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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 2 FEBBRAIO 2014 Italiani in attesa di cittadinanza

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Italiani in attesadi cittadinanza

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Anno XLI, numero 2

Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Ernesto Flavio Ghizzoni (presi-dente), Stefano Toppi (vicepresidente), Gian Ma-rio Gillio, Piera Rella, Stefania Sarallo.

Direttore Gian Mario GillioCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavilla-no, Anna Maria Marlia, Cristina Mattiello, Da-niela Mazzarella, Luigi Sandri, Stefania Saral-lo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Ave-na, Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bo-gnandi, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, Ste-fano Cavallotto, Giancarla Codrignani, GaëlleCourtens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Gra-zia, Jayendranatha Franco Di Maria, Piero DiNepi, Monica Di Pietro, Piera Egidi, MahmoudSalem Elsheikh, Giulio Ercolessi, Maria AngelaFalà, Renato Fileno, Giovanni Franzoni, PupaGarribba, Francesco Gentiloni, Maria RosariaGiordano, Svamini Hamsananda Giri, GiorgioGomel, Laura Grassi, Bruna Iacopino, Domeni-co Jervolino, Maria Cristina Laurenzi, GiacomaLimentani, Franca Long, Maria ImmacolataMacioti, Anna Maffei, Fiammetta Mariani, Daf-ne Marzoli, Domenico Maselli, Lidia Menapace,Mario Miegge, Adnane Mokrani, Paolo Naso,Luca Maria Negro, Silvana Nitti, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sab-badini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Valentina Spositi, Patrizia Toss, Gianna Urizio,Roberto Vacca, Cristina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia GuarnaProgrammi [email protected] tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: V. Brinis, E. Chacour, V. Cogliati Dezza, G.Corona, M. Felici, C. Kyenge, M. Landini,L. Manconi, V. Mancuso, K. Moual, E. Pa-ce, A. Prosperi, C. Russo, J.-L. Touadi.

Le immaginiItaliani in attesa di cittadinanza · Andrea Sabbadini, copertinaLa «primavera» delle moschee · 3

Gli editorialiOccupazione: un paese di «scoraggiati» · Maurizio Landini, 4Dove, e perché, sono perseguitati i cristiani · David Gabrielli, 5Tutelare l’ambiente per uscire dalla crisi · Vittorio Cogliati Dezza, 7

I serviziImmigrazione Cittadini appesi a un permesso di soggiorno · V. Brinis, L. Manconi, 8

L’integrazione passa per la cittadinanza · (intervista a) Cécile Kyenge, 9Islam Una guerra a colpi di moschee? · (intervista a) Enzo Pace, 12

La presenza musulmana nella capitale · Carmelo Russo, 14Concili Una storia affascinante tra passato e futuro · Gian Mario Gillio, 17

La questione del potere nella Chiesa romana · Adriano Prosperi, 18La sostenibile pesantezza dell’essere cattolici · Vito Mancuso, 22

Medio Oriente Il groviglio dei nodi irrisolti · Luigi Sandri, Michele Lipori, 27«Non vi sarà pace senza giustizia» · (intervista a) Elias Chacour, 30Condividere il dolore con il «nemico» · Michele Lipori, 33

Repubblica centrafricana Un altro paese a rischio «somalizzazione» · Jean-Léonard Touadi, 34L’appello umanitario dei protestanti francesi · Défap, 37

Le notizieMedia I dati di Rsf sui giornalisti uccisi nel 2013, 38Diritti Israele: immigrati africani chiedono lo status di rifugiati politici, 38Ecumenismo Cresce il contrasto tra Chiesa russa e patriarcato di Costantinopoli, 38Germania In Assia l’insegnamento della religione islamica a scuola, 39Sufi A Roma la grande festa annuale «Hawliya», 39Laicità Convegno Uaar sulla libertà religiosa e di coscienza, 40Polemiche Forti tensioni nella comunità ebraica di Roma, 40

Le rubricheIn genere Metà della società, non la metà di un uomo · Karima Moual, 41Note dal margine La tregua · Giovanni Franzoni, 42Osservatorio sulle fedi Una riscoperta italiana dell’anabattismo · Antonio Delrio, 43Spigolature d’Europa E ora la Spagna prova a «de-zapaterizzarsi» · Adriano Gizzi, 44Diari dal Sud del mondo Il grande cuore (ma anche il cervello) dei cooperanti · Giada Corona, 45Cinema Natura morta o ancora vita? · Marcella Felici, 46

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CONFRONTI

2/FEBBRAIO 2014WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

La cosiddetta primavera araba ha dato il via all’evolversi di un islam rigorosamente controllato dalle arcaiche monarchie arabe del Golfo persico.

In Europa diverse nuove moschee sono state costruite recentemente con ingenti finanziamenti dagli sceicchi dei petrodollari.

Quanto giova questo fenomeno allo sviluppo di un islam europeo moderno?

LA «PRIMAVERA»

DELLE MOSCHEE

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GLI EDITORIALI

Occupazione: unpaese di «scoraggiati»Maurizio Landini

Più di tre milioni di «scoraggiati»: cosìle statistiche definiscono quella partedi nostri concittadini che sono disoc-cupati ma un lavoro non lo cercano

nemmeno più e che si vanno a sommare aitre milioni di disoccupati «ufficiali», che – al-meno – un’occupazione sperano ancora ditrovarla e la cercano. Gli «scoraggiati» sonola parte più buia e angosciante del drammadel lavoro che nel 2013 ha raggiunto vettemai conosciute prima dal dopoguerra a oggi,in una Repubblica la cui Costituzione fin dalsuo primo articolo afferma essere fondataproprio sul lavoro. Quelle persone che han-no abbandonato la speranza di trovare unimpiego non vivono comodamente di rendi-ta, ma sono le vittime di come il lavoro è sta-to trattato e umiliato negli ultimi decenni, fi-no a far perdere loro ogni fiducia in se stessie negli altri; in primo luogo la fiducia in unpaese e in uno Stato da cui si sentono abban-donati, se non schiacciati.

Questo non è solo il risultato della grandecrisi economica degli ultimi anni, ma soprat-tutto il prodotto delle ragioni che l’hanno de-terminata e l’esito di come è stata gestita. So-prattutto in Europa, in particolare in quellamediterranea. Lo testimoniamo gli oltre 26milioni di disoccupati e i 43 milioni di pove-ri dell’area Ue. Cifre in crescita che indicanoquanto la condizione del lavoro e quella so-ciale siano intrecciate, e come il lavoro siastato degradato pagando il prezzo principa-le della crisi e dei modelli economici chel’hanno determinata e su cui si continua a in-sistere: le politiche di bilancio ispirate all’au-sterità e al rigore monetario.

In Italia la crisi ha colpito soprattutto il set-tore manifatturiero, che ancora costituiscel’asse portante della nostra economia, aggra-vando il logoramento già avvenuto negli an-ni in cui la finanza è diventata il centro di tut-to nell’illusione dei guadagni facili e immedia-ti e favorito dalle stesse imprese che hannopuntato sulla competizione «povera», quellafatta sul costo e sulle condizioni del lavoro.Così oggi siamo oltre il 12% di disoccupazio-ne, abbiamo cinque milioni di poveri, mentre

più di mezzo milione di lavoratrici e lavora-tori l’anno scorso hanno potuto sopravviveresolo grazie alla cassa integrazione.

Poi ci sono centinaia di migliaia di giovanisenza lavoro o con occupazioni saltuarie eprecarie che non danno loro alcuna certezzae futuro, «grazie» a leggi che per favorire imercati – ma soprattutto i mercanti di brac-cia – hanno smantellato tutte le conquistefatte nei decenni in cui la piena occupazioneera un valore condiviso dalla gran parte del-le forze politiche e accettato l’ideologia delladeregulation. Tutto questo in un paese dovei salari sono tra i più bassi d’Europa – e nelsolo 2013 hanno subito un calo medio di 500euro – e dove non esiste nessuna forma ditutela universale dei redditi, dove è ormai fa-cilissimo cadere in povertà assoluta e dover-si affidare agli enti caritatevoli mentre lo sta-to guarda da un’altra parte.

Un quadro umanamente inaccettabile, unasituazione socialmente drammatica, ma an-che una profonda ferita e una minaccia perla nostra democrazia. Perché con il veniremeno del valore del lavoro e della sua dignitàva in crisi un collante essenziale del viverecollettivo e delle istituzioni che regolano l’e-sistenza di una comunità, cioè di un paese.Con la frantumazione del mondo del lavoro,mettendo le persone le une contro le altre inuna selvaggia competizione per la sopravvi-venza, si favoriscono le guerre tra poveri chesono alla base delle degenerazioni populisteche in tanta parte dell’Europa vanno assu-mendo pericolosi connotati xenofobi, nell’il-lusione che le «piccole patrie» di un territo-rio o di un’azienda mettano al riparo le per-sone da una competizione globalizzata cheavvertono come pericolosa per la propria si-curezza materiale ed esistenziale.

È di fronte a tutto questo che appare urgen-te un’inversione di tendenza e una precisasvolta politica: le «politiche del lavoro» nonpossono più essere quelle limitate al mercatodel lavoro e a una deregolamentazione che haprodotto una giungla normativa in cui le per-sone in carne e ossa si sono ritrovate sperse ein balia di poteri assoluti e percepiti come«sovrannaturali»; le scelte economiche nonpossono più essere demandate ai poteri e al-le istituzioni finanziarie e monetarie interna-zionali, ma le istituzioni politiche – gli stati, iparlamenti, l’Unione europea – devono assu-mersi la responsabilità di indirizzi e investi-menti basati sulla logica del bene comune e

Sono tre milioni idisoccupati «ufficiali»,cioè coloro che almomento non svolgonoalcun lavoro ma sono incerca di occupazione. Aquesta cifra, già di persé preoccupante, vannosommati altri tremilioni di cittadini,anch’essi senza lavoro,che – magari dopo annidi ricerche – hannoaddirittura rinunciatoalla speranza. Come spiega a Confrontiil segretario generaledella Fiom-Cgil, «questonon è solo il risultatodella grande crisieconomica degli ultimianni, ma soprattutto il prodotto delle ragioni che l’hannodeterminata e l’esito di come è stata gestita».

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GLI EDITORIALI

indirizzati da subito ad arginare il drammadella disoccupazione e della povertà.

Ma, più in profondità, tutti noi dobbiamoconvincerci che il lavoro deve riscattarsi dal-la condizione di merce cui è stato ridotto pertornare a essere un valore fondante dell’esi-stenza comune, una delle basi della cittadi-nanza. E agire ogni giorno in tal senso.

Dove, e perché, sonoperseguitati i cristianiDavid Gabrielli

Regimi dittatoriali; musulmani, ma an-che induisti e buddhisti estremisti; cri-minalità che non vuole essere distur-bata dalla giustizia: sono i responsabi-

li di un’ondata incessante e crescente di vio-lenze e, spesso, persecuzioni contro i cristia-ni, che grava su molti paesi del mondo, dal-l’Asia all’Africa. Lo afferma «Open doors»,una ong internazionale non confessionale na-ta negli Stati Uniti, e che da dodici anni an-nualmente pubblica un rapporto sulle viola-zioni della libertà religiosa. Va però detto, co-me necessaria premessa, che i cristiani nonsono i soli – come una certa apologetica ten-de a sbandierare – ad essere perseguitati o,comunque, discriminati; succede anche, in di-versi contesti, a milioni di seguaci di altre re-ligioni (Baha’i in Iran, gli Ahmadiyya in Paki-stan, gli sciiti in Arabia Saudita, i musulmaniin Birmania...). Ma qui, intanto, soffermiamo-ci sulla situazione dei cristiani.

Secondo la citata statistica, l’anno scorso levittime cristiane accertate sono state 2.123,quasi il doppio di quelle del 2012, che erano1.201. La maglia nera della classifica dei paesi«peggiori» è attribuita alla Corea del Nord,dove il semplice credere in Dio è consideratoun reato. In questo paese, precisa da parte sual’agenzia ecumenica svizzera ProtestInter, an-che il solo possesso di una Bibbia può esserepericoloso; e su circa quattrocentomila cristia-ni stimati, dai cinquanta ai settantamila sonorinchiusi in lager, ove sono torturati e, spesso,uccisi. Anche in Somalia – sconvolta da con-tinui scontri inter-etnici, e con un governo chenon controlla la situazione – difficilissima è lacondizione dei cristiani, l’uno per cento dellapopolazione, costretti per sopravvivere amantenere segreta la loro fede in una terra

massicciamente musulmana. Infine – secon-do il rapporto – la Siria è al terzo posto inquesta triste graduatoria. In ambienti Onu sistimano in centoventimila le vittime dellaguerra civile che imperversa da tre anni inquel paese, e molte migliaia sono cristiani.Inoltre, gruppi musulmani estremisti che ap-partengono alla variegata rosa di gruppi arma-ti, rivali tra di loro, che combattono contro ilregime di Bashar Assad hanno rapito anchedue vescovi (il siro Ibrahim e il greco-ortodos-so Yazigi), il gesuita Paolo Dall’Oglio (che an-che su queste pagine – vedi Confronti 4/2012– diede una sua testimonianza sulla situazio-ne siriana) e più di dieci suore. Nessun effet-to, purtroppo, hanno avuto le campagne an-che internazionali per ottenere la liberazionedi queste persone: forse perché la «tenacia»anti-cristiana è conseguenza della volontà dieliminare radicalmente ogni presenza cristia-na nel paese, per farne (come vorrebbero farein Iraq) un paese solamente musulmano sun-nita, stile Arabia Saudita, dimenticando che icristiani là sono arrivati sei secoli prima dell’i-slam. Ma si deve precisare che, in queste ulti-me settimane, in Siria vi sono stati aspri scon-tri intra-musulmani tra forze teoricamenteunitesi per combattere Assad. Comunque, ladifficilissima situazione geopolitica di Siria,Iraq, Libano e Territori occupati palestinesista portando molti cristiani ad emigrare: sequesto trend continuerà, tra pochissimi annila presenza cristiana nelle terre dove il cristia-nesimo nacque sarà residuale.

Stati «pericolosi» per i cristiani sono ancheEgitto, Afghanistan, Pakistan, Yemen, Libia,Uzbekistan, Maldive, Qatar, Arabia Saudita:in quest’ultimo paese, rischia moltissimo unapersona cristiana che osasse introdurre unaBibbia nel paese. D’altra parte, in Nigeria, tea-tro di tremende violenze contro chiese (maanche contro musulmani), è difficile districa-re le motivazioni religiose da quelle tribali,economiche e politiche che contrappongonomusulmani a cristiani, ma anche – talora –viceversa. In molti paesi islamici, o comun-que a maggioranza musulmana, poi, rischia-no la morte – per legge, o per vendette priva-te dei parenti che vogliono lavare l’«onta deltradimento» – quei musulmani che decides-sero di farsi cristiani. Ma vi sono violenze an-ti-cristiane anche in alcuni stati dell’India, do-ve dominano gruppi induisti radicali; e in SriLanka, dove gruppi buddhisti attaccano conviolenza (ed è un fenomeno nuovo) i cristia-

Un rapporto di «Open doors», una Ong internazionalenata negli Usa, elencala «maglia nera» dei Paesi nel mondo –prima la Corea del nord,seconda la Somalia,terza la Siria... – dove i cristiani rischianodi subire violenza, e anche la morte.Milioni di persone sonominacciate. Perché continua,inarrestabile, questaondata che calpesta il diritto alla libertàreligiosa?

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GLI EDITORIALI

ni. Insomma, secondo il rapporto sarebberocentocinquanta milioni, nell’insieme, i cristia-ni perseguitati o a rischio potenziale di esser-lo. Il rapporto mette nell’elenco anche la Co-lombia, perché nel 2013 molti cristiani, pretie laici, donne e uomini, sono stati assassinatiperché si opponevano ai cartelli legati al traf-fico della droga. In merito, però, si potrebbenotare che quelle persone non sono state uc-cise perché cristiane, ma semplicemente per-ché si opponevano al narcotraffico.

Forse aveva in mente tutte queste notiziepapa Francesco, quando, all’Angelus del 26dicembre, ricorrenza liturgica di santo Stefa-no protomartire, affermava: «Oggi preghia-mo in modo particolare per i cristiani che su-biscono discriminazioni a causa della testi-monianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamovicini a questi fratelli e sorelle che, come san-to Stefano, vengono accusati ingiustamentee fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sonosicuro che, purtroppo, sono più numerosioggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce nesono tanti! Questo accade specialmente làdove la libertà religiosa non è ancora garan-tita o non è pienamente realizzata».

Complesse sono le cause di questa ango-

sciante deriva, in Asia ed in Africa: tra esse, lamancanza, nei secoli andati, di un fenomenosimile all’Illuminismo; l’assenza dell’idea di lai-cità; la voglia di vendicarsi degli occidentali,tutti formalmente cristiani, che tra ‘800 e metà‘900 hanno dominato buona parte dei duecontinenti. Gran Bretagna e Francia erano po-tenze coloniali sentite come «cristiane». EGeorge Bush nel 2003 presentò l’attacco, sen-za mandato Onu, contro Saddam Hussein,quasi come una crociata per esportare a Ba-ghdad la democrazia e la civiltà cristiane; percui facile fu, per leader musulmani estremisti,arringare le loro folle alla luce della suppostaequivalenza Occidente=cristianesimo=violen-za contro l’islam. D’altra parte, anche per l’Eu-ropa, Chiese e stati, fu accidentata, contrad-dittoria e sinistramente illuminata da roghi,violenze e aspre «guerre di religione» la stra-da che infine portò ad affermare il principiodella libertà religiosa. La Chiesa cattolica ro-mana ci è arrivata con il Concilio Vaticano II,nel 1965. Ma questo passato turbolento nonci esime dal proclamare, oggi, l’intangibilità ela non negoziabilità del principio della libertàreligiosa, ovunque e sempre. Negarlo porteràa conflitti che incendieranno il mondo.

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GLI EDITORIALI

Tutelare l’ambiente per uscire dalla crisiVittorio Cogliati Dezza

Achi potremmo dare l’oscar 2013 delleemergenze ambientali? Alle ricorren-ti alluvioni, alla «Terra dei fuochi», alrilancio delle trivellazioni petrolifere,

al boicottaggio della famiglia Riva verso unrapido risanamento dell’Ilva, al fallimentodella Conferenza di Varsavia sui cambiamen-ti climatici, all’emergenza rifiuti di Roma, alperdurante consumo di suolo per urbanizza-zioni selvagge, all’attacco alle rinnovabili, al-l’inquinamento atmosferico nelle città, alquotidiano dramma dei pendolari, alle ucci-sioni di orsi in Abruzzo e nel Trentino, alporto che non si trova per la Concordia, al-l’inquinamento industriale e alle 53 bonificheancora «al palo», al rischio quotidiano dei ci-clisti...? È un elenco che fa paura! Eppure èsolo una prima approssimazione.

Ci sono ragioni molto diverse che spiega-no ognuna di queste emergenze, e sarebbeun grave errore, di stampo populista, fare ditutt’erba un fascio. Ma, purtroppo, è la stes-sa classe politica, di diverso colore e a diver-si livelli di responsabilità, supportata in que-sto da un’informazione approssimativa e su-perficiale, che in genere fornisce una rispo-sta unica e ripetitiva per ogni emergenza:non ci sono risorse! Ma è vero? No.

Se si trovano i soldi per gli F35; se si tro-vano 250 milioni a fondo perduto per lecentrali elettriche ad olio combustibile; se sitrovano 290 milioni per il trasporto su gom-ma e la Tav in Valsusa e non per i treni deipendolari e la Terra dei fuochi, c’è qualcosache non funziona nel ritornello del «man-cano le risorse».

È un problema di priorità. Ma le prioritàdipendono dalla visione che si ha del futurodel paese. Oggi l’Italia è divisa in due, dauna parte chi guarda al XXI secolo pensan-do che sarà la prosecuzione del XX e sotto-valuta le emergenze ambientali rinviando-ne la soluzione al secondo tempo, dall’altrachi, come noi, pensa che la soluzione di al-cune emergenze ambientali sia contestualeall’uscita dalla crisi (economica, sociale edetica), anzi sia il motore per uscire dalla cri-si. Prendiamo tre esempi.

Politiche energetiche. È evidente anche adun bambino che se l’Italia dipende quasi to-talmente dall’estero per l’importazione dipetrolio e carbone, logica vorrebbe che siinvestisse nelle risorse interne, tipiche del-l’Italia, come si fece decenni fa con l’idroe-lettrico, per cui bisognerebbe investire inrinnovabili ed efficienza energetica (fotovol-taico, eolico, biomasse, ecc.), creando filie-re nazionali, lavoro qualificato, autonomiaenergetica. Invece si finanziano le fossili e sibloccano le rinnovabili.

Politiche dei rifiuti. L’Italia è un paese po-vero di materie prime, la raccolta differen-ziata fa risparmiare importazione di mate-rie prime e costruisce filiere nazionali diimprese e lavoro. Invece Roma è sull’orlodell’emergenza con il 24% di raccolta diffe-renziata, Napoli manda i rifiuti in Dani-marca, le ecomafie continuano a prospera-re, il costo del conferimento in discarica ètroppo basso e, se non bastasse, si delineala possibilità di un condono per le città chenon hanno rispettato i limiti di legge, pena-lizzando il paese virtuoso (un terzo dei Co-muni), che ha fatto bene la raccolta diffe-renziata.

Politiche del territorio e delle città. Lecittà sono il cuore dell’Italia, l’edilizia è incrisi irreversibile, perché non c’è la doman-da e perché i suoli ormai sono stati consu-mati (con gravi danni per la sicurezza idro-geologica), ma nella legge di stabilità si ècercato di consentire la costruzione di sta-di con annessi interi quartieri fuori da ognivincolo. Eppure la nuova programmazionedei fondi strutturali europei prevede risor-se dedicate alle smart city e allo svilupposostenibile dei centri urbani, che implicablocco del consumo di suolo, nuova mobi-lità e messa in sicurezza sismica e dal ri-schio idrogeologico, nonché riqualificazio-ne energetica, con evidenti vantaggi per lefamiglie.

Tutto ciò vuol dire una sola cosa: lavoro!Perché non si fa? La risposta purtroppo èsemplice: perché la classe dirigente e, quin-di, la classe politica, hanno un’idea vecchiadello sviluppo e pensano che si possa ripar-tire solo con i modelli novecenteschi, senzatoccare vecchie lobby e vecchie rendite diposizione, che ingessano il paese. L’Italia èun paese che rischia di essere sconfitto dal-la sua stessa classe dirigente.

Di fronte alle principaliemergenze ambientalidel nostro paese– sostiene il presidentenazionale di Legambiente –la classe politica e i giornalisti cispiegano sempre chenon ci sono risorsesufficienti peraffrontarle e risolverle,perché c’è la crisieconomica. Ma come mai per F35e Tav in Valsusa le risorse si trovano sempre?

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IMMIGRAZIONE

Valentina Brinis, Luigi Manconi

Nei primissimi giorni dell’attuale legi-slatura sono stati presentati alcuni di-segni di legge volti ad introdurreriforme alla normativa che regola la

cittadinanza (la 91 del 1992). Ciò che li acco-muna è l’intento di ottenere che chi è nato ecresciuto in Italia possa vedersi riconosciutala cittadinanza di questo paese, e che la stes-sa non venga solo concessa per matrimonio,residenza, nascita da genitori italiani o moti-vi di famiglia. Ma possa essere riconosciutaanche a chi è nato qui da genitori stranieri.Per ora, a chi si trova in questa situazione,viene riconosciuta la cittadinanza al compi-mento del diciottesimo anno e solo se la ri-chiesta viene fatta nei dodici mesi successivi.

Si tratta quindi di uno ius soli (diritto di ter-ra) limitato e circoscritto ai pochi che riesco-no a ottenere tale informazione, attivare laprocedura e giungere al riconoscimento. Diconseguenza, negli ultimi anni sono stati nu-merosi gli appelli ai sindaci affinché contri-buissero, per quanto compete loro, a renderepiù accessibile il diritto alla cittadinanza,informando tutti i giovani stranieri che alcompimento del diciottesimo anno di età,possono presentare la richiesta. Un piccolis-simo atto che pure potrebbe risultare prezio-so. Anche se questo sistema, nonostante ab-bia riscosso il consenso di molti sindaci e siastato messo in atto in diverse città, potrebberivelarsi solo un palliativo se non si arriverà auna riforma della legge in grado di garantirela cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia.

Lo stesso vale per le numerose iniziativeportate avanti in questi anni, come la campa-gna «L’Italia sono anch’io» condivisa da di-ciannove organizzazioni tra cui le Acli, la Ca-ritas, la Cgil e il Servizio rifugiati e migrantidella Fcei, che già nella precedente legislatura

avevano proposto due disegni di legge sul te-ma della partecipazione: il primo prevedevache anche i bambini nati in Italia da genitoristranieri regolari potessero essere cittadini ita-liani; e l’altro proponeva una nuova norma chepermetta il diritto al voto amministrativo ai la-voratori regolarmente presenti in Italia da cin-que anni. Ma le criticità, quando si affronta iltema della cittadinanza, non riguardano soloun vuoto normativo (per mancanza di volontàpolitica, ndr), ma anche una difficoltà legataallo svolgimento della procedura, che si rive-la complessa e macchinosa. I passaggi a cuiviene sottoposta la richiesta di cittadinanzasono numerosi e non c’è un unico Ministerocompetente, bensì tre: Giustizia, Interno edEsteri. Ecco perché i 720 giorni entro i quali ilrichiedente dovrebbe ricevere una rispostanon vengono quasi mai rispettati (i tempi diattesa sono più che raddoppiati). La domandapuò essere presentata online, sulla base di al-cune modifiche procedurali approvate neglianni scorsi, e in questo modo dovrebbe esse-re più veloce ricevere un appuntamento allaPrefettura in cui consegnare la documentazio-ne utile al completamento della domanda. Maanche questo passaggio si rivela quasi impos-sibile perché da circa un anno quel sito risul-ta accessibile solo raramente. E così la proce-dura migliore rimane quella dell’invio alla Pre-fettura della pratica.

La riforma della legge 91 del 1992 trovamolti ostacoli di carattere politico e cultura-le, perché la cittadinanza è strettamente con-nessa al diritto di voto, attualmente negatoagli stranieri e, quando permesso, limitato acerte condizioni: l’appartenenza alla Comu-nità europea e l’iscrizione a liste speciali. Inaltre parole: perché mai chi paga regolar-mente la tassa sulla nettezza urbana non de-ve avere la possibilità di votare i membri diquel consiglio comunale chiamato a control-lare l’operato dell’assessore alla nettezza ur-bana? Quanto sfugge a chi analizza il feno-meno sia con strumenti scientifici che con ilsemplice senso comune, è come si possaescludere dalla partecipazione una fetta cosìimportante di residenti regolari. Quando è

In questa legislatura sono stati presentati diversi progetti di leg-ge che mirano a far riconoscere la cittadinanza in particolare a chiè nato qui da genitori stranieri. Uno «ius soli» pieno ed effettivo,insomma. Non come è oggi, cioè subordinato a una richiesta da fa-re al compimento del diciottesimo anno di età.

Cittadini appesi a un permesso di soggiorno