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Page 1: La Terra in città

La terra della città

Dall’agricoltura urbanaun progetto per la città

una ricerca a cura di:Francesca Cognetti, Serena Conti, Valeria Fedeli,Daniele Lamanna, Cristiana Mattiolimarzo 2012

Programma di ricerca diRilevante Interesse NazionaleIl Progetto di Territorio:metodi, tecniche ed esperienze

Unità di MilanoCoordinatori Prof. Alessandro Balducci,Prof. Giorgio Ferraresi

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Indice

Introduzione Riferimenti bibliografi ci

1. Mappatura 1.1. Orti urbani a Milano: un quadro d’insieme 1.2. Le mappe m1. Nuclei ortivi m2. Dimensionamento m3. Inquadramento: spazi aperti, vuoti urbani, infrastrutture m4. Inquadramento: cascine, città pubblica m5. Soglie storiche m6. Attori: proprietà dei terreni m7. Attori: occupazione del suolo

2. Storie 2.1. Terra in comune: una tassonomia Il mio orto L’orto del mio quartiere L’orto sul retro L’orto per altro 2.2. Le coltivazioni Riferimenti bibliografi ci

3. Politiche pubbliche 3.1. Le esperienze milanesi L’iniziativa pioniera di Italia Nostra e i suoi sviluppi Dalle prime sperimentazioni alla diffusione degli orti nei parchi urbani Orti didattici e terapeutici Esperienze istituzionali non comunali 3.2. Strumenti e cambiamenti in atto 3.3. Conclusioni Riferimenti bibliografi ci Riferimenti web Interviste

4. Parole chiave 4.1. Margini 4.2. Dispositivi 4.3. Riattivazione 4.4. Radicamento locale e relazione con i luoghi 4.5. Oggetti verdi: la relazione processo / prodotto 4.6. Identità territoriali Riferimenti bibliografi ci

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5. Strumenti: il sito 5.1. Le esperienze milanesi Home page Atlante Mappa Storie Rifl essioni

Autori

Fonti delle immagini

Allegati

Fedeli V. (2011), A. Detroit, la città in discussione. Crisi urbana e agricoltura urbana, in «Il progetto sostenibile» n. 29.

Cognetti F. e Conti S. (2012), B. Oggetti verdi come dispositivi. Milano, note da una ricerca sull’agricoltura urbana, in atti della «Prima Biennale dello Spazio Pubblico» (in corso di pubblicazione).

Cognetti F. e Conti S. (2012), C. Milano, coltivazione urbana e percorsi di vita in co-mune. Note da una ricerca in corso, in «Territorio» n. 60.

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Introduzione

La raccolta di materiali che qui presentiamo rappresenta lo stato di fatto di un’indagine relativa alle esperienze di coltivazione agricola nella città di Milano.L’occasione per intraprendere questo percorso di ricerca è stata la partecipazione al pro-gramma Prin 2008 «Il progetto di territorio: metodi, tecniche, esperienze», coordinato per l’unità di Milano dai proff. A. Balducci e G. Ferraresi.

All’interno di questo contenitore, la ricerca ha inteso interrogare gli episodi di coltivazione urbana come possibili indicatori della composizione di una prospettiva progettuale inedita per la città.Le esperienze prese in considerazione, infatti, nella maggior parte dei casi guardano altro-ve, a modi di vivere extra-urbani (per esempio propri della campagna, appunto) o alle con-suetudini di un presunto passato; a un primo sguardo si potrebbe parlare di progetti urbani per semplice collocazione spaziale, anzi, si potrebbe dire che si tratti di pratiche in un certo senso anti-urbane, dotate di una forte ed esplicita volontà critica nei confronti della forma organizzativa propria della città. Ma proprio il fatto che guardino intenzionalmente altrove senza rinunciare alla città, anzi, utilizzandola come fondamentale materiale progettuale, ne costituisce il motivo di interesse.In questi progetti la città sembra presente non solo come localizzazione, ma soprattutto come sistema di relazioni, di organizzazione sociale e spaziale, senza cui i progetti stessi non avrebbero senso. Ciò permette di considerare queste sperimentazioni come percorsi che, pur implicitamente e indirettamente, esprimono una chiara volontà di progetto per la città a partire dalla riorganizzazione e dal potenziamento delle risorse in essa già presen-ti.

Di per sé l’agricoltura in città non è certo una novità. Negli Stati Uniti i primi programmi a sostegno della coltivazione ad orto di aree urbane abbandonate risalgono alla fi ne dell’Ot-tocento. Da allora, le città americane sono state ciclicamente il terreno fertile per la cre-scita di giardini imprevisti, frutto della voglia di fare e di guardare al di là del presente dei loro giardinieri impropri, ma anche – in tempi e proporzioni differenti – della capacità delle amministrazioni di sfruttare l’integrazione di un ambito informale nella composizione delle loro politiche (Pasquali, 2008; McDonbald, 2009; Harris, 2010; Fedeli, 2012).Se pur con una storia in genere più recente e in parte con risonanza minore, iniziative simili sono diffuse in molti altri paesi. I community gardens inglesi sono il modello a cui si ispirano buona parte delle esperienze europee; in Francia la recente organizzazione dei jardins partagés recupera e aggiorna la tradizione dei jardins ouvriers (Uttaro, 2009); in Argentina, dopo l’apice della crisi del 2001, la coltivazione urbana è sfruttata come strate-gia integrata di crescita sociale ed economica (Calori, 2009; Cognetti e Cottino, 2009).

Ad un primo sguardo, in Italia, il fenomeno sembra ricostruibile principalmente attraverso la composizione di fatti isolati o alla pratica più consolidata degli orti urbani. Negli ultimi anni, però, la diffusione e soprattutto la differenziazione delle pratiche di agricoltura urba-na, assieme al dibattito che le riguarda, stanno assumendo proporzioni che lasciano intra-vedere il potenziale passaggio da un campo punteggiato di episodi alla maglia più fi tta di un fenomeno urbano di portata rilevante. Un fenomeno che vale la pena di indagare come sintomo, appunto, del desiderio di un nuovo progetto per la città.

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L’organizzazione di questo report e dei suoi capitoli ricalca le tappe del percorso di ricer-ca, che a partire da una semplice ricognizione del fenomeno ha cercato di interrogarsi gradualmente sulle sue diverse forme d’interazione con l’organizzazione urbana e la sua progettualità.La prima operazione intrapresa è stata la costruzione di una mappatura delle esperienze (capitolo 1), inquadrate inizialmente nel generico frame della coltivazione orticola in area urbana e considerate rispetto ad alcune prime caratteristiche distintive (dimensioni, aggre-gazioni, storia, …).Da questa prima individuazione di casi di potenziale interesse sono state selezionate alcune storie (capitolo 2), che, per ragioni diverse, ci è parso si mettessero in gioco più di altre in una relazione interattiva con la città.In apparenza, si tratta nella quasi totalità dei casi di esperienze autorganizzate, in cui il soggetto pubblico pare sostanzialmente assente. Ma è davvero così? O forse l’apparente estraneità delle politiche pubbliche per gli episodi di coltivazione urbana più signifi cativi non fa che segnalare un nodo critico su cui ragionare? Alla criticità di questa relazione è dedicata un’ulteriore tappa della ricerca (capitolo 3).Parallelamente a queste considerazioni sul ruolo del soggetto pubblico, le storie raccolte hanno segnalato ulteriori dimensioni ricorrenti su cui rifl ettere per valutare la portata del fenomeno nella defi nizione degli assetti organizzativi della città (capitolo 4).Infi ne, questo lavoro si chiude con l’apertura a una potenziale prosecuzione della ricerca, attraverso la predisposizione di un sito internet (capitolo 5) che raccoglie i materiali pro-dotti, una sorta di banca dati provvisoria per ulteriori percorsi.

Riferimenti bibliografi ciCalori, A. (2009), Coltivare la città. Giro del mondo in dieci progetti di fi liera corta, Terre di

Mezzo Editore, Milano.Cognetti, F. e Conti, S. (2012), Milano, coltivaizone urbana e percorsi di vita in comune.

Note da una ricerca in corso, in «Territorio», n. 60.Cognetti, F. e Cottino, P. (2009), «Da politiche settoriali di lotta alla povertà alla politica

integrata del ‘Progetto di Agricoltura Urbana’», in Partecipazione oltre la parola, ICEI, Milano.

Fedeli, V. (2012), Detroit, la città in discussione: crisi urbana e agricoltura urbana, in «Il Porgetto Sostenibile», n. 29.

Harris, P. (2010), Detroit riparte dalla verdura, in «Internazionale», n. 860.McDonald, N. (2009), As the economy struggles, urban gardens grow, in «Newsweek», lu-

glio, traduzione italiana in: http://mall.lampnet.org/article/ articleview/12471/0/214/.Pasquali, M. (2008), I giardini di Manhattan. Storie di guerrilla gardens, Bollati Boringhieri,

Torino.Uttaro, A. (2009), Dove si coltiva la città. L’esperienza dei jardins partagés parigini, tra

interstizi, scarti e germogli di pratiche urbane emergenti, in: http://www.urbanisticatre.uniroma3.it/RICERCA/caudo_abitare_ferraro/12_Uttaro.pdf

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1. Mappatura

La costruzione di una mappatura delle esperienze di agricoltura urbana corrisponde alla ricerca di una risposta ad alcuni primi interrogativi relativi alla consistenza del fenomeno, alle sue evoluzioni negli anni recenti, alle modalità di interazione con la città, con le sue pratiche e i suoi spazi.

Il tipo di rappresentazione cartografi ca che presentiamo di seguito, zenitale e a scala urba-na, certo non consente di cogliere buona parte delle qualità empiriche del fenomeno e delle sue singole manifestazioni. In compenso, proprio la distanza del punto di osservazione e la relativa astrazione della descrizione permettono di ipotizzare forme di concentrazione e di relazioni con e nella città che sfuggirebbero a raffi gurazioni più ravvicinate.Da semplici osservazioni di carattere quantitativo, dimensionale e distributivo le mappe prodotte, infatti, passano a prendere in considerazione le interazioni degli episodi di agri-coltura con alcune tracce fondamentali della città, con le sue principali concentrazioni spa-ziali e d’uso. Ciascuna di esse è da intendere come uno dei livelli sovrapponibili di un ra-gionamento complessivo su alcune delle dinamiche generali che interessano le esperienze di coltivazione orticola nell’area milanese; per questo a partire da ogni mappa è possibile avanzare delle prime rifl essioni, riportate in calce alle singole rappresentazioni, che funga-no da tracce ipotetiche per successivi approfondimenti.

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1.1. Orti urbani a Milano: un quadro d’insieme

La necessità di possedere uno strumento grafi co, attraverso il quale elaborare e controllare una serie di dati in continua evoluzione, è ciò che sta alla base della scelta di produrre una matrice delle colonie ortive. Tale strumento è costruito in maniera da rendere visibili le informazioni relative ai singoli nuclei e contemporaneamente consentire la visualizzazione del fenomeno nella sua interezza.In ogni casella infatti sono raccolte tutte le informazioni relative ad una singola colonia ortiva, ognuna delle quali fa riferimento ad uno specifi co livello nel disegno: in questo modo, attraverso la selezione dei layers è possibile incrociare le informazioni disponibili e visualizzarle in una tabella complessiva dalla quale si possono avviare alcune rifl essioni di carattere generale.

Matrice 1: informazioni generali

6.220mq

via Missaglia

5 (8.700mq)

117

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dimensione 2012

contorno

dimensione 1999

storialocalizzazione

zona

n° 1999

n° 2012

links

proprietà

La Matrice 1 contiene dati di carattere generale utili a forni-re una prima descrizione della colonia ortiva rappresentata all’interno di ogni singola casella. Nell’esempio riportato si può vedere come al suo interno sono strutturate le infor-mazioni. Il colore del riquadro in alto a sinistra chiarisce chi sono i proprietari del terreno sul quale sorge il nucleo in questione: in questo caso i colori arancio e azzurro stanno a signifi care che esso risiede in un’area in parte pubbli-ca (arancione) e in parte privata (azzurro). All’interno del riquadro colorato vi sono poi 3 cifre: quella al centro più grande corrisponde al numero di riferimento assegnato alla

colonia ortiva in questione nel corso di questa ricerca; il numero più piccolo in alto a sini-stra corrisponde a quello assegnatogli all’interno del censimento compiuto da Italia Nostra e dal CFU nel 1999: la scelta di mantenere entrambe le numerazioni di riferimento dipende dalla volontà di facilitare il confronto tra le informazioni raccolte nel 2012 e quelle raccolte nel 1999; infi ne la cifra più piccola in basso a destra corrisponde alla Zona nella quale il nucleo è situato: tale riferimento serve non solo a facilitarne la localizzazione, ma anche a confrontare i dati zona per zona. Alla destra del riquadro colorato sta il nome della via nei pressi della quale si trova il nucleo; il cerchio colorato racconta l’evoluzione della colonia ortiva tra il 1999 e il 2012 (in questo caso i colori del cerchio stanno a signifi care che la sua dimensione è diminuita). Al di sotto del cerchio e nella parte in basso a sinistra del riquadro si trovano i dati relativi alla dimensione del nucleo: il valore tra parentesi sotto il cerchio defi nisce l’estensione al 1999; viceversa il valore in basso a sinistra defi nisce l’estensione al 2012. La sagoma al centro si riferisce alla forma del nucleo rilevata dalle immagini sa-tellitari di Google Earth. Infi ne i riquadri neri alla sinistra della casella si riferiscono a tutte quelle informazioni qualitative raccolte durante la ricerca: interviste, schede, fotografi e, fi lmati, regolamenti e link.

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3.735mq

via Rho

(11.500mq)2

3.504mq

via Conti

(17.950mq)2

11.300mq

via Ugolini/Giuliani

2

675mq

via Comune Antico

2

3.125mq

via De Marchi

2

12.775mq

via Rucellai/Breda

2

1.000mq

via Breda

2

2.500mq

via Prospero Finzi

2

450mq

via Prospero Finzi/Tofane

2 (1.550mq)

4.500mq

via Alghero/Nuoro

2

33.970mq

via Crescenzago

2

2.000mq

via Nenni

2

2.325mq

via Adriano

2

1.409mq

via San Mamete

2

3.950mq

via San Mamete

2

5.370mq

via Idro

2

19.250mq

Svincolo C.na Gobba

2 (15.000mq)

30.625mq

Str. Padana Superiore

2

2.900mq

Cavalcavia M.no Dosso

3

9.500mq

via Olgettina

3

1.675mq

via Olgettina

3

1.125mq

via Rizzoli/ Svincolo C.na Gobba

3

6.465mq

via Palmanova

3 (4.250mq)

4.375mq

via Palmanova/Roggia Molina

3

27.500mq

via Rizzoli

3 (47.450mq)

(1.675mq)

1.500mq

via Rombon

3

27.575mq

via Canelli/Feltre/Folli

3

600mq

via Folli

3

3.675mq

via Rombon/Ofanto

3

1.500mq

via Folli/Rombon

3

3.050mq

via Passo Rolle

3

250mq

via San Faustino

3

5.475mq

via Milesi

3

2.110mq

via Cima

3

1.550mq

via Cima

3

2.920mq

via Corelli

4

2.700mq

via Corelli

3

7.500mq

via Salesiana

3

1.500mq

via Salesiana

3

11.135mq

C.na Case Nuove

3

700mq

vis Corelli

3

1.050mq

via Corelli

3

25.725mq

via Forlanini

4

400mq

via Decemviri

4

1.050mq

via Decemviri

4

225mq

via Decemviri

4

4.950mq

via Bonfadini/P.co Alessandrini

4

925mq

via Vismara

4

1.950mq

via Toffetti

4

19.000mq

via Zama/Bonfadini/Pestagalli

4

4.375mq

via Bofadini/L.go Guerrieri Gonzaga

4

300mq

via Bonfadini

4

23.200mq

via Bonfadini/Toledo

4

3.150mq

via Vittorini

4

1.500mq

via Vittorini

4

2.770mq

via Camaldoli/Rilke

4

3.200mq

Svincolo Autostradale

4

3.900mq

Svincolo Rogoredo

4

5.000mq

via Medea

4

1.240mq

via Feltrinelli

4

20.625mq

via Feltrinelli

4

625mq

Cavalcavia Pontinia

4

7.000mq

Cavalcavia Pontinia

4

1.400mq

via Nemi

4

1.700mq

via Serrati

4

8.500mq

via S. Arialdo

5

1.300mq

via S.Arialdo

5

2.075mq

via S.Arialdo

5

3.840mq

via S.Arialdo/Vaiano Valle

5

7.335mq

via S.Bernardo

5

300mq

via S.Arialdo

5

3.000mq

via S.Arialdo/C.na Fornace

5

3.100mq

via S.Dionigi

5

10.200mq

via S.Dionigi

5

9.000mq

via S.Dionigi

5

3.375mq

via dell’Assunta

5

8.500mq

via Cassano d’Adda

5

100mq

via dell’Assunta C.na Valle

5

450mq

via dell’Assunta

5

2.385mq

via dell’Assunta

5

5.725mq

via Selvanesco

5

4.425mq

via Selvanesco

5

209mq

via Ferrari

5

5.400mq

via Monti Sabini

5

1.700mq

via Ferrari

5

7.620mq

via Campazzino

5

175mq

via Campazzino

5

21.800mq

via Valla

5

475mq

via Treccani degli Alfieri

5

450mq

via Campazzino

5

200mq

via Campazzino

5

800mq

via Campazzino

5

1000mq

via Campazzino

5

425mq

via Campazzino

5

5.350mq

via Campazzino/C.na Campazzino

5

6.875mq

via Dudovich

5

6.220mq

via Missaglia

5

6.400mq

via Sant’Abbondio/Della Chiesa Rossa

5

7.855mq

via Della Chiesa Rossa

5

9.090mq

via Pienza/C.na Santa Croce

5

100mq

via Gratosoglio

5

2.360mq

via Della Chiesa Rossa

5

1.875mq

via Calzolari/C.na Basmetto

5

1.025mq

via Calzolari/C.na Basmetto

5

13.725mq

alzaia Lambro Meridionale

5

2.500mq

via Rozzano/alzaia Lambro Meridionale

5

10.200mq

via Rozzano/alzaia Lambro Meridionale

5

6.000mq

via Rozzano

5

2.475mq

via Della Chiesa Rossa/Gattinara

5

5.000mq

alzaia Naviglio Pavese

5

3.300mq

alzaia Naviglio Pavese

5

900mq

via Fornace Caimera

5

4.160mq

via San Paolino

6

15.175mq

via De Pretis

6

8.280mq

via Danusso/Finetti

6

1.275mq

via Del Mare/Q.re Cantalupa

6

575mq

via Del Mare

6

16.670mq

via Del Mare/Q.re Cantalupa

6

500mq

via C.na San Marchetto

6

1.325mq

via C.na Marcaccio

6

825mq

via Bardolino

6

2.375mq

via Bardolino

6

5.400mq

via De Pretis

6

3.025mq

via Tre Cstelli/C.na Castel Roma

6

1.950mq

via Chiodi

6

2.825mq

via Chiodi/Pepere

6

3.225mq

via San Giuseppe Cottolengo

6

1.975mq

via Rossi

6

2.225mq

via Rossi/Parenzo

6

825mq

via Tre Castelli

6

18.570mq

via Tre Castelli

6

8.965mq

via Martinelli

6

4.850mq

via Martinelli

6

9.810mq

via Enna/Merula

6

6.665mq

via Buccinasco

6

4.254mq

via Buccinasco/C.na di Mezzo

6

150mq

via Buccinasco

6

375mq

via Buccinasco

6

650mq

via Buccinasco

6

2.010mq

via Buccinasco/Lodovico il Moro

6

5.000mq

alzaia Naviglio Grande

6

2.300mq

alzaia Naviglio Grande

6

8.075mq

via Lorenteggio

6

1.575mq

via Giambellino

6

200mq

via Bisceglie

6

52.000mq

via Calchi Taeggi

6

9.400mq

via Bisceglie/Ciconi

6

9.050mq

via Viterbo/Lucca

7

250mq

via Viterbo

7

2.025mq

via Valsesia

7

2.975mq

via Valsesia

3

262mq

via Viterbo

7

9.000mq

via Valsesia

7

1.375mq

via Bagarotti

7

720mq

via Bagarotti

7

10.150mq

via Mosca

7

8.075mq

via Degli Ulivi

7

32.500mq

via Muggiano

7

48.125mq

via Muggiano

7

1.285mq

strada vicinale nuova

7

7.575mq

tangenziale ovest

7

6.025mq

via Guascona

7

71.875mq

via Muggiano

7

2.480mq

via Muggiano

7

73.425mq

via Cusago

7

2.000mq

via Muggiano

7

2.125mq

via Mosca

7

350mq

via Lombardi

7

1.000mq

via Lombardi

7

1.340mq

via Newton

7

475mq

via Stigliano

7

325mq

via Cusago

7

375mq

via Seguro

7

8.180mq

via Amantea

7

8.125mq

via Quinto Romano

7

450mq

via F.lli di Dio/Camozzi

7

1.450mq

via Camozzi

7

3.750mq

via Camozzi

7

2.000mq

via Broggini

7

10.380mq

via C.na Barocco

7

9.390mq

via C.na Barocco

7

57.975mq

via Cardinale Tosi

7

6.290mq

via Broggini

7

767mq

via Diotti

7

275mq

via Quinto Romano

7

1.050mq

via Rombon

7

4.625mq

via Airaghi/De Sica

7

19.500mq

via Caio Mario

7

2.750mq

via Caldera

7

3.225mq

via Rasario

7

2.200

via Novara

7

9.565mq

via Rasario

7

1.450mq

strada consorziale Romanello

8

3.708mq

via Novara

7

3.000mq

via Rombon

7

1.120mq

via Ippodromo

8

175mq

via Ippodromo

8

350mq

via Calvino

8

1.800mq

via De Lemene

8

1.800mq

via De Lemene

8

2.400mq

via Chiarelli

8

4.950mq

via Appennini/Castellanza

8

2.220mq

via Appennini

8

775mq

via Consolini

8

11.050mq

via Keplero

8

4.775mq

via Torrazza

8

6.975mq

via Triboniano

8

14.280mq

via Varesina/Cavalcavia Palizzi

8

5.125mq

Cavalcavia Palizzi

8

7.500mq

via Castellammare

8

19.375mq

via Aldini

8

4.250mq

via Grassi

8

30.625mq

via De Pisis

8

6.300mq

via Maffi

9

875mq

via C.na Dei Prati

9

2.290mq

via Cerkovo/C.na Dei Prati

9

52.500mq

via Lisiade/Pedroni/Leningrado

9

12.500mq

via Moneta/Pedroni

9

225mq

via Novaro/Taccioli

9

700mq

via Ippocrate

9

5.250mq

via Bivona

9

27.500mq

via Salemi

9

925mq

via Oroboni

9

2.500mq

via Dora Baltea

9

13.580mq

via Senigallia

9

2.500mq

via Acerbi

9

250mq

via Don Minzoni

9

720mq

l.go Gino Allegri

9

3.200mq

via Benefattori dell’Ospedale

9

3.275mq

via Gatti/Siderno

9

2.820mq

via Bottoni

5

3.600mq

via Peressutti

5

5.075mq

via Rogers

5

1.050mq

via Peressutti

5

1.125mq

via Peressutti

5

5.550mq

via Ripamonti

5

500mq

via Macconago

5

2.350mq

via Ripamonti

5

2.700mq

via Ripamonti

5

10.000mq

via Quinto Sole

5

1.400mq

via Quinto Sole

5

23.450mq

via Pescara

5

2.475mq

via Pescara

5

1.750mq

traversa via Pescara

5

2.730mq

via Manduria/Ronchetto delle Rane

5

11.025mq

via Manduria/Missaglia

5

525mq

via Selvanesco/C.na Cascinetta

5

4.570mq

via Selvanesco C.na Cascinetta

5

25.500mq

via Selvanesco/C.na Cascinetta

5

1.225mq

via Selvanesco

5

1.325mq

via Caio Mario

7

800mq

via Benefattori dell’Ospedale

9

4.375mq

via Baccelli

9

1.075mq

via Pasta

9

875mq

via Baccelli

9

7.950mq

via Faiti/Graziano Imperatore

9

1.050mq

via Pozzobonelli

9

1.100mq

via Aldo Moro

9

1.975mq

strada consorziale della Bicocca

9

3.260mq

via Cherso Adriatico

9

3.490mq

via Della Pila/Suzzani

9

850mq

via Fulvio Testi

9

920mq

via Chiese

9

325mq

via Porto Corsini/Cavalcavia Breda

9

(4.415mq)

(23.750mq)

(5.000mq)

(4.075mq)

(320mq)

(6.250mq)

(5.625mq)

(625mq)

(17.550mq)

(1.350mq)

(750mq)

(11.950mq)

(4.425mq)

(4.425mq)

(1.150mq)

(4.950mq)

(975mq)

(30.650mq)

(200mq)

(27.075mq)

(5.275mq)

(8.700mq)

(700mq)

(20.450mq)

(5.300mq)

(4.350mq)

(15.325mq)

(2.075mq)

(32.311mq)

(11.025mq)

(3.650mq)

(2.100mq)

(3.475mq)

(14.025mq)

(4.000mq)

(1.400mq)

(11.250mq)

(7.800mq)

(5.075mq)

(8.075mq)

(44.800mq)

(13.075mq)

(5.100mq)

(2.650mq)

(7.000mq)

(13.750mq)

(5.675mq)

(2.750mq)

(4.085mq)

(1.700mq)

(850mq)

(15.200mq)

(34.725mq)

(875mq)

(2.975mq)

(1.000mq)

(476mq)

(1.500mq)

(1.250mq)

(2.675mq)

(12.400mq)

(8.750mq)

(15.250mq)

(1.800mq)

(2.025mq)

(900mq)

(550mq)

(1.425mq)

490mq

via Rho/Malvestiti

2

1.670mq

via Watteau

2

590mq

via Tanaro

2

465mq

via De Notaris/Martesana

2

2.250mq

via Giuseppe Maria Giulietti

2

400mq

via Meucci

2

163mq

via Elio Adriano

2

27.920mq

via Idro/Tangenziale Nord

2

5.250mq

via Bormio/Idro

2

3.745mq

viale Europa/Tangenziale Nord

2

5.050mq

via Rublioff

3

3.430mq

via Cassanese

3

6.460mq

via Abruzzi/Rubattino

3

890mq

via Corelli

3

1.265mq

via Corelli/Tangenziale Est

3

900mq

via Taverna

4

11.615mq

viale dell’Aviazione

4

1000mq

via Piranesi

4

4.890mq

via Bonfadini

4

485mq

via Elio Vittorini/Ponte Lambro

4

2.990mq

via Camaldoli/Ponte Lambro

4

1.925mq

via Toffetti

4

669mq

via Sulmona

4

755mq

via delle Puglie

4

4.640mq

via Vaiano Valle

5

1.250mq

via dell’Assunta

5

785mq

via Ripamonti

5

2.020mq

via Borsellino/Le Rovendine

5

870mq

via Borsellino/Le Rovendine

5

745mq

via Verro

5

1.615mq

via Verro

5

2.400mq

via Ferrari

5

1.135mq

via Campazzino

5

1.915mq

via C.na Gandina

5

4.420mq

via C.na Gandina

5

560mq

Ronchetto

5

2.580mq

Ronchetto

5

3.310mq

Ronchetto delle Rane

5

860mq

Ronchetto delle Rane

5

430mq

Ronchetto delle Rane

5

7.450mq

Tangenziale Ovest/Depuratore

5

12.120mq

via Olona

5

17.070mq

alzaia Naviglio Pavese

5

5.680mq

via della Chiesa Rossa

5

3.024mq

via della Chiesa Rossa

5

760mq

via Boffalora

5

1.820mq

via di Rudini

6

5.530mq

via Don Primo Mazzolari

6

2.035mq

via Bardolino

6

4.490mq

via Bardolino

6

2.400mq

via Garibaldi

6

2.380mq

via Mantegna

6

12.140mq

via Chiodi

6

1.650mq

via Giambellino

6

3.165mq

via Pesto

6

28.775mq

via Guascona

7

1.065mq

via Guascona/Muggiano

7

4.880mq

via Lucera/Muggiano

7

610mq

via Mosca

7

3.320mq

via Mosca

7

3.850mq

M.no Paradiso

7

4.063mq

via degli Ulivi/Cavalcavia Luraghi

7

5.955mq

via Benozzi Gozzoli

7

300mq

via Benozzi Gozzoli

7

695mq

via Benozzi Gozzoli

7

1.445mq

via Benozzi Gozzoli

7

335mq

via Cividale del Friuli

7

3.030mq

via F.lli di Dio

7

945mq

via F.lli Zoia

7

530mq

via C.na Barocco

7

590mq

via C.na Barocco

7

670mq

via privata Scanini

7

1.190mq

via privata Taggia

7

2.220mq

via privata Taggia

7

610mq

via privata Sora

7

1.060mq

via C.na Bellaria

7

150mq

strada consorziale Romanello

7

1.920mq

via Cavaliere

7

4.430mq

via Ponte del Giuscano

7

5.870mq

via Silla

7

960mq

Cimitero Monumentale

9

2.710mq

via Pasta

9

4.510mq

via Bologna/Seveso

9

2.555mq

via Baracca

9

3.520mq

via Suzzani

9

2.660mq

via Suzzani

9

1.410mq

via Empoli

9

355mq

via Ippodromo

5

500mq

C.na Basmetto

5

4.170mq

via Lambro Meridionale

5

2.245mq

via privata Bisceglie

6

2.310mq

via Frigerio

7

1.765mq

via Verdi/Stigliano

7

1.090mq

via Marconi/Cave

7

1.865mq

via Uruguay

8

2.265mq

via privata Cefalù

8

2.609mq

via Jona

8

2.120mq

via Barzaghi

8

3.640mq

via Monte Spluga

8

4.740mq

via Monte Spluga

8

37.710mq

via Lessona

8

2.350mq

via Bovisasca

9

2.985mq

via Assietta

9

2.360mq

via Clelia Merloni

9

2.630mq

via Gabbro

9

350mq

via Moneta

9

1.130mq

via Chiasserini/Luther King

9

4.320mq

via Chiasserini

9

21.850mq

via Bovisasca

9

465mq

via Bovisasca

9

600mq

via 5 Maggio

8

3.620mq

via Pericle Negrotto

8

1.190mq

via Cretese/Maggianico

8

1.770mq

via Calvino

9

(1.275mq)

(1.050mq)

(3.650mq)

(11.500mq)

(7.575mq)

(3.650mq)

(6.700mq)

(3.750mq)

(21.000mq)

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nuclei che hanno diminuito la loro dimensione*nuclei che hanno incrementato la loro dimensione*nuclei che hanno mantenuto la loro dimensione*nuclei scomparsi*nuclei nuovi*

storia

comune di Milano/pubblica*privata*altri enti*non pervenuto*

proprietà terreni

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10 | La terra della città

Matrice 2: contesto

La Matrice 2 contiene informazioni relative al contesto in cui la colonia ortiva si colloca. La foto satellitare (catturata durante le ricerche svolte attreverso Google Earth) offre una prima immagine del contesto nel quale è inserito il nucleo cui fa riferimento la casella. La cifra in nero in alto a sinistra si riferisce anche in questo caso al numero di riferimento assegnato alla colonia ortiva in questione nel corso di questa ricerca. I riquadri e i dise-gni colorati in basso a destra fanno invece riferimento agli elementi che caratterizzano il contesto nel quale il nucleo è inserito: le informazioni in questione sono state selezionate durante il lavoro di mappatura, nel corso del quale sono stati evidenziati quei fattori che tendono a favorire la generazione ed il mantenimento dei nuclei ortivi (parchi, agricoltura, infrastrutture, acqua, cascine, città pubblica, vuoti).

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foto satellitare

caratteristiche

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parchiferroviastrade principalipresenza di corsi d’acquacascine di proprietà pubblicacascine di proprietà privatavuoti urbaniagricolturacittà pubblica

contesto

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12 | La terra della città

1.2. Le mappe

m1. colonie ortive

In questa prima mappa sono individuate le varie colonie ortive presenti all’interno dei confi ni comunali della città di Milano. Le colonie attualmente rilevate sono 194 per un’area totale coltivata di circa 1.670.000 mq. Il processo attraverso il quale è stato possibile map-pare le colonie inizia con uno studio comparato delle immagini satellitari di Google Earth (aggiornate al 2010) con il Censimento degli orti urbani realizzato da Italia Nostra e dal Centro Forestazione Urbana (CFU) nel 1999. Successivamente, dopo aver rilevato alcuni dati relativi ai contesti nei quali gli orti si sviluppano con maggiore frequenza, si è procedu-to all’ampliamento della mappatura facendo riferimento alle sole immagini satellitari. Una quarantina di casi sono stati rilevati in loco.

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La terra della città | 13

m2. Dimensionamento

In questa mappa vengono localizzate le varie colonie ortive in base alla loro dimensione: più grande è il cerchio che la rappresenta più grande è la colonia a cui si fa riferimento. I cerchi si suddividono in 12 fasce dimensionali: inferiore a 500mq (marrone scuro), tra 500 e 1000mq (porpora), tra 1000 e 2000mq (rosso), tra 2000 e 3000mq (arancione scuro), tra 3000 e 4000mq (arancione chiaro), tra 4000 e 5000mq (giallo), tra 5000 e 10.000mq (verde chiaro), tra 10.000 e 20.000mq (verde scuro), tra 20.000 e 30.000mq (verde acqua), tra 30.000 e 40.000mq (azzurro scuro), tra 40.000 e 60.000mq (blu), oltre i 60.000mq (viola). Le colonie ortive più diffuse risultano quelle comprese tra i 2000 e i 3000mq (52 colonie su 194), quelle comprese tra i 1000 e i 2000mq (45 su 194) e quelle comprese tra 5000 e 10.000mq (40 su 194).

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Gli insediamenti più piccoli tendono a spargersi indistintamente su tutta la superfi cie del territorio comunale (fatta eccezione per le zone più centrali, incluse nella circonvallazione sterna, dove si incontrano pochissime colonie); al contrario le colonie superiori a 5000mq tendono a localizzarsi nelle zone più periferiche ad Est e a Sud di Milano, laddove il terreno libero dall’urbanizzazione in cui persistono vaste aree destinate all’agricoltura lascia spazio suffi ciente a favorire la nascita e la permanenza delle colonie ortive più grandi.

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m3. Inquadramento: spazi aperti, vuoti urbani, infrastrutture

In questa mappa il disegno di Milano è fi ltrato attraverso la selezione di alcune caratte-ristiche territoriali che ci sembra possano interagire con la nascita e la permanenza delle colonie ortive: tutte le aree edifi cate (strade, marciapiedi, piazze e parcheggi compresi) risultano bianche su questa mappa. Ciò che viene invece evidenziato sono da un lato il sistema degli spazi aperti, quindi i terreni agricoli, i parchi e i vuoti della città, dall’altro i sistemi infrastrutturali, ovvero la rete ferroviaria, le strade principali e la rete idrografi ca.Ad un primo sguardo sembra che l’incidenza del fenomeno orticolo si concentri maggior-mente proprio nei pressi degli spazi aperti, lungo i tracciati infrastrutturali e nelle vicinanze dei corsi d’acqua.

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16 | La terra della città

Le informazioni rilevate nel corso della ricerca mostrano che il 62% delle colonie ortive (121 su 194) siano situate in adiacenza o molto vicino a fonti dalle quali è possibile rifornir-si di acqua (sebbene in effetti, come dimostrano anche le ricerche compiute da Italia Nostra e dal CFU nel 1999, la maggioranza degli ortisti tenda ad approvvigionarsi dell’acqua ne-cessaria per l’irrigazione tramite la raccolta delle acque piovane). Il 64% si trova su terreni agricoli o nei pressi degli stessi, mentre il 61% occupa gli spazi dimenticati della città.Nei pressi degli assi infrastrutturali l’incidenza del fenomeno cala sensibilmente, ma resta comunque signifi cativa: quasi il 30% degli orti sorge a ridosso delle grandi arterie stradali, mentre il 23% occupa gli spazi interstiziali lungo la ferrovia.A sostegno ulteriore delle considerazioni precedenti si può dire che il 56% di tutti gli orti mai censiti a Milano si nelle Zone 4, 5 e 6, ovvero nelle zone in cui si concentra la maggio-ranza delle aree destinate ad uso agricolo e la più consistente densità di acque superfi ciali (canali, rogge, fi umi, fontanili, ecc). In queste aree, in compenso, la concentrazione di co-lonie intorno agli assi infrastrutturali diminuisce notevolmente, soprattutto se si compara il dato con quello delle zone 8,9,2 e 3, nelle quali l’incidenza del fenomeno a ridosso degli spazi ferroviari è notevolissima.

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m4. Inquadramento: cascine, città pubblica

In questa mappa sono rappresentate le colonie ortive in relazione a tre elementi che nel corso della ricerca sono emersi come fattori rilevanti nella defi nizione del contesto ideale nel quale il fenomeno orticolo può nascere e radicarsi. Gli elementi selezionati sono del componenti della città pubblica, ovvero le aree all’interno delle quali sono nettamente preponderanti le residenze di iniziativa e proprietà pubblica (comunale o di pertinenza dell’ALER), indicate in rosa scuro sulla carta, e le cascine pubbliche e private (rispettiva-mente in arancione e in rosso), che costruiscono un fi ttissimo - e inaspettato - paesaggio all’interno dei confi ni comunali.

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18 | La terra della città

La scelta di rilevare l’incidenza del rapporto di contiguità tra le colonie ortive, la città pubblica e le cascine deriva dalla curiosa compresenza di questi elementi in molti dei casi studio visitati: da una parte, infatti, è emersa la frequente necessità della popolazione resi-dente in abitazioni di proprietà pubblica di avere un appezzamento di terra da coltivare, per svagarsi e per uscire dalle mura della propria casa (si consideri inoltre che, nei periodi di forte immigrazione verso Milano, molte delle case popolari furono affi date ad ex contadini o a persone cresciute in contesti rurali); dall’altra spesso tra cascine ed orti si sono instaurati rapporti formali ed informali che, pur modifi candosi nel corso del tempo, a volte persistono da decenni (basti pensare alla pratica piuttosto diffusa in contesti rurali per cui ai contadini dipendenti di una tenuta veniva concesso dal padrone un fazzoletto di terra per coltivare ortaggi e frutta). Analizzando i dati in effetti emerge come circa il 50% delle colonie ortive sia situata a non più di 1000m dai principali insediamenti di edilizia pubblica. Allo stesso modo, circa il 27% delle colonie mappate sono localizzate in prossimità di cascine.

Page 19: La Terra in città

La terra della città | 19

m5. Soglie storiche

In questa mappa le colonie ortive sono rappresentate in forma schematica con cerchi di diverse dimensioni e colori, nel tentativo di restituire sulla carta l’evoluzione temporale del fenomeno degli orti urbani milanesi. Sebbene le soglie storiche sulle quali si è potuto fare affi damento fossero solamente due, ovvero il 1999, anno in cui il Comune di Milano rese pubblico il Censimento degli orti urbani realizzato da Italia Nostra e del CFU, e il 2011, ovvero il periodo di raccolta dei dati di questa ricerca, le informazioni raccolte evidenziano comunque alcune tendenze del fenomeno. Innanzi tutto si può dire che in generale, tenen-do conto della superfi cie occupata dalle colonie ortive, la tendenza è decrescente: infatti se nel 1999 la somma delle aree tutti i nuclei censiti fosse di 1.781.968 mq, ad oggi si rileva un calo abbastanza signifi cativo, quantifi cabile nell’ordine dei 100.000mq circa (ricordiamo che i dati raccolti nel corso di questa ricerca parlano di una cifra che si aggira intorno a 1.670.000mq).

Page 20: La Terra in città

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Tuttavia, facendo riferimento ad un altro censimento (realizzato sempre da Italia Nostra e dal CFU) relativo all’anno 1994, emerge, infatti, un andamento sia piuttosto stabile: il dato relativo a quella data parla di 1.693.784mq di superfi cie coltivata ad orti.Gli orti urbani sembrano essere piuttosto fl uidi nelle loro fasi di aggregazione, ricompo-sizione e scomposizione. Se osserviamo i dati rilevati tra il 1994 e il 1999 infatti, emerge come circa 220.000mq di orti siano scomparsi e come, allo stesso tempo, le nuove super-fi ci coltivabili adibite ad uso ortivo, nello stesso arco di tempo, siano aumentate di circa 300.000mq. Allo stesso modo possiamo dire che tra il 1999 e il 2011 l’andamento della pre-senza orticola abbia seguito un percorso simile: a fronte di una perdita di 430.000mq circa relativi alle colonie completamente scomparse (spesso a causa dei grandi interventi infra-strutturali ed edilizi messi in atto negli ultimi anni) a cui si aggiungono i circa 265.000mq di aree sottratte alle colonie esistenti (che comunque rimangono attive), si rileva tuttavia un diffusione della pratica in aree nuove quantifi cabile in circa 400.000mq, ai quali si ag-giungono i circa 180.000mq relativi a quelle colonie che hanno aumentato la loro superfi cie tra il 1999 ed il 2011.Dal punto di vista della semplice presenza, il fenomeno, insomma, sembra essere assolu-tamente fl uido, secondo un trend pressoché costante: le aree occupate dagli orti urbani si modifi cano, a volte aumentano di dimensione, oppure scompaiono da una parte per riap-parire altrove.

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m6. Attori: Proprietà dei terreni

In questa mappa le colonie ortive sono rappresentate con dei cerchietti di colore diverso: ad ogni colore (o combinazione di colori) corrisponde una diversa proprietà del terreno su cui sorge la colonia. Le informazioni presentate in questa mappa sono quasi completamen-te desunte dallo studio del Censimento degli orti urbani del 1999; nuovi dati sono stati collezionati attraverso le indagini sul campo e la ricerca su internet.Dai dati relativi al 1999 risultava come circa il 65% di tutte le colonie ortive sorgesse su aree di proprietà privata: di enti estranei al Comune o allo Stato e di privati cittadini; il 35% è localizzato invece in terreni di proprietà pubblica.

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Non è possibile fare delle comparazioni attendibili con il presente per mancanda di dati certi estesi riferiti al periodo attuale; la maggioranza delle colonie ortive mappate nel 2011 sono state classifi cate nell’ambito delle aree di proprietà da verifi care. Nonostante ciò, in base alle informazioni raccolte, si può ipotizzare che la situazione non sia cambiata di molto.Se si osserva la posizione geografi ca delle colonie ortive, ordinate secondo il criterio della proprietà dei terreni, possiamo dire, inoltre, che, se nelle zone 8,9,2,3 e 4 il fenomeno si manifesta su aree di proprietà in prevalenza pubbliche, mentre a Sud, nelle aree interessa-te dal Parco Agricolo, e ad Ovest (zone 5,6,7) si registra un andamento inverso, che vede protagonisti i terreni privati.

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m7. Attori: occupazione del suolo

In questa mappa sono raccolti i dati relativi all’occupazione dei suoli, ovvero alle dinami-che di regolazione attraverso le quali le colonie ortive vengono realizzate, riconosciute e mantenute.Anche in questo ambito il panorama è estremamente fl uido e variegato: sono molti, infatti, gli accordi informali tra proprietari e ortisti che garantiscono a questi ultimi la permanenza in terreni sui quali non avrebbero alcun diritto formale.

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La prima categorizzazione quindi si basa su una semplice selezione: infatti, se si esclude la possibilità di accordi informali tra pubblico e privato (fatta eccezione per la pratica dif-fusa del chiudere un occhio) e, al contrario, si considera che gli accordi tra privati cittadini possono assumere innumerevoli forme (comprese quelle in cui è previsto uno scambio di denaro in nero o la cessione a titolo gratuito del terreno per un determinato periodo di tempo), si è scelto di stabilire una prima suddivisione tra legale/abusivo (pallino verde/pal-lino rosso) concentrando la ricerca sulle sole colonie situate in aree di proprietà pubblica. In questo modo, tutti gli orti che non sono segnati nei registri comunali come orti urbani pubblici (dei quali si può facilmente verifi care l’esistenza navigando nel sito del Comune di Milano) vengono automaticamente annoverati tra gli abusivi. Da questa prima selezione emerge un dato interessante: se nel 1999 infatti solo l’11% degli orti che sorgevano su aree di proprietà pubblica erano da considerarsi legali, ad oggi il tasso sale al 23% (ovvero 21 nuclei ortivi comunali su 90 situati in aree di proprietà pubblica).I dati più rilevanti restano comunque quelli che descrivono il fenomeno degli orti urbani come una pratica sostanzialmente informale: il 77% degli orti selezionati con questo me-todo permangono in uno stato di illegalità. Inoltre, se si riprende il dato considerato per la mappa precedente relativa alla proprietà dei terreni, quello che indica il 65% di tutte le colonie ortive su terreni privati, il panorama si fa ancora più ambiguo: in questo contesto infatti è stato verifi cato che solo 7 colonie ortive su 104 (ovvero il 6,7%) sono regolari, cioè di proprietà o legalmente riconosciute dal Comune. Per la maggior parte il fenomeno quindi sembra quantomeno sfuggire al controllo normativo.

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2. Storie

A Milano, accanto a poche esperienze consolidate, negli ultimi anni si sono moltiplicati i progetti dedicati all’agricoltura urbana: orti di quartiere legati ad associazioni di promozio-ne sociale, orti didattici coltivati nelle scuole da gruppi di genitori e alunni, giardini terapeu-tici, aiuole e spazi abbandonati trasformati da gruppi di giardinieri occasionali, piccoli orti per l’auto-produzione in spazi sociali, ma anche aree orticole integrate in numerosi parchi urbani.

La raccolta di queste storie di coltivazione urbana rappresenta un approfondimento concre-to della mappatura precedente. Probabilmente più che in altre forme di lettura, in questo tipo di sguardo entrano in gioco fattori come le modalità di auto-rappresentazione dei sin-goli soggetti, le propensioni individuali, le casualità contingenti. Ma di contro la narrazione ravvicinata delle vicende consente meglio di altre rappresentazioni di rintracciare traietto-rie di relazione con la città, annunciate e/o sperimentate. Proprio sfruttando le proprietà di questa lente narrativa, in questo approfondimento abbiamo privilegiato quelle esperienze che meglio di altre sembrano funzionare come dispositivi d’attivazione per il trattamento di questioni altre rispetto alla semplice attività di coltivazione.

Il repertorio che ne risulta prende in considerazione storie anche molto diverse tra loro, spesso legate a doppio fi lo a un contesto, a un passato e ad obiettivi propri. In questo sen-so la defi nizione inglese community gardens, che pur pone un’enfasi forse eccessiva sugli aspetti comunitari, sembra apparentemente più appropriata per indicare questo tipo di coltivazioni della traduzione italiana corrente orti urbani. In molti casi, infatti, non si tratta di orti in senso proprio, ma di esperienze che mettono in relazione secondo proporzioni anche molto variabili la pratica della coltivazione con la costruzione di percorsi di vita in comune.

2.1. Terra in comune. Una tassonomia

Ciascuna esperienza milanese di coltivazione urbana porta con sé l’intreccio di diversi signi-fi cati e contenuti e può essere osservata e rappresentata da diversi punti di vista. Un primo tentativo di lettura del disordine naturale in cui si collocano queste storie considera l’idea di rintracciare in esse un carattere dominante, a partire dal quale comporre un piccolo ca-talogo. Quella che abbiamo iniziato a costruire è quindi una breve tassonomia, da sfruttare come prima mappa per orientarsi (Weick, 1997), consapevoli che le sue voci sconfi neranno l’una nell’altra a seconda della prospettiva d’osservazione adottata. Si tratta di una ripar-tizione parziale e in fi eri, che ha il valore di uno spunto per intraprendere rifl essioni più ampie e complesse su alcune categorie di carattere collettivo, legate a stili di vita che in vario modo potremmo defi nire in comune.

Il mio ortoQuello che normalmente identifi chiamo come orto urbano è soprattutto una coltivazione di carattere personale (individuale o familiare), intrapresa, in forma abusiva o autorizzata, soprattutto per soddisfare esigenze proprie, che siano effettive necessità alimentari o sem-

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plici espediente ricreativi1.A prima vista questi episodi hanno ben poco di quel carattere dispositivo che abbiamo de-ciso di applicare come frame di riferimento per la raccolta di queste storie urbane. Eppure ad uno sguardo più attento anche queste esperienze individuali interagiscono attivamente con l’organizzazione della città per lo meno in due sensi: da una parte segnalando con la loro semplice presenza l’esigenza di un luogo altro, disallineato rispetto alle consuete diffe-renziazioni funzionali; dall’altra identifi cando e marcando fi sicamente degli spazi di libertà, luoghi fi ltro, che mentre svolgono l’importante ruolo di raccordo morbido tra lo spazio ur-bano determinato e tutto ciò che la sua defi nizione non riesce ad accogliere, rappresentano anche la culla per l’elaborazione di possibili confi gurazioni nuove.

L’orto del mio quartiereUn’ulteriore categoria individuata fa riferimento alla dimensione della vita comune e della quotidianità di piccole comunità urbane. L’orto del mio quartiere2, sulla scorta dei commu-nity gardens anglosassoni, può essere considerato un modello piuttosto consolidato: alla base di questo tipo di iniziative si trova l’idea di una sinergia di effetti di rigenerazione dello spazio urbano e di potenziamento del senso di appartenenza e di responsabilità di chi vi partecipa.Facendo leva sull’accessibilità connaturata a questo tipo di attività e sulla dimensione della prossimità, i giardini e gli orti di comunità assumono esplicitamente la coltivazione come strumento di aggregazione e integrazione sociale in ambiti territoriali circoscritti. In que-sto gruppo rientrano gli esperimenti in cui orticoltura e giardinaggio sono dichiaratamente fi nalizzati al recupero di aree in disuso, di spazi simbolici e di riconoscimento, o ad una riqualifi cazione locale ad ampio spettro; ma anche gli orti didattici, in cui l’impegno per la formazione di bambini e ragazzi diventa un’occasione d’incontro per popolazioni locali diverse. Spesso queste esperienze si collocano in spazi in origine appartati, come giardini scolastici, cascine abbandonate, piccole aree intercluse, che, anche attraverso la pratica dell’orto, vengono aperti al quartiere e alla città.

L’orto sul retroIl riuso degli spazi è un carattere che le coltivazioni di quartiere hanno in comune con le esperienze che incontriamo alla voce de l’orto sul retro3, in cui includiamo i progetti in qual-che modo vicini alle note pratiche di guerrilla gardening. La defi nizione guerrilla gardening, consolidatasi a partire da alcune esperienze statunitensi degli anni Settanta, indica iniziative di dissenso che usano il verde come fatto rivendicati-vo e dimostrativo. In Italia la pratica della guerriglia verde si diffonde solo in anni recenti

1 È questo in realtà il fenomeno maggiormente esteso. I casi visitati che ci sembra di poter inclu-dere in questo gruppo sono: gli orti comunali del Parco Alessandrini; gli orti di Via Chiodi; gli Orti Missaglia; gli orti del Bosco in città;gli orti comunali del Parco Nord. Per una ricognizione esaustiva ed aggiornata degli orti urbani a Milano ci riferiamo al lavoro di ricerca di Daniele Lamanna nell’am-bito della preparazione dell’elaborato fi nale per il corso «Azione locale partecipata e sviluppo urbano sostenibile», Iuav, Venezia, a.a. 2010-2011.

2 Alla voce «L’orto del mio quartiere» troviamo: l’associazione Piano Terra; il community garden I Giardini del Sole; gli orti della Cascina Cuccagna; l’associazione di quartiere Ortinconca.

3 Tra i casi esplorati, in questo gruppo abbiamo incluso: il movimento Critical Garden; il gruppo Landgrab; il movimento italiano Guerrilla Gardening; il giardino Playground; l’orto della Cascina Au-togestita Torchiera.

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maturando caratteri specifi ci. A differenza di quanto avviene in altri paesi, dove assume le forme di un vero e proprio movimento antagonista, a Milano e nelle principali città italiane il movimento è costellato di episodi più disordinati, che non si preoccupano di mescolarsi con esperienze dal carattere meno dissenziente.L’idea che guida le iniziative è di base molto semplice: la cura degli spazi trascurati della città diviene il manifesto politico di una possibile via per la trasformazione quegli stessi spazi e di altri di natura affi ne. Queste iniziative di giardinaggio improvvisato lavorano su e per il lato B della città, cercando non solo, e non tanto, di riportarlo sul fronte pubblico, quanto di farne un traino immaginario verso una direzione di cambiamento. Non a caso il terreno privilegiato degli attacchi verdi sono le frange dello spazio urbano, spesso anche in prossimità di spazi sociali e autogestiti. «Gli edifi ci hanno un fronte e un retro, malgrado gli sforzi degli architetti di trasformarli in sculture a tutto tondo» (Lynch, 1992, p. 58). Il retro è il luogo dove la vita si esprime più facilmente, perché la sua posizione più celata gli permette di sottrarsi al rispetto dell’ordine che regola il fronte pubblico; sul retro quindi si realizza un legame più diretto tra lo spazio e il suo uso, svincolato in buona parte dai con-dizionamenti della ripartizione funzionale dell’ambiente costruito.Le iniziative di guerrilla gardening sfruttano a pieno questo intrinseco potenziale delle zone d’ombra, che la (parziale, temporanea, …) sospensione di alcune forme di controllo rende il rifugio abituale di una varietà di pratiche non concesse altrove, ma anche il terreno fertile e la riserva di materiali per la sperimentazione di nuovi assetti organizzativi.

L’orto per altroNella categoria de l’orto per altro4 comprendiamo i progetti in cui il lavoro della terra è soprattutto fi nalizzato al raggiungimento di obiettivi di altra natura. La coltivazione è un’attività che non richiede particolari prerequisiti: non necessita a priori di particolari competenze tecnico-teoriche – mentre, al contrario, favorisce l’apprendimento contingente e sperimentale –, né comporta di per sé l’adesione a specifi ci orientamenti ideali o l’appar-tenenza a determinati gruppi sociali. Queste prerogative di accessibilità e semplicità ope-rativa fanno dei progetti di coltivazione dei potenziali dispositivi di attivazione di percorsi diversi rispetto alla semplice attività di coltura.Come si è detto, questo carattere molteplice appartiene trasversalmente pressoché ad ogni esperienza di coltivazione urbana, ma alcune delle vicende considerate sfruttano più esplicitamente di altre l’effi cacia del dispositivo-orto, privilegiando chiaramente la dimen-sione strumentale implicita in questo tipo di attività. In questi casi l’orto e il giardino sono soprattutto l’occasione per fare altro. In questo raggruppamento si incontrano le iniziative che assumono intenzionalmente il coltivare come mezzo terapeutico o formativo, come i progetti dedicati al coinvolgimento e all’integrazione di persone provenienti da situazioni di disagio e di esclusione, ma anche, più in generale, i percorsi in cui la concretezza dell’orto e dei suoi prodotti è soprattutto funzionale ad altri obiettivi.

4 Tra i casi incontrati, abbiamo associato a questo gruppo: la Cascina Bollate; Il Giardino degli aro-mi; la rete delle Libere Rape Metropolitane; il progetto Libero orto; l’Orto in città.

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2.2. Le coltivazioni

L’elenco che segue raccoglie le esperienze orticole milanesi che si è scelto di approfondire. Per ciascuna di essa è stata compilata una scheda (le schede sono presentate di seguito) che ne riassume brevemente la storia, i modi di azione, le principali relazioni intraprese.Come primo tentativo di inquadramento delle esperienze ciascuna di esse è collocata in una delle voci della tassonomia descritta in precedenza, a seconda di quella che ci è parsa la caratterizzazione prevalente.

Il mio orto L’orto del mio quartiere L’orto sul retro L’orto per altro

Boscoincittà / Centro Forestazione Urbanahttp://www.cfu.it/via Novara

Cascina Bollatehttp://www.cascinabollate.org/cms/index.phpcarcere di Bollate

Cascina Cuccagnahttp://www.cuccagna.org/via Muratori

I Giardini del Solehttp://giardinidelsole.parcotrotter.org/via Padova (Parco Trotter)

Il Giardino degli aromihttp://www.olinda.org/2005/giardino.htmex OP Paolo Pini, via Ippocrate

Landgrabhttp://landgrab.noblogs.org/

Libero ortohttp://www.provincia.milano.it/diritticittadini/Altre_iniziative/libero_orto.htmlex OP Paolo Pini, via Ippocrate

Movimento italiano Guerrilla Gardeninghttp://www.guerrillagardening.it/

Orti a Molino Dorinovia Molino Dorino

Orti a Ronchetto delle Ranestrada vicinale di Ronco / via Manduria

Orti di Chiesa Rossavia Chiesa Rossa

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Orti di Francovia dell’Assunta

Orti di via Cardinal Tosivia Tosi / via Gabetti

Orti di via Chiodihttp://www.angoliditerra.org/via Chiodi

Orti di via Rizzolivia Rizzoli

Orti Missagliahttp://www.ortimissaglia.com/via dei Missaglia

Ortinconcahttp://www.ortinconca.it/

L’orto sul tetto del bar ATMhttp://www.atmbarmilano.com/bastioni di Porta Volta 18/a

Ortodiffuso / Libere Rape Metropolitanehttp://ortodiffuso.noblogs.org/http://www.facebook.com/LibereRapeMetropolitane

Orto in cittàhttp://ortoincitta.blog.tiscali.it/ex OP Paolo Pini, via Ippocrate

Playgroundhttp://playground.noblogs.org/via Torricelli angolo via Conchetta

Piano Terrahttp://piano-terra.org/wordpress/via Vallorsa e via Oglio

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Boscoincittà / Centro Forestazione UrbanaVia Novarahttp://www.cfu.it/

ContestoIl progetto Boscoincittà nasce nel 1974, quando Italia Nostra ottiene in concessione dal Comune di Milano la gestione di 35 ettari di terreno agricolo incolto, situato nella periferia Ovest della città. L’idea alla base delle richieste dell’associazione è ambiziosa: sperimen-tare per la prima volta un intervento di forestazione urbana con i cittadini. E’ stata un’esperienza partecipativa nella quale sono intervenute moltissime scuole, associazioni e migliaia di soggetti singoli, interessati a prendere parte in prima persona ad un progetto innovativo e di forte valenza ambientale.Il Boscoincittà oggi ha un’estensione tre volte superiore a quella iniziale: il parco è pas-sato dai 35 ettari del 1974 ai 110 odierni. Tra i servizi più interessanti offerti dal parco ci sono le circa 350 particelle di orto (dislocate tra Boscoincittà e la sua naturale estensione, ovvero il Parco delle Cave, situati entrambi nella zona di San Siro) che i lavoratori di Italia Nostra gestiscono con la collaborazione dei cittadini, i quali accedono alle graduatorie di concessione delle piccole aree coltivabili attraverso un bando pubblico. I primi orti realizzati dal CFU (Centro Forestazione Urbana), istituito da Italia Nostra proprio per la gestione del progetto, risalgono alla metà degli anni ottanta e sono situati nell’area denominata Spinè di Boscoincittà: il progetto degli orti (originariamente individuati con il nome di Orti del Tempo Libero) è uno dei risultati della campagna “Sprecare No”, lanciata dall’associazione per offrire spunti su stili di vita possibili e per fronteggiare la crisi energetica della prima metà degli anni ‘70. A questo primo nucleo ortivo ne sono seguiti altri, realizzati nelle aree denominate rispettivamente: San Romanello, Maiera, Violè, Violè 2, Ghiglio, Masone, Pa-rea, Barocco, Olonella, Acquani. Le aree gestite da Italia Nostra e quindi dai lavoratori e dai volontari del CFU sono state assegnate in concessione dalla Provincia di Milano e dal Parco Agricolo Sud.

ApproccioI progetti del Centro Forestazione Urbana sono volti alla realizzazione di opere collettive viventi, che hanno bisogno di una manutenzione continua e che quindi rendono necessario il coinvolgimento in prima persona di tutti i fruitori dei servizi offerti. I processi partecipativi sono alla base di qualsiasi azione volta alla modifi ca o al manteni-mento del bosco e, ovviamente, dei nuclei ortivi: gli ortisti infatti, organizzati dagli addetti del CFU, si mobilitano per ripulire i canali di irrigazione, per aggiustare le strutture colletti-

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ve, per discutere su come reagire ai problemi comuni (come ad esempio gli atti vandalici) e per organizzare assemblee, feste e workshop. Tra ortisti, volontari e addetti del Boscoin-città sembra essersi creata una buona sintonia e una certa reciprocità: non manca certo la presenza di soggetti più carismatici interessati alla gestione dei servizi collettivi, che fun-gono da rappresentanti delle varie comunità di ortisti, ma in generale i rapporti sembrano essere prevalentemente orizzontali.

StrumentiGli strumenti di gestione messi a punto dal Centro Forestazione Urbana seguono il più pos-sible un criterio partecipativo che renda gli stessi ortisti protagonisti dei relativi progetti:

Gli ortisti partecipano alla costruzione (e, nel caso in cui vi siano orti preesisten-• ti, anche alla demolizione e alla raccolta differenziata dei materiali di scarto) dei capanni, delle recinzioni, delle panche e di tutto ciò di cui gli orti hanno bisogno per funzionare senza intoppi. I lavori si svolgono sotto la supervisione del CFU e gli ortisti, con l’ausilio di un capocantiere, costruiscono manufatti in legno, si prendono cura delle parti comuni, gestiscono insieme i canali per l’acqua.Per ogni parcella, che misura dai 65 ai 100 mq, ogni ortista è tenuto a pagare • annualmente al CFU una cifra pari a 85 euro: la validità del contratto si estende fi no alla rinuncia o alla morte della persona alla quale è stata affi data la terra (o nel caso in cui l’amministrazione comunale o l’associazione rescindano il rapporto di concessione/collaborazione). Questo tipo di contratto si basa sulla convinzione che tra l’ortista e la terra che gli viene assegnata si crei nel tempo un legame inscindibile. Inoltre la certezza del possesso induce gli ortisti a vigi-lare più attentamente sulle proprie parcelle e a sviluppare un certo rispetto per la cosa pubblica.Per ogni nucleo ortivo è presente un servizio dedicato ai frequentatori del parco • (area giochi bimbi, frutteto, campo da bocce, aiuole fi orite) e una parcella ortiva dedicata alle scuole o ai portatori di handicap.Gli ortisti vengono sensibilizzati a vigilare sulle loro terre infatti, dopo ogni • episodio di furto o vandalismo, compilano un registro per monitorare la situa-zione e ottenere le informazioni necessarie per decidere come contrastare tali episodi.Ogni anno il CFU propone corsi di formazione per la coltivazione biologica e • per l’apprendimento delle tecniche di compostaggio, per la conservazione e la trasformazione dei prodotti, visite guidate, momenti di convivialità, feste e concorsi.

RelazioniL’infl uenza del CFU nella storia degli orti urbani a Milano supera di molto i limiti del Bo-scoincittà: dal progetto 1993 per la realizzazione degli orti di via Valla, affi dato al Centro dall’AEM, alla gestione del Parco delle Cave, alla riqualifi cazione partecipata (ancora in atto) degli orti di via Livorno a Sesto San Giovanni, gli esperti di Italia Nostra sono da sem-pre proiettati verso l’esterno. Essi si muovono all’interno di una rete molto fi tta di soggetti pubblici, associazioni, amministrazioni e privati, sotto l’egida e con la forza derivante da una grande associazione nazionale. Non mancano comunque i contatti con le realtà più minute: Boscoincittà e il CFU sono certamente un punto di riferimento per tutti coloro che hanno interessi nel campo dell’orticoltura a Milano.

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Cascina CuccagnaVia Muratori 2http://www.cuccagna.org/

ContestoLa Cascina Cuccagna è un piccolo complesso agricolo realizzato alla fi ne del Seicento e conservatosi fi no ad oggi nel cuore di Milano, poco distante da Porta Romana.Da alcuni anni la cascina è oggetto di un progetto di recupero volto a farne un «centro po-lifunzionale di iniziativa e partecipazione culturale territoriale»1.Promotore dell’iniziativa, alla fi ne degli anni Novanta, è stato un piccolo gruppo di abitanti della zona, che ha cominciato ad incontrarsi per discutere sui possibili modi per recuperare la cascina ad uso del quartiere, fondando a questo scopo la Cooperativa Cuccagna. L’inten-so e sistematico lavoro di coinvolgimento e sensibilizzazione di quel gruppo originario ha raccolto attorno al progetto di recupero della cascina l’interesse degli abitanti della zona ma anche quello di importanti realtà culturali e istituzionali milanesi; grazie a questo lavoro, negli anni l’iniziativa ha modifi cato la sua originaria connotazione di iniziativa di quartiere: oggi il progetto di recupero e riuso della Cascina Cuccagna ha una chiara connotazione urbana.In occasione dell’emissione da parte del Comune di Milano di un bando per l’assegnazione degli spazi della cascina viene costituito il Consorzio Cascina Cuccagna, cui prendono parte differenti cooperative sociali e associazioni, che, risultato vincitore del bando, a tutt’oggi si occupa della gestione e dello sviluppo del Progetto Cuccagna.

ApproccioL’obiettivo generale del Progetto Cuccagna è la conservazione e riabilitazione di una testi-monianza storica del passato della città attraverso il suo utilizzo come spazio di aggrega-zione e diffusione culturale.Da un punto di vista operativo il progetto prevede un’articolazione in tre aree tematiche: ambiente e alimentazione; cultura e territorio; coesione e integrazione. A ciascuno di que-sti capitoli corrispondono obiettivi specifi ci e una dettagliata descrizione delle attività pre-viste.In vista dei suoi obiettivi concreti il Progetto Cuccagna punta alla costruzione di una sorta di ponte culturale, spaziale e temporale, tra i costumi e le pratiche che la cascina agri-cola rappresenta (i suoi usi passati e le attuali attività affi ni) e le consuetudini urbane che la circondano.

1 Si veda la presentazione completa del Progetto Cuccagna scaricabile dal suo sito internet.

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Attraverso lo sviluppo di attività e iniziative legate al mondo agricolo, ma anche attraverso l’uso condiviso e integrato degli spazi, il progetto vorrebbe fare della cascina un pezzo di campagna in città e al tempo stesso una piattaforma di lancio per percorsi di esplorazione al di fuori di essa.Con questo approccio il Progetto Cuccagna intende proporsi anche come modello per la valorizzazione del patrimonio storico e ambientale rappresentato dalle cascine urbane (il progetto ha rappresentato un punto di riferimento per il Progetto Cascine inserito nei pro-grammi previsti da Expo 2015).

StrumentiVerso la realizzazione nella sua interezza del complesso programma di intervento nella cascina sono state implementate, in alcuni casi anche solo provvisoriamente, alcune delle attività previste ed ospitate temporaneamente alcune iniziative autonome. Nel loro insie-me queste attività svolgono un’importante azione di sensibilizzazione e contribuiscono alla costruzione della rete di gestione della cascina.Le attività stabili insediate nella cascina oggi sono:

il Mercato agricolo• : un mercato di prodotti biologici, ogni martedì pomeriggio, provenienti dalle cascine dell’area milanese. Il mercato settimanale rappresenta un importante passo verso la realizzazione del Progetto Cuccagna, che prevede l’apertura nella cascina di una bottega permanente del consumo consapevole, con prodotti, agricoli ma non solo, a fi liera corta.l’Ecomuseo del territorio Milano sud• : con l’avvio di questo progetto la Cascina Cuccagna si fa promotrice di un museo diffuso del territorio sud di Milano. Nella prima fase del progetto, avviata nel 2007 ad opera di uno dei gruppi di lavoro della Cascina, sono state raccolte una serie di interviste agli abitanti del cosid-detto Quartiere Cuccagna, poi approfondite in un indagine su tutta la zona 4 (la zona di decentramento a cui appartiene la cascina). La seconda fase, tutt’ora in corso, ha come oggetto uno studio etnografi co sulle pratiche agricole della zona a sud di Milano, con una particolare attenzione per il Parco Agricolo Sud.il punto informativo Parco Agricolo Sud• : dal 2009 la Cascina è punto informativo del Parco Sud, con il compito di informare sulle sue attività, sulle strutture di accoglienza e sui percorsi tematici.l’Ostello• : grazie a un cofi nanziamento pubblico ottenuto nell’ambito del pro-gramma “Nuova generazione di idee. Le politiche e le linee di intervento per i giovani” della Regione Lombardia a partire dal 2011 nella Cascina è prevista l’apertura di un ostello con 10-15 posti letto gestito da persone inferiori ai 30 anni.il Gruppo Verde• : un gruppo di circa 20 volontari gestisce la cura del giardino e dei due orti della Cascina. Il gruppo organizza laboratori, esposizioni, fi ere e collabora alla gestione di progetti specifi ci centrati sulle attività orticole, come il progetto “Orto nella scuola”, realizzato assieme ad altri soggetti presenti nella cascina e a un’associazione esterna.

Il Gruppo Verde, come altri gruppi volontari che operano nella cascina, è frutto dell’azione del Gruppo Partecipazione, organizzato direttamente dal Consorzio Cuccagna allo scopo di coinvolgere attivamente le persone nella gestione del progetto. In questo senso la Cascina è intesa come un’opportunità per dare spazio a percorsi autonomi, che sviluppandosi lungo la loro strada specifi ca contribuiscono a costruirne l’identità.Il Consorzio Cantiere Cuccagna inoltre ha messo a punto un particolare strumento per il

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sostegno fi nanziario del progetto, l’iniziativa Contadini Urbani: attraverso l’acquisto di una sottoscrizione del valore di 250 euro i sostenitori del Progetto Cuccagna ottengono il certi-fi cato di Contadino Urbano e acquisiscono il diritto alla partecipazione al Gruppo Consultivo Permanente del Consorzio, dove possono esprimere pareri e suggerimenti sull’andamento del progetto.La particolare gestione del Progetto Cuccagna, volta all’integrazione di ambiti, prospet-tive, approcci e attori differenti, ha permesso negli anni di dare concretezza e spessore a un progetto di riqualifi cazione voluto inizialmente da un piccolo gruppo di vicini, di per sé privi delle risorse operative necessarie al raggiungimento dei loro obiettivi.

RelazioniIl Progetto Cuccagna è stato portato avanti negli anni grazie a un costante e scrupoloso lavoro di diffusione che potremmo defi nire come una sorta di found raising sociale; le forze attorno al progetto sono cresciute progressivamente come i bracci di una spirale, in-cludendo soggetti anche molto diversi tra loro: i singoli abitanti della zona, i piccoli gruppi auto-organizzati, così come note associazioni culturali o importanti gruppi editoriali. Proprio questa apertura verso attori e prospettive differenti, assieme alla propensione a costruire anzitutto un’immagine buona e spendibile per il progetto, distingue questo percorso da iniziative simili, spesso limitate da dinamiche di appartenenza (soprattutto in occasioni che interessano il recupero di spazi fi sici), che le trasformano in progetti di nicchia.

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Il giardini del Solehttp://giardinidelsole.parcotrotter.org/via Padova (Parco Trotter)

ContestoPoche centinaia di metri quadrati coltivati in modo vario: vasche di fi ori, aiuole ad orto, ro-seti; contro il muro di cinta che separa il giardino da via Padova alcune gabbie per animali da cortile: polli, conigli e l’oca Matilde, mascotte del giardino.I Giardini del Sole sono il community garden del Parco Trotter, tra viale Monza e via Padova, nella zona nord della città. Quello del Trotter è un parco urbano molto parti-colare, parte integrante di un complesso scolastico (elementari e medie) che ha fatto della relazione diretta con la natura un principio guida. Fin dalle sue origini, negli anni Venti, la Casa del Sole – così si chiama la scuola – disponeva di una fattoria e di spazi dedicati alla sperimentazione dell’allevamento e della coltivazione. Nel tempo – forse anche a causa del passaggio da scuola a statuto speciale a una gestione ordinaria – la fattoria, così come altre parti di questo articolato complesso, è stata curata ed utilizzata progressivamente sempre meno.Nei primi anni Novanta, un gruppo di persone per motivi diversi vicine all’esperienza del Trotter (insegnanti, genitori, abitanti del quartiere), ha fondato l’associazione Amici del Parco Trotter, allo scopo di valorizzare il parco e le numerose strutture che ospita attra-verso la promozione di forme associative e cooperative che le mettano in relazione con il quartiere e la città.I Giardini del Sole sono l’esito dell’incontro tra questa associazione e i suoi obiettivi di rivi-talizzazione del parco e le idee di un giardiniere impegnato nella promozione delle qualità sociali dell’attività di coltivazione. Con il progetto frutto di questo incontro, articolato e rielaborato in collaborazione con la Casa del Sole, l’associazione Amici del Parco Trotter partecipa a un bando della Fondazione Cariplo indirizzato alla coesione sociale e ottiene il fi nanziamento che permette di avviare il giardino.

ApproccioL’idea di fondo de I Giardini del Sole prende spunto dalla specifi cità della zona in cui il progetto si colloca: in uno dei quartieri più multietnici della città, in antitesi al poliziotto di quartiere (dal 2008 Via Padova è presidiata anche da pattuglie dell’esercito), incaricato di controllare e sedare i potenziali confl itti di una convivenza a volte diffi cile, il progetto propone il giardiniere di quartiere, con l’intento di lavorare proprio sulla costruzione di nuovi percorsi di collaborazione.

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In questo senso il progetto può essere defi nito piuttosto precisamente come community garden di ispirazione anglosassone: un giardino condiviso, che solleciti la partecipazione nella cura di un bene comune proponendo al contempo occasioni di socialità e praticando la riqualifi cazione di un luogo.

StrumentiDopo l’avvio del giardino, che ha richiesto l’impegno costante di persone competenti in tema di coltivazione e di gestione collettiva, ai frequentatori è stata lasciata un’autonomia organizzativa e pratica di volta in volta maggiore.Oggi Francesco, il giardiniere ideatore del progetto assieme agli Amici del Parco Trotter, è ancora il referente tecnico del giardino, ma il suo ruolo è progressivamente sempre più defi lato, da coordinatore a occasionale consigliere: «L’anno scorso abbiamo avuto il fi nan-ziamento Cariplo e c’è bastato, quest’anno abbiamo un fi nanziamento più ridotto, perché comunque è giusto che il tecnico piano piano si allontani e li lasci andare un po’ per i fatti loro. Le competenze aumentano. Il rovescio della medaglia di avere un referente è che si riescono poco a sviluppare le capacità individuali; io adesso faccio più da mediatore, vedi qui per esempio [riferendosi a uno scambio precedente sulla quantità di pomodori da pian-tare]: “Voglio seminare questo – Sì, ma renditi conto che qua non c’è spazio...”»1

Oltre che all’autonomia organizzativa, la prospettiva a cui puntano i Giardini del Sole guarda anche verso un completo autofi nanziamento, attraverso la vendita di piccoli prodotti, lo scambio con altre associazioni e il riuso di materiali di scar-to, forti dell’idea di praticare uno strumento effi cace, anche economicamente, per occuparsi della città e dei suoi luoghi: «Il fi nanziamento c’è servito a comprare gli attrezzi e a pagare il mio stipendio; poi per il resto come vedi è tutto materiale di re-cupero, non spendiamo niente... i mattoni che circondano le aiuole vengono dal cantiere qui di fi anco, i cerchioni dalla cicloffi cina... In generale un’attività di giardino comunitario è poco onerosa. Se le amministrazioni comunali decidessero di utilizzarla come strumento per riqualifi care la città farebbero veramente un grande affare, anche da un punto di vi-sta puramente economico; anche pagando un tecnico per due o tre anni e i primi lavori di sistemazione, che a seconda della zona possono essere più o meno consistenti... Poi però tutto si ripaga assolutamente... e la gente sta bene.»

RelazioniI Giardini del Sole vengono inaugurati all’inizio dell’ottobre 2009 con un primo ciclo di in-contri formativi. Oggi, dopo più di due anni di attività, i Giardini contano una ventina di attivisti formalmente iscritti all’associazione e molti frequentatori assidui.L’idea originaria di fare di questo spazio coltivato un punto di incontro e di socializzazione per il quartiere sembra aver funzionato soprattutto per persone già sensibili rispetto alla possibilità di condivisione di percorsi pratici collettivi; di certo un ruolo importante nella defi nizione dei frequentatori del Giardino l’ha svolto la sua afferenza al comples-so della Casa del Sole e all’associazione Amici del Parco Trotter, per lo meno in due direzioni e a due scale: da una parte, a scala locale, favorendo la partecipazione soprattut-to dei piccoli alunni della scuola, dei loro genitori e dei frequentatori delle attività del parco; dall’altra, a scala urbana, immettendo il Giardino nel circuito a cui la scuola già partecipa da molti anni grazie alla particolarità della sua offerta.

1 Questo e i successivi brani citati sono tratti da un’intervista a Francesco, giardiniere coordinatore del Parco Trotter, del marzo 2011.

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Il giardino degli aromihttp://www.olinda.org/giardinodegliaromi/giardinovia Ippocrate 45, ex OP Paolo Pini

ContestoNell’aprile del 2003 un gruppo di donne con esperienza di coltivazione e raccolta di piante aromatiche e offi cinali costituisce l’associazione di utilità sociale Il Giar-dino degli Aromi che ha trovato una propria sede nel parco dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini.Dopo la dismissione dell’Ospedale Psichiatrico, la grande area del Paolo Pini, per anni isola-ta, è risultata come potenziale snodo metropolitano di spazi collettivi che, opportunamente relazionati alla città, possono contribuire in maniera signifi cativa ad elevare la qualità del vivere in questa parte di periferia. Una porzione del parco e delle sue strutture sono ge-stite dalla cooperativa e dalla associazione “Olinda” che si occupano della promozione di occasioni di integrazione tra fruitori dell’ex ospedale e le persone con disagio psichico che tutt’ora ne frequentano gli spazi. Il giardino degli aromi fa riferimento proprio a queste organizzazioni, integrando le proprie attività con il loro lavoro.L’iniziativa è stata realizzata nell’ambito del progetto Europeo Equal “Luoghi della qualità sociale”, promosso dall’associazione Lavoro e Integrazione. Il suo risultato è un angolo di parco organizzato ad orto botanico con piante aromatiche e offi cinali, coltivate secondo metodi biologici. Un giardino con un forte impatto visivo e olfattivo, completato da un set-tore con piante autoctone, una collezione di rose antiche, un laghetto con piante acquati-che e un giardino roccioso.

ApproccioL’associazione promuove la conoscenza e la pratica di una corretta relazione dell’uomo con le piante e con l’ambiente nel suo insieme: studia e promuove la prati-ca e la conoscenza di tecniche naturali e biologiche di coltivazione, raccolta, conservazione, trasformazione, con particolare attenzione alle piante medicinali e aromatiche e alle ortico-le; approfondisce la conoscenza dell’uso tradizionale delle piante medicinali e aromatiche per il benessere dell’uomo; promuove la conoscenza della biodiversità, del suo ripristino e della sua conservazione. Inoltre Il Giardino degli Aromi si propone anche di dar voce e spazio a soggetti che provengono da un’esperienza di disagio, di emarginazione sociale, di intolleranza, di violenza, di ingiustizia, di discriminazione, di razzismo, di solitudine forzata, attraverso un rapporto di studio, di osservazione o di lavoro con la terra e le piante.

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StrumentiI principali strumenti di promozione, formazione e integrazione adottati dall’associazione sono la semplice coltivazione con metodo biologico e la vendita di piante aroma-tiche, offi cinali, orticole, piccoli frutti e piante da frutto; ma anche la raccolta delle piante spontanee e la trasformazione delle piante coltivate in prodotti alimentari (olii, sali, aceti, vini aromatici) e prodotti per il benessere (cuscini di erbe, pot-pourri, olii e unguenti per massaggi).Queste attività sono condotte da operatori esperti nella coltivazione, con competenze spe-cifi che nell’ambito del rapporto con le persone con disabilità, che accolgono gli ospiti in piccoli gruppi, accompagnandoli in un percorso di lavoro formativo che privilegia la dimen-sione della collaborazione e della partecipazione al gruppo.Alle occupazioni di base si affi ancano percorsi specifi ci, come il progetto “Il parco nello zaino”, che prevede attività didattiche di educazione ambientale rivolte alle scuole, o la realizzazione de “Il Mandala delle erbe”, un orto didattico dedicato alle attività con persone svantaggiate.Gli stessi operatori del Giardino degli Aromi, inoltre, sono disponibili per la consulenza sulla progettazione, manutenzione e gestione di giardini, orti e terrazzi, ma anche sulla predi-sposizione di percorsi specifi ci da realizzare presso altre strutture, fornendo agli operatori delle comunità un’adeguata formazione in merito. Infi ne, l’associazione ospita un centro di documentazione e consultazione sulle piante aromatiche e offi cinali e sulle piante sponta-nee e si occupa dell’organizzazione di seminari aperti al pubblico sulla loro coltivazione.

RelazioniAttraverso l’attività di coltivazione l’associazione il Giardino degli Aromi promuove occa-sioni di incontro e di scambio tra gruppi di persone che normalmente seguono traiettorie di vita autonome: le donne fondatrici dell’associazione, i frequentatori e gli acquirenti del giardino, le persone persone svantaggiate che seguono i suoi percorsi formativi. Ma so-prattutto, le relazioni istituite dall’associazione – pioniera nella coltivazione orticola urbana – con altre vicende di agricoltura in città (come l’adesione alla rete di recente formazione delle Libere Rape Metropolitane1), nonché la sua collocazione nell’ambito del progetto Olin-da, la posizionano in un contesto dal respiro urbano, contribuendo a portare i temi che tratta sulla scena della discussione pubblica.

1 Si veda scheda apposita.

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Movimento italiano Guerrilla Gardeninghttp://www.guerrillagardening.it/

ContestoIl nome Guerrilla Gardening indica una serie di piccoli atti dimostrativi, defi niti dai loro protagonisti chiamano attacchi verdi, volti ad abbellire con piante e fi ori le piccole aree dimenticate della città (aiuole, bordi stradali, aree dismesse, …).Più che di un progetto specifi co si tratta di una sorta di movimento sociale diffuso volto alla rivincita del verde tra le dense costruzioni delle città. I guerriglieri verdi, infatti, non formano un gruppo strutturato, ma si riuniscono in formazioni aperte, informali e va-riabili, che si incontrano in forme differenti attorno alle occasioni in cui si esprimono.Il contesto di riferimento di Guerrilla Gardening è lo spazio urbano in genere, senza limi-tazioni di sorta; il movimento potrebbe interessare potenzialmente qualsiasi città in cui qualcuno decida di coltivare illegalmente uno spazio trascurato. Dai primi anni ‘70, quando la defi nizione è stata coniata per indicare l’attività del gruppo newyorkese Green Guerrilla, l’idea si è diffusa in numerosi paesi. In Italia il progetto, che oggi conta numerosi attivisti – singole persone, guerriglieri occasionali, ma anche gruppi specifi camente organizzati – è stato avviato alcuni anni fa da un gruppo di giovani milanesi, che ancora oggi gestiscono il sito di riferimento di Guerrilla Gardening e si occupa di coordinare e consigliare i gruppi autonomi e i singoli attivisti.

ApproccioL’obiettivo di Guerrilla Gardening è incrementare la qualità ambientale della vita in città (in senso estetico-formale, ma anche in direzione di una sua migliore fruibilità) attraverso una maggiore e più curata diffusione del verde.Per far questo le pratiche della guerriglia verde cercano un’interazione con lo spazio urbano in ottica positiva e propositiva. In questa prospettiva gli attacchi verdi sono atti di denuncia attivi, che intendono avviare concretamente l’inversione di ten-denza che auspicano di fronte ad usi della città che privilegiano l’ambiente costruito e la valorizzazione economica dello spazio urbano, trascurando la cura degli spazi aperti, dei margini interstiziali e delle aree temporaneamente escluse dai principali processi costruzio-ne e trasformazione della città.

StrumentiLe azioni di Guerrilla Gardening sono differenti l’una dall’altra ed organizzate in totale

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autonomia rispetto alla scelta del luogo, dei tempi e dei modi. Gli strumenti opera-tivi sono gli attrezzi e i materiali che ciascun aderente all’iniziativa utilizza per compiere la sua spedizione. Alcune azioni vengono realizzate di notte in relativa segretezza, altre sono organizzate apertamente, in alcuni casi cercando la complicità e la partecipazione degli abitanti della zona prescelta.Attraverso il sito web di riferimento del movimento italiano i promotori svolgono un’azione di diffusione e coordinamento: tramite un indirizzo di posta elettronica rac-colgono i racconti delle azioni svolte e danno visibilità agli annunci di progetti che cercano sottoscrittori; sempre via posta elettronica organizzano l’adesione di singole persone ad iniziative già previste, indirizzandole verso le azioni che necessitano di un aiuto nella loro zona di riferimento; con la stessa modalità raccolgono donazioni, in forma di materiali (piante e terriccio) o di fi nanziamenti, da utilizzare per la realizzazione degli attacchi.Il sito contiene anche alcuni consigli pratici per la gestione degli attacchi (relativi per esem-pio all’utilizzo delle piante spontanee e dei semi delle piante già presenti, alla preparazione delle spedizioni, alla protezione delle nascenti aree verdi) e spiega le modalità di realizza-zione di alcuni sistemi di piantumazione, come la “bomba di semi”, un’idea messa a punto dal gruppo americano Green Guerriglia, che prevede la preparazione di un pacchetto di terra, semi, fertilizzante ed acqua da lanciare negli spazi abbandonati poco raggiungibili in altro modo.

RelazioniA partire dall’iniziativa dei pochi attivisti milanesi in pochi anni gli attacchi verdi di Guerrilla Gardening sono diventati in Italia pratiche piuttosto diffuse.I risultati della coltivazione di questi giardini clandestini sono in genere accolti con favore, come uno strumento poco invadente e semplice da realizzare per migliorare la qualità del paesaggio urbano; ammirando l’iniziativa alcuni vivai dell’area milanese regalano le pianti-ne e il terriccio utilizzati dai guerriglieri del verde.La diffusione di queste piccole pratiche di coltivazione abusiva ha dato adito negli ultimi anni alla formazione di gruppi stabili di guerrilla gardeners e a forme di in-terazione e coordinamento con un più esplicito contenuto politico e progettuale, come il movimento Critical Garden, che riunisce a livello nazionale i diversi esponenti del giardinaggio spontaneo.

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Orti di via Cardinal Tosivia Cardinal Tosi

ContestoLa colonia ortiva di via Cardinal Tosi si trova a Sud/Est del grande Ospedale San Carlo, sul retro di un deposito dell’Atm e in adiacenza alla base militare di via Edoardo Chi-notto. L’area occupata dal nucleo in questione (che ricopre una superfi cie pari a 58.000mq) è situata all’interno di un enorme brandello verde ad ovest della città, nel quartiere di San Siro, a poche decine di metri da via Novara. La storia di questa occupazione abusiva ri-sale ai tempi delle grandi migrazioni, durante le quali migliaia di contadini si riversavano nell’area metropolitana, cambiandone defi nitivamente il volto. La colonia ortiva resiste quindi da oltre 50 anni e molti dei soggetti che oggi la popolano sono fi gli o amici degli immigrati che colonizzarono quei luoghi abbandonati. Il terreno sui cui sorge il nucleo è di proprietà del Ministero della Difesa, il quale, da qualche anno a questa parte, sta tentando di cederlo agli imprenditori immobiliari. Tuttavia, la lunghissima permanenza di molti degli occupanti rende la vita diffi cile ai proprietari in divisa, poiché a seguito di un presidio dura-to oltre mezzo secolo i diritti acquisiti sulla terra sono diffi cili da cancellare.

ApproccioVista la lunga storia di occupazione unita alla vastità dell’insediamento e al numero degli attori in campo non è possibile offrire una chiave di lettura univoca per questa vicenda. Si possono comunque fare alcune considerazioni di carattere generale. Per prima cosa bi-sogna considerare le ragioni storiche che spinsero un cospicuo numero di immigrati dalle campagne ad occupare gli spazi vuoti della metropoli per coltivare un orto. Lo scioglimento dei legami con la vita contadina, l’asfi ssia di una vita metropolitana spesso opprimente e la necessità di compensare le carenze dei salari con la coltivazione, furono spesso alla base delle prime occupazioni di suolo fi nalizzate all’uso orticolo. Gli orti per molti immigrati fun-zionavano come luoghi di compensazione e riconciliazione con la terra, nonché come mez-zo di sostentamento. Inizialmente questo genere di pratica (estremamente diffusa fi no alla fi ne degli anni settanta) veniva tollerata dalle amministrazioni, più propense a chiudere un occhio, e sfruttata dai proprietari terrieri, che spesso preferivano concedere la propria ter-ra (in cambio di un affi tto informale o a titolo gratuito) piuttosto che lasciarla inutilizzata. Col passare degli anni la superfi cie dei vuoti urbani coltivabili si fece sempre più scarsa, il valore dei terreni aumentò vertiginosamente e, di conseguenza, gli interessi dei proprietari mutarono entrando in confl itto con quelli degli ortisti, spesso costretti ad abbandonare le

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terre che curavano. Oggi ogni frammento residuale di terreno urbano possiede un grande valore potenziale e le pressioni nei confronti degli insediamenti abusivi sono molto aumen-tate: sfratti, sgomberi e demolizioni sono all’ordine del giorno. D’altro canto, per le aree come quella di via Cardinal Tosi, la percezione stessa dello spazio destinato all’orticoltura è cambiata: nei casi in cui l’occupazione della terra procede ininter-rotta da moltissimi anni, gli obiettivi in base ai quali quella stessa terra era stata occupata risultano, in alcuni casi, assolutamente snaturati. Camminando per le stradine (o per le strade: la via principale è larga almeno sette metri) degli orti di via Tosi ci si rende conto di come alcune parcelle abbiano assunto una valenza tutt’altro che agricola: i vecchi orti sono ormai diventati dei garage, dei piccoli giardini con piscina o addirittura delle seconde case. Col tempo la percezione di aver acquisito la proprietà delle aree fa si che molti fi niscano per investire sforzi e denaro sul loro fazzoletto di terra occupato, creando tuttavia delle situazioni disordinate al limite della legalità e della sicurezza.

StrumentiLa resistenza pluridecennale degli orti di via Cardinal Tosi è dovuta principalmente a due or-dini di fattori. In primo luogo la vastità dell’insediamento e quindi il gran numero di persone coinvolte, fa sì che qualsiasi azione legale voglia essere intrapresa nei confronti della colo-nia ortiva debba essere ben ponderata. La tendenza che nei decenni ha portato gli ortisti a radunarsi gli uni vicini agli altri, non è certo dovuta alla volontà di fare nuove conoscenze, quanto piuttosto alla necessità: inserirsi in un contesto abusivo già radicato e colonizzato da tempo costituisce una sicurezza maggiore per i nuovi occupanti. Di conseguenza più grande è l’insediamento, più tende ad espandersi, almeno fi no a quando gli stessi abusivi non decidono di porre un freno agli eventuali allargamenti. La rete degli occupanti si pre-occupa di svolgere quei ruoli che in un contesto normale sarebbero di competenza degli organi dell’amministrazione: le regole per la successione di una parcella o l’estensione dell’insediamento o l’allontanamento dei soggetti indesiderabili, così come la pulizia degli spazi collettivi, sono gestiti da gruppi interni. In secondo luogo, il fattore numerico unito alla proprietà pubblica dell’area e alla possibilità, dopo vent’anni di occupazione di un’area, di invocare per vie legali l’usucapione, ha fatto in modo che alcune minacce di sgombero siano già state respinte, sebbene permanga un senso diffuso di incertezza.«Questa è una realtà che va tutelata e valorizzata», queste sono le parole del consigliere comunale Giulio Gallera raccolte in un articolo de “Il Giornale” nel Luglio del 2009. Proprio in questo periodo egli si schierò contro gli sgomberi dichiarando che in quell’area gli orti co-stituivano «il principale presidio contro il degrado». Sebbene non tutti siano d’accordo con le opinioni di Gallera, uno strumento vincente per gli ortisti abusivi, consiste spesso nel convincere le amministrazioni del ruolo positivo di presidio interpretato dalla loro pratica in contesti urbani marginali e dimenticati.

RelazioniGli ortisti di via cardinal Tosi spesso si conoscono fra loro e si aiutano a vicenda nelle ope-razioni di gestione e manutenzione degli orti: l’occupazione pluridecennale non solo li ha resi vicini, ma ha fatto in modo di rafforzare una sorta di complicità nella reazione alle minacce che provenienti dall’esterno. Proprio per questo, specie nelle emergenze, la rete interna tra gli ortisti è piuttosto effi ciente, tanto da consentire l’ingag-gio di un avvocato comune per molti degli occupanti. Tuttavia le relazioni che si instaurano sono esclusivamente proiettate verso l’interno ed escludono un qualsiasi interesse nei con-fronti della altre realtà simili al di fuori del loro insediamento.

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Orti di via Chiodihttp://www.angoliditerra.org/via Chiodi

ContestoGli orti urbani di via Cesare Chiodi sorgono al limite tra il costruito e la campagna e confi -nano a nord con il Parco Teramo, nel quartiere Barona. Si tratta dell’unica colonia ortiva a Milano realizzata e gestita da un privato cittadino: il signor Claudio Cristofani, una personalità ormai riconosciuta in città nell’ambito dell’orticoltura urbana. L’idea di questo progetto scaturisce dalla necessità di sfruttare un terreno di proprietà, vincolato a verde dal PRG (su quel terreno era prevista un’espansione del Parco Teramo) e mai acquisito dal Comune. Per evitare che l’area restasse inutilizzata e per provare a trasformarla in uno strumento generatore di reddito, il signor Cristofani, alla luce di alcune constatazioni re-lative alla diffusione degli orti abusivi e alla necessità di spazi per il contatto con la terra, decide di tentare la realizzazione di alcuni orti urbani attrezzati da affi ttare ai milanesi. La risposta eccezionale e l’altissima richiesta di spazi in affi tto portano il progettista a raddop-piare il numero delle parcelle offerte nell’arco di due anni. Oggi il signor Cristofani gestisce 130 orti in via Chiodi e si sta adoperando per diffondere la cultura di quelli che chiama “giardini familiari” oltre i confi ni della Barona.

ApproccioL’intento non celato dell’ideatore del progetto è semplice: capitalizzare in maniera innova-tiva un terreno di sua proprietà per trasformarlo in un bene in grado di generare reddito. Quella del signor Cristofani è senza dubbio una attività di tipo imprenditoriale: il prezzo per l’affi tto di 75mq di terra infatti, corrisponde a circa 360 euro per un anno. Tuttavia è necessario fare alcune considerazioni.In primo luogo il promotore dell’iniziativa è attento alle questioni urbane per professione e per vocazione (Cristofani fa l’architetto); il suo punto di vista, quindi, è quello di un impren-ditore cosciente dell’apporto delle sue scelte sulla confi gurazione della città. In questo sen-so Cristofani considera il suo lavoro come una sorta di battaglia contro il degrado e il disordine dell’abbandono della terra, ma anche degli orti abusivi, e, allo stes-so tempo, contro la speculazione immobiliare classica che privilegia evidentemente l’edifi cazione intensa, piuttosto che immaginare soluzioni nuove.In secondo luogo il signor Cristofani è un convinto sostenitore della fi losofi a sottesa al movimento dei “giardini familiari”, un’associazione europea che conta circa tre milioni di associati sparsi in 14 Stati europei. Questo elemento colloca il progetto imprenditoriale

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nell’ambito dell’adesione teorica a convinzioni di carattere etico, sociale ed ambientale. Infi ne, l’obiettivo ideale del signor Cristofani va ben oltre i limiti dei suoi orti di via Chiodi: «Devo convincere le amministrazioni comunali ad inserire nei Piani Regolatori delle aree di verde privato nelle quali si possano realizzare dei veri e propri consorzi di proprietari di orti-giardini, ben regolamentati e gestiti, in prossimità degli abitati, ma anche di aree di verde pubblico di tipo classico»1. Una simile ambizione, che certamente palesa un interesse economico del soggetto nelle future evoluzioni dell’approccio urbanistico alla gestione del verde, va certamente oltre le forme di imprenditoria immobiliare pura e racconta un tipo di approccio alla gestione della proprietà privata in ambito urbano piuttosto innovativa.

StrumentiUno degli scogli più imponenti che è stato necessario superare per avviare il progetto degli orti di via Chiodi riguarda l’aspetto normativo. La totale assenza di una qualsiasi procedura normativa che prevedesse i vincoli ed i passaggi per la trasformazione di un’area, situata in ambito urbano, in un terreno destinato ad uso orticolo privato, ha creato molti disagi al progettista. Tra i problemi relativi all’escavazione di pozzi per attingere direttamente alla falda e quelli per le opere di sistemazione del terreno, il signor Cristofani ha dovuto tra-scorrere molto tempo in Comune per ovviare alla mancanza di strumenti di regolazione. Anche per questo il suo progetto può essere considerato un caso pilota, che evidenzia contemporaneamente una possibilità organizzativa e una lacuna normativa.

RelazioniLa particolarità del progetto del signor Cristofani ha fatto sì che i suoi orti diven-tassero una sorta di punto focale per le realtà affi ni del territorio comunale: chiun-que si occupi delle questioni relative agli orti urbani conosce o ha sentito nominare almeno una volta l’esperienza di via Chiodi, da Italia Nostra, all’ideatore di Orti Miassaglia, alla rete delle Libere Rape Metropolitane. Inoltre le capacità di autopromozione del soggetto, legate all’indiscutibile grado di innovazione del progetto, hanno favorito lo sviluppo di una piccola rete per la quale il signor Cristofani è una sorta di icona rappresentativa.

1 Da un intervista a Claudio Cristofani realizzata nel febbraio 2011.

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Orti Missagliahttp://www.angoliditerra.org/via dei Missaglia

ContestoLa colonia ortiva di via Dei Missaglia si trova immediatamente a nord del quartiere popo-lare di Gratosoglio, stretto tra la linea del tram e un’area verde che ospita un velodromo. Si tratta di un’occupazione abusiva che dura da almeno trent’anni, coltivata da un gruppo storico di anziani ortisti: tra loro tuttavia, a gestire alcune parcelle, c’è anche un giovane coltivatore, che ha trasformato una parte della colonia nel suo rifugio verde, cercando di fare della storia di questa occupazione un caso pubblico. Si tratta di un perito informatico che nel 2004, alla ricerca di uno spazio di terra coltivabile nel Comune di Milano, ha optato per via dei Miassaglia (anche a fronte dell’inac-cessibilità degli orti pubblici, che spesso prevedono limiti di età molto alti che escludono l’accesso ai più giovani). Nel tentativo di dare visibilità alla storia della colonia ortiva di cui fa parte ha scelto di realizzare un sito internet con l’obiettivo di rendere pubblica una pra-tica spesso nascosta e dimenticata. L’idea che sta alla base del progetto del signor Mario Donadio è quella di promuovere la creazione di un movimento unitario degli ortisti milanesi che possa facilitare i rapporti e la conoscenza reciproca.

ApproccioCiò che ha spinto il signor Mario Donadio ad occupare un orto in via dei Missaglia e suc-cessivamente a promuoverlo attraverso internet, dipende certamente da una necessità individuale, o meglio da una necessità di coppia: lui e la sua compagna sentivano il bisogno di curare un’oasi verde all’interno dei confi ni comunali e, non trovando alternative legali, hanno optato per uno spazio abusivo. Proprio a fronte di questa azione illegale essi hanno sentito il bisogno di esporsi pubblicamente, nel tentativo di affermare la genuinità del loro gesto e di rafforzare il loro status entrando a far parte di una rete allar-gata. In questo percorso hanno tentato di coinvolgere anche gli occupanti più anziani, che tuttavia si sono dimostrati piuttosto refrattari ad un progetto collettivo: «Il sito l’ho fatto proprio con l’intento di trovare il modo di sensibilizzare un po’ le persone a mobilitarsi per unirsi, anche se spesso le persone che gestiscono l’orto sono persone di una certa età e che sono poco disponibili e non hanno una mentalità tesa alla conoscenza e allo sviluppo di linguaggi multimediali». Proprio a seguito di questa esposizione mediatici che Orti Missa-glia ha iniziato ad intessere contatti con la rete delle Libere Rape Metropolitane e con altri soggetti attivi nel territorio su queste tematiche: «Questo sito mi ha dato la possibilità di

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localizzare altre realtà di orti, che sono andato a vedere, a fotografare. Oltretutto mi ha concesso la possibilità di prendere tanti contatti con diverse di persone che sviluppano siti internet riguardanti questi argomenti… il problema vero però è che manca una fi losofi a di movimento unitario, ognuno va per la sua strada»1.

StrumentiSono almeno tre gli ordini di questioni che si possono desumere dall’analisi del caso di Orti Miassaglia: il primo riguarda le modalità di affermazione del diritto individuale alla terra; il secondo ha a che fare con la difesa di un diritto conquistato ai margini della legalità; il terzo infi ne si riferisce alle competenze specifi che acquisite dagli attori nel corso del processo di appropriazione, gestione e mantenimento dello spazio occupato:

La carenza cronica di spazi verdi a Milano, unita ad un defi cit sostan-• ziale di orti pubblici costringe anche le persone in principio meno pro-pense a varcare la soglia della legalità per ottenere servizi e spazi di cui sentono il bisogno. Per raggiungere il suo obiettivo il signor Donadio ha dovuto conquistarsi la fi ducia degli occupanti storici i quali, dopo un primo momento di diffi denza, gli hanno indicato una parcella abbandonata da tempo e gli hanno consigliato di chiuderla con un lucchetto fi no al momento in cui il vecchio occupante fosse tornato a reclamare il suo diritto a quella terra: «Io sono entrato, ho chiesto e mi hanno detto che lì c’era una persona che da più di un anno non vedevano: Quindi vai lì, metti un catenaccio nuovo sulla porta e se nessuno viene a reclamarlo stai lì. Se invece viene qualcuno a reclamarlo, al limite se ne discute e si trova un accordo. Sostanzialmente è successo che nessuno è venuto e quindi me lo sono tenuto.» A seguito di questa prima fase dell’occupazione, visto l’abbandono di altre parcelle da parte degli ortisti più anziani, il signor Donadio ha rilevato, tramite un accordo informale, delle altre parcelle, ingrandendo così il suo giardino.Sebbene la realizzazione del sito internet sia il tentativo di condividere colletti-• vamente un problema individuale per entrare a far parte di una rete di supporto allargata alla quale rivolgersi, il vero strumento di scambio nel caso della colonia ortiva di via dei Missaglia è in mano agli ortisti più anziani e si trova in una legge antica: l’usucapione (art.1158 del codice civile), una re-gola di derivazione romana che stabilisce come “La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni”. Nel caso di Orti Missaglia infatti, proprio a seguito di una minaccia di sfratto da parte dei vigili urbani, gli ortisti più an-ziani si sono appellati, tramite avvocato, a questa legge: «Due anni fa ci sono stati un paio di volte degli incendi… qualcuno ha appiccato fuoco e sono venuti i vigili dando la colpa agli ortisti. Infatti nella zona, purtroppo, i vicini si sentono “disturbati” dalla presenza di questi orti abusivi. I vigili quindi, avevano minac-ciato di radere tutto al suolo. Allora gli ortisti più anziani si sono organizzati e si sono messi in mano a un avvocato, tirando fuori il discorso dell’usucapione… io mi sono affi dato a loro, dicendogli “fate come se il mio sia vostro” cosicché se un domani ve lo riconoscono poi ci rimettiamo d’accordo. Dopo l’intervento dell’avvocato comunque tutto si è bloccato e non ci sono stati provvedimenti.

1 Questo e i seguenti brani citati sono tratti da un’intervista a Mario Donadio del gennaio 2011.

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Anche gli ortisti non sono andati avanti con le loro richieste».L’acquisizione di competenze tecniche è necessaria per realizzare e • mantenere una parcella ortiva in condizioni di illegalità: infatti il pro-blema più ricorrente per ogni ortista che non disponga di un allacciamento alla rete idrica riguarda l’approvvigionamento d’acqua per l’irrigazione. Sebbene la maggior parte degli ortisti si dedichi alla realizzazione di interessanti costruzio-ni funzionali alla raccolta delle acque piovane, altri, come il signor Donadio si spingono oltre: nel caso specifi co egli ha acquisito, coadiuvato da alcuni ortisti più anziani ed esperti, le competenze tecniche per l’escavazione di un pozzo artesiano.

RelazioniA seconda del punto di vista, concreto o virtuale, dal quale ci si avventura per os-servare il caso degli orti di via dei Missaglia il circuito degli attori coinvolti e delle reti cambia radicalmente. Dal punto di vista del luogo fi sico, sebbene il sito internet tenti di promuovere l’incremento delle visite, sembra che la rete di relazioni sia quella più o meno classica che tende a stabilirsi nelle colonie ortive illegali: essa tende a compattarsi nei momenti più critici, ma rimane molto debole nella quotidianità. Dal punto di vista del luogo virtuale, ovvero del sito internet, il sistema di relazioni cambia del tutto: attraverso la pubblicazione del suo stato di ortista abusivo milanese Donadio è entrato a far parte di una rete di attori di varia estrazione interessata alla promozione, allo studio e alla creazione di spazi verdi e coltivati in città. Il sito stesso così come il suo promotore descrivono questa rete con entusiasmo, come fosse una sorta di bandiera contro l’isolamento. Inutile dire che il sistema di relazioni creato sul web, sebbene sembri essere molto più esteso ed interes-sante, risulta molto più debole ed evanescente di quello costruito tra le foglie di insalata.

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Ortinconcahttp://www.ortinconca.it/Conca del Naviglio

ContestoOrtinconca è un giardino comunitario diffuso dedicato alla biodiversità, alla colti-vazioni di sementi orticole antiche, specie rare e/o fuori commercio.L’iniziativa nasce informalmente, alla fi ne del 2008, dall’idea di tre amiche e vicine di casa del quartiere Conca del Naviglio, che cominciano a ragionare sulla possibilità di salvaguar-dare la biodiversità in ambiente urbano. Nei mesi successivi le tre promotrici, attraverso periodici volantinaggi porta a porta, convocano gli abitanti del quartiere a partecipare a piccoli eventi dedicati alla conoscenza delle specie rare e antiche realizzati nei negozi della zona e nei suoi spazi verdi, e in poco tempo riescono a suscitare un notevole interesse. Ma l’avvio vero e proprio di un progetto di coltivazione urbana avviene a primavera, quando le tre donne distribuiscono tra gli abitanti del quartiere piccole pianticelle di rare varietà orti-cole (pomodori, peperoni, fagioli), che in poco tempo si diffondono sui balconi e sui davan-zali della Conca del Naviglio, diventando argomento di discussione e merce di scambio.In meno di un anno il progetto conta più di 80 coltivatori, alcuni dei quali nel settembre 2009 costituiscono formalmente l’associazione Ortinconca.

ApproccioIl nome dell’associazione, che evoca contemporaneamente la sua ragione e il suo conte-sto – coltivazioni orticole nel ristretto gruppo di vie affacciate su Conca del Naviglio – bene esprime lo spirito di questo progetto di garden community, in cui l’interesse comune per la riscoperta di un tipo particolare di coltivazione e della sua sperimentabilità nel cuore della città diventa la scusa per praticare la vita di quartiere ed incentivarne le relazioni.L’esperienza di Ortinconca, infatti, può essere letta su due livelli: da una parte un progetto di quartiere, volto al recupero e/o all’intensifi cazione delle relazioni di vicinato; dall’altra un progetto di rifl essione sul rapporto con il cibo e la produzione alimentare, in cui «quei due, tre, dieci pomodori che uno coltiva sul suo balcone hanno sicuramente un grande valore simbolico in una città come Milano»1. Ed entrambi i livelli partecipano con pari dignità alla defi nizione dell’iniziativa.

1 Da un’intervista audio a Claudia Ceroni, attivista di Ortinconca, pubblicata su http://www.ecora-dio.it/.

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StrumentiA seconda delle forze organizzative a disposizione di volta in volta Ortinconca realizza in-contri divulgativi sulla biodiversità alimentare ed occasioni aggregative in quartiere, volte soprattutto al consolidamento della comunità del quartiere, attraverso, per esempio, la di-stribuzione di sementi che inducano alla piccola coltivazione domestica e, di conseguenza, alla partecipazione al progetto.Lo spazio di questo progetto, infatti, è costruito dalla somma delle piccole coltiva-zioni del quartiere: i terrazzi, i balconi, i ballatoi delle case a ringhiera, ma anche i soli davanzali che ospitano piantine orticole. Questi tasselli, spesso piccolissimi, dell’orto biodiverso della Conca del Naviglio sono registrati in una mappa, consultabile sul sito dell’associazione.

RelazioniLo spettro delle principali relazioni del progetto Ortinconca è volutamente piuttosto ri-stretto; i suoi promotori da vicini di casa sono passati all’essere amici per poi diventare uffi cialmente, con la costituzione dell’associazione, cittadini attivi in una piccola proposta di trasformazione pratica, culturale e relazionale.Nonostante questa dichiarata dedizione ad uno specifi co contesto locale, la particolarità di un progetto centrato sulla biodiversità delle specie orticole e sul recupero di coltivazioni antiche ha portato alla sua partecipazione a reti molto più ampie. Si potrebbe dire che ai due livelli di lettura degli obiettivi del progetto si sovrappongano, in modo piut-tosto calzante, altrettanti livelli di relazione.

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Ortidiffuso / Libere Rape Metropolitanehttp://ortodiffuso.noblogs.org/http://rape.noblogs.org/

ContestoOrtodiffuso e Libere Rape Metropolitane possono essere considerate come le due espres-sioni di una stessa iniziativa, volta alla condivisione dei percorsi di agricoltura urbana. Il progetto Ortodiffuso, infatti, riguarda la realizzazione di una mappatura delle coltivazioni urbane, che si tratti di piccoli balconi privati o di ampi spazi urbani, e la successiva messa in rete dei loro protagonisti e delle loro competenze, che si tratti di singoli o di associazioni e gruppi organizzati. Parallelamente la rete delle Libere Rape Metropolitane si impegna in un’operazione di coinvolgimento di parte di queste stesse esperienze nella formazione di una sorta di movimento informale dei giardini comunitari in grado di dare consistenza e peso contrattuale a un fenomeno in crescita.Il contesto di riferimento di questi progetti – il primo avviato nel 2009 per iniziativa di Ma-riella Bussolati, giornalista e attivista milanese, il secondo inaugurato nel dicembre 2010 a partire dall’incontro di alcune realtà dedite alla promozione del verde in città – è poten-zialmente illimitato; ma, sviluppatosi lungo i legami di rete dei suoi primi partecipanti, ad oggi l’iniziativa interessa soprattutto l’area milanese, pur cominciando a diffondersi anche altrove. Sul blog del progetto Ortodiffuso sono presenti delle prime mappature interattive relative alla presenza di orti a Milano e a Roma.

ApproccioSullo sfondo dei progetti, l’attenzione per una pratica per certi versi desueta e apparente-mente in via di estinzione nelle aree urbane vuole proporsi come strategia di riappropria-zione consapevole della città da parte dei suoi abitanti; riappropriazione di spazi fi sici – in questo senso si muove il progetto di mappatura delle aree coltivabili, che, a lato dell’in-dividuazione delle aree ad orto già esistenti, intente includere anche un censimento delle aree abbandonate e la stima delle loro caratteristiche per una possibile coltivazione –, ma anche spazi di autodeterminazione delle proprie scelte quotidiane – in questo sento l’inizia-tiva prevede attività dedicate alla valutazione dell’utilità economica delle coltivazioni di orti urbani e del loro impatto sugli stili di vita.In quest’ottica ogni orto, compresa la coltivazione domestica di piccole dimensioni, può essere considerato come un potenziale spazio pubblico. Nelle intenzioni dell’iniziativa l’orto diffuso è un orto di comunità mutevole nelle forme, nelle dimensioni e nella collocazione; uno spazio in cui una comunità fl essibile e non identitaria, tenuta assieme da interessi

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comuni, anche a distanza e temporaneamente, mette a in condivisione le proprie risorse private per un progetto comune.«L’orto diffuso è un’occasione per espandere oltre i soliti confi ni la città, le proprie capacità pratiche, la propria rete di relazioni, la nostra connessione con la natura e la nostra appar-tenenza al mondo organico.Un terrazzo, ma anche un balcone, o persino il davanzale di una fi nestra hanno superfi ci che si possono sorprendentemente ampliare e che portano a scoprire una fruizione dello spazio diversa da quella, claustrofobica, a cui siamo sottoposti.»1

Strumentile attività di mappatura di Ortodiffuso e le iniziative delle Rape Metropolitane si intrecciano in un percorso unitario di condivisione di informazioni e conoscenze.Il progetto Ortodiffuso si concentra sul censimento delle aree coltivate e di quelle poten-zialmente coltivabili. A questo scopo sul blog di riferimento dell’iniziativa sono implemen-tate delle mappe interattive (per ora relative alle città di Milano e di Roma) su cui ciascun utente, previa registrazione al blog, può editare autonomamente la propria segnalazione relativa alle coltivazioni urbane. A questo scopo il sito suggerisce alcune categorie: orti sui balconi, orti in strada, orti comunitari, aree libere da reinventare. Quest’ultima categoria (che già ad oggi conta parecchie segnalazioni) sarà oggetto di un successivo lavoro di va-lutazione, relativo all’estensione, alla qualità del suolo e all’eventuale progettazione di un intervento.Contemporaneamente le Rape Metropolitane organizzano percorsi conoscitivi e di sensi-bilizzazione orientati ad un’attività informativa, attraverso l’organizzazione di incontri per lo scambio di competenze e di materiali e il racconto delle singole esperienze, o dedicati alla sperimentazione pratica, attraverso workshop rivolti alla consapevolezza nell’uso dei materiali, delle tecniche e dei prodotti, all’organizzazione dello spazio, al confronto con le coltivazioni in aree extra-urbane, o anche ad attività di supporto alle diverse iniziative concrete.L’utilizzo di strumenti informatici e multimediali rappresenta un importante ingrediente di questi progetti, il cui strumento principale è la predisposizione e il potenziamento di una rete di soggetti affi ni. Oltre alla predisposizione di uno strumento interattivo di mappatura, la mailing-list “ortocircuito”, permette di coordinare le azioni degli ortisti milanesi.

RelazioniQuesti progetti di messa in rete sono sorti per volontà di un piccolo gruppo di persone già impegnate in un percorso comune e già consce delle possibilità e modalità di sviluppo di un progetto sociale. A partire da questo primo nucleo le iniziative sono cresciute seguendo i canali delle reti di conoscenza e di affi nità dei loro partecipanti, organizzando numerosi incontri di presentazione presso gruppi e associazioni affi ni (associazioni per la valorizza-zione del verde urbano, gruppi di acquisto solidale, …). A partire dalla diffusione lungo le maglie di questa rete informale l’iniziativa prevede, già a partire dalle sue premesse, il con-fronto con ambiti istituzionali, soprattutto locali, per lo studio di forme di collaborazione e sensibilizzazione che coinvolgano le stesse istituzioni in percorsi di riconoscimento e legit-timazione, ma soprattutto nella ricerca di spazi per approfondire e ampliare concretamente il progetto di diffusione delle pratiche di coltivazione agricola in città.

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Piano Terrahttp://piano-terra.org/wordpress/via Vallorsa e via Oglio

ContestoSul retro del cantiere di una scuola media in ristrutturazione si coltiva un piccolo orto sinergico dalla forma sinuosa. Ci troviamo nel quartiere Corvetto, nella zona sud-est della città.L’associazione Piano Terra è nata per iniziativa del comitato genitori della scuola elementare di via Vallarsa, che, forte di alcune esperienze individuali di coltivazione, propone alla scuo-la la realizzazione di un orto didattico. La preside e gli insegnanti accolgono il progetto con entusiasmo, mettendo a disposizione un angolo di giardino in cui i bambini di via Vallarsa, col sostegno degli stessi genitori e degli insegnanti, possono sperimentare tutto il ciclo pro-duttivo di piante da orto e aromatiche, dalla semina alla trasformazione del raccolto.Il successo di questo piccolo esperimento porta ad intravedere la possibilità di ampliare l’esperienza. Si costituisce così l’associazione Piano Terra, che a partire dall’orto didattico gestito dai genitori della scuola di via Vallarsa comincia ad occuparsi dell’organizzazione di corsi, seminari e laboratori.Il fulcro di queste attività è un nuovo orto, realizzato sul retro della scuola media di via Oglio, una struttura compresa nello stesso complesso scolastico dell’elementare di via Val-larsa, da qualche tempo dismessa in attesa di essere ristrutturata e convertita in centro per la formazione professionale. In questa sede la dirigente scolastica mette a disposizione dell’associazione l’intero giardino e una piccola aula per la realizzazione dei laboratori.

ApproccioIn poco più di un anno di attività attorno alla cura del giardino di via Oglio Piano Terra ha intrecciato numerose collaborazioni (con la scuola, con altre associazioni della zona, con altre esperienze di coltivazione urbana), nella prospettiva di fare di quel luogo un orto di quartiere, ovvero uno spazio di condivisione in grado di veicolare attraverso la cura di un bene comune la partecipazione alla costruzione collettiva del proprio spazio di vita.In quest’ottica la scelta della coltivazione sinergica (che si basa su principi di auto-fertiliz-zazione della terra attraverso la semplice presenza delle piante) non è solo una preferenza ideologica, ma va anche nella direzione di una precisa intenzione programmatica: l’orto di Piano Terra non vuole essere solo un luogo di condivisione e di apprendimen-to, ma anche il simbolo tangibile della possibilità ed opportunità di rigenerare la terra della città (da qui, per altro, il nome dell’associazione) e con essa la sua qualità di

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vita.«Avremmo potuto fare tutto questo molto più comodamente altrove. Come ti dicevo la pos-sibilità c’era. Ma invece abbiamo scelto di stare qui, di far crescere i nostri fi gli in città, in questa città, perché quello che c’è in città in campagna non c’è. […] Uno dei punti centrali del nostro progetto è la valorizzazione delle differenze, in tutti sensi, la biodiversità, ma an-che le differenze tra le persone […]. Nelle scuole con cui lavoriamo c’è un’alta percentuale di bambini immigrati, [in alcuni casi] parliamo di cifre che si aggirano intorno al 40%. […] Il nostro obiettivo non è tanto quello di coltivare, quanto quello di rigenerare la terra, di innestare il verde e la vita dove non c’è, sostituendo le radici al cemento.»1

StrumentiLe attività dell’associazione Piano Terra sono molto varie, pur tutte incentrate sulla coltivazione biologica, la promozione di un uso consapevole delle risorse e l’apprendimento pratico.Le attività orticole si svolgono prevalentemente seguendo la cura dell’orto nella scuola di via Vallarsa e dell’orto di quartiere di via Oglio; a questi percorsi si accompagnano la proposta di laboratori didattici di orticoltura in altre scuole e l’organizzazione di laboratori tematici sulla trasformazione dei prodotti coltivati o sulle loro caratteristiche.Un secondo ordine di proposte riguarda la realizzazione di laboratori artistici e artigianali centrati sul riuso creativo e la gestione delle risorse naturali (laboratori di falegnameria per la realizzazione di piccoli attrezzi; sperimentazione di costruzioni in terra cruda; laboratori artistici con materiali riciclati; …).

RelazioniIl consolidamento delle relazioni di prossimità a cui punta l’associazione passa soprattutto attraverso la scuola e le attività dei bambini, che funzionano come catalizzatori per fre-quentazioni assidue che altrimenti non avrebbero molte occasioni di realizzarsi. L’istituzione scolastica, quindi, è certamente uno degli attori protagonisti di questa storia, ma sembra esserlo soprattutto per impegno personale dei suoi singoli rappresentanti (la direzione del complesso, la preside, gli insegnanti, i genitori, ...), piuttosto che a partire da un esplicito impegno istituzionale.Ad altra scala Piano Terra ha intessuto numerose relazioni con altre realtà milanesi in-teressate alla promozione del verde e della coltivazione urbana; in questo caso il canale principale è quello della conoscenza personale e dell’affi nità di interessi e, soprattutto, di modi di vivere.Osservato dalla prospettiva offerta da questa rete di relazioni l’orto di quartiere si rivela più chiaramente come un’esperienza costruita sulle relazioni specifi che che rie-sce a intessere, indipendentemente dalla prossimità territoriale dei suoi frequentatori.

1 Da un’intervista a uno dei fondatori dell’associazione Piano Terra realizzata nel marzo 2011.

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3. Politiche pubbliche

A Milano l’intervento dell’amministrazione comunale nello studio e regolarizzazione degli orti urbani è relativamente recente e comincia in ritardo rispetto allo standard europeo, nonostante il fenomeno dell’orticoltura in città sia sempre stato presente, anche grazie alla promozione di alcuni istituzioni, come l’Istituto Case Popolari (con un esperimento di coltivazione orticola nei quartieri di edilizia popolare nel 1915), l’Opera Nazionale del Do-polavoro (con la realizzazione di “orti operai” a partire dagli anni ’20) e alcune iniziative del governo fascista durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale. I primi studi di settore risalgono alla fi ne degli anni ‘80 e vennero condotti per cercare di razionalizzare e istituzionalizzare un fenomeno fi no ad allora disordinato e spontaneo, nato da alcune occupazioni di terreni non produttivi o abbandonati, spesso nelle aree marginali della città.

Da uno studio del 2005 riportato dall’arch. Manuela Pollastri, che si è occupata della pro-gettazione degli orti comunali per il Settore Periferie (2008), risulta una superfi cie di orti urbani nel comune di Milano pari a 1.800.000 mq, quasi tutti abusivi, mentre dai dati co-munali del 2010 risulta che la superfi cie totale di orti legali supera di poco i 100.000 mq. Dunque gli orti comunali milanesi, ovvero le parcelle orticole realizzate dall’amministrazio-ne e assegnate tramite bando pubblico, sono solo una piccola percentuale delle aree effet-tivamente coltivate. Eppure, analogamente ad altri contesti, anche a Milano l’agricoltura urbana passa lentamente e gradualmente dall’essere semplicemente «pratica di resistenza e contestazione a discorso utilizzato da pianifi catori e politici» (Djalali, 2009).

Con questo intento, il Comune di Milano promuove, progetta e realizza orti urbani in alcune aree residuali dei quartieri e all’interno di parchi pubblici cittadini, perseguendo una stra-tegia di integrazione di queste pratiche al verde pubblico. L’intervento dell’amministrazione prevede spesso la riconversione di orti spontanei preesistenti e favorisce la rivitalizzazione e la riqualifi cazione locale, soprattutto nelle aree periferiche della città. Tuttavia, gli orti urbani «si affi ancano, per il loro carattere ricreativo, al verde istituzionale, ma sono ricono-sciuti come una realtà di seconda categoria. Gli insediamenti sono spesso marginali e sono progettati come realtà a sé stanti» (Greco, 2010). Così, se dal punto di vista progettuale emerge una certa separatezza fra orti urbani e aree verdi pubbliche, è però chiaro il loro utilizzo come presidi in grado di aumentare la sicurezza e il controllo dei parchi, soprat-tutto nelle aree di connessione fra verde urbano e i quartieri limitrofi . Questa collocazione marginale, che privilegia la prossimità all’abitato, risponde alla primaria funzione sociale ed assistenziale della pratica orticola. Infatti, l’analisi dei bandi di assegnazione evidenzia una forte preponderanza di alcune categorie socio-economiche, in particolare pensionati e anziani, portatori di handicap autosuffi cienti e disoccupati.

Sebbene l’intervento dell’amministrazione sembri essere «sporadico e disomogeneo»[1]1, appare evidente l’assunzione progettuale di alcuni elementi e caratteri ripetibili in grado di conferire ordine, coerenza e riconoscibilità funzionale agli orti urbani, nell’intento di «modifi care la diffusa percezione di degrado e abbandono che accompagna le realizzazioni spontanee»[1].

1 Qui e in corrispondenza delle citazioni seguenti la numerazione fa riferimento all’elenco delle in-terviste riportate tra le fonti.

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La creazione di orti comunali dimostra come l’amministrazione possa rispondere alla cre-scente domanda dei cittadini, perseguendo obiettivi di riqualifi cazione sociale e ambientale e, contemporaneamente, delegando parte della manutenzione del verde pubblico ai singoli ortisti.

3.1. Le esperienze milanesi

L’iniziativa pioniera di Italia Nostra e i suoi sviluppi In Italia le prime rifl essioni circa l’opportunità offerta dagli orti urbani risalgono alla crisi petrolifera ed economica del 1973. In quegli anni Italia Nostra lancia la campagna “Sprecare no” per denunciare la situazione del Paese e contemporaneamente proporre qualche soluzione praticabile, come la costru-zione di orti urbani comunali. Nel 1980 il Ministero dell’Agricoltura avvia un’indagine sul fenomeno dell’agricoltura urba-na al fi ne di mappare la situazione esistente ed elaborare una proposta progettuale. Nel solo hinterland milanese si individuarono 2.000 ettari di orti spontanei, ma la percezione diffusa fra gli amministratori e i cittadini lega questi orti urbani al fenomeno del degrado e dell’abbandono del territorio. Con la volontà di trasformare queste realtà in opportunità di cambiamento volte a promuo-vere un nuovo modello di città, Italia Nostra raccoglie la ricerca in un libro intitolato appun-to “Orti urbani una risorsa” e inizia a sperimentare la realizzazione partecipata di “orti del tempo libero” all’interno del parco Boscoincittà, nella zona ovest di Milano. Il primo insedia-mento di orti, gli “orti Spiné”, risale al 1987; ad esso si aggiungono presto altri interventi. Oggi il parco conta circa 400 parcelle di orti, assegnati ai richiedenti tramite bandi pubblici e contratti di comodato sottoposti ad un regolamento di condotta. La gestione «continua, costante, rigorosa»[2] degli orti urbani nel Boscoincittà e nel vicino Parco delle Cave è assegnata al Centro Forestazione Urbana (CFU), il centro operativo di Italia Nostra con sede nella Cascina San Romano, all’interno dello stesso Boscoincittà, che si occupa della manutenzione e valorizzazione dei parchi e della promozione di attività educative e di ricerca. L’attività di Italia Nostra è proseguita con il progetto di rilevanza nazionale “Orti Urbani”, volto a defi nire una modalità di realizzazione comune in tutta Italia. Il progetto «aperto a contributi esterni, si rivolge a tutti coloro, privati o enti pubblici, i quali, possedendo aree verdi, vogliano destinarle all’arte del coltivare nel rispetto della memoria storica dei luoghi, accettando regole etiche che saranno preventivamente stabilite da Italia Nostra in accordo con l’ANCI (Associazione dei Comuni di Italia), con la quale è stato sottoscritto un Protocol-lo di Intesa» (Italia Nostra, 2008). Il Protocollo, sottoscritto con ANCI, Coldiretti e Campagna Amica, ha l’obiettivo di promuo-vere e valorizzare la pratica dell’orto urbano e di incoraggiare la partecipazione dei cittadi-ni, promuovendo la riscoperta di una manualità rurale e agricola. Italia Nostra ha anche redatto, insieme all’Università di Perugia, un documento inerente le “Linee guida per la progettazione, l’allestimento e la gestione di orti urbani e periurbani”. Il documento contiene specifi che e consigli inerenti la disposizione e la progettazione degli orti e la scelta di tecniche sostenibili e specie vegetali autoctone. Le linee guida indirizzano il progettista che «deve interpretare i bisogni degli orticoltori e avere una visione comples-siva dell’intervento e della sua gestione nel tempo»[2].

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Dalle prime sperimentazioni alla diffusione degli orti nei parchi urbaniSempre alla fi ne degli anni ‘80 sorgono anche i primi 35 orti all’interno del Parco Nord, parco intercomunale a nord di Milano. L’intervento, volto alla rivitalizzazione delle fasce di parco più vicine alla città, è rivolto soprattutto agli anziani, secondo una fi losofi a proget-tuale e gestionale che incoraggia una relazione altamente fi delizzata tra parco e utente a partire da un processo di partecipazione degli ortisti nella manutenzione della piccola por-zione di parco assegnata loro. Il Parco, che conta oggi 12 aree con 450 appezzamenti, ha predisposto un Regolamento degli Orti, che prevede precisi doveri per gli assegnatari, per la maggior parte pensionati e disoccupati o consorzi e associazioni che presentino progetti didattici specifi ci. La scelta progettuale operata dal Parco Nord si differenzia dalle esperienze del Centro di Forestazione Urbana per il forte carattere collettivo e relazionale degli orti. Infatti, «al Parco Nord gli orti hanno dimensioni minori e sono condivisi fra due orticoltori. Nonostante la socializzazione sia evidentemente maggiore, è però diffi cile che l’orto venga coltivato insieme; spesso ci si divide i compiti o le aree. L’orto è sostanzialmente una pratica individuale»[2].

A partire da queste prime sperimentazioni, in anni più recenti il Comune di Milano ha realizzato complessi orticoli all’interno di parchi cittadini e in aree residuali dei quartieri, riconvertendo e organizzando orti spontanei preesistenti «per motivi di decoro ma anche per evitare richieste di usucapione»[1]. Il Parco Alessandrini, inaugurato nel 1980 e interessato da un progetto di riqualifi cazione conclusosi nel 2003, ospita un complesso orticolo con aree comuni, le cui parcelle sono in parte disposte a raggiera e in parte a scacchiera e sono dotate di approvvigionamento idrico e attrezzature. Il successo è stato tale che gli ortisti, per la maggior parte pensiona-ti, hanno costituito un comitato molto attivo, che partecipa ad eventi cittadini e collabora con altre realtà della zona interessate ai temi dell’agricoltura, come la più centrale Cascina Cuccagna.

Nel 2008, su incarico del Settore Periferie del Comune di Milano, un gruppo di architetti, coordinati da Manuela Pollastri, ha avviato un progetto per individuare alcune zone critiche della città in cui convertire gli orti abusivi esistenti o individuare spazi per nuove realiz-zazioni. Al Parco Lambro, area sperimentale, il progetto comunale riguarda un’area di 6.000 mq, già utilizzati come orti spontanei, esistenti da più di dieci anni. Con l’obiettivo di risanare una situazione di evidente degrado, l’intervento ha previsto la realizzazione di lotti orticoli dotati di depositi, servizi e spazi comuni per gli abitanti. Sono stati realizzati 76 orti con una superfi cie variabile da 45 a 60 mq raggruppati in moduli da quattro, sei o otto orti e due aree comuni collegate tramite un vialetto ciclo-pedonale.

Dall’altra parte della città, in zona 6, nel 2010 prende avvio il progetto di riqualifi cazione del Parco Blu. Il progetto ha visto un primo intervento di trasferimento e razionalizzazione di orti abusivi preesistenti e la successiva integrazione di nuovi orti, inseriti all’interno del disegno complessivo del parco pubblico. La vicinanza della Casa Circondariale per minori Beccaria, di un Centro Sportivo e di un Centro Scolastico, oltre alla presenza all’interno del parco di un fabbricato rurale di proprietà comunale destinato a servizi socio-culturali, fanno ipotizzare una buona varietà sociale e generazionale di frequentazione per questi orti.

Altri progetti di riqualifi cazione e di realizzazione di nuove aree verdi periurbane prevedono gruppi di parcelle agricole. Fra questi, il parco Forlanini, il parco agricolo del Ticinello

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(la cui realizzazione, bloccata dagli anni ’80, è stata sollecitata dai cittadini e dagli agri-coltori, unitisi in un’associazione apposita), il parco Teramo Barona e il Canale della Martesana. Anche in questi casi, gli orti, pensati come luoghi di incontro e socializzazione e come presidi attivi di controllo e gestione del verde, sono utilizzati come «elemento di cerniera fra i centri abitati e le aree verdi pubbliche»[2].

Orti didattici e terapeuticiSul fronte della formazione il Comune di Milano è impegnato anche e promuove la realiz-zazione di orti didattici nei giardini scolastici attraverso iniziative specifi che o all’interno di interventi di manutenzione e razionalizzazione degli spazi dei cortili. In questi casi gli orti assumono una particolare connotazione educativa e pedagogica, diventando anche un ele-mento di aiuto e sostegno alle materie scientifi che. Nel 2011, attraverso l’iniziativa “Orti Didattici”, l’amministrazione comunale ha realiz-zato nuove parcelle orticole in 30 scuole e ha promosso un progetto di educazione ambien-tale e alimentare rivolto agli insegnati e agli studenti delle scuole elementari e medie che prevede una serie di attività didattiche collegate all’orticoltura. La validità di questa esperienza non sta soltanto nell’uso degli orti come prezioso strumen-to didattico, di crescita e di gioco, ma anche nella conferma del loro essere occasione di incontro, anche intergenerazionale, di scambio, recupero e condivisione di saperi.

Nello stesso anno, su iniziativa dell’Assessorato alle Aree Cittadine e Consigli di Zona e in collaborazione con l’Associazione Missione Sogni Onlus è stato inaugurato “L’orto dei sogni”, un’iniziativa dedicata ai bambini ricoverati all’ospedale Sacco. Il progetto prende spunto dal tema di Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita” e offre la possibilità ai bambini del reparto pediatria, autorizzati dalla struttura, di dedicarsi due volte alla set-timana alla cura dell’orto, assistiti da personale volontario.

Esperienze istituzionali non comunaliL’offerta comunale di orti urbani e didattici è affi ancata e integrata da iniziative e progetti promossi da altre istituzioni pubbliche, private e associazioni di categoria. In particolare, Coldiretti promuove un progetto di accompagnamento tecnico a sostegno degli orti privati diffusi sul territorio, mentre Slow Food e il Ministero dell’Istruzione si interessano della rea-lizzazione di orti didattici e della formazione degli insegnanti delle scuole dell’obbligo, il cui «apporto volontario è fondamentale per sostenere gli interventi»[1].

Il progetto di Coldiretti e Campagna Amica fa riferimento al Protocollo siglato con Italia Nostra ed è rivolto ai singoli cittadini, coltivatori di terrazzi, balconi ed orti privati, per i quali è previsto un servizio di tutoraggio e assistenza a domicilio, gestito da aziende vivaistiche locali. Considerando gli orti una realtà sociale, urbanistica e storica di primo livello, il progetto ha l’obiettivo di divulgare, sostenere e valorizzare esperienze di qualità di coltivazione (giardini condivisi, orti didattici, orti sociali, orti urbani) gestiti da cittadini e amministrazioni pubbliche sul territorio nazionale. Attraverso la creazione di una rete di scambio nazionale e l’organizzazione di manifestazioni ed incontri, Coldiretti e Campagna Amica intervengono per favorire la partecipazione dei cittadini alla tutela dell’ambiente e del territorio contro il consumo di suolo e diffondono la conoscenza e la diffusione della cultura orticola.

Il progetto di Slow Food “Orto in condotta”, invece, si rivolge alle amministrazioni

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pubbliche comunali e alle strutture didattiche con l’obiettivo di promuovere e sviluppare l’educazione alimentare e ambientale dei bambini, dei genitori e delle comunità locali. L’orto diventa così uno strumento educativo per trasformare il piccolo consumatore in co-produttore, cioè in un cittadino consapevole delle proprie scelte alimentari e delle ricadute di tali scelte sul territorio e sulla comunità, in particolare sugli addetti del settore agricolo e gastronomico. Il progetto, di articolazione triennale, prevede l’impegno del Comune nel fornire il terreno, le sementi, gli attrezzi e nel fi nanziare l’intervento. La scuola realizza l’orto e programma la didattica, individuando anche alcuni “nonni ortolani” che supportano la coltivazione e mettono a disposizione le loro conoscenze. Slow Food, infi ne, si occupa della formazione degli insegnanti e dei genitori e cura i rapporti con gli operatori locali organizzando visite guidate, lezioni tematiche e laboratori. A Milano le scuole aderenti sono 6 e sono segnala-te sulla Carta Naturalistica del Parco Agricolo Sud, distribuita nei punti di informazione e divulgazione del parco.

L’utilizzo dell’orto didattico come strumento di educazione alimentare è promosso anche dal Programma Ministeriale “Scuola Cibo”, sperimentato nel 2009-2010 in alcune scuole elementari con il supporto formativo di Federalimentare ed esteso successivamente anche alle scuole medie inferiori. Il Programma, inteso come progetto di avvicinamento ad Expo 2015, prevede l’insegnamento della nuova materia interdisciplinare dell’educazione alimentare nelle scuole e il suo necessario affi ancamento all’esperienza pratica di coltiva-zione dell’orto. Con il patrocinio dell’Assessorato alla Mobilità, Ambiente, Arredo Urbano e Verde e il so-stegno della Fondazione Catella, a Milano il progetto coinvolgerà tre scuole, selezionate per ospitare un orto didattico all’interno del loro cortile, su indicazione del Settore Arredo Urbano e Verde che, in questi casi, si occupa «del supporto tecnico e logistico e di alcuni interventi di predisposizione e realizzazione dell’orto»[1].

Il Parco Agricolo Sud Milano, ente provinciale che si estende su 46.300 ettari di terreno agricolo a sud della città ed interessa vari comuni di cintura, è una delle più interessanti esperienze di salvaguardia e tutela territoriale presente in ambito europeo. Attualmente il Parco non si occupa di orti urbani, benché «il loro ruolo di elementi di cintura fra tessuto edifi cato e terreni agricoli potrebbe rappresentare un’importante risorsa, oltre che fornire un servizio diversifi cato per utenza ed estensione delle aree, ampliandosi verso un’idea di agricoltura periurbana di svago ma anche di sussistenza»[2]. Nel corso di un Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale dal titolo “Il Parco Agricolo: uno strumento di pianifi cazione territoriale degli spazi aperti”, gli studenti del Corso di Design dei Servizi della Laurea Magistrale in Design del Politecnico di Milano hanno prefi gurato dei possibili scenari per il Parco Agricolo Sud Milano, individuando nuove attività che potrebbe-ro integrare l’attuale offerta rivolta ai cittadini. L’obiettivo è la creazione di servizi collabo-rativi e aperti che coinvolgano gli abitanti e i produttori locali, favoriscano l’innovazione di pratiche e modelli insediativi e diano vita ad una rete «distribuita, virtuosa e autosostenibi-le» (Meroni 2009), capace di promuovere un nuovo rapporto fra città e campagna.Partendo dalle risorse già presenti sul territorio e da alcune esperienze virtuose attuate da gruppi e associazioni, l’orticoltura è stata individuata come una delle possibili attività di in-tegrazione dell’offerta esistente, soprattutto per il suo ruolo di presidio attivo e costante nel parco. Secondo il modello presentato, un’apposita Associazione di ortisti gestirebbe i lotti di terreno improduttivi offerti dalle cascine, attrezzandoli e allocandoli a privati cittadini.

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Gli orti sarebbero inseriti all’interno di un circuito di mercati a fi liera corta, eventi e feste dedicate e promuoverebbero lo scambio relazionale fra utenti. Si ipotizza una forma ibrida di orto, secondo un modello che prevede la coltivazione indivi-duale della parcella abbinata a forme di collaborazione e scambio di prestazioni fra coltiva-tori, sull’esempio della Banca del Tempo. L’Associazione degli ortisti potrebbe poi gestire un servizio di consulenza per la creazione di esperienze di agricoltura urbana, coinvolgendo anche agricoltori esperti del territorio, sull’esempio del servizio già offerto da Campagna Amica. Il sistema degli orti, urbani e periurbani, si inserirebbe così all’interno delle attività del Par-co Agricolo Sud secondo una strategia di pianifi cazione complessiva, facendo riferimento ai Punti Parco, strutture informative, di ricerca e divulgazione.

3.2. Strumenti e cambiamenti in atto

A Milano la gestione dei bandi pubblici per l’assegnazione degli orti urbani, che avviene sulla base di una graduatoria, è affi data ai Consigli di Zona. A questo tipo di bando possono presentare richiesta i cittadini residenti nella zona, mag-giorenni e non assegnatari di altri orti nel territorio del Comune. Pubblicata la graduatoria, gli orti vengono dati in concessione. La concessione è personale (l’orto non può quindi essere condotto da terzi) e onerosa. E’ previsto il pagamento di un canone annuo variabile da 1€/mq a 2€/mq e, a volte, un deposito cauzionale o il paga-mento forfettario dei consumi annuali. La durata della concessione varia dai 3 ai 5 anni ed è spesso rinnovabile.Pensati come strumenti di integrazione sociale, gli orti sono assegnati di preferenza ai pensionati di età superiore ai 60 anni, agli invalidi civili, ai giovani (fra i 18 e i 27/30 anni), ai portatori di handicap autosuffi cienti e ai disoccupati, secondo una graduatoria che tiene conto del reddito e della condizione di salute. In un solo caso esaminato il bando è stato esteso alle associazioni (meglio se operanti a favore di categorie sociali svantaggiate o minori) e alle famiglie. Inoltre, la vicinanza all’appezzamento rappresenta spesso un pun-teggio aggiuntivo.

L’offerta pubblica di orti urbani non riesce oggi a rispondere alla richiesta, in costante au-mento, da parte della popolazione e le restrizioni previste dai bandi di concorso limitano ul-teriormente la possibilità di avere un orto. Queste condizioni comportano l’evidente rischio è di creare delle enclave, caratterizzate per lo più dalla presenza di anziani. In controtendenza, il CFU, cerca di garantire una certa commistione socio-economica uti-lizzando metodi come il sorteggio, mantenendo molto ristrette le differenze nei punteggi e assegnando un punteggio aggiuntivo alle persone già inserite nelle liste di attesa. «In que-sto modo, un giovane che non riesce ad entrare nel primo bando, può facilmente riuscirci dopo 5 anni»[2].

Attualmente sono gli stessi Consigli di Zona che individuano la possibilità di realizzare un intervento orticolo in ambito urbano e si rivolgono al Settore Arredo Urbano e Verde per la progettazione e l’esecuzione del progetto. Il Settore si occupa della preliminare analisi del terreno (secondo un kit di ricerca di metalli pesanti e inquinanti concordato con ARPA), della fornitura e movimentazione del terreno e della defi nizione e realizzazione delle parcelle e degli spazi pubblici. Ogni orto è dotato di un allaccio idrico e di un capanno per gli attrezzi. Gli spazi pubblici, invece, sono solitamen-

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te attrezzati con barbecue, gazebo, casetta comune e bacheca per le comunicazioni e sono manutenuti dal Comune. Il disegno degli orti non è standardizzato; sono previsti alcuni elementi necessari ma «la defi nizione del progetto e la scelta dei materiali sono di compe-tenza del singolo progettista, che può privilegiare il disegno del paesaggio o gli aspetti di durabilità e gestione»[1]. In alcuni contesti, come nei parchi periurbani gestiti dal Centro Forestazione Urbana e nel Parco Nord, la progettazione e l’allocazione degli spazi è demandata agli enti di gestione e, in alcuni casi, la realizzazione è partecipata, prevede cioè il coinvolgimento dei futuri ortisti. «Il coinvolgimento attivo delle persone è indispensabile, non solo per contenere i costi, ma soprattutto per raggiungere una maggiore qualità. Inoltre, la fase di costruzione partecipata permette la creazione di rapporti di conoscenza e di fi ducia fra gli ortisti, ne-cessari per garantire durabilità all’esperienza»[2].

Questo sistema ha coinvolto anche altri Settori, a seconda dell’enfasi che si è data alla creazione degli orti urbani. In particolare, l’Assessorato alle Aree Cittadine e ai Consigli di Zona (oggi Assessorato Decentramento e Area Metropolitana) e il Settore Periferie si sono occupati in passato di alcuni interventi in aree periferiche e marginali della città, pri-vilegiando la riorganizzazione di esperienze spontanee esistenti allo scopo di eliminare il degrado ambientale e favorire la rivitalizzazione sociale dei quartieri. Il decentramento gestionale degli orti urbani si avvale della conoscenza del territorio locale da parte dei Consigli di Zona e del rapporto diretto fra enti pubblici e cittadini, soprattutto per quanto riguarda l’analisi della domanda. Ciò nonostante, «i Consigli di Zona faticano ad occuparsi in modo continuativo ed effi cace del controllo degli orti e sono frequenti fenome-ni di degrado e perdita di decoro anche nelle esperienze comunali»[1]. Inoltre, non man-cano «esperienze fallite in cui gli orti restano vuoti e non vengono coltivati»[2] per carenza di partecipazione ai bandi, che devono essere riaperti e, in alcuni casi, estesi anche agli abitanti di zone limitrofe. Per questi motivi, spesso «gli stessi Consigli di Zona, assecondan-do anche un malcontento diffuso fra i cittadini, preferiscono sgomberare e demolire gli orti abusivi, sostituendoli con parchi e giardini pubblici»[1].

Benché oggi la progettazione, la realizzazione e la manutenzione degli orti sia demandata interamente al Settore Arredo Urbano e Verde, gli interventi sono effettuati su specifi ca richiesta dei Consigli di Zona, secondo valutazioni distrettuali e contingenti. E’ pertanto dif-fi cile, anche per mancanza di fi nanziamenti adeguati, immaginare una politica che interessi l’intera città e preveda una strategia unitaria. Inoltre, il Comune di Milano non prevede formalmente la regolamentazione di interventi orticoli attuati da privati su terreni di loro proprietà, limitandosi esclusivamente alle forme più conosciute dell’adozione e della sponsorizzazione di aree pubbliche. Nel primo caso gruppi di cittadini, per esempio condomini, possono occuparsi della manutenzione di un piccolo appezzamento di verde pubblico; mentre, nel secondo caso, il Comune delega la gestione di aiuole ad aziende private che possono trarne vantaggio in termini di visibilità e pubblicità.

Queste formule di gestione privata su aree di verde pubblico non prevedono la possibilità di sostenere e promuovere progetti di riqualifi cazione spontanea di aree dismesse e sot-toutilizzate attuati da associazioni e gruppi di cittadini. Tuttavia la crescente richiesta dei cittadini per la realizzazione di giardini condivisi e comunitari sembra aver trovato nella nuova amministrazione comunale un possibile interlocutore. Il Comune di Milano potrebbe

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presto allinearsi ad altre esperienze europee, come il Programma municipale Main Verte di Parigi, e assegnare in concessione aree urbane di proprietà pubblica ad associazioni e gruppi di cittadini organizzati, incrementando la quota di verde urbano senza gravare sulle risorse fi nanziarie dell’amministrazione e istituzionalizzando esperienze spontanee di par-tecipazione attiva della cittadinanza.

Poche settimane fa la Commissione Ambiente del Consiglio di Zona 2 ha, infatti, sottoposto agli Assessori Maran (Mobilità, Ambiente, Arredo Urbano e Verde) e Benelli (Decentramen-to e Area Metropolitana) un regolamento che permetta a privati cittadini e associazioni di adottare spazi verdi e aiuole abbandonate della città. Il regolamento, che il Comune sta va-lutando e discutendo, include la possibilità di realizzare spazi per la coltivazione di ortaggi e fi ori e prevede l’uso temporaneo degli spazi (da 6 mesi a 3 anni), affi dandone la gestione e l’animazione alle associazioni richiedenti. Questo sistema solleverebbe anche i Consigli di Zona dalla gestione perché «la fruizione condivisa e diversifi cata dell’utenza faciliterebbe il controllo reciproco, evitando abusi e situazioni di degrado»[1].Alcune esperienze pilota sono già partite: il Consiglio di Zona 1 ha assegnato in comodato d’uso gratuito e temporaneo un’area non utilizzata in viale Montello, sulla quale, nei mesi estivi, l’associazione Giardini in Transito aveva già creato un giardino condiviso con la par-tecipazione degli abitanti della zona.

L’attenzione posta al tema degli orti urbani è un chiaro segnale di una nuova sensibilità diffusa fra i cittadini contro lo spreco di risorse e verso la dotazione di spazi pubblici verdi. Se i primi esempi di orti comunali vedevano la partecipazione preponderante di ortisti già detentori di appezzamenti abusivi, oggi «l’orto è legato ad una rinnovata attenzione ai temi dell’ecologia e del mangiare sano, ma soprattutto ad una fi losofi a di svago a chilometro zero»[2]. Dall’altro lato, la riduzione di risorse a disposizione dell’amministrazione comunale per la manutenzione delle aree verdi (parchi, giardini e spazi residuali) e per la più generale offerta di servizi pubblici favorisce processi improntati ai principi di governance urbana e sussidiarietà orizzontale. Fioriscono così sperimentazioni ed esperienze in cui le istituzio-ni si relazionano in modo sinergico e collaborativo alla società, cercando di valorizzare le risorse e competenze locali per fornire nuovi servizi e migliorare la qualità della vita dei cittadini (Cottino, 2009). L’amministrazione sembra così allontanarsi dalla logica tradizionale secondo la quale i ser-vizi sono offerti dal pubblico per rispondere ad un bisogno esistente e assume il ruolo di enabler (Balducci, 2000), ovvero di facilitatore e promotore di sperimentazioni dal basso e di relazioni inedite fra istituzioni e attori sociali. Queste esperienze consentirebbero di intervenire sul territorio cogliendone le opportunità locali (es. spazio pubblico non utilizzato, realtà esistenti e reti sociali) e procedendo secon-do interventi processuali intersettoriali (Cottino, 2009), rivolti alla (ri)valorizzazione fi sica e sociale.

3.3. Conclusioni

Il tema degli orti urbani e dei giardini condivisi è, a livello amministrativo, piuttosto re-cente e non ancora completamente pianifi cato. Inoltre, le diverse accezioni di orti urbani, didattici, terapeutici evidenziano la multidisciplinarietà del fenomeno e la polifunzionalità di questa pratica, di diffi cile inquadramento amministrativo. A Milano manca soprattutto

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«un coordinamento in grado di mettere a sistema le esperienze, le risorse e le conoscenze a disposizione dell’amministrazione»[1]. Il fatto che l’amministrazione cittadina non si sia ancora dotata di una pianifi cazione unitaria e complessiva e di politiche specifi che di pro-mozione e incremento degli orti urbani fa sì che le realizzazioni appaiano oggi frammen-tate e non pienamente inserite all’interno del verde pubblico. Per migliorare la situazione esistente, «sarebbe interessante istituire un uffi cio appositamente dedicato al trattamento di questa tematica»[2] sull’esempio di altre città; a Roma l’amministrazione ha dato vita ad un apposito Uffi cio Orti Urbani, che coordina i progetti, promuove la loro diffusione e si relaziona col pubblico.

La scarsa comunicazione e sensibilizzazione dei cittadini alimenta la diffi denza verso la realizzazione di orti urbani, pratiche ancora legate all’idea di abusivismo e di degrado nel sentire comune, e non permette un’ampia divulgazione delle esperienze di successo. In altre città italiane ed europee, l’amministrazione si occupa dell’organizzazione di eventi e manifestazioni in grado di mettere in rete i singoli interventi e ne effettua una puntuale mappatura. A Parigi, per esempio, è possibile individuare la localizzazione degli orti urbani attraverso l’utilizzo di una mappa interattiva e risalire facilmente alle associazioni che si oc-cupano della loro gestione e animazione; a Bologna, l’amministrazione consente ai cittadini non solo di informarsi sulle esperienze in corso ma anche di iscriversi telematicamente alla graduatoria di assegnazione, aggiornata ogni 4 mesi.

Il Comune di Milano fornisce, inoltre, un’offerta pubblica di orti piuttosto esigua e ancora legata ad una logica di marginalità e assistenzialità, favorendo alcune categorie econo-mico-sociali e individuando gli aventi diritto caso per caso. In esperienze più mature, si è arrivati ad un allargamento delle assegnazioni che ha coinvolto anche giovani, associazioni e immigrati ed è stato individuato un effi cace criterio di suddivisione proporzionale dei lotti, assicurando una fruizione eterogenea degli orti. A Udine, per esempio, il Comune individua 4 categorie distinte di utenti e fi ssa quote prestabilite per la loro ripartizione, garantendo la compresenza di pensionati, famiglie, studenti e associazioni di cittadini.

La fase di assegnazione, appesantita dalle restrizioni comunali, e quella di gestione sono momenti particolarmente critici per l’amministrazione, che evidenziano anche lo scarso potere dei Comitati degli Ortisti, istituiti come strumento di controllo e mediazione dai Consigli di Zona. La formula di affi damento della realizzazione e della gestione ad un ente esterno sembra invece vincente. Per questo molte amministrazioni si muovono oggi verso forme partena-riali pubblico-privato, assegnando la manutenzione e il controllo delle aree ad associazioni locali preesistenti o prevedendo la loro formazione, anche a scopi assicurativi. Esperienze di questo tipo sono da anni sperimentate anche a Milano. Nel Boscoincittà, infatti, il CFU controlla scrupolosamente il rispetto del regolamento organizzando giornate di ispezione e individuando dei responsabili dei lavori, «persone che non si fanno portavoce del gruppo degli orticoltori ma che si occupano in prima persona di alcune criticità specifi che, come, ad esempio, dei sistemi di irrigazione»[2].

Il Settore Arredo Urbano e Verde del Comune di Milano non sembra oggi in grado di rea-lizzare nuovi complessi orticoli di rilievo. Infatti, a differenza di Parigi dove la municipalità ha previsto l’inserimento obbligatorio di orti nella progettazione delle nuove aree verdi, nel caso milanese l’approvazione è vincolata al parere dei Consigli di Zona, spesso reticenti.

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Infatti, i maggiori interventi degli ultimi anni si riferiscono alla razionalizzazione di orti spontanei preesistenti o addirittura alla loro demolizione e sostituzione con altre dotazioni pubbliche (aree gioco, aree cani, ecc.). In questi casi, il Settore comunale si fa carico del-lo sgombero e dello smaltimento dei materiali, dandone comunicazione scritta agli ortisti qualche mese prima. Questo tipo di intervento è però piuttosto costoso e comporta spesso tensioni sociali e delusione negli orticoltori. Per questo, il CFU ha messo a punto un’attività di demolizione partecipata che coinvolge attivamente gli ortisti e consente loro di parteci-pare al successivo bando pubblico di assegnazione. «A Sesto San Giovanni, grazie alla col-laborazione degli orticoltori, si è riusciti a demolire gli orti spontanei in brevissimo tempo, differenziando i materiali. Questa attività consente di utilizzare le stesse risorse comunali non solo per lo sgombero ma anche per la nuova realizzazione dei lotti. Inoltre, gli ortisti vengono sensibilizzati nei confronti della costruzione abusiva e nella scelta dei materiali e, per primi, si rendono conto della necessità di regole condivise»[2].

La dimensione amministrativa comunale sembra infi ne rappresentare un ulteriore limite; come sostenuto da Djalali (2009), infatti, «dal punto di vista ambientale, la promozione di casi isolati di agricoltura urbana senza la costruzione di reti ecologiche e produttive esclude la possibilità di costruire sistemi alimentari basati su cicli ecologici territoriali». Il Comune di Milano non può farsi carico della promozione di una politica agricola comples-siva e transcalare senza l’apporto e il sostegno del Parco Agricolo Sud e senza la collabora-zione intercomunale coi territori limitrofi , peraltro già promotori di esperienze di orticoltura di particolare interesse. Un approccio al paesaggio che risponda alle nozioni di agricivismo (Ingersoll, 2004) e sostenibilità dovrebbe quindi riguardare la scala sovracomunale, pre-vedendo una differenziazione funzionale e dimensionale degli orti nelle loro forme urbane e periurbane, e un’integrazione di queste esperienze con la produzione agricola e con strumenti di sensibilizzazione e formazione di diversa natura (fattorie didattiche, mercati agricoli, fi liere corte, ecc.). Da questo punto di vista, la proposta avanzata dagli studenti di Design dei Servizi del Politecnico e l’interessante esperienza di promozione intercomunale di orti nell’agglomerazione urbana di Lione immettono ulteriori rifl essioni all’interno della ricerca.

In quest’ottica il prossimo Expo 2015, dal titolo “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” po-trebbe rappresentare un’occasione importante per inserire questi temi all’interno dell’agen-da politica e sperimentare interventi innovativi di agricoltura urbana nella città di Milano e nel territorio agricolo periurbano.

Riferimenti bibliografi ciBalducci A. (2000), Le nuove politiche della governance urbana, in «Territorio» n. 13.Cottino P., Zeppetella P. (2009), Creatività, sfera pubblica e riuso sociale degli spazi. Forme

di sussidiarietà orizzontale per la produzione di servizi non convenzionali, Fondazione Cittalia, ANCI Ricerche, Roma.

Djalali A. (2009), L’agricoltura urbana come spazio della produzione comune, http://cre-peweb.net.

Donadieu P. (1998), Campagne Urbane, Donzelli Editore, Roma.Greco C. M. (2010), Paesaggi commestibili. Prospettive di agricoltura urbana a Milano, Tesi

di Laurea Magistrale in Architettura, Politecnico di Milano.Ingersoll R. (2004), Sprawltown, Meltemi, Roma

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Italia Nostra (1985), Orti urbani una risorsa, Franco Angeli, Milano.Italia Nostra (2008), Linee guida per la progettazione, l’allestimento e la gestione di orti

urbani e periurbani, (con il contributo dell’Università degli Studi di Perugia).Meroni A. et al. (2009), «Servizi per le reti agroalimentari. Il Design dei Servizi come

contributo alla progettazione delle aree agricole periurbane», in Ferraresi G. (a cura di) Produrre e scambiare valore territoriale, Alinea editrice, Firenze.

Riferimenti webwww.campagnamica.it www.cfu.it www.coldiretti.itwww.comune.bologna.itwww.comune.genova.itwww.comune.milano.itwww.comune.roma.itwww.comune.udine.itwww.ecodallecitta.itwww.europaconcorsi.comwww.jardins-familiaux.orgwww.istruzione.it www.italianostra.orgwww.ortiurbani.blogspot.comwww.parconord.milano.itwww.paris.fr/loisirs/jardinage-vegetation/jardins-partages/p9111www.slowfood.it

Interviste[1] Intervista all’arch. Pietro Montrasi, Settore Arredo Urbano e Verde del Comune di Mila-

no, 24 febbraio 2012 [2] Intervista a Silvio Anderloni, presidente del Centro di Forestazione Urbana, 17 febbraio

2012

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4. Parole chiave

Dalle ricognizioni svolte tra le storie milanesi di agricoltura urbana emergono alcune di-mensioni critiche su cui vale la pena di soffermarsi nella prospettiva di un ragionamento sulla valenza progettuale di queste pratiche.In questa sezione proviamo a rifl ettere su alcuni di questi temi in forma di parole chiave da tener presente nel repertorio di argomenti sensibili che entrano in gioco nella defi nizione di questo fenomeno.

4.1. Margini

La recinzione è una requisito quasi obbligatorio per gli orti urbani. Anche per progetti che dichiarano un’esplicita vocazione comunitaria, lo spazio coltivato è circoscritto, magari fa-cilmente accessibile, ma comunque chiaramente – e fi sicamente – distinto dal resto.Questa necessita di distinzione può essere letta in modo ambivalente.All’interno di quei confi ni l’orto è uno spazio personale, dedicato, come una stanza a cielo aperto, arredata a proprio gusto, proprio come in un appartamento. I limiti che lo racchiu-dono, che siano accennati o inequivocabilmente marcati, sono le pareti che delimitano un modo di vivere, «un proprio stile di cura» (Cottino, 2003, p. 82). Come ogni operazione di demarcazione, infatti, la delimitazione di una porzione di terra per usi propri corrisponde ad un’affermazione di identità, che si esprime soprattutto per differenza, nel rapporto in-clusione/esclusione.

Diversamente considerate, però, quelle stesse delimitazioni possono assumere un senso opposto: quei confi ni individuano luoghi che si sottraggono all’omogeneità delle forme e degli usi correnti, ancor più tenendo conto della sostanziale marginalità di questo tipo di iniziative. Spazi in cui succede qualcosa di speciale, terreno dell’a-normalità, stralciato dall’ordine delle defi nizioni consolidate. È come se questi esperimenti disegnassero dei ritagli nella mappa della città che le normali operazioni di lettura non sono in grado di rappresentare. Si tratta di buchi che interferiscono con l’organizzazione dello spazio co-struito, alludendo a modelli di pianifi cazione materiale della città che non rientrano nelle distinzioni funzionali assodate. Ma ancor più a monte si tratta di discontinuità rispetto ai tempi e all’organizzazione urbana nel suo complesso, che lascia intravedere un altro spa-zio dell’abitare, in antitesi rispetto alla moderna tendenza alla specializzazione articolata attorno alla distinzione tra spazi e tempi del consumo e della riproduzione e spazi/tempi della produzione (Tosi, 2004).

Da questo punto di vista le iniziative di agricoltura urbana rappresentano delle eterotopie (Foucault, 1994): luoghi che si mantengono in relazione con ciò che li circonda contraddi-cendone i presupposti. Lo spazio che ritagliano nella mappa urbana non è un vuoto, ma un pieno ancor più denso ed emergente di ciò che ne rimane fuori, un contenitore di immagi-nari oltre i confi ni della norma. Le iniziative considerate usano la città, ne riscoprono e valorizzano le risorse in funzione collettiva e così facendo contribuiscono a ridefi nire i termini della relazione d’uso tra essa e i suoi spazi. In questo modo incidono sul ragionamento attorno alla trasformazione fi sica della città, generano nuove centralità, offrono suggestioni, sperimentano idee e costitui-scono modelli di riferimento.

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4.2. Dispositivi

Come detto più volte nel raccogliere queste storie di coltivazione in città abbiamo privile-giato quelle vicende in cui l’orto e il giardino sono l’espressione intenzionale del loro ca-rattere strumentale. Alcune delle vicende considerate sfruttano esplicitamente l’effi cacia dello strumento-orto, ma anche le esperienze da questo punto di vista meno consapevoli, si alimentano del potenziale di attivazione caratteristico di questo tipo di attività.

L’enfasi che poniamo sulla dimensione processuale delle esperienze permette di prestare attenzione ad aspetti che la tensione esclusiva verso il conseguimento di un risultato non aiuta a vedere. Nelle storie stesse spesso è proprio il disinteresse per la ricerca diretta degli esiti che offre lo slancio necessario ad esplorare possibilità d’azione poco praticate.La coltivazione è un’attività che non richiede particolari prerequisiti. Anzitutto non richiede a priori specifi che competenze tecniche: una volta avviata una traccia anche molto abboz-zata, ogni giardino diventa un campo di sperimentazione su cui misurarsi ed apprendere liberamente, senza l’ansia e la fretta di dover far fronte a un obiettivo. Inoltre – e forse soprattutto, dal punto di vista che più ci interessa – di per sé non comporta l’adesione a specifi ci orientamenti ideali, tutt’al più ne guida la formazione a partire dall’esperienza con-creta. Queste prerogative di semplicità operativa fanno dei progetti di coltivazione conteni-tori poco discriminanti, aperti al cambiamento in corso d’opera e facilmente accessibili.In aggiunta, mentre non necessita di particolari conoscenze o collocazioni, coltivare con-sente lo sviluppo diretto di competenze, pratiche e teoriche: l’evolversi di un semplice ci-clo agricolo racconta molte cose che, ben al di là delle specifi che modalità di coltivazione, riguardano per esempio l’organizzazione del tempo e dello spazio, la storia, l’evoluzione dell’ambiente. Nelle scuole della città che dispongono di questo strumento, l’orto didattico è utilizzato proprio in questo modo, come un’occasione di apprendimento ad ampio raggio, una scusa per parlare d’altro (come racconta bene il testo Zavalloni, 2010).

4.3. Riattivazione

Molte delle storie che abbiamo considerato riguardano piccole azioni di trasformazione leggera, che si confondono nel paesaggio urbano. Eppure, in buona parte dei casi, questi episodi di coltivazione urbana producono un certo effetto di straniamento. Hanno certamente questa qualità le manifestazioni di guerrilla gardening, una pratica che in Italia ha assunto col tempo i toni pacati di una colorata proposta di cambiamento, ma che non per questo deve essere considerata meno incisiva rispetto a forme più rumorose di dissenso; anzi, proprio in virtù della scarsa confl ittualità esplicita che li caratterizza questi episodi di giardinaggio occasionale sembrano avere più chance di interazione nella compo-sizione degli scenari di trasformazione della città.

Al contrario di quello che avviene per molte delle pratiche che sfruttano gli interstizi urbani, in genere interessate a quei luoghi nascosti proprio per mantenere la propria invisibilità, la guerriglia verde gioca sul ribaltamento di questa condizione: da terreno escluso dai princi-pali processi di costruzione e trasformazione della città a luoghi-manifesto.La logica è quella dell’evento, inteso come momento di rottura del fl usso ordinario e scon-tato del quotidiano e di potenziale riposizionamento dei punti di vista. In questa prospettiva generale, ciascuna azione di coltivazione dello spazio pubblico rappresenta un evento a sé stante, con caratteristiche anche molto diverse tra caso e caso.

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Ed è proprio questo effetto di straniamento il medium del contenuto politico di queste ini-ziative; gli esiti delle azioni di guerriglia verde funzionano come una sorta di manifesto vago ed allusivo, che annuncia con un’immagine evocativa un programma di trasformazione.Sul retro di quei manifesti si trova l’idea, di base molto semplice, che guida le iniziative: farsi carico in prima persona della cura degli spazi trascurati della città. Si tratta quindi anzitutto di un’idea di autogestione e attivazione, che compie il cambiamento auspicato – nei luoghi in cui le sarebbe formalmente interdetto – senza chiedere e senza attendere che se ne occupi chi ne è uffi cialmente incaricato. Ma proprio per questo si tratta al tempo stesso, in misura più o meno esplicita a seconda dei casi, anche di una forma di dissenso, pur delicata e quasi inafferrabile, come le sue manifestazioni.

Queste forme di impegno civico volgono ora verso l’interesse a misurarsi personalmente con l’affrontare alcuni problemi della città, attraverso spinte e strategie fortemente inten-zionali, quasi ostinate, rispetto, non tanto al conseguimento di obiettivi specifi ci e di lunga durata quanto piuttosto, all’apertura di percorsi di trattamento di questioni che appaiono intrattabili.La centralità è quindi data all’azione in quanto «aspetto attivo della produzione di senso come capacità di contestazione degli ordini costituiti e come forza di trasformazione e di innovazione a partire dall’esperienza pratica degli attori sociali a livello individuale e collet-tivo» (Crespi, 1989).

Le condizioni di precarietà legate alla disponibilità delle risorse, all’irregolarità delle si-tuazioni, alla fl uidità delle relazioni informali non smorzano il potenziale di mobilitazione condotto dal desiderio di essere, attraverso le azioni in oggetto, protagonisti di un lento cambiamento. Anzi queste stesse condizioni di complessità e incertezza danno all’azione un signifi cato centrale, in quanto messa in gioco di capacità e orientamenti progettuali che sovvertono la sequenza tradizionale analisi, disegno, decisione, attuazione. A volte infatti l’azione viene intesa come innesco del progetto, a volte si rifi uta la necessità di una pro-spettiva di progetto come quadro di riferimento, altre volte l’azione stessa è utilizzata come strumento analitico. Dall’analisi delle vicende relative a ciascuna esperienza emerge all’origine di ciascun pro-cesso la mancanza di un progetto complessivo predefi nito e prestrutturato, l’assenza di un insieme chiuso e ben identifi cato di attori protagonisti e di un quadro di risorse utilizzabili accessibili e immediatamente disponibili.L’andamento incrementale che invece più spesso caratterizza le azioni progettuali in que-stione rappresenta una necessità pratica in condizioni di incertezza piuttosto che una scelta consapevole: l’avvio con piccole cose nella speranza che progressivamente si determinino le occasioni per renderle più grandi rappresenta l’unica prospettiva possibile per interventi che solitamente nascono in condizioni di scarsità di risorse.La costruzione progressiva dei contorni dell’intervento inoltre contribuisce a lasciare conti-nuamente aperti ampi margini di ridefi nizione dei contenuti del progetto. Il senso di molte delle azioni prese in esame è infatti quello di produrre, a partire dalla critica, implicita o esplicita, dei modelli istituzionali, progetti maggiormente appropriati perché costruiti attra-verso l’attivazione di meccanismi in grado di garantire la costante apertura a nuovi stimoli, idee e soggetti che di volta in volta si presentano come nuove opportunitàÈ questa una delle caratteristiche sottolineata anche da Ruggiero (2000) nei suoi studi sui movimenti urbani: «la loro capacità di individuare bisogni e produrre azione malgrado l’as-senza di uno stadio fi nale, di uno scenario conclusivo al quale ispirarsi».

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L’agire, in questo senso, è inteso come processo dinamico di sperimentazione pratica: assomiglia più alla costruzione e alla formazione di coerenza nelle attività pratiche (arti e mestieri) che non alla logica associata alla risoluzione di problemi in condizioni strutturate. «L’agire dunque non è fatto solo di gesti che generano risposte prevedibili in un contesto di senso dato, ma anche di atti che, senza alcun orientamento strumentale, per il solo fatto di essere compiuti, conferiscono un senso all’esperienza, la contestualizzano» (Lanzara, 1993).L’azione in questo senso cambia i dati della situazione, rivelando aspetti che si rendono evidenti nel momento stesso in cui si agisce.«Rispetto alla connessione conoscenza/decisione, che caratterizza l’approccio delle poli-tiche incentrato sulla formazione del consenso come prerequisito per l’azione congiunta degli attori, qui la connessione decisiva è piuttosto quella tra percezione e volizione. Se ne potrebbe concludere che se c’è intesa tra gli attori, questa non si basa sulla condivisione di intenzioni, bensì sulla previa e contestuale esperienza che gli attori hanno di una coopera-zione» (Crosta, 2000).

4.4. Radicamento locale e relazione con i luoghi

Tra i progetti di coltivazione considerati non mancano le esperienze che indicano nella re-lazione con il contesto in cui si collocano in generale e con il quartiere in particolare uno specifi co orizzonte d’azione. In questi casi il locale è generalmente un fattore stabile e scontato; ma dove il senso comune identifi ca istintivamente con questa espressione una coincidenza tra delimitazioni spaziali e pratiche d’uso, la critica sottolinea proprio la preca-rietà di questa defi nizione e i rischi connessi al dare per scontata l’univocità di un’entità al contrario piuttosto vaga.A ben vedere l’omogeneità a cui fa riferimento il senso comune non è un dato, ma un’at-tribuzione di senso che riguarda la relazione tra spazi e usi defi nita dalle diverse traiettorie di vita delle persone che vi partecipano, e dunque potenzialmente variabile in misura pari al numero delle singole esperienze. Al di là delle delimitazioni amministrative, persone diverse, che pur si intendono rispetto alla defi nizione generica di uno specifi co luogo, diffi -cilmente sarebbero in grado di tracciarne dei confi ni univoci e condivisi; a volte, forse, non si troverebbero nemmeno d’accordo su cosa includervi e cosa escludervi.Eppure, tra le singole traiettorie vi sono delle evidenti sovrapposizioni, tant’è che le diffe-renze tra un’idea di quartiere e l’altra spesso sono poco più che sfumature, che non im-pediscono di individuare un oggetto comune. In questa familiarità delle visioni individuali entrano in gioco fattori come l’accessibilità, la frequenza, la sovrapposizione storica di signifi cati personali o tramandati, il semplice fatto, insomma, che – se pur in forme diverse per ciascuno e per ciascuna fase della vita – spesso si ha a che fare ripetutamente con gli stessi materiali urbani.In quest’ottica i giardini e gli orti urbani pensati come luoghi di riappropriazione di spazi e relazioni sono certamente un dispositivo effi cace: facilmente accessibili, organizzati attorno ad attività che non richiedono specifi che competenze, né particolari adesioni ideologiche. Ma per dar ragione all’aspetto comunitario a cui alludono non possono trascurare il loro carattere parziale: non si tratta di un servizio da mettere a disposizione, ma di un forma di presa di posizione dei loro attivisti (in questo caso rispetto a modi possibili di vivere la città), una rappresentazione di un proprio punto di vista da confrontare con altri per la co-struzione di un progetto comune di adozione di territorio.

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In questo modo l’orto pubblico urbano, così come lo intendono i suoi promotori, rappre-senta uno strumento per il radicamento locale per la specifi ca comunità raccolta attorno al dibattito sull’uso della città che è in grado di attivare.

Queste nuove strutture intermedie della vita sociale molto più disomogenee e specializzate di quelle tradizionali, travalicano i tradizionali confi ni del locale dato e anzi trasformano l’estensione territoriale dell’iniziativa in una variabile che dipende da una serie di aspetti connessi alla natura del progetto. In questo modo ridefi niscono la nozione stessa di locale: il territorio delle relazioni collettive si defi nisce attorno alle singole iniziative progettuali, anziché essere un dato di partenza che ne orienta il contenuto. Le iniziative incidono sui territori in cui si collocano, innestando in essi nuove presenze che ne scombinano i tradi-zionali assetti d’uso: ad entrare in gioco sono alternativamente relazioni di scala, di vicina-to, di quartiere, di zona, cittadine e fi nanche metropolitane che cortocircuitano tra loro al punto che diviene spesso diffi cile identifi care una scala di riferimento unica per l’iniziativa. Finiscono per essere dimensioni territoriali che coesistono, talvolta reciprocamente funzio-nali e che più che altro riferiscono di fasi o aspetti diversi dell’iniziativa. In questo processo di ridefi nizione del locale proprio delle iniziative sul territorio, gioca un ruolo importante tanto l’investimento iniziale di risorse personali (le reti di relazione degli attivatori delle iniziative: volontari, militanti, attivisti e operatori) quanto la capacità di interagire e aprirsi al coinvolgimento di altri soggetti cittadini.

Anche nei casi da noi guardati la ricerca di punti di riferimento, di risposte al disagio ur-bano, di reti di mutuo aiuto, di contesti di mobilitazione politica non avviene sempre per prossimità fi sica, quanto piuttosto per affi nità, coincidenza, attivazione di reti amicali, in-teresse.Le reti che si attivano rispetto al trattamento di un problema hanno origine in diversi punti della città e trovano una capacità connettiva e agente su un dato territorio. Questo signifi ca che nelle esperienze guardate di fi anco all’abitante del quartiere, al frequentatore della parrocchia, all’attivista locale abbiamo trovato mobilitati sullo stesso tema interessi e soggetti che si legano a un territorio non per una relazione di prossimità territoriale. Le ra-gioni e i modi della mobilitazione sono diverse, a signifi care che nella città contemporanea le appartenenze multiple sono generative di altre confi gurazioni sociali e della costruzione di confi ni territoriali che si ridefi niscono attraverso dei sensi nuovi di identità. «Non si danno territori in comune, l’appartenenza ai quali possa essere considerata uni-voca; né d’altra parte si realizza la condizione limite che ‘tutti appartengono dappertutto’. Piuttosto succede che ogni individuo, gruppo, popolazione abbia attività, interessi, preoc-cupazioni distribuiti in più luoghi. (…) Possiamo perciò dire che in questo modo l’apparte-nenza viene scelta, e che si tratta di una scelta strategica, in quanto nell’interazione che la costruisce giocano anche fattori non intenzionali. Attraverso tale scelta, l’indeterminatezza della multipresenza/multiappartenenza viene risolta con un atto di assunzione di responsa-bilità nei confronti dell’appartenenza che viene decisa (…). Soprattutto perché è una scelta di appartenere-per-fare. In questo quadro partecipare non si connota come ‘essere fatti partecipare’ (altrimenti detto: la partecipazione non rappresenta più una tecnica di forma-zione del consenso, ma una forma della cittadinanza)» (Crosta, 2010).In questa ricerca e scelta di un campo in cui agire quello che si genera è la costituzione di comunità di sentimento e la costruzione di spazi collettivi di riconoscimento e autorappre-sentazione, in ambienti urbani sottoposti invece a tensioni omologanti. La rete, concetto riguardante le relazioni ma depotenziato del suo portato di corrisponden-

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za diretta e locale, in questo caso allude a relazioni di prossimità, fuori dalla prossimità fi si-ca, in termini di risorse, di culture, di strutture interorganizzative. Queste stesse relazioni, però, in qualche modo si riproducono localmente, attraverso l’esperienza dei luoghi e la scoperta, tramite questa, di nuove pratiche politiche.

4.5. Oggetti verdi: la relazione processo-prodotto

Sebbene alcuni dei casi esplorati motivano in parte le proprie attività facendo riferimento alla situazione socio-economica e alla necessità di trovare nuovi modelli produttivi, a ben vedere quasi mai la produzione è al centro delle preoccupazioni dei protagonisti. Più spesso i percorsi di costruzione di orti e giardini prestano attenzione a dimensioni apparentemente secondarie rispetto all’attività di coltivazione, quali ad esempio la costruzione di relazioni, il disagio sociale, l’educazione e la didattica, il dissenso.Nonostante ciò la disponibilità di un prodotto fi nito e visibile, l’avvio di una trasformazione che è anche territoriale (per quanto di dimensioni molto ridotte), e non solo di senso, è il cardine indispensabile che alimenta e tiene assieme i contenuti di queste sperimentazioni. La coltivazione della terra e i suoi risultati tangibili, infatti, acquistano l’importanza di un primo traguardo, richiedono cura e durata nel tempo, divengono un manifesto di azioni intraprese (e non di intenzioni). Da una parte, quindi, prevale un approccio incrementale legato a una sorta di work in progress, a un evento aperto e continuo legato all’esperien-za pratica e ad esperimenti di bricolage (Weick, 1997); dall’altra si sviluppa una capacità signifi cativa, spesso anche in assenza di risorse economiche, di orientare il processo per ottenere un oggetto verde, segno tangibile e fruibile dell’azione. La concretezza di quell’og-getto restituisce il senso di appagamento tipico di un’attività artigianale (Sennet, 2008), che non è solo lavoro fi ne a se stesso, ritagliato dal continuum di una vita in uno spazio dedicato, né solo elaborazione teorica, al di fuori di quella stessa vita che ne è l’oggetto, ma un modo per praticare conoscenza.Grazie a questa duplice valenza, che mette in tensione aspetti processuali e risultati tan-gibili, gli esperimenti di agricoltura urbana possono essere defi niti dei progetti a portata di mano, in cui carica utopica e soddisfazione concreta convivono profi cuamente.

Questi progetti principalmente si occupano di spazi fi sici, di assetti territoriali, di cambia-menti materiali. La dimensione della trasformazione è un precipitato del progetto molto importante, è un oggetto (non necessariamente l’esito fi nale) con il quale gli attori sono portati a confrontarsi (a volte essendo essi stessi i produttori di quell’oggetto). La dimensione dello spazio, il processo di place making (Cottino, 2010) ,«rende visibile e materiale» il confronto tra gli attori, ha un effetto di riduzione della complessità, o comun-que di «applicazione» della complessità. L’interazione relativa a un assetto materiale può aiutare a un confronto fatto di piccoli avanzamenti di contenuto, che spesso avvengono con più facilità rispetto alla dimensione del fare e della costruzione di uno spazio comune, che non è deliberativo ma fi sico.Molte esperienze di partecipazione prescindono da questa dimensione, «nascono dall’as-sunto che, a ben scavare e ascoltare si possa trovare la voce degli abitanti e che tale voce sia simile a una equilibrata verità rivelata (…) credo che a volte sia più credibile e sensato cercare di costruire senso e spazio comune a partire con la diretta condivisione delle cose da fare, riferibili agli interessi e ai beni comuni» (Laino, 2010).Questa attività non rimanda necessariamente alla progettazione esclusiva degli spazi: il processo di place making deve sapere combinare in maniera sapiente ingredienti molto

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diversi: usi e pratiche, meccanismi di appropriazione, assetti funzionali e gestionali.Si tratta di un’attività, infatti, che rimanda alla costruzione di nuovi legami con il territorio inerenti al progettare e all’agire, e alla costruzione degli spazi collettivi di riconoscimen-to che ne conseguono; un’attività che allude a legami tipici del rapporto faccia a faccia e dell’esperienza dei luoghi, che si producono localmente e stabiliscono relazioni di prossi-mità, al di là della prossimità fi sica, in termini di risorse, di culture, di strutture interorga-nizzative, in defi nitiva di quello che potremmo chiamare un processo culturale a partire dai luoghi (Hannerz, 2001).

4.6. Identità territoriali

Le esperienze esplorate possono anche essere considerate come dei meccanismi di rein-venzione delle identità locali, forse a partire da dei dispositivi progettuali, e quindi da sce-nari di trasformazione territoriale. La centralità di un progetto, infatti, nella sua accezione complessa di costruzione comune e attività continua di scambio, è un elemento che, più di altri, permette di introdurre scarti e aspetti innovativi rispetto alla situazione iniziale. È una attività per la quale un’azione (una trasformazione, un nuovo assetto organizzativo, una regola d’uso, ecc..) acquisisce uno specifi co signifi cato perché viene posta in relazione con altro, viene collocata in un processo, viene orientata al futuro con una attenzione alle sedimentazioni culturali.Il progetto di territorio diviene inoltre lo strumento che permette l’uso e lo scambio di in-formazioni tra differenti comunità senza che queste condividano lo stesso sistema di signi-fi cati, è un boundary object: «un campo di azione suffi cientemente fl essibile da adattarsi ai bisogni locali e alle esigenze di chi li impiega, ma anche resistente al punto da mantenere una propria identità» (Balducci, 2011).Attraverso questa prospettiva, orientata al futuro, ma radicata a ciò che si è sedimentato, il territorio acquista un ruolo centrale per mettere a fuoco un processo di riconoscimento identitario mutevole che si colloca nell’avvenuto processo di frammentazione e frantuma-zione delle reti sociali tradizionali. Queste iniziative partono infatti dall’organizzazione di interessi, esigenze e capacità attorno a questioni e problemi irrisolti (anziché attorno a sca-le territoriali date) fi nendo per diventare piccole e provvisorie istituzioni sociali. Si tratta di iniziative e progetti anche assai diversi tra loro, per origine, obiettivi e tipologia di protago-nisti e fruitori, che tuttavia nel complesso sono tenuti insieme dall’opportunità che mettono in gioco di riavviare, secondo nuove articolazioni, processi di costruzione e maturazione di relazioni sociali urbane, di rapporti sociali intimi e strutturanti una relazione con gli altri e con il territorio. Muovono verso la restituzione alla città di un carattere propriamente ur-bano qual è quello dell’intensità relazionale, al contempo di cooperazione e di confl itto, al posto dell’isolamento. In questo modo questi progetti disegnano, rispetto a punti di vista molteplici, nuovi assetti per la città, della quale contribuiscono a sovvertire e ridefi nire le geografi e di riferimento: sono di fatto processi istituenti di nuove relazioni sul territorio (che quindi incidono sulla geografi a delle relazioni locali), oltre che di trasformazioni fi siche puntuali (che a loro volta riconfi gurano la geografi a urbana dei luoghi e degli spazi adibiti a funzioni collettive), a cui sembra associato un notevole potenziale di innovazione ed effi -cacia nel trattamento dei problemi pubblici (che implica un ripensamento della geografi a di attori e modalità d’azione a cui va ricondotto il sistema delle politiche urbane).

In molti di questi casi una matrice comune rimanda all’idea di identità in una chiave ope-rativa, come concetto dinamico intriso di una dimensione socio-culturale, dello svolgersi di

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un processo in un certo periodo, dell’interpretazione e del ruolo di soggetti e attori. Oltre a questo, l’idea di identità rimanda alla dimensione del locale, di una dimensione che fa emergere e valorizza le specifi cità di un luogo, le sue peculiarità endogene (Magnaghi, 2000).In questa prospettiva, vi sono e si possono riconoscere dei sistemi locali territoriali dotati di specifi che identità, che li distinguono sia da altri sistemi, sia dall’ambiente esterno. È su questa idea che si fonda l’interpretazione del territorio in termini di milieu (Dematteis 1994; Governa 1997). Il concetto rimanda infatti a un insieme localizzato e specifi co di condizioni naturali e socio-culturali che, sedimentandosi in un luogo nel corso del tempo, ne defi niscono le proprietà. Il milieu defi nisce l’identità di ogni sistema locale e permette il trattamento delle differenze che si esprimono localmente, anche attraverso il rapporto che connette comportamenti e pratiche sociali alle caratteristiche di ogni luogo. L’idea di milieu ha inoltre un forte orientamento al futuro e quindi al progetto: non solo la ricostruzione di un processo di sedimentazione, ma il fondamento locale di processi e sce-nari di sviluppo. Il milieu non è cioè composto unicamente da oggetti che si costruiscono nel passato, ma indica contemporaneamente specifi ci valori che tali oggetti assumono nel presente in relazione alle azioni e ai progetti di cui sono portatori gli attori locali (Governa 1997).Quindi, nel tempo, si sedimenta uno specifi co patrimonio di risorse immateriali e materiali: valori culturali e norme, conoscenze e saper fare, capitale, servizi collettivi. «Questi fattori, che potremmo defi nire artifi ciali e storici, si aggiungono alla dotazione naturale di beni del territorio, e alla sua collocazione geografi ca che ne condiziona i rapporti con altri luoghi. Il complesso di queste risorse – sociali e naturali – defi nisce l’identità di un territorio» (Tri-gilia, 2010).

Rispetto a questa idea di identità si può sottolineare almeno un punto al quale prestare attenzione che riguarda l’idea stessa di identità individuale e territoriale, rispetto al senso di spazi e geografi e sempre più mutevoli, nuove centralità e reti, differenti pratiche, usi e popolazioni. Sempre più spesso, infatti, si richiama l’idea di una società e di una geografi a fondate su fl ussi e reti. Accanto alle organizzazioni tradizionali l’individuo si trova al centro di nuo-vi assetti sociali non più organizzati in base ai luoghi della residenza, del lavoro e delle rappresentanze classiche. Marc Auge (2007) propone una lettura della nuova questione sociale organizzata intorno a tre parole chiave: stanzialità, mobilità e produzione culturale sostenendo che tutti e tre questi termini sono legati a nuove e inedite sollecitazioni Abita-re stabilmente in un luogo (stanzialità) sembra oggi un riferimento sempre più tenue per molte delle attività svolte nella vita quotidiana (mobilità), mentre anche l’accesso alle idee e alle immagini (mondo culturale) è sempre più aperto alle sollecitazioni esterne. Oggi le-ghiamo insieme il fatto che abitiamo in un certo posto, che ci spostiamo moltissimo, che utilizziamo codici culturali tratti da contesti locali, nazionali, globali. Allora come parlare di identità in un contesto con queste caratteristiche? L’identità ha perso in gran parte i suoi ancoraggi sociali e i suoi quadri di riferimento tradizionali (ad esempio il luogo dove si abita, la famiglia, il ceto e la classe sociale) che la facevano apparire e sentire naturale, predeterminata e non negoziabile. Siamo passati da una fase solida a una fase liquida della modernità: ciò comporta che gli individui contemporanei siano costantemente attenti e vi-gili, impieghino importanti quantità di risorse nella continua ricostruzione della loro identità (Bauman, 2002). La costruzione dell’identità ha quindi assunto la forma di un’inarrestabile sperimentazione, è un processo di costruzione, lungo, elaborato e mai fi nito. «L’identità è

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un grappolo di problemi piuttosto che una questione unica» dice Bauman (Vecchi, 2003), rimandando a un percorso, a qualche cosa che è necessario costruire o selezionare tra of-ferte alternative. Bauman per indicarne la frammentarietà e l’articolazione parla di «identi-tà puzzle», rispetto alla quale, però, l’individuo non ha nè un determinato numero di pezzi a priori, nè un’immagine conosciuta da comporre. E il quadro diventa ancora più complesso se, facendo riferimento all’identità, rimandiamo anche a memorie e percezioni, come ulteriori meccanismi di identifi cazione in un luogo.

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Bologna.

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5. Sito

L’operazione conclusiva di questa fase di ricerca prevede la realizzazione di un sito internet che presenti e riorganizzi i materiali fi no ad ora raccolti ed elaborati.Il sito è da intendersi anzitutto come strumento per raccontare diversamente questi stessi materiali ed aggiornarli progressivamente; ma soprattutto potrebbe rivelarsi un utile stru-mento di attivazione ulteriore, non direttamente dipendente dalla ricerca in corso, grazie all’eventuale predisposizione di una sua parte più aperta, aggiornabile anche con il contri-buto di persone al momento non coinvolte.

Una versione beta del sito, di cui presentiamo di seguito le schermate principali, è dispo-nibile all’indirizzo provvisorio:

http://www.ortianimati.com/wordpress/terracitta/

5.1. Struttura del sito pagina per pagina

Home pageIl sito si apre con una presentazione della ricerca e delle sue ipotesi.Sulla fascia destra un rimando diretto alla mappatura interattiva dei casi trattati e un elen-co degli ultimi aggiornamenti.

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AtlanteLa sezione Atlante presenta le mappe tematiche elaborate nel corso della ricerca. Per cia-scuna di esse è disponibile una visione ingrandita con un breve commento.

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MappaNella sezione Mappa si visualizza la mappa interattiva delle coltivazioni milanesi.A ciascun indicatore corrisponde uno dei casi esplorati, con la possibilità di aprire direttamente una breve scheda, che ripor-ta alcune informazione di base sull’espe-rienza presa in considerazione e rimanda per approfondimenti alla corrispondente scheda estesa della successiva sezione Storie.Un rimando diretto alla mappa interattiva è disponibile ad ogni pagina del sito nella fascia laterale destra.La semplice realizzazione con google maps fa di questa sezione una delle parti del sito potenzialmente apribili ad un contributo esterno.

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StorieLa sezione Storie raccoglie le schede dei casi visitati più da vicino.

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Rifl essioniLa sezione Rifl essioni contiene il rimando ad alcuni prodotti di ricerca più formalizzati, come il riferimento a pubblicazioni inerenti all’argomento trattato o argomenti di rifl essione te-matici.

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Autori

Nell’ambito di una ricerca di comune interesse ciascuno dei componenti del gruppo si è dedicato con maggiore attenzione all’approfondimento di una delle sue parti.

Il coordinamento generale del progetto di ricerca è stato condotto da Francesca Cognetti e Valeria Fedeli.

Serena conti ha curato la stesura fi nale del presente report.

Il capitolo 1 sulla mappatura e l’elaborazione delle rappresentazioni che include sono a cura di Daniele Lamanna.

Il capitolo 2 sulle storie di coltivazione urbana è stato curato da Serena Conti con alcune schede redatte da Daniele Lamanna.

Cristiana Mattioli ha curato il capitolo 3 sulle politiche pubbliche.

Il capitolo 4 relativo alle parole chiave è stato redatto da Francesca Cognetti e Se-rena Conti.

L’elaborazione in corso del sito internet presentato nel capitolo 5 è ad opera di Se-rena Conti.

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Fonti delle immagini

L’immagine di copertina è un elaborazione grafi ca di Serana Conti.

Tutte le mappe e gli schemi contenuti nel capitolo “mappatura” sono elaborazioni di Daniele Lamanna.

Le foto in apertura di ciascuna scheda di caso hanno le seguenti fonti:Boscoincittà:Un campo del Boscoincittà. Foto tratta dal sito del Centro di Forestazione Urbana http://www.sperimenti.com/cfu/.Cascina Cuccagna:Il complesso della Cascina Cuccagna. Foto tratta da http://www.cuccagna.org/.I Giardini del Sole:Una giornata di lavoro ne I giardini del Sole al Parco Trotter. Foto di Serena Conti.Il Giardino degli Aromi:Lavori nel Giardino degli Aromi. Foto tratta da http://ortodiffuso.noblogs.org/Movimento italiano Guerrilla Gardening:Elaborazione di un’immagine tratta dal manifesto del movimento Guerrilla Garde-ning italiano.Orti di via Cardinal Tosi:Un angolo degli orti di via Tosi. Foto di Daniele Lamanna.Orti di via Chiodi:Uno degli orti di via Chiodi. Foto tratta da http://www.mio-bio.it/.Orti Missaglia:Uno scorcio degli Orti Missaglia. Foto tratta da http://www.milanogreen.com/.Ortinconca:Uno dei terrazzi coltivati del progetto Ortinconca. Foto tratta da http://milano.cor-riere.it/.Ortodiffuso / Libere Rape Metropolitane:Elaborazione del logo delle Libere Rape Metropolitane. Immagine originaria tratta da http://www.perterra.org/.Piano Terra:L’orto di quartiere di Piano Terra. Foto tratta da http://piano-terra.org/.

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Allegati

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