L’Odissea com’è Lettura critica

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Questo libro interpreta l’Odissea come una grande opera d’arte «unitaria», che solo attraverso un lungo processo compositivo ha raggiunto la forma finale e una spiccata originalità rispetto al modello. La discussione dei problemi è facilitata da un’introduzione storica sugli studi odisseici, alla quale corrisponde, alla fine dell’opera, una sintesi sui rapporti tra poema e storia, sulla composizione, i personaggi, la fortuna e la poesia dell’Odissea. Ciascun canto è studiato in tre momenti, lettura, analisi, valutazioni critiche. Il testo viene quasi integralmente tradotto in forma chiara e moderna, e interpretato sulla base di una ricognizione ad ampio raggio della filologia omerica, dai tempi di Hermann ai nostri giorni; nelle conclusioni si definisce ogni volta il valore poetico del canto e, progressivamente, delle singole tètradi di cui è idealmente composto il poema. Per amore di autenticità si cerca sempre di risalire alle fonti, documentando con chiarezza in brevi citazioni l’origine e il valore delle idee e delle notizie. Sotto questo aspetto, il libro fa la storia dell’interpretazione, perché mette in luce il contributo originale degli studiosi e delle dottrine alla comprensione della poesia omerica. La complessità dell’Odissea, «forma aperta» ad accogliere ogni aspetto della civiltà arcaica, richiede la cooperazione di diverse discipline e competenze specifiche. Sotto il profilo bibliografico, il libro presenta una selezione delle opere più geniali e più utili, nel campo di una produzione quasi sterminata. Gli indici analitici agevolano l’uso dei due volumi anche per una consultazione estemporanea.

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    LO STUDIO CRITICO DELLODISSEA,CON PARTICOLARE RIGUARDOAGLI ULTIMI DUE SECOLI

    1. PROFILO STORICO

    In queste pagine hanno esclusivo rilievo le opere e le idee; le personalit degli autori elambiente storico in cui operarono che sono tanta parte della fortuna di Omero, eche sarebbero essenziali in una storia della filologia sono lasciati nello sfondo. Pre-cedono alcuni cenni sulle idee degli antichi circa la forma poetica dellOdissea rispettoallIliade, ma sono presupposte le conoscenze generali sulla questione omerica e suglieventi storici che nellet moderna precedettero il Wolf, nellambito di quel grandemovimento di cultura che, a partire dal secolo XVIII, mettendo in discussione la tradi-zione in tutti i suoi aspetti (Ronconi), prepar lIlluminismo. Basti accennare ai nomidi Madame Dacier, che inizi lo studio filologico di Omero, di DAubignac e di Vico,che sostennero indipendentemente luno dallaltro tesi in parte simili, ma con un at-teggiamento opposto di fronte al valore artistico dei poemi: il DAubignac mosso daun radicale antiomerismo, il Vico da una profonda e originale sensibilit verso la poe-sia omerica. Tra gli autori della querelle des anciens et des modernes, per opera deiquali risorse nel mondo moderno lo studio di Omero, riserviamo brevi note solo al Vi-co, per le sue intuizioni relative alle differenze tra i due poemi omerici.

    Ai critici che dedicarono i loro studi principalmente allIliade, si accenna solo perle idee germinali che furono elaborate nella prima grande opera analitica pubblicatasullOdissea (Kirchhoff, 1859-1879). Sono ricordati i nomi pi rappresentativi delle sin-gole correnti critiche: le brevi notizie sulle varie teorie hanno lo scopo di rendere com-prensibile il contributo dato al progresso degli studi odisseici ai quali si accenna nelcorso della lettura.

    Bibliografia. Per un inquadramento generale: s.v. Omero, G. Pasquali, E.I. (1949); F. Codino, In-troduzione (1965); s.v. Homeros, A. Lesky, RE, 1967, 1-160, e 1968, 687-846. Sulla questione omeri-ca: J.A. Davison, in Companion (1962), pp. 234-265; U. Albini - A. Luppino, Pagine critiche di lette-ratura greca, scelte e ordinate da U.A. e A.L., Firenze 1968, pp. 1-77, 553-631, sintesi delle teorie eselezione di scritti famosi e poco noti sulla questione. Fondamentali: A. Heubeck, Hom. Fr. (1974), eHomeric Studies Today, in B. Fenik, Homer (1978), pp. 1-17; G. Broccia, Questione (1979), opere in-dispensabili per la profondit dellinformazione e loriginalit della visione storica. Per gli ultimi svi-

    Zambarbieri M.L'Odissea com'. Lettura criticaQueste pagine sono tratte da un volume pubblicato da LED Edizioni Universitarie.Cliccando su questa pagina si accede alla pagina web dedicata al volume.

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea44

    luppi della questione omerica in rapporto alla dottrina oralistica e oltre: E.A. Havelock, Preface toPlato, Cambridge (Mass.) 1963, trad. it. M. Carpitella, Cultura orale e civilt della scrittura. Da Ome-ro a Platone, Bari 1973-1983, e una serie di volumi per lo pi miscellanei, e.g. G.S. Kirk, Lang.Backgr. (1967); L.E. Rossi, I poemi omerici come testimonianza di poesia orale, in AA.VV., Storia e ci-vilt dei Greci, vol. I, t. I, Milano 1974-1978, pp. 73-147; i 3 voll. editi da J. Latacz, Trad. Neuer.(1979); Homer. Der erste Dichter des Abendlands, Mnchen - Zrich 1989, trad. it. M. Tosti-Croce,Omero. Il primo poeta dellOccidente, Bari 1980; Dicht. Deut. (1991), nella cui serie cronologica siinseriscono la silloge Beyond Or. P. (1987), e i primi 3 voll. del Colloquium Rauricum (I, hrsg. vonJ. von Ungern-Sternberg und H. Reinau, Stuttgart 1988; II, hrsg. von J. Latacz, 1991; III, hrsg. vonF. Graf, 1993).

    Sulla ricerca odisseica: F. Klingner (1964), pp. 39-89; F. Eichhorn, Homers Odyssee, Gttingen1965; H. Eisenberger (1973), pp. VII-X; le ricche informazioni contenute nelle Dissertazioni di K. Fied-ler (1957) e di H.-A. Stssel (1975); U. Hlscher, Zur Erforschung der Strukturen in der Odyssee, inColl. Raur., II, 1991, pp. 415-422. La dottrina oralistica, nei suoi aspetti pi validi e attuali, profes-sata con originalit ed equilibrio nellOdissea in 6 voll. della Fondazione Valla (1981-1986), alla qua-le hanno collaborato studiosi di diverse tendenze sotto la guida di A. Heubeck, che ha scritto lintro-duzione generale. I volumi sono stati curati rispettivamente da Heubeck e S. West (I); J.B. Hainsworth(II); A. Heubeck (III); A. Hoekstra (IV); J. Russo (V); M. Fernndez-Galiano e ancora Heubeck (VI).La traduzione del poema di G.A. Privitera, che traduce verso per verso, in forma perspicua e sem-pre attenta allaspetto critico del testo. Il commento aperto ai contributi multiformi dellomerologia rispecchia dottrine sostanzialmente diverse, ma senza danno per il lettore, che anche da questo pudedurre la complessit della questione omerica nel nostro tempo. Si potrebbe aggiungere che quan-to scrivono Hainsworth, Hoekstra e Russo come premessa al loro lavoro costituisce la migliore intro-duzione alla dottrina oralistica.

    Ledizione Valla per la presente lettura dellOdissea un termine imprescindibile di riferimentoper i vari aspetti dello studio, testo, traduzione, commento e bibliografia. Il successo dellopera, rico-nosciuto nelle recensioni che ne hanno accompagnato la progressiva pubblicazione (e.g. H. vanThiel, CR 33, 1983, pp. 164-168; M.M. Willcock, JHS 104, 1984, p. 187 s.; R. Janko, JHS 108, 1988,p. 218 s.), ha indotto la Oxford Univ. Press a promuoverne ledizione inglese, A Commentary on Ho-mers Odyssey, I-III, Oxford 1988-1992 (senza testo e trad.), rivista e aggiornata, soprattutto ad operadi S. West (trasmissione del testo) e di J.B. Hainsworth (dialetto epico). Ledizione inglese ha perfe-zionato il piano dellopera che era gi laspetto originale del prototipo italiano: la partecipazione distudiosi di fama internazionale e di diversa formazione ad un commentario unico, preceduto nellediverse sezioni da importanti premesse che sono in realt la sintesi delle ricerche dei vari studiosi.Ricordo alcune recensioni: R. Janko, JHS 110 (1990), pp. 204-209; J. Strauss-Clay, AJP 112 (1991),pp. 119-125; J. Dillon, Hermathena 153 (1992), pp. 61-63; E. Kerr Bortwick, CR 40 (1990), pp. 203-205, e 43 (1993), pp. 4-5; L. Bodson, AC (1993), pp. 259-261; T. Krischer, Gnomon 66 (1994),pp. 385-403. Non so quanto lesempio di questa Odissea abbia influito sul progetto di unaltra impre-sa scientifica di grande portata per gli studi omerici, la pubblicazione, sotto la guida di G.S. Kirk, diThe Iliad: A Commentary, I-VI, Cambridge 1985-1993, senza testo (si rimanda ad Allen) e senza tra-duzione, con la caratteristica peculiare che tutti gli studiosi sono di cultura inglese ed oralisti. Il Gen.Editor Kirk ha commentato i ll. 1-8 (I-II); J.B. Hainsworth, i ll. 9-12 (III); R. Janko i ll. 13-16 (IV);M.W. Edwards i ll. 17-20 (V); infine N. Richardson i ll. 21-24 (VI). Cos accaduto che Kirk, invento-re della formula monumental poem e monumental poet, ha inventato anche il commento monumen-tale; occorre subito precisare che le parti introduttive dei singoli autori sono pi importanti del com-mento testuale vero e proprio. Il valore storico, filologico e linguistico degli argomenti trattati vera-mente grande: la composizione dellIliade, gli elementi strutturali del verso omerico, Aristarco e gliscol; gli di, motivi e temi, storia e invenzione nei poemi omerici (Kirk), le formule, la poesia eroica,tradizione greca e Iliade (Hainsworth); ancora gli di, origine ed evoluzione della dizione epica, te-sto e trasmissione (Janko); problemi narrativi, composizione per temi, similitudini, stile (Edwards);divisione in libri, Omero e i suoi critici antichi (Richardson). Si tratta di una completa esposizionedella dottrina oralistica, fatta dai pi illustri studiosi di lingua inglese, come stato rilevato con ap-prezzamenti e riserve dai recensori: A. Heubeck, Gnomon 58 (1986), al I vol. di Kirk; M.M. Wil-lcock, JHS 106 (1986), p. 201 s.; CR 41 (1991), p. 287 s.; 43 (1993), pp. 1-3; 44 (1994), pp. 255-258;S.L. Schein, AJP 108 (1987), pp. 532-534; R.D. Dawe, CJ (1988-1989), pp. 69-74; L. Dillon, Herma-

  • 45Presagi della questione omerica nel mondo antico

    thena 153 (1992), p. 63 s.; M. Mund-Dopchie, AC 64 (1995), p. 261 s.; T. Krischer, Gnomon 67(1995), pp. 481-499, ai voll. II-VI, la pi importante di tutte, insieme con quella iniziale di Heubeck,di cui rappresenta il compimento. LOdissea di Milano e di Oxford e lIliade di Cambridge nel loroinsieme offrono un panorama vastissimo delle conoscenze e delle dottrine relative ad Omero nel no-stro tempo.

    Studi linguistici. Lettura preliminare: il cap. III del Colloquium Rauricum, II, 1991, pp. 259-328,Homer und die Sprachwissenschaft, 1967 (strati della lingua omerica, B. Forssman; rapporti mice-neo-lingua omerica, A. Bartone

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea46

    colare composizione, essendo lIliade semplice e catastrofica, lOdissea complessa e altempo stesso di carattere (1459b, trad. Valgimigli). Ci non impedisce che Omerolabbia composta per man prxin intorno ad unazione unica (1451a, ibidem).

    Solo un cenno possibile dedicare alle notizie antiche (Proclo, Chrestom., p. 102,2-3 Allen; schol. A ad Il. XII 435, Erbse III, p. 382) sullesistenza, in et forse preales-sandrina, di unipotesi filologica che, per ragioni di contenuto e di stile, separava dal-lIliade di Omero lOdissea, composta da un poeta diverso e pi recente. Ci sono noti inomi dei cwrzontej, o separatisti, Senone ed Ellanico, e il titolo di un commentarioPrj t Xnwnoj pardoxon, Contro il paradosso di Senone, del pi grande grammaticoalessandrino del II secolo a.C., Aristarco, che respingeva come assurda la congettura.E questa, che era forse lunica grande idea della questione omerica nel mondo antico,venne ridotta al silenzio, mentre ferveva lattivit scientifica della scuola di Alessan-dria, e si ponevano le basi della recensione filologica e del commento dei testi omerici.

    Dal mondo romano che sent fin dai tempi di Livio Andronico (III sec. a.C.) lapredilezione per lOdissea ci viene la conferma che lipotesi dei chorzontes non eratramontata. Spicca la discussa notizia di Cicerone, secondo la quale Pisistrato, tirannodi Atene dal 561 al 528 a.C., primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dici-tur, ut nunc habemus (De orat. III 137). Essa attesta che dellorigine e della composi-zione dei poemi omerici si continuava a discutere nei circoli letterari, e trova confermanel I secolo d.C. da parte di Seneca, critico e filosofo geniale, pronto ad irridere la cul-tura letteraria, di cui era profondamente intriso. LAnonimo Del Sublime, identificatoda Rostagni con il rtore Ermgora, vissuto a Roma fra let di Augusto e let deiClaud (pp. X-XI), rinnova superandola in finezza lintuizione aristotelica della gran-dezza di Omero; e definendo la differenza tra i due poemi risolve anche il problemadella loro successione cronologica. Ap d tj atj ataj, o!mai, tj mn Ilidojgrafomnhj n km pnematoj lon t swmtion dramatikn pestsato ka nag-nion, tj d Odusseaj t plon dihghmatikn, per dion grwj. Oqen n t Odus-siv pareiksai tij n kataduomnJ tn Omhron lJ, o dca tj sfodrthtoj pa-

    ramnei t mgeqoj Dalla stessa causa, credo, proviene che, avendo scritta lIliade nel-la pienezza del suo spirito, tutto il corpo di questopera egli fece drammatico e ardentedazione; quello dellOdissea invece (per lo pi) narrativo, il che appunto propriodella vecchiezza. Quindi nellOdissea potrebbe Omero paragonarsi al sole quando tra-monta, che mantiene la sua grandezza, perduto per lardore (IX 13, trad. it. A. Rosta-gni, Milano 1947, pp. 31-33). Dal canto suo Seneca condanna come frutto di faticosafutilit la tenace ipotesi separatista: nemo dubitabit quin operose nihil agant, qui litte-rarum inutilium studiis detinentur []. Graecorum iste morbus fuit quaerere, quemnumerum Ulixes remigum habuisset, prior scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea aneiusdem essent auctoris [nessuno vorr negare che si affannano senza nulla conclude-re coloro che sono incessantemente occupati in inutili questioni letterarie []. Era unamania dei Greci codesta, di indagare quanti rematori avesse avuto Ulisse, se sia statascritta prima lIliade o lOdissea, se inoltre siano dello stesso autore] (De brev. vitae,XIII 1-2). Finito il lungo oblo del Medioevo quella futile ipotesi risorse dopo che ilVilloison ebbe pubblicato nel 1788 gli Scol Veneti ad Omero, quando gi il Vico (cheben conosceva, oltre che i poemi omerici, anche lAnonimo Del Sublime e Seneca)laveva indipendentemente sostenuta con grande vigore di argomentazioni (PontaniI, p. 15).

  • 47Trasmissione del testo

    3. TRASMISSIONE DEL TESTO

    Da Pisistrato ad Aristotele

    Ne supra crepidam, sutor. La diffida di Apelle al calzolaio che osava criticarlo al di so-pra del sandalo (Plinio, Nat. Hist. XXV 85) spieghi il carattere pragmatico di questoparagrafo, diretto a chiarire luso che nella lettura si fa di certi strumenti critici, comegli Scol e il Commentario di Eustazio, e di termini tecnici di antica tradizione filologi-ca. Senza questi strumenti che derivano dallattivit scientifica che ha conservato il te-sto di Omero, lo studio dei poemi quasi impossibile, ad un certo livello; Wilamowitzsosteneva che, senza di essi, nessuno dovrebbe avventurarsi nellesegesi di Omero(Il.u.Hom., p. 1). I poemi omerici erano gi scritti alla fine del VII secolo a.C., e rice-vettero un durevole assetto per volont politica prima di Solone, poi dei Pisistratidi,che decisero vi fossero compresi il c. X dellIliade e la chiusa dellOdissea, ma che mi-ravano ad estraniare, per quanto possibile, la performance epica della citt (Aloni,Ipp., p. 11). La redazione pisistratica (VI sec. a.C.), in qualunque modo sia intesa, fu lacausa storica dellesistenza di una versione stabile dei poemi e delle edizioni politichepi ragguardevoli, anzitutto di quella ateniese, fondamento delledizione di Aristarco.Chi studia le vicende della trasmissione del testo omerico rimane meravigliato dal fattoche unopera cos grandiosa abbia attraversato tanti secoli di storia praticamente in-denne. Lesistenza di unedizione polistica di Omero, cio di un testo maggiore dellavulgata rispettivamente per 2826 e 1369 versi [scil. nei due poemi] e considerevol-mente diverso dalla vulgata (Cantarella, p. 97), un fatto storico marginale rispettoalla tradizione. Noi abbiamo il testo di Pisistrato e di Aristarco. Le varianti di cui discu-tono Lehrs, Ludwich, Wilamowitz, Allen e Von der Mhll hanno unincidenza minimasulla composizione, la bellezza, la storia dei poemi. Ledizione di Monro-Allen(Oxford 1907-1908), su cui si fonda la nostra lettura, rappresenta il vertice di un inte-resse filologico che, suscitato dai sofisti, dura dal IV-III secolo a.C. fino ai nostri giorni,attraverso fasi storiche successive: la recensione alessandrina, la trasmissione del testodurante let ellenistica, romana e bizantina, la riscoperta di Omero in Occidente pri-ma delle edizioni a stampa e dopo, lo studio scientifico moderno che ha conosciuto igrandi nomi di Wolf, La Roche, Lehrs, Ludwich (Homeri Carmina, Odyssea, 1899-1901; Ilias, 1902-1907), van Leeuwen, D.B. Monro e Th. Allen, Leaf, Wilamowitz. Lostudio filologico del testo continua incessantemente, come provano le pi recenti edi-zioni di Von der Mhll e di van Thiel, e i grandi commentari degli ultimi tempi. Lappa-rato dei testi critici moderni dimostra che tale studio non pu prescindere dalle sueorigini storiche, in primo luogo dalla recensione che, per merito di Aristarco, fiss iltesto omerico nella forma che sostanzialmente la nostra. Esso dimostra altres cheogni et vuole produrre il suo Omero anche per un infinitesimo migliore dei prece-denti e lo interpreta secondo lo spirito dei tempi. Il che significa che la philologia pe-rennis (N.G. Wilson) una componente ineliminabile della storia. Lettori del testo diAllen e di Von der Mhll, dobbiamo riconoscere che questo settore degli studi omerici riservato agli specialisti, esperti di codici, di papiri e di pergamene, tra i quali figura-no grandi scienziati: oltre a quelli gi nominati, Schwytzer, Bechtel, Witte, Meister,Wackernagel, Nauck, Pasquali, Chantraine, M. Parry, Haslam. Il risultato delle loro ri-cerche interessa, sia pure in grado diverso, tutti i lettori di Omero, che non sono certo

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea48

    indifferenti alla forma genuina del testo, dove sia recuperabile: se, per esempio, in Il. I 5si debba leggere ownos te data, come voleva Zenodoto, oppure ownos te psi,come decise Aristarco; se in Od. I 3 si debba leggere non gnw, come scrive Allen, op-pure nmon gnw, come preferirebbe Pasquali; se la lezione di Od. XX 302 sia lanti-quissima sardnion oppure sardnion, come si legge nel Pap. Rylands, e come inse-gnano Eustazio e Pausania.

    Bibliografia. Letture preliminari: G. Nagy, Homeric Questions, Austin 1996; A. Ballabriga, La ques-tion homrique, REG 103 (1990), pp. 16-29. Th.W. Allen, Homer. The Origins and the Transmission,Oxford 1924; R. Cantarella, Ledizione polistica di Omero; Omero in Occidente e le origini dellome-rologia, Atti VI Conv. St. Magna Grecia (1966), Taranto, pp. 37-65 (= Origini). Due testi brevi, maredatti da grandi studiosi sullo stesso argomento, sono P. Chantraine, La tradition manuscrite delIliade, in Mazon, Introd. (1948), pp. 7-35, e R. Cantarella, Storia, pp. 41-70; fondamentale R. Pfeif-fer, History of Classical Scholarship from the Beginnings to the End of the Hellenistic Age, Oxford 1968,trad. it. M. Gigante - S. Cerasuolo, Storia della filologia classica dalle origini alla fine dellet elleni-stica, Napoli 1973; continuata nel volume History of Classical Scholarship from 1300 to 1850, Oxford1976; recensione di Silvia Rizzo, RFIC 106 (1978), pp. 353-358. Lopera il naturale complementodel classico libro di J.E. Sandys, A History of Classical Scholarship, I-III, Cambridge 1908, 1921, ab-breviato nella Short History of Class. Scholarship from the sixth Century B.C. to the Present Day, Cam-bridge 1915. Sui reali intendimenti politici dei Pisistratidi nella disciplina delle recitazioni epiche du-rante le Panatenee e nellistituzione dei concorsi tragici (535), acuti e interessanti i saggi di A. Aloni:Lintelligenza di Ipparco (1984); Laedo e i tiranni (1989). Per let bizantina in particolare, N.G. Wilson,Scholars of Byzantium, London 1983, trad. it. M. Gigante, Filologi bizantini, Napoli 1990. Per letmoderna, G. Finsler, Homer in der Neuzeit von Dante bis Goethe, Leipzig 1912, rist. Hildesheim -New York 1973. Per i singoli poemi vd. leccellente Introduction di P. Mazon, fino a p. 136, e V. Brard,Introduction lOdysse, I-III, Paris 1924, purtroppo sprovvista di indici analitici, nonch M. von derValk, Criticism (1949). Notizie e aggiornamenti in Pasquali, Storia (1952), da p. 201 passim; J.A. Da-vison,The Transmission of the Text, in Companion (1962), pp. 215-233; Kirk, Songs (1962), pp. 301-313, e Il. Comment. I (1985), pp. 38-43; Lesky, Homer (1967), 145-160; S. West, Sul testo dellOdissea,in West I (1981), pp. XLI-LIX. Breve, ma importante, aggiornamento specialistico, Antichi commentiad Omero. Alcune riflessioni, pp. 1-17, in Omero, gli aedi, gli interpreti, a cura di Franco Montanari,Firenze 1998 (in App. Edizioni e commenti dei poemi omerici, bibliografia selettiva a cura di FaustoMontana, pp. 121-130). Per la divisione in periodi della storia degli studi omerici, vd. Latacz, Homer(1989), trad. it. pp. 7-13. Eccellente per rigore documentario e ideologico il par. III, Storia del testo,nel saggio introduttivo alla recentissima traduzione dellOdissea di F. Ferrari (pp. 31-47). I primi a fa-re di Omero oggetto di studio furono i sofisti, Platone e Aristotele. nota la polemica antiomerica diPlatone che, dopo avere prediletto il poeta nella giovinezza, lo escluse dalla Repubblica. La cono-scenza che egli aveva del testo omerico stata indagata da J. Labarbe, LHomre de Platon, Lige1949. Con Aristotele (384-322 a.C.) comincia la grande stagione della scienza greca; filosofo, lettera-to e naturalista, fondatore degli studi superiori nel Peripato, invent il metodo scientifico anche perla filologia, bench sia improbabile che egli abbia prodotto una vera e propria edizione critica del-lIliade per leducazione di Alessandro giovinetto, la pi famosa edizione kat ndra, che fu detta k to nrqhkoj, della cassetta, perch conservata in una cassetta di legno pregiato, provenientedal tesoro di Dario (Plut. Alex. VIII 2; XXVI 1-2). Aristotele cre il concetto di correttezza testuale(rqthj, Pfeiffer, p. 140), un valore etico che diventa valore scientifico, e tratt di ogni specie diquestioni riguardanti la poesia omerica negli =Omhrik Apormata, destinati ad essere il modellodei commentari che continuarono nellantichit a trattare, fino a Porfirio e oltre, di Omero e diogni problema riconducibile al poeta (vd. Arist., Dellarte poetica, a cura di C. Gallavotti, Milano,Fondaz. Valla, 1974, p. 199 s.). Egli fu dunque filologo, storico e critico, cio studioso dellesattezzaletterale, interprete dei valori morali, sociali e politici del testo, storico dei poeti. Noi possiamo farciunidea (Rostagni) della critica aristotelica dalla sintesi che egli tracci dei suoi Problemi Omerici nelcap. XXV della Poetica. Egli studiava il rapporto tra poesia e realt secondo gli interessi intellettualidel tempo , e difendeva il diritto della poesia di rappresentare artisticamente ci che, fuori dellarte,

  • 49Trasmissione del testo

    impossibile e irrazionale. E dava prova di acume estetico nel sentenziare che minore lerrore delpittore che non sappia che la femmina del cervo non ha corna, che non di quello che labbia dipintasenzarte, mimtwj, in modo rozzo nellimitazione della natura (Poet. 1460b, 30). Nel confutare lecensure mosse alla poesia, Aristotele fonda anche il linguaggio critico dellantichit. Il cap. XXV del-la Poetica inizia con due termini carichi di destino letterario: problmata e lseij. La filologia gre-ca si forma su Omero. La pi antica interpretazione sistematica di Omero allegorica: ogni qualvoltail significato di un libro sacro sembra assurdo o sconveniente, si rimedia cercando in esso sensi ripo-sti: meteorologici o cosmici (Pasquali, E.I., XXV, 1935, p. 339). Gli oppositori di Omero, in un primotempo gli stoici, poi certi letterati del secolo IV come Zoilo di Anfpoli detto =Omhromstix, il fusti-gatore di Omero, poi i neoplatonici, rimproveravano al poeta difetti morali, incongruenze e con-traddizioni: erano gli nstatiko, i ribelli dissacratori. Ad essi si oppongono i difensori di Omero(lutiko) sofisti o sofisteggianti ancor essi (ibidem), i quali scendono in campo escogitando per leobiezioni avanzate le giuste soluzioni (lseij) grammaticali, oggettive, morali.

    Sui rapporti tra Omero e i filosofi greci, a cominciare dai sofisti, molto interessante tutto il cap. I diBuffire (pp. 9-31). La piena rivalutazione dellimportanza di Aristotele nel campo della filologia an-tica (messa un po in ombra da Pfeiffer) compiuta da N.J. Richardson, Aristotle and HellenisticScholarship, negli Entret. Hardt 40 (1993), La Philologie grecque lpoque hellnistique et ro-maine, a cura di F. Montanari: un libro bellissimo che, sotto molti aspetti, completa e aggiornalopera di Pfeiffer.

    Di grandissimo interesse: SO Debate: Dividing Homer. When and How were the Iliad and theOdyssey Divided into Songs?, SO 74 (1999), pp. 5-91 (relatrice Minna Skafte Jensen; partecipanti aldibattito: . Andersen, A. Ballabriga, C. Calame, M. Cantilena, Jenny Strauss Clay, M.W. Edwards,B. Heiden, Irene J.F. De Jong, M. e Stephani West).

    I grandi Alessandrini e la costituzione della vulgata

    Aristotele fu il primo Ateniese a possedere una biblioteca privata. ce titre, Aristotepeut tre appel le pre de la bibliothconomie [] et est juste titre que Strabon(XIII 1, 54, pp. 608-609) dit de lui: prtoj n smen sunagagn bblia [scil. fu il primodi coloro che conosciamo a raccogliere libri] (J. Irigoin, Les ditions de textes, Entret.Hardt 40, p. 40). La fondazione del Museo e della Biblioteca di Alessandria, ispirata aTolemeo Sotr dal poligrafo peripatetico Demetrio Falereo, segn la nascita dellascienza basata sul libro e sul metodo sperimentale. Il gran numero di manoscritti rac-colti nella Biblioteca indusse ad un lavoro di semplificazione (rimuovere i doppioni),di scelta (raccogliere i testi pi accreditati), di classificazione. In questa prima fase sidistinse Callimaco di Cirene (310-240 a.C.), poeta doctus per eccellenza e compositoredi Pkanej (Tavole) in circa 150 libri. Il secondo compito storico assolto dai biblioteca-ri di Alessandria fu ledizione di Omero (kdosij). Di questo termine tecnico B.A. vanGroningen, EKDOSIS (Mnemosyne 16, 1963, pp. 1-3), definisce il significato: lact delauteur dun livre, qui, un moment donn, constatant que son ouvrage est termin,met le texte la disposition dautrui (p. 5). Ledizione si distingue dunque dalla par-dosij, le passage de main en main, de gnration en gnration, de sicle en sicle,des rouleaux de papyrus ou de codex de papyrus ou de parchemin, au sens matrieldu mot (p. 1); e dalla didosij la distribution entre plusieurs personnes (pp. 2-3), si in-tende dei libri recensiti. Vor Zenodotos liegt ein Chaos [Prima di Zenodoto c ilcaos]. Cos Wilamowitz (Il.u.Hom., p. 7), il quale esalta gli Alessandrini, in contrastocon A. Ludwich, che accentua invece il valore della filologia prealessandrina (AristarchsHomerische Textkritik nach den Fragmenten des Didymos, Leipzig 1884-1885, rist. Hil-desheim - New York 1971). Scolarca ad Alessandria (285-265 a.C.), Zenodoto, sulla

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea50

    base delle copie pi accreditate, charistera (rispetto alle pi comuni e meno attendi-bili, phaultera, eikaitera, van der Valk, p. 14), produsse unedizione critica dei poe-mi omerici, che fu il fondamento, potremmo dire il negativo, delle successive edizionidi Aristofane di Bisanzio (195-180 a.C.), e di Aristarco di Samotracia (180-145 a.C.). DiZenodoto, sappiamo poco, e soprattutto conosciamo gli errori puntigliosamente se-gnalati dai suoi successori. Ebbe il merito di costituire il testo di Omero sui manoscrittiche contenevano il minor numero di versi non sospetti, ma salv anche quelli sospetti,pur segnandoli con lbelj, un trattino orizzontale nel margine sinistro del verso. Eforse a lui risale la divisione dei due poemi in 24 canti, distinti secondo le lettere del-lalfabeto ionico. Che egli avesse una certa propensione alluso dellalfabeto comestrumento di ordine pratico, lo dimostra anche il fatto che le sue Glssai, Parole rareo antiquate, erano disposte in ordine alfabetico. Studioso di parole e di espressionipeculiari per forma e significato (Pfeiffer), nella grande opera intitolata Lxeij, eglifond la lessicografia, aprendo la strada ad un filone di studi prezioso per la conserva-zione della letteratura antica. Aristofane fu il pi geniale degli Alessandrini: con lui siaffina il metodo della recensione testuale (dirqwsij), e si afferma luso dei segni dia-critici (shmea), come mezzo simbolico per la lettura filologica del testo. Us oltre al-lobels, il kerunion T, per indicare un gruppo di versi atetizzati, lasterisco *, percontrassegnare i versi ripetuti da un altro luogo in cui sembrava che fossero pi appro-priati; il sigma e lantisigma, per segnalare casi di tautologia (definizioni di Davisone Pfeiffer semplificate). La sua edizione di Omero fu il modello di Aristarco. Gli scol,riferendo il testo critico di questultimo, citano in contrapposizione sempre Zenodoto,quasi mai Aristofane (Pontani III, p. 313). Aristarco di Samotracia super il maestronon per genialit, ma per spirito sistematico e per eccellenza specifica nel campo del-lomerologia. Egli fece prevalere nella grammatica il principio dellanalogia (ricerca eosservanza delle regole), introdotto da Aristofane. Fu assertore di un metodo austero einflessibile

    che si manifest anche nella stesura di commenti (pomnmata) e di scritti

    polemici (sugrmmata), di cui abbiamo notizia attraverso Ddimo (I sec. a.C.). Aristar-co trasferiva il frutto delle osservazioni, esposte nei commentari, nella sua kdosis me-diante i segni diacritici, cio la dipl >, per indicare una nota storica grammaticale, unavariante, o la dipl periestigmne >:, cio una dipl con i puntini, per segnalare i dis-sensi da Zenodoto (Pfeiffer, p. 340). J. Irigoin osserva che le edizioni critiche degliAlessandrini offraient toutes le mme texte celui de la vulgate mais quelles dif-fraient par lemploi des signes critiques [] et surtout par les renvois que ces signescritiques faisaient leur commentaires respectifs (Entret. Hardt 40, p. 45). Aristarcoebbe dunque una mentalit scientifica, ma forse difett di senso storico e talora disensibilit poetica. Penso che Pontani, esprimendo questo giudizio (III, p. 313), allu-desse alle sue propensioni unitarie, che gli ispirarono la polemica Contro il paradossodi Senone, e al principio metodico di spiegare Omero con Omero (Pfeiffer, p. 351).Limmenso lavoro documentario e critico della scuola di Alessandria ha assicurato lasopravvivenza di tanta parte della letteratura greca, in primo luogo di Omero. statauna fortuna per la cultura occidentale che negli studi grammaticali prevalesse lindiriz-zo analogico di Aristarco su quello dellanomalia, professato dalla scuola rivale di Per-gamo, negatrice della grammatica a favore delluso. Il maggiore rappresentante dellascuola, Cratete di Mallo (II sec. a.C.), era fautore della critica allegorica, di ascendenzastoica. Les uns, les philologues analogistes, ou cole alexandrine dAristarque, atten-tifs aux dclinaisons, coniugaisons et drivations, posent des modles types et des r-

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    gles gnrales. Les autres, les anomalistes [] affirment la vanit des principesgnraux et dclarent que variets et irrgularits rgnent sur le language (J. Collart,Analogie et anomalie, Entret. Hardt 9, 1963, Varron, pp. 119-140, qui p. 119). GliAlessandrini davano a se stessi il nome di grammatiko; il primo che, grazie alla uni-versalit del sapere (Pfeiffer, p. 255) si chiam filologo (fillogoj) fu Eratostene,fondatore della cronologia e della geografia e, in un certo senso, uno degli iniziatoridella critica estetica, se vero che egli afferm che il poeta mira a sedurre gli animi,non ad insegnare (Strab. I 2, 3), e disse, com risaputo, che si potrebbero trovare letracce dei viaggi di Odsseo, quando si trovasse il calzolaio che cuc lotre dei venti diolo (Strab. I 2, 15; Eustazio, 1645, 64, ad Od. X 19; Pfeiffer, p. 270).

    Fu invece detto fra i primi critico e insieme poeta, Filita di Cos (Strab. XIV 657),autore tra laltro delle Ataktoi Glssai, una raccolta di parole rare. Erano dunque ipoeti del tempo che scrivevano opere di dottrina filologica, come appunto Filita. Il ti-tolo misterioso (mysterious). Comerano disposte le voci per una facile consultazio-ne? Un ordine alfabetico forse non esisteva ancora; e una disposizione per autori nonavrebbe potuto abbracciare tutte le voci; ma un ordine per autori pi una sezione di-sposta per voci dialettali possibile (N.G. Wilson, Philologiae perennis initia; rec. aPfeiffer, CR 19, 1969, pp. 366-372, qui p. 368; il titolo riecheggia in unaltra bellissimarec. a Pfeiffer di L.E. Rossi, Umanesimo e filologia, RFIC 104, 1976, pp. 98-117). Wil-son riferisce linterpretazione di A. von Blumenthal (RE, XIX, 1938, 2169): taktoi =non suscettibili di interpretazione definita, inclassificabili (era forse sulla strada giu-sta, perch alcuni frammenti sono connessi con parole che cambiano significato da undialetto ad un altro). Sullargomento vd. K. Latte, Glossographika, Philologus 80(1925), pp. 136-175; C.M. Bowra, Glssai kat pleij, Glotta 38 (1959-1960), pp. 43-60; e il pi recente A.R. Dyck, The Glossographoi, HSCP 91 (1987), pp. 119-160, inte-ressante per la chiarezza delle interpretazioni e levidenza degli esempi omerici rac-colti. Nel fr. 233 K-A del poeta comico Aristofane, un padre interroga il figlio sul signi-ficato di certe glosse: t kalosi krumba; che cosa significa krymba? [aplustri di unanave]; t kalosi menhn krhna; che significa svigorite anime dei morti? [le ombredellAde prive di consistenza] (Dyck, p. 119). Erano glssai: lria per brmata pa-sto (Il. I 5); mstax per krj cavalletta e bocca (Od. IV 287); grwcoi per padeu-toi ignoranti (Il. III 36); kidnotrh per sqenestra inferiore (Od. V 217), e cosvia. Le opere degli Alessandrini sono andate quasi tutte perdute, ma il frutto della loroattivit si tramandato attraverso il testo di Omero e un metodo filologico esemplare.Essi furono sostanzialmente conservatori: Aristarco mantenne latteggiamento mode-rato di Zenodoto e di Aristofane, che avevano conservato la chiusa dellOdissea, purponendone il tlos al v. XXIII 296. In pagine memorabili Cantarella spiega le ragionidella scarsa efficacia pratica della critica testuale alessandrina sulla vulgata. Loperacritica degli Alessandrini, di carattere erudito e diffusa in pochi esemplari in un am-biente di cultura periferico se pur importantissimo, non pot raggiungere e influenza-re, in tutto il mondo ellenizzato, la tradizione manoscritta; essa era inoltre consegnatanon solo nelle edizioni critiche ma anche (e forse pi) nei commentari []. Una vulga-ta, soddisfacente in complesso per il testo, si era gi costituita, sia pure in modo deltutto empirico, fin dal secolo V: ed essa aveva con s la forza della tradizione (Storia,p. 47 s.). I filologi hanno esercitato una reale influenza nel delimitare il numerus ver-suum; dopo il 150 a.C. i papiri circolanti anche fuori degli ambienti intellettuali elimi-nano quasi del tutto tal genere di inserzioni [scil. che non costituiscono un arricchi-

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    mento poetico del testo] e offrono, piuttosto, notevoli omissioni rispetto alla vulgata[]. Per effetto di un compromesso pratico fra tradizione e innovazione critica, si vie-ne costituendo, nellepoca greco-romana e imperiale fino agli inizi del periodo bizan-tino, quella vulgata che poi passata, attraverso i manoscritti, nelle nostre edizioni(p. 49). La scienza degli Alessandrini si trasmessa fino a noi, almeno in parte, attra-verso gli scol, cio le annotazioni marginali fatte dagli studiosi sugli esemplari elleni-stici e bizantini, annotazioni che vennero ricopiate insieme con i testi, e che rivelanospesso esplicitamente la loro origine.

    Un quadro dei segni diacritici usati nella scuola di Alessandria si trova nella Prae-fatio agli Scholia Graeca in Hom. Iliadem ed. G. Dindorfius, t. I, Oxonii 1875, pp. XX-XXIII. Trattano questioni particolari, con ricchezza di informazioni bibliografiche:H. Erbse, ber Aristarchs Iliasausgaben, Hermes 87 (1959), pp. 275-303; W.J. Slater,Aristophanes of Byzantium on the Pinakes of Callimachus, Phoenix 30 (1976), pp. 234-241; W.J. Slater, Aristophanes of Byzantium and Problem-solving in the Museum, CQ32 (1982), pp. 336-349; e, con il medesimo titolo, D.L. Blank - A.R. Dyck, ZPE 56(1984), pp. 17-24, che contestano le critiche mosse da Slater (ultimo editore dei framm.di Aristofane) al grande Alessandrino forse un po troppo esaltato da Pfeiffer sia sulpiano del metodo esegetico sia sui rapporti tra filologia e simposio. Che cosa rimpro-vera Slater ad Aristofane? Anzitutto una colpa che non sua: I believe that the Alexan-drians [non dunque il solo Aristofane] have been idealized and their critical attitudesover-simplified (p. 336); poi lerrata interpretazione di un carme di Alceo (fr. 359 Voigt);quindi lignoranza delle scienze naturali e la mancanza di rispetto per il testo che si ri-vela in una ruthless emendation [crudele correzione], fondata sullerronea attribuzio-ne delle corna alla femmina del cervo; di conseguenza la scarsa attendibilit della suarecensione; infine la possibile connessione di simposi e zetmata [problemi filologici],e il ruolo delle due cose nella filologia alessandrina (il cahier de dolances di Slater riassunto da Blank-Dyck a p. 17). Insomma Aristofane non capisce che quel carme diAlceo una specie di grphos, di indovinello, che nasconde la soluzione nellultimaparola. E via di questo passo. Si tratta di questioni che richiedono la conoscenza dellefonti antiche (per noi, spesso, frammenti), e che sotto lapparente futilit nascondonoseri problemi di metodo. I filologi amano gli apormata, le difficolt che richiedonodottrina, buon gusto, abilit, uno spirito ilare che ben si addice al simposio. I gram-matikoi erano capaci non solo di porre problemi, ma anche di risolverli mediante con-getture (Blank-Dyck, p. 21). Quaerebantur autem non gravia nec reverenda, sed n-qumhmtia quaedam [lievi sillogismi, ragionamenti] lepida et minuta et florentem vinoanimum lacessentia, Gellio, VII 13, 4 (ibidem, p. 23). Vd. Ch.K. Callanan, Die Sprach-beschreibung bei Aristophanes von Byzanz, Gttingen 1987. Questi studi, oltre chemetterci al corrente di nuovi indirizzi di giudizio storico sulla filologia alessandrina neisuoi difetti e nei suoi pregi, ci introducono in unatmosfera di cultura raffinata e moltoseria. Ledizione critica cui si gi accennato uscita qualche anno dopo: Aristopha-nis Byzantii Fragmenta, ed. by W.J. Slater, Berlin - New York 1986 (nella SGLG =Sammlung griechischer und lateinischer Grammatiker, de Gruyter); cfr. la recensione diF. Bossi, Gnomon 64 (1992), pp. 12-15; H. van Thiel, Zenodot, Aristarch und andere,ZPE 90 (1992), pp. 1-32. Sullintroduzione dellalfabeto nella Grecia arcaica, sul suouso letterario e filologico in tutte le forme (lessici, glossari), vd. A. Heubeck, Schrift, inArchaeol. Hom., III X, Gttingen 1979; G.P. Goold, Homer and the Alphabet, TAPA 91(1960), pp. 272-291; Lloyd W. Daly, Contributions to a History of Alphabetization in

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    Antiquity and the Middle Ages, Brssel 1967 (Latomus 90); e la recensione di K. Al-pers, Gnomon 47 (1965), pp. 113-117. Su tutti i problemi trattati in questo paragrafo,vd. G. Nagy, Poetry as Performance, Cambridge 1996, in part. il cap. 5, Multiform Epicand Aristarchus Quest for the Real Homer, pp. 107-152; ora indispensabili i pregevolisaggi di M. Haslam, Homeric Papyri and Transmission of the Text, e di G. Nagy, HomericScholia, in New Companion, pp. 55-100 e 101-122.

    Dallet romana alla filologia bizantina

    Ad Alessandria, nel I secolo a.C., visse il maggior filologo dellet romana, Ddimo,detto Calcntero, o anche Bibliolthas, luomo dagli intestini di bronzo, o che dimenticai libri da lui composti, di cui ricordo un solo titolo, Per tj Aristarceou diorqsewj,Sulla recensione di Aristarco. Erede e continuatore dellopera critica di Aristarco, neassicur la sopravvivenza, mosso comera dallamore della cultura a conservare lere-dit filologica dellet ellenistica; nutr una sincera ammirazione per la grandezza deifilologi e credette fermamente nella loro autorit (Pfeiffer, p. 421). Con lui rammentole opere di altri tre dotti dellet romana, un contemporaneo di Ddimo, Aristonco, Suisegni diacritici dellIliade e dellOdissea, e due eruditi del II secolo d.C., Nicnore, au-tore di un trattato Sulla punteggiatura, ed Erodiano, autore del libro Sulla prosodiadellIliade. Linteresse per queste opere (filologia di Aristarco, segni diacritici, inter-punzione e accenti), indusse un anonimo bizantino a compilare nel IX secolo un Com-mentario detto dei Quattro (ted. Viermnnerkommentar, sigla VMK ), da cui derivanogli scol del pi antico e autorevole codice conservato di Omero, il Marcianus 454, oraVenetus Graecus 822. Esigenza di chiarezza ed acume caratterizzano lintelligenza diPorfirio (Tiro, 233 - Roma, 305), discepolo e biografo di Plotino, portato dallindole alrigore dellesegesi e nello stesso tempo allinterpretazione allegorica dei testi poetici,come nellAntro delle Ninfe, comm. a Od. XIII 102-112. La sua opera filologica ha untitolo che arieggia Aristotele, =Omhrik zhtmata, Quaestiones Homericae, in 2 libri, dicui si conservato solo il primo (le pi recenti edizioni sono quelle di H. Schrader,Leipzig 1880-1890, e di A.R. Sodano, Porphyrii Quaestionum Homericarum liber I, Na-poli 1970). Lispirazione aristotelica provata dallanalogia degli spunti, dalla difesadella poesia omerica contro le censure di illogicit e scarsa convenienza, dalla convin-zione che Omero sia filosofo: hton d ti filosofe =Omhroj (Quaest. Hom. ad Iliad.XV 13 ss., Schrader, p. 200, 13, citato da Ppin, p. 235). Gli interessi di questa criticasono mitologici, morali, oggettivi (Realien). Come Aristotele si era chiesto quale fossela vera patria di Icario, padre di Penelope, e perch Telemaco non lo avesse incontratoa Sparta, se il nonno era veramente del Peloponneso (Poet. XXV 1461b), cos Porfiriosi occupa dellairone che nella notte della Dolonia lancia il suo grido a Odsseo e Dio-mede: illogicamente secondo lobiezione di Zoilo, perch quel grido avrebbe rivelatoai nemici la presenza degli incursori greci nel campo troiano. Ma la lsij pronta:quel grido di uccello augurale aveva significato divinatorio (ad Il. X 274; Schrader,p. 153, 22 ss., in Sodano, Prolegomeni primi alle fonti delle Quaestiones Homericae diPorfirio, Ann. Pont. Ist. S. Chiara 14, 1964, pp. 5-10). Per venire ad un concetto di va-lore generale: chi ha coniato lespressione spiegare Omero con Omero, il cui signifi-cato metodologico sicuramente aristarcheo? Pfeiffer ha messo in dubbio che la for-mulazione spetti ad Aristarco, e lattribuisce a Porfirio, sia per il tardo safhnzein, sia

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    per il colore proverbiale della massima (p. 351 s.). Ecco il testo di Porfirio: Axin dg Omhron x =Omrou safhnzein atn xhgomenon autn pedeknuon, pot mn

    parakeimnwj, llote d n lloij Ritenendo io di dover spiegare Omero con Ome-ro, dimostravo che egli interprete di se stesso, talvolta nel contesto, talvolta in altriluoghi (Quaest. Hom. ad Iliad. III 387-388, Sodano, p. 56). Infatti il poeta spiega, inquesto caso, linsolito erokmJ lavoratrice di lana, con la circonlocuzione esplicati-va: che a lei, Elena, quando abitava a Lacedemone, lavorava belle lane. Sulla piccolaelegante questione sono intervenuti N.G. Wilson, editore di Eliano (Loeb 1997), eCh. Schublin. Il primo accenna ad un aneddoto della Varia Historia di Eliano, XIV13, in cui il poeta Agatone, contemporaneo del comico Aristofane, alle critiche di unamico che gli consiglia di eliminare le troppe antitesi delle sue tragedie, risponde: l-lhqaj seautn tn Agqwna k to Agqwnoj fanzwn non ti accorgi che tu [can-cellando le antitesi] cancelli Agatone da Agatone. Dal motto del poeta, evidentementediffuso nei circoli intellettuali di Atene, e dallassonanza, Aristarco avrebbe potuto trar-re lo spunto per coniare la sua massima (CR 21, 1971, p. 172). Da parte sua Ch. Schu-blin, Homerum ex Homero (MH 34, 1977, pp. 221-227), osserva che la pratica espres-sa da quella massima doveva essere diffusa non solo nella filologia, ma anche nellescienze, e soprattutto nelloratoria. In Porfirio essa appare nella forma pi facile da ri-cordare; ma arduo stabilire se la formulazione spetti al neoplatonico. Insomma lopi-nione di Pfeiffer indimostrabile: perch improbabile che al metodo aristarcheo, co-s chiaro e codificato, non corrispondesse una definizione aristarchea (vd. R. Tosi, Lalessicografia e la paremiografia in et alessandrina e il loro sviluppo successivo, Entret.Hardt 40, 1993, pp. 143-209, 177, nt. 38). Una conferma indiretta, ma eloquente sta nelfatto che negli scol spesso si incontrano le espressioni =Omhrikj e =Omhrikteron cioal modo di Omero, in modo pi conforme ad Omero; tali espressioni confermanoche nellambiente alessandrino era diffusa la nozione che esistesse uno stile omerico:e.g. schol. A ad Il. II 156-169; IV 117a; VIII 353; schol. A ad Il. III 163a; XXIV 20-21b.

    Dellet bizantina che si estende da Giustiniano (527-565) alla caduta di Costanti-nopoli (1453) interpretando in forme proprie la grande eredit del passato: loriginalitfilosofica della Grecia, la tradizione giuridica di Roma, larte, la scienza e la filologia diAlessandria, noi potremo ricordare, per gli stretti limiti che ci sono prescritti, soloqualche nome di filologo, qualche libro ancor oggi consultato dai dotti. Lopera piimportante a noi pervenuta per tradizione diretta il Commentario allIliade e al-lOdissea, composto tra il 1150 e il 1175 da Eustazio, arcivescovo di Tessalonica (1175-1192), intitolata Parekbola ej tn =Omro Odsseian - Ilida. Essa stata essen-ziale, finch J.-B. de Villoison pubblic nel 1788 gli scol allIliade dei codici A e B, dalui scoperti a Venezia nel 1781. Da allora prevalso luso di consultare gli scol chestanno ad Eustazio come loriginale alla copia. Anche gli scol, che hanno confermatolottimo stato della vulgata, hanno oggi minore importanza che nel passato (almenoper certi settori dellomerologia); tuttavia la loro scarsit e povert per la seconda partedellOdissea avvertita come uno svantaggio, perch Eustazio li sostituisce solo finoad un certo punto. Il Commentario fu pubblicato a Lipsia (sullediz. principe, Roma1542-1550) da G. Stallbaum, in 2 tomi per lOdissea (1825-1826), seguiti da 4 tomi perlIliade (1827-1830), insieme con lantico Index studio Matthaei Devarii, nel 1828.Lopera stata in parte pubblicata in unedizione monumentale da M. van der Valk,con il titolo, Commentarii ad Homeri Iliadem pertinentes ad fidem codicis Laurentia-ni, I-IV, Lugduni Batavorum 1971-1987. Limpresa, che ha destato lammirazione dei

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    dotti, stata progressivamente recensita e.g. da M.M. Willcock, JHS 95 (1975), p. 194 s.,e da D. Del Corno, RFIC 100 (1972), pp. 501-506; 107 (1979), pp. 355-358; 116 (1988),pp. 105-107; 124 (1996), pp. 357-358, con importanti osservazioni sulla storia del testoe sul metodo seguito dalleditore. La prefazione al I volume un vero trattato storico-filologico sulle fonti, i contenuti e i criteri dellomerologia antica e bizantina. Il valoreessenziale di questi due Commentari non consiste nelloriginalit delle concezioni edellinterpretazione, bens nella raccolta di erudizione antica (Krumbacher I, p. 538;per il quale la maggiore consistenza del commento allIliade, doppio rispetto allOdis-sea, pu derivare da due ragioni, che Eustazio cominci lopera dallOdissea, ed ebbea disposizione per lIliade materiale pi ricco e interessante). Le fonti cui egli attinsesono gli scol, Ateneo, Strabone, Stefano di Bisanzio, lessicografi, atticisti, la Suida elEtymologicum Magnum. Si tratta di un grandioso commento perpetuo scritto conlocchio fisso al VMK e con il gusto dellerudizione tipico del tempo. Es ist zunchstWerk eines riesenhaften Fleisses [ anzitutto opera di una diligenza gigantesca]. CosFinsler, Neuzeit (p. 13), che fa con simpatia linventario dei contenuti: osservazionigrammaticali ed etimologiche, genealogie di di e di eroi, esegesi di grammatici, spiega-zioni geografiche e storiche, estratti di scritti retorici, esposizioni e interpretazioni alle-goriche di miti. Molto di questo materiale ormai superato dai progressi scientificidellet moderna (si pensi alla grammatica e alletimologia); ma la consultazione di Eu-stazio necessaria quando egli ci riferisce una variante ignota, linterpretazione auten-tica di un verso da parte di dotti antichi che avevano orecchio greco. Vale per lui comeper gli scol il giudizio di Montanari: Le osservazioni reperibili nei commenti antichiservono a spiegare se stesse, cio la cultura da cui sono prodotte, pi che il testo cuisono dedicate (Omero, p. 17). In ogni caso, si tratta di un tesoro di erudizione fre-quentato da pochi.

    Sugli nstatiko e i lutiko: P. Cesareo, In difesa di Zoilo, Riv. di St. Ant. 7 (1903),pp. 5-16; F.M. Combellack, The lsij k tj lxewj, AJP 108 (1987), pp. 202-219.Ledizione del De antro nympharum quella di A. Nauck: Lipsiae 1886, rist. Hildesheim1963, pp. 55-81; ora si ricorre alleccellente Porfirio, Lantro delle Ninfe, a cura di LauraSimonini, Milano 1986 (testo e App. L.G. Westerink et al., Buffalo 1969). La figura diPorfirio neoplatonico e letterato viene ampiamente studiata nellEntret. Hardt 12(1965), Porphyre; vd. in part. Jean Ppin, Porphyre, exegte dHomre, pp. 229-271.Gli aspetti rilevanti della sua allegoresi, in relazione ad altre figure del tempo, sonostudiati da P. Cesaretti, Allegoristi di Omero a Bisanzio. Ricerche ermeneutiche (XI-XII sec.).

    Su Eustazio, vd. L. Coletta, Eustazio neo-omerista, AC 52 (1983), pp. 260-267. Eu-stazio scelse i poemi omerici, ritenendoli la summa di ogni sapere, sicuro che in essiogni parola fosse sacra e che quindi, lungi dallemendarli, bisognasse interpretarli allaluce dellesegesi allegorica (p. 261).

    Papiri e pergamene. Gli scol

    Il papiro era usato in Egitto come materiale scrittorio fin dal III millennio a.C.; lo stu-dio dei papiri, dapprima venuti alla luce casualmente, e poi ritrovati grazie a campa-gne di scavi, risale agli ultimi decenni del 700. Al papiro importato attraverso il portofenicio di Biblo (onde il nome di bbloj) legata in Grecia la diffusione del testo di

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea56

    Omero. Papiri contenenti frammenti di opere greche risalgono al massimo al IV se-colo a.C. Linizio vero e proprio della papirologia greca segnato, secondo Davison(Companion, p. 248), dalla pubblicazione avvenuta a Londra nel 1882 del Pap. Bankes(P. Lond. 114 del II sec. d.C.; un foglio con i vv. Il. XXIV 649-691 riprodotto nel Com-panion, p. 18, tav. 3) e del libro di K. Lehrs, De Aristarchi studiis Homericis (Leipzig1883), in cui per la prima volta venivano utilizzati i papiri nello studio moderno diOmero. Sulle grandi scoperte papirologiche (da Aristotele a Menandro, al recentissimoPosidippo di Pella), un sicuro avvio istituzionale sempre il libro di A. Calderini,Papyri, I: Guida allo studio della papirologia antica greca e romana (Milano 1938,1944), che informa sui progressi della nuova scienza, dal tempo in cui J.P. Mahaffy co-minci a pubblicare i Flinders Petrie Papyri (1891), agli studi di Grenfell, Hunt, Ken-yon, Vitelli, Norsa. Lerede della scuola, O. Montevecchi, ha pubblicato un pregevolemanuale, La Papirologia, Milano 1973-1991. Un classico di questi studi E.G. Turner,Greek Papyri. An Introduction, Oxford, 1968, 1980, ediz. it. a cura di M. Manfredi, Pa-piri greci, Firenze, 1984. Il cap. VII tratta in sintesi delle scoperte papirologiche, delrapporto fra erudizione e uso dei papiri, della critica del testo (p. 9). La distinzionefondamentale tra papiri anteriori e posteriori al 150 a.C. (data approssimativa dellamorte di Aristarco). I papiri anteriori risalenti fino al IV-III secolo a.C., con la varietdelle lezioni e del numero dei versi, attestano il caos esistente nellet prealessandrina.Dopo il 150 a.C. i papiri, come poi i manoscritti medievali, ci offrono un testo piutto-sto uniforme, in cui le grosse eccezioni sono pochissime: il numero dei versi sostan-zialmente lo stesso; le varianti si riducono a singole forme allinterno dei versi; e se siestendono ad un verso intero (quasi mai oltre), si tratta di un verso formulare: ossiaintercambiabile e instabile per definizione (D. Del Corno, Pap. Il., 1960, p. 73: eccel-lente ricognizione del materiale e prova delle scarse possibilit di trarne considerevolivantaggi; seguta da Pap. Od., 1961, pp. 3-54). Nel prendere atto di queste ricerche Leskyosserva: Diese Texte berblickt man am beste bei D.d.C. []. [Una visione dinsiemedi questi testi si pu avere meglio che altrove in D.d.C. []. Per quanto importanti essisiano stati per noi, il loro numero, per, troppo piccolo per poter contrapporre agliAlessandrini in base a singole lezioni una vulgata indipendente da loro] (Home-ros, 149 = 835). Per quanto concerne il numero dei versi, fondamentale Cantarella,Ledizione polistica, di cui P. Chantraine, seppure con certe riserve, riconobbe subitoil valore: Il montre comment le texte de lIliade et de lOdysse est longtemps rest li-quide et comment, dautre part, les vers ajouts ou retranchs sont gnralement desvers sans importance littraire, fabriqus avec des formules. Ces deux faits essentielsapparaissent troitement lis: cest parce que le texte tait constitu de formules quiltait possible de donner tel ou tel dveloppement une importance plus ou moingrande []: le livre de M. Cantarella et celui de M. Milman Parry (Paris 1928) se confir-ment lun lautre (RP 5, 1931, pp. 373-379).

    Dei papiri che figurano nella Praefatio di Allen III, p. X, interessante il P. 28 Ry-lands = Greek Papyri in the John Rylands Li. (1911) 53, del III-IV secolo d.C., che con-serva i cc. XII-XV, XVIII-XXIV, frammentari. Si tratta in realt di un codice membrana-ceo che doveva contenere in origine tutta lOdissea, eccezionale per ampiezza e per ilpregio del testo, e pubblicato nel Catalogue of the Greek Papyri in J.R. Library, I, nn. 1-61, Liter. texts ed. by A.S. Hunt, Manchester 1911. Su problemi archeologici, quali lin-troduzione della scrittura alfabetica in Grecia, limportazione del papiro attraverso ilporto di Biblo, e dallEgitto dopo la fondazione di Naucrati (650 a.C.), vd. R. Cantarel-

  • 57Trasmissione del testo

    la, Origini, pp. 46-44 e passim. Anche degli scol abbiamo unottima edizione perlIliade, mentre per lOdissea disponibile quella ormai invecchiata del Dindorf. Dal1969 al 1988 H. Erbse ha curato ledizione degli Scholia Graeca in Homeri Iliadem(Scholia Vetera), che nella Praefatio (vol. I, pp. XI-CII) offre le notizie pi precise sul-la tradizione manoscritta. In realt neppure questa edizione comprende tutti gli scolallIliade, ma solo gli Scholia maiora, provenienti dal Commentario dei Quattro attra-verso i codd. Marcianus 454 (A), Marcianus 453 (B), e Townleianus (T), oltre agliScholia exegetica, cio di carattere esplicativo, grammaticale, storico, geografico, risa-lenti ad una lunga tradizione ermeneutica; sui quali vd. N.J. Richardson, Literary Criti-cism in the Exegetical Scholia to the Iliad: a Sketch, CQ 30 (1980), pp. 265-287, manon gli Scholia minora (D), cos indicati, bench non abbiano alcuna relazione conDdimo, da cui la sigla. Essi trattano generalmente di storie mitiche, di fabulae; Erbsene indica soltanto le parole iniziali e finali; e.g. ad Il. I 38a, Pelope figlio di Tantalo la storia in Teopompo (FGrHist 115, 350); oppure Sminteo: epiteto di Apollo Sminto infatti la storia in Polemone (Erbse I, p. 20). Una nuova edizione degliScholia D, intrapresa da V. De Marco, e poi interrotta, ora in corso di preparazione(per lIliade) a cura di F. Montanari (Omero, pp. 3-6; vd. anche Idem, Aristarco neglischolia D allIliade, St. Tarditi, 1995, II, pp. 1151-1159 Aristarco). Notizie erudite, stori-che e tecniche sugli scol allIliade si possono leggere nel cap. III dellIntroduction diMazon, Les Scholies de lIliade, pp. 74-88, redatto da P. Langumier, da cui traggo, connecessarie semplificazioni, i dati che spiegano le sigle degli scol; per lOdissea inveceattingo alla prefazione di Dindorf.

    Iliade. Scol A (Venetus 454, membranaceo, sec. X): derivano dal VMK, ristretto in rias-sunti sempre pi sintetici; sono i pi preziosi da noi posseduti e rispecchiano princpidella filologia alessandrina. Les notes dAristonicos fournissant lexplication des si-gnes critiques sont indubitablement dorigine aristarchienne (Langumier, in Mazon,Introd., p. 80): le atetsi (e.g. qetetai, qetontai) risalgono ad Aristarco. Gli espertinon sono sempre in grado di attribuire con certezza le parti spettanti ai singoli autorioriginari.

    Scol B (Venetus 453, IV sec. d.C.): contengono estratti di Porfirio, e rispecchianouna tradizione avversa agli Alessandrini, di origine pergamena. Langumier ne indivi-dua: il gusto per lesegesi, il disdegno per la critica letterale, lostilit verso latetsi(p. 84).

    Scol T (Townleianus, il cod. acquistato a Roma da J. Townley prima del 1771=Brit. Mus. Burney 86): preziosi, risalgono allarchetipo di B e si fondano sul VMK, oltreche sui commenti degli avversari, che essi citano per nome. La lettera minuscola b cheaccompagna la sigla principale (bT) indica aggiunte posteriori (vd. Erbse I, pp. L-LI).

    Odissea. Gli scol allOdissea oggi disponibili sono quelli pubblicati da G. Dindorf in2 volumi (Oxford 1855, rist. Amsterdam 1962). Egli avverte nella Praefatio che, benchderivino anchessi dagli Alessandrini, la loro forma assai pi riassuntiva, praesertim inaltera Odysseae parte ubi scholia paullatim ita deficiunt ut ad postremas rhapsodiaspauca recentiorum, paucissima antiquiorum scholiorum excerpta relicta sint (p. III).

    Le lettere che contraddistiguono gli scol corrispondono ai seguenti codd.: M. Ve-netus 613, cartaceo del XIII secolo ( il meglio conservato per i primi 4 canti dellOdis-sea); H. Harleianus 5674 Brit. Mus., membranaceo del secolo XIII, contiene sololOdissea con scol di ottima qualit, recensito da Dindorf; Q. Mediolanensis 88 Bibl.

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea58

    Ambros., cartaceo del XIV secolo, pubblicato da A. Mai, 1819; T. Hamburgensis, bom-bycinus, contiene lOdissea fino a XIV 67: uno dei migliori per quantit e qualit de-gli scol; P. Palatinus Heidelbergensis 45, membranaceo dellanno 1201; B. 99, E. Bibl.Ambros. del XV secolo, meno pregevoli; R. Florentinus 57, 32 del XV secolo, conte-nente scol ai primi 4 canti, est bonae notae liber (Dindorf, p. XIII): D. Parisinus 287,ora 2403, del XIV secolo, contiene lOdissea con scol ottimi ai primi 3 canti, pi scarsiai cc. IV-X, quasi niente per gli altri. Tra altri scol minori (S. Parisinus; N. MarcianusVenetus), la sigla V = Vulgata indica gli Scholia D allOdissea, importanti, almeno stori-camente, perch sempre consultati a partire dal 1528, cio dalledizione Aldina in duevolumi (Dindorf, pp. XV-XVIII).

    Lessicografia

    Oltre che grande critico, Aristofane fu anche commentatore del patrimonio letterario,interprete di poeti, oratori, storici, soprattutto di Omero. Il frutto della sua attivit giunto frammentariamente fino a noi attraverso una tradizione illustrata da grandi stu-diosi dellOttocento, Nauck, Latte, Miller. Nei lessici il materiale esegetico era diviso inclassi secondo criteri di lingua e di contenuto: e.g., le espressioni usate e non usatedagli antichi, le forme verbali anomale, nomi di cose ordinate secondo largomento olalfabeto. Con i lessici sono giunti fino a noi non solo parole, ma anche frammenti dienorme importanza; il lessico antico sempre una raccolta che oscilla tra il dizionarioe lenciclopedia. Questi studi sono oggi in continua evoluzione, alle edizioni ne succe-dono altre sempre pi raffinate. Al classico libro di A. Nauck, Aristophanis Byzantiifragmenta (Halle 1848), succeduta da poco la nuova edizione di W.J. Slater. Il lettoredispone di ottime guide storiche e bibliografiche, che indico in ordine cronologico dipubblicazione: E. Degani, Lessicografi, in Dizionario di scrittori greci e latini, a cura diF. Della Corte, Milano 1987, 3 voll., II, pp. 1169-1189, cui si possono aggiungere i se-guenti contributi: E.V. Maltese, Bizantini (scrittori), I, pp. 305-328; G. Arrighetti, Criti-ci letterari, II, pp. 573-586; F. Montanari, Grammatici greci, II, pp. 1093-1105; R. Tosi,La lessicografia. Per i loro diversi caratteri storici e specifici questi studi si integrano avicenda, sulla base di grandi opere pi generali, come la Geschichte di Krumbacher(1897-1958), e la Geschichte der Griechischen Etymologika. Ein Beitrag zur Geschichteder Philologie in Alexandria und Byzanz, di Richard Reitzenstein, Lipsiae 1897, rist.Amsterdam 1964. Qui di seguito indico alcuni nomi e questioni che ricorrono talvoltanel presente libro.

    Esichio di Alessandria, grammatico del V-VI secolo d.C., lautore del pi volumi-noso lessico, a noi pervenuto dal Marc. Graecus 851, intitolato Sunagwg lxewn katstoiceon, Raccolta di tutte le lexeis [citazioni letterarie ed espressioni dialettali] in or-dine alfabetico. Bench interpolato, Esichio una fonte preziosa un sussidio indi-spensabile per lo studio dei dialetti, delle iscrizioni, in genere per la critica del testo(Degani, p. 1177). Raccoglie il contenuto di precedenti glossari; alcune voci risalgonoad Aristarco. Ediz. princ. M. Musurus, Venezia 1514 Aldina. Ediz. duso: HesychiiAlexandrini Lexicon, recensione di M. Schmidt, I-V, Halle 1858-1868, rist. Amsterdam1965.

    Apollonio Sofista, cio Apollwnou sofisto lexikn kat stoiceon tj Ilidojka Odusseaj, Lessico alfabetico dellIliade e dellOdissea di Apollonio Sofista, che fu

  • 59Trasmissione del testo

    allievo di Ddimo e continuatore della tradizione aristarchea (Pfeiffer, p. 355); gls-sai =Omhrika, Glosse omeriche, di Apione. Lopera contiene resti di eccellente dottri-na ed una fonte importante per il metodo di Aristarco e della sua scuola (s.v. Apol-lonios der Sophist, A. Rumpf, Kl. Pauly, I, 1944, 453); vd. Degani, p. 1177, nt. 40.

    Suida o Suda. Ecco finalmente un lessico bizantino (X sec.), vera e propria enci-clopedia di notizie di ogni genere (Degani, p. 1184), splendidamente edito da A. Ad-ler (Suidae Lexicon, I-V, Lipsiae 1928-1938, Stutgardiae 1971). una vasta compilazio-ne tratta da diversi autori, di varia origine ed et, comprendente circa 30.000 lemmi:glosse, notizie storiche, mitologiche, letterarie, erudite, di diversa ampiezza. La singo-larit, rimasta indecifrabile, del titolo ha stimolato lacume dei dotti. G. Schir, Si tornaa Suida (= Guida) (Riv. Cult. Class. Med. 4, 1962, p. 240), riassume in poche righe leproposte di soluzione avanzate negli ultimi decenni. Imperativo del latino sudare lacredette il Maas (Byz. Zeitschrift 1932, pp. 1 sgg.), un acrostico il Grgoire (Byzan-tion, 1933, p. 770; 1936, p. 782), derivazione dal lat. suda, gr. soda, con senso diPalisandenwerk, Graben, Grube [palizzata, fossa] il Dlger (Byz. Zeitschrift, 1937,p. 186; 1938, p. 531). Ibidem a p. 240 riferita la proposta di S.G. Mercati (Byz. Zeit-schrift, 1955-1957, pp. 173-193) di vedere in Suida la corruttela della parola italianaGUIDA, proveniente da ambiente meridionale. Mercati vorrebbe che almeno si tornasseallantico titolo SUIDA. Con maggiori particolari riassume, condividendola, la tesi delMercati anche Lavagnini, Suida, Suda o Guida?, RFIC 40 (1962), pp. 441-444. Con esem-plare chiarezza, G. Scarpat, Una nuova ipotesi sullautore del Lessico detto di Suida (Attidel Sod. Glott. Mil. 13-14, 1960-1961, ma 1965), propone: Soda per me un genitivosingolare di un Sodaj il quale Sodaj non altro che il nome ebraico Iudas (p. 40).

    Etymologicum Magnum Genuinum. Symeonis Etymologicum. Etymologicum Ma-gnum Auctum: i titoli appaiono sinotticamente nella pi recente edizione di tre lessicietimologici bizantini: iniziata da F. Lasserre e N. Livadaras a Roma nel 1976 e giuntaora al II volume (fino ad nabtorej); il resto dellimmenso materiale rimane ancoraquasi completamente inedito. Questi lessici si distinguono dagli altri correnti nella cul-tura bizantina, perch accanto alla spiegazione dei vocaboli, ne prendono in consi-derazione, in modo eminente e caratteristico, la derivazione (Krumbacher I, p. 573). Inrealt letimologia che la grammatica bizantina ci offre rappresenta spesso la caricatu-ra [Zerrbild] della scienza etimologica moderna. Krumbacher ne adduce a prova lamolteplicit delle soluzioni proposte per ogni voce. Questi lessici sono generalmentedisposti in ordine alfabetico, non per materia; non il valore etimologico che li rendeinsostituibili, ma il materiale che conglobano. Nella congerie degli Etymologik, hacercato di fare ordine Reitzenstein, che ne aveva concepito lidea in un viaggio in Italiadel 1888. La sua opera ha avuto anche il merito di rivalutare la figura di Fozio, patriar-ca di Costantinopoli tra l857 e l886, che ha indicato per secoli direzione e scopi, atutta la filologia bizantina (Prefaz., p. VI). Anche la molteplicit dei titoli ingeneraconfusione (insieme con la tendenza perenne a magnificare lultimo esemplare). Ilmateriale raccolto nelledizione a colonne affiancate per i tre lessici di Lasserre e Liva-daras proviene da due codici, il Vaticanus Gr. 1818, membranaceo, copiato nellItaliameridionale alla fine del secolo X; e il Laurentianus Sancti Marci 304, anchesso co-piato nella stessa regione, nel medesimo secolo. Dal Genuinum derivano il Gudia-num, cos chiamato da M. Gude, bibliotecario danese che lo possedette, il Magnum(circa 1150), pi volte utilizzato da Eustazio (Degani, p. 1183). in uso la vecchia edi-zione oxoniense Etymol. Magnum (rec. di Th. Gaisford, Oxford 1848, rist. Amsterdam

  • Introduzione. Lo studio critico dellOdissea60

    1967), da cui derivano le citazioni che si trovano nei commenti recenti ad Omero (vd.anche Lesky, Lett. gr., 3 ediz. ted. 1971, p. 930, nt. 5). Della tradizione lessicograficagreca ci sono pervenute quasi esclusivamente opere bizantine, nelle quali si trovano,accostati e agglutinati, materiali di diversa provenienza, la cui identificazione nonsempre agevole, sia per la pluralit delle fonti, sia per i vari strati compositivi (Tosi,p. 143). Parole ed espressioni difficili, concetti ambigui, notizie erudite e interessanti,citazioni testuali uniche, confronti tra dialetto e dialetto greco, passione per il breveexcerptum e per la notizia erudita: ecco lenorme congerie di materiale che dalle fontialessandrine, attraverso lesperienza culturale dellatticismo, si incanala nella tradizio-ne bizantina. Con le parole e con i commenti essa ci ha trasmesso anche una parte co-spicua della letteratura greca che altrimenti sarebbe andata perduta per sempre. Lonta-ni eredi dei lessici bizantini sono i lessici omerici, di cui ci danno un elenco semprepi aggiornato le varie Introduzioni alla filologia classica, da quella a cura di E. Bi-gnone, Milano 1951, alla recente Introduzione ad Omero, Firenze 1990, 1992, di F. Mon-tanari. Il miglior lessico dellOttocento quello di H. Ebeling, Lexicon Homericum, I-II, Leipzig 1880-1885; un semplice indice (G. Bolognesi) quello di A. Gehring, In-dex Homericus, Leipzig 1891, rist. a cura di U. Fleischer, Hildesheim - New York 1970.Nel 1955 Bruno Snell ha fondato il grande Lexicon des frhgriechischen Epos, che vedela luce a Gttingen per fascicoli separati, raccolti finora in 3 volumi (1979-2001) perle cure di H.J. Mette, U. Fleischer, H. Erbse, W. Bhler, E.M. Voigt, M. Meier-Brgger,W. Beck, e altri studiosi.

    La vulgata e limmenso materiale esegetico dellantichit sono alla base delle moder-ne edizioni dei poemi omerici: le antiche sono indicate nella Geschichte di W. Schmid,Mnchen 1929, p. 193. Di quelle pi vicine ai nostri tempi Von der Mhll fa una breverecensione nella Praefatio alla sua Odissea (1946). Oltre a quelle gi indicate nei Rife-rimenti bibliografici ricordo qui ledizione monumentale di A. Ludwich, I-II, Leipzig1889-1891, e quella curata (con una pregevole trad. inglese) da A.T. Murray, Cambridge(Mass.), Harvard Univ. 1919, ora rivista da G.E. Dimock (1995).

    4. LODISSEA NELLA QUESTIONE OMERICA: ANALISI E UNIT

    LOdissea nella Discoverta del Vico

    G.B. Vico (1668-1744) appare come un genio precursore, la cui grandezza non fucompresa dai contemporanei e quasi non influ sugli sviluppi della questione. Perunesegesi del suo pensiero espresso in forma definitiva nella Scienza Nuova (1730-1744, ora in G.B. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, Milano - Napoli 1953) sono essen-ziali le interpretazioni di G. Perrotta, Le teorie omeriche di G.B. Vico, in Italia e Grecia,Firenze 1939, pp. 23-58, e di A. Pagliaro, Omero e la poesia popolare in G.B. Vico, inAltri saggi di critica semantica, Milano - Firenze 1961, pp. 445-74. Omero non un fi-losofo, ma un poeta: questa la prima grande conquista critica del Vico. Nella Disco-verta del vero Omero (III) egli nega risolutamente che si debba attribuire al poeta unascienza riposta. Omero rappresenta con sapienza poetica il mondo eroico con le sueviolente passioni e i suoi costumi rozzi, villani, feroci (787 Nicolini). In questo senso,

    (SEGUE)

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    Seconda sezione: lincontro di Nauscaa e Odsseo (110-237)Il risveglio di Odsseo (110-148)

    La giornata al fiume sta per chiudersi come le altre, quando lintervento divino rendepossibile lincontro tra la donzella e il naufrago. Lespressione (frequente nellOdissea)allora ebbe un altro pensiero la dea glaucpide Atena (112) qui autentica ed effica-ce, senza che Atena intervenga goffamente nellazione (Von der Mller, RE, 714).

    All te d r melle plin o!knde nesqai 110

    zexas minouj ptxas te emata kal,

    nq at ll nhse qe, glaukpij Aqnh,

    j Odusej groito, doi t epida korhn,

    o Faikwn ndrn plin gsaito.

    sfaran peit rriye met mfpolon basleia: 115

    mfiplou mn marte, baqeV d mbale dnV,

    a d p makrn san.

    Ma quando Nauscaa stava ormai per tornare indietro, a casa, dopo avere aggiogate lemule al carro e piegate le belle vesti, allora ebbe un altro pensiero la dea glaucpideAtena, affinch Odsseo si svegliasse e vedesse la fanciulla dal bel volto, che gli faces-se da guida alla citt dei Feaci. Ed ecco che la figlia del principe lanci la palla adunancella; ma non mir bene alla compagna, e fece cadere la palla in un profondovortice; tutte le altre ragazze levarono un lungo grido. (110-117)

    Si noti al v. 113 epida korhn, variatio della clausola formulare likpidakorhn fanciulla dagli occhi brillanti (Il. I 98; Leumann, p. 147, nt. 117). Cfr. Kirk, Il.Comment. I, p. 63.

    Una perfetta coincidenza di tempi e di eventi nata da una mancata coincidenza strappa il grido alle fanciulle e desta Odsseo, che tuttora dorme sotto il riparo dei dueolivi.

    d greto doj Odussej,

    zmenoj d rmaine kat frna ka kat qumn:

    W moi g, twn ate brotn j gaan knw; o g brista te ka grioi od dkaioi, 120

    e filxeinoi ka sfin noj st qeoudj;

    Si dest il divino Odsseo, e stando a sedere cos, meditava nellanimo e nella mente:Ahim, di quali mortali ancora una volta [scil. questa la prima volta che Odsseo in-contra esseri umani da quando ha perduto i suoi compagni, otto anni prima; vd. Reece,p. 103] sono giunto alla terra? Sono forse prepotenti e selvaggi e senza giustizia, oppu-re sono ospitali e hanno una mente timorata degli di?. (117-121)

    qeoudj, da *qeo-d#hj che teme, che rispetta gli di (Chantraine, s.v., DEG, p. 246).

    j t me kourwn mfluqe qluj t,

    numfwn, a cous rwn apein krhna

    ka phgj potamn ka psea poienta.

    n pou nqrpwn em scedn adhntwn; 125

    ll g gn atj peirsomai d dwmai.

    Lettura del Canto

  • Canto VI. Larrivo di Odsseo tra i Feaci458

    Come di fanciulle mi rison intorno un grido femminile, di ninfe penso che abita-no le cime scoscese dei monti e le sorgenti dei fiumi e i prati erbosi! O mi trovo forsevicino a uomini dotati di parola? Ors, andr io stesso ad accertarmi e a vedere.(122-126)

    Faesi rileva che i vv. 122-124 indicano solo il motivo del risveglio in base al ricor-do, mentre precedenti vv. 119-121 contengono la domanda: Dove sono?; e osservache laccenno alle ninfe non esclude la presenza di esseri umani (I, p. 140). Al v. 122qluj femminile trattato come agg. a due terminazioni. I frequenti suoni e ed u pro-ducono effetti onomatopeici (vd. Stanford I, p. 312). Dopo le avventure sulla terra esul mare, il grido desta Odsseo, che si scopre ignudo, infreddolito e allo stremo dellaresistenza fisica in una terra sconosciuta. Il suo monologo (119-126), che serve a defi-nire la situazione nella quale egli si trova, d espressione ai suoi dubbi, giustificati dal-lesperienza, ma non angosciosi. Infatti il passaggio dal sonno alla veglia stato propi-ziato da voci gentili, che suggeriscono lidea di divinit femminili della natura e di unambiente civilizzato. Al breve ragionamento segue la decisione di andare a vedere dipersona.

    Wj epn qmnwn pedseto doj Odussej,

    k pukinj d lhj ptrqon klse ceir paceV

    fllwn, j saito per cro> mdea fwtj.

    Dette queste parole, sgusci fuori dai cespugli il divino Odsseo e dalla fitta macchiaspezz un ramo con la mano robusta, un ramo frondoso, per coprirsi intorno al corpola nudit virile. (127-129)

    Parallelismo narrativo con i vv. 99-101 (scena) ~ 102-109 (similitudine; anzi, terzasimilitudine del leone nellOdissea: vd. Margrath, p. 207).

    b d men j te lwn restrofoj lk pepoiqj, 130

    j t e!s menoj ka menoj, n d o sse

    daetai: atr bous metrcetai essin

    met grotraj lfouj: kletai d gastr

    mlwn peirsonta ka j pukinn dmon lqen:

    j Odusej korVsin plokmoisin melle 135

    mxesqai, gumnj per n: crei gr kane.

    E mosse per andare come leone cresciuto sui monti, fidente nella sua forza, che va sot-to la sferza della pioggia e del vento, e i suoi occhi fiammeggiano. Va allassalto di buoi odi pecore, o alla caccia di cerve selvatiche; e la fame lo spinge, per aggredire il gregge,a penetrare fin dentro una solida stalla. Cos Odsseo si accingeva a presentarsi allefanciulle dalle belle trecce, sebbene fosse ignudo; la necessit lo incalzava. (130-136)

    Al v. 129 mdea equivale ad adoa, un adattamento eufemistico del termine, rite-nuto volgare (Hainsworth II, p. 198, che riferisce lopinione di J. Wackernagel, Sprachli-che Untersuchungen zu Homer, Gttingen 1916, p. 227). Chantraine ne dichiara oscuraletimologia, e definisce difficili i rapporti delle tre forme della parola, mdea, mdea,mxea (DEG, p. 692; cfr. Frisk II, p. 222). La similitudine dei vv. 130-133, nel suoespressionismo visivo e nella originalit di questo leone selvatico, diverso dal leoneaggressivo di tante similitudini iliadiche, adeguata alla condizione e allaspetto diOdsseo. Valgimigli (ad loc.) mette in rilievo la corrispondenza degli elementi narrativi

  • 459

    (la fame, lo stato di necessit in cui si trova Odsseo, il suo modo di procedere, losguardo ardente) al quadro comparativo; ma ne sottolinea anche il carattere letterarioe tradizionale. Ed un giudizio ineccepibile. Le discussioni che la similitudine ha su-scitato in relazione al suo modello iliadico (XII 299-306), lautenticit e la funzione po-etica rispetto al contesto, suggeriscono un breve indugio. Alla vista di quelluomo cheavanza terribile come una fiera, ma che si vela con quelle frondi di olivo, simbolo dipreghiera e di pace (V. Monti, DellEloquenza e di Omero. Lezione prima, in Opereinedite e rare di V.M., III, Milano 1832, pp. 73-116, qui p. 92) si manifesta la superioritmorale di Nauscaa rispetto alle ancelle.

    smerdaloj d atsi fnh kekakwmnoj lmV,

    trssan d lludij llh p

  • Canto VI. Larrivo di Odsseo tra i Feaci460

    ne per il miserando stato in cui si trova; Femio invece incerto se rifugiarsi presso laradi Zeus nel cortile, o supplicare Odsseo; poi, nel momento in cui si decide il suo de-stino, tronca gli indugi e si getta ai piedi del signore, per abbracciargli le ginocchia:gonwn yasqai. Tra i due monologhi esiste una specie di variatio, un chiasmo com-positivo a distanza.

    La preghiera di Odsseo (149-185)

    Il silenzio che per un istante unisce e divide il brutto e la bella sembra indicare che traloro esiste unassoluta incomunicabilit. Consapevole del suo stato, ma spinto dallaonnipotente necessit (Monti, p. 89), timoroso del ribrezzo che potrebbe suscitarenella fanciulla anche un gesto di umiliazione, il naufrago affida alla parola linterpreta-zione del suo gesto solo accennato, e di lontano. Cos Focke (pp. 102-108) spiega ilvalore traslato di gounomai, polemizzando severamente con Schwartz, il quale invecesostiene che il verbo ha il significato proprio (p. 14). Infatti egli pensa che il poeta Kabbia sostituito un comportamento pi decente a quello descritto nellantico poemaO, dove Odsseo nudo e senza ramo andava verso Nauscaa, si prostrava ai suoi piedie le abbracciava le ginocchia (pp. 162, 204: nella versione originaria il naufrago, inquello stato, seguiva immediatamente il carro di Nauscaa verso la dimora di Alcnoo).Il brutto Odsseo, luomo del vivido ingegno e dellequilibrio interiore; la sua paroladissolve ogni dubbio e timore. Solo un uomo civile e nobile potrebbe esprimersi in talmodo.

    Gounoma se, nassa: qej n tij brotj ssi;e mn tij qej ssi, to orann ern cousin, 150

    Artmid se g ge, Dij korV megloio,

    e!dj te mgeqj te fun t gcista skw:

    e d tj ssi brotn, to p cqon naietousi,

    trismkarej mn so ge patr ka ptnia mthr,

    trismkarej d kasgnhtoi: mla po sfisi qumj 155

    an frosnVsin anetai eneka seo,

    leussntwn toinde qloj corn esoicnesan.

    Ti supplico, sovrana! Sei tu una dea o una donna mortale? Se tu sei dea, uno dei numiche abitano il vasto cielo, io ti trovo in tutto somigliante ad Artemide, la vergine figliadel grande Zeus, nellaspetto, nella statura e nella forma. Ma se tu sei donna mortale,uno degli esseri che abitano sulla terra, oh tre volte beati i tuoi fratelli: certo il lorocuore sempre si accende di gioia per causa tua, quando vedono tale virgulto muoverealla danza. (149-157)

    Con una parola che esprime la sua umiliazione, il rispetto e la speranza, Odsseocomincia il suo discorso lusinghevole, insinuante e pieno di accorgimento e di soavi-t (Monti, p. 91).

    kenoj d a per kri makrtatoj xocon llwn,

    j k s dnoisi brsaj o!knd gghtai.

    o gr pw toioton g don fqalmosin, 160

    ot ndr ote gunaka: sbaj m cei esorwnta.

  • 461

    Ma al di sopra degli altri tutti, felicissimo nel suo cuore sar luomo che, dopo averti col-mata di doni, ti condurr nella sua casa; perch una simile creatura io non vidi mai con imiei occhi, n uomo n donna; un religioso timore mi prende a guardarti. (158-161)

    Torna il tema delle nozze non lontane, trasferito alla gioia del giovane pretendenteche, con il peso dei doni nuziali (il senso di dnoisi, 159, chiaro) riuscir a prevale-re sui rivali; torna anche il motivo della bellezza incomparabile della fanciulla, di cuiviene attenuata la carica sensuale con lallusione al religioso tremore che ispira. Connaturalezza il poeta riprende limplicito paragone di Nauscaa con un virgulto arboreo(qloj, 157).

    DlJ d pote toon Apllwnoj par bwm

    fonikoj non rnoj nercmenon nhsa:

    lqon gr ka kese, polj d moi speto laj

    tn dn d mllen mo kak kde sesqai. 165

    j d atwj ka keno dn teqpea qum

    dn, pe o pw toon nluqen k dru gahj,

    j s, gnai, gama te tqhp te dedia d anj

    gonwn yasqai: calepn d me pnqoj knei.

    A Delo un giorno presso laltare di Apollo io vidi un tale germoglio novello di palmavenir su dal suolo; infatti anche l io andai in quel viaggio nel quale dovevano colpir-mi funeste sventure [la spedizione di Troia]. Cos parimenti, a quella vista, rimanevostupito nel cuore, a lungo, perch mai ancora era sorto dalla terra tale rampollo, comete, donna, io guardo con ammirazione e profondo stupore, e temo nello stesso tempoterribilmente di toccare le tue ginocchia. Eppure grande il dolore che mi colpisce.(162-169)

    La svelta figura di Nauscaa suscita nellanimo di Odsseo il ricordo di uno stelo dipalma, visto a Delo (la piccola isola delle Ccladi, dove nacquero gemelli Apollo e Ar-temide), presso lara del dio. Leroe vi era forse approdato durante il viaggio da Aulidea Troia attraverso lEgeo. Cos senza affettazione, senza digredire dal suo soggetto, eiviene a palesarsi destramente un gran personaggio. Questo sol passo ingegnosissimo sufficiente, a mio credere, per disingannare coloro che in Omero non riconosconoche il merito di un naturale entusiasmo (Monti, p. 93 s.). Questa palma, indissolubiledal parto di Let (Inno omerico ad Apollo, 117; Callimaco, Inno a Delo, 201 s.), forsela Phoinix dactylifera, nota ai Greci attraverso i Fenici (vd. Bonino, in Gigante-Boni-no, Poetica, p. 170), una palma che, alta e snella nellesemplare adulto, bassa e toz-za quando novella (Hainsworth II, p. 200, ad v. 163). Ma il poeta ha felicemente rin-giovanito la pianta quam Homericus Ulixes Deli se proceram et teneram vidisse dixit(Cic. De leg. I 2). Wade-Gery afferma che il poeta si rivolge ad un pubblico posteriorea quello dellIliade, forse del VII secolo. E fa osservare che non si tratta di una similitu-dine: leroe (non il poeta) che dichiara di aver visto lalbero. Eppure io non possodubitare che la visita delleroe sia uninvenzione, e che lalbero sia reale (p. 3). Il poe-ta parla di un albero che il pubblico conosceva bene: molti degli ascoltatori sarannostati a Delo, ne avranno sentito almeno parlare; e a quel racconto avranno sorrisocompiaciuti.

    cqizj eikost fgon mati onopa pnton: 170

    tfra d m ae km frei kraipna te qellai

    Lettura del Canto

  • Canto VI. Larrivo di Odsseo tra i Feaci462

    nsou p Wgughj: nn d nqde kbbale damwn,

    fra t pou ka tde pqw kakn: o gr w

    pasesq, ll ti poll qeo telousi proiqen.

    Ieri, dopo venti giorni, scampai al mare colore del vino; fino ad allora mi trascinavanoil flutto e le rapinose procelle, partito dallisola Ogigia. Ed ora, ecco, qui mi getta undio, affinch anche in questo luogo soffra qualche male; perch non penso che lasmetteranno [di perseguitarmi], ma ancora molte sventure gli di porteranno a compi-mento prima [che io abbia pace]. (170-174)

    Dopo I 85 riappare qui il nome dellisola di Calipso (che torna in VII 244, 254; XII448; XXIII 333): Wilamowitz crede che Wgugh sia un aggettivo originario (Hom. Un-ters., pp. 17 e 133 s.), ma W. Kranz obietta giustamente che contro luso omerico pre-sentarsi ad un personaggio e dire: vengo da unisola oceanica o antichissima (Her-mes 50, 1915, p. 93, nt. 1). Qual il soggetto di pasesqai (174)? Quasi tutti gli inter-preti pensano che sia kakn o kak sventura o sventure; altri intendono: [non pen-so] che io avr pace (Borrelli, p. 84); ma potrebbe essere toj qeoj: gli dei smette-ranno [di perseguitarmi]; proiqen: cio prima che venga lnpausij (tregua) daimali (Merry-Riddell, p. 267).

    ll, nass, laire: s gr kak poll mogsaj 175

    j prthn kmhn, tn d llwn o tina o!da

    nqrpwn, o tnde plin ka gaan cousin.

    stu d moi dexon, dj d koj mfibalsqai,

    e t pou eluma sperwn cej nqd osa.

    Ors, sovrana, abbi piet; sei tu la prima nella quale mi imbatto, dopo aver soffertomolte sventure; e non conosco nessuno degli altri uomini che abitano questo paese equesta terra; mostrami la citt, e dammi un cencio da avvolgermi intorno, se mai ve-nendo qui portasti un panno per avvolgervi le vesti. (175-179)

    Odsseo esplora il mondo che lo circonda. Ha capito al primo sguardo che la fan-ciulla che gli sta di fronte, se pure mortale, di stirpe regale, se a lei chiede piet do-po tante prove. Quella terra, che il poeta ha gi definito paese e citt dei Feaci (3),ora egli distingue nei suoi elementi topografici e sociali; non si limita alla distinzionetra plij, il centro abitato, e gaa, il territorio (diviso in varie propriet e variamentelavorato e sfruttato), ma intuisce che in quella citt ci deve essere un stu, una cit-tdella, dimora del principe e, con ogni probabilit, della fanciulla che gli sta davanti.

    so d qeo tsa doen sa fres ssi menoinj, 180

    ndra te ka o!kon, ka mofrosnhn pseian

    sqln: o mn gr to ge kresson ka reion,

    q mofrononte nomasin o!kon chton

    nr d gun: pll lgea dusmenessi,

    crmata d ementVsi: mlista d t kluon ato. 185

    E a te concedano gli di tutto quello che desideri nellanimo tuo; ti diano uno sposo,una casa e la concordia; perch non c nulla di pi solido e di pi prezioso di questo,di quando, concordi nei loro pensieri, reggono la casa un uomo e una donna: motivodi grandi dolori per i nemici e di gioie per gli amici; ma soprattutto ne hanno buonafama essi stessi. (180-185)

  • 463

    Quello che Odsseo pu offrire in cambio dellaiuto implorato solo un augurio,ma laugurio pi bello che possa essere rivolto ad una fanciulla: che gli di le conceda-no amore, casa, concordia coniugale, e con queste gioie elementari, un altro bene,sommo per un Greco, la buona fama. Chantraine spiega kluon come aor. connessocon kloj: con e o kakj avere buona o cattiva fama (s.v. kloj, DEG, p. 541). Di-mock osserva che buona parte della gioia che degli sposi felici provano nella loro ar-monia deriva dalla consapevolezza di quanto gli altri [pensano o] dicono sul loro con-to [what they hear: di quello che sentono dire] (p. 80).

    Nauscaa conquistata (186-237)

    Con questo augurio termina la preghiera di Odsseo, che la ragazza ha ascoltato presada stupore; e non senza trepidazione gli risponde.

    xen, pe ote kak ot froni fwt oikaj,Zej d atj nmei lbon Olmpioj nqrpoisin,

    sqloj d kakosin, pwj qlVsin, kstJ:

    ka pou so td dwke, s d cr tetlmen mphj. 190

    nn d, pe metrhn te plin ka gaan kneij,

    ot on sqtoj deuseai ote teu llou,

    n poic kthn talaperion ntisanta.

    Straniero, poich non sembri uomo n malvagio n stolto; e poich Zeus Olimpiostesso concede agli uomini la prosperit, sia ai buoni sia ai malvagi, come egli vuole aciascuno; forse lui ti diede questa sorte, e tu la devi sopportare ad ogni modo. Ora,poich sei giunto alla nostra citt e alla nostra terra, ebbene non mancherai di una ve-ste n di alcunaltra cosa che si conviene ottenga un uomo che si presenti supplice.(187-193)

    Le prime parole di Nauscaa rivelano, con la nobilt dellanimo, la consapevolezzadella condizione umana; e confortano lo straniero con la promessa che egli avr il ne-cessario per sopravvivere: quelluomo che con parola misurata e calda ha annullatoqualsiasi impressione negativa suscitata dal suo miserevole aspetto.

    stu d toi dexw, rw d toi onoma lan.

    Fahkej mn tnde plin ka gaan cousin, 195

    em d g qugthr megaltoroj Alkinoio,

    to d k Faikwn cetai krtoj te bh te.

    Ti indicher la citt, e ti dir anche il nome del popolo. In questa citt vivono i Feaci;io sono la figlia del magnanimo Alcnoo, da cui dipendono la forza e il potere tra i Fea-ci. (194-197)

    Faikwn: discusso il valore di questo genitivo; soggettivo per Dindorf (ex quoPhaeacum pendet imperium et potentia), e per Ameis-Hentze-Cauer (I, 1, p. 191); og-gettivo per altri, come Festa, Calzecchi Onesti, Schadewaldt, Kilb (cfr. Od. XI 346; Hdt.VI 109).

    Nauscaa che ha ricevuto unimpressione profonda dal forestiero, vuole subito co-municare alle compagne i suoi sentimenti, e intanto infonde loro un po di calma.

    Lettura del Canto

    (SEGUE)

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    11 Gaisford, e ricorda il significato incessante, comune di questo aggettivo nel grecoclassico). Bello il confronto da lui istituito con altri toponimi pregreci come Axnh,Dwdnh, Skinh, cio Aissne, demo attico, Dodona, e Scione, rispettivamente cittdellEpiro e della Tracia (p. 212); vd. anche Il. Comment. III, p. 183, ad v. X 284: lepi-teto Atritne appare solo nella formula klqi meu, agicoio Dij tkoj, Atrutnh (4volte nellIliade; 2 volte nellOdissea, qui e in IV 762).

    Wj fat ecmenoj, to d klue Pallj Aqnh:

    at d o pw fanet nanth: adeto gr a

    patrokasgnhton: d pizafelj menainen 330

    ntiqJ Odus< proj n gaan ksqai.

    Cos disse pregando, e lo esaud Pallade Atena; ma non gli apparve ancora dinanzi nelsuo aspetto. Temeva infatti il fratello del padre suo; il quale era fieramente adiratocontro il divino Odsseo, prima che giungesse alla sua terra. (328-331)

    Il canto si chiude con un raccordo (redazionale?) al tema dellira di Posidone, chedovrebbe spiegare lassenza di Atena dagli Apologhi. Il poeta tenta cos di giustificarele incongruenze del poema e di spiegarne gli eventi in funzione delle varie ire divineche li hanno determinati.

    2. ANALISI DEL CANTO

    Nella terra dei Feaci

    Scheria. DallOccidente, dove si trova lisola di Ogigia, Odsseo torna per volere divi-no ad Itaca, passando prima attraverso la tempesta e il naufragio, poi soggiornandobrevemente nella terra dei Feaci, che collochiamo nel Mediterraneo, a nord-ovest del-la Grecia.

    Linteresse geografico in relazione ai viaggi di Odsseo temperato dallo scettici-smo sulla possibilit di stabilire corrispondenze tra poesia e realt. Nessuna identifica-zione, che non sia congetturale, possibile per la terra dei Feaci; certa solo la dire-zione del viaggio di Odsseo che, sulla zattera spinta dallo zfiro, percorre da Ogigia ilMediterraneo occidentale, avendo sempre alla sinistra (a nord) lOrsa Maggiore (V273-277). La natura dei Feaci, e la funzione loro affidata nel nstos di Odsseo, sono in-dicate da Zeus durante il secondo concilio divino (V 33-40). Il poeta non dice maiespressamente che Scheria sia unisola, bench non lo neghi, anzi ci dia limpressionedi credervi. Contro lipotesi dellinsularit viene addotta letimologia. Il nome Scerh connesso con scerj continuo. Scera sembra significare terraferma (Bechtel, Lex.,p. 133). Tra i negatori dellinsularit Wilamowitz (Hom. Unters., p. 164; Heimkehr, pp. 8e nt. 1, 181), Schwartz (p. 255 e nt. 2) e Moulinier (p. 115) pongono Scheria sulle costedel Nord Africa o in Libia; i fratelli Wolf (p. 84), in Calabria. Ben pi numerosi sono,per, i sostenitori della tesi opposta, a cominciare dagli scholl. PV ad v. V 34: Scerakaleto nsoj tn Faikwn, t d met tata klqh Krkura Scheria si chiamalisola dei Feaci, ma in seguito fu chiamata Corcira (Dindorf I, p. 244), e da ApollonioRodio (III sec. a.C.), per il quale Iride prega olo di trattenere tutti i venti tranne Z-

    Analisi del Canto

  • Canto VI. Larrivo di Odsseo tra i Feaci474

    firo, fr og Alkinou Faihkda nson kwntai finch [gli Argonauti] siano giunti al-lisola dei Feaci, regno di Alcnoo (IV 769). Tra i moderni lidentificazione con Corcira stata sostenuta da A. Shewan, Scheria-Corcyra (CP 13, 1918, pp. 321-334) e, a pirip