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17 Cronache e Opinioni - dicembre 2011 I La questione demografica nserto INSERTO-DICEMBRE_progetto2011 29/11/11 09.50 Pagina 17

La questione demografica - CIF · La dinamica demografica: fenomeno micro e macro-sociale di Alba Dini Martino Pontificia Università Gregoriana, vicepresidente Cif nazionale 18

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17Cronache e Opinioni - dicembre 2011

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La questionedemografica

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� � Gli studiosi di scienze socialispesso citano il “fatto sociale” comples-so procreazione/generazione per spiega-re, in modo immediatamente intuitivo,l’interazione fra dimensione micro/ma-cro dei fenomeni sociali, in generale.Infatti non si può immaginare niente dipiù umano, personale/interpersonale, mi-sterioso e segreto, fra un uomo e unadonna, come dare la vita ad un figlio, co-sa che li coinvolge nel più profondo delloro essere, in due e singolarmente, inparticolare la donna. Scelta che, tuttavia,ha immediatamente una valenza sociale,perché entra nel flusso del processo del-la dinamica demografica –combinazio-ne natalità/mortalità- che dà luogo al fe-nomeno sociale della popolazione, siarelativamente al suo volume, che alla suastruttura. Come si vede, quindi, ciò cheavviene nella dimensione micro, nellaquotidianità delle relazioni personali/in-terpersonali, di carattere in questo sensoprivato, ha immediatamente una sua im-portante rilevanza sulla dimensione ma-cro, di carattere pubblico e collettivo.

Ancora. Almeno su un’altra osser-vazione previa si soffermano gli studiosidi scienze sociali: la popolazione e la suastruttura, nei loro aspetti descrittivi, sonoi primi fattori da tenere in considerazio-ne qualunque “fatto sociale” si vogliastudiare, in relazione al contesto nel qua-

le questo si manifesta. A maggior ragione se si intende portare avan-ti una qualunque azione/iniziativa di carattere sociale, politica, cultu-rale, economica e così via, come pure di carattere pastorale. La pri-ma domanda da porsi, sia da parte dell’animatore sociale, come la no-stra Associazione, che da parte del parroco è: quale popolazione mitrovo davanti? Quale è la sua struttura in relazione, innanzi tutto alsesso, all’età, al livello di istruzione, le professioni, le disponibilitàeconomiche e via dicendo…?

In questo senso, i dati sulla popolazione forniscono le indi-spensabili informazioni riguardo alla struttura di base stessa del siste-ma socio-economico-culturale.

Infine, più in generale, è sempre da ricordare, con viva sensi-bilità, che quando ci occupiamo/preoccupiamo di fenomeni demo-grafici, che sembrano in sé asettici e impersonali, giocati su statisti-che, quindi su numeri, dietro a questi ci sono persone con le loroscelte/non-scelte, più o meno consapevoli, conoscenze/non- cono-scenze, sofferenze, condizioni di vita, in termini materiali e non,“qualità della vita”, come si dice, relazioni … etc. Quindi elementi dicarattere consapevole/inconsapevole, razionale/irrazionale, volonta-rio/non-volontario, ma anche non-razionale –che non significa irra-zionale - come l’affettività e i sentimenti, gli impulsi … sul pianopersonale/interpersonale, ma anche condizionamenti culturali e ma-teriali che provengono dall’ambiente relazionale e sociale di vita.

LA SITUAZIONE ITALIANAÈ vero, “ciò che colpisce è il fatto che in Italia, da circa tre de-

cenni, in maniera assai più accentuata che altrove, si è instaurato uncircolo vizioso e involutivo da cui il paese non sembra ancora in gra-do di uscire. Se si esclude una ristretta cerchia di addetti ai lavori, ilpaese non sembra neppure avere una consapevolezza adeguata alladrammaticità delle sfide che lo attendono”, Comitato per il ProgettoCulturale della CEI (a cura di) - Il cambiamento demografico,(“Introduzione” pag. XVI), a causa del progressivo impoverimento

La dinamica demografica:fenomeno microe macro-sociale

di Alba Dini Martino Pontificia Università Gregoriana,vicepresidente Cif nazionale

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del suo capitale sociale primario, fonda-mento dello stesso capitale sociale se-condario, anche nella sua dimensioneeconomica.

Non si può non essere d’accor-do con queste parole, come non si puònon esprimere grande soddisfazione perl’assunzione della “questione demogra-fica” come una fra le sfide prioritarie cuifar fronte, per ciò che essa sottintende intermini di cause e di conseguenze, in ter-mini personali/interpersonali/familiari esociali, considerato anche che, per de-cenni, di tale questione non era statopossibile parlare. Si diceva, infatti, cheessa evocava, nel vissuto collettivo ita-liano, politiche demografiche ben con-notate in termini di una fecondità più omeno direttamente imposta dalle istitu-zioni, con obiettivi essenzialmente ag-gressivi, durante il famoso “ventennio”precedente all’avvento della Repubblica.Quindi, dopo il 1965, anno del baby-boom, con l’inizio del calo della natalitàe con la riduzione progressiva della mor-talità, dovuta alle scoperte scientifiche eal miglioramento delle condizioni di vi-ta, le proiezioni demografiche davanol’invecchiamento della popolazione co-me un dato certo. In questo senso, unodegli studiosi-pionieri più profondi sulpiano teorico e più documentati sul pia-no dei dati, anche di carattere compara-tivo e internazionale, fu il Prof. Beltrão,sj della Facoltà di Scienze sociali dellaUniversità Gregoriana. E i suoi allievi,nei gruppi pluralistici nei quali davano illoro contributo, si trovavano seriamentein difficoltà nel prospettare la questione.

Non si può quindi parlare disorpresa di fronte ad un fenomeno an-nunciato, una profezia che si è auto-rea-lizzata, almeno per la semplice ragioneche, in primis, in Italia, non sono maistate effettivamente pensate, e soprattut-to applicate, politiche integrate, mirate

alla creazionne di condizionni favvorevoli peer una scelta poositiva a favoreedella procreeazione e che ppotesssero quinddi orientare unn mutamento diirotta. Nella illusione che laa trassmissione della vita poteesse “andare daasola”, per coosì dire, relegataa, errroneamentte, nell’esclusivvo dominio dell“privato”, iggnorando i conddizioonanti, commplessi processsi di mutamen--to strutturalee, di sistema, inn attoo. Di conseeguenza, seconndo una ricercaaempirica daa me, con altri studdenti, conddotta nei primiissimi anni 70,,sempre nell’ambito della FFacolltà di Sciennze sociali soppra menzionata,su un camppione rappresenntativvo di donnne madri- di- ffamiglia, in unnquartiere di Roma, già alloora laa “famigliaa reale”, con il numero di fi--gli effettivammente avuti, eraa asssai deludenntemente diverrsa dalla “fami--glia ideale”, quella con il nummero di figlli desiderati! EEvidenziandosiiuna contradddizione la cui consstatazione nnon è certo dii questi giorni!E, adesso, inn Italia siamo aal sorrpasso del figlio unico, ((nel 46.5% del--le coppie).

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I DATI

In siintesi: siammo circa ““60 milionni di per-sonee –di cui uunaa ogni 113 provieene da al-tri ppaesi – ma ccon unaa strutturaa per etàsemmpre più ““apppesantiita”: i mmeno cheventtenni sonoo vvia via scesi finno a unoognii cinque rresiidenti ee sono ppressochéparii al numeero degli ultrasesssantacin-quennni, mentrre ggli ultraanovantennni hannoquassi raggiuntoo il mmezzo miilione diunittà. Un paese iin cui laa frequennza di na-scitee si colllocaa stabiilmente sotto le600mmila unitàà annnue, osssia circaa 150milain mmeno di qquannte sareebbero neecessariesoloo per garanntirre nel ttempo –inn regimedi sttazionarietà ((crescitta zero) –– l’attualedimmensione ddemmograficca. Il tuttoo mentrela duurata meddia della vvita ha supperato gli80 aanni, la moortaalità inffantile ha raggiun-to liivelli miniimi quasi fisiologicci e la fe-conddità, scesaa daa oltre trent’annni sotto illivelllo che coonseente il ricambioo genera-zionnale, si è aatteestata aattorno allla mediadi 1.4 figli peer donna”, (id. pag. XIV), aldi sotto del qquassi 50%% per averre il rim-piazzzo delle genneraziooni, (che richiedeun ttasso di fecconndità deel 2.2/ 2.33). Inutilecitarre il caso della Franncia con un tassodi feecondità qquassi pari aal tasso ddi sostitu-zionne, perchéé in quel ppaese benn altra at-tenzzione è staata rivoltaa alla fammiglia, intermmini, fra l’’alttrro, sia di welfarre che di

pressione fiscale, proporzionata ai suoi carichi. Un’attenzione che ri-sale, tradizionalmente, fino al 1800, al prodursi degli stravolgimentistrutturali determinati dalla prima rivoluzione industriale e quindi alsorgere della questione sociale, come fenomeno di massa.

Come è chiaro, con queste brevi riflessioni, l’argomento èben lungi dall’essere anche soltanto correttamente impostato, sia pu-re nelle sue linee essenziali. Manca sicuramente, del tutto, nei proces-si di dinamica demografica, una prospettiva, almeno accennata, di in-terdipendenza globale, una qualche considerazione sull’influenzadelle popolazioni migranti, sui loro ricongiungimenti familiari, sui lo-ro modelli procreativi, prima e dopo l’incontro con una cultura diver-sa nelle società di accoglienza. Manca, soprattutto, anche soltanto lamenzione della complessa problematica del matrimonio e della fami-glia come istituzione sociale, della sua instabilità strutturale (separa-zioni e divorzi), delle cosiddette “forme familiari” e delle “conviven-ze” di ogni tipo, comprese quelle precedenti ad un continuamente rin-viato matrimonio, la recessione economica, fortemente sentita so-prattutto dai giovani che tendono a stazionare in famiglia, (1 giovane/15-29 anni/ su 4, non studia e non lavora: Giovani NET: FonteTTBankitalia-Istat), etc. e di quel che ciò possa significare dal versan-te della messa al mondo dei figli, “quasi sempre assent(i) da questodibattito” (id.), come del resto è facilmente intuibile. E, inoltre, inqual modo ciò vada a influire sulla vita delle singole persone, oltreche delle coppie; in qual modo ciò vada a rifluire sulla stessa econo-mia in termini di produzione di ricchezza e sulla società, nel suo in-sieme, essendo la famiglia “la cellula fondamentale della società”,come l’insegnamento sociale della Chiesa ha sempre chiarito e riba-dito con il Concilio Vaticano II e il successivo insegnamento pontifi-cio. Oltre che empiricamente verificato.

Alcuni degli aspetti qui soltanto citati verranno considerati neicontributi che seguono, altri ci proponiamo di affrontare, in prospet-tiva futura, in successivi numeri di questo giornale. ��

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� � Il 31 ottobre la popolazionemondiale ha toccato ufficialmente lastrabiliante cifra di 7 miliardi di perso-ne. Un traguardo annunciato da lungotempo dall’Ufficio statistico delleNazioni Unite, di cui il Rapporto su Lostato della popolazione nel mondo2011 dell’UNFPA, Fondo delleNazioni Unite per la popolazione, aiutaa comprendere la portata. L’edizioneitaliana, a cura di AIDOS, Associazioneitaliana donne per lo sviluppo, si intito-la “Il mondo a 7 miliardi: le persone, leopportunità” e attraverso dati statisticie “istantanee” da nove paesi, dove gen-te comune, demografi, esperti naziona-li di vario profilo e politici si confronta-no, permette di comprendere quali sfideposte da una popolazione di tali dimen-sioni e come queste vengono affrontate.

Le Nazioni Unite prevedonoun’ulteriore crescita della popolazionemondiale, che dovrebbe raggiungere gli8 miliardi nel 2025, i 9,3 miliardi nel2050, e superare i 10 miliardi primadella fine del secolo. Gran parte di que-sto incremento dovrebbe provenire da-gli stati a più alto tasso di fecondità: 39in Africa, 9 in Asia, 6 in Oceania e 4 inAmerica Latina. L’Asia resterà la ma-croregione più popolosa del mondo an-che nel XXI secolo, ma l’Africa guada-gnerà terreno e la sua popolazione sarà

più che triplicata, passando da un miliardo nel 2011 a 3,6 nel 2100.Nel 2011 il 60% della popolazione mondiale vive in Asia e

il 15 per cento in Africa. Ma la popolazione africana sta crescendoa un ritmo di circa 2,3% all’anno, un tasso più che doppio rispettoall’Asia (1%). La popolazione asiatica, oggi di circa 4,2 miliardi,dovrebbe raggiungere il picco di crescita verso la metà del secolo(5,2 miliardi nel 2052) per poi iniziare a decrescere. Gli abitanti ditutte le altre macro-regioni prese insieme (Americhe, Europa eOceania) raggiungono attualmente i 1,7 miliardi e, secondo leproiezioni, arriveranno a quasi 2 miliardi entro il 2060, per poi di-minuire molto lentamente. Saranno ancora circa 2 miliardi sul fi-nire del secolo. Tra queste regioni, la popolazione europea in par-ticolare dovrebbe raggiungere il picco di crescita verso il 2025 at-testandosi a 740 milioni, per poi decrescere.

2011siamo sette miliardi

di Giulia Vallese UNFPA

2011siamo sette miliardi

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C’è molto da festeggiare nelletendenze demografiche degli ultimi 60anni, soprattutto l’aumento della spe-ranza di vita, balzata dai 48 anni deiprimi anni Cinquanta del Novecento acirca 68 nella prima decade del nuovosecolo. Ma dietro queste cifre si na-scondono grosse disparità: la speranzadi vita di una donna in Giappone è dicirca 86 anni, mentre in Afghanistan èappena di 45.

Anche se si hanno, in media,meno figli che negli anni Sessanta delNovecento (2,5 rispetto a 6), le cifreassolute continuano a crescere: la po-polazione mondiale aumenta di circa78 milioni di persone all’anno e circa il97% di queste nascite avviene nei pae-si in via di sviluppo. La popolazione ènel complesso più giovane – e più vec-chia – di quanto sia mai stata.

Il rapporto suddivide i paesi delmondo a grandi linee in tre tipologie:

• Paesi con alta crescita demo-grafica e a basso reddito, tra questimoltissimi paesi dell’Africa Sub-Sahariana, dove molte donne non pos-sono determinare la propria fecondità,e la crescita della popolazione erode lacrescita economica e la capacità deiservizi sanitari di servire le persone.

• Paesi in cui la crescita dellapopolazione si è stabilizzata, che pre-sentano spesso una forte urbanizzazio-ne e migrazione, con forti divari tra ric-chi e poveri e larghe fasce della popo-lazione che vivono sulla soglia dellapovertà, dove c’è bisogno di investiredi più in politiche sociali per raggiun-gere le fette della popolazione piùemarginate e vulnerabili.

• Paesi in cui la fecondità è sce-sa al di sotto del cosiddetto “livello disostituzione” (2,1 figli per donna),come per esempio il Giappone, dovecarenza di manodopera e calo della

produtttività minaccciaanno la qqualità dellla vita ddelle generaziooni cheinvecchhiano e urggonoo interrventi a soostegno della famigliaa e chepermetttano alle doonnnee di coonciliare laavoro e ffammmiglia.

LLa domandda aa cui ill Rapporto tenta di riispondere èè: qualiazioni ppossiamo aadotttaare ogggi per traccciare unn peeercorso verrso unosvilupppo economiico soosteniibile per tuutti/e?

IIl Rapportoo noonn ha ddubbi: bisoggna innaanziiitutto continnuare apromuovere i dirrittii delle donne e ddelle raggazzzze, a comminciaredalle aadolescenti,, coommpresii il diritto all’istruzzionnne, all’educcazionesessualee ed alla sallutee rriprodduttiva, al laavoro. E i mmmotivi sono molti!

LLe donne iistruuiite e cche hanno opportuunitttà di sceltaa, quasisempree scelgono di aavvere ill numero ddi figli cche la loro fammiglia èin graddo di sostenneree. Quasi sempre sii tratta ddi mmmeno figli rrispettoalle lorro madri e aalle lloro nnonne. Ma qquesto nnonn è ancora ppossibi-le per ttutte le donnne ee le cooppie: ci soono 2155 mmilioni di doonne inetà ferttile nei paessi inn via dii sviluppo che fareebbeeero uso di ppianifi-cazionee familiare se vvii avesssero accesso. Tale accccesso va inntegratonell’inttero sistemaa saannitarioo nazionalee.

LLe donne ee i ggioovanii sono i duee gruppii chhhe hanno ill poten-ziale mmaggiore peer acccceleraare il progrresso neei paaesi in via di svi-luppo. MMa perché donnnne e rragazze posssano daavveeero contribbuire al-lo sviluuppo dei looro ppaesi, occorre abbbattere le bbbarriere economi-che, giuuridiche, soociaalii e cullturali per ddare loroo paari opportuunità ri-spetto aagli uominii in ttutte lle sfere dellla vita. Coiinvolgere ii ragaz-zi e gli uomini è eesseennziale,, perché lorro sono parrrtner fondaamenta-li di cuui abbiamo bisooggno pper la salutee e lo svvilupppo.

CCon una giiustaa piannificazione e investtimmmenti sulle perso-ne, sugggerisce il Rapppporto,, possiamoo vivere in città sostenibili eche proosperano, ccon uuna foorza lavoroo produtttivaa che alimmenta lacrescitaa economicca, coon giovani che contribuuiscccono al bennesseredelle looro comunnità, aanzianni produttiivi, in saaluttte ed econnomica-mente ssicuri.

AAnche se lee ricceette cooncrete posssono vaariaaare a seconnda del-la tipollogia del paaesee – in vvia di sviluuppo, a reddddito medioo e svi-luppatoo – le interrconnnnessiooni e le intterdipenndeeenze sono ppiù rea-li che mmai. Viviammo inn una ccomunità gglobale ddoveee le decisiooni pre-se in unn paese o inn unnaa regioone hanno un impaattooo immediatto in al-tre partti del monndo. Le sccelte e il ffuturo ddipeeendono da quantoognunoo di noi è ddispoossto a ffare. ��

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� � Osservando la popolazione deiPaesi occidentali - in particolare, i Paesiche si potrebbero definire “maturi”, co-me gli Stati Uniti e quelli che formanol’Europa dei 20 - si nota che la percen-tuale di popolazione con un’età al di so-pra dei sessant’anni continua a cresceresensibilmente. Oggi le persone compresein quella fascia di età rappresentano cir-ca un quarto del totale. Nei Paesi emer-genti, invece, non arrivano a un decimo.E già si avverte come i costi di questatendenza non siano in realtà sostenibili.

L’invecchiamento della popola-zione può essere infatti considerato la ve-ra origine della crisi economica in atto.Ma nel prossimo decennio i suoi effettirischiano di non essere più sopportabili,perché la percentuale sempre maggioredi persone che esce dalla fase produttivadiventerà un costo fisso impossibile daassorbire e da sostenere da parte di chiproduce. Sempre meno persone, inoltre,entrano nel ciclo produttivo e, quandoriescono a entrarvi, lo fanno molto lenta-mente. Senza considerare i cambiamentidel concetto di occupazione diffuso sinoa qualche tempo fa.

I costi di una popolazione semprepiù anziana non potranno quindi essere

sostenuti dai giovani, i quali, oltre a essere sempre di meno, potrebbe-ro anche chiedersi perché dovrebbero farlo, soprattutto se immigrati.Un altro fenomeno, meno osservato, relativo all’invecchiamento dellapopolazione sta nel cambiamento della struttura dei consumi.Sintetizzando un po’ brutalmente, si potrebbe affermare che si com-prano meno auto, ma più medicine. Sta cambiando, e cambierà sem-pre più, anche il ciclo di produzione del risparmio, in declino e desti-nato a crollare: prima perché ha dovuto sostenere i consumi, ora a cau-sa della drastica riduzione dei redditi.

Di fronte a questa realtà, è indispensabile avere il coraggio diaffrontare il tema delle nascite e dell’invecchiamento della popolazio-ne. Trascurarlo è dannoso, e per questo è ormai improrogabile la defi-nizione di strategie per sostenere concretamente le famiglie nella loronaturale vocazione ad avere figli. Solo così potrà essere innescata unavera ripresa economica. Una famiglia di oggi con due redditi guada-gna meno di quanto trenta anni fa la stessa famiglia guadagnava conun solo stipendio. E questa è la conseguenza della crescita delle impo-ste sul prodotto interno lordo, raddoppiate nello stesso periodo proprioper assorbire le conseguenze dell’invecchiamento dovuto al crollo del-le nascite.

I governanti dei Paesi “maturi” devono investire nella famigliae nei figli per generare una rapida crescita economica, grazie all’atti-vazione di fattori quali l’aumento della domanda, il risparmio e gli in-vestimenti. Le persone anziane sarebbero così maggiormente accetta-te, e non solo sopportate, come a volte avviene oggi. In fondo, la na-tura stessa insegna che se l’uomo e la donna non generano figli è dif-ficile che qualcuno si prenda cura di loro quando invecchieranno. LoStato ci può provare, ma a costi altissimi. ��* articolo pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 21 luglio 2011

dididididd E EEEEEtttttttororororore ee e GoGoGoGoGoGoGoGGGGGGottttttttttttttttttt iiiii i i TeTeTeTeTeeeeededededededeededdddddd scscscscsccscscchhhhhhhihihihihececececce onononononnononomomomomomommomisisissisiisisssisisisisisisssisi tatatatatatataatt ,,,,

PrPrPPrPrrPrPrPPrPrPrPrPrrrPPPPPrrrPP eseseseeessesesesesessesesesesesididididididddddddddidididdddididdidddidididdidddddidddenenenenenneneeeeeneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee teteete dddddelelelelelllolololol III I I IOROROROROROROOR ( (((IsIsIsII tititititiititt tututtututtutototoottototpepepepepepeepepeppepep rrrrrrr rrr lellleeelleleeleeelelelellelelleelleleleleeleleleleleelell OOO OO OO O O OO O O O O O OO O O OOO OOOOOOpepeepepepppppppppppppppppp rerererere d d d dii i i i RRReReReReR lililiiiliilil gigigigiggggg ononononnnnnnnone)e)e)e)e)e)e

Sono i figliil motore della ripresa *Sono i figliil motore della ripresa *

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� � Il nuovo Rapporto-propostadel Comitato del Progetto Culturale CEIha per titolo il “Cambiamento demogra-fico” e nasce con l’obiettivo di sviluppa-re consapevolezza circa le dinamichedemografiche e le loro ricadute in termi-ni di qualità della vita; così da favorire ilclima culturale necessario sia per legitti-mare atteggiamenti e interventi che val-gano a contrastare gli effetti negatividelle tendenze in atto, sia per dare sup-porto alle istituzioni – prima fra tutte lafamiglia- che si prodigano nel mantene-re in vita la trasmissione di risorse, ma-teriali, relazionali e valoriali, entro lapopolazione e tra le generazioni.

Nell’ambito dei molteplici feno-meni che alimentano il cambiamentodemografico, un ruolo prioritario vasenz’altro attribuito all’analisi della fe-condità e delle determinanti che accom-pagnano le scelte e i progetti dell’esseregenitori nell’Italia di oggi. Non a caso ilnostro Paese si colloca tra le nazioni eu-ropee più colpite dalla denatalità, un fe-nomeno dietro al quale si ravvisa unaforte riduzione della “propensione adessere genitori”, sostanzialmente dovutaai meccanismi di ritardo e di rinvio del-le scelte riproduttive. Dal 1977 il nume-ro medio di figli per donna (il cosiddet-to “tasso di fecondità”) è progressiva-mente sceso sotto il livello che garanti-

sce il ricambio generazionale, e ben poco è valsa la modesta ripresadi questi ultimi anni, riconducibile alla componente straniera e alparziale recupero di nascite tra le donne ultratrentacinquenni anco-ra senza figli. D’altra parte la crisi della genitorialità del nostro tem-po è un fenomeno da interpretare alla luce della più complessa di-namica riguardante il ciclo di vita familiare: dai processi di forma-zione della vita di coppia, a quelli del suo sviluppo. È ben noto co-me il progressivo prolungamento della permanenza dei giovani infamiglia abbia di fatto modificato anche i tempi che ne cadenzanogli eventi successivi, come il matrimonio e la nascita dei figli. Il tut-to mentre le donne italiane continuano ad avere un elevato desideriodi maternità: tanto che il divario tra gli ideali riproduttivi e la loroeffettiva realizzazione rappresenta uno dei nodi più critici con cui cisi deve misurare. Se infatti il modello della famiglia con un solo fi-glio è sempre più diffuso, le intenzioni di fecondità espresse dallemadri italiane indicano invece, nella concezione dominante, come iltipo di famiglia ideale sia quella con due figli.

Lo scostamento osservato tra la fecondità desiderata e quellaeffettivamente realizzata offre lo spunto per indagare su quali sianogli ostacoli che portano le coppie a ridurre drasticamente la dimen-sione della prole cui ambirebbero. Ad esempio, tra i fattori che –stando a un recente studio - inducono le madri a non volere un altrofiglio prevalgono innanzitutto le argomentazioni di carattere econo-mico e i motivi anagrafici, spesso indotti proprio dallo spostamentoin avanti dei tempi del ciclo familiare di cui si è detto. Anche il la-voro extra domestico rappresenta per le donne un elemento impor-tante per non volere un altro figlio, così come le preoccupazioni perle responsabilità di cura dei bambini e il “non poter contare sull’aiu-to costante di parenti e/o amici” nelle attività di accudimento che ri-chiedono gli stessi. Si tratta di difficoltà che rientrano nella sferadella conciliazione lavorativa e della gestione familiare, e che ten-dono ad acuirsi sia per via di un sistema di welfare di tipo familisti-co (che demanda l’erogazione di servizi essenziali alle reti informa-

Maternità e paternitàtra desiderio e realizzazione

di Gian Carlo Blangiardo Università Milano-Bicocca / Comitato per il Progetto Culturale CEI

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Maternità e paternitàtra desiderio e realizzazione

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li di aiuti familiari), sia per un sistema di rap-porti di coppia ancora generalmente caratte-rizzato dalla disparità di genere nella divisio-nene d deiei c comompipititi.

Alle motivazioni che sottendono lamanc tata re laliizza izione ddeii prog tettiti d dii ffecon-dità si aggiunge, altresì, una preoccupantecrisi del desiderio, come segnalato dal recen-te Rapporto Censis sulla situazione socialedel Paese. «Tornare a desiderare– si scrivenel Rapporto – è la virtù civile necessaria perriattivare la dinamica di una società troppoappagata e appiiattiita». AlAllla l luce didi t lale iriflfles-sione, concepire o meno un bambino non sa-rebbe un diritto della donna, né un evento cheriguarda la singola coppia, ma piuttosto unaccadimento che esige una nuova responsabi-

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lità sul piano relazionale, affettivo ed educativo dei genitoricoinvolti. In questo nuovo contesto simbolico, l’intenzione ela decisione di volere un bambino rappresentano un gesto diresponsabilità e di fiducia verso il futuro della famiglia uma-na, un rischio dietro il quale c’è l’apertura al nuovo e all’im-previsto che si accompagna ad ogni gesto di libertà.

Credere nel futuro, attraverso la messa al mondo dinuovi nati, è una sfida tanto più ardua quanto più se ne co-glie la portata alla luce della radicale messa in discussionedel paradigma della genitorialità. Lo sviluppo di una nuovacoscienza sociale del ruolo della donna, insieme al venir me-no di una rigida complementarietà tra i due generi (basatasull’idea stereotipata della donna-madre accuditiva del foco-lare domestico e del padre capofamiglia e unico sostentato-re economico) ha condotto a biografie solitarie, soprattuttoal femminile, piuttosto che a momenti costruttivi di dialogoe di confronto tra donne e uomini, tra madri e padri. In talecontesto non vi sarebbe altra soluzione che quella della con-divisione, del riconoscimento e della reciprocità che fa teso-ro della specificità di ciascuno, della donna come dell’uomo;in cui non si realizza uno scambio “do ut des”, ma la cresci-ta e la realizzazione in toto delle persone.

Al quadro socio-familiare testè delineato va aggiuntoun altro elemento che contribuisce a definirne i contorni: lavisione “adultizzata” del bambino proposta dall’industriaculturale e dai mass media. Il declino della natalità non sa-rebbe infatti soltanto legato a problemi di infertilità, al ritar-do nella formazione delle famiglie, a condizioni sociali e la-vorative sfavorevoli e allo sviluppo di una nuova coscienzadel ruolo della donna, ma anche all’influenza di un climaculturale sfavorevole ai più piccoli. Associazioni, meeting eblog di non-genitori si moltiplicano negli Stati Uniti e in di-versi paesi europei; allo stesso modo, sempre più alberghi,ristoranti e stazioni turistiche si qualificano per rivolgersi auna clientela senza figli e che non vuole essere disturbata dafamiglie con bambini. Si tratta di tendenze che trovano unampio riconoscimento nel marketing e che alimentano quelprocesso di “adultizzazione” dell’infanzia che vede i bambi-ni come proiezione del mondo adulto e non come soggetti increscita con cui coinvolgersi profondamente in un rapportoeducativo nel pieno rispetto della loro specificità.

Ma anche su questo punto, la consapevolezza delledinamiche in atto e dei rischi connessi è solo una necessariapremessa: l’auspicio ultimo è che tutto ciò possa realmentesmuovere le coscienze, chiamando “consapevolmente” araccolta (e all’azione) gli individui e le istituzioni. ��

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di Elisa Manna CENSIS

Voglia di famiglia� � Va di moda da qualche tempo

parlare della crisi della famiglia; neisalotti borghesi, come nei convegnidei demografi. In realtà,quando si par-la di famiglia bisognerebbe stare mol-to attenti a non confondere diversi pia-ni: quello dell’istituzione famiglia co-me principio regolatore sociale, quellodel vissuto- famiglia come patrimoniodi sentimenti ed emozioni collegati al-la scelta di vivere insieme , quello del“fare famiglia” inteso come praticabi-lità, operatività della costruzione di unnucleo familiare .

È evidente, infatti, che intornoall’idea di famiglia convergono moltipercorsi: quello esistenziale, innanzi-tutto, che conduce un individuo, ma-schio o femmina che sia, a immagina-re di voler condividere la propria vita

con il proprio partner/ la propria partner, di fare con lui/lei un pro-getto familiare, di mettere al mondo dei figli.

Altra cosa è “la praticabilità sociale” di questo progettod’amore e di vita condivisa: la casa, il lavoro, la sicurezza socia-le, l’organizzazione dei bisogni.

Altra cosa ancora è l’istituzione famiglia, il valore politicoe sociale che una collettività, una cultura attribuiscono ad esso.

Altra cosa ancora è il matrimonio cattolico come inizio del-la famiglia, come fase nascente di un progetto d’amore e di dona-zione reciproca. Tutti questi piani non sono evidentemente indi-pendenti l’uno dall’altro, ma anzi spesso si intersecano, si sovrap-pongono, confondendo i problemi e la natura delle difficoltà ches’incontrano.

Se certamente, a causa di un processo di laicizzazione dimassa che ha proceduto a tappe forzate negli ultimi trent’anni e dicui sarebbe interessante indagare le vere radici, l’idea cattolicadel matrimonio come momento fondativo del fare famiglia ha co-nosciuto un processo di ridimensionamento significativo, la di-mensione fattuale, concreta non credo abbia sofferto di un analo-go restringimento.

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È la difficoltà strutturale ad avere una sicurezza economi-ca, una casa propria, un progetto che si proietta, come la campa-ta di un ponte ben costruito nel tempo che ridefinisce l’atteggia-mento dei giovani rispetto al matrimonio. In un tempo remoto gliattori innamorati dicevano alla donna dei loro sogni: “Non pos-siamo sposarci, io non ho nulla da offrirti oltre il mio amore…”.Oggi si parlerebbe in maniera meno aulica, ma certo il fattoredelle difficoltà pratiche ha un’influenza enorme.

I giovani, come dimostrano i primi risultati di una ricercadel Censis attualmente in corso per il Comune di Roma sono piùromantici di quanto sembrano o vogliono mostrarsi: l’amore traun giovane uomo e una giovane donna è una meravigliosa edeterna magia che nessun deterioramento culturale potrà mai vera-mente annientare. E la spinta a fare famiglia, a dare un futuro allegame d’amore è una spinta naturale su cui si basa la sopravvi-venza del genere umano. Siamo fatti per amarci e desiderare diregalarci reciprocamente il frutto più straordinario che l’amorepossa dare: un bambino fresco e roseo come un pane appena sfor-nato che col suo sorriso illuminerà la coppia. Queste sono veritàsemplici ma incontrovertibili che dimentichiamo quando parlia-

mo di politiche per la famiglia. Non sista parlando di politiche industriali o diinfrastrutture aeroportuali: non si staparlando di ponti, strade, palazzi; tuttecose importantissime, ma che non siinnervano nel tessuto affettivo dellepersone, nella profonda umanità diognuno di noi.

È per questo che la famiglia de-ve ritrovare centralità nell’agenda poli-tica, deve stare al centro di ogni strate-gia evolutiva del paese: se l’Italia ha unponte sullo stretto di Sicilia, ma non hauna seria politica per le famiglie nonha nulla.

Dobbiamo ritrovare la centralitàdell’umano, sono le cose ad esserecreate per l’uomo non l’uomo per lecose. Forse è arrivato il tempo giustoper ritrovare la strada maestra.��

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“… il lavoro è il fondamento sucui si forma la vita familiare laquale è un diritto naturale e unavocazione dell’uomo.Questi due cerchi di valori – unocongiunto al lavoro,l’altro conseguente al caratterefamiliare della vita umana –devono unirsi tra sé correttamente,e correttamente permearsi”(Giovanni Paolo II, Laborem Excercens, n.10).

� � Il titolo di questa breve rifles-sione riprende un convegno di qualcheanno fa (2005), nel quale un gruppo diricercatori dell’Università di Modena eReggio Emilia presentava i dati di unaricerca sul legame tra lavoro e fertilitàfemminile nella Provincia di Modena.La ricerca aveva evidenziato come –nonostante la regione Emilia Romagnasi caratterizzi per un’occupazione fem-minile percentualmente in linea con iparametri indicati dall’Unione Europea– vi fosse un basso tasso di natalità an-che per le donne occupate. Ma ancorpiù preoccupante era un altro datoemerso da questa ricerca (si vedaGenitorialità, lavoro e qualità del lavo-ro, a cura di Addabbo T., FrancoAngeli, 2005), ovvero che laddove uno

Conciliazione: trovareun punto comune

di Barbara Maiani docente di Diritto della Previdenza Sociale presso l’Università degli Studidi Modena e Reggio Emilia - Consigliera di Parità effettiva della Provincia di Modena

Conciliazione: trovareun punto comune

dei componenti del nucleo familiare, in special modo la donna, sitrovava in una condizione lavorativa precaria, il numero dei figlidesiderati era sempre inferiore a quello dei figli effettivi.

Un dato analogo è stato rilevato in una più recente ricercapromossa dalla Banca d’Italia sugli “ Effetti (non) persistenti dellafecondità sull’offerta di lavoro femminile (working papers n.783 -(Non) persistent effects of fertility on female labour supply”, diConcetta Rondinelli e Roberta Zizza, dicembre 2010, suhttp://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td10/td783_10/td_783_10),

nel quale sul gap tra figli desiderati e figli avuti (2008) emerge co-me, nella scelta di avere meno figli di quelli desiderati, i due fatto-ri che incidono maggiormente (se si escludono le cause biologicheo fisiche) sono il reddito insufficiente (5,2%) e l’incompatibilitàcon il lavoro (5,3%). Dall’indagine emerge inoltre l’effetto negati-vo che la qualità del lavoro (qualifica occupazionale, tipo di con-tratto, orario di lavoro) ha sulla maternità.

L’ordinamento italiano fornisce alcuni strumenti che possonoagevolare scelte familiari e di lavoro, ma certamente – visto il tassodi fertilità preoccupante delle donne italiane – non in misura suffi-ciente. Basti pensare alla scarsa diffusione del lavoro a tempo parzia-le, che certamente costituisce uno degli istituti che meglio di altri puòconsentire un giusto bilanciamento, soprattutto quando i figli sono inetà prescolare, tra vita e lavoro. Il lavoro a tempo parziale è stato og-getto di diversi interventi normativi nell’ultimo decennio, che ne han-no accentuato i caratteri della flessibilità (come l’introduzione diclausole elastiche e flessibili e la delimitazione del ricorso al lavorosupplementare), ma nessuno degli interventi normativi ha introdottomeccanismi di incentivazione del lavoro a tempo parziale per fami-glie con figli in età prescolare o – più in generale – con esigenze diconciliazione vita lavoro (è scontato ricordarlo, non solo i figli, maanche la cura degli anziani o di soggetti disabili può generare forti bi-sogni di conciliazione).

Non esiste infatti, al momento in cui si scrive, una disposi-

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zione di legge che preveda un obbligo a concedere ilpart-time ad un lavoratore con particolari esigenzefamiliari (è doveroso però ricordare come invece esi-sta un diritto al part-time reversibile per i lavoratoriaffetti da patologie oncologiche e che si sottoponga-no a terapie salvavita). La contrattazione collettiva,in diversi casi, prevede la possibilità del datore di la-voro di accogliere le richieste di part-time legate adesigenze di conciliazione, ma si tratta di una facoltàche il datore di lavoro ha e non di un obbligo.

A parere di chi scrive, sarebbe forse auspica-bile, anziché l’introduzione di norme che forzata-

mente impongono di soddisfare le richieste di pas-saggio a tempo parziale in determinate situazione,introdurre norme che premino quelle realtà azienda-li si realizzano concretamente politiche di welfareaziendale, magari con sgravi contributivi per i datoridi lavoro che concedono orari flessibili o ridotti lad-dove siano motivati da esigenze di conciliazione deipropri dipendenti.

Un’ulteriore politica che potrebbe aiutare laconciliazione, sempre legata al lavoro a tempo par-ziale, è la possibilità di usufruire del congedo paren-tale non a giorni, come avviene oggi nel nostro ordi-namento, ma ad ore (con un sistema simile a quellodegli interventi di integrazione salariale ordinaria estraordinaria). Certamente, un intervento di questotipo, pur non richiedendo particolari passaggi nor-mativi (sarebbe sufficiente una circolare INPS cheautorizzi il pagamento ad ore del congedo parenta-

le), diventa complesso nella sua concreta realizza-zione, ma potrebbe consentire ai lavoratori con figlifino ad otto anni di modulare il proprio orario di la-voro in base alle esigenze familiari senza particolariautorizzazioni da parte del proprio datore di lavoro.Al contempo, il minor ingresso economico che deri-verebbe da un lavoro a tempo parziale sarebbe (al-meno fino al terzo anno di vita del bambino e nel li-mite dei sei mesi massimi di congedo) coperto dal30% dell’indennità legata al congedo parentale (sulpunto si veda Donne al lavoro, a cura di C. Iori e B.Maiani, Carocci, 2006).

Questi alcuni brevi spunti su cui riflettere, chenon esauriscono certo l’argomento (basti pensare, adesempio, agli interventi che potrebbero mettersi incampo per garantire una continuità di reddito ai cosid-detti lavoratori precari, con contratti a tempo determi-nato, lavoro intermittente, collaborazioni a progetto,etc.). Interventi che non dovrebbero essere indirizzati,a parere di chi scrive, ad escludere queste forme di la-voro dal nostro sistema, in quanto - se correttamenteusate hanno una loro valenza in termini occupazionali– quanto per consentire agevolmente ai lavoratori dimantenere uno stato di occupabilità tra un lavoro e l’al-tro e, laddove questo non sia possibile, di poter ricor-rere ad ammortizzatori sociali efficaci.

È indubbio infatti come il lavoro e la difficoltàdi conciliarlo con le esigenze familiari abbia un in-fluenza, più o meno accentuata, sulle scelte di geni-torialità delle famiglie italiane. ��

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“se sarà, sarà...”

“Ed egli, rispondenddo, disse llooro: NNonavete voi lletto che chhi li creò da pprincippio,li creò mmaschio e femmina? E dissse:“Perciò l’uuomo lasceerà il padre e la mma-dre e si uunirà con laa propria mmoglie, e idue diverrranno una sola carne.” (Mattteo19).

Questo paasso del Vaangelo di MMatteo dasempre, aa mio avvisso, spiega mmolto bbe-ne il sensso del “fare famiglia”, cche è poiil senso ddi una sceltta di autonoomia.Un aprirsii a vita nuoova, a qualccosa ccheci veda come protaagonisti dellla nosstraesistenza.Ecco, il punto è prooprio questoo: esseere“protagonisti della nostra esisteenza”.Le giovanni generazzioni, nella magggiorparte dei casi, non vvivono la coondizioonedi serenitàà tale che le renda prrotagooni-ste del lorro esistere. Una manccanza che le porta a nnon vivve-re pienammente ancche quel ssentiree equel desidderare chee qualunquee esseereumano seente dentroo di sé: la vogliaa difamiglia.Mi si rispoonderà, da chi magari ha quual-che anno più di me: ma queste cose sso-no sempre state, annzi voi giovaani dovve-te sentirvii molto più fortunati dii noi!“Un accidenti”, mi seentirei di risppondeere!Siamo “pooveri” in ciiò che connnota uunosviluppo eequilibrato dell’esistennza.E la fonte della nostrra povertà hha un nno-me: PRECCARIETÀ.I momentti di incerttezza non ffiniscoonomai - se non per pochi privilegiati -- o,cosa ancor peggiorre, si possoono ppre-sentare “nnel bel meezzo del caamminn dinostra vitaa”, quandoo hai una caasa e deifigli da maantenere, ooltre a te steesso.Per quantto mi riguaarda c’è staato piùù di

un momeento nella mmia vita in cuui ho sen-tito forte il desiderioo di famiglia, e altret-tanto fortee ho vissutoo il sentimennto di im-potenza cche mi impede iva di reaalizzarlo.Ora vivo qquesto sentimento in mmodo mol-to più tieppido e fatalissta: se “saràà sarà…”.Insommaa, non vivo ppiù con l’anssia dell’o-rologio biologico chee scorre!Ma se doomani mi trovo assi a cosstituire lamia famiiglia, sicurraamente all’entusia-smo dellaa scelta si acaccompagnerebberonon pochhe preoccuppazioni.Genitori non più ggiiovanissimi, magarilontani daa me, figli ddaa far cresceere, lavo-ro da conciliare, stippeendi da far qquadrare.Forse questa mia rrifflessione ssi conclu-derà in mmodo banallee, ma le coose da di-re sono ssempre le ssteesse: attennzione al-l’essere uumano, al ssuo bisognoo di sicu-rezza, di continuità ee consideraare comeimprocrasstinabile il reeperimentoo di fondiper ammoortizzatori ssociali, per la conci-liazione dei tempi vita-lavoroo, per lacreazionee capillare ssui territori (anche ipiù isolati) di servizii aa sostegnoo della fa-miglia.

ANGELA TROMBINI

presidentee Cif comunale Adria(Ro)

lavoro e figli

Sceglieree nel 2011 ddi rinunciarre a lavo-rare per ii figli sembrbra “cosa d’altri tem-pi”, specie se si pensnsa che ci ssono mol-te personne licenziattee o in cassaa integra-zione.Per me riisulta autommatico favorrire la fa-miglia quualora si prreesenti l’esigenza distarle vicino in un momomento diffficile.Sono un’insegnantee precaria ee mai co-me questt’anno ho sseentito il dissagio pernon poter svolgere qquesta professione,

sopprattuttto per il maancato rappporto coni bambinni; certamennte anchee a livelloecoonomicco ne risennto; senza volerlo sicrea unaa sorta di vviolenza pssicologicaall’iinternoo della famiiglia: i figli si potreb-berro senntire privati di oggetti o passa-temmpo coomuni ai loro coetanei; mio ma-rito, preooccupato daalle spese mediche,mi cchiedee conto sulla necessità di visitea ppagamento piuttossto che muutuate.Queesto bbasta comunnque a farmmi sentirein ccolpa per non avver privileggiato, an-chee se noon è vero, l’economia familiare.E ccosa ddire della reealizzazionne perso-nale?Sonno ancche una cattechista e quest’an-no sonoo passata da una claasse ele-mentare ad una meedia, dove ddevo par-laree di teemi inerenti al progettto di vitadei ragazzzi, non più infanti.Parrallelamente, mi rricordo chee alla loroetà sognaavo la famigglia che Dioo ha volu-to cconceedermi non senza le inevitabiliproove.Pennso dunque che se il Signore hasceelto peer me il progetto dellaa famiglia,io ssono inn dovere, mma anche inn diritto, dicrescere i figli garaantendo lorro la pre-sennza e l’attenzione necessaarie, spe-ciallmentee in alcuni pprecisi mommenti del-la ggiornatta.La soddissfazione di riconoscere serenala mia faamiglia, rapppresenta quindi lareaalizzazzione persoonale primaria e lasceelta di rinunciare al lavoro contribui-scee al miglioramentoo della quaalità dellavitaa: i soldi, si sa, nnon garanttiscono lafeliccità!

MARZIA BIGOLIN

presiidente Cif ccomunaleSelvva del Monntello (Tv)

CIF: la voce delle giovani

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� � Sarà il Centro ItalianoFemminile, come alle sue origini, pron-to a raccogliere le sfide di questo mil-lennio?

Le complessità della vita fami-liare, la diffusione delle convivenze ex-tramatrimoniali, in un paese di 60 mi-lioni di persone in cui un abitante ogni13 proviene da altri paesi e i giovanisotto i vent’anni sono pari al numerodegli ultrasessantacinquenni chiede allanostra associazione di studiare e speri-mentare nuovi progetti di solidarietà fa-miliare, interfamiliare e intergenerazio-nale. Oggi più che mai siamo chiamate atestimoniare la nostra identità cristiana!

La ragione del calo delle nasciteè da ricercare sicuramente anche nellostato di innegabile crisi della congiun-tura presente che aumenta difficoltà epaure, ma non è con più consumo e me-no figli che risistemiamo l’economia,piuttosto con una revisione radicaledelle priorità. Occorre che da noi, don-ne cristiane impegnate nel sociale, par-ta l’invito a mutare prospettiva e concoraggio dobbiamo metterci in giocoper aiutare chi, con fatica, affronta leprecarietà del quotidiano, in particolarele donne, aiutandole nel conciliare curadei figli e lavoro.

Da diversi anni il CIFProvinciale di Milano si muove in que-

sta direzione; la realizzazione e la gestione del “Nido delleMeraviglie” e il progetto “Mammebambini“ sono un aiuto tangibilealle giovani italiane e straniere che si rivolgono alla nostra associa-zione.

Il “Nido delle Meraviglie” soddisfa principalmente le esigen-ze delle giovani mamme che risiedono vicino alla nostra sede diViale Lazio; ciò che arricchisce questo servizio, perché tale va chia-mato, non è solo la professionalità delle operatrici, ma il valore ag-giunto che le volontarie CIF mettono a disposizione del personale,della struttura e, perché no, nei rapporti con gli utenti del servizio.Questo diversifica il nostro servizio da quelli realizzati da enti pub-blici e non (alcune volte con maggior disponibilità economica del-la nostra).

“Mammebambini“ è un progetto rivolto alle giovani mammestraniere che vivono nella città di Milano e che, come il “nido” tro-va spazio nella nostra sede. Docenti qualificate insegnano allemamme la nostra lingua, la nostra cultura, il come affrontare i pro-

Il Nido delle Meraviglie

di Emanuela Flore presidente Cif provinciale Milano

Il Nido delle Meraviglie

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Cronache e Opinioni - dicembre 2011

blemi quotidiani del vivere in una gran-de città. Il corso, organizzato in dueclassi di insegnamento, persegue i se-guenti obiettivi:

- Favorire e potenziare l’acquisi-zione della lingua italiana nelle quattroabilità fondamentali: comprendere,parlare, leggere e scrivere

- Fornire strumenti di conoscen-za linguistica per poter acquisire auto-nomia nella gestione della vita quoti-diana e nell’utilizzo dei servizi e risor-se offerte dalla città

- Offrire uno spazio di socializ-zazione, scambio di esperienze, con-fronto e aiuto che permetta alle donnesi sentirsi a proprio agio e di costruirerelazioni con il gruppo di “pari” e conle insegnanti.

Per consentire una reale acco-glienza, è stato organizzato un “nido”dove le mamme possono lasciare i pro-pri figli, durante le ore di lezione, accu-diti da volontarie del CIF, altrimenti lemamme non potrebbero frequentarlo,non sapendo a chi affidare i propri figli.Servizio che, in tutta Milano, è offertosolo dal CIF e da un istituto di Suore.

Per quest’anno si auspica di ave-re la possibilità di istituire corsi di ita-liano per donne straniere che consenta-no l’acquisizione della lingua italianamediante corsi propedeutici che diano,successivamente, la possibilità di acce-dere a corsi specifici per sostenere l’e-same di certificazione L2, requisito ne-cessario per richiedere il permesso disoggiorno.

Il mio grazie personale va allevolontarie di Vanzago, paese di nongrandi dimensioni, locato a nord-ovestdi Milano, che, con determinazione ecostanza, mettono a disposizione il lorotempo per realizzare questo progetto.Per un anno sono chiamate, in modocontinuato, a recarsi a Milano (circa

un’ora di viaggio) e rimanerci tutta la mattinata, chi per l’acco-glglieienznzaa dedellllee mamammmmee prprimimaa dedellll’i’ininizizioo dedellllee leleziziononii, c chihi g gioiocacandndoocon i piccoli.

Ci si rende conto che, se una volontaria manca, tutto il lavo-ro di cura dei bambini ne risente ed è per questo motivo che occor-re creare lal nosttro iintterno, t tra i i varii grup ipi comun lalii, una r tetepronta a rispondere in caso di imprevisto. La sfide che, come pre-sidente provinciale mi sono posta, è la realizzazione di una solidarete e terminare il mio mandato facendo nascere nelle aderenti deiva iri C CIFIF comun lalii un senso comune didi apparttenenza dad u ’n’asso-ciazione nazionale, che ancora oggi ha senso di esistere.

Diffondere la consapevolezza che l’unione fa la forza; che ilnostro stare nell’associazione non vuol dire ritrovarci solo pper unagiornata di studi o per un convegno, ma per offrire le nostre poten-zialità, il nostro tempo, per far comunione tra noi e perché no! ..realizzare un progetto che altrimenti non saremmo in grado di at-tuare e che senza di noi costerebbe molto sia all’associazione cheai fruitori.

Sarebbe bello pensare che l’appartenenza al Cif risponda in-tegralmente al richiamo che il Beato Giovanni Paolo II fece quan-do ci incontrò “.. l’espep rienza di comunione e di ppartecipap zionerappresenta il primo e fondamentale contributo che arricchisce efa grande l’associazione”. ��

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