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etica in modelli storici TU 2009 incontro 2 Aristotele Aristotele etica delle abilità dell’uomo Etica 1. le basi: la filosofia prima e gli strumenti generali della filosofia e della scienza. Forme e livelli della scienza. Le scienze si definiscono nella loro specializzazione e si distinguono tra di loro in quanto hanno un proprio oggetto e, di conseguenza, un proprio metodo di indagine. Tuttavia, ognuna di loro può considerarsi scienza in quanto condivide uno statuto comune che le rende tali: l’attenzione al proprio oggetto, sulla base dell’esperienza osservata con metodo, la correttezza degli enunciati sulla base del rispetto di regole generali di logica. La filosofia, in particolare una filosofia opportunamente chiamata “prima” o “metafisica”, ha il compito di portare a chiarezza preliminare e mettere a disposizione le basi comuni di ogni scienza: i concetti generali contenuti nell’idea di realtà (“l’essere in quanto essere”), gli elementi e i principi generali della logica. Nella Metafisica Aristotele indaga e presenta un livello di realtà e di sapere che costituisce il fondamento comune di qualsiasi dato d’esperienza, a cui spetta il compito di fornire un vero e proprio corredo concettuale capace di dare unità e rigore ai diversi rami della ricerca: la «filosofia prima» si qualifica come repertorio dei concetti (principio, causa, uno, sostanza, forma, materia, potenza, atto ecc.) e di regole (i principi logici di identità, non contraddizione, terzo escluso) che reggono il variegato mondo dei saperi. Prende così corpo, nel momento della crisi della dialettica platonica, l’immagine di una scienza che si colloca in una posizione privilegiata rispetto alle altre discipline per la sua capacità di garantire e dare ragione dell’ordine complessivo del mondo e, conseguentemente, della conoscenza scientifica. «C’è una scienza che studia l’essere-in-quanto-essere e le proprietà che gli sono inerenti per la sua stessa natura. Questa scienza non si identifica con nessuna delle cosiddette scienze particolari, giacché nessuna delle altre ha come suo universale oggetto di indagine l’essere-in-quanto-essere, ma ciascuna di esse ritaglia per proprio conto una qualche parte dell’essere e ne studia gli attributi, come fanno, ad esempio, le scienze matematiche. E poiché noi stiamo cercando i principi e le cause supreme, non v’è dubbio che questi principi e queste cause sono propri di una certa realtà in virtù della sua stessa natura.» (Metafisica IV) Sergio Gabbiadini 1

Aristotele Etica Corso16_lez02

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E' sempre da rileggere la geniale trattazione arisotelica dell'etica....

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Aristotele

etica in modelli storici TU 2009 incontro 2

Aristotele

Aristotele

etica delle abilit delluomo

Etica

1. le basi: la filosofia prima e gli strumenti generali della filosofia e della scienza.

Forme e livelli della scienza.

Le scienze si definiscono nella loro specializzazione e si distinguono tra di loro in quanto hanno un proprio oggetto e, di conseguenza, un proprio metodo di indagine. Tuttavia, ognuna di loro pu considerarsi scienza in quanto condivide uno statuto comune che le rende tali: lattenzione al proprio oggetto, sulla base dellesperienza osservata con metodo, la correttezza degli enunciati sulla base del rispetto di regole generali di logica. La filosofia, in particolare una filosofia opportunamente chiamata prima o metafisica, ha il compito di portare a chiarezza preliminare e mettere a disposizione le basi comuni di ogni scienza: i concetti generali contenuti nellidea di realt (lessere in quanto essere), gli elementi e i principi generali della logica. Nella Metafisica Aristotele indaga e presenta un livello di realt e di sapere che costituisce il fondamento comune di qualsiasi dato desperienza, a cui spetta il compito di fornire un vero e proprio corredo concettuale capace di dare unit e rigore ai diversi rami della ricerca: la filosofia prima si qualifica come repertorio dei concetti (principio, causa, uno, sostanza, forma, materia, potenza, atto ecc.) e di regole (i principi logici di identit, non contraddizione, terzo escluso) che reggono il variegato mondo dei saperi. Prende cos corpo, nel momento della crisi della dialettica platonica, limmagine di una scienza che si colloca in una posizione privilegiata rispetto alle altre discipline per la sua capacit di garantire e dare ragione dellordine complessivo del mondo e, conseguentemente, della conoscenza scientifica.

C una scienza che studia lessere-in-quanto-essere e le propriet che gli sono inerenti per la sua stessa natura. Questa scienza non si identifica con nessuna delle cosiddette scienze particolari, giacch nessuna delle altre ha come suo universale oggetto di indagine lessere-in-quanto-essere, ma ciascuna di esse ritaglia per proprio conto una qualche parte dellessere e ne studia gli attributi, come fanno, ad esempio, le scienze matematiche. E poich noi stiamo cercando i principi e le cause supreme, non v dubbio che questi principi e queste cause sono propri di una certa realt in virt della sua stessa natura. (Metafisica IV)

I principi primi e le definizioni essenziali su cui poggia lintero progetto di ricerca di Aristotele sono presentati dunque dalla scienza che indaga i fondamenti del sapere: la filosofia prima, che la tradizione ha chiamato metafisica. Nel Libro IV della Metafisica Aristotele afferma che la filosofia prima ha come oggetto di studio la realt nella sua totalit, lessere e i modi originari e supremi nei quali si presenta e a cui si possono riportare tutti i dati dellesperienza. Essa non studia quindi un aspetto particolare della realt, come le scienze che si occupano della natura a partire da principi particolari, ma va alla ricerca delle cause prime, dei principi supremi della realt e delle categorie logico-linguistiche in grado di esprimere scientificamente tale realt nel suo complesso. bene richiamare questi principi comuni, indispensabili per comprendere le tesi formulate dalla varie scienze nellambito dei saperi specifici; essi risultano sicuramente necessari anche per comprendere quanto Aristotele afferma nella propria dottrina etica.

1.1. la realt o lessere in quanto essere: lessere originariamente plurivoco e i suoi modi originari

Il termine essere usato in molte accezioni, ma si riferisce in ogni caso ad una cosa sola e ad ununica natura e non per omonimia; ma, come tutto ci che sano si riferisce in ogni caso alla salute sia in quanto la conserva sia in quanto la procura sia in quanto la manifesta sia in quanto in grado di riceverla e come tutto ci che medico si rapporta alla medicina (giacch una cosa si dice medica perch possiede larte della medicina, e unaltra perch naturalmente adatta ad essa e unaltra ancora perch opera della stessa medicina anzi possiamo assumere anche altri termini usati in modo simile a quelli precedenti), cos anche il termine essere viene usato in molte accezioni, ma ciascuna di queste si riferisce pur sempre ad un unico principio. Alcune cose, infatti, si chiamano esseri perch sono sostanze, altre perch sono determinazioni affettive della sostanza, altre perch aprono la via verso la sostanza o ne indicano la distruzione o la privazione o le qualit, o perch sono produttrici o generatrici di una sostanza ovvero dei termini relativi alla sostanza, o anche perch sono negazioni di qualcuno di questi termini o della sostanza; ed questo il motivo per cui noi diciamo che anche il non-essere in-quanto-non-essere. (Metafisica IV)

Il principio da cui prende avvio la riflessione di Aristotele che lessere originariamente e irriducibilmente plurivoco: i modi nei quali si presenta alla nostra esperienza, attraverso la nostra mente, costituiscono a un tempo i modi generali di essere della realt e le classi originarie delle espressioni che li definiscono (le dieci categorie). Un enunciato lapidario, ricorrente ed essenziale, lessere plurivoco ( originariamente molteplice), chiude il difficile problema posto da Parmenide: lunicit dellessere (se questa la tesi di Parmenide o, pi verosimilmente dei discepoli come Melisso) non permette di considerare reale la diversit, la molteplicit, il divenire; salva la logica, ma consegna allapparenza e allillusione aspetti evidenti dellesperienza.

La plurivocit originaria dellessere, ad evitare dispersione senza connessione logica, va gestita razionalmente come la realt impone; occorre dunque indicare come quella pluralit di modi possa comunque riferirsi unitariamente (e non per omonimia) al termine unico essere. Aristotele richiama le teorie dellultima dialettica di Platone, in particolare la dottrina degli elementi (uno e molti) e indica la relazione interna alle dieci categorie: la prima di esse, la prima accezione dellessere, la sostanza, sostiene e fa da punto di riferimento unitario delle altre nove che, pur avendo ciascuna una specifica essenza (uno specifico modo di essere), si riferiscono per predicazione ed esistenza alla sostanza, termine che indica il concetto di ente determinato.

La riflessione della filosofia prima si concentra ora sulla prima categoria: la sostanza, e spiega come possa presentarsi come ente determinato.

1.2. la teoria della sostanza (punto di sostegno nelle dieci categorie, i concetti di materia e forma)

1.2.1. sostanza o ente determinato, lessere per eccellenza, lessere in accezione prima

Dunque, evidente che in virt della categoria della sostanza che anche ciascuno di quei predicati essere. Pertanto lessere primo, ossia non un particolare essere, ma lessere per eccellenza, la sostanza. E in verit, ci che dai tempi antichi, cosi come ora e sempre, costituisce leterno oggetto di ricerca e leterno problema: che cos lessere, equivale a questo: che cos la sostanza (Metafisica VII)

1.2.2. sostanza o ente determinato: sostrato primo, sinolo di materia e forma

La Sostanza viene intesa, se non in pi, almeno in quattro significati principali: infatti, si ritiene che sostanza di ciascuna cosa sia lessenza, luniversale e il genere, e, in quarto luogo, il sostrato. Il sostrato ci di cui vengono predicate tutte le altre cose, mentre esso non viene predicato di alcunaltra. Perci, in primo luogo, di esso dobbiamo trattare: infatti, sembra che sia sostanza soprattutto il sostrato primo. E sostrato primo vien detta, in un certo senso, la materia, in un altro senso, la forma e, in un terzo senso, ci che risulta dallinsieme di materia e di forma. Chiamo materia ci che, di per s, non n alcunch di determinato, n una quantit n alcunaltra delle determinazioni dellessere. O, piuttosto, dovremo dire che anche la definizione e cos pure il che cos delle cose possono esser detti in molteplici significati. Infatti, il che cos significa, in un senso, la sostanza e alcunch di determinato, in altro senso, significa ciascuna delle altre categorie: quantit, qualit e tutte le restanti. E cos come l si predica di tutte le categorie, ma non nello stesso modo, bens della sostanza in modo primario e delle altre categorie in modo derivato, nello stesso modo anche il che cos si dice in senso assoluto della sostanza e in certo qual modo anche delle altre categorie. (Metafisica VII)

1.3. la dottrina delle cause: le quattro accezioni del termine causa: formale, materiale, efficiente, finale

La scienza un sapere che indica le cause e risale, in questa segnalazione fino alle cause ultime o ai principi primi. La ricerca delle cause e dei principi la condizione preliminare per garantire forma razionale e scientifica ai discorsi e ad ogni disciplina. Il testo della Metafisica e le opere riservate al tema della logica contengono lindicazione del ruolo dei principi e delle cause: mostrano come storicamente nata lesigenza di parlare del mondo secondo uno schema razionale basato sulla ricerca delle cause, illustrano come lindagine, nel suo progresso storico, si sia trovata quasi costretta a fare ricorso a diversi modi di intendere la parola causa. Il percorso storico diventa cos il contesto in cui Aristotele presenta la variet dei termini che costituiscono sia il suo dizionario filosofico sia il modello di spiegazione che adotta in tutte le sue ricerche. I quattro significati diversi di causa sono lo strumento di una doppia operazione: di presentazione storica e di chiarificazione linguistica.

1.3.1. i quattro tipi di cause in doppia presentazione

1.3.1.1. una presentazione analitica (paratattica) di chiarificazione preliminare

chiaro, dunque, che occorre acquistare la scienza delle cause prime: infatti, diciamo di conoscere una cosa quando riteniamo di conoscerne la causa prima. Ora, le cause vengono intese in quattro significati diversi. (1) In un primo senso, diciamo che causa la sostanza e lessenza: infatti, il perch delle cose si riconduce, in ultima analisi, alla forma: e il primo perch appunto una causa e un principio; (2) in un secondo senso, diciamo che causa la materia e il sostrato; (3) in un terzo senso, poi, diciamo che causa il principio del movimento; (4) in un quarto senso, diciamo che causa quella opposta a questultima, ossia lo scopo e il bene: infatti, questo il fine della generazione e di ogni movimento. (Metafisica I)

1.3.1.2. una presentazione in rete (sintattica) per metterne in luce la funzione scientifica.

Lelenco analitico e paratattico dei significati di un termine di natura plurivoco si accompagna sempre, in Aristotele, alla indicazione dellintreccio tra i molti significati posti in evidenza; solo questo intreccio chiarisce definitivamente e mette a disposizione luso plurimo del termine, secondo legami che variano al variare degli ambiti scientifici. Anche per il termine causa lindicazione della sua plurivocit nella forma di un venire alla luce di quei significati nella storia, secondo la ricostruzione di Aristotele, e la sua chiarificazione analitica diretta, ottenuta attraverso una definizione, costituiscono la base per un intreccio tra i significati del termine causa. Se la prima operazione, la chiarificazione analitica, mette a disposizione il senso specifico dei vari modi, e annulla confusioni, la seconda operazione, la correlazione tra quei significati, che fanno comunque capo allo stesso termine (non per semplice omonimia), mette a disposizione il termine per la spiegazione scientifica svolta nei diversi contesti di indagine.

La forma determina secondo essenza o secondo gli altri modi primi (originari) dellessere una materia (e perci causa formale); viceversa, la materia causa materiale in quanto individua (rende individuale, singolare) una forma altrimenti universale o che resta nella situazione generale di concetto. La forma (la specifica essenza, il ci che una cosa, a livelli essenziali o qualitativi) principio e fonte (causa efficiente) del costituirsi specifico di un ente determinato ed quindi anche lo scopo e il risultato (il fine, la causa finale) dellintero processo; Aristotele qui precisa come ci che ultimo cronologicamente quanto al risultato primo nel processo in quanto lo avvia in termini di scopo o fine; la forma allora anche causa finale poich indica lobiettivo che giustifica e mette in moto il procedimento di costituzione e definizione della realt determinata.

1.4. quando la conoscenza scienza

1.4.1. Una definizione della ragione scientifica

Aristotele considera scientifica quella conoscenza che non si limita al dato di fatto e alla sua semplice registrazione, ma risale alle cause e ai principi; questi vengono ricavati dallesperienza attraverso un processo di induzione (epagogh) che, partendo dallesame di casi particolari, arriva a elaborare enunciati di carattere generale. Un ragionamento inverso, la deduzione (apdeixis) procede dalluniversale al particolare: partendo da premesse o principi ricava in forma necessaria la conclusione; le due direzioni del ragionamento si compongono a costituire la razionalit scientifica: si pu infatti affermare di avere scienza della realt quando i dati particolari dellesperienza vengono dedotti e definiti attraverso un processo dimostrativo che ha il suo punto di partenza in principi tratti dallesperienza con un processo induttivo.

1.4.2. I diversi modi di essere scienza

La ragione scientifica, nella forma concreta che assume quando si applica a un settore specifico di ricerca, definita dallincontro di tre componenti: loggetto, i principi, il metodo. Tra di essi si instaura una inseparabile solidariet: loggetto impone i principi e i metodi adeguati con i quali la ragione pu raggiungere una conoscenza scientifica e non solo occasionale della realt. In questo intreccio, dunque, la realt stessa, nella sua complessit, non consente di affidare le possibilit conoscitive e dimostrative della mente a un unico metodo, considerato valido per tutti gli ambiti; a tale proposito Aristotele afferma la distinzione tra logica e metodo. Pur avendo presentato, nelle opere di logica, regole e principi generali volti a chiarire e indicare che cosa significa pensare, ragionare, dimostrare, Aristotele ritiene contraddittoria la ricerca di un unico metodo che possa presentarsi come sinonimo di razionalit e che pretenda di fornire la conoscenza dellintera struttura delluniverso. Ogni ricerca, servendosi dellimpianto dei quattro tipi di causa, deve adottare la forma di razionalit specifica (definizioni e concetti di partenza, forma dei procedimenti dimostrativi, in una parola: il metodo), adeguata al particolare settore della realt che prende in esame.

Una conseguente prima ed essenziale catalogazione delle scienze: teoretiche, pratiche, poietiche.

Le scienze teoretiche hanno una finalit puramente conoscitiva e studiano la natura secondo processi induttivi e deduttivi per mostrarne la struttura interna (cos la fisica, la biologia).

Le scienze pratiche studiano il comportamento umano allo scopo di scoprirne gli elementi costanti e fornire norme e fini di comportamento, tipologie e modelli di vita (cos letica, la politica).

Le scienze poietiche costruiscono il proprio oggetto secondo regole tecniche e fini specifici (cos la retorica e la poetica).

1.5. le scienze naturali, scienze del movimento, scienze del vivente

1.5.1. lessenza specifica di ci che natura (phsis) e della scienza che lo studia: la fisica.

Scienza teoretica, sorta dal puro desiderio di conoscenza, la fisica studia, scrive Aristotele, un certo genere dellessere: essa infatti ha per suo oggetto quel genere di sostanza che ha in se stesso il principio del movimento e della quiete. Ci che qualifica gli enti naturali dunque, per Aristotele, non solo il fatto di essere dotati di movimento ma di avere in s il principio del proprio moto. Movimento e cambiamento sono i fenomeni fondamentali della natura; chi non intende questi fenomeni non intende la natura; il fisico, la cui ricerca mira appunto a spiegare la natura e i mutamenti che in essa avvengono, dovr allora individuare gli specifici principi che gli consentono di descrivere le cause e i modi del divenire, tipici della natura. Restano fuori dal campo della ricerca fisica sia gli enti non dotati di automotilit (come gli oggetti prodotti dalla tecnica), sia quelli privi di movimento (come gli enti immutabili della matematica).

Degli enti alcuni sono per natura, altri per altre cause. Sono per natura gli animali e le loro parti e le piante e i corpi semplici, come terra, fuoco, aria e acqua (queste e le altre cose di tal genere noi diciamo che sono per natura), tutte cose che appaiono diverse da quelle che non esistono per natura. Infatti, tutte queste cose mostrano di avere in se stesse il principio del movimento e della quiete, alcune rispetto al luogo, altre rispetto allaccrescimento e alla diminuzione, altre rispetto allalterazione. Invece il letto o il mantello o altra cosa di tal genere, in quanto hanno ciascuno un nome appropriato e una determinazione particolare dovuta allarte, non hanno alcuna innata tendenza al cangiamento, ma lhanno solo in quanto, per accidente, tali cose sono o di pietra o di legno o una mescolanza di ci; e lhanno solo in quanto la natura un principio e una causa del movimento e della quiete in tutto ci che esiste di per s e non per accidente. (Fisica)

1.5.2. la scienza del movimento

1.5.2.1. Ad affrontare il problema del divenire, uno dei pi travagliati e ad un tempo centrali nella storia del pensiero filosofico greco, concorre lintera batteria di termini messi in luce, nella loro accezione generale, dalla filosofia prima: la sostanza e le altre categorie, materia e forma, atto e potenza, possesso e privazione (i contrari), i quattro modi della causalit. Si tratta di termini che vedono confermata la propria validit filosofica esplorativa nella capacit di disporsi a strumenti in grado di avvertire, cogliere e spiegare lesperienza in coerenza con i diversi punti di vista dai quali le scienze la studiano.

1.5.2.2. Lapplicazione di quei concetti si traduce nella trattazione teoretica del divenire. Il divenire in natura non un fatto estrinseco (derivante da cause esterne) ma laspetto proprio e specifico di ci che naturale: la natura caratterizzata di per s e non accidentalmente dal movimento. La sostanza naturale infatti diviene in quanto tende alla propria forma; la sua materia in potenza (dnamis) verso la realizzazione, cio tende ad essere in atto (enrgheia) la propria forma; questa il fine verso cui si dirige e costituisce la causa efficiente del suo divenire (endofinalismo). la natura il fine: per esempio quel che ogni cosa quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia dun uomo, dun cavallo, duna casa (Aristotele, Politica)

1.5.3. Lanima principio del vivente naturale, ne costituisce la forma specifica ed causa efficiente (il principio motore) e finale (lo scopo, il fine) del suo divenire.

1.5.4. Lanima delluomo o il principio del divenire delluomo come essere vivente naturale animato razionale Nelluomo, come mostrato dai suoi comportamenti, lanima raggiunge livelli complessi di funzione: facolt nutritiva, sensitiva, intellettiva. Il corpo, sostrato materiale (materia), reso individuale dalla concretezza fisica del corpo; il corpo dunque individua in modo del tutto singolare la potenzialit e la tensione delluomo verso la propria forma e realizzazione, nelle funzioni che lanima gestisce e pone in atto.

1.5.5. Lagire etico delluomo ha qui, e non in principi estrinseci di movimento e di azione, la propria sede, la propria causa, la propria efficacia. Luomo in modo attivo (con azioni e comportamenti) gestisce e determina il processo che lo porta a porre in atto e realizzare individualmente (in forza della corporeit), in s, con pienezza di funzioni (vegetativa, motrice, conoscitiva) lumanit (la sua specifica essenza e forma). Come ogni essere naturale, e in particolare vivente, non staticamente la propria forma (come accade agli enti ideali o artigianali), la possiede come potenza e tende ad essa, alla sua attuazione come al proprio fine; luomo dunque uomo in quanto perennemente in potenza alla propria individuale umanit. Fisica e biologia, sede prima dellantropologia, definiscono la struttura del comportamento umano e delletica, scienza che lo studia in termini di filosofia pratica. Se Socrate e Platone definiscono le linee della propria etica privilegiando il contesto della polis, Aristotele arriva alletica a partire dallo studio della fisica, della biologia e della antropologia; unetica che fonda le proprie radici nella natura. Sulla base degli esiti di questi studi delinea il ruolo indispensabile della societ (non pi della polis ormai al tramonto della sua autonomia) nel sostenere luomo nel processo di tensione e realizzazione della propria forma.

1.5.6. Lanima forma del corpo e suo destino di mortalit (vedi 2.5.1.)

1.6. la logica modale e il concetto di possibile: la possibilit condizione e fondamento delletica

1.6.1. Il divenire come essenza e principio intrinseco di ci che naturale (in particolare del vivente e del vivente razionale uomo) passaggio dalla potenza allatto nei confronti della propria forma. Mutamento che viene colto e salvaguardato se contemporaneamente garantita la possibilit. Il termine non indica semplicemente una situazione particolare e concreta ma si presenta come una categoria generale e fondamentale dellessere in quanto essere e della logica come sua espressione. Lo strumento logico che permette di avvertire ed esprimere secondo scienza il concetto di possibilit fornito dalla logica modale, presentata da Aristotele negli Analitici.

Analizzando la portata semantica e la struttura sintattica delle proposizioni, Aristotele, negli Analitici, ne cataloga i modi di essere: per congiunzione o per separazione le frasi possono essere affermative o negative; per estensione dei termini cui si riferisce il verbo, le proposizioni possono essere universali, particolari, singolari, indefinite; in rapporto alla realt, possono essere vere o false; per la relazione costruita dal verbo tra i termini (soggetto e predicato), le proposizioni possono appartenere ai modi della possibilit, della contingenza, dellimpossibilit, della necessit; questultima catalogazione costituisce la base della logica modale.

1.6.2. Una logica per la possibilit. Un legame logico di necessit si predica di ci che ideale e non soggetto ad alcun mutamento (come accade nel mondo delle matematiche); per ci che diviene, e ha nel divenire la propria essenza specifica, occorre pensare ad un legame logico espresso dalla possibilit. Questo il contesto dei diversi livelli di forza e cogenza di una relazione: il possibile pu essere infatti solo accidentale e contingente, pu essere per lo pi ma non necessariamente (come accade per le realt che per natura divengono), pu essere necessario; perch anche la necessit cade nel campo logico della possibilit: ci che necessario anche possibile (non impossibile). Nel campo della possibilit si iscrive e trova contesto di pensabilit e di affermazione lagire morale delluomo, le regole, le virt e i modelli che lo sorreggono e lo ispirano.

2. Le tesi delletica

2.1. letica filosofia (e scienza) pratica

2.1.1. Letica, in Aristotele, non inizia con tavole di precetti n intende fornire regole assolute; assume come proprio campo di indagine il comportamento delluomo. Si presenta dunque come una scienza che ha per oggetto lagire umano, considerato non solo nella sua forma astratta (lazione come carattere proprio dellumanit, la definizione di azione morale e le categorie che ne permettono la lettura e la classificazione secondo tipologie di vita), ma anche nella sua forma storica concreta (le azioni concrete degli uomini e lagire sociale quale si manifesta per lo pi), a partire dalle convinzioni e dalle abitudini che lo sorreggono. La prima mossa consiste in una conseguenza direttamente derivata dalla nuova demarcazione epistemologica: nellambito del sapere pratico non necessario muovere dai principi teorici (archai), come usano fare i platonici, e neppure porre la domanda sulle cause (aitiai), secondo unesigenza propria della scienza aristotelica: qui invece sufficiente che il fatto (to hoti) sia ben mostrato, perch esso primo, ed un principio (EN 17 1098b1 sgg.). (Vegetti Mario 1989 Letica degli antichi, Laterza, Roma-Bari, p. 162). 2.1.2. Limpianto descrittivo prima di essere prescrittivo o, meglio, propositivo. La scelta di uno sguardo analitico descrittivo spinge Aristotele ad allargare il campo della propria osservazione etica: il fatto (to hoti) di cui si occupa, e che sostituisce il partire da principi e regole, fa riferimento ai detti, alle massime, ai costumi condivisi e ricorrenti, alle opinioni autorevoli, alle tradizioni degli antichi universalmente riportate

2.1.3. Due postulati, due convinzioni, sorreggono e giustificano un simile modo di procedere: tutti gli uomini posseggono una naturale disposizione alla verit, la verit possiede una sua capacit di manifestarsi (Vegetti o.c. p.163); Aristotele li esprime con chiarezza e ripetutamente nelle proprie opere: Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza, la realt e la verit fece loro da guida e li costrinse a cercare (Metafisica A). Commenta Vegetti: Questa spontanea convergenza fonda lattesa ragionevole che nel dato di fatto costituito dalla tradizione recepita, dalle credenze condivise, dalla quotidiana discorsivit dei pi o dei saggi, sia depositato un repertorio di opinioni veritiere, che occorre rendere disponibili per la costruzione del sapere pratico. Il suo metodo consister appunto nel rendere effettiva e univoca questa disponibilit potenziale. Occorre scrive Aristotele esporre i fenomeni [cio appunto ci che appare nella discorsivit dei legomena], e, dopo aver passato in rassegna i problemi che essi presentano, mostrare la verit di tutte le opinioni (endoxa), o almeno di quelle pi diffuse e pi autorevoli; se si saranno risolte le difficolt lasciando sussistere le opinioni, si saranno adeguatamente messi in chiaro i problemi (EN VII 1 1145b2 sgg.). Il patrimonio di sapere latente in ci che si dice dunque spesso problematico, cio confuso, ambiguo, contraddittorio. Compito della filosofia pratica non tanto di produrre, contro di esso, un nuovo sapere, che risulterebbe perci stesso paradossale; bens di emendare questo giacimento di verit dalle sue scorie, liberarlo da quanto di inaccettabile e contraddittorio si infiltrato nelle opinioni, per conservarlo, salvarlo nelle sue linee essenziali e dominanti, rendendone cos espliciti e coerenti i contenuti impliciti.) (Vegetti o.c. p. 163) la tradizione filosofica che parte da Eraclito Bisogna dunque seguire ci che comune. Ma pur essendo questo lgos comune, la maggior parte degli uomini vive come se avesse una propria e particolare saggezza. fr. 2. Come sua costante, Aristotele impiega una sottile strategia di trasformazioni concettuali e di slittamenti semantici che gli consente di recuperare i materiali precedenti, di altri autori e soprattutto della tradizione socratica e platonica, neutralizzandone il senso originario in vista di una loro nuova funzione di scoperta, cos come di ricollocare gli strumenti concettuali del proprio impianto logico e metafisico come struttura di scoperta e articolazione teorica di un nuovo campo di studio.

2.1.4. Letica di Aristotele, come compito di ogni scienza, giunge alla norma ma vi arriva con la gradualit e la tecnica propria dellosservazione: lesame porta a cogliere costanti di comportamento che si presentano come aspetti di normalit e solo in questo senso diventano contesto di norma; esprimono precetti che danno luogo a tipologie di vita a sostegno della piena umanit del cittadino nella sua dimensione individuale e sociale. Letica, in quanto filosofia pratica, ha dunque certamente lo scopo di fornire indicazioni di comportamento, ma il suo carattere normativo, in quanto deriva da un metodo scientifico descrittivo e non presuppone principi fondativi esterni alluomo e alla societ, non ha i tratti apodittici di quei settori di indagine che studiano realt ideali e immutabili o di quelle morali che dichiarano di risalire al divino. Essa fornisce strumenti di orientamento etico, delinea il modello ideale delluomo e del cittadino che realizza pienamente la propria natura specifica (animale razionale e animale per natura politico); costruisce il quadro delle virt (abilit) che conducono lagire umano, nelle sue varie e insopprimibili espressioni, alla perfezione e quindi alla felicit.

2.2. azioni e virt: un binomio etico naturale

2.2.1. Come le varie scienze presentano i concetti di partenza e il metodo logico del loro uso per individuare il proprio campo di studio e attrezzarsi alla analisi e teoria del proprio oggetto cos anche la filosofia pratica, per indicare il proprio oggetto ha come compito primo quello di chiarire cosa significa azione e quando unazione si dice etica. Lazione un fatto fisico e pu essere un fatto morale; vanno richiamati come strumenti preliminari (principi propri) quei concetti che permettono di cogliere lessenza dellagire umano, spiegarne la dinamica, deciderne lappartenenza allambito morale. Unazione appartiene alletica e non un semplice fatto fisico, secondo Aristotele, sulla base di quattro caratteristiche: ha la propria causa in un fine (il fine costituisce la causa formale dellazione, ne definisce la portata morale); razionale e volontaria in quanto sceglie i mezzi volti a perseguire il fine (senza tale esplicita scelta lazione apparterrebbe al solo ambito dei desideri e delle tendenze cui appartengono i fini); conclude sostenuta e definita dalle virt; tende alla felicit e al piacere considerati non come situazioni particolari (legati ad azioni specifiche e autonome) delletica, ma come caratteristiche del comportamento delluomo quando le sue azioni portano a raggiungere un fine perseguito in vista della realizzazione della propria umanit.

2.2.2. Dallazione alla virt. Non la singola azione in s ad essere oggetto centrale delletica, ma la virt e il rapporto che le unisce. Lazione eticamente rilevante non quando considerata nella sua singolarit (in tal caso pu esserlo giuridicamente) ma quando fonte di virt; quando genera un comportamento e, in modo pi ampio, uno stile di vita. Il termine virt traduce il greco exis e il latino habitus, termini (entrambi forme del verbo avere) che con maggior efficacia linguistica riportano al concetto aristotelico (e greco-latino) di virt: si tratta di azioni ripetute che sono diventate comportamento spontaneo e naturale tale da costituire un consolidato stile di vita e come una seconda natura della persona. Ritorna la massima di Democrito: La natura e leducazione sono assai simili: poich leducazione trasforma luomo e trasformandolo ne costituisce la natura (osserva Vegetti, o.c. p.179: Si diventa giusti abituandosi a compiere azioni giuste, coraggiosi comportandosi coraggiosamente, e cos via.). Dunque il termine assume il significato di eccellenza funzionale di uno strumento (Vegetti o.c. p.173). Le virt non hanno i tratti del sacrificio e della sofferenza, n sono regole e obiettivi morali contenutisticamente prefissate; si tratta di disposizioni, abitudini, modi di essere in cui lazione confluisce e si consolida, perfezionano lagire, ne garantiscono lefficacia, la spontaneit, la piacevole sostenibilit.

2.2.3. Alla virt si accompagnano il piacere e la felicit. Letica di Aristotele eudaimonistica. Non vi in Aristotele traccia di unetica sacrificale fine a se stessa; il sacrificio in s non un bene n condizione di merito. La felicit si pone al centro (a principio e fine, compimento) delletica di Aristotele, non perch costituisce un fine specifico dellagire, in tal caso sarebbe fonte di turbamento e di ansia perch quel fine sarebbe sempre per noi accompagnato dalla consapevolezza di non essere ancora stato raggiunto (il tormento del ricorrente non sono ancora felice) ma in quanto caratteristica propria dellazione quando questa risponde a due aspetti: virt (habitus) e nostro stile di comportamento, legata a ci che per natura ci definisce. La felicit e il piacere non sono quindi virt specifiche o proprie, non sono disposizioni (exis), ma attivit (energheia, essere in atto) che si accompagnano e indicano il compiersi formale delle azioni etiche e delle virt. Si tratta di una caratteristica che accompagna lazione in rapporto alla intensit ed alla perfezione che la caratterizza in quanto e quando lazione realizza il bene e il fine cui tende. La felicit primariamente radicata nellattivit dellanima secondo virt. (Vegetti Mario 1989 Letica degli antichi, Laterza, Roma-Bari, p. 176). La felicit unazione non in s ma in quanto accompagna lazione; il suo incremento legato al tipo di attivit a cui si lega. Analogamente si deve dire del piacere: non qualcosa in s ma condizione e caratteristica che accompagna il raggiungimento di un fine. I livelli di validit e di gerarchia del piacere si rapportano alla gerarchia dei fini e delle funzioni dellagire umano; il piacere vale quanto vale latto stesso che lo ha espresso.

Avendo dunque trattato delle virt, delle amicizie e dei piaceri, resta che parliamo in abbozzo generale della felicit, giacch la consideriamo come il fine delle azioni umane. E se ci riferiamo a ci che s detto prima, il nostro ragionamento potr essere pi breve. Abbiamo detto che essa non una disposizione: in tal caso infatti essa si troverebbe anche in chi dormisse tutta la vita, vivendo cos una vita puramente vegetativa e in chi subisse le pi grandi disgrazie. Se dunque questo non pu ammettersi, bens piuttosto dobbiamo porre la felicit in unattivit, come s detto precedentemente, e se delle attivit alcune sono necessarie ed eleggibili in vista daltro, altre invece sono scelte per se stesse, evidente che bisogna porre la felicit tra le attivit scelte per esse stesse e non tra quelle scelte in vista di altro; infatti la felicit non manchevole di nullaltro, bens autosufficiente. Sono eleggibili per se stesse quelle attivit dalle quali non ci si attende altro allinfuori dellattivit stessa. Etica NicomacheaCommenta Mario Vegetti: Che cosa dunque la felicit? Nellambito di unetica non deontologica, non centrata cio sui doveri (alla maniera di quella kantiana), bens teleologica, orientata dalla promessa di un fine desiderabile, questa domanda evidentemente centrale. E non certo tipicamente aristotelica: leudaimonia il perno del pensiero morale antico, e della tradizione socratica in particolare. Tipica di Aristotele, invece, la sequenza argomentativa con la quale si ottiene la sua definizione, sviluppata nel capitolo 16 della Nicomachea. Il compimento, il buono stato di qualsiasi oggetto capace di svolgere una funzione specifica (ergon) consiste nelleffettivo svolgimento di questa funzione (come lo , ad esempio, scolpire per lo scultore). E la funzione propria delluomo in generale non consiste solo nel vivere, comune a tutti i viventi. Questo ergon consiste piuttosto nellattivit (energeia) dellanima in quella sua funzione che propria delluomo soltanto, la funzione del logos (qui il termine andr preso in tutta lestensione dei suoi significati: razionalit, ragionevolezza, scambio linguistico come momento decisivo dellinterazione sociale). Poich la felicit rappresenta una condizione di perfezione, questa attivit della parte razionale dellanima non potr svolgersi a un qualsiasi livello. Dovr essere secondo virt. (Vegetti Mario ivi p. 173) Vale il doppio rapporto interno: 1. lazione sommamente etica quella che tende alla virt, felicit, piacere come alla realizzazione di ci che sommamente appartiene alluomo, 2. lessenza della virt, felicit e piacere lazione.

2.3. lobiettivo: non norme ma tipologie / modelli di vita (e, allinterno dei modelli, virt e norme)

Legato allimpianto descrittivo delletica, alla scelta di metodo di attenersi alla osservazione dei fatti umani, e alla sua finalit pratica, lo studio di Aristotele sulletica compone virt e norme in modelli e stili di vita, vere e proprie tipologie che si mostrano in grado di realizzare, in diversi contesti e con diversi obiettivi, lagire morale delluomo secondo la pluralit delle funzioni che lanima sorregge e svolge in quanto principio polifunzionale del vivente e secondo lestrema variet delle situazioni sociali che si presentano. Il tema, gi platonico ma abbandonato anche da Platone, del bene supremo in assoluto e del bene supremo per luomo si traduce nella indicazione di modelli di comportamento o procede per tipologie. La dichiarazione di metodo di procedere per tipi ricorre numerose volte sia nellEtica Nicomachea sia nella Politica e segnala lattenzione di Aristotele a cogliere il metodo proprio di ciascuna indagine e a perseguire la chiarezza adeguata alla materia che sta sotto; il rigore infatti non deve essere cercato nella stessa misura in tutti i discorsi, come neppure in tutti i manufatti (Etica Nicomachea 1094 b 11ss) Ci significa che il risultato in questione non il pi accurato che si possa desiderare, pur senza essere errato o falso: esso ha il grado di accuratezza che si richiede ad una trattazione, la quale non ha come scopo esclusivo una conoscenza perfetta di un certo oggetto, ma vuole servirsi della conoscenza di esso in vista di un fine ulteriore. Insomma il carattere generale, o tipologico, della scienza politica strettamente connesso al suo intento pratico. Si deve riconoscere, tuttavia, che non solo la filosofia pratica si propone un intento tipologico, ma questo comune, in certi momenti anche alle scienze teoretiche, per esempio alla psicologia, alla zoologia, alla fisica e persino alla metafisica Berti Enrico 1989 Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari p.117-118

Concorrono, nel progetto di Aristotele, tre fondamenti e tre competenze: la natura dellanima e le sue funzioni, il mondo delle relazioni politiche e sociali, lobiettivo di un agire morale sorretto da virt e felicit.

2.4. plurivocit in campo etico il bene (la felicit, il piacere) in accezione plurivoca

Concetto sommo della filosofia platonica, oggetto di ricerca nella Repubblica, continuamente rimandato nella sua definizione (definizione che nei fatti poi non compare), il Bene sembra essere pensato nella filosofia platonica con i tratti dellin s e della trascendenza; solo cos sembra in grado di sostenere il progetto e limpianto delletica: in quanto indicato come fondamento e fine, in quanto sede per unetica basata su modelli generali, principi e regole (prescrittiva).

Limpostazione descrittiva delletica di Aristotele impone una radicale revisione del concetto di bene, irrinunciabile per ogni riflessione etica, non accettabile nella forma di idea del Bene che per Platone si presentava come massimo tema delletica e fondamento di valore e di orientamento dellagire. Nella revisione giocano un ruolo indispensabile, in prima istanza, la dottrina metafisica e logica della plurivocit dellessere, in seconda istanza, la concezione dellazione etica che deve la propria presenza nel campo morale allabbinamento con i concetti di fine, virt, felicit, piacere.

2.4.1. il bene, un concetto plurivoco: la plurivocit del concetto di essere diventa (genera e si accompagna a) la pluralit del concetto di bene; viene predicato dunque secondo tutte le modalit della realt previste dalla classificazione aristotelica dellessere secondo le dieci categorie (non sostanza come entit trascendente di carattere teologico o cosmologico, ma predicazione di sostanza, di qualit, di quantit, di relazione ecc.

2.4.2. nel campo delletica, in modo pi specifico, il bene diventa il predicato di virt; cio indica la eccellenza funzionale di un comportamento e quindi punto di arrivo dellazione morale.

2.4.3.01. paralleli pluralistici: analogamente (come per lessere e per il bene) si deve dire per la felicit e per il piacere: non sono qualcosa in s ma caratteristiche che accompagnano il raggiungimento di un fine . (cfr. 2.2.3)

2.5. le virt dianoetiche e le virt etiche

Il tema delle virt, fondamento, sostegno e fonte dellagire morale, diventa il contesto in cui Aristotele riformula lintero piano della filosofia, o della propria ricerca enciclopedica, da una prospettiva pratica: catalogando gli esiti cui giunge lagire umano egli cataloga le potenzialit e gli esiti conoscitivi della mente (virt dianoetiche), i risultati e i modelli del vivere sociale (virt etiche)

2.5.1. le virt dianoetiche

2.5.1.1. il contesto delle virt dianoetiche nella loro sede: il principio del vivente, lanima

2.5.1.1.1. Su questo tema, e pi in particolare sul rapporto tra anima e corpo, la riflessione di Aristotele sembra subire una evoluzione o, perlomeno, proporre impostazioni diverse. Nelle opere giovanili (come Eudemo, Protrettico, La filosofia) Aristotele, discutendo sul problema dellanima non nel contesto degli studi naturalistici e biologici, ma allinterno di tematiche etiche e religiose, affronta il tema a partire dalla visione dualistica proposta da Platone nel Fedone; anima e corpo si presentano come due sostanze distinte, la prima sostanza, forma e idea (idos t), quindi immortale e incorruttibile, mentre il corpo una sostanza indipendente, distinta dallanima e corruttibile. Una diversa impostazione si trova nelle opere in cui Aristotele espone i risultati delle ricerche biologiche (come Storia degli animali, Parti degli animali); tra lanima e il corpo, considerati ancora come sostanze distinte, si instaura tuttavia un nuovo stretto rapporto: il corpo lo strumento con cui lanima manifesta la propria natura di principio della vita. NellAnima infine, e in altri scritti a esso contemporanei o posteriori (come Generazione degli animali, Metafisica), Aristotele presenta il rapporto tra anima e corpo utilizzando, in modo esplicito, i concetti di forma e materia; la teoria ilemorfica, secondo cui lanima e il corpo costituiscono ununica sostanza: il vivente; in esso lanima costituisce il principio formale, il corpo il principio materiale. Lanima partecipa dellessere in quanto, congiunta con il corpo, trova in esso una propria materiale individuazione e si manifesta come principio di vita: di necessit dunque afferma Aristotele lanima sostanza, nel senso che forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza... pertanto non c bisogno di cercare se lanima e il corpo formano ununit, allo stesso modo che non c da chiedersi se formano ununit la cera e la figura.

2.5.1.1.2. Ribadita la profonda unit di anima e corpo, Aristotele studia le diverse funzioni dellanima e il loro diverso rapporto con il corpo. Egli conduce lindagine secondo un metodo costante, scandito in tre tempi: ferma dapprima la propria attenzione su di un oggetto e lo considera dal punto di vista del rapporto che esso intrattiene con il vivente (ad esempio: una realt materiale in quanto alimento, cibo); attraverso loggetto individua una funzione e una attivit propria dellanima (ad esempio: la nutrizione); quindi riconosce il fondamento attivo della funzione in una facolt o parte dellanima considerata potenzialmente in grado di svolgerla (ad esempio: la facolt nutritiva). Seguendo questo metodo Aristotele individua tre funzioni fondamentali (tre attivit) e tre facolt (tre parti o tre potenzialit) dellanima degli esseri viventi e, in particolare, delluomo: nutritiva, sensitiva, intellettiva. Tra le facolt o le parti dellanima vi , secondo Aristotele, un rapporto di implicazione, cos che lanima intellettiva, propria solo delluomo, comprende in s quella nutritiva e quella sensitiva e attribuisce loro il carattere di facolt umane. Su questa funzione, complessa per il riferimento che conserva alle altre (lanima linsieme delle funzioni proprie e necessarie del vivente) Aristotele concentra la propria attenzione etica studiandone comportamenti, azioni, virt e contesti di felicit e piacere.

2.5.1.2. le virt di quella parte dellanima con cui essa conosce e pensa

il quadro delle virt dianoetiche: sopha, epistme, nous, phrnesis, tchne- sapienza (sopha, la capacit culturale generale): lamore per il sapere e per la ricerca

- scienza (epistme, virt scientifica): la capacit di dimostrare a partire da principi e per ambiti specifici

- intelletto (nous, intelligenza poetica): la capacit di cogliere i principi

- saggezza (phrnesis, prudenza): la capacit di deliberare con efficacia nel momento giusto i mezzi necessari per raggiungere un fine buono (con competenze sulluniversale e sul particolare)

- tecnica (tchne, intelligenza produttiva): capacit di fare e produrre secondo progetto

2.5.1.3. il vertice delle virt dianoetiche nella proposta di un modello di vita: bos theoretiks - lanima e lintelletto

Riguardo alla parte dellanima con cui essa conosce e pensa (sia questa parte separabile, sia non separabile secondo la grandezza, ma soltanto logicamente) si deve ricercare quale sia la sua caratteristica specifica ed in qual modo il pensiero si produca. Ora se il pensare analogo al percepire, consister in un subire lazione dellintellegibile o in qualcosaltro di simile. Questa parte dellanima deve dunque essere impassibile, ma ricettiva della forma, e devessere in potenza tale qual la forma, ma non identica ad essa; e nello stesso rapporto in cui la facolt sensitiva si trova rispetto agli oggetti sensibili, lintelletto si trova rispetto agli intellegibili Quindi si esprimono bene coloro che affermano che lanima il luogo delle forme, solo che tale non lintera anima, ma quella intellettiva, ed essa non in atto, ma in potenza le forme. Aristotele De Anima- il bios theoretiks

Se dunque la felicit unattivit conforme a virt, logicamente essa sar conforme alla virt superiore; e questa sar la virt della parte migliore dellanima. Sia dunque essa lintelletto oppure qualcosa daltro, che per natura appaia capace di comandare e guidare e avere nozione delle cose belle e divine o perch esso stesso divino o perch la parte pi divina di ci che in noi, comunque la felicit perfetta sar lattivit di questa parte, conforme alla virt che le propria. Che essa sia lattivit contemplativa stato detto. E ci apparir concordare sia con ci che s detto prima sia con la verit. Questattivit infatti la pi alta; infatti lintelletto tra le cose che sono in noi quella superiore, e tra le cose conoscibili le pi alte sono quelle a cui si riferisce il pensiero. Ed anche lattivit pi continua; noi infatti possiamo contemplare pi di continuo di quanto non possiamo fare qualsiasi altra cosa. Pensiamo poi che alla felicit debba essere congiunto il piacere e si conviene che la migliore delle attivit conformi a virt quella relativa alla sapienza; sembra invero che la filosofia apporti piaceri meravigliosi per la loro purezza e solidit; ed logico che il corso della vita sia pi piacevole per chi conosce che non per chi ancora ricerca il vero. E lautosufficienza di cui abbiamo parlato si trover soprattutto nellattivit contemplativa. Inoltre sembra che sola ad essere amata per se stessa; infatti da essa non deriva alcun altro risultato allinfuori del contemplare, mentre dalle attivit pratiche ricaviamo sempre qualcosa, pi o meno importante oltre allazione stessa.

Se dunque in confronto alla natura delluomo lintelletto qualcosa di divino, anche la vita conforme a esso sar divina in confronto alla vita umana. Non bisogna perci seguire quelli che consigliano che, essendo uomini, si attenda a cose umane ed, essendo mortali, a cose mortali, bens, per quanto possibile, bisogna farsi immortali e far di tutto per vivere secondo la parte pi elevata di quelle che sono in noi; se pur infatti essa piccola per estensione, tuttavia eccelle di molto su tutte le altre per potenza e valore. Aristotele Etica Nicomachea 1177b3

Note:

- nella vita contemplativa (teoretica) trovano piena realizzazione gli aspetti delletica: azione, virt, libert, felicit (scelta per se stessa, libera da, autosufficiente, fine), piacere (che segue, nella sua validit e nel suo grado, lattivit che lo esprime e realizza).

- letica di Aristotele si concentra (al primo posto) sullinvito alla vita contemplativa come invito alla propria parte divina, quella che in noi, pi piccola, la migliore, e allimmortalit (con ci contrastando la morale deifica tradizionale); unimmortalit non come tratto temporale di una sostanza (es. lanima) ma come obiettivo etico (bisogna farsi immortali, athanatzein)

- va sottolineato il carattere energetico pratico della contemplazione (theorin): non n lacquisizione n il possesso della scienza ma il suo uso attuale: contemplare si definisce in opposizione ad apprendere e a sapere; guardare attualmente (in atto) una verit gi appresa e che gi si conosce (Gauthier R.A., Jolif J.Y. Ltique Nicomaque, Louvain Paris 1958, p. 855)

2.5.2. le virt etiche:

Al secondo posto sta la vita conforme alla virt etica; infatti le attivit a essa conformi sono quelle umane; infatti tra di noi esercitiamo le azioni giuste, quelle coraggiose e quelle conformi alle altre virt sia nei contratti, sia nei rapporti sociali, sia nelle azioni di ogni genere e nelle passioni, avendo cura di rispettare ci che compete a ciascuno: e tutte queste appaiono essere cose umane. Sembra anche che in alcune cose la virt etica proceda dal corpo e che in molti casi essa sia intimamente congiunta con le passioni. Anche la saggezza unita alla virt morale e questa unita alla saggezza, in quanto i principi della saggezza sono conformi alle virt etiche e la rettitudine delle virt etiche conforme alla saggezza. E le virt, che sono cos connesse anche alle passioni, saranno proprie della struttura composta delluomo; e le virt di questa struttura composta sono umane. E altrettanto lo sono la vita e le felicit a esse conformi. Invece la vita del pensiero separata. Aristotele Etica Nicomachea

2.5.2.1. il contesto delle virt etiche nelle relazioni sociali in cui luomo inserito come animale sociale politico, animale per natura politico (Etica Nicomachea 1097b11, Politica 1253a2)

2.5.2.1.1. il sociale il luogo dellumano: Da queste considerazioni evidente che lo stato un prodotto naturale e che luomo per natura un essere socievole: quindi chi vive fuori della comunit statale per natura e non per qualche caso o un abietto o superiore alluomo quindi chi non in grado di entrare nella comunit o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non parte dello stato, e di conseguenza o bestia o dio. Aristotele, Politica2.5.2.1.2. il sociale il luogo di scoperta e realizzazione progressive della propria natura come natura complessa; della propria complessit. un aprirsi alla propria complessit, alla perfezione della propria complessit.

nota 1. dal punto di vista delluomo: osserva Sigieri di Brabante (1235-1282, Tractatus de anima intellectiva, in Quaestiones in tertium De Anima (Louvain Paris 1972, cap.VIII) E bisogna pensare a quanto il Filosofo dice nel secondo libro della Politica, che cio Socrate ha distrutto la citt volendo troppo la sua unit. Allessenza del composto infatti pertiene la molteplicit delle differenti parti. E poich luomo un composto naturale pi perfetto di altri, come una certa citt, non affatto sconveniente, n ha dellincredibile il fatto che sia meno unitario (minus unus) di altri composti naturali che non hanno se non una sola forma semplice o una sola perfezione (da Caccia Emanuele 2005 La trasparenza delle immagini, B.Mondadori, Milano 218 nota)

nota 2. dal punto di vista della societ: osserva Karl Mannheim: Tratti della personalit come la riflessivit, la spietatezza o linclinazione al dominare gli altri non sono attributi dellindividuo in quanto tale, ma piuttosto aspetti del suo comportamento in particolari relazioni. Quello che potrebbe essere un tratto pervasivo della personalit lo si potrebbe facilmente dimostrare una variabile dipendente di specifiche associazioni. Labnegazione in un gruppo primario [diremmo branco] non uguale alla pugnacia del competitivo uomo daffari. In breve, gli attributi personali come il coraggio, la timidezza, la lealt o legoismo sono astrazioni a uso analitico che in ultima analisi hanno senso solamente allinterno di aree di comportamento ben definite fuorviante parlare di determinazione sociale dellindividuo come se la personalit e la societ si confrontassero una con laltra come delle entit discrete. Tuttavia, una volta detto questo, bisogna pure ricordare che le varie componenti della personalit sono diversamente e alle volte contraddittoriamente socializzate. (Mannheim Karl Saggi di sociologia della cultura, A.Armando, Roma 1998, p.58)

2.5.2.2. le virt etiche: molte, non numerabili, diverse tra loro e ciascuna al proprio interno secondo gradazioni e in risposta a opportunit per la natura del sociale (e delluomo come animale sociale per natura). Occorre congiungere tre aspetti: la natura sociale delluomo, la natura complessa della societ (non riducibile, se non drammaticamente, allunit di pensiero) per la estrema variet e non prevedibilit delle sue componenti e delle situazioni possibili, la necessit di atteggiamenti adatti alla situazione e le conseguenti abilit o virt come prassi consolidate di risposta, di stile e di comportamento.

2.5.2.3. le virt etiche nella proposta di modelli di vita: mestes, spoudios- lo stile della mestes (moderazione, non mediocrit, il giusto mezzo, il mezzo giusto)

Dal punto di vista sociale, la complessit della societ e della natura umana (senza dualismi di contrapposizione, poich luomo naturalmente sociale) portano alla variet delle virt etiche necessarie allagire sociale (come il coraggio, la giustizia, la generosit la temperanza); esse, in quanto giusta misura tra gli opposti eccessi del vizio, permettono alluomo di agire con moderazione, di equilibrare le proprie passioni e di instaurare buoni rapporti con gli altri. Ne deriva un modello etico di medietas che non significa mediocrit, ma che indica la perfezione morale nelluomo giusto e attivo (spoudios), pienamente consapevole del proprio ruolo nella plis. La mestes non una virt particolare, oppure la virt delle virt: la caratteristica delle virt etiche, ci che fa s che esse siano virt; esse sono a met tra il vizio dellinsufficienza e il vizio della ridondanza.

- lo stile dello spoudios (operoso, attivo, intraprendente, abile, zelante); presentata platonicamente la guida a ricondurre il filosofo tra i prigionieri della caverna platonica, come suo compito e desiderio, salvandolo dal prevedibile (previsto da Platone e emblematicamente realizzato in Socrate) e tragico fallimento. Allo scopo, non portatore di un modello rigido di una societ funzionalmente tripartita, ove il potere decisionale di governo completamente consegnato alla competenza ideale di governanti filosofi. Impegnato e attivo ma secondo virt, competenza nel mondo contingente dellagire umano, sostituisce quello che in Platone era il troppo rigido e astratto richiamo al Bene (Vegetti, o.c. p. 182)

2.6. il legame tra dianoetico ed etico: la centralit della phrnesis

A presiedere lemergere, il definirsi e lesercizio delle molte e variate virt etiche la virt dianoetica della phrnesis (saggezza). Aristotele, con insistenza, riferisce infatti la conoscenza, lintelletto e la sapienza a ci che necessario, come le leggi universali, mentre collega la saggezza al possibile, a ci che pu essere e non essere, e dunque la prepone a ogni scelta etica. In quanto scienza del possibile letica non ha dunque principi necessari o fini ultimi (come lidea di bene sommo che aveva orientato la riflessione platonica nel suo momento centrale), ma ha il proprio fine nella piena realizzazione delle diverse componenti della natura umana.

2.6.1. La saggezza, in modo specifico, quella virt che presiede e fa propri i principi del complesso quadro delle virt etiche (giustizia, coraggio, generosit ecc.); a queste si legano sia lo sviluppo armonico della natura complessa delluomo, sia lordinato e moderato comporsi nella vita sociale delle passioni proprie della natura umana. La saggezza infatti si presenta come la virt dianoetica sotto la cui direzione si delinea, secondo Aristotele, il modello etico delluomo medio, colui che vive secondo moderazione nei beni e nelle azioni e che pu cos essere indicato come modello di piena e armonica partecipazione alla vita civile. la capacit di applicare la regola universale (quindi conosce luniversale ed perci virt dianoetica) al caso particolare (conosce quindi il particolare, ma non al modo degli empirici che si fermano alla loro enumerazione) sapendo deliberare (con un sillogismo pratico) sul giusto mezzo (sia come mezzo giusto, sia come arte di evitare gli estremi, creando esclusioni) per raggiungere il fine; ancora una volta il bene e la giustizia, da principi sommi e assoluti, diventano forma in cui si esprime socialmente la phrnesis.

2.6.2. le manifestazioni (realizzazione) della phrnesis: epiikeia, snesisAnche quando il giusto codificato in leggi, lapplicazione di queste non automatica e non determinabile indipendentemente dalla situazione particolare nella quale si deve operare.

2.6.2.1. Aristotele esprime ci nel modo migliore nellanalisi della epieikeia, dellequit, l dove dice che lepieikeia la correzione della legge. Aristotele mostra che ogni legge implica una inevitabile disparit rispetto alla concretezza dellagire, in quanto ha un carattere universale e non pu contenere in s la realt pratica in tutta la sua concretezza. Abbiamo gi accennato a questo problema allinizio, analizzando la facolt del giudizio. chiaro che proprio qui trova posto il problema dellermeneutica giuridica. La legge sempre manchevole, non perch sia imperfetta in s stessa, ma perch di fronte allordine che le leggi hanno di mira la realt umana che si mostra manchevole e non permette perci una pura e semplice applicazione di esse. (Gadamer Hans Georg 1960 Verit e metodo, Bompiani Milano 1964,. p.370)

Senza lo studio della convenienza e della verosimiglianza sulla base della saggezza (phrnesis) vi lassenza di giustizia e di validit della legge; non basta la legge a garantire la giustizia n in senso morale n in senso giuridico.

2.6.2.2. Accanto alla phrnesis, che la virt della deliberazione prudente, c lassennatezza (snesis). Lassennatezza una modificazione della virt del sapere morale. Essa si qualifica per il fatto che qui non si tratta di me ma dellaltro. dunque un modo del giudizio morale. Si parla di assennatezza quando, nel giudicare, uno capace di collocarsi pienamente nella concreta situazione in cui altri deve agire. Anche qui, dunque, non si tratta di un sapere in generale ma della concretezza di un momento. Anche questo sapere non in qualche senso un sapere tecnico o lapplicazione di un sapere di questo tipo. Luomo esperto della vita, che conosce tutte le vie traverse e i modi di agire efficacemente, non possiede per questo anche la giusta comprensivit per colui che agisce; la pu avere solo se soddisfa anche a unaltra condizione, se cio anche lui vuole il giusto, ossia se si trova su ci unito allaltro. (Gadamer, o.c. p.374-375) dunque la capacit di giudicare collocandosi pienamente nella concreta situazione in cui laltro deve agire (ed un modo di stare eticamente nella situazione di dialogo indicata e praticata da Socrate).

3. il metodo delletica (e della filosofia quando le si riconosce un rilievo morale)

3.1. il dato ricorrente della filosofia di Aristotele: dal metodo ai metodi, la relazione tra oggetto e metodo, dalla descrizione alle normalit e alla normativit. (vedi 1.4.2. e 2.3)

Aristotele definisce e utilizza nelle sue opere pi procedure razionali che non possono essere semplicisticamente ridotte al solo ragionamento sillogistico-dimostrativo. Nei testi aristotelici emergono almeno tre forme di razionalit: la ragione apodittica, il nous o intelletto (e la conoscenza dei principi primi) e la ragione dialettica. Dotate di diverso grado di rigore, queste tre articolazioni della ragione aristotelica si applicano a specifici oggetti di indagine, dando corpo a diverse forme di conoscenza. Le diverse forme del sapere, i differenti metodi di indagine e il relativo grado di rigore scientifico sono definiti dalla specifica natura delloggetto indagato e descritto nelle forme che lesperienza fornisce; non possibile elaborare e utilizzare un solo modello e un unico metodo di razionalit per i diversi oggetti indagati: a ciascun campo del sapere deve corrispondere uno specifico metodo di ricerca, un adeguato modello di esposizione. (vedi 1.4.2.) (Per queste tesi opportuno il riferimento allopera: Berti Enrico 1989 Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari)

3.2. un bilancio sul metodo delletica: nella phrnesis il metodo della filosofia pratica.

Nella filosofia pratica, come sappiamo, non c posto per alcuna derivazione delle norme dai principi; occorrono quindi regole flessibili, criteri duttilmente adeguati alla variabilit delle circostanze entro cui si chiamati a prendere le decisioni comportamentali, ed essi vanno reperiti allinterno del fatto, della realt quotidianamente sperimentata. (Vegetti, o.c. p.181-182).

Se il bene si presenta alluomo sempre nella concretezza particolare delle singole situazioni nelle quali egli viene a trovarsi, il sapere filosofico dovr appunto guardare alla situazione concreta riconoscendo, per cos dire, ci che essa esige da lui, o, in altre parole, colui che agisce deve vedere la situazione concreta alla luce di ci che in generale si esige da lui. Ci per, negativamente, significa che un sapere generale che non sa applicarsi alla situazione concreta rimane privo di senso, e anzi rischia di oscurare le esigenze concrete che nella situazione si fanno sentire. Questo stato di cose, che esprime lessenza della moralit, non solo fa di unetica filosofica un difficile problema di metodo, ma, per converso, d al problema del metodo un rilievo morale. Aristotele, contro alla dottrina del bene determinata dalla teoria platonica delle idee, sottolinea il fatto che nel problema etico non pu pretendersi quellesattezza estrema che c invece nella matematica. Gadamer, o.c. p. 364)

3.2.1. Non si tratta di rifiuto di norme generali; poich non bastano le norme generali a collocarci in situazione etica, tale situazione, levento etico, data dallincontro sempre nuovo di generale e particolare, incontro che avviene nellagire umano e nella sua evidente e necessaria variet.

3.2.2. La funzione della ragione filosofica nelletica, cos come la funzione dei principi e dei valori, consiste nellindicare i metodi da seguire per la propria chiarificazione, e ci sul fronte del particolare e del generale:

3.2.2.1. occorre saper individuare nellagire concreto le motivazioni generali che lo determinano e lo definiscono (formalizzano) moralmente

3.2.2.2. occorre saper comprendere applicativamente gli enunciati generali; capire quando in particolare, in concreto, essi devono trovare applicazione.

4. alcune appendici

Portano la riflessione su alcuni temi ricorrenti, fondanti e centrali (anche se spesso consegnati ad approfondimenti che paiono confinarli a margine) delle teorie etiche

4.1. letica e il tema della morte immortalit o, in altri termini, la centralit del corpo nelletica.

(la tesi generale: La radice ultima delletica, di ogni etica, fin dal suo primo comparire, va individuata nei modi con cui luomo vive la propria corporeit. Limpostazione di studio che presenta le teorie etiche assumendo il piano normativo e lo stile di vita che esse propongono commette lerrore di partire dai risultati presentandoli come principi delletica. Lequivoco nasce dal fatto che nelletica le leggi sono principio di comportamento e quindi fonte di azione; ma questo significa scambiare il contesto applicativo, quindi il risultato, con il principio e con il fondamento.)

Le ricerche esposte nel De Anima, come nelle opere biologiche, presentano la concezione di unanima mortale in quanto forma del corpo, legata cio allinsieme delle funzioni svolte dalluomo, dalla sua corporeit e impossibili senza il corpo (cos come non esiste fisicamente la forma di un albero senza lesistenza dellalbero). La sola parte immortale dellanima, lintelletto attivo (De Anima III 5), risultava del tutto estranea alla vita morale individuale, e la sua immortalit non significava minimamente una vicenda di ricompense per lesistenza terrena, quanto piuttosto il ricongiungimento con una rarefatta condizione divina, sicuramente non pi individuale. Quale che sia lesatto significato di queste tesi aristoteliche del De anima (del resto appena accennate), indiscutibile il valore del silenzio su tutto ci nei trattati etici. La rinuncia a una concezione dellanima come individualmente immortale, e responsabile nellal di l della condotta morale dellindividuo durante lesistenza corporea, significa da parte di Aristotele una piena mondanizzazione delletica: non c altro premio per la virt se non la felicit in questa vita e in questo mondo, altra punizione per il vizio se non uninfelicit altrettanto mondana. (Vegetti, o.c. p. 172-173) Se il tema dellimmortalit si affaccia nellEtica Nicomachea, assume la forma di un invito etico alla vita del pensiero (bos theoretiks) come massima perfezione, felicit e piacere per luomo.

4.2. la polemica o le affermazioni sul tema mezzi e fini

4.2.1. la tesi: Aristotele afferma che non il fine ad essere oggetto di scelta ma i mezzi: noi deliberiamo non sui fini, ma sui mezzi. In effetti, n il medico delibera per sapere se deve guarire, n loratore per sapere se deve persuadere, n luomo politico per sapere se deve garantire lordine, quindi, in una parola, nessuno delibera sul fine. Ma, avendo posto come principio il fine, studia come, cio con quali mezzi, potr essere realizzato (Etica Nicomachea 1112 b 11-12). Il fine la forma dellazione e quindi condizione e principio per una scelta possibile dei mezzi con cui raggiungerlo. Il fine si riferisce infatti a quella forma che esprime lessenza e la natura specifica delluomo, espressa in quellattivit e virt cui si congiunge felicit e piacere; in quanto tale non oggetto di scelta, ma fine; avendo lo sguardo rivolto ad esso scegliamo i giusti mezzi. La scomparsa del fine infatti la scomparsa dellagire (praxis), poich il fine, lo scopo, il motivo il principio e lessenza dellagire. Afferma infatti Aristotele: Nel momento stesso in cui un uomo accecato dal piacere o dal dolore, in questo istante cessa di vedere il principio, cio cessa di vedere che in vista di questo scopo o a causa di questo fine che deve prendere tutte le sue decisioni e compiere tutte le sue azioni (Etica Nicomachea)

4.2.2. il senso della questione e la posta in gioco:

4.2.2.1. una scelta pu essere definita razionale (di una razionalit applicativa come phrnesis) in funzione dei mezzi necessari per realizzare determinati fini. Una teoria sulla scelta razionale e quindi etica consiste nel chiarire prima le caratteristiche del fine o dei fini e derivare da quelli, con deduzione pratica, quali mezzi o decisioni definiscono la scelta come razionale [per analogia nel campo delleconomia cognitiva: Innocenti Emanuele 2009 Leconomia cognitiva, Carocci, Roma]

4.2.2.2. la presentazione del fine come contesto di scelta e non come oggetto di scelta si traduce nel divieto morale di trasformare ci che fine, e in quanto tale forma ed essenza delluomo nella sua dimensione individuale e sociale, in oggetto possibile di scelta e quindi in mezzo per altro; il fine perderebbe allora il ruolo moralmente indispensabile di contesto e ambito morale che rende possibile, sostiene e indirizza, la giusta scelta dei giusti mezzi. Si intravede qui la denuncia rivolta alla prassi di scambiare i mezzi come fini (il mezzo occulta il fine) e usare di conseguenza il fine come strumento e mezzo. Come quando accade di sentire citare la natura, lumanit, la sacralit o altro, veri fini, per giustificare e imporre ladesione allo strumento proposto, alla particolare regola formulata; il dire che si privi di umanit se non si aderisce alla proposta particolare politica, religiosa, di costume, commerciale far coincidere il concetto totale e globale di umanit, il fine, usandola come mezzo, con il particolare precetto proclamato. Lumanit diventa cos mezzo per altri mezzi, senza che nella morale sorgano la prospettiva, la forma, lessenza, il fine come vero principio dellagire. In modo ancora pi grave, lo svanire del fine il cessare delletica. Restano i comportamenti nella forma di un adattamento passivo a modelli di vita dominanti; senza scopi e fini (senza causa finale) non c scelta (causa efficiente) e non c etica.

4.3. Piste di riflessione per questioni.

4.3.1. il vincolo descrittivo delle tipologie di vita e la valorizzazione della libert

4.3.2. la logica della possibilit come propria delletica

4.3.3. la mesotes o lassunzione di responsabilit in contesto complesso individuale e sociale

4.3.4. la forma del coinvolgimento personale nelletica attraverso la corporeit: Sembra anche che in alcune cose la virt etica proceda dal corpo e che in molti casi essa sia intimamente congiunta con le passioni. Aristotele, Etica Nicomachea.

PAGE 2Sergio Gabbiadini