il maggior .centro di potere, necessario, più che opportuno, era acquisirne il con­trollo. Un primo risultato era stato conseguito alla metà del secolo XII .con l'assunzione, da parte di famiglie comitali e di famiglie capitaneali, dell'ufficio di magistrato unico.

Dopo l'esperienza del conflitto con l'Impero e delle leghe inter­.comunali, nuove condizioni politiche e nuove prospettive erano ma­

107 FAMIGLIE COMITALI NELLA MARCA VERONESE

turate. Strumento per il conseguimento della supremazia politica nel comune cittadino divennero le partes, la cui formazione prende avvio nell'ultimo decennio del secolo XII. Anche nei secoli precedenti si erano verificate all'interno delle singole cittadinanze scelte contrastanti di gruppi che aderivano a schieramenti politici contrapposti; accanto ad esse e più di esse vi erano coinvolti i centri di potere tradizionale: dinastie marchionali e comitali, signorie territoriali, fra le quali erano numerose quelle delle chiese vescovili e capitolari e dei monasteri maggiori. La novità e la maggiore asprezza della lotta politica in età comunale - in parte si tratta di un'impressione che va attribuita all'attenzione che i cronisti cittadini dedicano ai conflitti interni ­furono dovute principalmente al fatto che i centri di potere da ( con­quistare' divennero sempre più i comuni cittadini, verso i quali si oirentarono, prima o dopo, tutti gli antichi potentati politici locali, dalle dinastie marchionali e comitali ai maggiori feudatari e ai signori minori. Schieramenti politici opposti, che generarono anche lunghi conflitti armati, sono riscontrabili già nella prima età comunale, ad esempio, nel primo periodo di Federico Barbarossa. La contrapposi­zione tra i cati dominanti non avvenne sulla base delle diverse estra­zioni sociali, ma all'interno di uno stesso ceto; prevalsero obiettivi politici personali, locali e contingenti.

Ciò che, tuttavia, contraddistingue la ripresa più intensa delle lotte intestine fra XII e XIII secolo è il costituirsi dei collegamenti fra città diverse, fenomeno che i cronisti colsero, anche se in modo confuso. Ora sono la volontà e nello stesso tempo la difficoltà, se non l'impossibilità, di prevalere nell'ambito di un singolo comune cittadino, che spingono le partes, che hanno a capo le famiglie più potenti, le quali nei fatti coincidono con le famiglie più antiche, a cercare rapporti e collegamenti con le partes agenti in altre città, come conseguenza, dunque, delle lotte intestine.

Le vie e i modi sui quali corsero i nuovi collegamenti furono i rapporti che le famiglie maggiori già intrattenevano fra loro, più o meno in consonanza alla loro posizione sociale e politica e ad even­tuali legami parentali, nonché alle basi territoriali del loro eventuale potere signorile. In tale prospettiva appare comprensibile, quasi ovvio, che i membri delle famiglie comitali assumessero il ruolo di capi delle partes, precocemente in Verona e in Vicenza, già prima della fine del secolo XII, e poco dopo in Treviso; come diviene comprensibile l'assenza di una pars comitis in Padova, per le ragioni sopra accennate e qui sotto riprese.

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Nella prospettiva delle considerazioni generali esposte, ripercor­riamo alcune tappe fondamentali delle vicende delle singole famiglie comitali, fin da quando, dalla metà del secolo X, l'orientamento dina­stico nella trasmissione dell'ufficio comitale iniziò ad affermarsi nella nostra regione, mentre in tutto il Regno Italico antiche famiglie di , governo' decadevano ed altre subentravano con il favore regio ed imperiale.

Una di queste, non fra le maggiori, fu quella dei San Bonifacio, sulla scia della prestigiosa quanto abile ascesa politica del franco Milone. I discendenti di Milone seppero di volta in volta adeguarsi alle situazioni nuove, modificare le loro mire politiche, fondare il loro potere su basi via via più adatte alle nuove realtà. Perduto l'ufficio dopo la sconfitta di Berengario II, lo riottennero con l'ultimo Ottone, per perderlo nuovamente con Enrico II. Ricomparvero oon Enrico III, in opposizione alla politica canossiana nell'Italia padana. Seppero di­venire alleati anche dei Canossa, quando la forza di questi si presen­tava schiacciante; si schierarono con l'Impero durante la ripresa po­litica di Enrico IV, per poi riavvicinarsi ai Canossa e aDa Ollesa. Resistettero, con fasi alterne, ai tentativi volti a spodestarli della fun­zione comitale come delle basi signorili, antiche e m:enti, del loro potere.

Nella prima età comunale attraversarono periodi di debolezza, do­vuti in parte alla scomparsa, in momenti cruciali, dei membri investiti dell'ufficio. Ma si ripresero: strinsero alleanze oon potenti famiglie locali, capitaneali e signorili; accettarono l'ordinamento comunale, mi­rando a guidarlo e a condizionarlo, giungendo in breve tempo, per due volte, a rivestire la magistratura podestarile. Le forti resistenze opposte alla loro supremazia li condussero ad organizzare una propria pars, nella quale confluirono antichi alleati come antichi avversari, famiglie di estrazione e tradizione cittadine, come famiglie di estrazione e tra­dizione signorili, le quali dai numerosi castelli del contado traevano la forza per condizionare la politica cittadina; seppero nel contempo trovare l'alleanza del più potente dinasta della regione, il marchese estense. Protagonisti, a volte anche vittoriosi, delle lotte di fazione e delle guerre civili nel Duecento, furono ripetutaJnente sconfitti prima da Ezzelino III, poi definitivamente dal comune di • popolo' e dalla signoria scaligera, costretti per sempre all'esilio.

Alla politica di Ottone I verso il ducato di Venezia va attribuito l'inserimento di un membro della famiglia veneziana dei duchi Can­

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diano nei comitati vicentino e padovano. Anche per questi conti l'ac­quisizione precoce di basi di potere signorile nell' ambito dei loro comitati dovette facilitare, in altro e più tardo contesto politico, il ritorno della famiglia all'assunzione dell'ufficio comitale.

Nell'epoca della lotta delle investiture, fra XI e XII secolo, quan­do le circostanze e le modalità delle fondazioni monastiche signorili sug­geriscono, anche in mancanza di altri elementi, l'orientamento politico dei fondatori, il conte vicentino fu protagonista dell'episodio di mag­giore evidenza nella Marca, rappresentato dalla fondazione del mona­stero di S. Maria di Praglia all'inizio del secolo XII.

Proprio in tale periodo noi abbiamo ravvisato il momento in cui il comportamento delle due famiglie comitali, di ascendenza comune, inizia a diversificarsi in relazione, da un lato, ai diversi risultati rag­giunti nell'evoluzione verso forme signorili di esercizio del potere in ambiti locali, dall'altro lato, alla decisa posizione assunta dalle chiese vescovili rispettive e alla correlativa e diversa evoluzione sociale e politica delle cittadinanze, di poco rilievo, a quanto sembra, in Vi­cenza, profonda e gravida di sviluppi futuri in Padova: mentre nella prima città continuano a porsi come ceto dominante le famiglie signo­rili, all'ombra del vescovo e del conte, delineando già, forse, una con­trapposizione interna futura fra la pars episcopi o dei da Vivaro e la pors comitis, appunto, nella seconda città, modesta e senza un seguito ampio l'influenza del conte, viene a formarsi un ceto dirigente di estra­zione cittadina sotto la protezione politica attiva dell'episcopio rifor­mato. Ne consegue la diversa intensità di inserimento delle due fami­glie nella vita politica delle città e dei comitati.

Dimostratosi non duraturo il tentativo di porsi a capo stabilmente del governo comunale, anche se ripreso sporadicamente, la famiglia comitale padovana venne a trovarsi in una posizione di debolezza ef­fettiva, più grave di quella in cui si trovavano altre famiglie comitali di città vicine, quella veronese, ad esempio, e quella vicentina, poiché queste disponevano da lungo tempo di importanti e numerose basi di potere nel contado, appoggiate saldamente sui castelli, posseduti in propiro o in beneficio, che permettevano a loro di condurre una poli­tica autonoma e a volte spregiudicata nei confronti delle città comunali.

I conti padovani rimasero legati prevalentemente alla città: quan­do, all'inizio del Duecento, il ceto dirigente cittadino avviò un'attività legislativa antimagnatizia, che assunse progressivamente maggiore in­cisività, essi furono inclusi fra i magnati, ma nel contempo la loro azione politica fu avvertita dai contemporanei come distinta da quella

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dei signori, tesa non tanto a perseguire fini individuali di dominio, ma attenta all'interesse pubblico.

Diversa la vicenda dei conti vicentini. Potenti, ancora nel secolo XIII, per ricchezza ed ancor più per diritti di giurisdizione su villaggi e castelli numerosi, a capo, dalla fine del secolo XII, di una delle due fazioni cittadine, essi poterono operare attivamente sul piano politico in una città che non aveva espresso, pur 'guidata' dalla chiesa ve­scovile, un ceto dirigente che avesse connotati prevalentemente citta­dini. I giudici vicentini, che appaiono nel governo comunale, non svolsero una politica differente da quella del ceto signorile, anzi pro­prio i più noti fra loro ne accettarono e propugnarono le direttive politiche e, ancor più, ne sposarono il costume fazioso. I tentativi, spo­radici e non organicamente concepiti e sorretti, di governo 'popolare' naufragarono precocemente: la città e il suo territorio divennero ter­reno degli scontri intestini e delle guerre, interne ed esterne, condotte dalla famiglia comitale, pur in certi momenti divisa in campi avversi, e da quelle signorili, in lotta acerrima fra loro e mutevolissime negli schieramenti, e dai più potenti vicini comuni cittadini, Verona e Pa­dova, sotto la cui protezione o soggezione Vicenza si trovò di fatto sempre più dalla fine del secolo XII, per cadere anch"essa sotto il do­minio ezzeliniano.

I conti di Treviso furono seguaci fedeli dell'Impero, ricevendo numerosi privilegi, fino al primo periodo del conflitto con il Papato. Solo verso l'ultimo decennio del secolo XI essi passarono decisamente dalla parte filoromana e riformatrice, una scelta contraria a tutta la loro tradizione, ma alla quale aderirono con tanta forza che vennero puniti duramente dall'imperatore.

Appartati dalla scena politica nelle vicende tw:bolcnte della metà del secolo, tornarono protagonisti nei primi anni di vita del comune, assumendo dapprima il consolato, più tardi la podesteria. Ma anche in Treviso, l'accelerazione, da un lato, dell'evoluzione istituzionale ve­rificatasi certamente a partire dal penultimo decennio del secolo XII, l'inserimento sempre più accentuato, dall'altro lato, nell'organismo co­munale delle forze signorili tradizionali, spinsero o contribuirono a spingere i conti a porsi a capo di una propria pars, che non fu in grado di resistere all'affermazione della pars dei da Romano, che era costi­tuita, si noti, in proporzioni più accentuate, di elementi di estrazione signorile. L'affermazione progressiva dei ceti che possiamo, generica­mente ed ante litteram definire' popolari " portò, per breve tempo, invero, all'elaborazione, sotto diretta influenza padovana, di una le­

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gislazione antimagnatizia, nella quale conti e grandi signori, da Ro­mano in testa, furono compresi. Subito dopo inizia l'esperienza presi­gnorile di Alberico da Romano.

Un'ultima osservazione, anzi un'avvertenza, prima di concludere. Non vorrei, avendo delineato sommariamente vicende di famiglie ed evoluzione sociale, politica ed istituzionale, avere dato l'impressione di prospettare una continuità sostanziale di dominio o di predominio delle forze signorili e feudali, fra le quali possiamo porre, sotto l'aspetto generico, anche le famiglie comitali, che si sarebbe esercitato, oltre che sulle campagne, anche sulle città, dall'età postcarolingia alla piena età comunale e, persino, ai primi esperimenti di signorie cittadine: poiché è noto che proprio nella Marca, Trevigiana ora e non più Vero­nese 116, le signorie trecentesche furono rappresentate, in due casi su tre, da famiglie di tradizione signorile e feudale 117. Protagoniste prin­cipali furono, invece, le cittadinanze, soprattutto dopo la loro orga­nizzazione in comune: senza i comuni cittadini, ribadiamo, anche le famiglie più potenti, dai marchesi estensi alle famiglie comitali, a quelle signorili e feudali, da Romano, da Camino e da Carrara com­presi, sarebbero rimaste 'confinate' in esperienze politiche locali e contingenti. Prova indiretta è costituita proprio dalla vicenda di una famiglia di esclusiva ed antica tradizione cittadina, i della Scala 118,

i quali, con l'appoggio del comune 'popolare', divennero signori di Verona e poi di tutta la Marca Trevigiana, apparendo, di fronte ai contemporanei, i continuatori della politica di Ezzelino III.

116 Ibid., pp. 29 55.

117 Castagnetti, La Marca Veronese-Trevigiana (secoli I-XN), Torino 1986, pp. 134-135.

118 Per la definizione dei della Scala prospettata nel testo si veda ibid., p. 115.