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Avventure nel mondo 1 | 2018 - 119 RACCONTI DI VIAGGIO | Sudafrica F inalmente la penisola arabica, sognata per anni, e il Sultanato di Oman, che mi dà l’opportunità di fare il Re Mago, all’incontrario e senza doni. Nelle letture giovanili ero rimasto attratto da questo piccolo e potente Sultanato che estendeva i suoi territori a cavallo di due continenti: Oman in Asia e Zanzibar in Africa. Si leggeva che se stavi in Oman ti sembrava di stare in Africa e se stavi a Zanzibar ti sembrava di stare in Arabia, per via della sua eterogenea popolazione. Questa particolarità incuriosiva ancor più le mie attenzioni verso questa parte di mondo. Ebbi modo di capire che le ricchezze degli omaniti si producevano a Zanzibar, ma non tanto per il commercio delle spezie quanto per il commercio degli schiavi. A Stone Town vi era uno dei più grandi mercati d’Africa, dove le “Perle Nere” (schiave bambine) erano la merce più preziosa. Grazie all’attuale sovrano, moderato ed illuminato, Qaboos Bin Said, oggi l’Oman è annoverato tra le nazioni arabe socialmente più civili e progredite. Salito al trono nel 1970 con l’aiuto degli inglesi, dopo aver deposto il padre, ha traghettato la nazione dal medioevo all’era moderna. Prima del suo governo vi erano appena quattro chilometri di strade asfaltate e due scuole. Non esisteva l’elettricità. Era vietato portare gli occhiali da sole ed entrare in città dopo il tramonto. L’Oman del medioevo e del commercio degli schiavi non esiste più, ma il suo popolo pur nella modernità ha saputo conservare integre le proprie tradizioni, mostrandosi al visitatore gentile ed educato. Una nazione ove si respira pace e tranquillità. Il Sultano Qaboos, onnipresente con i suoi ritratti, non ha figli ed è amatissimo dal suo popolo che, a ragione, lo considera il padre del moderno Oman. In questo viaggio ho scoperto tanti elementi della cultura araba simili a quelli del meridione d’Italia. Sarà per i due secoli di dominazione della Sicilia e dei sessant’anni di occupazione di Bari, da parte degli arabi, ma in diversi momenti mi è sembrato di rivivere scene di vita della mia infanzia, e con gli amici di lettura vorrei condividere le sensazioni di un viaggio bellissimo. 23/8: Afa e Ramadam Provenendo da un antico paese di pescatori, Vieste sul Gargano, ero curioso di vedere subito il mercato del pesce. Avevo capito, dalle letture preparatorie, che si trovava all’inizio della baia di Muttrah, a sinistra guardando il mare, ossia vicinissimo al nostro Hotel Naseem. Uscito di buon’ora, sono colpito dalla bellissima baia che da Muttrah arriva sino a Muscat. Intuisco subito il mercato del pesce, dall’intonaco Vedi OMAN quanto e ' bello ! RACCONTI DI VIAGGIO | Oman Testo e foto di Franco Ruggieri Da un Oman breve gruppo Ruggieri http://www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/1137

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Avventure nel mondo 1 | 2018 - 119

RACCONTI DI VIAGGIO | Sudafrica

Finalmente la penisola arabica, sognata per anni, e il Sultanato di Oman, che mi dà l’opportunità di fare il Re

Mago, all’incontrario e senza doni. Nelle letture giovanili ero rimasto attratto da questo piccolo e potente Sultanato che estendeva i suoi territori a cavallo di due continenti: Oman in Asia e Zanzibar in Africa. Si leggeva che se stavi in Oman ti sembrava di stare in Africa e se stavi a Zanzibar ti sembrava di stare in Arabia, per via della sua eterogenea popolazione. Questa particolarità incuriosiva ancor più le mie attenzioni verso questa parte di mondo. Ebbi modo di capire che le ricchezze degli omaniti si producevano a Zanzibar, ma non tanto per il commercio delle spezie quanto per il commercio degli schiavi. A Stone Town vi era uno dei più grandi mercati d’Africa, dove le “Perle Nere” (schiave bambine) erano la merce più preziosa.

Grazie all’attuale sovrano, moderato ed illuminato, Qaboos Bin Said, oggi l’Oman è annoverato tra le nazioni arabe socialmente più civili e progredite. Salito al trono nel 1970 con l’aiuto degli inglesi, dopo aver deposto il padre, ha traghettato la nazione dal medioevo all’era moderna. Prima del suo governo vi erano appena quattro chilometri di strade asfaltate e due scuole. Non esisteva l’elettricità. Era vietato portare gli occhiali da sole ed entrare in città dopo il tramonto. L’Oman del medioevo e del commercio degli schiavi non esiste più,

ma il suo popolo pur nella modernità ha saputo conservare integre le proprie tradizioni, mostrandosi al visitatore gentile ed educato. Una nazione ove si respira pace e tranquillità. Il Sultano Qaboos, onnipresente con i suoi ritratti, non ha figli ed è amatissimo dal suo popolo che, a ragione, lo considera il padre del moderno Oman.

In questo viaggio ho scoperto tanti elementi della cultura araba simili a quelli del meridione d’Italia. Sarà per i due secoli di dominazione della Sicilia e dei sessant’anni di occupazione di Bari, da parte degli arabi, ma in diversi momenti mi è sembrato di rivivere scene di vita della mia infanzia, e con gli amici di lettura vorrei condividere le sensazioni di un viaggio bellissimo.

23/8: Afa e RamadamProvenendo da un antico paese di pescatori, Vieste sul Gargano, ero curioso di vedere subito il mercato del pesce. Avevo capito, dalle letture preparatorie, che si trovava all’inizio della baia di Muttrah, a sinistra guardando il mare, ossia vicinissimo al nostro Hotel Naseem. Uscito di buon’ora, sono colpito dalla bellissima baia che da Muttrah arriva sino a Muscat. Intuisco subito il mercato del pesce, dall’intonaco

RACCONTI DI VIAGGIO | Iran

Vedi OMAN quanto e' bello!

RACCONTI DI VIAGGIO | Oman

Testo e foto di Franco Ruggieri

Da un Oman breve gruppo Ruggieri

http://www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/1137

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Muscat - Mercato del Pesce

Birkat al Mawz

RACCONTI DI VIAGGIO | Oman

bianco dell’edificio e dal movimento di persone. Mi avvicino e mi intrufolo tra camion-frigo stracarichi di tonni e Dishadasha di vari colori (tunica tradizionale maschile). I ritmi, rispetto ai nostri mercati, sono diversi. Da noi il pesce viene sbarcato dal tardo pomeriggio fino a notte fonda, per essere portato

subito al mercato, dove l’asta inizia prima dell’alba. Qui la cosa è molto più tranquilla. Intanto le barche arrivano con le prime luci dell’alba, dopo aver salpato le reti, ed il mercato, senza banditore, inizia tra le sei e le sette. La trattativa è molto silenziosa, si capisce che i grossisti, hanno già avuto contatti preliminari con le barche. La vista del prodotto serve solo per confermare e calcolare il prezzo in base al peso. Viene quindi trasportato verso altre destinazioni. Anche qui si parla di grossisti giapponesi che hanno comprato il pesce ancor prima di essere pescato, sopratutto tonni. I piccoli commercianti, invece, tirano alla lunga la trattativa, per speculare un prezzo migliore. Poche sono le specie identificabili, in quanto somiglianti a pesci dei nostri mari. Oltre ai tonni, riconosco, triglie, acciughe e sarde, scorfani, mormore e cefali, tutti comunque diversi dai nostri per grandezza e caratteristiche estetiche. Gli altri mi risultano ignoti. E’ uno spettacolo vedere tanto pesce multicolore tra vecchi e giovani pescivendoli con turbante, barba lunga e dishadasha. Poi vado sul molo. Alcune barche stanno facendo mercato man mano che estraggono dalla stiva il pesce pescato. Su altre i pescatori sono intenti a liberare il pesce dalle reti. Decidiamo di assumere un driver omanita per non avere problemi con le strade. Adil è un omanita nero. Ha la mia stessa altezza, m. 1,67 con copricapo, tarchiatello e tranquillo. Parla inglese ma non è troppo loquace. Però ci tiene a dire che siamo nel Ramadam e che quindi dobbiamo osservare alcune regole, soprattutto quando siamo in pubblico. Ahi! Solo prima di partire avevamo saputo dalla TV dell’inizio del Ramadam. Dictat: le donne non possono esporre gambe e braccia, gli uomini possono esporre le braccia ma non le gambe. Durante il giorno non si può mangiare, bere e fumare. Però, dato che noi non

siamo musulmani (si potrebbe tradurre anche con il termine “infedeli”) ci è permesso farlo solo in luoghi chiusi o anche all’aperto ma in luoghi appartati, cioè non in pubblico. Perché questo li offenderebbe molto. In ultimo ci dice che durante il Ramadam lui deve osservare i canonici riti delle preghiere in Moschea. Quindi smetterà il servizio alle 18,00. Va bene? Malinconico coro di Ok. Vuol dire che faremo anche l’esperienza del Ramadam. D’altronde un po’ di digiuno non fa male. Tutti pronti? Allora si può partire. No, fermi tutti. Faccio a Laura, la bonazza del gruppo, la seguente preghiera: “E’ vero che non rientra nei divieti, però quando siamo andati a fare il cambio da Euro in OR (Rial Omaniti) ho notato che camminavi a piedi scalzi. E allora? Ribatte Laura. Sono provocanti, le rispondo. I miei piedi? Sì, i tuoi piedi sono molto belli e quindi se fanno effetto su noi maschietti occidentali (3 su 10 donne) vuol dire che per loro sono provocanti e quindi possono turbare il loro senso del pudore. Pertanto, ti prego di mettere le scarpe, siamo nel Ramadam! Laura: Mi sembra esagerato però mi adeguo.”A Muscat visitiamo l’interessante museo Bayt Az-Zubair sulla cultura omanita allestito in una antica casa patrizia. Nel giardino della casa sono stati ristrutturati tutti gli ambienti di vita quotidiana, e perfino una capanna di canne e rami di palma, molto fresca nonostante la calura esterna. E così, poiché era ben arredata di tappeti e cuscini abbiamo approfittato per stravaccarci e rivivere un momento di vita omanita. I forti di origine portoghese, Mirani e Al Jalali si possono ammirare solo dall’esterno. Impeccabile è l’architettura contemporanea del Palazzo del Sultano, e l’immensa piazza. Proseguiamo in direzione dell’Hotel Al Bustan Palace, dove per entrare occorre essere per forza clienti (secondo Adil). Noi da buoni italiani non crediamo molto a questa storia, anche perché vorremmo diventare clienti di questo famoso Hotel. Magari solo per prendere un the. Proviamo, così, a chiedere e ci accolgono con grandi sorrisi. E’ un Hotel di extra lusso, ma ciò che a noi colpisce è l’architettura e la ricchezza dei materiali usati. Proviamo a chiedere un the e morale della favola ci servono un eccellente the al cardamomo con datteri da mangiucchiare, sdraiati vicino al caminetto (ovviamente spento). Nel mentre, si presenta un distinto giovane in giacca e cravatta: si chiama Rocco Bova ed è il Direttore del reparto ristorazione. Ha piacere di parlare con suoi connazionali e restiamo a chiacchierare fino a quando decidiamo di ritornare da Adil che ci riporta in Hotel. Lui va in Moschea. Un gruppo decide di andare a riposare in attesa dell’apertura del Souq, mentre l’altro guidato dal nostro amico di viaggio Igor, decide di andare ad esplorare le spiagge a Nord di Mutrah, per constatare la veridicità sulla presenza di meduse. Dopo mezz’ora arriviamo ad As Seeb, dove troviamo una spiaggia libera con bassa marea. Facciamo il bagno con un po’ di timore perché non abbiamo le scarpette e sul fondo sabbioso si avvertono movimenti strani: granchi, sogliole, razze? Comunque nessun problema. Ci eravamo buttati in mare in cerca di refrigerio, ma l’acqua è molto calda. Sulla battigia, mi accorgo che a causa della bassa marea, ci sono centinaia di grandi conchiglie di una

varietà simile ai nostri fasolari. Le assaggio: sono ottime e ne faccio una scorpacciata, rompendole una contro l’altra alla maniera di Robinson Crusoe. Alla fine mi ricordo che di giorno, durante il Ramadam, non le avrei potute mangiare. Mi tranquillizza, però, il fatto che oltre noi sulla spiaggia non c’è anima viva e, quindi non ho dato scandalo. Intanto, ci assale la fame e soprattutto la sete. Ci fermiamo in un piccolo souq di As Seeb per comprare qualche banana e un pò d’acqua. Noi ci ristoriamo abbassandoci nel Toyota, Igor invece, mangia d’istinto una banana come se fosse in Italia. E zacchete, si becca un sonoro cazziatone dall’autista di una macchina che ci affiancava, a suon di clacson e d’incomprensibili imprecazioni. Che tortura, non sappiamo se arrabbiarci o se ridere. Restiamo impassibili e facciamo finta di niente. Al tramonto il Muezzin proclama la fine del Ramadam ed è grande festa. Aprono i ristoranti, i bar, e finalmente possiamo bere in libertà, e non di nascosto. Per strada, all’uscita dalla Moschea, uomini e bambini tutti in dishadasha bianca, sono sorridenti, contenti. Si vedono anche le donne, pur se vestite con abiti scuri e molto castigati. E’ molto bello e l’esperienza del Ramadam incomincia a piacermi. Ceniamo sulla Corniche, vicino all’ingresso del Souq. Menù? Kebab e insalate a volontà. Il Souq di Muttrah sulla corniche è molto bello. Qui vengo attratto da un intenso profumo d’oriente, che mi ricorda la sagrestia della Cattedrale di Vieste, dove da ragazzo facevo il chierichetto. E’ incenso. Quello vero, quello di una volta e non quello industriale di oggi. La fragranza è diversa. Si sente che sta bruciando proprio la resina originale dell’incenso e non suoi surrogati chimici. Da un negozietto esce una nuvola di profumo proveniente da un piccolo braciere di terracotta. Il venditore di spezie mi mostra i cristalli di incenso simili a pece di pino essiccata. Decido di comprarne un po’ e di portarlo in dono al mio amico Totore il titolare dell’antica Sartoria Laprocina a Vieste, dove ha sede la nostra sezione di Avventure nel Mondo e dove si allestisce il presepe del Seggio, che si arricchirà con l’Incenso originale dell’Oman, quello dei Re Magi.

24/8: La fornace di Wadi Bani Awf e la Dust Storm di Ibri. Oggi si va a nord-ovest per arrivare fino a Ibri. Fuori Muscat, sosta alla Grande Moschea Sultan Qaboos:

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Al Ajia RACCONTI DI VIAGGIO | Oman

molto bella e dall’architettura interessante. Posso dire che è la Moschea moderna più bella che abbia mai conosciuto. Ad alcune donne del gruppo è impedito entrare perché non riescono a coprire bene le braccia e gli stinchi. E’ l’unica Moschea omanita visitabile da stranieri non musulmani. Mi chiedo perché questa sì e le altre no? Provo a darmi una risposta: forse, per farci ammirare lo sfarzo dei marmi e delle ceramiche, dei lussuosi candelabri e degli immensi tappeti. E’ comunque una meraviglia! Proseguiamo per Barka e il suo vivace mercato del pesce sulla spiaggia accanto al forte. Questo mercato è molto affascinante perché la contrattazione si svolge direttamente sulla spiaggia, gridando dalla battigia verso le barche che stanno arrivando, o all’ombra di qualche sbilenco ombrellone. Mi confondo tra pescatori e compratori e, riesco a fotografare scene molto interessanti. Nel vicino mercato delle erbe compriamo un po’ di frutta, acqua e bibite. E finalmente visitiamo un forte dall’interno, quello di Nakhal, con stanze arredate e perfino una piccola biblioteca. Molto bello. Soprattutto per lo scenario tra la vallata tappezzata di palmeti e i Monti Hajar che si stagliano verso il cielo. I palmeti della pianura, isole verdi in un mare di aridità, sono alimentati dalle sorgenti provenienti dalle montagne. Tra queste vi sono quelle calde di Al Towarah, sollazzo per bambini e greggi di capre, come puntualmente indicato dalla Lonely. Per noi un delizioso pediluvio. Proseguiamo lungo il Wadi Bani Awf che al contrario dei giudizi di Adil è molto interessante, soprattutto per le

stratigrafie geologiche. In Italia sarebbe stato ribattezzato Valle Inferno, per il calore atroce, attratto, conservato e sprigionato dalle nere rocce. Ma noi, che a Indiana Jones gli facciamo un baffo, decidiamo di fare una mini passeggiata nella fornace, per vedere da vicino l’interessante fenomeno geologico delle “Stone Pencils”: rocce frantumate che sembrano pezzi di legno bruciato. E’ tale il caldo che l’aria che sale dal suolo gonfia la gonna di Carla come una Mongolfiera. Il caldo secco del Wadi, fa bene alla mia sinusite, ed infatti mi sento tutte le vie respiratorie liberate. Mezz’ora al giorno, tra le 12,00 e le 14,00 sarebbe la terapia ideale. Attraverso le scarpe, però, avverto che i piedi incominciano

a bollire, quindi faccio cenno agli amici di tornare alle Toyota. La gola è arsa e la sete impossibile, per fortuna non passa nessuno e possiamo bere come cammelli. Beviamo, però, dietro le macchine senza farci vedere da Adil. Per lui sarebbe una doppia tortura: avere sete, non poter bere e vedere bere gli altri. Quindi, per educazione, gli evitiamo la seconda tortura. Forse è questo il motivo per il quale voleva evitare il Wadi Bani Awf, che a noi è piaciuto moltissimo. Birbantello! Gli sterrati dei Wadi sono come strade, al punto che agli incroci ci sono normali cartelli stradali bilingue. Il paesaggio è bellissimo, alberi lungo le strade, palmeti, greggi di capre e villaggi. Nella stagione delle piogge diventano normali corsi d’acqua, pericolosi come le nostre fiumane calabresi. Usciti dal wadi prendiamo la strada che conduce ad Ibri. Il paesaggio è arido. All’orizzonte si addensano grandi nuvoloni da cui sfrecciano scintillanti e saettanti fulmini. Ci troviamo all’improvviso in una tempesta non di sabbia ma di polvere “Dust Storm” dice Adil, con qualche gocciolone. Non si vede niente e perdiamo di vista il secondo fuoristrada, che marcia a velocità ridotta. Ci racconteranno che non vedevano proprio niente e si son dovuti fermare fino al passaggio della tormenta. Ci concediamo un’ottima cena al ristorante dell’Hotel Oasis. Qui si avvicina un altro giovane italiano, in tuta

da lavoro. E’ un tecnico specializzato nel taglio di cave di pietra, originario di Verona. Dice che dopo sei mesi non ce la fa più, perché oltre il lavoro non riesce a fare altro. I rapporti umani, oltre quelli sul luogo di lavoro, sono impossibili in quanto la società omanita è molto chiusa. Mai parlato con una donna. Figuriamoci il resto.

25/8: Jebel, Wadi e Falaj. Al Sulayaf fu abbandonata perché l’uomo moderno si è stancato di vivere in case di fango. Ci troviamo, infatti, di fronte ad una città circondata da mura sgretolate dalla pioggia e dal vento, dal tempo e dall’incuria dell’uomo. Girovagare tra vicoletti e cortili è molto suggestivo. A volte ti sembra di sentire ancora i rumori delle faccende di casa, o il pianto dei bambini. Porte sbilenche e ventilatori contorti, ci fanno capire che sono state abbandonate da non molto tempo. Architetture semplici e primitive, fatte di archi e contrafforti, nicchie e stretti passaggi, che rendono gli ambienti irreali. Eppure queste case non ci sembrano del tutto abbandonate: si percepisce che il fango delle pareti, oltre a paglia e pietre contiene ancora lo spirito della gente vissuta qui per centinaia di anni, forse millenni. In religioso silenzio medito che questi nudi e poveri muri hanno visto la nascita e la morte di centinaia di persone. I sorrisi degli sposi e le lacrime delle vedove.

Proseguiamo verso Al Ayn, antica necropoli (2000 – 3000 a.C.), lungo la strada tra Ibri e Jabrin. Dal fondovalle del piccolo Wadi guardando verso la montagna, arcaiche costruzioni tronco-coniche appaiono come sentinelle sul crinale della collina. Il paesaggio è arricchito dal Jebel Misht che fa da quinta alle antiche tombe. Le pietre sono fatte di lastre tipo gneiss, ma di un colore marrone scuro, quasi bruciato dal sole e dal tempo. E’ un posto magico dove restare a meditare per ore. A vederle qualcuno le ha paragonate a nuraghi, altri a trulli. Ma io vi dico che rassomigliano terribilmente ai “Pagliari garganici”. La tecnica costruttiva è identica, come anche l’ingresso e la scala circolare in pietra che gira esternamente intorno alla costruzione. E’ diversa la pietra: calcare quella garganica, gneiss quella omanita. Tali similitudini sono davvero imbarazzanti, e ci fanno riflettere: identiche civiltà agro-pastorali in ambienti aridi e identiche necessità e modalità

costruttive. Bella foto di gruppo e via si riparte verso Jabrin. Un forte del 1600, costruito e arredato come un palazzo, con magnifiche decorazioni e passaggi segreti, ci offre la possibilità di riposarci al fresco e di bere di nascosto. Dietro le spalle di qualcuno si vedeva salire qualche nuvoletta di fumo. E già, durante il Ramadam è anche vietato fumare di giorno.

Interessanti il panorama che si gode dalla cima del Mastio, le alcove funerarie ed un sistema arcaico di canaline per convogliare aria fresca. Tutt’intorno un ricco palmeto di palme da dattero. Ed infatti, nel forte sono ben identificabili le stanze dove venivano conservati i datteri e quelle dove veniva estratto il loro prelibato succo sciropposo. Questo aspetto, in

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RACCONTI DI VIAGGIO | Oman

realtà, mi era venuto in mente, ma non avendo trovato riscontri nei Souq e nei mercati , l’avevo cancellato dalla mente. Pensavo, infatti, che se nel meridione d’Italia si ricava lo sciroppo dall’ebollizione dei fichi, delle carrube e del mosto di vino, sicuramente qui si userà ricavarlo dai datteri. Ma non trovavo riferimenti. Nel Forte di Jabrin, invece, una tabella esplicativa ci mostra l’estrazione dai datteri di questo succo prelibato, simile al miele, ottimo ricostituente e base per molti dolci. Un altro gioiello verde: Bahla, antica capitale posta in un’oasi fortificata, con il possente castello protetto dall’Unesco (attualmente in ristrutturazione) e piantagioni di palme da datteri. Il colpo d’occhio è bellissimo. Proseguiamo per il Jebel Shams, il tetto di Oman (m. 3.075) per ammirare il panorama sul canyon, più profondo d’Arabia. E’ uno spettacolo mozzafiato e non fa caldo, anzi c’è una bell’arietta fresca che ci induce a fare un veloce pranzo al sacco, nascosti a turno nel cassone del Toyota. Foto di rito, relax e partenza. Nel Toyota, però stiamo larghi, chi manca? Carla! Lucia si sbianca e balbetta: soffriva di vertigini. Ripeto ad alta voce: soffre di vertigini! Organizziamo subito una squadra di ricerca a ventaglio. Lucia e Alba sulla sinistra, io e Maurizio sulla destra. Escludiamo che abbia scavalcato la recinzione che dà sul canyon. Ci arrampichiamo come capre sulle rocce e gridiamo a squarciagola con l’aiuto dell’eco: Carlaaaaaa, Carlaaaaa. Nessuna risposta. Ci ritroviamo al Toyota: nessuna notizia. Si preoccupa anche Adil. Illuminazione: e se si è incamminata lungo la strada? In avanti o indietro? Chi lo sa? Prendiamo una decisione. Io resto al bivacco in attesa, in quanto bisogna rifare la stessa strada dell’andata, gli altri con il Toyota proseguono. Mi raccomando: se la trovate fatela sedere davanti così la vedo subito e mi tranquillizzo. Sono, infatti, preoccupato, non mi era mai capitata una sparizione. Dopo 5 minuti vedo il 4x4 e davanti la dama bianca sorridente: “avevo deciso di fare due passi per digerire il lauto pranzo”. Meno male, la prendiamo a ridere. Mentre aspettavo, già mi immaginavo i titoli dei giornali: “Fatale pic nic a Jebel Shams! Il mistero di Hanging Rock si ripete in Oman?”. Sollevati, si ridiscende a valle per raggiungere Wadi Tanuf. Qui è d’obbligo un mini trek per osservare il monumentale sistema di falaj, tuttora attivi. Percorriamo insieme il wadi fin oltre la diga. Sulla strada del ritorno, mentre il resto del gruppo decide di andare direttamente al Toyota, noto che un tratto della muraglia si può facilmente scalare e guardare all’interno del falaj. Scalate alcune rocce, con l’aiuto di alcuni rami di rigogliosi alberi (alimentati dalle perdite della condotta), mi affaccio nel falaj e ammiro uno spettacolo meraviglioso: acqua cristallina e gorgogliante. Mi tolgo gli occhiali e immergo direttamente la testa nel falaj. Il sistema dei falaj è antichissimo e comune a tutte quelle popolazioni costrette a vivere in territori aridi, con scarse precipitazioni. Anche se cambiano i nomi e le tecniche li ritroviamo, in Giordania, in Iran, in Siria, in Sicilia, in Puglia, sul Gargano, insomma in tutto il bacino mediterraneo e regioni circostanti. A queste latitudini, nei tempi passati ma anche oggi, l’acqua rappresenta l’elemento più prezioso. Ogni oasi, villaggio o città, è sorta in prossimità di

corsi d’acqua. Da qui viene incanalata in una lunga e ramificata rete per non disperdere neanche una goccia, e portarla ovunque. All’improvviso, mentre ero assorto in questi pensieri, odo uno strano rumore che aumentava, e si avvicinava sempre più. Non è possibile. Grandine! Il rumore mi ha fatto subito ricordare le disastrose grandinate estive che nei vigneti della Puglia non lasciano nulla sui vitigni, né le foglie né i grappoli. Guardo verso l’imboccatura del wadi e vedo un muro scuro che avanza rombante verso me, sospinto da un forte vento. E’ a 100 metri. A 50 metri. Mi investe di colpo. Ma non è grandine, sono goccioloni d’acqua e sabbia che battendo sui grossi e aridi ciottoli del wadi producono quello strano e tamburellante rumore. Sono tutto zuppo e cerco di proteggere la mia Canon sotto la camicia. Non so se preoccuparmi o reputarmi fortunato per aver assistito ad un tale fenomeno, sicuramente comune per gli omaniti, ma alquanto raro per noi. Mi incammino verso il luogo di appuntamento, ma non posso correre perché i ciottoli sono bagnati e viscidi per via della polvere contenuta nei goccioloni. Dopo poco vedo il Toyota e Alba nelle mie stesse condizioni, sembriamo due pulcini. Il tambureggiamento è durato sì e no dieci minuti, il tempo di bagnare la terra e sporcare il Toyota di sabbia rossa. Mi viene subito in mente la strana scritta posta sotto alcuni segnali STOP della

zona: “When red rain”. Pensavo a particolari segnali luminosi che si accendono durante la pioggia fitta. Invece sono avvertimenti per le piogge di sabbia rossa, che non ti fanno vedere niente. A causa del temporale non possiamo visitare a piedi le rovine della vecchia Tanuf (città di fango abbandonata),

distrutta a cannonate negli anni ’50 dagli inglesi per soffocare una rivolta contro il sultano. Riusciamo però a guardarla e fotografarla dalla macchina, al riparo dalla pioggia e da possibili crolli. Raggiungiamo Niwza, l’antica capitale, inseguiti da una tempesta di polvere senza pioggia. Tutta la città è avvolta all’improvviso da questa grande nube di polvere,

poi tutto si calma e torna il sereno come se nulla fosse accaduto. L’ora della tempesta di polvere è la stessa che ci ha investiti ieri, alle porte di Ibri. Che strano! Nizwa è oggi una grande città circondata da piantagioni di palme. Ma al centro della grande oasi c’è una perla, la cittadella fortificata con un magnifico Souq ed un magnifico forte. La curiosità ci induce a fare un primo giro al souq per poi dedicarci ai sollazzi offerti dall’Hotel: Suite di lusso e bagno in piscina fino al tramonto. Meritata cena e meritata nanna. Che giornata ragazzi!26/8: Wadi al Muyadin: la voce di Hallah - Wahiba Sands: le dune di Hallah. Lasciamo Nizwa dopo aver fatto acquisti al

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ricchissimo mercato di frutta e mercanzie varie per dirigerci verso Wadi Muyadin. All’imboccatura del Wadi, Adil ci dice che deve fare un salto in Moschea a pregare perché è Ramadam. Come se non lo sapessimo. Quindi ci lascia e se ne va col Toyota. Il gruppo si divide in due: i jeeppisti che continuano per il fondo valle sul 4x4 guidato da Igor e i pedoni che vogliono esplorarlo a piedi. Ed è stata quest’ultima una decisione eccellente. Sotto un sole accecante e circondati da aride rocce, ci sembra di sentire un miraggio: il gorgoglio di un ruscello. Più avanti il wadi svolta a sinistra e vediamo una piccola oasi di palme da dattero. Poterla visitare è un’occasione unica. E’ un intrigo di viottoli, tra riquadri di terreno, allagati da un sistema primitivo ma scientifico di piccoli falaj. Ogni riquadro con grandi o piccole palme riceve l’acqua a turno, in base alla chiusura ed apertura di rudimentali paratoie, di legno, pietre o fango. Ci sono anche orti e giardini di agrumi, perfino banani con caschi carichi di frutti. L’alimentazione dei piccoli falaj avviene attraverso il sollevamento di una paratoia posta su un grande falaj superiore, ad un’altezza di 7 metri dal suolo. La piccola cascata ed il suo fragore provocano una piacevole sensazione di frescura. Da qualche parte, nell’oasi, ci deve essere anche una piccola pozza per i pesci, dato che ne osserviamo alcuni lunghi oltre 20 cm, nuotare nei piccoli falaj. E’ quasi doloroso abbandonare il fresco dell’oasi, ma il desiderio di guardare oltre è troppo forte. Ogni scorcio del wadi, ogni roccia, ogni arbusto

è una gioia per gli occhi umani e per quello elettronico della Canon. Quando la scorta d’acqua sta per finire, si ode in lontananza un chiacchierio ovattato. E’ un piccolo villaggio di case colorate, incastonato tra le rocce. Vediamo che all’ombra di alcuni alberi vi sono gruppetti di donne che parlottano e, bambini che giocano. Ci avviciniamo con l’intenzione di chiedere un po’ d’acqua, ma oltrepassata la linea di salvaguardia, le donne si alzano e se ne vanno. Capiamo di essere indesiderati e allora continuiamo per la nostra strada, sotto il sole cocente. Carla e Lucia strizzano dalle bottiglie le ultime gocce d’acqua e guardano con occhi dolci Maurizio, che previdente, abbonda sempre nella scorta di liquidi. Il sole è allo zenit, saranno almeno 45° all’ombra, ma di ombra è difficile parlare, perché sotto qualche sparuto alberello è inavvertibile. Solo l’ombra a ridosso dei costoni rocciosi è un po’ fresca, e ci riposiamo per riprendere fiato. Si procede a fatica, il ritmo delle nostre falcate è lento. Solo la bellezza struggente ed aspra del paesaggio ci induce ad andare oltre. Quando all’improvviso, come per incanto, udiamo la voce di Hallah. E’ la preghiera di mezzogiorno, proveniente dalla Moschea del villaggio, che il vento incanala nel wadi e sospinge fino alle nostre orecchie. Restiamo estasiati ed increduli, e quasi meditando

iniziamo un viaggio introspettivo, dentro di noi, in simbiosi con l’ambiente circostante. E’ magica la contemplazione di questo paesaggio incantevole e all’apparenza inanimato, ma la voce del muezzin e l’orologio ci ricordano che dobbiamo ritornare al luogo in cui Adil ci aveva dato appuntamento, per

dirigerci verso Birkat Mawz. Adil ci conduce, attraverso una ripida salita, senza dire nulla. Quando ero bambino, tra le assolate dune degli arenili di Vieste, le donne stendevano al sole il candido bucato per farlo asciugare. Ai bordi delle lenzuola ponevano dei ciottoli e agli angoli delle pietre più grandi, per non farle svolazzare a causa della brezza marina. La visione di Birkat Mawz, dall’osservatorio di Adil, mi ha ricordato questa immagine dell’infanzia, con la differenza che

il lenzuolo non era bianco ma verde e le pietre erano sostituite da torri e bastioni, a difesa dell’oasi di palme, incastonata non tra dune ma tra aride colline. E’ l’ultima valle fertile prima del deserto. Infatti, ci trasferiamo verso Al Mintirib da cui prendiamo uno sterrato che in venti km ci conduce al Campment delle Wahiba Sands, dove arriviamo nel primo pomeriggio. I dipendenti, tutti indiani (in Oman ve ne sono 500.000 su una popolazione di 2.500.000), ci preparano un’eccezionale merenda costituita da frutta fresca, datteri, yogurt, bevande. Ad un tratto Igor ci mette in allarme: attenzione ci sono le formiche-leone. Ci guardiamo intorno, ma non si vede nulla. Dove sono? Gli chiediamo in coro. Non si vedono ma ci sono. Ecco, guardate questi piccoli crateri, larghi un pollice. Sotto sono nascoste le formiche in attesa della caduta della preda, nel cratere di sabbia. Propone di fare un esperimento e con la sveltezza di un felino cattura una mosca, gli toglie le ali e ancora viva la lascia scivolare nel cratere. All’improvviso viene risucchiata sotto la sabbia. C’è ma non si vede! E allora con l’aiuto di un bastoncino scava sotto il cratere fino a portare all’esterno la formica-leone, di colore chiaro e dal morso fastidioso per l’uomo. Applauso generale! E adesso a noi grande duna! Ma di tutti gli arditi solo in quattro decidono di sfidare la scalata, a piedi nudi e senza acqua (è Ramadam non si può bere di giorno). Parto prima io, poi seguono Carla e Lucia, ed infine Maurizio. Gli altri con i mezzi meccanici decidono di esplorare il deserto circostante. La scalata sembra facile e parto a passo veloce. Ma ragazzi, che fatica! Sarà il caldo d’agosto, sarà il bioritmo sconvolto, ma sta di fatto che arrivo al punto di fermarmi ogni dieci metri per respirare. Lo stesso dicasi per le ragazze e Maurizio. Testardo, comunque, decido di continuare perché ormai la vetta è vicina. Ci arrivo col fiatone prima del tramonto, giusto in tempo per riprendere le energie ed assistere all’antico spettacolo del “coucher du soleil”. Appena calato il sole, dietro le dune di fronte, si alza il famoso vento del tramonto che ti infila la sabbia dappertutto. Il paesaggio è però molto bello. Dune, dune e ancora dune, a perdita d’occhio e, poi il nulla in un infinito e stridente silenzio. Carla e Lucia desistono nel raggiungimento della cima e si fermano a meditare a mezza costa,

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imitate da Maurizio che si ferma poco sotto. Così decido anch’io di ripararmi dal vento e dalla sabbia, e rifugiarmi qualche metro sotto il crinale. Restiamo lì a lungo, distanti ma a vista, a guardare il silenzio e ad ascoltare il buio (come diceva Lucio Dalla). Se non fosse stato per la presenza delle formiche-leone avrei proposto di dormire alla Belle Etoile. 27/8: Wadi Khalid: il Giardino di Hallah - Ras al Jinz: Asilo nido di tartarughe verdi.Dal primo giorno Adil ci diceva che il Wadi Khalid è “very beautiful and you can swin”. Non riuscivamo a capire la seconda parte della frase: nuotare? Al principio, infatti, ci sembra come ogni altro wadi, poi notiamo che i falaj si fanno più grandi e ricchi d’acqua. Più a monte si aprono in piccoli laghetti e ancora oltre scorgiamo una gola con acque profonde, turchesi e cristalline. Non perdiamo tempo, ci spogliamo e via ci tuffiamo tutti a mare, pardon, nel wadi. L’acqua è bella fresca ed esploriamo la gola fino alla cascata. Igor resta ad osservare dei pesci singolari. Sono ciclidi e usano proteggere i piccoli portandoli nella bocca: la scena è molto interessante. Sarebbe passata inosservata se non fosse stato per l’intuizione di Igor. Non vorremmo mai lasciare questo luogo. Ma ci aspetta Ras Al Hadd dove ci sistemiamo in un resort, semplice e bello su una spiaggia ubicata in una baia riparata. Le capanne di canne e paglia, sono belle ed ospitali, con ventilatore ed aria condizionata. Subito

un gran bagno e poi un’ottima cena a buffet, nel ristorantino del villaggio a forma di barcone. Ma il clou della serata sono le tartarughe marine di Ras

Al Jinz. Adil dice che ci accompagnerà e che resterà con noi fin oltre mezzanotte. E il Ramadam nella Moschea? Gatta ci cova. Alle 20,30 partiamo per Ras Al Jinz, la riserva marina, ora Parco Nazionale, dove migliaia di

tartarughe marine della specie Chelonia mydas (Tartaruga verde o franca) depongono le uova. Nel periodo di deposizione da agosto a novembre, sulla spiaggia ce ne sono quotidianamente a centinaia. In inverno, invece, se ne vedono solo pochi esemplari e, in compenso numerosissimi possono essere i turisti che sbarcano dalle navi da crociera. Agosto quindi è un ottimo mese per poterle osservare. Da un rapporto dello UICN (Istituto per la Conservazione della Natura delle Nazioni Unite), risulta che ben tre specie di tartarughe marine su sette presenti al mondo, nidificano sui litorali dell’Oman. Questo è davvero un record perché non vi è alcuna nazione al mondo con tre specie nidificanti e questo sta a significare che i sistemi di salvaguardia funzionano. Ma soprattutto vi è stata una politica educativa molto efficiente. Un bravo ranger in Dishadasha spiega e mima in modo buffo la deposizione delle uova, poi

veniamo divisi in gruppetti e guidati da vari ranger a vedere alcune tartarughe che scavano grandi buche e altre che depongono le uova. Vediamo tutte le fasi: l’arrivo dal mare, lo scavo della buca, la deposizione, il ritorno al mare, e alcune tartarughine vaganti. Evento eccezionale che attendevo da trenta anni. Come volontario del WWF Puglia, ho salvato diecine di Caretta caretta, ma mai avevo assistito dal vivo alla nidificazione e deposizione delle uova. Posso dire che, per un appassionato di natura, solo questa esperienza vale tutto il viaggio. Chiaramente dobbiamo fissare tutto nella nostra memoria perché è severamente vietato fotografare. Ed è giusto così, in quanto il bianco del flash può essere confuso con il bianco delle onde e disorientare le tartarughine appena sgusciate. Tutto il gruppo è davvero contento di questa magnifica esperienza. 28/8: Ras al Hadd: relax in un mare di pesci!E’ venerdì di Ramadam e Adil mi dice che alle 13,30 vuole la libera uscita, per compensare lo straordinario della sera precedente. Ok, concesso. Ci dedichiamo, quindi, alla vicina cittadina di Sur in cui sono ubicati diversi arsenali che in tempi passati arrivavano a garantire alla città una flotta di oltre 100 Dhows, la più importante dell’Oman. Il declino cominciò con l’arrivo dei piroscafi a vapore della British Indian Steamer Navigation Company. Aggirarsi tra i reparti del cantiere ha però un particolare fascino. L’odore del legno piallato ed il rumore degli attrezzi da lavoro, di fronte allo scheletro di un dhow in costruzione, ci fanno entrare in un’altra epoca, quella dei mercanti di spezie e di schiavi, e di pirati. Di fronte si nota

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la bella cittadina di pescatori di Al Ajia. Per arrivarci prendiamo una barchetta che fa da traghetto. La baia con il porticciolo, i dhows in rada ed il faro, e le linde ville di facoltosi commercianti ne fanno una ideale cartolina d’oriente. La percorriamo tutta fino al faro in compagnia di un gregge di capre, guidato da un caprone che impartiva gli ordini facendo strane pernacchie con la bocca. Decidiamo di tornare a Ras al Hadd per dedicarci ancora al mare: maschera, boccaglio e scarpette per un grande snorkelling. Decido di partire direttamente dalla spiaggia e fare tutta la costa sinistra della baia. Appena entrato in mare, noto che a ginocchio d’acqua il fondo sabbioso è ricchissimo di triglie, un’infinità di triglie, dal colore leggermente più chiaro di quelle nostrane. Avanzo e incomincio a vedere sfrecciare timidi cefali. La scogliera ha una caratteristica stupefacente e preoccupante allo stesso tempo: è tappezzata di ostriche. Non vi è un cm quadrato libero ed in più sono taglienti come un rasoio. Per fortuna, il mare non è agitato quindi non vi è pericolo di sbatterci contro. Avanzo ancora, ed il paesaggio sopr’acqua, di rocce rosse si fa sempre più spettacolare. Anche sott’acqua non si scherza; è un arcobaleno di colori addosso a una miriade di pesci. Solo alcuni mi sono noti: pagliaccio, chirurgo, pappagallo, balestra, zebra, e perfino una murena. Tanti altri non si presentano ed il loro nome mi resterà ignoto. 29/8: Memorabili bagni nel Wadi Shab e nel Sink Hole di Bimmah. Salutiamo Ras al Hadd con un bagno mattutino e su consiglio di Adil riempiamo delle bottiglie di acqua dolce. Ci serviranno per farci una doccia lungo la costa. Chiedo ad Adil di fermarci a Qalhat alla tomba di Bibi Mirian. Il sito archeologico del II sec. d.C. non è difficile da raggiungere dall’autostrada, che da tempo ha sostituito l’antica pista carovaniera. Il Mausoleo non è monumentale e ai viaggiatori distratti potrebbe passare inosservato. Per noi invece, ha un profondo significato, visto che qui fecero sosta sia Marco Polo che Ibn Battuta, prima di imbarcarsi per l’estremo oriente. E’ uno di quei luoghi in cui i viaggiatori moderni dovrebbero fermarsi almeno un istante e rendere omaggio con la memoria a due grandi viaggiatori del passato. La vegetazione costiera è quasi inesistente, ma il mare è straordinario, di un azzurro variabile dal celeste chiaro al blu scuro. Deviamo lungo il Wadi Tiwi per circa 6 km, finché la strada si restringe e proseguiamo per una breve passeggiata a piedi fino all’imboccatura del Wadi Shab. Restiamo

incantati per l’abbondanza di acqua che viene dalle montagne e, per le palme che rendono il paesaggio incredibilmente bello e tropicale. Gli antichi falaj in argilla sono sostituiti da quelli in cemento o da tubi, ma il paesaggio man mano che si risale il fiume è sempre più bello. Un bagno alla Tarzan in una limpida pozza tra rocce e palme non ce lo toglie nessuno. Immaginiamo che il giardino dell’Eden debba essere così e non vogliamo abbandonarlo. Ma Adil ci aveva detto di far ritorno al Toyota alle 13,00 per completare la visita del giardino di Hallah. Lasciamo la strada asfaltata e attraverso sentieri di terra battuta ci dedichiamo alla scoperta di tratti di costa magnifica, dove il giallo-rosso delle rocce si confonde con il blu cobalto del mare, creando una suggestiva tavolozza. White Beach ci accoglie con la voce antica del mare, ed il silenzio circostante ci induce a celebrare un connubio spirituale tra uomo e natura. Sappiamo però che le sorprese non sono finite. Le relazioni in nostro possesso ci descrivono la dolina di Bimmah come un sito geologico d’immenso fascino. Gli amici del gruppo non riescono ad immaginare come una dolina dell’entroterra possa contenere acqua di mare. A me il fenomeno era già noto e lo avevo già osservato sull’isola di Pianosa nell’arcipelago delle Tremiti e a Punta Perdiz a Cuba. Si potrebbe definire volgarmente un laghetto salato, in realtà è uno sprofondamento della superficie, che crea una depressione invasa dall’acqua marina attraverso un tunnel naturale che lo collega al mare. E’ un luogo magnifico e spettacolare. Anche qui lasciamo il segno del nostro passaggio con un memorabile bagno, seguito con la doccia a base di acqua contenuta nelle bottiglie di plastica. Siamo ormai alle porte di Qurayyat, la città di Adil. Questi per farsi perdonare delle molteplici marachelle ci dice che può mettere a nostra disposizione una camera della sua casa, per riposarci, mangiare qualcosa e cambiarci. Chiaramente accettiamo, anche perché da queste parti non si può rifiutare l’offerta di ospitalità. E poi siamo curiosi di vedere com’è fatta una casa omanita di oggi. In realtà non è una casa ma una grande villa multifamiliare, in periferia, cintata da un alto muro. Ci mette a disposizione una grande camera con bagno, sempre a disposizione degli ospiti. E’ampia almeno 30 mq ed alta 4 m, tutt’intorno sono disposti dei divani foderati con tessuti sintetici e per terra un grande tappeto. Il centro della sala è dominato da un grande televisore. Ma ciò che colpisce la nostra attenzione è un grande arazzo della Mecca con la spianata della Ka’ba, che noi, non musulmani, possiamo vedere solo in questa maniera. Non vediamo persone adulte ma solo bambini che ci portano ciotole di acqua fresca, piatti e coltelli per la frutta. Abbiamo capito che si scandalizzerebbero nel vederci mangiare e bere durante le ore diurne, contravvenendo alle regole del Ramadam. Siamo insomma scandalosi infedeli e noi purtroppo comprendiamo il loro disagio. Comunque la sosta a noi è andata bene perché ci siamo ristorati, lavati e cambiati, prima di prendere l’aereo per il ritorno a casa. Nonostante il Ramadam e il caldo d’agosto, questa nazione ci ha proprio stupito al punto che è vero ciò che si canta: “Vedi Omàn quanto è bello…….” !!!