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- 1 - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio 5, Milano | www.scuoladicittadinanzaeuropea.it Kit realizzato in collaborazione con “Oltre il confine: la storia della Rivoluzione di Ottobre” Kit didattico APPROFONDIMENTO 3: ARTICOLI DEL PROGETTO DI RICERCA DI FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI LA RICERCA | inquadramento RISORSE DI APPROFONDIMENTO Materiale: scheda pdf Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato l’occasione per una riflessione sulla sua storia, le idee, i modelli, i linguaggi e gli immaginari che hanno condizionato le nostre odierne categorie di progresso, lavoro e felicità sociale. Sono state poste le basi per un progetto di ricerca volto a comprendere quanta parte della storia e della cultura russa sia presente nel profondo dell’Europa e che cosa l’Europa abbia cercato «guardando alla Russia». Si è analizzato il contesto storico che ha reso possibile la rivoluzione, la creazione di miti fondativi e la costruzione dell’utopia politica, il lavoro e i nuovi modelli di progresso, la propaganda e la costruzione del cittadino 1.0. Tutti questi aspetti, che sono parte di un bagaglio culturale e politico, possono essere guardati da altre prospettive, a distanza di oltre 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, per comprendere ciò che di originale e potente ha portato il ’17 nel nostro vissuto di cittadini europei e con lo scopo di non farne un bilancio distaccato, ma di indagarne i codici culturali e simbolici alla luce degli scambi, delle influenze e delle divisioni tra il mondo sovietico e il resto d’Europa.

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli - APPROFONDIMENTO 3: … · 2017. 12. 20. · Negli ultimi 20 anni lo spazio post-soietio ha Àisto laiendarsi delle osiddette rioluzioni olorate,

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“Oltre il confine: la storia della Rivoluzione di Ottobre”

Kit didattico

APPROFONDIMENTO 3: ARTICOLI DEL PROGETTO DI RICERCA DI

FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI

LA RICERCA | inquadramento

RISORSE DI APPROFONDIMENTO Materiale: scheda pdf

Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato l’occasione per una riflessione sulla sua storia, le idee, i modelli, i linguaggi e gli immaginari che hanno condizionato le nostre odierne categorie di progresso, lavoro e felicità sociale. Sono state poste le basi per un progetto di ricerca volto a comprendere quanta parte della storia e della cultura russa sia presente nel profondo dell’Europa e che cosa l’Europa abbia cercato «guardando alla Russia». Si è analizzato il contesto storico che ha reso possibile la rivoluzione, la creazione di miti fondativi e la costruzione dell’utopia politica, il lavoro e i nuovi modelli di progresso, la propaganda e la costruzione del cittadino 1.0. Tutti questi aspetti, che sono parte di un bagaglio culturale e politico, possono essere guardati da altre prospettive, a distanza di oltre 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, per comprendere ciò che di originale e potente ha portato il ’17 nel nostro vissuto di cittadini europei e con lo scopo di non farne un bilancio distaccato, ma di indagarne i codici culturali e simbolici alla luce degli scambi, delle influenze e delle divisioni tra il mondo sovietico e il resto d’Europa.

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on LA RICERCA | gli esperti

“COSA RAPPRESENTA IL 1917 PER I RUSSI?”

F. MARTYNOV, CAPO DEL DIPARTIMENTO DI INTERNATIONAL RELATIONS E

FOREIGN POLICY, MGIMO UNIVERSITY DI MOSCA Non si tratta di una celebrazione, e non lo sarà mai. La Russia ha perso troppo a causa delle due rivoluzioni,

e se “marchiamo” questo anniversario a livello statale, non vuol dire che dobbiamo festeggiarlo. Anche

se ciò non impedisce a chi vuole (ad esempio ai comunisti) di festeggiarlo ad un particolare livello. Quindi,

non ci sarà nessuna “festa nazionale” in Russia.

Ciò nonostante, ci poniamo ancora molte domande rispetto a quegli eventi. E il modo migliore per

“segnare” questo anniversario sarebbe organizzare delle conferenze scientifiche e delle tavole rotonde di

diverso tipo, pubblicare libri, e così via, in modo da “generalizzare” la discussione. Anche se sarebbe molto

difficile. Addirittura impossibile, secondo il mio punto di vista personale. Quindi speriamo che questi giorni

passino in fretta… Ci sono troppe emozioni di diverso genere che sono connesse con queste date, così

tante che risulta difficile arginarle nel così poco tempo che è passato dal crollo dell’Unione Sovietica.

Troppe persone ancora ricordano l’esperienza delle loro infanzia e gioventù durante gli anni sovietici. Per

loro (me incluso) sono stati tempi felici. Sicuramente eravamo giovani e non avevamo molta scelta, ma

alla fine ne avevamo bisogno? Siamo cresciuti con dei buoni esempi, con le grandi opere del potere

sovietico, con la vittoria della grande guerra patriottica e con la grande impresa cosmica di Gagarin. Non

BORIS F. MARTYNOV Capo del dipartimento di relazioni internazionali e diplomatiche a MGIMO Si è laureato nel 1975 presso l’Università Statale di Mosca di Relazioni Internazionali (MGIMO)e ha ottenuto un dottorato in Storia nel 1978. Dal 2011 è vice-direttore dell’Istituto di America Latina dell’Accademia Russa delle Scienze e professore presso l’Università MGIMO, dove dal 2016 insegna Relazioni Internazionali e politica estera della Russia. È inoltre membro del Comitato Scientifico del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Federazione Russa. CHIARA MISSIKOFF Ricercatrice di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli È laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Bologna – Polo di Forlì) e ha conseguito un Master di ricerca in scienze sociali per l’area Euroasiatica presso l’Università di Glasgow. Ricercatrice dell’area di Cittadinanza Europea per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, negli ultimi tre anni ha fatto parte di diversi progetti internazionali e condotto ricerche sul campo in Ucraina, Bosnia-Erzegovina, Regno Unito e Georgia.

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on erano tutte bugie allora, e non tutto è vero oggigiorno… Ma noi oggi sappiamo di più. Abbiamo compreso

che l’evoluzione è preferibile a qualunque rivoluzione, e che quelle opere gloriose potevamo forse

completarle in un tempo più lungo, ma con minori vittime. Curando lo strappo tra cuore e mente, non

vogliamo disfarci dei vecchi monumenti o dei Mausolei, comprendendo i sentimenti di alcuni e i bisogni

di molti. Non vogliamo una rivoluzione.

Quello che si dice adesso dei Bianchi e dei Rossi è che tutti combattevano per la causa russa, ma che

ciascuna parte la intendeva in un modo diverso. Io non ci credo. La mia mente sa fin troppo bene che i

Bolscevichi erano internazionalisti, e che per i loro piani la Russia era solo un terreno di sperimentazione.

Ma il mio cuore sa anche di più: forse quel che dicono è vero e le nostre dispute dovrebbero rimanere

puramente accademiche per il bene della Russia. Non siamo più ne Rossi, ne Bianchi…

Chi può giudicare l’affare e giudicare i colpevoli? Non c’è posto per una semplice verità. La Russia non

accettò facilmente il Bolscevismo, quindi non c’è ragione per vedere una “predisposizione

all’autoritarismo” nel carattere del suo popolo. Ci sono state grandi proteste e una guerra civile, la

repressione e la “perestroika”. L’Unione Sovietica ha perso il suo gioco. Con chi? Con la Russia Storica,

che è stata l’unica “vincitrice” della Guerra Fredda. E anche, forse, con Dio, che all’ultimo è riuscito a

ristabilire la sua autorità sul corso degli eventi storici, aspettando 70 anni per avere questa opportunità.

“IL CENTENARIO DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE NELLA RUSSIA DI PUTIN” C. MISSIKOFF

“La Russia è un paese con un passato imprevedibile” Yuri Nikolaevich Afanasiev

Il centenario della Rivoluzione Russa pone un dilemma sulla sua celebrazione: come dialogare con uno degli eventi più importanti della storia del ‘900 senza incorrere in vuote esaltazioni o denigrazioni facili? Il 1917 ha influenzato enormemente i regimi politici, i sistemi economici e i modelli sociali del XX secolo, ma valutarne criticamente l’impatto nella costruzione e nella memoria della storia europea è molto difficile, specie alla luce della fine della guerra fredda e del crollo dell’URSS. Questo dilemma è particolarmente sentito nella Russia di Vladimir Putin, dove la questione dell’unità nazionale sembra prevalere sulla necessità di celebrare uno dei momenti più importanti della storia del paese. A differenza della rivoluzione del 1789 per la Francia, il nuovo stato nato dalle ceneri dell’URSS non si è riconosciuto apertamente con il portato storico del 1917, mantenendo nel ricordo una certa ambivalenza di fondo. Se il centenario è occasione di dibattito in Europa, tra sostenitori e denigratori del modello di sviluppo dominante, per la società russa la questione è molto più spinosa e rischia di porre dei problemi di legittimità del potere di Putin. In che modo parlare della Rivoluzione d’Ottobre nella narrativa nazionale russa evitando facili divisioni? Astenersi dal segnare in qualche modo un evento così importante per la storia nazionale è pressoché impossibile, un evento che ha portato al potere un gruppo politico, quello comunista, di cui lo stesso Putin ha fatto parte. Senza contare l’eredità culturale della rivoluzione d’Ottobre, una componente innegabile del profilo del paese, le cui celebri figure storiche, letterarie ed artistiche sono inevitabilmente legate al suo passato sovietico.

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on Quale Rivoluzione? La prima difficoltà posta dal centenario risiede nell’atto stesso di celebrare una rivoluzione in quanto tale. Negli ultimi 20 anni lo spazio post-sovietico ha visto l’avvicendarsi delle cosiddette rivoluzioni colorate, movimenti che hanno sempre determinato un distacco dall’ex madrepatria per un avvicinamento ai valori e sistemi politici occidentali. Il caso ucraino è particolarmente emblematico, un paese che ha visto la sua rivoluzione colorata nel 2004 e un’altra sollevazione nel 2014, portando i russi ad intervenire militarmente e a contribuire alla spaccatura definitiva della società e del suo territorio. Celebrare una rivoluzione vorrebbe dire, dunque, veicolare il messaggio politico che “ribellarsi è giusto”, ancor più che la possibilità di una rivoluzione colorata in Russia è argomento di discussione anche da parte di esponenti del governo (che ovviamente smentiscono). In secondo luogo, la Russia nel 1917 ha affrontato non una ma due rivoluzioni, a febbraio ed ottobre, i cui propositi erano molto diversi. La prima di febbraio fu quella che rovesciò il potere zarista e portò al potere due organismi politici: il governo provvisorio – composto in maggioranza da moderati – e il soviet di Pietrogrado, che chiedeva a gran voce l’uscita dal primo conflitto mondiale. La rivoluzione d’Ottobre fu il momento in cui presero il potere i bolscevichi, i Rossi, gettando il paese in una guerra civile animata dai Bianchi, i controrivoluzionari. Per il governo attuale, paradossalmente, risulta molto più semplice ricollegarsi alla tradizione della rivoluzione di febbraio – più fedele alle istanze democratiche che hanno portato alla fine del regime sovietico – piuttosto che a quella d’Ottobre – un evento divisorio che ha portato ad anni di profondo disordine e instabilità. Un popolo con una grande storia e un futuro comune “L’uomo russo ha bisogno di qualcosa in cui credere. Qualcosa di elevato, di sublime. Comunismo e impero sono radicati nel profondo del nostro cervello. Capiamo meglio ciò che è eroico. Il socialismo obbligava l’uomo a vivere nella storia… ad assistere a eventi grandiosi. E come se siamo spirituali, specialissimi! Non si è vista nessuna democrazia. Noi, lei, io, saremmo dei democratici? La perestrojka è stata l’ultimo grande avvenimento della nostra vita.”

Svetlana Aleksievič, Tempo di seconda mano, 2013

Con il crollo dell’Unione Sovietica, la popolazione russa si è dovuta confrontare con la fine di un’epoca caratterizzata da una ideologia, un’identità e una lettura della storia molto precise. Allo scollamento identitario causato dal collasso dell’URSS, è seguita la progressiva presa di coscienza di molti lati oscuri del suo passato, con cui nessuna elite politica è ancora venuta a patti dopo più di 25 anni. Dal suo insediamento, Putin ha tentato di ricostruire una grande narrativa storica nazionale che limasse gli aspetti di rottura causati dal periodo sovietico e favorisse una lettura riconciliante – se non addirittura esaltante – di alcuni momenti della storia russa. Una delle operazioni più riuscite è stata sicuramente quella sulla Seconda Guerra Mondiale, per i russi la Grande Guerra Patriottica. Il governo di Putin, e quello di Medvedev poi, hanno reso il 9 maggio –giorno della celebrazione - una festa popolare in cui ad essere celebrata è più la vittoria della memoria, un momento di riconciliazione con il trauma della guerra, di creazione di una comunità sociale, un modo di narrare la storia della Russia e le sfide che è stata chiamata a superare. Il passato diventa così uno degli strumenti principali per ricostruire l’identità nazionale, spesso eliminando problemi come colpa e responsabilità, e trattando argomenti scomodi come dei miti minori, piccole deviazioni di percorso in una storia epica e gloriosa (Elizabeth A. Wood, 2011).

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on I casi di uso politico della storia sono dunque piuttosto comuni. In tempi recenti, gli avventori della capitale russa non avranno potuto far a meno di notare la statua di 17 metri di Vladimir il Grande, inaugurata a novembre 2016 e fortemente voluta da un altro Vladimir, Putin. La costruzione è stata fortemente osteggiata dagli abitanti, spaventati dalla mole del monumento, ma a scatenare scompiglio è stata soprattutto la problematicità della figura storica di Vladimir. Vladimir il Grande, detto Vladimir di Kiev, è infatti considerato come uno dei padri fondatori sia dell’Ucraina che della Russia, nonché colui che ha portato il cristianesimo nel mondo slavo. Erigere una statua simile non sembra un omaggio alla storia, ma risulta come un atto molto forte alla base del quale c’è una rivendicazione territoriale e culturale. Un altro esempio emblematico è il decreto del 2005 con cui il giorno di festa nazionale del 7 novembre – giorno della Rivoluzione d’Ottobre – è stato abolito per preferirgli la data del 4 dello stesso mese. La ricorrenza storica alla base di questa scelta sembra essere sconosciuta a gran parte della popolazione russa, ma trattasi del giorno della liberazione della città di Mosca dagli occupanti polacchi nel 1612. Lo spostamento di data era stato caldeggiato da un appello al Parlamento dell’Unione interreligiosa russa: la resistenza del popolo moscovita era un momento meno problematico da ricordare rispetto agli eventi del ’17. Bianchi vs Rossi Vladimir Medinskii, Ministro della Cultura dal 2012, è colui che ha in parte aiutato Putin a sciogliere questo nodo fondamentale. La sua narrativa si basa sul principio della riconciliazione. Nel 2013, ha dichiarato che era indifferente scegliere chi avesse ragione, se i bianchi o i rossi. In alcuni discorsi pubblici successivi, ha proposto una versione semplificata e, a suo modo, chiarificatrice: la guerra civile è nata dal conflitto tra due parti che lottavano per il bene della Russia; a causa della fine del regime zarista, il momento storico era particolarmente turbolento e per questo la guerra è durata più del dovuto. Depotenziando totalmente il peso politico e rivoluzionario dei bolscevichi, Medinskij li presenta come coloro in grado di riprendere le redini dello stato Russo e ricostruirlo. I Bianchi sono invece ricondotti alle istanze della rivoluzione di febbraio e a quelle post 1991, che hanno portato alla fine del regime zarista e dello stato russo nella versione sovietica. Ma quindi, chi ha vinto alla fine? Chi aveva ragione? Ovviamente c’è un terzo vincitore, e si tratta dello stato russo, l’unico a rimanere invariato nella storia dai Romanov ai nostri giorni. Questa lettura semplicistica sicuramente assolve il suo compito di presentare la storia come un lungo cammino di potenza, evidentemente destinato a durare sotto il governo di Putin. Questa versione, però, è priva di riflessione critica, non rende giustizia alla storia di chi ha lottato per idee di futuro contrastanti, elimina completamente il ruolo delle minoranze di quello stato multi-etnico che era l’impero, prima, e l’URSS, dopo. La cosa veramente interessante però è un’altra: in questa lettura i bolscevichi sono la pars construens, mentre il ruolo destruens è affidato ai bianchi, che hanno prima interrotto il potere degli zar e dopo contribuito alla fine dell’URSS. Questo significa riconoscere apertamente lo stato attuale come una continuazione del regime precedente. Ed è proprio questo che non ha convinto del tutto Putin. Il consenso prima di tutto La politica di Putin riguardo il centenario è finalmente emersa più o meno chiaramente nel suo discorso annuale al Parlamento del dicembre 2016: “Il prossimo anno, il 2017, ricorrerà il centesimo anniversario delle rivoluzioni di febbraio e di ottobre. Questo è un buon momento per guardare alle cause e alla natura di queste rivoluzioni in Russia. Non

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on dovrebbero farlo solo gli storici e gli studiosi; la società russa ha bisogno di una analisi obiettiva, onesta e profonda di questi eventi. Questa è la nostra storia comune e dobbiamo trattarla con rispetto. Si tratta di qualcosa di cui ha parlato il grande filosofo russo e sovietico Alexei Losev: “Sappiamo la strada spinosa che il nostro paese ha attraversato”, scrisse. “Conosciamo i lunghi e stancanti anni di lotta, desiderio e sofferenza, e per i figli della nostra madrepatria questo è il loro patrimonio natio e inalienabile”. Sono sicuro che la maggioranza del nostro popolo ha la stessa attitudine verso la loro madrepatria, e abbiamo bisogno di lezioni di storia in primis per la riconciliazione e il rafforzamento della concordia civile, sociale e politica che abbiamo raggiunto. È inaccettabile far prendere la nostra vita di oggi dal rancore, rabbia e amarezza del passato, nel perseguire i propri interessi politici e altri interessi per speculare su delle tragedie che coinvolgono praticamente ogni famiglia russa, non importa in quale parte della barricata fossero i nostri antenati. Ricordiamoci che siamo un unico popolo unito e che abbiamo una sola Russia.”1 Ecco, dunque, esplicitata la difficoltà nel celebrare un evento così importante, il cui ricordo suscita ancora sentimenti contrastanti e per cui è impossibile esaltarne solo gli elementi positivi, come per la seconda guerra mondiale. L’uso della storia in termini propagandistici, che emerge chiaramente dai casi sopracitati, qui presenta dei problemi di consenso molto forti, e il consenso è una delle risorse principali del potere di Putin. A differenza della posizione di Medinskij, non c’è una parte a prevalere sull’altra, non ci sono vinti e vincitori, ma c’è un cammino di sofferenza che ha visto trionfare l’unità civile e politica della Russia. Non è ancora chiaro, però, se e come verrà celebrato l’evento. Dopo aver volutamente lasciato passare in sordina la ricorrenza della rivoluzione di febbraio, per il 2017 il Governo russo ha promosso e favorirà diverse conferenze e studi accademici sul centenario. Non ci sono ancora dettagli sulle iniziative che verranno intraprese per il tanto atteso ottobre, ma abbiamo un indizio: il rapporto di Putin con il passato sovietico è ambivalente tanto quanto questo si presti ad alimentare il consenso popolare.

1 http://en.kremlin.ru/events/president/news/53379