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PARENTI DI VITTIME DI MAFIA E DANNO ESISTENZIALE Il paradosso consolatorio delle famiglie sopravvissute La mafia, il danno non patrimoniale, posizioni psicologiche e legislative in merito alla tutela delle “famiglie sopravvissute”. Loredana Cofano 01/09/2011

PARENTI DI VITTIME DI MAFIA E DANNO ESISTENZIALE[2] · Italo-Americana, che vedrà il suo apice negli anni 30. 8 1943-1947 : Durante le seconda guerra mondiale la mafia e il suo conflitto

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PARENTI DI VITTIME

DI MAFIA E DANNO

ESISTENZIALE

Il paradosso consolatorio delle famiglie sopravvissute

La mafia, il danno non patrimoniale, posizioni psicologiche e legislative in merito alla tutela delle “famiglie sopravvissute”.

Loredana Cofano

01/09/2011

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“Il coraggio muore una volta,

il codardo cento volte al giorno..”

G.Falcone

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Prefazione

Le organizzazioni mafiose, dall'inizio della loro esistenza e del loro operato si sono costituite,

strutturate e modificate assumendo differenti forme. Hanno spesso coinvolto nel loro operato

Istituzioni e intere comunità di persone, hanno agito attraverso svariate tipologie di forme ad hanno

causato un migliaio di documentate vittime innocenti. Ma chi sono e come vengono considerate le

persone che hanno subito vicariamente questa perdita? Non sono forse vittime anch'esse?

Il percorso che seguirà in questo lavoro andrà nella direzione della definizione di quali siano i diritti

di queste persone in termini legislativi. Partendo dalla definizione di danno e dalla descrizione delle

tipologie di questo e come viene ad oggi riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla letteratura alle

vittime, si vuole comprendere quale sia la tipologia di danno attribuibile specificatamente a queste

“particolari vittime” che hanno subito la perdita di una persona cara, in seguito ad un delitto

violento per mano di organizzazioni mafiose.

Si intenderà sottolineare quali siano i pareri legislativi e psicologici sull'argomento e quali strumenti

utili al risarcimento ed indennizzo di queste vittime siano stati predisposti.

Verranno citati, in conclusione degli esempi noti di esiti di sentenze di mafia e di cifre corrisposte ai

familiari delle vittime: “le vittime che restano”

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1. Le organizzazioni mafiose: definizioni, cronistoria ed accenni sociologici

Origine del termine

Mafia è un termine diffuso con cui ci si riferisce a una particolare tipologia di organizzazioni

criminali. Non esiste a oggi un comprovato studio sull’origine del termine, ma differenti ipotesi

plausibili.

La prima apparizione ufficiale della parola accostata al senso di organizzazione malavitosa o

malavita organizzata avviene all’interno di un rapporto del allora procuratore capo di Palermo F.A.

Gualtiero nel 1865. Due anni prima il termine apparve nell’opera teatrale “I mafiusi de la Vicaria”;

a tale rappresentazione si deve quindi la convinzione che il vocabolo fosse diffuso già prima del

1865: il termine mafiusu indicava, infatti, una persona, un oggetto o un ambiente di particolare

rilevanza sociale, che nell’insieme abbia un qualcosa di superiore ed elevato. Ancora a oggi

l’aggettivo mafiusu nel dialetto siciliano, si riferisce a un qualcosa di incredibilmente vistoso o

costoso.

Perché la radice del vocabolo “mafia” non è facilmente accostabile a nessuna parola latina o greca,

si è pensato a un’iniziale derivazione dalla lingua araba, giustificata falla forte componente islamica

presente in Sicilia nel X secolo.

“Mafia” potrebbe quindi derivare da mahyas (= spavalderia, vanto aggressivo) oppure da marfud (=

reietto), da cui potrebbe derivare il termine mafiusu col suo significato di persona fiera, potente,

prepotente e arrogante.

Ciononostante l’ipotesi araba viene fortemente messa in discussione considerando il fatto che dal X

al XIX secolo, per ben otto secoli non si trova traccia dell’utilizzo del vocabolo.

Un’ipotesi più fantasiosa riconosce nel termine “mafia” l’acronimo di “Mazzini Autorizza Furti

Incendi Avvelenamenti”. Questo studio, portato avanti dall’economista e sociologo Giuseppe

Palomba e dal giornalista Selwyn Raab, riconduce il tutto alla missione segreta sponsorizzata da

Giuseppe Mazzini in Sicilia prima dell’unità d’Italia del 1861.

In questo senso ci si riferisce a un’iniziale organizzazione segreta con finalità carbonare nata

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nell’isola, con risvolti riconducibili all’attuale malavita organizzata.

Un’ultima possibile teoria fa risalire le origini del vocabolo al dialetto toscano, trovando un

effettivo riscontro nel termine dialettale maffia: nel dialetto toscano con il termine maffia si indica

“miseria” oppure anche “ostentazione vistosa, spocchia”.

In questo caso la parola sarebbe entrata nell’uso popolare siciliano dopo l’unità di Italia, subendo il

fenomeno dell’affievolimento fonetico, come altre parole toscane entrate nell’uso siciliano:

"macchina" diventa màchina, "malattia" malatìa e "mattino" màtina e così via.

Definizione

A oggi la mafia è un’organizzazione di potere ancor prima di essere un’organizzazione criminale: il

termine viene utilizzato per indicare tutte le varie tipologie di organizzazioni che basano il loro

essere sullo svolgimento di attività illecite.

In questo senso la principale garanzia di esistenza della mafia non sta tanto nei proventi delle

attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare

politici, nonché del supporto di certi strati della popolazione.

Quindi il termine "mafioso" può essere utilizzato nel linguaggio comune per definire, per esempio,

un sindaco che dia concessioni edilizie solo ai suoi "amici" o un professore universitario che fa

vincere borse di studio a persone anche eventualmente valide ma a lui legate, o la nomina da parte

di un governo di altissimi dirigenti anche eventualmente capaci ma "politicamente vicini" alla

maggioranza di cui il governo è espressione.

Le organizzazioni mafiose adottano comportamenti basati su modelli di economia statale, ma

detengono ovviamente comportamenti paralleli, nascosti o sotterranei: traggono profitti dalle più

svariate tipologie di attività illecite e nascoste.

Le varie organizzazioni, pur cambiando negli anni e pur differenziandosi nelle varie zone in cui

agiscono, conservano sempre alcuni caratteri specifici delineati di seguito.

1. Controllo del territorio, in concorrenza con il potere statale costituito;

2. Esercizio di un vero e proprio monopolio illegale della forza, anche in questo caso in

concorrenza con il monopolio statale;

3. Propensione a trovare forme di compromesso con le autorità ufficiali, che spesso vengono

corrotte o in qualche modo "contattate" dalla mafia per non arrivare a un conflitto diretto;

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4. Tendenza a risolvere i conflitti, sia all'interno sia verso l'esterno, con un tasso di violenza

molto elevato;

5. Presenza di un'organizzazione verticistica a regole ferree codificate

Organizzazioni Principali

Cosa Nostra

Con l’espressione “Cosa Nostra” si indica l’organizzazione mafiosa Siciliana, la più antica, presente

in Sicilia dagli inizi del XIX secolo e trasformatasi in organizzazione internazionale nella seconda

metà del XX secolo.

Con il termine "Cosa Nostra" oggi ci si riferisce esclusivamente alla mafia siciliana, per distinguerla

dalle altre, internazionali, genericamente indicate col termine di "mafie".

Struttura

È costituita da gruppi, chiamati famiglie, organizzati al loro interno sulla base di un rigido sistema

gerarchico, composto da gregari di diverso livello.

L'intero territorio controllato è suddiviso in mandamenti. Questi possono inglobare due o più

quartieri in città oppure due o più paesi in provincia. Ogni mandamento è composto da famiglie che,

insieme, eleggono un capo mandamento che rappresenta le stesse nella commissione provinciale.

Ogni capo mandamento elegge un sottocapo e da uno a tre consiglieri. Il grado immediatamente

sotto è il capo decina che comanda direttamente parte dell'esercito delle famiglie: i picciotti. Un

ulteriore livello di importanza è il rappresentante della provincia che fa gli interessi di quest'ultima

nella commissione interprovinciale.

Storia

La storia di Cosa Nostra può essere suddivisa in cinque periodi:

1. 1860-1926: periodo della mafia rurale, dei "campieri" (o "gabelloti");

2 1926-1943: dal prefetto Mori allo sbarco degli Alleati in Sicilia;

3. 1943-1947: periodo di transizione e movimento indipendentista siciliano;

4. 1947-1970: mafia dei suoli urbani e del commercio agricolo;

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5. 1970-oggi: mafia imprenditrice.

6. la guerra di mafia degli anni Ottanta

1860-1926: La storia di Cosa Nostra e della mafia in genere inizia con l’Unità di’Italia, non perché

prima non esistessero organizzazioni simili, ma piuttosto perché è in quel momento storico che si

evidenzia un palese conflitto tra queste, che vanno via via organizzandosi in maniera più rigida, e lo

Stato.

Il nuovo Stato italiano si sovrappose alla pre-esistente organizzazione feudale, mentre i grandi

latifondisti iniziavano ad aver bisogno di qualcuno che garantisse un controllo sulle loro proprietà

per difendersi dal brigantaggio e per resistere alle pretese sindacali delle classi contadine. Questo

ruolo fu assunto dai campieri, in quanto controllavano i campi, o gabellotti, in quanto riscuotevano

le gabelle.

E’ quindi fin dal principio un’organizzazione che assume un ruolo pubblico che altrove è

competenza dello Stato; è naturale conseguenza un non-scritto ma molto stretto rapporto con il

potere pubblico. Infatti le collusioni più evidenti erano con il corpo dei “militi a cavallo”, una forza

di polizia responsabile del controllo delle campagne e che per agevolare il proprio compito, si

accordava con i mafiosi per il controllo di territori limitrofi di cui non avevano competenza.

1926-1943: Nel periodo fascista la mafia in concorrenza con il potere statale così accentratore e

fautore di monopolio in tutti i campi, non poteva essere tollerata. Mafia e Fascismo entrarono

quindi in collisione.

Il 22 ottobre 1925 si insediò a Palermo il prefetto Cesare Mori, che sarebbe passato alla storia con il

soprannome di "prefetto di ferro". I suoi metodi si rivelarono subito di estrema decisione e violenza,

di cui se ne legge in svariati resoconti e documenti dell’epoca. Lo scopo di Mori non era solo la resa

dei mafiosi, ma anche la loro totale umiliazione: ordinò ai suoi uomini di “entrare nelle case dei

criminali, dormire nei loro letti, bere il loro vino, mangiare le loro galline, uccidere il loro

bestiame e venderne la carne ai contadini della zona a prezzo ridotto e non esitare a prendere in

ostaggio donne e bambini".

Furono fatti migliaia di arresti, senza troppe preoccupazioni se nel mucchio finivano anche molti

innocenti. Si procedeva all'arresto, ed alla condanna per associazione per delinquere, sulla base di

un semplice sospetto, o della cosiddetta "notorietà mafiosa". In questo modo alcune correnti

all'interno del partito fascista, riuscirono a far arrestare, con accuse spesso infondate, i propri

avversari politici. Inoltre agli arresti mai seguirono interventi di tipo sociale, creando malcontenti

nella popolazione, spesso schierata dalla parte della mafia.

In questo clima molti mafiosi emigrarono negli Stati Uniti, andando ad alimentare la nascente mafia

Italo-Americana, che vedrà il suo apice negli anni 30.

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1943-1947: Durante le seconda guerra mondiale la mafia e il suo conflitto con il fascismo fu

sfruttato successivamente dagli alleati per aprire un nuovo fronte col nazi-fascismo: la scelta dello

sbarco in Sicilia non era legata ai soli vantaggi geografici, ma anche alla presenza di un potente

alleato. La CIA offrì infatti la libertà con l’obbligo di ritorno in Italia ad alcuni potenti boss italo-

americani in cambio di aver garantito un appoggio al momento dello sbarco.

In questo periodo, la mafia cercò di organizzare la sua presenza, anche politica, in Sicilia,

contribuendo alla nascita del Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), che ebbe larghe adesioni

tra i civili, visto che la mafia poteva “vantare” di essere stata perseguitata dal fascismo che era

quindi un problema di stampo politico e non criminale.

1947-1970: nel dopoguerra l’economia siciliana cambiò radicalmente e con essa si adeguò la

criminalità organizzata: la mafia spostò quindi le sue mire dal settore agricolo all’ambito

dell’edilizia, piuttosto che del commercio o del settore terziario. E per far questo dovette stringere

legami sempre più forti con la classe politica, allora dominata dalla Democrazia Cristiana.

Il totale interesse era nel gestire i finanziamenti pubblici alla regione autonoma Sicilia destinati ai

vari enti o agli appalti pubblici: chi controllava questi fondi poteva gestire soldi per fare soldi e per

fare assunzioni, e quindi controllare le persone.

Oltre a questi molteplici intrecci la mafia inizia a dedicarsi al racket, attività non molto lucrosa ma

che permette di esercitare il proprio potere in maniera capillare

1970-oggi: alla fine degli anni 70, con l’esplosione del giro d’affari legato al traffico di droga, la

mafia deve iniziare ad allacciare rapporti con la politica e la finanza internazionale. Primo sbocco di

questa ventata di imprenditoria furono l’edilizia e i lavori pubblici, consentendole di accrescere il

proprio prestigio politico e il controllo del territorio: la strage di Capaci non sarebbe stata possibile

se la mafia avesse in qualche modo temuto il controllo da parte degli organi statali, dalla polizia

stradale all’ANAS.

Ulteriore opportunità di sviluppo della mafia diventa l’usura nei confronti di imprenditori stretti in

un circolo di debiti impossibili da sostenere. Si stima che l’usura insieme ai lavori pubblici sono le

fonti di guadagno maggiori per la mafia.

Camorra

Con il termine camorra si indica l'insieme delle attività criminali organizzate, con una marcata

presenza sul territorio, che cominciarono a svilupparsi in Campania intorno al XVII secolo e che

possono avere interessi anche al di fuori delle proprie zone d'origine. Si parla di “insieme di

attività” poiché la struttura è molto complessa e frastagliata in quanto composta da molti clan

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diversi per struttura e modus operandi.

Struttura

La camorra è organizzata in modo pulviscolare con centinaia di clan. Queste organizzazioni si

uniscono e si dividono con grande facilità rendendo ulteriormente difficoltoso il lavoro di

"smantellamento" degli inquirenti e delle forze dell'ordine.

Tutti i tentativi di organizzare la camorra gerarchicamente come Cosa Nostra, sono sempre falliti.

per la tendenza dei capi delle varie famiglie a non ricevere ordini dall'alto. Per tale ragione è

improprio parlare di camorra come un fenomeno criminale unitario e organico. Lo stesso termine

"camorra", quale entità criminale unitaria, è fuorviante, data la natura estremamente frammentata e

caotica della malavita napoletana. Fanno eccezione alcuni determinati cartelli di alleanze, come

quello dei Casalesi che è formato da una struttura verticistica composta da una dozzina di cosche

con a capo tre famiglie (Schiavone, Bidognetti, Zagaria-Iovine)

Storia

La camorra nasce nel medioevo nella città di Cagliari, quando era necessario per Pisa controllare gli

isolani, e lo faceva con bande di mercenari armati. La gestione di questi squadroni passò poi da Pisa

ai governanti di Aragona, che si finanziavano con protettorato, gabelle, gioco d’azzardo e tangenti.

Attraverso questi l’organizzazione arrivò a Napoli dove prese piede velocemente, fino a influenzare

la politica del Regno delle Due Sicilie.

Nel 1820 si costituisce la Bella Società Riformata, che basava le principali fonti di risorse

economiche su:

1. Il “Barattolo” che era la percentuale di circa il 20% sugli introiti dei biscazzieri;

2. lo “Sbruffo” era, invece, la tangente su tutte le altre attività (dai facchini ai venditori

ecc.);

3. un particolare regime di tassazione per la prostituzione;

4. il gioco piccolo (una sorta di Lotto)

Quando nel 1861, Garibaldi sbarcava in Sicilia, la camorra ne approfittò appoggiando i Savoia

contro i Borbone. La "ricompensa" nella politica camorristica è saldata dal ministro

dell'interno Liborio Romano, che lascerà il controllo di Napoli alla camorra durante la fase di

transizione del regno.

Solo poi nei primi del XX secolo, lo Stato riuscirà a reagire allo strapotere della cosiddetta Bella

Società Riformata, la quale tra i politici dell'Italia unita vantava solide amicizie. Nel 1911, si tiene

a Viterbo il processo Cuocolo per l'omicidio di Gennaro Cuocolo e Maria Cutinelli e, grazie alle

confessioni del camorrista pentito Gennaro Abbatemaggio, vengono inflitte severe pene ai maggiori

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esponenti dell'organizzazione.

La sera del 25 maggio 1915, nel popolare rione Sanità, i camorristi, presieduti da Gaetano Del

Giudice, decretano lo scioglimento della Bella Società Riformata

Durante il ventennio fascista la camorra rimase in sordina in attesa di tempi migliori: È nel

secondo dopoguerra che la camorra inizia ad assumere le caratteristiche riscontrabili attualmente. Il

soggiorno obbligato a Napoli, imposto dal governo degli U.S.A. al boss di Cosa nostra

americana Lucky Luciano contribuì al superamento della dimensione locale del fenomeno e

all'inserimento dei camorristi campani nei grandi traffici illeciti internazionali, quali

il contrabbando di sigarette in collegamento con il clan dei marsigliesi.

Negli anni ’70 il boss Raffaele Cutolo inizia a dare alla camorra uno stampo gerarchico, fondando

la Nuova Camorra Organizza NCO. Questo genera le reazioni dei vecchi clan che si riuniscono

sotto il nome di Nuova Famiglia NF, portando alla guerra tra le due organizzazioni, che si conclude

con la sconfitta negli anni 80 della NCO e lo scioglimento della NF.

Negli anni 90/2000 la camorra rafforza la sua struttura orizzontale con vari clan più o meno in lotta

tra loro, fatta eccezione per alcuni cartelli verticistici come il clan dei Casalesi.

‘Ndrangheta

Con il termine 'ndràngheta (o Famiglia Montalbano, Onorata società, la Santa e Picciotteria) si

indica la criminalità organizzata calabrese. La 'ndrangheta si è sviluppata a partire da organizzazioni

criminali operanti nella provincia di Reggio Calabria, dove oggi è fortemente radicata, anche se in

forte espansione anche nelle altre province e all’estero. Nella regione Calabria la 'ndrangheta svolge

un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi sia sul ruolo economico

attualmente raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro sporco.

Struttura

La 'ndrangheta «ha una struttura tentacolare priva di direzione strategica ma caratterizzata da una

sorta di intelligenza organica».

A differenza di Cosa Nostra, la struttura interna ad ogni cosca della 'ndrangheta poggia sui membri

di un nucleo familiare legati tra loro da vincoli di sangue, le 'ndrine. Non sono rari matrimoni tra le

varie cosche per saldare i rapporti tra famiglie mafiose.

Si entra nella 'ndrangheta, o, per dirla nel gergo mafioso, si viene battezzati con un rito preciso, che

può avvenire automaticamente, poco dopo la nascita se si tratta del figlio di un importante

esponente dell'organizzazione, oppure con un giuramento. Per questo motivo è difficile trovare

pentiti.

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La posizione di ogni singolo membro all'interno di una famiglia è severamente disciplinata e

regolata da un ferreo codice al quale non si può sfuggire. Nel caso ci siano problemi con un adepto,

questo viene portato davanti al tribunale della sua cosca.

Più 'ndrine nella stessa zona formano un'entità detta "locale". Ogni locale ha un proprio capo, che

ha potere di vita e di morte su tutti, un contabile, che gestisce le finanze, e un crimine che governa

le modalità di regolamento dei conti con le cosche rivali, organizzando omicidi, estorsioni ed

agguati.

Le organizzazioni mafiose, a partire dal principio della loro esistenza fino ad oggi, crescendo,

modificandosi sia nella forma e nel modus operandi, hanno provocato numerose vittime nell’intero

Paese, molte delle quali morte per denunciare i fatti, per non aver pagato un pizzo o per “sapere

troppo”, alcune addirittura per caso. Queste risultano essere oggi più o meno note alla storia, perite

secondo le modalità più disparate, talvolta neanche riconosciute come tali, o vittime per errore

capitate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quello che certamente si può sottolineare è lo

sconvolgimento che questi singoli eventi, la mancanza improvvisa e violenta di queste persone,

hanno provocato nelle vite di coloro che, vicini alle vittime, sono rimasti in vita. In virtù di tale

sconvolgimento nella propria vita, non meritano anche costoro di essere considerate vittime della

mafia?

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2. Coloro che restano e danno esistenziale

Quando si parla di vittime della mafia, attraverso i media e i giornali, ci si limita molto spesso a

raccontare un evento, una serie di avvenimenti e la tragica fine di una persona che per motivazioni

spesso legate a ricatti, soprusi e vendette, perde la vita in modo tragico e violento. Ma cosa succede

a chi resta? Chi penserebbe immediatamente a come possa reagire una moglie improvvisamente

vedova o un figlio improvvisamente privato di un punto di riferimento così importante come la

figura paterna?, tanto per citare un esempio.

La giurisprudenza, se pur a rilento, in ritardo rispetto ad altre realtà legislative e talvolta con

significativi passi indietro, per andare incontro alla possibilità che a queste vittime vicarie, venga

conferita l’opportunità di vedere in qualche modo riconosciuta questa perdita, ha predisposto un

sistema di riconoscimento del danno in generale e, negli ultimi cinquant'anni ha direzionato il

proprio operato anche verso quei tipi di danno che ledono l'individuo nel suo essere tale e non solo

nel suo essere fonte economica. L'attenzione clinica va nella direzione della certezza che, eventi

della vita significativamente intensi e stressanti portino ad un cambiamento importante in chi lo

esperisce, le modalità di reazione sono le più disparate e dipendenti dalle risorse di cui l'individuo

stesso può beneficiare; indubbiamente l'assetto emotivo e comportamentale conseguente all'essere

vittima di un atto illecito, porta ad una modificazioni dell'esistenza di quell'individuo. anche per

quello che viene definito “danno non patrimoniale”.

Il danno

Il danno è definibile come un pregiudizio fornito da un soggetto, che può essere la conseguenza di

un fatto illecito, di un inadempimento ma anche di un fatto lecito. La giurisprudenza lo definisce

come perdita in senso ampio, cioè come elemento negativo rispetto alla situazione preesistente

(Cass. 4 Novembre 2003, n 16525,GDir, 2003, fasc 50,50). È opinione abbastanza diffusa che si

tratti comunque della conseguenza di una lesione dell’interesse altrui, tutelato giuridicamente.

La giurisprudenza prevede una serie di differenti tipologie di danno alla persona che possono essere

classificate principalmente in due aree, danno patrimoniale e danno non patrimoniale.

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L’ottica tradizionale identificava il danno patrimoniale quello prevalentemente considerato, ad oggi,

probabilmente anche in conseguenza della maggiore attenzione verso sfere variegate dell’esistenza

umana, questa visione risulta superata. Sembrerebbe essere diventato di principale importanza, anzi,

l’aspetto che dedica l’attenzione a tutto ciò che caratterizza un danno alla persona nel suo essere. Il

danno patrimoniale (art. 1223 del cc) viene definito come dell’avere, si identifica con un danno

caratterizzato da pregiudizio di natura economica, ovvero quel tipo di pregiudizio il cui danneggiato

risente nella sua sfera patrimoniale. Per questo tipo di danno è previsto un risarcimento che abbia la

funzione di colmare il gap tra la situazione economica del danneggiato e quella che sarebbe dovuta

essere se il danno non ci fosse stato. L’articolo 1223 del c.c. distingue i danni patrimoniali in due

sottotipologie: nella perdita di guadagno (danno emergente) e nel mancato guadagno (lucro

cessante).

Dal danno patrimoniale differisce grandemente quello non patrimoniale. Quest’ultimo, risulta essere

quello che, come già accennato, viene tradizionalmente identificato quel danno che lede gli aspetti

non reddituali della sfera giuridica dell’individuo. Negli effetti il danno non patrimoniale, potrebbe

definirsi come una sorta di contenitore che presenta una serie di differenti categorie di danno al suo

interno. È importante sottolineare che queste mostrano differenti sfaccettature che si focalizzano su

aspetti dell’esistenza umana decisamente differenti.

Tipi di danno non patrimoniale

Il primo danno non patrimoniale riconosciuto dalla giurisprudenza è stato il danno morale. È

caratterizzato da conseguenze di un atto illecito, che portano vissuti di turbamento psichico

soggettivo e transuente. È caratterizzato da sofferenza, inteso come stato di prostrazione e

abbattimento provocato dall’evento dannoso. Le sofferenze morali, portano con se un patimento

interiore, è legato ai sentimenti e alle affezioni, viene messo in relazione ad uno stato d’animo che,

molto spesso, porta con se vissuti di tristezza e angoscia in conseguenza dell’illecito. Questa

tipologia di danno non sempre e necessariamente arriva ad alterare l’equilibrio interno dell’Io e

come questo, si relaziona con l’ambiente circostante.

Il danno biologico o danno alla salute, è il danno alla sfera psico-fisica. Nasce principalmente in

ambito dottrinario ha avuto un successivo grande sviluppo dopo che una nota sentenza della Corte

Costituzionale (n184/1986) affermò il diritto al risarcimento del danno alla salute (danno

biologico), inteso come una menomazione dell’integrità psicofisica della persona che incide sul

valore-uomo in tutta la sua dimensione che non si esaurisce nella sola propensione a produrre

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ricchezza. Dall’esigenza di definire più precisamente il danno biologico, inizia storicamente a

prendere piede anche il concetto di danno psichico. Questo viene inteso come il danno all’integrità

psicofisica consistente in una malattia di tipo psichiatrico.

Un’altra forma di danno è quella esistenziale. Questo è un danno in cui viene tradito un diritto

inviolabile della persona, tutelato dalla Costituzione. A livello psicologico-giuridico viene definito

come una alterazione del modo di essere di una persona nei suoi aspetti individuali e sociali. A

livello individuale si presenta come una modificazione della personalità e dell’assetto psicologico

nel suo adattamento, nei suoi stati emotivi, nella sua efficienza ed autonomia. A livello sociale si

manifesta come una alterazione del manifestarsi del personale modo di essere in svariati ambiti.

Alcuni ambiti che potrebbero essere citati sono quelli di natura relazionale, con familiari e persone

con cui si hanno legami affettivi, attività di svago, sociali, di autorealizzazione e

autodeterminazione, in definitiva quelli che soddisfano bisogni secondari e non strettamente legati

alla mera sopravvivenza. Sostanzialmente viene definito dalla dottrina della giurisprudenza, quel

danno che riguarda la relazione tra l’individuo con la sua personalità e il mondo esterno, il fuori e si

distingue dal sopradescritto danno morale che invece riguarda “il dentro”.

Accertamento del danno non patrimoniale: aspetti psicologico-giurudici

L’accertamento del danno rappresenta un passaggio importante per definire la possibilità di vedersi

riconosciuto un risarcimento. Il danno non patrimoniale, per le sue caratteristiche legate all’essere

un “danno conseguenza”, comporta il principio “dell’onere della prova”. Quest’ultimo è un

principio del diritto attraverso il quale per dimostrare un fatto, si ha l’obbligo di fornire prove

dell’esistenza del fatto stesso. Il suo essere non palesemente visibile porta alla necessità di dover

essere ulteriormente dimostrabile, quindi colui che viene danneggiato, deve dar prova non solo di

ciò che lamenta, ma anche del fatto che questo sia diretta conseguenza dell’illecito subito e non di

altro. In tema di danno alla persona e consulenza tecnica, l’Associazione Italiana Psicologi Giuridici

fornisce una serie di indicazioni per l’accertamento psicologico giuridico che danno non

patrimoniale. Vengono ipotizzati 5 passi principali. Primariamente è indispensabile lo stato psichico

esistenziale prima dell’evento. Per giungere a ciò è importante ricostruire l’evento stesso, la storia

del soggetto pregressa anche attraverso la raccolta accurata di informazioni anamnestiche, e

all’analisi dell’eventuale documentazione clinica. È fondamentale accertare la presenza pregressa

di disturbi psichici oltre che valutare come il soggetto sia inserito nel suo contesto sociale e strutturi

o abbia strutturato le sue relazioni sociali prima dell’evento. Il secondo fondamentale passo è quello

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di indagare lo stato psichico ed esistenziale attuale del soggetto. Validi strumenti utili sono i

colloqui clinici e i test psicodiagnostici, indagando soprattutto meccanismi di difesa, il livello di

compensazione, il livello attuale di integrazione sociale relazionale ed individuale. Nell’ambito del

qui ed ora, diventa fondamentale una corretta diagnosi differenziale per inquadrare la situazione in

maniera più incisiva e comprendere se i sintomi siano di derivazione post trauma o di fasi

precedenti. Il terzo importante passo è quello di valutare se la persona che lamenta il danno stia

fingendo o tecnicamente simulando, quindi produce intenzionalmente dei sintomi falsi o esagerati,

per trarne un benefici di qualsiasi natura essi siano. Il presupposto di base è l’intenzionalità, per

contrastarla e farla emergere è indispensabile utilizzare al meglio quelle che vengono definite

“armi” della psicologia. Strumenti come ad esempio l’attenta osservazione del comportamento,

l’analisi della congruenza tra comportamento verbale e non, il colloquio clinico e la coerenze tra i

dati anamnestici e gli esami clinici e gli strumenti psicometrici.

Il passo successivo è quello di definire il nesso tra un fatto e un evento. Ricercarne la causalità,

dimostrando quindi che un fatto, un comportamento o più genericamente una condotta umana sia

proprio la conseguenza di un dato evento-reato. La natura di questo nesso, può essere una causa

diretta, ovvero una condizione necessaria e sufficiente per la produzione dell’evento; una concausa,

ovvero una condizione necessaria ma non sufficiente per produrre l’evento; può anche essere

un’occasione o circostanza, cioè, che favorisce la produzione della causa; può essere, infine, una

coincidenza, di luogo o tempo indifferente alla messa in azione della causa e alla produzione

dell’evento. Fondamentale per l'accertamento dell'esistenza di tali condizioni in ambito giuridico,

risulta essere il ruolo del CTU. A lui spetta il compito di accertare l'esistenza o meno del trauma,

valutando se il danno subito ha causato una compromissione, menomazione o una riduzione delle

capacità di comprendere ed accertare la realtà, attraverso dei processi di adattamento che risultano

squilibrati.

L’ultimo passo è la quantificazione del danno psichico ed esistenziale. Sembra essere un delicato e

complesso argomento, per cui è indispensabile l’inquadramento diagnostico e la definizione del

livello di gravità delle conseguenze del danno. Per analizzare tale gravità, bisogna soffermarsi

innanzi tutto sull’entità della sintomatologia, su quanto in effetti l’individuo sia stato compromesso

in termini di funzionamento socio-lavorativo e dell’esame di realtà.

In merito alla quantificazione del danno esistenziale, esistono delle tabelle retributive di legge che

sono quelle dell’INAIL e delle RC Auto. Esistono inoltre, delle tabelle retributive riscontrabili in

letteratura come quella proposta dall’Ordine degli Psicologi del Lazio: “linee guida per

l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno biologico-Psichico e del danno da

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pregiudizio esistenziale”, o, per citare un altro esempio, come quella di Buzzi e Vanini denominata

“guida alla valutazione psichiatrica e medico legale del danno biologico di natura psichica”. Tra gli

strumenti utili presenti in letteratura, per la quantificazione del danno esistenziale, sono da

nominare oltre le già citate linee guida promosse dall’Ordine degli psicologi del Lazio, il modello di

quantificazione dell’Associazione Italiana Psicologi Giuridici.

Il presupposto di queste linee guida è quello che emerge dalla mancanza, ancora oggi, di una

particolare attenzione a quella che è la sfera prettamente psicologica della realtà umana, ancora

fortemente ancorata alla visione medico-legale. In presenza di particolari ed evidenti patologie

psichiche, è lo psicologo forense la figura specialistica di riferimento per valutarne l'entità e di

conseguenza valutare l'impatto del danno su di esso, descrivendone le caratteristiche.

Il criterio della quantificazione del danno proposto parte dal suddividere il danno in fasce di diversa

gravità, rilevare degli indici significativi ed assegnare un punteggio. Vengono distinte

principalmente cinque fasce che corrispondono ad un altrettanti livelli di ranges percentuali, in linea

con l'esigenza di personalizzare il danno.

Viene suddiviso in danno: lieve (6-14%), che corrisponde ad una lieve alterazione dell'assetto

psicologico, delle relazioni familiari affettive e delle attività realizzatrici. Ad un a percentuale del

16-30% corrisponde un livello moderato di queste alterazioni, ad una percentuale del 31-50%

corrisponde una alterazione media e al 51-75% una alterazione grave. Il danno gravissimo produce

una alterazione altrettanto gravissima che raccoglie una percentuale che va dal 76 al 100%.

Questo sistema di assegnazione di un punteggio, può essere utilizzato in vari ambiti dell'esistenza

umana, che toccano l'aspetto psicologico. Si pensi ad esempio quanto sia indispensabile valutare

l'assetto personologico o l'ambito delle relazioni familiari ed affettive, così come le attività

ricreatrici. Indispensabili inoltre, l'ambito riguardante le relazioni sociali, e quello

dell'autorealizzazione. Tutti pezzi del puzzle dell'esistenza individuale che caratterizzano

costantemente l'individuo fornendogli la sua peculiare identità. Tali sfere dell’esistenza umana

possono venire estremamente modificate o alterate alla presenza di un evento fortemente

traumatico, come subire un danno derivante da un illecito.

Il criterio utilizzato per valutare il livello di gravità dell'ambito della personalità, può essere

prevalentemente di natura descrittiva e su scala ordinale, orientato e definito sulla base delle

caratteristiche dell'individuo che subisce il danno.

Per valutare la compromissione delle sfere psicologiche dell'individuo, si parte dall'analizzare

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quanto, il danno subito e le sue caratteristiche abbiano influito su quelle che possono essere

considerate le sfere psicologiche fondamentali. Tra queste, gli aspetti riguardanti l'ambito interno ed

esterno dell'individuo, incontro/relazione con l'altro, autoregolazione, emotività e inclinazione

all'essere curiosi, contribuendo quotidianamente e costantemente a caratterizzare la personalità di

ogni individuo in relazione sia alle caratteristiche individuali che in relazione con il suo contesto

esterno sia macro che micro di appartenenza, sono indispensabili da analizzare.

Parlare di danno gravissimo, ad esempio, vuol significare parlare di alterazione abnormi

dell'individuo. Focalizzandoci sulla linea di continuum interno del se-esterno quindi, possiamo

avere casi estremi come isolamento e pessimismo con apatia e chiusura da un lato e dall'altro stati di

eccitabilità, reattività ed esaltazione. La stessa valutazione può essere fatta sulla linea di continuum

della qualità dell'incontro con l'altro che può essere caratterizzata dall'ostilità, l'astio o atteggiamenti

eccessivamente remissivi e concilianti. Anche l'autoregolazione può essere fortemente

compromessa, sia nel senso dell'eccessiva scrupolosità e autodisciplina o totale mancanza di

affidabilità e autocontrollo. Nell'area dell'emotività si possono avere delle serie difficoltà a

moderare le proprie reazioni in situazioni di fastidio o conflitto reagendo con eccessiva irritabilità

insicurezza o estrema rabbia o con reazioni incontrollate.

Nell'area della scoperta del nuovo e della curiosità può presentarsi una gravissima alterazione tale

da inibire completamente la curiosità o al contrario indurre alla eccessiva e spasmodica ricerca di

cose ed informazioni nuove. Le stesse sfere possono essere valutate in base ai differenti livelli del

danno ed essere declinate come tali, facendo emergere comportamenti qualitativamente differenti.

Un altro ambito importante, che qui si intende sottolineare particolarmente, è quello delle relazioni

familiari ed affettive.

Osservando il sistema familiare, questo si presenta come una realtà estremamente complessa,

caratterizzata da una serie di sottosistemi relazionali altrettanto complessi. Ognuno di essi comporta

l'esistenza di ruoli, aspettative, responsabilità. In virtù di tale complessità, per essere valutata, è

necessario avere un punto di riferimento immaginato ed ideale, che va da un funzionamento

adeguato e funzionale al soddisfacimento e la cura dei bisogni dei suoi componenti ad un estremo

disfunzionale, sconvolto dalla presenza dell'illecito e del danno. Le variabili da prendere in

considerazione per la valutazione del danno sono: la morte o la malattia, la gestione dei ruoli e dei

confini dei sottosistemi e la qualità degli scambi relazionali ed affettivi. Tali linee guida,

predispongono un continuum che va dal danno gravissimo, in cui è presente una altissima

instabilità, grave chiusura e isolamento, vissuti di colpa e percezione di instabilità, disinteresse per

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le esigenze affettive dei membri e una generale grave compromissione dei sottosistemi familiari,

fino gradualmente ad arrivare al danno lieve in cui sono presenti occasionali manifestazioni di noia

clima emotivo pessimistico e negativo, difficoltà nel risolvere i conflitti e concordare le regole.

Le linee guida, predispongono in maniera dettagliata le percentuali del danno per le psicopatologie

conclamate ed identificate dai criteri diagnostici del DSM IV ma sottolineano che, in merito ai

fenomeni come ad esempio la morte di un familiare o lutto patologico, non si possono identificare

delle relazioni specifiche in merito, proprio perchè per la loro essenza possono variare da individuo

ad individuo e produrre o meno la presenza di pregiudizi esistenziali o alterazioni patologiche

classificabili secondo il DSM stesso.

In sede di valutazione del danno di natura psichica o esistenziale, il consulente deve tenere presente

una serie di livelli ed aree da indagare. Deve possedere delle solide conoscenze cliniche e attraverso

un criterio metodologico strutturato e l'utilizzo di strumenti tecnici standardizzati, utilizzando ausili

come linee guida, deve essere in grado, di stabilire quanto un evento traumatico abbia inciso sulla

modificazione o l'assetto di un individuo e del suo contesto di appartenenza.

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3. Delitto di mafia e danno non patrimoniale

La ricerca Psicologica

Si può definire ancora in esplorazione l’ambito della ricerca scientifico-psicologica e degli studi

compiuti sui parenti delle vittime della mafia. Se ci riferiamo alle conseguenze di tipo psicologico e

psichiatrico che questi accadimenti, spesso violenti e non spesso attesi, possano suscitare in “coloro

che restano” siamo ancora più lontani dal poter sostenere di rilevare significativi studi in merito.

Relativamente maggiore attenzione è rivolta, invece a coloro che sopravvivono a un delitto di

mafia. Certamente ciò che accade in entrambi i casi, è spesso una condizione di solitudine,

isolamento, paura, rabbia, timore di perdere ancora qualcuno di caro e il rivivere continuamente

l’evento e l’angoscia che questo ha portato con se.

Nel nostro Paese, pur essendoci una cultura fortemente diffusa sull’esistenza della mafia e

dell’operato delle organizzazioni mafiose, e pur avendo causato così tanti morti, non esiste una

vasta bibliografia che si sia focalizzati sull’analisi delle conseguenze psicologiche nei parenti delle

vittime, “i sopravvissuti di mafia”.

Alcuni spunti di riflessione significativi, che vanno nel senso dell’esplorazione di quali possano

essere le ripercussioni psicologico-cliniche di questi drammatici eventi, possono essere rilevabili

dalle informazioni fornite dalle Associazioni che tutelano questa categoria di vittime, prima tra tutte

“Associazione dei parenti vittime di mafia”. La maggior parte dei dati che si evincono accennano

alla possibilità di riscontrare frequentemente reazioni di rabbia, rancore, tristezza e depressione. In

molti casi, e questa Associazione ne è un esempio concreto, emerge la rabbia, l’esigenza e il

desiderio di rivalsa, di reagire con la consapevolezza che ciò che è stato brutalmente strappato alla

vita, non può tornare indietro ma avere la funzione di lanciare dei messaggi di denuncia e di

speranza che nessun altro debba condividere le stesse angosce.

In ambito clinico rispetto alle reazioni della vittime sopravvissute, il Disturbo Post Traumatico da

Stress viene identificato come principale conseguenza clinica dell’evento delittuoso. Sembrerebbe

frequente, infatti, riscontrare in queste persone, quei comportamenti che sono la risposta di

un'intensa paura, di impotenza e di orrore come da criteri previsti dal DSM IV, gli capita

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costantemente di rivivere in maniera vivida l’evento e di conseguenza gli stessi sentimenti. Queste

reazioni risulterebbero essere tipiche di quelle persone che hanno vissuto, o sono state testimoni o

hanno affrontato uno o più eventi che riguardano la morte sia essa reale o temuta o un danno grave

o una minaccia per la propria integrità fisica o degli altri; E’ importante sottolineare che spesso, le

associazioni risultano, come in questo caso, strutturate al punto da essere i principali centri che

forniscono informazioni, sostegno psicologico, rivolto in modo particolare, a chi fa un'esperienza

diretta, con risvolti spesso drammatici, delle organizzazioni criminali.

Ciò di cui queste persone necessitano, è un sostegno, un bisogno di attivare delle risorse nuove.

Spesso, questo sostegno, viene innanzitutto dal mondo degli affetti che circonda la “vittima”, se

sufficientemente strutturato e in grado di fornire il gusto supporto. Queste associazioni si occupano

di sostenere tale contesto o a volte, fungere addirittura da unico contesto-risorsa. Si possono

riscontrare casi in cui, infatti, non è possibile potersi affidare alle stesse Autorità o a qualcuno di

vicino, in un caso perché manca la fiducia e la garanzia di sentirsi protetti e nell’altro, mancano

quegli affetti e quegli stimoli necessari per recuperare la propria stabilità. Nel caso di fatti delittuosi

gravi che non colpiscono soltanto la persona offesa ma che investono tutta la famiglia o addirittura

una intera collettività, tale realtà si trasforma in un incubo non facilmente elaborabile.

Si pensi, per esempio, quali reazioni possa scatenare la morte violenta di un familiare; o ancora, si

pensi alle vittime del racket e alle conseguenze di tale reato sull'intero nucleo familiare e sui minori

in particolare. Per non parlare, poi, di quelle particolari condizioni ambientali che, producendo

solitudine o isolamento e rendono più arduo il ritorno ad una vita quanto più normale possibile delle

vittime. Questi sono soltanto alcuni esempi di situazioni che possono determinare, senza un

adeguato sostegno, la cronicizzazione dei disturbi post-traumatici, i cui effetti negativi sulla persona

possono a loro volta produrre ulteriori drammi.

Certo è che ad oggi, questo tipo di realtà sembra suscitare poco interesse nell’ambito psicologico

scientifico del contesto Italiano. In sintesi dalle ricerche in letteratura risulta che in Italia non

esistono adeguati studi che indagano le condizioni ed i bisogni dei familiari di vittime di omicidio

in generale e gli effetti generati dall’evento tragico di delitti con impronta mafiosa in particolare.

Gli studi disponibili sono orientati all'analisi delle reazioni dei familiari di vittime di omicidio,

come ad esempio viene spiegato in un recente lavoro di ricerca di Fereoli-Pelosi che si concentra sui

familiari delle vittime di omicidi e le loro reazioni psicologiche. Studi più strutturati sulle

“surviving families”, provengono soprattutto dagli Stati Uniti, si riferiscono a ricerche svolte sulla

popolazione americana, focalizzandosi sulla gravità e la complessità delle conseguenze subìte dalla

surviving families e la necessità di supporti materiali, psicologici, medici, giuridici e sociali dopo la

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morte di un familiare. Da citare sono le ricerche e i piani di intervento, per il supporto dei familiari

di poliziotti deceduti in servizio in un caso o più in generale come vengono trattate le “Traumatic

Work-Related Death”. In entrambi i casi, a seguito di una approfondita analisi dell'evento, delle

reazioni comuni e delle patologie che spesso scaturiscono, viene impostato un piano di sostegno e

trattamento psicologico che accompagna il familiare dal momento della comunicazione della notizia

del decesso fino al risarcimento economico.

Aspetto Legislativo

Sull’argomento la Legislazione Italiana, per quanto più “acculturata” sull’argomento di quella

clinico-scientifica, risulta essere molto indietro in merito all’adeguamento delle disposizioni a tutela

delle vittime di reati gravi e dei suoi familiari, come ad esempio l’omicidio, che l’Unione Europea

ha promosso e a cui, gli Stati membri dovrebbero prontamente adeguarsi.

Nel nostro Paese, attualmente, l’unico punto di interesse sull’argomento riguardante le vittime della

mafia, sembra essere ancora una volta esclusivamente, l’aspetto economico. Anche se questo risulta

apparentemente paradossale per un danno “non patrimoniale”.

Nello specifico, sembra che ci si preoccupi soprattutto di capire come e chi indennizzare

economicamente, per un delitto, subìto in modo “indiretto”.

Centrale è, in merito, l’ordinanza del 26 aprile 2010, il Tribunale di Palermo, che in una sentenza

presidiata dalla Dott.ssa Paola Proto Pisani, si è espresso in materia di risarcimento danni a favore

delle vittime della mafia. Il provvedimento ha riconosciuto ai ricorrenti, fratelli della vittime, il

diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali rappresentati dalla perdita del rapporto parentale.

Rifacendosi a quanto il tribunale ha rilevato dalla giurisprudenza in merito, come ad esempio nella

sentenza del Tribunale di Trento, sent. 19 Maggio 1995, il Giudicante ha affermato che, mentre per

i parenti delle vittime più prossimi costituenti la famiglia nucleare (figli, genitori, fratelli e sorelle)

la legittimazione attiva non richiede altra verifica rispetto al legame diretto del grado di parentela,

per gli altri parenti ed affini come ad esempio nonni, nipoti, zii, cugini, cognati, non basta la

dimostrazione del rapporto di parentela o affinità e che, chi richiede il risarcimento deve fornire la

dimostrazione che, con la morte della vittima, abbia effettivamente perduto un valido sostegno

morale.

Ad oggi questo risulta essere il punto più dibattuto e critico in tema del risarcimento del danno non

patrimoniale per i parenti delle vittime della mafia. Si tratta infatti di individuare chi sono

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veramente i soggetti che sono legittimamente autorizzati al ristoro con tale voce risarcitoria. In

generale, infatti, si riconosce la legittimazione esclusivamente alla vittima del reato, ma in alcune

ipotesi si prospetta l’eventualità che, pur essendo unica vittima del reato, l’illecito manifesti una

potenzialità plurioffensiva, con la conseguenza che va accordata la tutela anche a soggetti diversi

dalla vittima. Questo è esattamente, anche secondo questa sentenza, quanto accade nell’ipotesi di

illecito che abbia cagionato la morte della vittima, purchè naturalmente, il danno sia riconducibile e

ricollegabile al fatto illecito stesso, e questo possieda gli elementi essenziali per essere definito

come reato; questa opportuna legittimazione, viene attribuita ai vicini congiunti in vista della

sussistenza di sofferenze e patemi d’animo ricollegabili al fatto illecito (cfr. Cassazione civile

7.5.1983 n. 3116). Secondo l’orientamento tradizionale “il risarcimento del danno non patrimoniale,

derivante dalla morte ex delicto, va riconosciuto in favore dei prossimi congiunti,

indipendentemente dalla loro qualità di eredi, quando il rapporto di stretta parentela con la vittima,

le condizioni personali ed ogni circostanza del caso concreto evidenzino un grave perturbamento

del loro animo e della loro vita familiare.

Il risarcimento viene ottenuto a sentenza definitiva, sottoforma di rimborso di natura pecuniaria e,

qualora la persona condannata per il reato commesso, non possa di fatto “rimborsare” le parti civili

per il proprio operato, si può accedere ad un risarcimento previsto dallo Stato, attraverso l’accesso

ad un Fondo apposito.

Fondo di Solidarietà in favore delle vittime dei reati di tipo mafioso

La legislazione Italiana, ha stabilito con la Legge 512 del 1999, l’istituzione di un Fondo per la

solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. L’ultima delibera del 18 febbraio 2009, integrata

con la successiva n.2 del 25 febbraio 2009, l’accesso al Fondo di Rotazione per la Solidarietà alle

vittime dei reati di stampo mafioso. Questo fondo, ha lo scopo di sostenere le vittime dei reati

mafiosi, garantendo il risarcimento dei danni liquidati in sentenza. Nello specifico, lo Stato, agisce

principalmente attraverso: Il fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo

mafioso, il Comitato di solidarietà per le vittime di tali reati e il Commissario per il coordina lento

delle iniziative di solidarietà per le vittime di tali reati, che presiede il Comitato di solidarietà.

Il fondo è costituito, a livello economico, da un contributo annuale dello Stato. In particolare deriva

dall’ammontare delle somme confiscate dalla vendita dei beni sequestrati e confiscati alle

organizzazioni mafiose. Un’altra quota viene definita annualmente con un decreto del Ministro

dell’Interno, sulla base di apposita concessione. Fondamentalmente è il Comitato che decide,

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presieduto dal Commissario, a quanto ammonta il contributo che viene devoluto al Fondo, volto

prevalentemente alle vittime di estorsioni ed usura. Il fondo viene gestito dalla CONSAP,

Concessionaria di servizi assicurativi pubblici, per conto del Ministero dell’Interno sulla base di

un’apposita concessione. Il Comitato decide sulle domande di accesso al Fondo, previa verifica dei

presupposti e requisiti di legge.

Presupposti:

per accedere al fondo bisogna essersi costituiti come parte civile di persone fisiche o Enti destinatari

di sentenze emesse successivamente al 20 Settembre 1982, di una serie di delitti di cui l’Art. 416 bis

del c.p., delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso e delitti commessi per

agevolare le attività di tipo mafioso. Queste sentenze possono essere di condanna definitiva al

risarcimento dei danni patrimoniali e non, non definitiva al pagamento di una provvisionale e di

condanna per il risarcimento delle spese di difesa.

Requisiti:

sono fondamentalmente caratterizzati dall’inesistenza nei confronti del richiedente e/o della vittima

deceduta di sentenze definitive di condanna o procedimenti in corso o misure di prevenzione, ai

sensi della legge del 31 Maggio 1965, n 575.

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5. Il Paradosso consolatorio: Le storie...

Lenin Mancuso, nato a Rota Greca il 6 Novembre 1922, morto a Palermo il 25 Settembre 1979

quando era Maresciallo della Polizia di Stato; Assegnato come scorta del giudice istruttore Cesare

Terranova, fu ucciso in un agguato mafioso poco tempo dopo che il giudice aveva chiesto di essere

nominato capo dell'ufficio istruzione; Gli assassini sono rimasti ignoti .I condomini dell'edificio

sotto al quale fu ucciso (fra la via Rutelli e la via De Amicis) rifiutarono di consentire l'apposizione

di una targa che ricordasse l'accaduto, comunque a Lenin Mancuso è stata dedicata una via a

Palermo.

La sentenza citata precedentemente, prende spunto proprio dalla storia di questo Maresciallo della

Polizia ucciso dalla mafia. Dalla sentenza come si è detto, viene esplicitato che non è sufficiente la

dimostrazione di parentela con la vittima di mafia.

Entrando nel dettaglio, la sentenza in esame presenta spunti di interesse perché riguarda i requisiti

necessari per il riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale per perdita di rapporto

parentale di un maresciallo di pubblica sicurezza ucciso dalla mafia nel 1979. La responsabilità

risarcitoria dei convenuti nel giudizio civile è stata sancita da sentenza penale di condanna passata

in giudicato.

La questione risolta concerneva, nello specifico, se il risarcimento del danno morale derivante da

morte causata da delitto fosse attribuibile anche ai congiunti non appartenenti alla famiglia nucleare

ovvero conviventi, come parenti e affini nel caso di specie i fratelli. Sul punto, la giurisprudenza di

legittimità aveva già affermato che tale danno non patrimoniale vada risarcito nel caso della perdita

dimostrata del "valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di

convivenza, ove si tratti di soggetto che, per il tipo di parentela, non abbia diritto di essere assistito

anche moralmente dalla vittima" (Cass. 6938/1993).

Successivamente, la giurisprudenza di merito aveva precisato tale criterio affermando che per il

riconoscimento della legittimazione a tale domanda devono senza dubbio ritenersi aventi diritto il

coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle, mentre per gli altri parenti e gli affini la domanda

può essere riconosciuta solo se viene provato il "valido sostegno morale" venuto a mancare.

(Tribunale di Trento, 19 maggio 1995).

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Sulla base di questa ricostruzione giurisprudenziale il giudice riconosce il risarcimento del danno

non patrimoniale ai fratelli del maresciallo ucciso valutandone la quantificazione con parametri

equitativi concreti. Il criterio adottato "pur rimanendo essenzialmente equitativo, offre un parametro

di riferimento concreto, anche in relazione all'esigenza di indicare gli estremi logico-giuridici e

fattuali che hanno guidato la quantificazione (cfr. Cassazione civile, sez. II 11.2.1998 n. 1382): si

liquida, allora, sulla base del danno morale che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire,

avesse riportato una invalidità del 100%, tenendo pure conto delle esigenze del caso di specie, e

cioè dell'età della persona offesa e del dolore arrecato ai familiari per la sua morte e di tutte le

circostanze ed elementi della fattispecie in modo da rendere la somma liquidata il più possibile

adeguata all'effettivo pretium doloris; ciò utilizzando un parametro di riferimento preciso,

rappresentato dalle tabelle in uso presso questo Tribunale per la liquidazione del danno biologico e

del morale".

In concreto, "considerando che L.M. al momento della morte aveva cinquantasette anni, secondo i

parametri adottati dal Tribunale per la determinazione del danno morale (da 1/4 alla metà rispetto

alla quantificazione del danno biologico, determinato a sua volta con "criterio tabellare" ormai

noto), gli sarebbe potuta spettare, se fosse rimasto in vita, a titolo di ristoro del danno morale, una

somma oscillante tra euro 250.000,00 e 125.000,00 - in valuta attuale (con i dovuti arrotondamenti

ad equità come il caso specifico impone)".

Nei fatti il giudice utilizza le tabelle del Tribunale di Palermo alla luce dell'età della vittima al

momento del delitto, della circostanza che i fratelli avevano convissuto con essa molti anni anche

dopo il suo matrimonio e la nascita dei figli, nonchè contemperando il risarcimento rispetto a quello

ricevuto dalla moglie e dai figli. La somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale risulta

quindi ammontare a 249.261,63€ (dei quali 124.261,66 per interessi) a ciascun fratello del

maresciallo ucciso dalla mafia.

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Paolo Borsellino, nasce a Palermo il 19/1/1940. La famiglia vive e vivrà in un quartiere

borghese di Palermo: la Magione. Borsellino è molto attaccato a questo quartiere dove ha

trascorso tutta la giovinezza. Ambedue i genitori erano farmacisti. Dopo avere frequentato il

Liceo classico "Meli" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo.

Il 27 giugno 1962, all'età di appena 22 anni, Borsellino si laurea con 110 e lode e, pochi giorni

dopo, subisce la perdita del padre. Ora è affidato a lui il compito di provvedere alla famiglia. Si

impegna con l’ordine dei farmacisti a tenere la farmacia del padre fino al conseguimento della

laurea in farmacia di sua sorella. Tra piccoli lavoretti e le ripetizioni Borsellino studia per

superare il concorso in magistratura. Ci riesce nel 1963.

“Fare il magistrato a Palermo ha un senso profondo, non è una professione qualunque”.

L’amore per la sua terra, per la giustizia gli danno quella spinta interiore che lo porta a

diventare magistrato senza trascurare i doveri verso la sua famiglia.

Nel 1965 Borsellino viene mandato al tribunale civile di Enna come uditore giudiziario.

Nel 1967 ha il primo incarico direttivo, Pretore a Mazara del Vallo nel periodo del dopo

terremoto.

Il 23 dicembre del 1968 Borsellino si sposa, continua a lavorare a Mazara facendo avanti e

indietro da Palermo, anche più volte al giorno.

Nel 1969 viene trasferito alla pretura di Monreale dove lavora fianco a fianco con il capitano dei

Carabinieri Emanuele Basile.

Nel 1975 Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio istruzione

processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con il Capitano Basile lavora alla prima

indagine sulla mafia e da questo momento comincia il suo impegno senza sosta per sconfiggere

l’organizzazione mafiosa.

Nel 1980 arriva l’arresto dei primi sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano viene ucciso in un

agguato. Per la famiglia Borsellino arriva la prima scorta con le difficoltà che ne conseguono.

Da questo momento il clima in casa Borsellino cambia e il giudice stesso deve relazionarsi con

"quei ragazzi" che gli sono sempre a fianco e che cambieranno per sempre le abitudini sue e

della sua famiglia.

Il suo modo di fare, la sua decisione influenzano il "sentire" dei suoi familiari. Dalle parole della

moglie, ancora, si può comprendere il rispetto e la sofferenza che si alternano costantemente:

"...Il suo modo di esercitare la funzione di giudice lo condivido perché anch’io credo nei valori

che lo ispirano....Non penso mai, per egoismo, per desiderio di una vita facile di

ostacolarlo....Non è stato un sacrificio immolare la sua vita al mestiere di giudice: ama

tantissimo cercare la verità, qualunque essa sia."

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La scorta costringe il giudice e la sua famiglia a convivere con un nuovo sentimento: la paura.

Muore con tutta la scorta con l’esplosione dell’autobomba sotto la casa, in via D’Amelio, E’ il

19 luglio del 1992.

Dopo la sentenza Totò Riina, è stato condannato a pagare 3 milioni e mezzo di risarcimento alla

famiglia di Paolo Borsellino, per danni di natura non patrimoniale.

Tale cifra è stata stabilita dal tribunale civile di Palermo, il quale ha condannato a pagare il

boss Totò Riina e Salvatore Biondino. Il denaro, in questo caso è stato erogato materialmente dal

Fondo di rotazione e solidarietà per le vittime della mafia.

La sentenza è del giudice unico della prima sezione civile del tribunale del capoluogo siciliano,

Luigi Petrucci. Ad avviare l'azione civile è stata formalmente la vedova del giudice, Agnese

Piraino Leto, insieme con i figli Lucia, Manfredi e Fiammetta.

Il risarcimento disposto dalla sentenza è di 755 mila euro per Agnese Piraino Leto, di 929 mila

per la figlia Lucia, 815 mila per Manfredi e 861 mila per Fiammetta Borsellino.

“Non potrà mai rimarcarsi abbastanza che la perdita del marito e del padre, nel modo tragico che

ha sconvolto le coscienze del Paese e, a maggior ragione, quella dei parenti più intimi, non potrà

mai essere integralmente compensata da una somma di denaro” scrive il Giudice stesso al termine

dei lavori.

La sentenza potrebbe ancora essere impugnata dall'avvocato dei Borsellino, perché la famiglia

aveva chiesto il risarcimento di cinque milioni di euro.

Giuseppe, Peppino Impastato, nasce a Cinisi, il 5/1/1948 e lì muore nel Maggio del 1978.

Politico, conduttore radiofonico, vissuto e morto per le denunce delle attività della mafia

siciliana. Nasce in una famiglia mafiosa, il padre era stato inviato al confino durante il

periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi ed il cognato del padre era un capomafia,

ucciso in un agguato con la sua auto imbottita di tritolo.

Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un'attività politico-culturale

antimafiosa. Fonda un giornalino "l'idea socialista” e si aggrega ad un partito politico di tale

corrente. Dal 1968 in poi, partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra.

Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista

dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.

Nel 1976 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali

(cineforum, musica,teatro, dibattiti, ecc.); nel 1976 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata,

con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del

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capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali

di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza,

trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.

Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato

nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale; col suo cadavere

venne inscenato un attentato, atto a distruggerne anche l'immagine, con una carica di tritolo posta

sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il

suo nome, e lo eleggono simbolicamente, al Consiglio comunale.

Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l'attentatore sarebbe

rimasto vittima di suicidio dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti mesi prima.

L'uccisione, avvenuta in piena notte, riuscì a passare la mattina seguente quasi inosservata

poiché proprio in quelle ore veniva "restituito" il corpo senza vita del presidente della DC Aldo

Moro in via M. Caetani a Roma.

L'omicidio è inizialmente passato inosservato ma, grazie all'attività del fratello Giovanni e della

madre Felicia Impastato (1916 - 2004), che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa e

comunicano di voler andare a fondo per dimostrare la mano mafiosa del delitto. Grazie, anche, ai

compagni di militanza e agli amici di una vita, attraverso la costituzione del Centro siciliano

Giuseppe Impastato, venne individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della

documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria.

Dal processo emerge che il quadro probatorio conferma pienamente la particolare matrice mafiosa

del delitto e soprattutto consente di sciogliere quelle residuali perplessità fatte proprie dal G.I. nella

sentenza precedente, venne accertato che Badalamenti Gaetano, decise l'omicidio e la sua esecuzione

con quelle particolari modalità, in quanto maggiore interessato sia all'eliminazione del giovane, che

alla successiva messa in scena dell'attentato; Badalamenti è stato quindi accusato del delitto di

omicidio aggravato dalla premeditazione e senza la concessione di attenuanti in considerazione della

personalità dell'imputato, del riprovevole movente e dell'efferatezza della condotte e condannato alla

pena dell'ergastolo, a quelle accessorie dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e legale

durante l'espiazione della pena e della pubblicazione della sentenza, nonché al pagamento delle spese

processuali.

L'imputato è stato inoltre condannato, al risarcimento del danno cagionato alle parti civili della

madre Felicia, e del fratello Giovanni, Comune di Cinisi, alla Regione Siciliana. La sentenza assegna

ai congiunti una iniziale provvisionale di 150.000 euro per la prima e 100.000 euro per il secondo più

35.000 euro per le spese processuali e, 5000 euro al Comune di Cinisi e della Regione Siciliana.

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Riflessioni conclusive

L'idea iniziale che ha stimolato in me la voglia di cercare, di analizzare e documentarmi su un

argomento così delicato e attuale ma, allo stesso tempo frammentato e forse ancora poco compreso,

come quello dell'attenzione riversata alle vittime della mafia, non può affermare di aver trovato

piena soddisfazione in questo mio lavoro. In campo psicologico-scientifico non sono presenti

numerosi riferimenti bibliografici o ricerche che si siano focalizzati prevalentemente su questo

argomento. Esistono pochi studi scientifici compiuti su parenti di vittime e compromissioni

psicologiche degli stessi, così come programmi ad hoc per sostenere psicologicamente chi viene

privato di un diritto e vede mancare un riferimento o magari una figura familiare importante nella

propria vita. Quello che si può ritrovare frequentemente è uno spirito di volontà della diffusione

dell'informazione, sono presenti, infatti, numerose associazioni fondate da queste persone che non

vogliono dimenticare e sopratutto hanno la volontà di sensibilizzare la comunità. Numerosi sono i

blog su internet, le manifestazioni per ricordare le vittime innocenti della mafia, i tentativi di

giornalisti o personaggi intellettuali che desiderano richiamare l'attenzione sul tale fenomeno

tutt'altro che estinto, ma scarsa è l'attenzione riposta da parte delle autorità, da parte della legge sia

nella direzione della tutela dei sopravvissuti che della predisposizione al loro supporto.

L'adeguamento legislativo consta prevalentemente nella definizione del diritto ad un indennizzo che

viene stabilito in itinere e viene ottemperato grazie alla predisposizione del fondo sopra descritto.

Sarebbe interessante tuttavia, avere il possesso di dati che ci raccontino quali siano le reazioni

psicologiche più comuni o le psicopatologie che si possono strutturare in seguito all'aver subito un

danno simile, in sostanza cosa succede emotivamente e psicologicamente a chi rimane?

La mia speranza è che questo lavoro possa fornire spunti di riflessione interessanti e rispondere a

tali quesiti per strutturare un adeguato percorso di intervento.

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“Le nuove responsabilità dello Stato verso il cittadino" A cura di Claudio De Filippi e Francesca Anselmo Editore Cedam 2006.

“Linee guida per l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno biologico-psichico e del danno da pregiudizio esistenziale. Predisposizione di una specifica tabella del danno psichico e da pregiudizio esistenziale”. Ordine degli psicologi del Lazio.

“Prime riflessioni sull’accertamento psicologico-forense nella valutazione del danno non patrimoniale alla luce delle sentenze a sezioni unite della cassazione sul danno esistenziale”, Capri P., Torbidone M.E., 2008.

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