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L'ospite inatteso. L'approccio ericksoniano al paziente con stile di personalità narcisistico. di Flavio G. Di Leone e Mario Marazzi * * * Abstract: Diagnosis by categories is known as insufficient to lead psychotherapeutic work with personality disorder. From this starting point, authors have tried to narrow and identify the salient dimensions underpinning the narcisistic spectrum, the Unexpected Guest of many therapies. Our goal is to provide a reading key by which measure and assess patients' features in order to allow therapists to maintain essential human contact rather than only apply techniques. Keyword: Hypnosis, Narcisistic Personality Disorder, Narcisistic Spectrum, Indirect approach. Riassunto: Trascurando l'ottica categoriale, notoriamente inadatta a guidare il lavoro psicoterapico, gli autori hanno tentato di rilevare le dimensioni lungo le quali si articola lo stile narcisistico di personalità che così spesso si impone quale Ospite Inatteso nelle terapie ipnotiche. L'obiettivo è quello di costruire una chiave di lettura che permetta di riconoscere e valutare gli aspetti peculiari di tali pazienti al fine di aiutare il terapeuta ericksoniano a comprenderne la sofferenza e a prestare un contatto umano con il paziente piuttosto che applicare semplicemente delle tecniche. Parole chiave: Ipnosi, Disturbo di Personalità Narcisistico, Spettro Narcisistico, Approccio Indiretto. Può capitare che una psicoterapia ipnotica correttamente impostata in termini di utilizzazione e ben eseguita sul piano tecnico non sia del tutto efficace. Comunemente in questi casi, gli obiettivi divengono fumosi con il proseguire della terapia, il cambiamento si fa vischioso e il lavoro sembra allontanarsi sempre più dalle intenzioni del terapeuta. Prima delle sedute gli psicoterapeuti coinvolti in tali dinamiche solitamente dichiarano di provare qualcosa di molto simile ad ansia da prestazione. La terapia assomiglia sempre più a una prova di forza o meglio, a lungo andare, a uno sterile tentativo di salvare la faccia. Il paziente sembra “rifiutarsi di migliorare”: critica, elude o esegue solo in parte le prescrizioni che aveva concordato in seduta, cambia spesso opinione sui risultati raggiunti, avanza dei dubbi Medico, Società Italiana di Ipnosi, [email protected] * * Psicologo Psicoterapeuta, Coordinatore didattico Scuola Italiana Ipnosi e * Psicoterapia Ericksoniana, Società Italiana di Ipnosi.

L'ospite inatteso. L'approccio ericksoniano al paziente con stile di personalità narcisistico

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L'ospite inatteso. L'approccio ericksoniano al paziente con stile di personalità narcisistico.

di Flavio G. Di Leone e Mario Marazzi * * *

Abstract: Diagnosis by categories is known as insufficient to lead psychotherapeutic work with personality disorder. From this starting point, authors have tried to narrow and identify the salient dimensions underpinning the narcisistic spectrum, the Unexpected Guest of many therapies. Our goal is to provide a reading key by which measure and assess patients' features in order to allow therapists to maintain essential human contact rather than only apply techniques.

Keyword: Hypnosis, Narcisistic Personality Disorder, Narcisistic Spectrum, Indirect approach.

Riassunto: Trascurando l'ottica categoriale, notoriamente inadatta a guidare il lavoro psicoterapico, gli autori hanno tentato di rilevare le dimensioni lungo le quali si articola lo stile narcisistico di personalità che così spesso si impone quale Ospite Inatteso nelle terapie ipnotiche. L'obiettivo è quello di costruire una chiave di lettura che permetta di riconoscere e valutare gli aspetti peculiari di tali pazienti al fine di aiutare il terapeuta ericksoniano a comprenderne la sofferenza e a prestare un contatto umano con il paziente piuttosto che applicare semplicemente delle tecniche.

Parole chiave: Ipnosi, Disturbo di Personalità Narcisistico, Spettro Narcisistico, Approccio Indiretto.

Può capitare che una psicoterapia ipnotica correttamente impostata in termini di utilizzazione e ben eseguita sul piano tecnico non sia del tutto efficace. Comunemente in questi casi, gli obiettivi divengono fumosi con il proseguire della terapia, il cambiamento si fa vischioso e il lavoro sembra allontanarsi sempre più dalle intenzioni del terapeuta. Prima delle sedute gli psicoterapeuti coinvolti in tali dinamiche solitamente dichiarano di provare qualcosa di molto simile ad ansia da prestazione. La terapia assomiglia sempre più a una prova di forza o meglio, a lungo andare, a uno sterile tentativo di salvare la faccia. Il paziente sembra “rifiutarsi di migliorare”: critica, elude o esegue solo in parte le prescrizioni che aveva concordato in seduta, cambia spesso opinione sui risultati raggiunti, avanza dei dubbi

Medico, Società Italiana di Ipnosi, [email protected]*

* Psicologo Psicoterapeuta, Coordinatore didattico Scuola Italiana Ipnosi e *

Psicoterapia Ericksoniana, Società Italiana di Ipnosi.

circa il metodo ipnotico. Eppure, la contagiosa insofferenza che provano nei confronti della terapia non è sufficiente a spingerli ad abbandonarla e così il terapeuta, sostenuto dalla pertinace disponibilità del suo cliente, si ritrova impigliato in un'impresa donchisciottesca di cui il paziente finisce per diventare uno spettatore, un Sancho Panza scettico e sardonico.

Dalla disamina della casistica personale degli autori, cosi come di quella emersa nel corso di una attività decennale di supervisione, è emerso come alcune caratteristiche peculiari possano essere riconosciute in questa categoria di pazienti “difficili”:

− una pervasiva distanza emozionale che rende spesso poco partecipabile la posizione affettiva del paziente nei confronti delle sue esperienze;

− una profonda sensazione di imbarazzo e diffidenza che accompagna e spesso confonde la richiesta di aiuto da parte del paziente;

− la sensazione, da parte del terapeuta, di essere attaccato o messo in discussione nel suo ruolo.

A ben vedere, queste peculiarità sono comuni a quel complesso di schemi di pensiero e comportamento noto come stile narcisistico. Con il termine stile narcisistico non intendiamo riferirci allo stile relazionale dei soggetti affetti da Disturbo di Personalità Narcisistico (APA, 2004). Il DP narcisistico è solo un frammento di un concetto più ampio, la riduzione comportamentale di un complesso stile di vita che può presentare numerose declinazioni, anche non patologiche. È noto che la diagnosi di DP Narcisistico sia oggetto di un acceso dibattito: la mancata validazione dei criteri diagnostici e di concordanza con le altre diagnosi, rende opinabile e incerta la diagnostica differenziale (Dhawan et al., 2010) . Johnson (1987) 1

parla di uno spettro narcisistico, trasversale al cluster B e, più in generale, a tutte le personalità: a un estremo riconosciamo individui con fragili confini del sé, scarso senso del proprio valore e sviluppo psichico più primitivo; all'altro estremo, individui con una adeguata integrazione del sé, confini solidi e maggiore stabilità nella propria autostima. In questo ultimo gruppo, i pazienti narcisistici tenderebbero a sviluppare sintomi appartenenti all'area nevrotica mentre i primi tenderebbero a sviluppare stintomi appartenenti a quella psicotica.

In questo lavoro, è nostra intenzione concentrarci sulla disamina di questi aspetti formali con il preciso obiettivo di definire un costrutto che sia, da un lato, paradigma di uno stile di pensiero e di comportamento

Il dibattito è arrivato al punto da spingere alcuni revisori della V edizione del 1

DSM a proporre di non contemplare il narcisismo trai disturbi di personalità codificati e di declassarlo tra gli “altri disturbi specifici della personalità”, secondo il criterio già adottato dal Sistema di Classificazione Internazionale ICD (OMS, 2001).

proprio a una precisa categoria di pazienti e, dall'altro, principio esplicativo di una peculiare dinamica terapeuta-paziente. Sotto la definizione di Ospite Inatteso è nostra intenzione raccogliere le evidenze proprie di uno specifico stile relazionale in grado di incidere prepotentemente sugli esiti della psicoterapia. Lo stile narcisistico non è un problema, un disturbo, una presenza fastidiosa da rimuovere. Non viene trascinato in seduta dal paziente, non è prigioniero né intruso. Entra dalla porta principale, non ha bisogno di nascondersi perché capita di rado che venga notato. È quel terzo incomodo, è l'Ospite che resta nell'ombra, presenza influente e tenace, silenzioso e poco appariscente ma anche orgoglioso e irascibile. Non traspare nella richiesta del paziente, va cercato nelle pieghe della sua storia, in particolare in quegli angoli bui, prudentemente evitati, dove egli ha celato le prove dei suoi fallimenti. Il paziente lo porta con sé proprio perché ne sia il guardiano e proprio quando il terapeuta proverà a farsi avanti per esplorarli, magari inconsapevolmente, l'Ospite Inatteso si metterà in mezzo, insinuandosi nella diade terapeutica e minando la relazione e compromettendo il processo di cambiamento. Se il terapeuta non lo accoglie, non lo riceve in terapia con le dovute attenzioni, l’Ospite dispone dei mezzi per intralciare, danneggiare e finanche sabotare la terapia.

A questo scopo, nella prima parte del lavoro ci concentreremo sugli aspetti formali che permettono di riconoscere la presenza dell'Ospite Inatteso in terapia e, successivamente, ci dedicheremo all'indagine dei suoi peculiari stili di pensiero e comportamento, con particolare attenzione alle dimensioni fenomenologiche lungo le quali questo stile si esprime. In fine, partendo dalle difficoltà più comuni che il terapeuta ericksoniano può incontrare in questi casi, illustreremo come tale costrutto può incrementare l'efficacia della psicoterapia ipnotica per gli Ospiti Inattesi.

L'Ospite Inatteso: fare le presentazioni

Riconoscere una declinazione patologia in uno stile relazionale rappre-senta una sfida, specialmente se tale valutazione ha come scopo quello di guidare un intervento atto a modificarlo indirettamente. Gli autori di marca psicoanalitica sono i principali ricercatori in questo campo (Freud, 1914; Green, 1992; Klein, 1957; Kout, 1971, 1987; Kernberg 1975, 1984; Bergeret, 1974; Manca, 2010).

Siccome la psicoterapia ericksoniana manca di una metodologia in grado di riconoscere l'Ospite Inatteso, siamo ricorsi a una descrizione per dimensioni psicopatologiche. Essa permette di ricorrere alla comprensione eidetica – eticamente, se non epistemologicamente, connaturata anche nell'insegnamento di Erickson – senza al contempo dimenticare lo scopo di tale comprensione, la cura, che il metodo fenomenologico puro solitamente

ignora (Blankenburg, 1971). Le dimensioni psicopatologiche studiate per il disturbo narcisistico di personalità sono la spazialità, la temporalità, la corporeità e l'intersoggettività.

Spazialità: Lo spazio è per il narcisista il mio spazio. Certo è che l'individuo possegga un suo spazio che non si limita solo al confine epidermico ma che si estende fino a dove egli creda di potersi spingere. Il proprio spazio termina dunque laddove inizia lo spazio dell'altro che lo delimita con il proprio essere. Il narcisista, sempre in difficoltà nel riconoscere la dimensione vitale dell'altro, invade sia fisicamente che mentalmente lo spazio vissuto di chi lo circonda: tocca, usa cose non sue, parla ad alta voce, pone domande inopportune. Questo atteggiamento, che a prima vista può apparire malevolo, è invece frutto di una curiosità, spesso morbosa, che il narcisista prova nei confronti di ciò che c'è al di fuori di lui e del bisogno di possedere, con il tatto o con il pensiero tutto ciò che entra nel suo campo di azione. Il confine del suo spazio è il limite del suo sguardo. Nei pazienti con tratti narcisistici, tale fenomeno può restare del tutto intrapsichico, inespresso, e manifestarsi solo come una puntigliosa aderenza alle regole sociali, mentre nei casi in cui sia presente un funzionamento meno maturo è possibile che esso determini delle serie complicazioni nell'ambito relazionale. La costruzione della giusta distanza in un rapporto, di una prossimità interpersonale stabile ed allo stesso tempo flessibile, è essenziale non solo per permettere all'altro di giovare della nostra presenza ma dimostra anche uno stabile senso dell'essere qui. Il narcisista è quindi spesso solo tra la folla, isolato dentro uno spazio tutto suo dal quale gli altri cercano di fuggire per ritrovare il loro.

Temporalità: Per Bruno Callieri, lo spazio è prolegomeno del tempo: senza lo spazio non può esserci alcun tempo concepibile. Il tempo del narcisista, così come lo spazio, è il “mio” tempo. Egli scandisce le proprie giornate in base ai propri impegni e pretende che gli altri partecipino a questi ritmi. Egli offre dei ritagli di tempo, non una condivisione. Heidegger, riferendosi all'incontro, dice che “non è più il tempo dell'Io ma il tempo del Noi” (1927). Tuttavia, il narcisista manca del “senso del noi” che si esprime come condivisione di intenti oltre che di spazialità e temporalità. Il tempo è un competitore, un nemico che si oppone, scorrendo, alla realizzazione delle aspettative e mina le fondamenta della grandiosità narcisistica. Il presente è mera transizione, semplice premessa al futuro. Il tempo non è più un intreccio ordinato di momenti sequenziali e delle esperienze che li collegano bensì una rampa in salita perennemente inclinata lungo la quale non è lecito allentare la tensione, a meno che non si voglia cadere e tornare al punto di partenza. Tale percezione del tempo differisce dalla disgregazione del tempo vissuto propria della psicosi, “l'eterno presente” (Borgna, 1995), e dalla “dissolvenza del futuro” tipica della depressione (Borgna, 1992). È condivisa invece da pressoché tutti i

pazienti con una organizzazione di personalità di tipo nevrotico: il passato è fumoso, il presente incerto, il futuro rappresenta l'unica speranza. Ciò rende ragione della descrizione del tempo come contenitore di azioni riportata da questi pazienti e del vissuto di precarietà che esperiscono durante i passaggi di fase vitale. La crisi di mezza età è l'immagine del tempo vissuto del narcisista, sospeso tra aspettative irrealizzabili e frustrazioni inevitabili.

Corporeità: Il corpo è un'unità complessa, ovvero un integrato di due parti indipendenti: il corpo vissuto e mondanizzato e il corpo anatomico o compagine somatica (rispettivamente il Leib e il Korper degli psicopatologi tedeschi). La fusione di questi elementi attraverso i vissuti da origine a quella “esistenza incarnata” tanto cara a Bruno Callieri (2007). Nel narcisismo, l'esperienza di spazialità allargata che abbiamo descritto in precedenza, non si accompagna ad una alterata permeabilità del confine corporeo come accade nella psicosi. Tuttavia, l'integrazione dell'elemento somatico e di quello mondano non è completa: il corpo è vissuto come un ulteriore mio oggetto, investito delle aspettative e delle prospettive. Il rapporto Io-corpo-mondo, dotato di una intrinseca naturalità e spontaneità, diviene invece artificiale, un procedimento di manipolazione attuato per mezzo del corpo allo scopo di stabilire un possesso sugli oggetti e sugli altri da parte della mente. Il corpo diviene un oggetto da mostrare, da vendere e attraverso il quale ottenere gratificazioni. Questa esperienza della corporeità diventa evidente nelle relazioni sessuali del narcisista. Il rapporto sessuale diviene contenitore di tutte le sue ambivalenze lasciando, da una parte, libero sfogo ai vissuti di collera e frustrazione che non è in grado di esprimere in altro modo, e dall'altra lo investe di una forte ansia da prestazione. Trasformando il rapporto sessuale in una competizione, egli non riesce ad ottenere quella gratificazione che desidera proprio perché inquinata dalla sua stessa convinzione di un prossimo fallimento. Il corpo dell'altro è strumento di soddisfacimento di bisogni e il proprio è vetrina delle proprie ambizioni.

Inter-soggettività: Per quando il narcisista non presenti difficoltà nel mettersi in relazione con gli altri, egli rimane sempre ad un livello superficiale. Ciò non significa che non condivida aspetti profondi della propria esperienza o non sia in grado di instaurare un clima di intimità, più che altro, il narcisista “naviga a vista”. Si resta nel campo affettivo di questi individui solo se si partecipa del loro campo di interessi, del loro spazio di azione, del loro campo visivo. Proprio per questa profondità apparente, il narcisista resta spesso sorpreso quando viene accusato di freddezza, di superficialità e di indifferenza e non può, nel contesto della terapia, riportare con adeguata oggettività questo aspetto disfunzionale. I familiari e il partner, se interrogati, descriveranno una profonda diffidenza nei confronti del soggetto frutto del suo cinismo, della sua pragmaticità e della sua incapacità di riconoscere i bisogni di chi ha accanto. Comunemente il

narcisista è un sostenitore della “politica del fare”: i problemi si risolvono facendo ciò che è necessario per risolverli. Scendendo nel dettaglio, il narcisista possiede una adeguata definizione di sé, un completo senso della meità e della ipseità. Sul piano dell'alterità, al contrario, non è in grado di porsi con l'altro in una dimensione di reale riconoscimento e condivisione. Lo riconosce in quanto oggetto diverso da sé ma non riesce a “comprenderlo al di là dell'apparenza”. Ciò nasce da una incapacità di creare delle rappresentazioni realistiche del vissuto dell'altro, ovvero non riesce ad afferrarne intuitivamente le intenzioni e i pensieri. Il narcisista può dunque trarre una sola conclusione: l'altro non ha pensieri, non ha bisogni, al di là di quelli che esprime volontariamente e che ogni comportamento non spiegato sia un evidente segnale per lui. Si tratta del fallimento di quell'apprendimento per imitazione che dà il fondamento a tutta la teoria dell'intersoggettività basata sui neuroni specchio (Gallese, 2007).

Vergogna, empatia e autostima: il Circuito del Narcisismo

In termini psicopatologici, è possibile riconoscere nel paziente narcisista una evidente scissione tra l'Io reale e l'Io ideale. L'io ideale è una rappre2 -sentazione dell'Io in condizioni di onnipotenza e grandiosità, è l'insieme di fantasie e di desideri, spesso infantili e irrealistici. L'Io reale rappresenta l'insieme dei limiti, delle incertezze e dei fallimenti: il vaso di Pandora del-le paure narcisistiche. Il narcisista prova una tensione rabbiosa tra questi due estremi e l'identificazione con l'uno o con l'altro rappresenta l'aspetto più significativo sul piano clinico. Questa ambivalenza rende ragione del disagio che si prova nel mettersi in relazione con questi pazienti, nel timore – spesso più che fondato – di essere fraintesi, di non essere in grado di co-gliere intuitivamente tutti i livelli di comunicazione. Ciò accade perché il narcisista dubita sempre della genuinità delle sue azioni, sa di esserci e si riconosce in se stesso ma non si fida di se stesso. In altre parole, possiamo ammettere che il narcisista possiede un sé integro e coeso, frutto di una cor-retta percezione di sé, che mancanza però di una reale consapevolezza di sé. Questa consapevolezza, intesa in termini di conoscenza di sé, si svilup-pa nell'uomo attraverso delle profonde e intime relazioni affettive. Attraver-so di esse, l'individuo apprende a riconoscere la qualità delle relazioni sulla base della consonanza affettiva che si instaura tra gli individui che la condi-vidono. Un corretto apprendimento inconscio di queste modalità relazionali permette di focalizzarsi sugli stati mentali propri e altrui e dare delle spie-

In questo contesto, il termine 'Io' è utilizzato nel senso psicopatologico di identità, di 2

struttura complessiva di personalità, e non nel significato di istanza psichica.

gazioni al comportamento. Fonagy descrive questo fenomeno come menta-lizzazione (2000).

Come è stato già detto, il fondamento della patologia non è in loro stessi ma tra loro e gli altri. Il difetto non riguarda quindi la mentalizzazione in senso stretto ma piuttosto il modo in cui l'empatia, derivata dei processi di mentalizzazione, si integra con le altre funzioni intuitive ed autonome del-l'individuo.

Una adeguata capacità empatica consente di sviluppare relazioni suffi-cientemente profonde da poter essere “prevedibili”. Non si tratta solo della capacità di sentire le emozioni degli altri ma anche di costruire una rappre-sentazione realistica delle intenzioni e delle aspettative che tali esperienze affettive mettono in moto. Ciò permette all'individuo di consolidare un sen-so di autostima basato sulle proprie capacità di relazione e quindi di tollera-re le frustrazioni che derivano dai fallimenti relazionali. Questi fallimenti evocano, a livello emozionale, l'esperienza della vergogna che, a differenza del senso di colpa, è un'emozione interpersonale in quanto richiede oltre al-l'autoconsapevolezza anche il giudizio ed il confronto con gli altri (White, 1977). Mentre il senso di colpa ci allerta di una possibile violazione dei no-stri valori, la vergogna ci allerta della possibile violazione di quelli degli al-tri. Essa svolge dunque la funzione di controllo sull'autostima e permette di conoscersi attraverso ciò che si è per gli altri. Quando, però, l'individuo non è in grado di riconoscere e gestire la natura interpersonale della vergogna, si verifica una profonda lacerazione del senso di autostima: ci si sente nudi, immobilizzati, invasi, e la vergogna diviene umiliazione (Battacchi, 2002). Il narcisista, quando viene “smascherato” prova una profonda collera, un'angoscia diffusa e può andare in contro a gravi regressioni, fino anche psicotiche. In altre parole, il circuito del narcisismo vergogna-empatia-autostima diviene sempre più stretto: l'eccessiva fragilità dell'autostima non permette di elaborare la vergogna e l'umiliazione che divengono spropositate tanto da limitare le capacità empatiche che, coartandosi, a loro volta mutilano l'autostima. Kernberg (1984) scrive: “Uno sviluppo anormale dell'amore per il sé coesiste con uno sviluppo anormale dell'amore per gli altri”. In un’ottica di reciprocità, possiamo affermare che è vero anche il contrario.

Ospite, non Intruso

Una volta riconosciuto dalla storia del paziente la presenza dell'Ospite Inatteso, il compito del terapeuta diventa quello di comprendere in che modo lo stile narcisistico si articoli con il corteo sintomatologico per il quale il paziente chiede la cura.

Nonostante le evidenti differenze epistemologiche e metodologiche, tutti gli autori che si sono occupati di narcisismo hanno identificato una conni-

venza, apparentemente paradossale, tra grandiosità e vulnerabilità. Un con-flitto motivazionale di questo tipo può avere solo due espressioni comporta-mentali. Il soggetto può tentare di impressionare gli altri, ricercando at-tenzioni e ammirazione ma rischiando tuttavia di incorrere nella disappro-vazione, oppure può tentare di passare inosservato, evitando di mettersi in mostra e studiando attentamente ciò che lo circonda senza però coinvolgersi in nulla. Rosenfield (1987), riferendosi a queste due modalità comportamentali, ha suggerito le espressioni di narcisista a pelle spessa e pelle sottile. Di maggiore diffusione sono state le diciture overt e discovert di Cooper e Ronningstam, (1992) e, ancor più, quelle di narcisista in-consapevole e narcisista ipervigile di Gabbard (2000). Tutti gli autori sono concordi nel considerare questi due stili narcisistici, illustrati nel dettaglio in tabella 1, come aspetti diversi ma complementari. Il riconoscimento delle peculiarità di ciascuno è strumento irrinunciabile allo scopo di impostare una solida alleanza terapeutica.

Tabella 1. Differenze tra Narcisimo Covert e Overt (tratto da Cooper, 1992)

Abbiamo già descritto come il paziente narcisista viva in funzione della vergogna e orienti la propria esistenza allo scopo di evitarne disperatamente ogni fonte. I sintomi, in questi pazienti, possiedono un valore protettivo nei confronti delle fonti di umiliazione (Kernis e al., 2008). Distinguiamo, quindi, due fenomeni psicopatogenetici per il paziente naricisista:

La Ferita Narcisistica. Un fallimento, reale o percepito come tale, svaluta le aspettative grandiose. Così come l'aspettativa, anche il fallimento è grandioso e irrealistico, vissuto come totale ed irreparabile, e così come hanno la pretesa di meritare attenzioni e rispetto in caso di successo, sono convinti di non meritare più nulla in caso di fallimento. Non di rado, mettono in atto tentativi di suicidio molto complessi, impressionistici e carichi di violenza. I pazienti che sviluppano sintomi depressivi (dalla

Tipo Overt Tipo Covert

Concetto di sé

Grandiosità. Il soggetto è assorbito da fantasie di successo, ha un immotivato senso di unicità, sente che t u t t o g l i è d o v u t o e d è s o l o apparentemente autosufficiente.

Inferiorità. Il soggetto ha dubbi conti-nui su se stesso e il proprio valore, si ver-gogna facilmente, si sente fragile ma sottilmente ricerca gloria e potere. È ipersensibile alle critiche e alle difficoltà causate dalla realtà.

Relazioni interpersonali

R e l a z i o n i n u m e r o s e m a superficiali , intenso bisogno di approvazione, disprezzo per gli altri, spesso mascherato da pseudoumiltà, mancanza di empatia, incapacità di partecipare in modo genuino ad attività di gruppo; nella vita familiare tende a dare più valore ai figlie che al partner

Incapacità di dipendere in modo geni-no e di fidarsi degli altri, invidia cronica dei talenti, dei beni materiali e delle capacità di avere relazioni oggettuali profonde, mancanza di rispetto per il tempo altrui

depressione psicotica agli equivalenti) appartengono tipicamente a questo gruppo.

L'Autismo Narcisistico. L'intensità dei vissuti di umiliazione è tale da spingere all'isolamento. Per timore, reale o immaginario, del giudizio tendono ad evitare qualsia situazione di confronto: non condividono le proprie esperienze con gli altri, non parlano delle proprie capacità e tendono a limitare l'espressione delle emozioni fino a quando non si sentono sicuri dell'opinione degli altri nei loro confronti. “Io devo essere sicuro di essere amato da tutti, così da poter pensare a me stesso”, disse un paziente. Come abbiamo già detto, il paziente narcisista non è solo ma si isola degli altri. I pazienti con vistosi sintomi di ansia sociale, disturbi ossessivi, ritiro sociale appartengono a questo gruppo. Sono riconoscibili dall'uso spesso violento che fanno del vantaggio secondario che traggono dalla loro condizione.

Sebbene questi due fenomeni si verifichino con maggiore frequenza ri-spettivamente nel narcisista overt (o manifesto) e covert (o ipervigile), non è difficile osservarli ripetersi ciclicamente nello stesso individuo che falli-sce, si deprime, si ritira, sposta le sue colpe all'esterno per poi ricominciare da capo. La frequenza con cui si ripete questo ciclo è solitamente l'indice più affidabile della gravità del disturbo narcisistico, dell'ingerenza dell'Ospite nell'agire quotidiano del paziente.

Strategie e tecniche per una psicoterapia ericksoniana del narcisismo

È essenziale chiarire sin dal principio che l’Ospite non è in seduta per farsi curare. Qualsiasi attenzione rivoltagli direttamente non avrà altro risultato che quello di indurlo alla fuga, trascinando con se il malcapitato paziente. Lo psicoterapeuta ericksoniano deve immaginarlo in piedi, accanto alla porta, suggeritore a cui il paziente si appella nei momenti di difficoltà, illudendolo di poterlo proteggere da ogni forma di l'umiliazione.

Come già detto, l’Ospite è il problema, non il sintomo. Ciò significa che l’obiettivo della terapia non è scacciarlo ma piuttosto permettere al paziente di sperimentare e apprendere una modalità relazionale grazie alla quale l’Ospite sia superfluo. Il contratto terapeutico deve vertere sulle richieste del paziente e occuparsi solo implicitamente dell’Ospite. Il lavoro implicito verterà sulla ricostruzione di apprendimenti inconsci sottesi al Circuito del Narcisismo, vergogna-empatia-autostima. Se si avrà successo, si assisterà al consolidamento di un narcisismo normale (Kernberg, 1975) in cui egocentrismo e investimento emotivo sugli altri si bilancino a tal punto da consentire relazioni soddisfacenti e stabilità affettiva a fronte di uno stile personale sostanzialmente invariato.

La letteratura internazionale circa la psicoterapia ipnotica del narcisismo

è povera e costituita di materiale aneddotico. In particolare, la natura psico-dinamica del costrutto ha indotto molti autori ad adoperare un modello ipnotico tradizionale-direttivo e a focalizzarsi sui processi ipnodinamici. Su questa base teorica si sviluppa il lavoro di John G. Watkins riguardo la terapia degli stati dell'Io (1997), della quale Shirley McNeal (2007) ha illustrato l’applicazione al narcisismo. Questo approccio, che considera nu-cleare la mancata integrazione tra elementi dell'Io, non rappresenta una no-vità per l'ipnosi ericksoniana. Ne L'Uomo di Febbraio (1992), Milton Erickson ristruttura l'identità della paziente prima potenziando e poi risol-vendo una frammentazione dell'Io. Tuttavia, nel caso specifico del narcisi-smo, la scissione Io ideale – Io reale non è il frutto di un fenomeno trauma-tico ma piuttosto il prodotto finale di un processo fallimentare di apprendi-menti empatici (Klein, 1957). L'ipnosi non può quindi limitarsi a riunire ciò che questo fallimento ha separato ma deve mirare alle leve che hanno agito tale separazione. L'intervento ipnotico sul narcisismo avrà pertanto un duplice obiettivo. Da un lato, permettere al paziente, attraverso le proprietà peculiari del rapport ipnotico, una sperimentazione partecipata delle proprie capacità empatiche, da l'altro, ristabilire un uso fisiologico e funzionale della vergogna attraverso il ridimensionamento delle aspettative.

Costruire l'alleanza terapeutica: competere e non sfidare. L'Ospite Inatteso è spesso indiscreto, così inviti a prendere qualcosa al bar insieme, commenti sul vestiario o sull'arredamento dello studio, domande sulla propria età, sulle competenze oppure sul proprio privato, sono all'ordine del giorno. La distanza, intesa in senso prossemico, affettivo e cognitivo, inserisce ogni rapporto umano all'interno di confini concentrici che dall'intimità portano all'indifferenza (Loriedo, 2000). Come abbiamo già visto, il paziente narcisista non sa interpretare correttamente la distanza e la sua spazialità e corporeità sono strumenti di manipolazione piuttosto che di esplorazione. Ciò rende ragione delle difficoltà espresse da psicoterapeuti di diversi orientamenti nella gestione di questi pazienti.

Un paziente era solito anticipare il terapeuta a inizio seduta chiedendo con aria sorniona: “Come va?”. “Mi fa piacere che si interessi di me, che si preoccupi per me” oppure, dopo una breve risposta non necessariamente di convenevoli, “ora credo sia il mio turno: come sta?” sono risposte che privano il tentativo di ribaltare i ruoli del suo connotato svalutante e lo riconducono a un vissuto affettivo. Questo riavvicinamento alla dimensione interpersonale sarà il tema implicito di tutta la terapia. La partecipazione personale del terapeuta nei confronti dei vissuti che il paziente porta in terapia – che Marsha Linehan (1993) definisce self-involving – induce il paziente a sperimentare la propria.

L'Ospite Inatteso, per di più, tollera con difficoltà la naturale asimmetricità del rapporto terapeuta-paziente. Tenterà perciò di trasformare il setting in un ring, non tanto per sopraffare il terapeuta, da cui è

spaventato, ma per spingerlo ad abbandonare il suo ruolo per quello di avversario alla pari (Luchner e al., 2008). Lo stile narcisistico, se non debitamente contenuto, può influenzare il contesto terapeutico a un punto tale da trasformare la terapia in un paradosso. Si ha la sensazione di partecipare al precolombiano gioco della Pelota, nel quale gli sconfitti venivano esiliati e i vincitori avevano l'onore di essere sacrificati alle divinità. È il gioco narcisistico nel quale il paziente viene sacrificato in virtù delle sue vittorie.

La competitività, il desiderio di primeggiare nei contesti interpersonali, è elevata solo nel narcisismo manifesto o overt; questo tratto, potenzialmente adattativo, non è patologico ed è comune a tutti i caratteri assertivi. La dimensione patologica che accomuna entrambi i tipi di narcisismo è la disposizione, definita ipercompetitività, a trasformare tutti i contesti in contesti competitivi (Luchner e al., 2011). Vivere di sfide, trasformare gli altri in competitori, dunque sono necessità costitutive alle quale il narcisista non può rinunciare. Attraverso di esse, egli ha una chiara definizione di ruoli e la costruzione di una distanza sicura. La relazione terapeutica non fa eccezione e l'Ospite Inatteso tenterà anche in questo caso di imprimere il suo stile nel tentativo di trasformare la diade terapeutica in una diade narcisistica. Il terapeuta non può dunque rifiutare la sfida in quanto essa rappresenta, per quanto disfunzionale, l'unico modello di relazione che egli conosce. Deve però impedire al paziente di portare a termine il gioco. In breve, il terapeuta deve competere ma non sfidare.

Spesso l'Ospite Inatteso rifiuta l’ipnosi formale. La motivazione è il timore di perdere il controllo e di solito, a differenza dei soggetti con tratti isterici o dissociativi nei quali spesso si tratta di una richiesta implicita di delegare il controllo, sono veramente terrorizzati all’idea. Il controllo, nella loro fantasia, è immancabilmente associato al potere. Come abbiamo già detto, l’Ospite non può essere cacciato né sfidato ed è quindi necessario ricondurre anche questo tentativo di simmetrizzazione a un livello affettivo. Il narcisista si aspetta, ‘paranoicamente’, che qualcun altro possa violare quella gusta distanza che tanto disperatamente cerca di scoprire (solitamente, violandola). L’induzione deve essere estremamente cauta perché il paziente potrebbe vivere come intrusive sia suggestioni propositive che evocative. Ad esempio, un paziente venne con la richiesta di “guarire dal panico”: era un uomo atletico, proprietario di una catena di palestre e sponsor pubblicitario di una nota marca di prodotti cosmetici da uomo che all'incirca sei mesi prima aveva avuto il suo primo e unico attacco di panico nel corso di una visita medica e da allora si rifiutava di uscire di casa da solo. Al primo colloquio chiese al terapeuta di non usare l'etero-ipnosi. Dopo diverse sedute trascorse a riflettere su cosa fare, accettò di essere addestrato all’autoipnosi. Gli fu dunque chiesto di provare e il paziente rispose che non sapeva da dove cominciare. Il terapeuta ricorse

dunque a una tecnica illustrata durante un seminario da Jeffrey Zeig. Lo fece alzare e, sedutosi al suo posto, gli mostrò la posizione che avrebbe dovuto tenere. Il procedimento fu ripetuto molte volte: per ogni esercizio, il terapeuta lo faceva alzare, gli mostrava cosa fare, lo faceva provare e poi attendeva che avanzasse una ulteriore richiesta. Solo dopo diversi mesi, quando la sindrome ansiosa si era ormai risolta e si era deciso di concludere la terapia, il paziente confessò di essere omosessuale e così chiarì il suo bisogno di una “omo-ipnosi”.

L'intervento ipnotico: aspettarsi il fallimento. Come abbiamo già detto, il lavoro ipnotico ha come obiettivo i sintomi e non l’Ospite Inatteso. Quest'ultimo deve essere coinvolto solo indirettamente e per farlo il terapeuta deve far riferimento alle tematiche che gli stanno particolarmente a cuore. In cima alla lista, troviamo le aspettative. Rosenfield (1987) sottolinea come l'isterico voglia essere amato mentre il narcisista voglia essere ammirato. Si ripropone il destino del giocatore di Pelota: il raggiungimento dei suoi stessi obiettivi è insoddisfacente. Il risultato è di abbandonare gli impegni che si è assunto per trovarne dei nuovi, più stimolanti e più visibili (Dickinson e Pincuns, 2003). Ma anche questo procedimento non è indolore: egli deve affrontare ogni volta l'umiliazione di non essere 'riuscito'. I narcisisti covert più rigidi, ad esempio, non sono in grado di compierlo e restano spesso autisticamente impigliati in attività che non amano ma dalle quali si sentono rappresentati. È così che le aspettative dei pazienti narcisistici sono irrealistiche: non sono irrealizzabili in termini assoluti, ma lo sono in quanto prive della giusta spinta motivazionale. Sono irrealistiche in quanto non appartengono interamente al paziente. Virginia Satir ha schematizzato le aspettative suddividendole in 3 tipologie: le aspettative verso noi stessi, le aspettative verso gli altri, e le aspettative verso di noi degli altri (Banmen, 2002). Nel suo lavoro, la Satir poneva molta attenzione al valore 'difensivo' delle aspettative, ovvero sulla capacità delle aspettative di ridurre l'imprevedibilità e la complessità del futuro come campo ambiguo. Il narcisista salta da un'aspettativa all'altra sfruttandone tale potenzialità e godendone dell'apparente potere di previsione che esse concedono. Va notato, inoltre, che egli vive nella convinzione che da tali aspettative ne dipenda il suo futuro, ovvero le vive in modo totalizzante.

Alla luce di queste riflessioni, le aspettative del narcisista appaiono distorte, non il frutto di una ambizione genuina e pragmatica, come accade nel narcisista sano e funzionale, bensì di una fantasia autoreferenziale di successo o di fallimento. Il lavoro ipnotico deve quindi permettere il ridimensionamento e favorire una individualizzazione critica delle aspettative. La psicoanalisi parla di disillusione ottimale, quale prassi te-rapeutica che sposta l’ambizione narcisistica su scopi realistici. Anche in questo caso, l’induzione ipnotica, se condotta come prima descritto, non la-

scia spazio all’irrealistico, perché pone l'onere della terapia su di lui e sulla sua mente inconscia (Erickson, 1964).

La prescrizione del fallimento (Haley, 1976) può essere efficacemente impiegata anche in quei casi in cui il paziente si rifiuti di praticare una terapia ipnotica formale. Si tratta, in definitiva, di coinvolgere il paziente nella paradossale esperienza di riuscire fallendo. Prescrivere di fallire un esame o una gara sportiva, di lasciare a metà un film o di non portare a termine un impegno mina la totalizzazione delle aspettative e permette al paziente di svincolare il fallimento dal vissuto affettivo dell'umiliazione. Più spesso, però, il terapeuta deve essere disposto a fallire in prima persona.

Un paziente decise di iniziare la terapia per “guarire da un trauma”. Ha quarantadue anni, è sposato da vent’anni e ha due figlie di nove e sei anni. L’anno precedente, lui e la moglie avevano deciso di interrompere una gravidanza per una grave malformazione del feto riconosciuta durante un controllo di routine. L'intervento non era andato come ci si attendeva, era stato molto doloroso e aveva lasciato numerose complicazioni. Diversi mesi dopo, Fabrizio, mentre si recava sul posto di lavoro, era stato costretto a interrompere il tragitto e scendere dall'auto perché colto improvvisamente dalla “consapevolezza di quello che era successo”. Da allora, Fabrizio cominciò a soffrire di quelli che definiva “flashback”, ovvero delle brevi interruzioni del flusso normale di coscienza nel corso delle quali aveva la sensazione di rivivere l'intervento, del quale era stato spettatore. Fabrizio impiega due sedute per raccontare quello che gli è capitato e lo fa in modo concitato, gesticolando e continuando a chiedere “non so se rendo l’idea”. Ciò che lo ha spinto a chiedere aiuto è il calo del suo rendimento lavorativo. Agente immobiliare di discreto successo, si sente irritabile e insicuro per colpa dell'ansia e ciò non gli permette di essere competitivo come vorrebbe. Nel caso di un paziente seguito da un autore lavoro, la terapia non ottenne risultati significativi – il paziente rifiutò categoricamente dalla prima seduta di farsi ipnotizzare – finché il terapeuta non spinse il paziente a confrontarsi con la moglie su ciò che era capitato loro. “Un disastro!”, disse il paziente. Ne era scaturito un violento litigio che aveva scosso a lungo l'intera famiglia. Il paziente accusò il terapeuta di aver sottovalutato la situazione, di non essergli stato d'aiuto. Egli ne convenne e ammise di aver commesso un errore e chiese al paziente di spiegargli cosa era andato storto. Era evidente, gli disse, che non aveva valutato accuratamente la situazione ma che questo poteva essere dovuto a una incompletezza delle informazioni in suo possesso. Fu allora che il paziente iniziò a collaborare descrivendo, dopo varie sedute trascorse a parlare del suo lavoro, le difficoltà che si erano andate consolidando nella sua famiglia dopo l'interruzione di gravidanza.

Ovviamente, il consiglio non è quello di fallire intenzionalmente la

terapia al fine di dare una lezione al paziente; piuttosto, il terapeuta deve rimanere concentrato sull’obiettivo senza lasciarsi influenzare dal contagioso bisogno di consenso dell’Ospite Inatteso. “Sono responsabile verso di loro, non per loro”, scriveva Carl Withaker (1988).

Nello strutturare l'intervento, inoltre, l’invito è quello di seguire il modello a quattro dimensioni: le metafore che costituiranno il lavoro ipnotico dovrebbero essere costruite a partire dalla dimensione vissuta come più problematica dal paziente, oppure che il terapeuta considera rilevante per il problema attuale. Ad esempio, un paziente aveva cominciato a vomitare i pasti poco dopo aver fallito il test di ammissione a una facoltà che aveva sede in un’altra città. Arrivò con la richiesta di migliorare la sua memoria così da non fallire la volta seguente. Quando gli fu chiesto in che modo l’ipermnesia avrebbe potuto giovare alla sua bulimia, il paziente rispose che la madre gli ripeteva che non ricordava mai nulla di importante. La seduta fu dedicata a una accurata cernita di tutti i comportamenti che la madre avrebbe potuto osservare per arrivare ad una simile conclusione. Riferì che la madre lo aiutava nella preparazione degli esami e che spesso passava giornate intere con lui ascoltandolo ripetere ad alta voce o aiutandolo a trascrivere i suoi appunti in bella copia. La sua presenza era essenziale: senza qualcun altro presente, dopo un po’ si innervosiva, cominciava a sbagliare gli esercizi e a dimenticare l’ordine dei paragrafi. Fu d’accordo con il terapeuta quando ipotizzò che il suo problema non fosse la memoria bensì l’autocontrollo. Gli fu dunque proposto di allenarsi fisicamente svolgendo le attività casalinghe con un cucchiaio trai denti su cui avrebbe dovuto adagiare un uovo. Dopo sei settimane era capace anche di fare alcuni esercizi ginnici senza rompere l’uovo e lo mostrò orgogliosamente in terapia. Ma per riuscirci ne aveva rotti così tanti che la madre gli aveva proposto di iscriversi ad una facoltà a numero aperto in un’altra città. Il vomito è una reazione naturale che lo stomaco attua entrando in contatto con qualcosa di irritante. Il corpo di questo paziente era oggetto di una contesa di proprietà e stava reagendo. Una volta “allenato a dovere” riprese il possesso di se stesso e mise le basi per la sua autonomia.

Conclusioni: l'ospitalità ha i suoi limiti.

L'Ospite Inatteso è stato messo a punto nell'esigenza di fornire all'ipnotista ericksoniano un costrutto a cui fare capo qualora si trovi a confrontarsi con relazioni terapeutiche vischiose, obiettivi incerti e risultati insoddisfacenti; in breve, con pazienti difficili. Non è un prototipo, né un disturbo e neppure una categoria diagnostica; si tratta piuttosto della rappresentazione simbolica unificante di evidenze euristiche raccolte attraverso osservazione di un peculiare stile relazionale e, soprattutto, di

una peculiare relazione terapeutica – la diade narcisisitica. Lo psicoterapeuta non può, dunque, appellarsi a una definizione puntuale del suo Ospite Inatteso ma può riconoscerne la presenza dall’andamento della terapia. Il paziente, afflitto da un deficit del circuito narcisistico, spaventato dal cambiamento in quanto fonte di fallimenti, conduce con sé in terapia un ospite – arrogante, evasivo e mellifluo – che aspira a proteggerlo. Come ogni padrone di casa che si rispetti, il terapeuta ha il compito di accogliere le esigenze del suo ospite e accettarne la paradossale commistione di onnipotenza e sensibilità al giudizio senza spazientirsi ma senza nemmeno assecondare incondizionatamente. Le esigenze del paziente, d'altra parte, non possono essere trascurate. Anche qui, però, l’Ospite interferisce con la costituzione e l’espressione dei sintomi, al punto che il terapeuta non può esimersi dal prendersi cura di lui nel prendersi cura del paziente. Le dimensioni fenomenologiche – spazialità, temporalità, corporeità e intersoggettività – permettono al terapeuta di approfondire la conoscenza del suo ospite senza essere invadente e, così facendo, di poter accedere alla mente inconscia del paziente senza suscitarne la diffidenza. Competitore non sfidante, il terapeuta può rassicurare il paziente sulle proprie intenzioni pacifiche e suggerirgli una relazione in cui l'Ospite non abbia bisogno di intervenire; allo stesso modo, accettando il fallimento, sostenendo la reciprocità nel lavoro terapeutico e partecipandovi affettivamente, il terapeuta non soltanto può agire indisturbato con tutta la perizia di cui è dotato sulla risoluzione dei sintomi ma, allo stesso tempo, fornire al paziente la prova tangibile di come il cambiamento sia possibile attraverso lo scambio empatico e la fiducia interpersonale. Oramai di troppo, l'Ospite non ha più ragione di restare; spontaneamente e, spesso, tacitamente può infine allontanarsi per non presentarsi mai più.

Citando Monsignor Della Casa: “L'ospite migliore è quello che sa quando togliere il disturbo”.

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