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- 1 - Pietro Paolo Zivelli SOGNO IN BIANCO E NERO Poesie La Rassegna d’Ischia Prefazione di Giovanni Castagna

Pietro Paolo Zivelli - larassegnadischia.it · di nuvola o vela laggiù all’orizzonte di un nuovo orizzonte». ... «Negli occhi non porta quella donna cuore» da «Negli occhi

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Pietro Paolo Zivelli

SOGNO IN BIANCO E NEROPoesie

La Rassegna d’Ischia

Prefazione di Giovanni Castagna

Pietro Paolo Zivelli (Forio 1945), laurea-to in Lettere classiche, ha collaborato, sin dagli anni ’60, con periodici isolani. Nel 1967 fa parte del gruppo che darà vita al Colpo di Luna (incontri dal tramonto al-l’alba intorno alle arti spazio-visive e alle comunicazioni di massa). Pubblica nel 1987 Incontri / Era bella Forio: raccolta di scritti su artisti ed intel-lettuali che hanno avuto ed hanno un’assi-dua frequentazione con l’Isola d’Ischia. Ama ricordare che ha frequentato quella importante “scuola” di sensibile umanità e di cultura che teneva corsi all’aperto, tra i tavoli del Bar Internazionale di Maria Sene-se, dove ha avuto il privilegio di incontrare e stringere amicizia con Eduardo Bargheer, Carlo Ferdinando Russo, Libero Bigiaretti, Elena Gianini Bellotti, Pier Paolo Pasolini, Libero de Libero, Corrado Costa, Adriano Spatola, Giuliano Della Casa, Nanni Bale-strini. Ha pubblicato nel 2000 Via degli Agru-mi (poesie). Attualmente collabora con La Rassegna d’Ischia.

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Pietro Paolo Zivelli

SOGNO IN BIANCO E NERO

Poesie

Prefazione di Giovanni Castagna

La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerche e di temi turistici,

culturali, politici e sportivi Direttore responsabile Raffaele Castagna

Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.2.1980

Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione con n. 8661.

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A Maria

Io sono più completamente Io quando sono te” Paul Celan

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«……..I miei ingenui fogliettini in cerca di poesia……………..»

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PREFAZIONE

Le liriche che Pietro Paolo Zivelli presenta al pubblico mi hanno, sin dalla prima lettura, affascinato per il ritmo, com-mosso per la profonda tristezza che da quasi tutte emana, in-trigato per neoformazioni che non poche volte costringono a ricorrere a dizionari etimologici, quasi una provocazione che genera stupore e diviene «stimolo, strumento, spinta a generare in se medesimi», «per litteras provocati pariunt in seipsis». Una grande varietà di metri, dal ternario all’endecasillabo ed a versi di maggiore lunghezza, nonché versi doppi, par-ticolarmente il senario doppio, il novenario anapestico-dat-tilico, «triplicatum trisillabum» condannato da Dante, ma valorizzato da Carducci e, soprattutto, da Pascoli. L’autore, tuttavia, non è schiavo del metro: molti endecasillabi, per esempio, presentano smagliature montaliane alla giuntura dei due emistichi che ne alterano la misura; molti senari doppi diventano 5+7 «L’isola dorme | ormai stanca d’ama-re», 7+5 «sul finire d’un luglio | votato al ricordo» ed a volte 6+7:, «Un’isola è bella | perché vive da sola» ed in questo contesto il novenario anapestico-dattilico con la sua accentazione ne prolunga all’infinito la cadenza: «di un mare che inventa gli umori al momento guardando aspettando l’evento di un’ala sì bianca lontano di nuvola o vela laggiù all’orizzonte di un nuovo orizzonte». La rima non è ricercata, ma molti versi la presentano agli emistichi: «lasciando nel vento il suo testamento», «nel pas-so lento che non muove vento», «urla squarciate da raffiche

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sparate»; non pochi i versi allitteranti: «per recente repente riposo ripensa», «di onde ondulate ondeggianti», «Ripalta ribalta rivolta alla piana». Come per il lessico, infine, in cui l’autore fa non poche volte ricorso a termini definiti arcaici, usati da poeti del ‘200 e del ‘300 (ad esempio, «trangoscia-re» di Jacopone), alcuni versi sono ripresa o variatio di an-tichi poeti: «Negli occhi non porta quella donna cuore» da «Negli occhi porta la mia donna amore». La tristezza non emana soltanto da liriche come «Cava dell’Isola» (in cui la natura, «lacrimæ rerum», è la sola, con il poeta, a piangere «quel corpo di adolescente»: «con pietà abbracciando di terrea materia / intrecciando per rami odorose ghirlande / in ricordo amando il suicida»), «Pie-tà di primavera», «Avola», «Cantico degli innocenti», «Da Eleonora per incontrare Andrea», «Preghiera in luglio», ma è quasi palpabile anche in quelle liriche che ricordano gli amici poeti, dai quali ora giunge soltanto l’eco della loro poesia. Forio è vista nella stagione autunnale e perfino al Bar Maria c’è solo un senso di attesa sotto «un cielo gelido vedovo di stelle». Triste è anche lo sguardo che il poeta por-ta sulla vita che lo circonda, il piano della realtà, si legga, ad esempio, «Spiaggia di Citara». Cultore di lingue classiche fa spesso ricorso al greco e al latino per le sue neoformazioni o neologismi. Ne diamo al-cuni esempi: «ipneroippomachie» (crediamo da u|pnhroév + i|ppomaciéa: sonnolenti combattimenti a cavallo); «causte fiamme» (kaustoév: rovente, da kaiéw che ritroviamo anco-ra nel titolo Catacausi da kata-kaiéw: bruciare completa-mente: la sigaretta, «candela nicotinata»). Abbiamo, quindi, «escatopoieo», «elioescenti», «la fauna pterostoma», «leoni tricaudi; «lanceolo fogliame», «favente il vino». Formazio-ne anche di aggettivi «il corpo schermato matuto», di verbi: «dritta la coda nerbosa / tergicristalla metronoma l’aria». Un’analisi statistica sulle parole autosemantiche (sostan-

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tivi, verbi, qualificativi e avverbi) ha messo in risalto il se-guente ordine di occorrenze, facendo astrazione del verbo essere e dell’avverbio non: mare, occhio, vento, nuvola. A parte per quanto concerne occhio, è il paesaggio ischitano che ne determina la frequenza. Tre liriche, infine, sono dedicate al cane: Dago-cane pa-store, I cani non abbaiono e l’ultima, Sogno in bianco e nero (che d’altronde dà il titolo alla raccolta) ove il poeta segue, nei suoi gesti e nei suoi movimenti, la cagnetta Dria, che ubbidisce, scodinzola e cerca di appoggiarsi là donde sente provenire «Una voce / quella voce che solo lei sente / in quel tenero tenero tenero / alitare impalpabile», la voce della sua padrona, la persona amata che non c’è più e il poe-ta con pudore lascia a Dria l’espressione dei suoi sentimen-ti: «con te / nella felicità di un sogno / ancora / in bianco e nero / ancora / con te».

Giovanni Castagna

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1970 - 1973

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FESTA DI COMPLEANNO

Terrazzi miagolanti gatti fariabbaglianti anabbaglianti secolidi spazio di tempoparole strappate tirate viariluttanti abbracci desideratiintrecci di stelle torribianchi cubi e il mareragazzini giocanti per amoresprizzando vita virilità semeinsoddisfazione rabbia baglioriin fiumi fumi alcoliciaspirando stalattiti di nicotinasbocconcellando nuvolette morsecercando comunicando dicendosognando sperando correndovoli di rondini di Apolloncroste di tegole di lunadissolvenze pulviscolaricavalli battono la terra fortibianchi vogliosi animosi neriritornano in intimità di ombreipneroippomachie.

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EPIGRAFFITI

Porcellana portante chiese obelischi edificigirando intorno alberi-palette su fontanineleggendo barokstadt von Brandenburgcilindrica dimensione in cm.cubiciin largo in dentro in alto sottoun mare di grafite di punte stemperatedi legno ricoperto di zinco di zincatirisplendendo zampilli fiotti d’iride contro luceriflettendo cilindrici ozonizzatori ozonizzantiaria stagnante in stagnola alla clorofilladefricando mascelle dentate oro-argento carati d’anniporcellana portante croci stilemi fabbricheaquile ancipiti coronate leoni tricaudi rutiliali a scacchiera geometrie lineare A lineare Bdi secoli di pietre di scritti di traslitteraticampeggiando sfondi bianchi incisi azzurroaltenkunstadt Erlangen Bavaria.

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IL BAR DI MARIA

Nel Caffètappezzato il soffitto di rivistetavoli ebbri brindano col vinofesteggiando un’aureola di quadrinel lavabo un cocktail bicchieritazze cucchiaini con bucce di limoneuno entra con l’aria della seraincontra gli occhi di chi gioca a cartel’acqua vien giù cristallizzarsi al vetroda un cielo gelido vedovo di stellepiù calda l’accoglienza nel sorrisodi una Maria già internazionalenel canto di Babà detta la turcada chi per anni la chiamò Regina

Per celebrare la vittoria al gioconel ghigno incanastato col vocionebicchieri piccinini assai cariniun’ultima bottiglia e buonanotteognuno va nel suo ed io con luil’arrivederci con Maria a domaniper recitare ancora quel copionefavente il vino ma con fantasiaattendendo la prima vera estatein scenari di glicine e di basolipronti nella piazzetta dilettosa attori e comprimari tornerannoa dare il meglio per Maria Maria.

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AVOLA

Assembramenti Volantinaggi Occupazioni Lavoratori Ammazzatiuomo del sud indeciso sgomento smarritomanifestando giuste rivendicazionichiedendo lavoro temendo la famesfruttato licenziato esasperatonel madido squallore della tua esistenzaarmato del solo petto e del coraggiourla squarciate da raffiche sparateuomo del sud braccato isolato colpitocadendo nella polvere mordendo il porfidosbavando rabbia per la vita stroncatalanciando la sfida rossa di sangue e rossarammaricati triste incidente stopsentite condoglianze stopuomo del sud tra incerte aurore sospesovivendo una terra povera una vita gramatirando calci al vento lanciando imprecazionicantando la tua miseria come lottasu un drappo rosso feretro scritto“Avola promessa di lavoro terra di morte”.

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SU UNA TELA DI ALDO PAGLIACCI

Abbracciati nel saio della povertàin fantasiose scene di perversitàin compagnia di tutti quanti martiridel piacere gioia prorompentecondannati alla lotta disumanasotto stimoli di acidi lisergicicon quei martiri della lussuriail suo corpo di giovane adultooffrendosi all’estasi finaletra grida incitanti alla follianei soli affacciati alla ribaltanascosti occhi cerchiati dal viziocisposi semiaperti usi alla nottebocche lascivamente schiusetumide labbra agognanti lo spasimodi colpi di frusta vergati nel sanguemani a mille tese in avantibrancolando cercando nel buiosospiri gemiti voluttuosi orgasmistillanti rugiade sul far della seranettare ed ambrosia cibi di partouzetutte vittime dell’orgia pazzagodendo sotto veli di piacerel’osceno ed il perverso è consacratoil comune piacere non è colpatra causte fiamme di chiese lupanari.

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GIN AND TONIC

Inabissando la fantasia cercandonuove inattese chiaviin luci in bagliori lampisensazioni percezioni sintomiper pensieri sperimentali linguaggicoitizzati all’ombelico del tempocolori come parole suoni come formesuoni come parole colori idee-ologieuccello bianco-nero variopinnatotuonando piume penne cristalliimmaginando immaginose immaginiper luci azzurrognole gas esilarantirisate di stufe in atmosfere viziatecarenti di ossigeno ariamille calze di nylon si sfaldanoincidendo solcando vizzi piaghecausticate in adipo cellulitein sotto dentro tra fuori intornogirando all’esterno rientrandocon monosex unisex partousexterminando.....escatopoieo.

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GIORNO DISPARI

Questa stanchezza trascinatada suole di scarpebatte sul selciato cantinelantein cadenza di passie non si spezza nel pensieroche porta a pensaretutto possa essere finitononostante tuttoincalzando scadenze di giorno in giornoprocrastinate improrogabilmente ogginel rifiuto di esperire escamotageingabbiando inibendo il pensieroche pensa di pensare illudendosimentre un volto neonatodue grandi occhi neriadulti guardano senza saperedi non saper guardare tutto nero laggiùin assenza di luce.

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CAVA DELL’ISOLA

Sole liquefacendo nubi con raggi elioescentiiridiscenti lacrime in gocciolineper luce smussando angoli rettiritrovando negli occhi care immagininel tranquillo risveglio serenodi natura rinata per gioco genesiriapparendo in tutto lo splendorelunga languida insenatura apertaper il gran rumore del tuonoprovata da danze incessantidi onde ondulate ondeggiantilucertole variegate verde tra ginestregiocando tra pionierie di cucumbirosu rocce arcigni granchi bruniintrecciando schermaglie d’amoreper movenze laterali d’antennelunga spiaggia deserta desolatalontana dal centro motore umanoillusa abbattuta sconfittabella cromaticamente stesaprostituita al sole lontano secoli lucee un mare e una risacca monotona battendoportando materia inerte sul litoraleassolato sola piangendoquel corpo di adolescente illuso delusoragione madre del pregiudiziotrovando nella morte procurataogni fine di sofferenza vincendo il dolore

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con pietà abbracciando di terrea materiaintrecciando per rami odorose ghirlandein ricordo amando il suicida.

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SOLILOQUIO

Aghi di tempo trilla batte cadenza tic tacda cassapanche ricordi di stoffe giocattolile mele col melo le piogge con l’autunnoforme variopinte elissoidali aniconiche trisecateschiudendo le mani su colombi bianchi e beigeraccogliendo uova in cilindri e conigliettiil freddo traslucido sulla fronte del vetro condensain sospensione gonfie iridiscenti in mille neri peduncoligoccioline di brina di umori piovani di scambi termiciprende forma nel discorso altalenando la parola tempoin gradazioni vocaliche apofonicamente forti debolinel rigurgito nel vortice nel gorgo nel bailamme gergalerattruppando gli anni nella sacca esperienziale.

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FORIO AUTUNNALE

Un fioco sole salutacubi colorati biancoallineati lungo la marinapiccoli nei sparsi sul corpotorri di verde antico tufotra ulivi saraceni viti euboicheun’alata montagna riposaun mare corre lontanoper lunghe profonde increspatureaccompagnate dai colori del cieloin pulviscoli di sole saleodori d’indefinito salmastroalghe erbe crostacei scoglicieli puliti tersi da luci stellegelidi freddi aliti di eterna noiafumi di zolfo rutili all’orizzontesquarciati dalla bianca testa del demonelotta di forze medianichenell’infuocato crogiuolo dell’universo.

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METALINGUAGGI

Ritornando in riviere salmastre inumiditedal frusciare di canne risonanti per le foglieun mare verde-blu stupra l’occhiodi viandante uomo che va tra terra e marerivendicando origini ancestrali dirittiaffondando il tallone insabbiato calpestala morte sfugge animalettionde rincorrenti altre spume portatecon in da per vento alto sul velosognando oltre cirri cisposi di nuvolesquarci di rosso minio rubinio ocrapensando de giovani amori lontaniper urgenza intima di parole ricordonella calura estiva ovattata da soli e sabbiepiacevolmente cocenti contratte contattesulla pelle si sfalda nuda squamainnestando a pigmenti raggi ultrabruniaddensa sul collo solca le spallesegnando lunghi trascorsi d’anniper recente repente riposo ripensapoggiando l’orecchio al silicio terricciopercependo messaggi d’alghe di pietre porosedi conchiglie di fossili di ormea verifica di secoli prima di secoli doposeguendo scie bianche di succo di pompelmosotto l’azzurro nero con flora filiformeacuminata in aghi d’acciaio incandescentela fauna pterostoma pinnata ocrain cento e più minuti trangoscia

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alghe come code di cipolla iodiateriflessi marron violetti centri bulbi occhivibrando magnetici nastri televisive antennedi rotative di molecole d’ariamessaggi che filtrano come luce nel biancoosmosi di colori dissociati in elettrolisicon telescriventi sciamano parole in sequenzacodici di numeri progressivi in regressionetabulati al senso anasenso grammatologicouniverso di fenomeni comunicativisemasìa misterica.

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PIETÀ DI PRIMAVERA

L’uomo seduto aggrottava pensandoincontrovertibilmente mani più piedispasmi di sofferenza in attesatestimoniando trascorsi di mortelucidamente richiamano mani più pieditrucidati in minuti disatomizzatiatrocemente lunghi nell’olocaustonella diaspora di tot milioniideologie che si superano nel tempocome possibilità eventualità casualitàmentre il dolciastro asfissiante ottenebrasibilando per valvole scoppiettando in torbiereaccumulando ammassando accoacervando ammucchiandodi mani più piedi secoli di vita cancellatiossa in formalina portanti segni sognitra intrecci di giovani vecchi consumatilarve nel fumo tra nuvole nel cielouna macchia nera scodinzolando fiutandoossa di gente morta uccisa cremataportate su ali di vento a primaverasu quel vento niente domanderisposte soffiate dalla pietàpiastrine a riposare coi pensieriantologie rilegate in candori di linotestimonianze d’atrocità passate.

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1990 - 2006

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LA PORTA SUL VIALE

Il vento piega la leggerezza ostile della cannaschiaffeggiata nel lanceolo fogliamepervicace torna a drizzarsinel verde con la carezza dell’acquacon le cadenze monotone della cadutalenta a scorrere sul vetro ricopertodal panno untuoso dello scambio termicoil vento scuote con il suo grido lancinante antenne video-audioalte sui tetti dove riposa il sonnola voce cupa a ricordare primeve dogliedi vagiti nati in casse espansepiccoli sognanti paure grossedi là da venire.

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MOSCA

Girain cerchi lenti concentrici a conoscere il vuoto e la ripresasi alza sempre alla stessa quotanel battito sottile di pellicolatrasparente traslucida trasmutaa confondersi col colore della stanzarappreso nel volume coibentatodi un doppio vetro a separar l’esternoseguendo le sue evoluzioni di continuitànon si pensa all’effimero solareinsetto nero noioso negli estivi ronziia posarsi sulle parti ignudeper mutare il riposo nel nervosomoscaed è tutto da dimenticare.

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ALLO SPECCHIO

Nei silenzi dove il tempo corre nella aritmica aporìa della nottenei pensieri che sbiellano il caleidoscopio della memoria nei sogni che tardano a fugarela ricorrenza dell’incubo nei risvegli tumidi di mancate rimozioniillusioni edulcorate dalla lucenella presenza del viverei tuoi occhi parlano semplicitàparole cresciute nella necessitàdi doversi spogliare ogni giornocostrette a nascere fortidel dolore dei primi vagiti.

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SPIAGGIA DI CITARA

Nei ritorni assolati d’estatecocente sulla pelle ultrabrunasalse di residui marinitra corpi distesi nell’eufemiaa consumare proposte popolarinella promiscuità di economiche vacanzeparlando di cose già dette nella ovvietàdi ripetute volte tra incontri d’ombrelloneper ingannare le parole vuotebuttate via a far tappezzeriatra fiorami d’alghe e di bitumeragazzini che giocano per gridatra riposte posate di plasticanei residui della pastasciuttala voce vacanziera è lo sbadiglionoia assonnata in rilassatezzaafa boccheggiante tra polveridi sabbia sollevata ad asfissiarela calca estiva insieme ai ricordiun’illusione purtroppo sfumanel sogno di ferie che vanno via.

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CATACAUSI

Si consuma lentamentesulla candela nicotinatail fumo a salireimpregnando l’intonaco biancoa sverginare la calce traspiratanegli alveoli intasati marronevioletti sangue in debito d’ossigenocondensa la nuvoletta lentastaziona nel termoclino appesantitopiroetta guadagnando il soffittosmog di nuvoletta in attesadi altre ricche di umorinei polmoni attossicati da quell’eserciziodi desiderio di voluttà aspiratatra due dita bruciacchiate a stringereun mozzicone e......................tanta fantasia.

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SCIROCCO

Dal vento soffiando forte in nuvole sforatea condensare umori sciroccosiincalzando la pioggia maturatanei gonfi grigi di umido rappresosospeso in pazzi cumuli cirratiin alto sbavando resine peciosedi smog nordici industrializzatitra ciminiere cimieri chisciotteschidi sbuffi ronzinanti alla celatanel tempo grigio di secoli buiaggiungendo postilla alle posthaecdilavando disselciando disboscandorumorosamente rovinosamenteinghiottiti da fauci spalancatein schiume rabbiose di marosi incanutitiduri a morire in stanca risacca.

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ABLATIVO ASSOLUTO

La ciclicità dell’accadutoesasperando la ricorrente fatalitàframmentata in corpuscoli disatomizzatiin barbarie di morti e di stragidi bombe esplose nel pianto del camminoa rincorrersi sui binari dello stragismotra silenzi espansi nel fragoredi fusoliere fuse nell’azzurrodi lamiere contorte nella rocciadi scatole nere mute nell’abissoa ricordare homo homini lupuscol sangue di pallottole sparatea rimuovere la vergogna della colpalegittimata dalla ragion di Statonei freghi blu di dossier incappucciatisegregati in segreti e tantiomissis.

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DIALOGO

Il tuo corpo acerbo nel turgore del senoilluso dalla maturità del ventre rigonfiodesiderato odiato ormai prossimo ad esserenei dubbi che l’accompagnarononei tormenti malcelati dall’ipocrisianel rigetto di assunzioni di responsabilitàil tuo corpo schermato matutogià soddisfatto sereno rigettail piacere dell’amplesso complessonei desideri che piroettano altrove ombre cinesi ansimate contro un telo

Il suo corpo a conoscere la stancacol battito diacronico di eiaculazioni precocispasmi di deboscenza forieri di senescenzail suo corpo vizzo e flaccido nei nervi allentativive nel racconto fatto in dietrologiaa ricordare di quando....con tanti puntinifinalmente godendo al pensierodell’essere una volta stato.

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MATTANZA

Nel mare spume di gabbiani Jonathana glissare radenti su ali di ventomulinellando nel vortice del tridentesciami quarzati di squame iridescentipellicole argentee azzurrate nel ventreper itinerari migratori geneticitra scoppi di nuvole di naftagrida bestemmianti in faticosa attesaa recuperare il gonfiore sidereo delle magliein spasmi agonici di sopravvivenzanel rosso torbido della mattanzadi branchie aperte nell’umore bulbareschiaffeggiando l’aria sospesa nel saltodi uno iato a separare vita e morte.

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DAGO-CANE PASTORE

Una macchia bianca lanosanaso occhi tondi ed acquosia correre il vento nella notteovattata nei sogni di natalità ancestralibelate ululate latratesu distese algide ricamate dal segnoil salto sul mare per vivereil caldo afoso dell’estate ischitanatestardo col naso a grufolar la terrasmossa alla ricerca dell’umidore frescogli anni a passare tra incerti passidi bambini gioiosi giocosi nelle loro moinenegli occhi il ricordo di corse eccitatedigrignate zampate artigliatea dirti forte nella testa ursinadocile al richiamo dolce alla carezzai primi affanni a riscoprirti tardocoll’occhio velato dall’umidosa nottele zampe molli lente al comandola testa bassa a darti vintol’ansimare anginato a chiudere il sognodi sgroppate sulle nevi albe sofficitagliate dal freddo della notte lunareche partorisce il belato smarritomentre rompe nel silenzio l’ululatoil triangolo dell’orecchio teso.

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PER CORRADO COSTA

I miei ingenui fogliettini in cerca di poesiaa chiudere la voglia di parlare col silenzioin ore anteluce tra i cubi di Casa di Maioversi tentati a raccontarmi per farmi forzasparsi là per terra sotto i tuoi occhi rossidi rabbia tradito da una fuga giovaneed ancora la tua testa aureolatacaracolla su di un corpo minutoi freghi rossi e blu a cancellare l’Iosottolineando momenti solitari poieticii suggerimenti a leggere e via autori.......Porta Balestrini Spatola Pignotti.

Una serata a Napoli con altri” matti”da te affettuosamente dettila tua paura sgomento tra Quartieri Spagnoliaccompagnata dalla mia età a farti fortecercavi il mio braccio tra slums e puttanela pizza a metro tra liberatorie risaMadonne e Sant’Ilario e tutto quel che seguefelice infine di ritrovarti in quell’Inferno Provvisorio.

I ritorni a Forio con Agnetti Balestrini Villa Della CasaWasserman Marc’O Rubino Spatola e Luca Castellanocon Colpi di Luna tra Cava e Bar Mariastanco poggiando il capo sulla spalla“La Mia Diletta Stephana............poi tutto rivolto in quel “68”

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nei silenzi sempre più di piombo....mi giunge l’eco della tua poesiain stages vedovi della tua voce.

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INCONTRI PER MATERIE

Inchiavardati al legno anodizzatoseduti lì in attesa tesi fisinaso in aria a guardar l’uccello santo con tanto di spirito docenteper aspersioni adorte in verbo fusoa propiziare incontri per materieincestuosa collegialità fecondatricedi umori sclerotici interruptitra coire e cunnire il dado è trattonel chiudere il discorso senza aprirlomeglio sarebbe stato procastrarlonel limbo dell’andare e del veniresub iudice crucificati tra Ponzio e Pilatoa ricordo del detto di Berta filavacosì lo si indicava il tempo andatomal speso nel rimpianto del passatoallor per ora finis in fundosuona la campanatra peana di fratta processionerecuperando il cielo e le altre stellenel passo lento che non move ventotra parole che accompagnano il rientrodeluso amareggiato non consumatol’incontro che c’è stato è solo rato.

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RIPALTA: BRINDISI PER FRANCESCA D’ATRI

Ripalta ribalta rivolta alla piana dal Fortòre involta tra grilli di grano col canto serotino di fatui nell’afa salmodia rosari di Pater et Ave tra mura discrete devote al silenzio negando al sapere dell’ospite intruso la via del budello tra Ripa et Alta di monaci e monache convegni nel tempo

Fresco il Frisello perlato di Puglia asciuga il sudore di un sole non vinto tra alti soffitti di abbadiche mura godendo l’ospizio di Monna Francesca a stringere gli occhi nel buio della stanza immagini intorno fatte di infanzia tardo il torpore porta a pensare al Cacce el Mitte di daunio rossore enonimo allotrio teutonica assonanza di vino pur trattasi piacevole essenza.

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CANTICO DEGLI INNOCENTI

Non suona il tamburo nella piazzabandito il bando nell’arroganza del palazzoroca la voce dai precordi bombarinnovando dell’uomo la speranzamorta anzitempo tra braccia stancheraccogliendo vissuti di lottareliquie solitarie pianto anticocompagno grigio di parole amarecanto nel vento bestemmiato a luttoduro a morire nella pagina archiviatadi testamento che non conosce temposcritte di lotta rosse sotto il solerance al tramonto come ombre smortegraffiti calcinati di ancora un giorno nonella grande sordina del silenziotra orbite cave rassegnate al luttonel buio che non sa leggere il dolore di tanti morti nell’indifferenza.

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A QUELLO DI TURNO...

Stupidità parole in libertàpresunzione accentata sulla A’veicolata da bocche quaqquaraquànon pensata né pesata ma sputataa memento della totale imbecillitàefflatus vocis flatulenza flatasfrigolio nel meato anotimpanicolubrico blob escreto dal tediometroviaggia sul treno della banalitàmascherata da scoop è solo un flopa dissonnare l’equilibrio offesodi chi lasciando da parte la pazienzasi dice stufo di ascoltar scemenzepralinate in salsa di ignoranza.

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IMMAGINI

Negli occhi la stanchezza del giornodi un sole smagato all’orizzontenell’afa lenta di scirocco abortitonel grembo anemico di una vela flosciala consapevolezza di un domani non diversoda quell’ieri che lo vedrà nascerelontano dal sorriso e dall’amplessonegato al ricordo di vivere il piaceredell’illusione che accarezza il mitoNegli occhi la paura della notteche partorisce il sogno tormentatoquando la fata tarda il suo veniretra ombre a promuovere il silenziochiuso nella velina dell’oblioNegli occhi non porta quella donna cuorenel distacco formale di paroleche tornano laddove senza sensole vide nascere ormai l’indifferenzaNegli occhi il pianto di quel bimbo natoa conoscere il senso della vitaamaro come il latte che lo nutredi un seno vizzo ha conosciuto il fiele.

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DA ELEONORA PER INCONTRARE ANDREA

Un vento forte esasperato nell’umore sciroccosostrappa al pino squassato nei rami provatol’ultima pigna rinsecchita con grave tonforovinata perciò ai suoi piedi mentre refoli fatuitentano di soffocare nei mulinelli vorticosila ostinata brace di un’ultima sigarettaconsumata velocemente in lunghe avide boccatea sera ed è il 13 di ottobre.Andreaha dato appuntamento a tutti noi da Eleonoraed ora si fa attendere impegnato chissà dovea disbrigare faccende che l’arcano della circostanzadice ancora più ineluttabili nella risicatezza deltempo che già consuma le sue proroghe ultimescadute inevitabilmente oggi.Andreae questo suo ritardare ci impensieriscepiù apprensivi per quell’infuriare di ventocaldo che si appiccica addosso come pelle a pellecon tutto l’umidore denso di sapore tropicalema è pur vero che un delicato bouquet di profumida piante e fiori volatizzato nell’ariafa lacrimare i nostri occhi nel piantosolleva dal dolore e dall’affanno che premementre le lagrime sospese nel ventovanno in cerca del motivo che le vide nascereDi tanto in tanto la gentile padronasi affaccia sulla porta e con la premuradi una sensibilità educata e coltivata

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ci invita a pazientare ancora un po’ perAndreaaltri amici ancora e sono tanti ad arrivare mi preoccupo leggendo nei loro occhila preoccupazione per quell’inatteso invitoquel ritardo a venire e pur non rimandarel’appuntamento dice trattarsi di cosa estremamente importante.Andreaperché oggi perché qui tutti insieme?Sulla porta semi aperta che taglia intensa la lucela padrona di casa ancora lei a dirci“Andrea è pronto; vi aspetta”E’ li vestito di tutto punto da gran serapersino un tocco civettuolo bocciolo rossoper l’occasione non stona all’occhiellostanco per il gran da fare che ha avutoin questi ultimi giorni ed è solo per questoche gli permettiamo di stare a letto ecapiamo che nella concitazione del momentonon ha calzato scarpeAndreasiamo qui tutti intorno a chiedergli il perché di questo invito ad incontrarci da Eleonorai suoi occhi stanchi implorano il silenzionon vuole essere importunato dalle piccole cosequelle di ieri quelle di domani poi...........Qualcuno gli si avvicina in uno slancio colloquiale tenero di affetto gli sfiorala mano con la mano delicatezza leggera quasiinavvertibile chi gli bacia la frontein un battito d’ali di farfallai suoi più intimi familiari gli parlano col silenzioe nel silenzio capire le cose che dice loro

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nel silenzio a conservarle dentro nel modo in cui ha volutoamoroso lascitodirgliele in questi 38 terribilmente pochi di anniAndreaabbiamo capito è il momento di accomiatarcivuol riposare e noi che gli vogliamo benelo lasciamo ora al suo riposotorneremo domani per sentirele ragioni di quel suo invito in casa diEleonora.

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I CANI NON ABBAIANO.......

I cani non abbaiano quando una pioggia ostinataapre cerchi concentrici sul terrenosotto la luce di un neon addormentatodentro una nube opacizzata che danzaal ritmo di un tossicchiare di tabaccocol timbro inconfondibile dell’uomo

I cani non abbaiano conoscono il passo che gli porta carezzeguaiscono leccano l’ariain attesa di una voce quellache dà loro nome esentirsi vivi scodinzolareaccarezzando con la codal’ombra che ha un odore sudore

I cani non abbaiano quando la terra trema e le radici degli albericamminano nella direzione dell’ondaagita squassa la chioma

I cani non abbaiano quando sognanoin bianco e neropiangono intristiscono vivonola terribilità dell’abbandonoavaro di carezze e senza voci.

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PREGHIERA IN LUGLIO

“Padre se anche tu non fossi il mio padre, per te stesso egualmente ti amerei” (Camillo Sbarbaro)

Si perde il respiro nel caldo pesantesul finire di un luglio votato al ricordonell’afa le tue palme carezzano l’ariale dita trame filano arcanefibrilla la vita legata alla bollafatica a durare nell’ansimo spasmalo sguardo smarrito negli occhi socchiusipoi sfoca il ricordo su posti di marele isole Egee confuse al Tirrenoe Myconos bianca trasmuta in Forioi nomi dei cari più cari soffiatiper labbra ormai asciutte da tanto parlareti chiedi e ci chiedi se è tempo di andarel’amore di sempre ti stringe la manoavvolge il tuo capo più calvo che mairitorna il bambino cullato dal piantosommesso represso serrato alla golaper non allarmare chi soffre in attesaun attimo ancora poi sale il palloredal mento già prende le labbra poi il voltonegli occhi di cielo annotta la luceper strada quei suoni le voci di semprenel petto ormai vizzo si spegne il rumore di un battito lento su ali di vento

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un vento leggero che viene dal mare con spume biancastre sforate dal volodi uccelli marini forieri di pianto il sole si immerge ormai rancio lontanomelanconico e dolce un velo si tendetremanti le dita ti chiudono gli occhisfiorano il volto le guance scavatele braccia a sorreggerti e non senti più maleti stringono ancora più forte ed ancorasapendo che il tutto è per l’ultima voltaun grido abortito accecato nel suonoe gli occhi che piangono senza parolesi serra l’amore dei cari d’intornole mani a cercare le mani dell’altrocatena d’affetti rimanda all’infanziadi quando bambini insicuri smarritiaccrocchiati in attesa che il sole nascessefugata la notte nel canto del gallogli adusi rumori di un altro risveglionostra madre per casa e le solite cosegli anni scanditi dai molti traslochidi robe datate già pregne di storiericordi legati a quei giorni lontanivissuti nel pieno ancor oggi a tornaresalmodiano lodi per il padre che eriper come hai saputo da ognuno di noitirar fuori quell’io che è parte di tepreghiera di mare accompagna il tuo threnoti accoglie la terra da te eletta a natianoi tutti tuoi frutti piangiamo l’addioconserviamo nell’imo memoria di te.

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PER GIULIANO DELLA CASA

Perchè non tornareladdove passi incatramati accompagnanol’odore del terreno bagnato dalla nottetra luna e stelle ancora silenzivendemmiati nell’afrore acinato di un battito d’alispasmo di falena nel volo prolato morto poi nel buio di doghe avvinazzatesgomento perdersi ancora ludibrio di ventoritrovarsi annaspando con la trasparenza della rugiadariflessi serici leggerezza di una scia di lumacadisidratata dalla pervicacia di un solenato prima del giorno a dirsi ebbrocicalare frinire gracidare cinquettarezittire le voci altre voci a parlareassemblare il mosaico della natura che duranella lotta per non cedere incalzatadalla metallica diagnosi di un computervomitoio telescritto di carta geroglificatafiglia di un virus letale memoria debilitatanon trovando l’input nella diacronia del tempocorrendo pazza e sinuosa tra i meandri di un’ecoa perdersi lontano fievole e flebilecome carezza che sfiora nel timore di toccareconsumare l’effimero di un’emozionesoffiata da un baluginio blobbatoviva giusto il tempo di morireviva giusto il ricordo di essere nata.

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RAGGIO VERDE

Organizzare la solitudinedialogando col silenzionel silenzioed è bella l’infinità del mareche finisce col mare stessosino alla linea fatuadi un cielo orizzontaleaddormentato su cuscini di nuvole sparsesbavatura di cotone sfilacciatada una timida brezza di ventoche soffia nella direzione di un sole cotto dal sonnodi un pomeriggio blobbato che non conosce seradiscrete epifanie grafichedelicate sinuose cromometriesviluppano il discorsoe le parole che lo videroinfantescivolano nella liquidità controllatadell’impattosfumando poi in un raggio che sa di verde.

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OTTOBRE: ORE 21.45

Tra le nuvolegiocavano con la lunaho visto un pulcino appena nato implumepiù a destra in altointravisto un becco aduncotra due occhi giallihanno inghiottito la lunascomparso quel tenero pulcino

Non mi interessa vedere quell’orsonella nuova luce della lunagiocata tra altre nuvolenon voglio veder scomparirequel cucciolo di focaSpengo la luce degli occhi tutto ritorna nuvole e lunain una notte di ottobre.

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DINANZI ALLA TV

Il silenzio a sottolineare parolequando non hanno sensoconfessione prostituita all’ipocrisiasequenza che sconfina nell’ovviosi spaura per inadeguatezzaarrampicandosi sul vetro senza presascivola poi nel fondoa conoscere il dileggiobestemmia afonata che mima l’urlosotto uno sfrigolio di stelle attossicatedalla purezza di un’aria clonataermeticamente asfitticain una cornice iperrealistagli occhi strabuzzano nel desideriopossederlavinti dall’effimero virtualeeiaculano lacrime senza salevoci raschiate dal profondoimpastate di raucedinerisucchiate da un tubo catodicoche trasmette in sincronola guerrasorbendo una granita al limonecol gusto acre citroninoscivola la notiziatrangugiata da mucose peristaltiche.

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BESTEMMIA ECOLOGICA

Tagliati pezzi interi di montagnanel mare chiazze immonde a leopardoil puzzle della natura sta impazzendoma dove cazzo vogliamo arrivare

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EPITAFFIO DEL FUMATORE INCALLITO

Una nuvola in cielo mi appartiene:è tutto il fumoche ho espirato dai miei polmoni.

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L’ULTIMO NASTRO DI KRAPP

Gli occhi sempre quelli a guardare al murola testa già nelle sconnessure della pietracercando di capirne l’anima la vita che vitadentro nel racconto carezzato dalla manoscanalato dal ricordo che scandisce i tempiBatte finalmente il tasto la maiuscolaE’ l’inizio di una storia.............talmente tenera che si scioglie prima di cominciare e vivere nella nitidezza del foglioperde voce nell’assurdo mimo esasperatoa muovere la trama tutt’intornoracchiusa in volumi codificati dalla casualitàdell’evento e piange accartocciata su se stessale lacrime a bagnarle i piedie non daranno fruttoDimenticare i passi tante volte portatia smuovere avantindrè la sagoma cartonatabersaglio mobile accompagnatoda tonfi secchi di sparoconfusi sotto il luccichio di lampade coloratediffusi nel finto cinquettìo registratosull’ultimo nastro di Krappda una bambola di pezza colorata sul pettoda un foro rosso papavero mentre ballasu una stinta vesticciola di cotonina riciclatavivacizzata dal ricordo di macchioline usurateidentikit appiattito in un contenitore a perderesmarrita la sua volumetria tridimensionalerisucchiata da un’idrovora salivata ed assetata

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gola asciutta per la calura dilagante di soleIl tasto piega la testa su se stessobatte i tempi della parolapausa la virgolaper trovare un punto che si aprein un susseguirsi di maiuscole girandolateRidono in fila seguite dall’H. “Krapp rimane immobile, guardando fisso nel vuoto. Il nastro continua a scorrere in silenzio.”

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LA MIA ISOLA

Un’isola è sola là in mezzo del mareil mare l’amplessa con braccia di acquache il cielo colora secondo il suo umoreUn’isola è terra che emerge s’immergenel mare sul busto si erge a guardare lontanosul mareladdove si ammara la folaga nanache vive di coste tra coste di mareriflessi ancora segnali di soleE’ vita dell’isola il mareè là che va a piangere nenie risacchedall’imo profondoson pianti di spume rabbiose ondesu sbuffi di vento lamenti di mareIl mare parla racconta di storie esanno di terradi terra bagnata che impronta il ricamomerletti di cale indorate di lucisoffi di brezze danno l’ebrezzadi un’onda che torna sbatte si schiantapoi vive rivive nell’attimo lentoun nuovo ritorno che atterra la terral’affina col sale le scivola viafra grani di sabbia pregna il suo gremboUn’isola è bella perchè vive da solaperde la “I” ed è ancora più”SOLA” deriva nel mare che sol la conoscesa che esiste che c’è

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e non te lo dicePoi il passo dell’uomo su ponti di legnola scopre la fruga la vivela ama o la odiacome si ama e si odiaed ella non chiede non chiama non odiama vive di vita sua propriadà vita a chi l’amale piante gli uccelli la scoprono in voloi fiori che il vento nei pollini ispirapoi accoppia nei gami se l’ape non c’èUn’isola non è da cercare trovareper giusto sapere dov’èpoterla guardare sfoliare privare delle salse del tempo che la videro infanteestrusa dal mare bisognoso di terre per sbattervi contro la sua rabbia di ventoUn’isola è tutta da amare sognaregiammai violentareUn’isola è grande un’isola è piccolaconserva quel fascino di mare d’intornoUn’isola è donna che il tempo accarezzaun mare la penetra la fruga titillacon l’onda che monta che scemanel dopo in risacca stanca la lasciafeconda di vita in arene soffiategli uccelli marini le danzano intornoeccitati a tuffarsi partecipi al giococercando lo sperma portato dall’ondala sterna la berta il laro che ghignatra coste rocciose di anfratti e falesiescavate da denti ruggiti di ventodi un mare che inventa gli umori al momento

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guardando aspettando l’eventodi un’ala sì bianca lontanodi nuvola o velalaggiù all’orizzonte di un nuovo orizzonteche il sole consuma al tramontola linea è lì fatua e muta se mutil’occhio a guardare cercar di scoprirese oltre quel mare non c’è altro chemareL’isola dorme ormai stanca d’amarelasciando nel vento il suo testamentosi implode nel ventre della sua terrala vita che affonda con lei moriràil mare la copre con alte mareele toglie il respiroaltra vita le dàgli uccelli han capito che è tempo di andareseguire quell’uomo su ponti di legnoin cerca di un’isola nata più in làmetafora bella che ingenera mitidi ulissidi e monstri nel canto dei vati.

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RICORDO DI INFANZIA

Nuvole nuvoleche nel ciel volateNuvole!Bianche ed alateballerin leggiadreNuvole!Nere e cirrateforme stregateNuvoleDitemi nuvole ...Ma.....dove cazzo andate?

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DA UNA CORNICE DI FINESTRA

Ho riscoperto l’albaNel tenero chiarore di un giardino tra case bianche incastonatovive l’arancio con grappolidi sole maturo nel verdedorme il noce nodosoforte di radici annosenei rami asciutti e nerinelle gemme gonfiedi ventura primaveraHo riscoperto la montagnacon la sua ombra alataa proteggere l’ultimo sonnoe gli ultimi silenzidi una notte non più lentaa scorrere sul ritmo di una pendolaeco di una antica compagna in solitudineGuardandomi dentro vivotutt’intero il senso di un giornotroppo festinamente spesonel ritrovarmi uomoa consolare quel bambinoil suo pianto smarritonel tuo nome urlato.

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SOGNO IN BIANCO E NERO

Si ferma sempre nello stesso puntoannusa il muschio del vialenaso umidiccio grossomaturo fragolone neronelle nari dilatate porosesbuffa bofonchiadue tre quattro cinque voltebocca stretta ride nei dentinon più coperti da penduli labbroniammusa il capo sulle zampesolleva come un cartoonil posteriore ad angolo rettodritta la coda nerbosatergicristalla metronoma l’ariain sincrone veloci oscillazioni

La osservoda lontanocontroventoin silenzio

Si mette sedutasu un torciglione di coda a testa alta intesacon la sua bandana neraad orbare l’occhio sinistroorecchie tese nell’attesaallertatasi drizza sulle posterioriabbraccia il vento

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cercando l’appoggioper non cadere

Una vocequella voce che solo lei sentein quel tenero tenero teneroalitare impalpabilele dice di stare giù buonagiù giù giù giùdi non toccarlafarle male con i suoi zamponiDria indietreggia disegnandouna curiosa pantomimascodinzola saltella scarrocciascarta sbanda zampettapoi raspa si addorsabruschina il terricciosi torce contorce si avvitauggiola abbaia affannasi annasa segue le pestedi nuvole e cielodi nuovo supinaa sottomettersinel ventre mollevoglioso di carezzeguaisce misuratamentepoi fa il verso del lupole riesce male in assenzadi lunarincula strisciandolenta goffa maldestrasguardo fissosempre sullo stesso puntoappena soffiato da un fibrillìo

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di foglienel sicomoro ombrososempre quell’istesso unico punto

Dria non ride piùmentrecoda tra le gamberecupera la cucciasi acciambellasulla sua copertina Linuscade in un sonno profondosi agita piange con singulti rumorosipoi di nuovo ridementre corre e giocaa nascondino con tenella felicità di un sognoancorain bianco e neroancora con te.

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POSTFAZIONE

Una breve nota a giustificazione, nel proporre questa scel-ta di poesie scritte in due momenti molto diversi per diacro-nia temporale, ma ancor più esperenziale. Tra i primi titoli e gli ultimi vi è un lasso, lungo nel tem-po, in cui ho parlato d’altro: scritti, interventi, incursioni, in particolare nell’ambito artistico e letterario. Poi, di nuovo, dentro di me la necessità di trovare risposte, motivazioni ad accadimenti che più da vicino mi hanno toc-cato, coinvolgendo la sfera dell’intimo e del personale. Urgenze, presenze, assenze che hanno segnato altresì il modo di “raccontarmi”, sicuramente legato al non inutile scorrere degli anni, per cui passioni, pulsioni di un’età più giovane, vengono giocoforza attenuate, filtrate – per quanto possibile relativamente a questa sfera, dimensione, catego-ria – in una “espressione” più pacata nei toni, nella scan-sione: più intimista e per scelta lessicale e per tempi e per ritmi. Se ho iniziato, continuato poi a scrivere, credere nel fare poesia, tutto questo devo a due persone, a me carissime nel-l’affetto che mi legava loro nell’amicale frequentazione, che mi lega oggi nel ricordo tenero della gratitudine. Devo ringraziare due poeti-poeti: Corrado Costa e Libero de Libero. Al loro incoraggiamento, ai loro consigli utili e costruttivi, sempre alla loro amicizia, oggi, la decisione di pubblicare

«….. i miei ingenui fogliettini in cerca di poesia……..»

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Alcuni di quei fogliettini, gelosamente custoditi, conser-vano

«…. i freghi rossi e blu a cancellare l’IO sottolineando momenti solitari poietici…»

Mi ritorna ancora il piacere di ringraziare l’amico caris-simo – vecchia è la data – Giuliano Della Casa, che mi ha fatto dono dell’acquarello in copertina.

Pietro Paolo Zivelli

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Pietro Paolo Zivelli (a destra) con il poeta Libero De Libero al Bar Internazionale di Forio (Foto di Luigi Coppa).

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In copertina (I):Acquerello di Giuliano Della Casa.

Giuliano Della Casa è nato a Modena nel 1942, città dove vive e lavora. Pittore, ceramista, cura-tore di libri preziosi ed inusuali. Ha tenuto mostre personali in molte città italiane e straniere. Per Einaudi ha illustrato: L’uni-verso, gli dei, gli uomini. Il rac-conto del mito di Jean Pierre Ver-nant (2000) – La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pelle-grino Artusi (2001) – Gargantua e Pantagruele di François Rabelais (2004).

“Sogno in bianco e nero” di Pietro Paolo Zivelliè stato stampato

su carta Arcoprint Avorioin edizione fuori commercio

nel mese di gennaio 2007presso la

Tipolitografia Epomeodi Forio d’Ischia (Napoli)