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1 AIA, Cementifici e impatti ambientali lunedì 28 giugno 2010 di Erasmo Venosi Le AIA di competenza delle regioni ammontano a circa 7500! Cementifici, inceneritori, discariche e altre attività devono possedere l’AIA. I cementifici consistono in impianti che generano un considerevole impatto sull’ambiente. Il combustibile utilizzato è rappresentato da carbone, coke, olio combustibile, lignite, gas e rifiuti come gli oli esausti, i solventi organici, le pitture, le vernici, CDR, le plastiche, le resine non clorurate, i pneumatici, le farine animali (rapporto Cembureau). In Italia, ci sono 64 cementifici e 29 centri di macinazione (Europa : 252 cementifici e 68 centri di macinazione). I tipi di processi utilizzati sono per l’85% a via secca e la rimanenza a via semisecca e semiumida. Il Veneto è al primo posto in Italia, con sei impianti a ciclo completo e 5 di sola macinazione. L’industria del cemento è a elevati consumi energetici. La parte più importante del processo per quanto riguarda le emissioni è la cottura: la “farina cruda” viene messa nel forno rotante e sottoposta a essiccazione,preriscaldamento,calcinazione e sinterizzazione per produrre il clinker . Le emissioni di maggior rilievo riguardano gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo e le polveri. L’abbattimento delle polveri è perseguito da almeno cinquanta anni, quello del SO2 (biossido di zolfo) è una questione specifica di ogni singolo impianto, inoltre l’abbattimento dei NOx (ossidi di azoto come monossido, protossido) rappresenta un grande problema. Le polveri aerodisperse rappresentano l’incidenza fondamentale, e sono da considerare connesse al processo, poiché sia le materie prime, movimentate e sottoposte a fasi di frantumazione e macinazione, sia il cemento prodotto si presentano prevalentemente sotto forma di polveri fini e finissime. Altri inquinanti da considerare: CO (monossido di carbonio), COV (composti organici volatili) , HF (acido fluoridrico), HCl (acido cloridrico), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), metalli come mercurio e cadmio (Hg, Cd). L’eventuale immissione di sostanze organiche contenenti cloro può causare la formazione di diossine e furani (PCDD e PCDF: i fattori di

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AIA, Cementifici e impatti ambientali lunedì 28 giugno 2010 di Erasmo Venosi

Le AIA di competenza delle regioni ammontano a circa 7500!

Cementifici, inceneritori, discariche e altre attività devono possedere l’AIA. I cementifici consistono in impianti che generano un considerevole impatto sull’ambiente. Il combustibile utilizzato è rappresentato da carbone, coke, olio combustibile, lignite, gas e rifiuti come gli oli esausti, i solventi organici, le pitture, le vernici, CDR, le plastiche, le resine non clorurate, i pneumatici, le farine animali (rapporto Cembureau). In Italia, ci sono 64 cementifici e 29 centri di macinazione (Europa : 252 cementifici e 68 centri di macinazione). I tipi di processi utilizzati sono per l’85% a via secca e la rimanenza a via semisecca e semiumida. Il Veneto è al primo posto in Italia, con sei impianti a ciclo completo e 5 di sola macinazione. L’industria del cemento è a elevati consumi energetici. La parte più importante del processo per quanto riguarda le emissioni è la cottura: la “farina cruda” viene messa nel forno rotante e sottoposta a essiccazione,preriscaldamento,calcinazione e sinterizzazione per produrre il clinker . Le emissioni di maggior rilievo riguardano gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo e le polveri. L’abbattimento delle polveri è perseguito da almeno cinquanta anni, quello del SO2 (biossido di zolfo) è una questione specifica di ogni singolo impianto, inoltre l’abbattimento dei NOx (ossidi di azoto come monossido, protossido) rappresenta un grande problema. Le polveri aerodisperse rappresentano l’incidenza fondamentale, e sono da considerare connesse al processo, poiché sia le materie prime, movimentate e sottoposte a fasi di frantumazione e macinazione, sia il cemento prodotto si presentano prevalentemente sotto forma di polveri fini e finissime. Altri inquinanti da considerare: CO (monossido di carbonio), COV (composti organici volatili) , HF (acido fluoridrico), HCl (acido cloridrico), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), metalli come mercurio e cadmio (Hg, Cd). L’eventuale immissione di sostanze organiche contenenti cloro può causare la formazione di diossine e furani (PCDD e PCDF: i fattori di

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emissione per i cementifici variano tra un minimo di 0,001 microgrammi per tonnellata di cemento prodotto a uno medio di 0,15) all’interno o a valle del preriscaldatore. Le risultanze analitiche indicano che i forni di cottura clinker rispettano la concentrazione limite (10.000 miliardesimi di grammo di tossicità equivalente per un metro cubo normalizzato di gas). Da segnalare, inoltre, l’emissione di composti ammoniacali derivante dalla

qualità delle materie prime utilizzate. Altre potenziali fonti inquinanti sono date dai rifiuti, dai rumori e dagli odori. Molti cementifici hanno abbattuto le emissioni attraverso l’uso di moderni sistemi gravimetrici di alimentazione dei combustibili solidi, l’installazione di

raffreddatori ottimizzati, e di sistemi esperti per la gestione dell’energia elettrica. Il problema che, però, nessun legislatore degli ultimi 20 anni ha

risolto, risiede nella normativa! Gli impatti dipendono dalle quantità d’inquinanti emessi in un arco temporale, soprattutto se si pensa a inquinanti persistenti (metalli, diossine). In sostanza per valutare l’impatto si deve moltiplicare la concentrazione dell’inquinante per la portata. Un cementificio può anche superare abbondantemente i 130.000 metri cubi/ora di gas per forno. Comodo affermare che si rispettano le concentrazioni, omettendo di considerare la quantità d’inquinanti scaricati. Il confronto con un inceneritore può rendere meglio l’idea. Il limite dell’inceneritore di Brescia per SOx è pari a 150 mg/mc, per quello di Bolzano 50 mentre per il cementificio di Monselice 600 mg/mc; riguardo ai NOx:200 per l’inceneritore di Brescia, 70 per Bolzano e 1800 il cementificio; per le Polveri: a Brescia 10 mg/mc e il cementificio Monselice 30. Calcolando i flussi di massa, cioè moltiplicando la concentrazione per la portata, possiamo “pesare” le differenze dell’inquinamento prodotto. Le portate di un cementificio sono molto più elevate di quelle di un inceneritore, con un conseguente superiore inquinamento. I cementifici hanno notevoli criticità ambientali, poiché caratterizzati da imponenti flussi di massa, e non a caso sono classificati come industrie insalubri di prima classe. L’ulteriore, estrema importanza dell’AIA risiede in due importantissime questioni, che sembrerebbero formali tecnicismi, ma che costituiscono elementi

centrali per la riduzione dell’inquinamento: i cosiddetti “transitori” e il “piano di monitoraggio e controllo”.

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I “transitori” sono momenti “anomali” di funzionamento come ad esempio una

cattiva combustione evidenziata dall’aumento della concentrazione di monossido di carbonio, oppure il momento dell’avvio e della fermata

dell’impianto. Non casualmente, nelle autorizzazioni alle emissioni si legge la

prescrizione: “L’azienda dovrà comunicare al Comune il calendario delle fermate programmate dei forni e informare lo stesso dei motivi delle fermate

non programmate e della durata prevista, al fine di permettere agli uffici comunali di avvisare adeguatamente la popolazione”. Una cattiva combustione,

per eccesso di concentrazione di monossido di carbonio, significa pertanto temperature nettamente inferiori ai “mitici” 1400 C, che sono “onore e vanto”

dei cementifici. In tali momenti anomali (transitori) non esistono limiti per le emissioni che invece valgono per il normale funzionamento. Nell’AIA, invece,

tra le prescrizioni s’inseriscono i limiti per le emissioni fuggitive, i malfunzionamenti e l’arresto dell’impianto (comma 7 art 7 dlgs 59/2005). Il Piano di Monitoraggio e Controllo costituisce la verifica della conformità di un impianto a un paradigma normativo predeterminato. La pianificazione dell’azione di controllo consente la verifica della conformità ai valori che caratterizzano la prestazione ambientale dell’impianto, e alle condizioni che saranno stabilite nell’AIA. La definizione dello scopo del monitoraggio, la definizione dell’intensità e della frequenza del monitoraggio, correlata al rischio ambientale, e l’ottimizzazione della scelta dei parametri consentono di controllare l’impatto ambientale dell’attività produttiva, comportano l’attenzione a tutta la catena di produzione dei dati e la codifica delle azioni di reporting. Il registro INES (Inventario Nazionale delle Emissioni Inquinanti e loro Sorgenti creato a seguito adempimento art 15 direttiva IPPC) consente o meglio dovrebbe consentire l’accesso ai cittadini alle informazioni e al procedimento autorizzatorio.I dati di INES vanno convalidati da ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) . I dati dell’ultimo anno non sono stati possibile averli considerato che Ispra non ha convalidato ancora i dati del nuovo registro E-PTR (European Pollution Release and Transfer Register, a causa dell’evidente azione di “smobilitazione” in cui versa l’Istituto. Il Piano di Risanamento e Tutela dell’Aria e quello delle Acque (competenza

regionale) tengono conto delle caratteristiche complessive della Regione (regime dei venti, inversione termica, concentrazione del manifatturiero, aree

da tutelare, inquinamento complessivo etc), delle prescrizioni del Sindaco (comma 11 art 5 Dlgs 59/2005) e dell’AIA, che ha anche la finalità di

differenziare i limiti rispetto all’inquinamento del territorio, e alla voglia della Regione di “produrre”qualità urbana. Connessa al problema cementificio è, inoltre, la regolamentazione delle attività di cava, dalle quali ogni anno si estraggono tra inerti, sabbia e ghiaia, circa 142

milioni di metri cubi. I primi posti spettano a Puglia, Lombardia e Lazio che

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estraggono la metà del totale. Le Regioni ricavano poco più di 55 milioni di

euro dai canoni di concessione, il che è sorprendentemente ridicolo rispetto ai poco meno due miliardi di euro affluiti nelle tasche dei cavatori dalla vendita. Un caso eclatante è quello della Puglia da dove si estraggono circa 25 milioni di tonnellate, con introiti per i cavatori di oltre 300 milioni di euro e nulla è versato al territorio! Siamo convinti delle ragioni dell’ambientalismo, a dispetto delle sue numerosi vestali, e della possibilità di coniugare le ragioni della tutela dei beni ambientali con uno sviluppo economico rispettoso delle vocazioni dei territori. http://www.agoramagazine.it/agora/AIA-Cementifici-e-impatti ITALCEMENTI AZIENDA INSALUBRE Testo unico delle leggi sanitarie decreto 27 luglio 1934, n. 1265

Articolo 216 Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi. La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato. Questo elenco, compilato dal consiglio superiore di sanità, è approvato dal Ministro per l'interno , sentito il Ministro per le corporazioni , e serve di norma per l'esecuzione delle presenti disposizioni. Le stesse norme stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta insalubre. Una industria o manifattura la quale sia inscritta nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato. Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al podestà , il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da lire 40.000 a lire 400.000 . Ministro della sanità. Ministro del lavoro e previdenza sociale. Ora, Sindaco. La sanzione

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originaria dell'ammenda è stata depenalizzata dall'art. 32, l. 24 novembre 1981, n. 689. L'importo della sanzione è stato così elevato dall'art. 114, primo comma, della citata l. 24 novembre 1981, n. 689.

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 27 settembre 2012, n. 811

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Associazioni locali – Legittimazione ad impugnare atti incidenti sull’ambiente – Riconoscimento caso per caso – Presupposti - VIA, VAS E AIA – VAS e VIA – Differenze – Differimento della VAS alla fase programmatoria attuativa – Illegittimità – BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Piano paesistico - Assoggettabilità a VAS – Esclusione – Piano paesaggistico – Rapporto con gli atti di pianificazione ad incidenza territoriale – Assenza di contenuti urbanistici – Impatti sull’ambiente – Incofigurabilità – Assoggettabilità a VAS – Esclusione – Piano paesaggistico – Adozione – Regione siciliana – Competenza – Individuazione - Art. 144 d.lgs. n. 42/2004 – Regione siciliana – Procedimento di pianificazione – Disciplina regionale – Partecipazione, informazione e comunicazione. (SI ringraziano gli avv.ti avv. Nicola Giudice e Alessandra Mari per la segnalazione)

Argomento: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime

Autorità: C. G. A.

Categoria: Beni culturali ed ambientali Legittimazione processuale VIA VAS AIA

Provvedimento: Sentenza Numero: 811 Regione: Sicilia Data deposito: 27/09/2012 Data emissione: 07/03/2012 Presidente: Turco Estensore: Russo Titolo completo: CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 27 settembre 2012, n. 811

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 27 settembre 2012, n. 811

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Associazioni locali – Legittimazione ad impugnare atti incidenti sull’ambiente – Riconoscimento caso per caso – Presupposti.

Il giudice può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (arg. ex Cons. St., VI, 23 maggio 2011 n. 3107; cfr. pure id., V, 22 marzo 2012 n. 1640, per le associazioni non riconosciute e sui criteri che esse devono simultaneamente soddisfare per vedersi riconosciuta la legittimazione).

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani)

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VIA, VAS E AIA – VAS e VIA – Differenze – Differimento della VAS alla fase programmatoria attuativa – Illegittimità.

La VAS, nella sua definizione posta dalla dir. n. 42/2001/CE, è volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi. Tanto al fine d’anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata, come avviene per la VIA, sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa (cfr. la deliberazione della Giunta regionale siciliana 10 giugno 2009 n. 200 che, in applicazione dell’art. 59, c. 1 della l. reg. Sic. 14 maggio 2009 n. 6, fissa il

modello metodologico procedurale per la VAS di piani e programmi nella Regione siciliana, replicando tal quale l’art. 6 del Dlg 152/2006). La VAS, a differenza della VIA che interviene per progetti singoli e puntiformi, ai sensi dell’art. 4, c. 3, II per. del Dlg

152/2006 attiene invece al momento programmatorio. Sicché la sua eventuale mancanza o il differimento dell’accertamento di

compatibilità solo alla fase attuativa toglierebbero al soggetto programmatore la possibilità in concreto di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile (art. 4, c. 4, lett. a), le modalità di utilizzazione del territorio.

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani) VIA, VAS E AIA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Piano paesistico - Assoggettabilità a VAS – Esclusione.

Il piano paesistico, pur senza dubbio essendo uno strumento di programmazione, non soggiace a VAS, non perché sia, o non, fuori dal campo di applicazione della relativa disciplina, ma solo perché esso fissa il parametro di validità e di validazione di tutti i piani e programmi che devono esser sottoposti alla VAS stessa, essendo a loro volta obbligati dalla legge a proporre soluzioni di sviluppo sostenibile a salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio culturale.

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani) BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Piano paesaggistico – Rapporto con gli atti di pianificazione ad incidenza territoriale.

Ai fini della tutela essenziale di tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici prevalgono sul quelle contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale, previsti dalle normative di settore, compresi quelli degli enti gestori di aree protette. Le norme di piano non sono pertanto soltanto il metro per la valutazione e per la conformazione dei piani e programmi di governo del territorio e delle relative attività d’esecuzione, come ben evincesi, d’altro canto dagli artt. 146 e ss. del Dlg 42/2004, sulla vigilanza

ed i controlli per le vicende inerenti ai beni culturali e del paesaggio. Esse costituiscono altresì, perché lo dice l’art. 143, c. 1, lett. g) e h), il metodo per l’individuazione sia degli interventi (di competenza operativa comunque altrui) di recupero e riqualificazione delle aree compromesse o degradate, sia delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio per lo sviluppo sostenibile delle aree coinvolte. Pertanto, le norme di piano di per sé sole non servono, quand'anche abbiano contenuti ulteriori a quelli minimi posti dall’art. 143, c. 1, a porre regole esecutive dirette di gestione territoriale.

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani) VIA, VAS E AIA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Piano paesistico – Assenza di contenuti urbanistici – Impatti sull’ambiente – Incofigurabilità – Assoggettabilità a VAS – Esclusione.

Il tipo di prescrizione proprio di un piano paesistico è assai differente dal contenuto d’ uno strumento urbanistico, essendo volto non già al dimensionamento dei nuovi interventi, quanto alla valutazione ex ante della loro tipologia ed incidenza qualitativa. Sicchè, un piano privo di contenuti urbanistici non è assoggettato a VAS, perché non determina alcun impatto sull’ ambiente (anzi, lo protegge).

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani)

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BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Piano paesaggistico – Adozione – Regione siciliana – Competenza – Individuazione.

La competenza ad adottare il piano paesaggistico, nella regione Siciliana, è dell'Assessore del ramo, chiarissimo essendo sul punto l’art. 2 della l. reg. Sic. 15 maggio 2000 n. 10, il quale lascia sì ai dirigenti l’emanazione dei provvedimenti ad efficacia verso terzi,

ma non anche degli atti generali ed a contenuto pianificatorio.

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani) BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Piano paesaggistico Art. 144 d.lgs. n. 42/2004 – Regione siciliana – Procedimento di pianificazione – Disciplina regionale – Partecipazione, informazione e comunicazione.

La Regione siciliana non ha tuttora disciplinato, come prescrive l’art. 144, c. 1, del Dlg 42/2004, mediante apposite norme di legge i procedimenti di pianificazione paesaggistica, se del caso anche con forme ulteriori di partecipazione, informazione e comunicazione. Pertanto, restano tuttora in vigore le norme ex artt. 23 e 24 del citato RD 1357/1940 come specificamente impone l’art. 158 del Dlg

42/2004, integrate, ai fini partecipativi, dalle norme generali della l. 7 agosto 1990 n. 241. Siffatta partecipazione, con la relativa pubblicità, in assenza del definitivo recepimento in Sicilia del citato art. 144, s’invera nelle forme ordinarie del RD 1357/1940 e della l. 241/1990 e senza che ciò trasmuti in qualsivoglia forma di codecisione con i soggetti coinvolti, nei limiti posti dalla stessa Regione con il decreto assessorile n. 5820 dell’8 maggio 2002. Il criterio di sufficienza della partecipazione va quindi valutato in con-creto, ossia in relazione sia alla concertazione istituzionale di cui all’art. 5, c. 5 del D.A. 5820/2002, sia alle occasioni effettive in cui i soggetti medesimi abbiano potuto manifestare il proprio avviso alla P.A. procedente.

(Riforma TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011) - Pres. Turco, Est. Russo – Legambiente comitato regionale ONLUS (avv.ti Giudice e Giuliani) c. Comune di Ragusa (avv. Frediani)

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 27 settembre 2012, n. 811

N. 811/12 Reg.Sent. NN. 1154

1206 Reg.Ric. ANNO 2011

N. 84 Reg.Ric. ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

SENTENZA SUI RICORSI RIUNITI IN APPELLO

n. 1154/2011, proposto dall’Associazione LEGAMBIENTE - Comitato regionale ONLUS, con sede in Palermo, in persona del legale rappre-sentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Corrado V. Giuliano e Nicola Giudice ed elettivamente domiciliata in Pa-lermo, via M. D’Azeglio n. 27/c; n. 1206/2011, proposto dall’ASSESSORATO REGIONALE DEI BENI CULTURALI E

DELL’IDENTITÀ SICILIANA, in persona del sig. Assessore pro tempore e dalla SOPRINTENDENZA AI BB. CC. AA. per la provincia di Ragusa, in persona del Soprindente pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria; e n. 84/ 2012, proposto dall’Associazione nazionale Italia Nostra – ONLUS, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Corrado V. Giuliano e Nicola Giudice, come sopra elettivamente domiciliata in Palermo,

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c o n t r o

- il COMUNE DI RAGUSA, in persona del sig. Sindaco pro tempore, appellato, rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Frediani ed eletti-vamente domiciliato in Palermo, via E. Amari n. 76, presso lo studio dell’avv. Gullo

e n e i c o n f r o n t i

- della PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA, in persona del Pre-sidente pro tempore, interventrice ad opponendum, rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Mezzasalma ed elettivamente domiciliata in Palermo, presso la Segreteria di questo Consiglio, - del COMUNE DI COMISO, in persona del sig. Sindaco pro tempore, interventore ad opponendum, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Distefano ed Alessandra Leonardi ed elettivamente domici-liato in Palermo, piazzale Ungheria n. 84, presso lo studio dell’avv. Gambino, - del COMUNE DI GIARRATANA, del COMUNE DI SCICLI, del COMUNE DI POZZALLO, del COMUNE DI MODICA e del CO-MUNE DI CHIARAMONTE GULFI, in persona dei rispettivi sigg. Sindaci pro tempore, non costituiti nel presente giudizio e - del Circolo Il Carrubo Legambiente Ragusa, dell’Associazione na-zionale Italia Nostra – ONLUS, del Movimento di tutela Terre d'O-riente – ONLUS e dell’Associazione Circolo Legambiente Il Melo-grano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti nel presente giudizio;

per la riforma

della sentenza del TAR Sicilia - Catania (sez. I) n. 2146 del 2011, resa tra le parti;

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune appellato e gli atti d’intervento meglio indicati in premessa Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 7 marzo 2012 il Cons. dott. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Giudice, Frediani (anche per delega dell’avv. Leonardi) e Mezzasalma e l'Avvocato dello Stato Tutino; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O E D I R I T T O

1. – Con decreto n. 1767 del 10 agosto 2010, l’Assessore regiona-le dei bb.cc. e dell’identità siciliana ha approvato la proposta di pia-no paesaggistico per il territorio provinciale di Ragusa, relativamente agli ambiti nn. 15), 16) e 17) della Regione siciliana. Al riguardo e curata la pubblicazione della proposta di piano presso l’albo pretorio di tutti i Comuni coinvolti, è stato previsto un termine di tre mesi per la presentazione, alla competente Soprintendenza ai bb.cc.aa. o all’Assessorato regionale dei bb.cc., di

osservazioni al relativo contenuto. L’art. 9 delle NTA del piano ha stabilito altresì che, a decorrere dalla pubblicazione di esso, «…

non sono consentiti per gli immobili o nelle aree degli Ambiti 15, 16 e 17 ricadenti nella provincia di Ragusa definiti dall'art. 134 del Codice interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela per essi previsti nel Piano stesso…».

2. – Avverso il piano è allora insorto innanzi al TAR Catania, con il ricorso n. 2701/2011, il Comune di Ragusa, ritenendo il relativo contenuto già immediatamente lesivo a causa del vincolo apposto su una rilevante parte del territorio comunale. Al riguardo, il Comune ricorrente ha dedotto in punto di diritto sette articolati mezzi d'impugnazione e, in particolare, quello della violazione degli artt. 11 e 21 del Dlg 3 aprile 2006 n. 152, giacché il piano paesistico adottato non fu preceduto dalla valutazione ambientale strategica–VAS di cui alla dir. n. 2001/ 42/CE del 27 giugno 2001.

L’adito TAR, con la sentenza n. 2146 del 1° settembre 2011, ha accolto la pretesa attorea, appunto sotto il profilo dell’omessa VAS sul piano impugnato, che non è ne escluso ai sensi dell’art. 6, c. 4 del Dlg 152/2006.

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Il TAR afferma al riguardo che la VAS, essendo uno strumento di tutela dell’ambiente, va svolta per legge ogni qual volta i piani abbiano impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale. Né impatto significativo è solo quello caratterizzato da connotazioni negative, in termini di alterazioni delle valenze ambientali, ma è quello indicato nell’art. 5, c. 1, lett. c), laddove definisce «impatto ambientale» ogni «…alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, POSITIVA e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici…».

3. – Appella allora (ricorso n. 1154/2011) in primo luogo l'Asso-ciazione LEGAMBIENTE - Comitato regionale ONLUS, con sede in Palermo.

Il Sodalizio appellante deduce anzitutto l’erronea interpretazione resa dal TAR sulla necessità della VAS per un piano, qual è quello in esame, di per sé preordinato alla tutela paesaggistico – ambientale e privo di un’effettiva incidenza urbanistica perché meramente

dichiarativo e riassuntivo di vincoli già vigenti ed efficaci. Tanto a differenza di quanto è invece previsto per quelli di cui all’art. 6, c.

2, lett. a) del Dlg 152/2006 (quando, cioè, essi siano preordinati a progetti obbligatoriamente soggetti a VIA statale o regionale), o di cui alla successiva lett. b) (quando possano avere impatti sulle finalità di conservazione di zone di protezione speciale per la fauna avicola selvatica o di siti classificati d’importanza comunitaria). L’appellante si duole altresì della violazione dell’art. 11 del Dlg

152/2006, laddove il TAR annulla detto piano che è ancora soltanto adottato ed il cui procedimento approvativo non è concluso, mentre la norma impone la VAS entro la conclusione definitiva dei piani cui essa si applica. L’appellante, che contesta la sentenza

per il riferimento all’art. 14 del Dlg 152/2006 —a suo dire superfluo, trattandosi d’un piano che non soggiace a VAS—, segnala la necessità d’un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE in or-dine al significato di «impatto qualificato» che la sentenza propugna anche per gli effetti positivi sull’ambiente promananti dal piano, al fi- ne di dirimere ogni contrasto interpretativo sul disposto dell’art. 5, c. 1, lett. c) del Dlg 152/2006 o di questo con la dir. n. 2001/42/CE.

Appellano inoltre (ricorso n. 1206/2011), con il patrocinio ex lege dell’Avvocatura erariale, le Amministrazioni emananti e

soccombenti in primo grado, che contestano la sentenza impugnata anzitutto per non aver dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per difetto dell’interesse azionato dal Comune sotto vari profili e, nel merito, per l’assenza dei presupposti in ordine all’assoggettabilità a VAS del piano de quo.

Appella infine (ricorso n. 84/2012) l’Associazione nazionale Ita-lia Nostra – ONLUS, con sede in Roma, che deduce l’erroneità della

sentenza appellata sotto il profilo della non soggezione del piano impugnato alla procedura di VAS. S’è costituito in giudizio l’appellato Comune di Ragusa, eccepen-do: A) – l’inammissibilità del ricorso n. 1154/2011, per difetto di

legittimazione del Sodalizio appellante, poiché esso è una mera articolazione territoriale di un’associazione nazionale, quella sì legittimata ai sensi dell’art. 18 della l. 8 luglio 1986 n. 349); B) – la piena sussistenza del proprio interesse all’impugnazione di primo

grado, avendo agito per la salvaguardia dell’integrità del suo territorio e delle relative potestà di governo e gestione; C) – nel merito, l’infondatezza di tutt’e tre gli appelli in esame. Il Comune appellato ripropone pure i cinque motivi del ricorso di primo grado dichiarati assorbiti dal TAR.

Interviene ad opponendum la Provincia regionale di Ragusa, che conclude per l’inammissibilità degli appelli in epigrafe per carenza d’ interesse (essendo intervenute altre sentenze del TAR Catania sul medesimo piano, ancorché su ricorsi proposti da altri soggetti, pubblici e privati), per l’assenza di contraddittorio integro nel presente giudizio e, nel merito, per l’infondatezza degli appelli stessi.

Anche il Comune di Comiso (RG) s’è costituito in giudizio per opporsi all’appello delle Amministrazioni regionali (ricorso n. 1206/2011), concludendo per il rigetto di questo.

Alla pubblica udienza del 7 marzo 2012, su conforme richiesta delle parti costituite, i tre appelli in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.

4.1. – Ai sensi dell’art. 96, c. 1, c.p.a., i tre appelli in epigrafe, es-sendo stati proposti tutti avverso la medesima sentenza del TAR Catania n. 1246/2011, vanno riuniti e qui contestualmente decisi.

4.2. – Va poi respinta l’eccezione di difetto di legittimazione atti-va, relativamente al ricorso n. 1154/2011, riscontrata in capo all’Associazione LEGAMBIENTE - Comitato regionale ONLUS per-ché essa è l'articolazione territoriale d’un sodalizio nazionale, quello sì legittimato ai sensi degli artt. 13 e 18 della l. 349/1986.

Al riguardo, non sfugge certo al Collegio l'avviso della prevalente giurisprudenza sullo specifico punto (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 16 giugno 2011 n. 3662), in virtù della quale siffatta speciale legittima-zione processuale ex lege va intesa come rigorosamente

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circoscritta alle sole associazioni riconosciute ai sensi dell'art. 13 della l. 349/ 1986. In tal senso, non sarebbe possibile attribuire una legittimazione de facto a qualsiasi soggetto collettivo, ancorché dimostrasse di possedere determinati requisiti in termini di radicamento sul territorio.

Non v’è dubbio che detta legittimazione discenda dall'intervento del legislatore, preordinato appunto a colmare il deficit di tutela degli interessi diffusi grazie al riconoscimemento che il citato art. 13 opera in capo alle associazioni medesime. V’è, però, spazio ad un diverso approccio a tal questione: invero, tal speciale legittimazione non può essere estesa sic et simpliciter anche a soggetti estranei al regime di cui al medesimo art. 13, ma essa non esclude di per sé sola altri tipi di legittimazione ad agire in ambito territoriale ben circoscritto. E ciò soprattutto a favore di meri comitati spontanei che si costituiscano al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio, oppure di quelle articolazioni territoriali di sodalizi nazionali che svolgano in ambito locale tali compiti. Altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all'ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso d’inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge.

Questo Giudice ha quindi titolo per riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (arg. ex Cons. St., VI, 23 maggio 2011 n. 3107; cfr. pure id., V, 22 marzo 2012 n. 1640, per le associazioni non riconosciute e sui criteri che esse devono simultaneamente soddisfare per vedersi riconosciuta la legittimazione).

La serena lettura della documentazione depositata dal Sodalizio appellante in data 19 gennaio 2012 permette al Collegio di verificare come esso possieda i requisiti in parola, ossia: a) – il perseguimento della tutela ambientale in modo non occasionale e per espressa previsione dello statuto; b) – il godimento d’un adeguato grado di rappresentatività e stabilità nell’area ricollegabile alla zona in cui si

trova il bene ambientale che si presume leso. In particolare, il Sodalizio ha una capacità operativa statutaria sufficientemente stabilizzata nel territorio siciliano; persegue stabilmente i fini di tutela ambientale in via d'azione ai sensi dell’art. 2, VIII per. dello statuto sociale; effettua studi e ricerche sui reperti d’arte e di cultura, nonché su molteplici aspetti della natura in Sicilia. È appena da

soggiungere che, per prevalente giurisprudenza, se già la legittimazione speciale ex art. 18 della l. 349/1986 non è limitata ai soli aspetti di tutela del danno ambientale, a più forte ragione quella generale a garanzia degli interessi diffusi, di cui testé il Collegio si sta occupando, non sconta limitazioni di sorta.

4.3. – Neppure convince l’eccezione d’inammissibilità dei ricorsi in epigrafe, sollevata dalla Provincia interventrice perché pendono alquanti appelli avverso altre statuizioni del TAR Catania sul medesimo piano paesistico. Tali cause, in particolare, proprio quelle indicate dall'interventrice e per vero proposte da altri soggetti, anche privati e su altri aspetti di tale piano, sono stati chiamati e discussi all’odierna udienza pubblica, onde sul punto nulla quaestio.

Del pari, non si procede all'invocata (dalla medesima Provincia) integrazione del contraddittorio processuale, perché questo è già completo per ciò che attiene al presente giudizio, mentre i soggetti indicati da tale P.A. sono parti nelle altre cause chiamate all’odierna udienza pubblica, sicché è superflua la loro presenza in questa sede.

5. – Nel merito, gli appelli in epigrafe sono fondati e vanno accol-ti, con contestuale rigetto delle domande del Comune appellato assorbite dal TAR e qui riproposte ai sensi dell’art. 101, c. 2, c.p.a.

6.1. – Oggetto del contendere è in primo luogo la necessità ex lege, o meno (per gli appellanti), di sottoporre a VAS il piano paesistico per cui è causa.

Per il TAR, invero, esso è un piano che, non essendo indicato tra quelli che l’art. 6, c. 4 del Dlg 152/2006 espressamente esclude, è certo «… preordinato a dettare un quadro conoscitivo e una normativa di riferimento, eminentemente conservativa dei valori paesaggistici…». Tuttavia, esso serve anche alla «… rivisitazione critica del rapporto tra pianificazione paesistica e governo del territorio…», onde riguarda la pianificazione territoriale ed incide sull’ambiente. Esso, quindi, rientra nelle definizioni ex art. 6, c. 1

del Dlg 152/2006 ed art. 3, § 2, lett. a) della dir. n. 2001/42/CE e, come tale, non può presindere dalla previa VAS secondo quanto così impongono il considerato n. 14) e l’ art. 4, § 1 della direttiva, a pena di svuotarne di senso lo scopo. Ora, non dura fatica il Collegio ad intendere la VAS, nella sua de-finizione posta dalla dir. n. 42/2001/CE, come volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano consi-derati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi. Tanto al fine d’anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata, come avviene per la VIA, sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa. In senso simile s'esprime la deliberazione della Giunta regionale siciliana 10 giugno 2009 n. 200 che, in applicazione

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dell’art. 59, c. 1 della l. reg. Sic. 14 maggio 2009 n. 6, fissa il modello metodologico procedurale per la VAS di piani e programmi nella Regione siciliana, all’uopo replicando tal quale l’art. 6 del Dlg 152/2006.

La VAS, a differenza della VIA che interviene per progetti singoli e puntiformi, ai sensi dell’art. 4, c. 3, II per. del Dlg 152/2006

attiene invece al momento programmatorio, p. es., del territorio. Sicché la sua eventuale mancanza o il differimento dell’accertamento di compatibilità solo alla fase attuativa toglierebbero al soggetto pro-grammatore la possibilità in concreto di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile (art. 4, c. 4, lett. a), le modalità di utilizzazione (tanto per restare nel predetto esempio) del territorio. Reputa nondimeno il Collegio che la sentenza appellata muova da un fraintendimento di fondo proprio sul senso delle norme regolatrici della VAS, applicata al piano paesistico de quo, più che sulla funzione di essa, come testé brevemente descritta.

6.2. – In particolare —e già solo a volersi soffermare sul solo da-to testuale—, l’art. 6, c. 1 del Dlg 152/2006 stabilisce che la VAS

«… riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale…». Quest’ultimo va inteso, in base alla specifica regola di cui al pre-cedente art. 5, c. 1, lett. d), come «…l'insieme costituito dai beni

cul-turali e dai beni paesaggistici in conformità al disposto di cui all'articolo 2, comma 1…» del Dlg 22 gennaio 2004 n. 42. Detta

disposizione indica che il patrimonio de quo è costituito, oltre che dai beni culturali propriamente detti, anche dai beni paesaggistici, ossia dagli «… immobili e le aree indicati all'articolo 134, costi-tuenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio…», ossia gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico ex art. 136 e le aree protette ex lege di cui al successivo art. 142.

Dal canto suo, il combinato disposto degli artt. 135 e 143 del me-desimo decreto n. 42, fissa le regole ed il contenuto essenziale dei piani paesistici e, in particolare, la ricognizione del territorio oggetto di pianificazione (mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse da natura, storia e loro interrelazioni) e degli immobili ed aree di notevole interesse pubblico e delle aree protette. In particolare, l’art. 135, c. 1 fa riferimento alla necessità d’assicurare che «… tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono…». La

norma esprime una complessiva esigenza di conoscenza e di articolate modalità di gestione del territorio nella sua ineludibile correlazione con il paesaggio (arg. ex Cons. St., VI, 30 dicembre 2001 n. 7004).

Essa, però, non comporta necessariamente l'assoggettamento a re-gime vincolistico di tutto il territorio, come risulta chiaramente dal-l'art. 143. In virtù di quest’ultimo, la ricognizione del territorio è il presupposto per gli interventi differenziati, per aree e modalità d’azione amministrativa, inclusa la disciplina atta ad assicurare altresì lo sviluppo sostenibile delle aree interessate mercè la trasformazione del territorio stesso. L’art. 143 quindi disciplina, quale metodo della tutela, l’analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio per individuarne i fattori di rischio e gli elementi di vulnerabilità del paesaggio, l'individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione di aree molto compromesse o degradate e di quelli di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela e altresì l'individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, per appunto realizzare uno sviluppo sostenibile. Finalità del piano è quindi indicare l’insieme coordinato dei parametri di tutela e salvaguardia dei valori paesistico-ambientali delle zone d’interesse paesaggistico, conformando a

sé tutti gli usi, pianificati e/o programmati, quell’uso del territorio che intercetti beni o contesti sensibili. La norma, in ultima analisi, impone usi coerenti con lo sviluppo sostenibile che, come si vede, è lo stesso scopo cui risponde la VAS ai sensi del combinato disposto dell’art. 1 della dir. n. 2001/42/CE e del citato art. 6, c. 1 del Dlg 152/2006. E ciò a maggior ragione se si tien presente che, in virtù del richiamo del considerato n. 10) e dell’art. 3, § 2 della direttiva alle regole della dir. n. 85/337/CEE

(applicabile ratione temporis alla vicenda in esame) in tema d’impatto ambientale, a questi ultimi fini pure il patrimonio culturale è oggetto di tutela diretta, ai fini VIA, dalla normativa comunitaria.

Da ciò discende che il piano paesistico, pur senza dubbio essendo uno strumento di programmazione, non soggiace a VAS, non perché sia, o non, fuori dal campo di applicazione della relativa disciplina, ma solo perché esso fissa il parametro di validità e di validazione di tutti i piani e programmi che devono esser sottoposti alla VAS stessa, essendo a loro volta obbligati dalla legge a proporre soluzioni di sviluppo sostenibile a salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio culturale. Non a caso, già da tempo era jus receptum come il contenuto degli strumenti urbanistici fosse conformato dai vincoli paesaggistici indicati nel relativo piano, donde l’illegittimità d’ogni assetto del territorio che risultasse incompatibile con detti vincoli. Ai piani paesistici è devoluta la funzione di dettare norme minime, non derogabili da ogni vicenda di gestione del territorio di qualsiasi livello, a salvaguardia dei beni vincolati e con riferimento a qualsiasi attività umana pur diversa da quella puramente urbanistico-edilizia. Oggidì l’art. 145, c. 3 prevede espressamente che le previsioni dei piani paesaggistici ex artt. 143 e 156 «… non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici..., sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente (colà) contenute…, stabiliscono norme di salvaguardia

applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono...vincolanti per gli interventi settoriali …». Ai fini della tutela essenziale di tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici prevalgono sul quelle contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale, previsti dalle normative di settore, compresi quelli degli enti gestori di aree pro-tette. Se ciò ha un senso, recte un significato giuridico cogente e concreto, allora le norme di piano non sono soltanto il metro per la valutazione e per la conformazione dei piani e programmi di governo del territorio e delle relative attività d’esecuzione, come ben

evincesi, d’altro canto, proprio dagli artt. 146 e ss. del Dlg 42/2004, sulla vigilanza ed i controlli per le vicende inerenti ai beni culturali e del paesaggio. Esse costituiscono altresì, perché lo dice l’art. 143, c. 1, lett. g) e h), il metodo per l’individuazione sia degli

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interventi (di competenza operativa comunque altrui) di recupero e riqualificazione delle aree compromesse o degradate, sia delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio per lo sviluppo sostenibile delle aree coinvolte.

6.3. – Pertanto, le norme di piano di per sé sole non servono, quand'anche abbiano contenuti ulteriori a quelli minimi posti dall’art. 143, c. 1, a porre regole esecutive dirette di gestione territoriale.

Né va sottaciuto come ogni successivo intervento o programmatorio, o esecutivo soggiaccia pur sempre sia al controllo di compatibilità paesaggistica, sia alla ex lege equiordinata valutazione, a seconda dei contesti, ambientale strategica o d’impatto

ambientale, sì da integrarne le tutele. È solo da soggiungere a tal ultimo riguardo che, in base alle competenze esclusive ex art. 14 dello Statuto, la Regione siciliana è abilitata a procedere in via autonoma alla redazione dei piani paesistici con contenuto di tutela ambientale ai sensi del ripetuto art. 143, c. 2, I per., così risolvendo in radice ogni questione sulla tutela congiunta di tutti i valori sottesi all’art. 9 Cost.

Il TAR sostiene il contrario, partendo dalla, per vero più enfatica che sostanziosa, affermazione della relazione tecnica del piano stesso, secondo cui questo è imperniato sulla «…rivisitazione critica del rapporto tra pianificazione paesistica e governo del territorio…». Mancano nondimeno, nell’appellata sentenza ed oltre tal passag-gio, elementi probanti da cui inferire la significativa incidenza del piano impugnato sull’ambiente, sì da doverlo sottoporre sicuramente alla VAS. A parte ciò, in realtà la chiave di lettura di tale frase va ricercata nell’art. 135, c. 4 del Dlg 42/2004. Invero, all’uopo tale disposizione dà facoltà al piano d’individuare le «…linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO…».

Tanto non volendo considerare che il piano in sé, ma anche tal norma da sola non sono suscettibili d’esaurire interamente ogni

verifica di garanzia dell'interesse paesaggistico —la quale, per forza di cose, va implementata in sede di controllo sul progetto singolo o sul piano territoriale—, né si risolve in una meccanica e mera verifica di corrispondenza tra questi ed i principi di tutela (arg. ex Cons. St., VI, 18 gennaio 2012 n. 173), sicché questi costituiscono le linee-guida per gli apprezzamenti di tipo qualitativo e riferiti ai valori tutelati con il vincolo.

Dal che l’impossibilità di dedurre dalla predetta frase un senso più che solo programmatorio di piani o interventi altrui sul territorio, qualora intercettino tali valori tutelati e per il cui governo occorre metter in campo gli accertamenti qualitativi di compatibilità e ambientale e paesaggistica.

6.4. – Ma quand’anche si volesse accedere alla tesi propugnata dal Giudice di prime cure, rettamente gli appellanti ne contestano la soggezione ineluttabile ed in ogni caso del piano impugnato a VAS.

Ora, non è qui in discussione il concetto, chiaro in giurisprudenza, che i piani paesaggistici regionali, ben lungi dal limitarsi ad una funzione solo ricognitiva dei beni paesaggistici individuati ex lege, adempiono un ruolo autonomo d’individuazione dei beni stessi, sì da poter direttamente qualificare come beni paesaggistici aree ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali in via amministrativa o ex lege, purché con un valore specifico da tutelare (cfr., da ultimo, Cons. St., IV, 16 aprile 2012 n. 2188). Né sfugge al Collegio di riconoscere come i piani paesistici abbiano assunto nel tempo una portata territoriale e qualitativa via via più ampia. Come s’è visto, la legge ha affidato ad essi il compito di dettare una specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale si tutto il territorio coinvolto e per mezzo d’una pluralità di strumenti di tutela, sì da pervenire ad una protezione combinata e congiunta d’ogni aspetto del territorio e ciascuno per le proprie essenza e specificità. Il Dlg 42/2004 ha portato a compimento tal processo di metodi della regolazione, che trovarono il primo punto di coagulo negli artt. 1 e 1-bis del DL 27 giugno 1985 n. 312 (convertito, con modificazioni, dalla l. l. 8 agosto 1985 n. 431). Già in queste norme della c.d. “legge Galasso” si vede il superamento d'ogni pregressa equivalenza tra paesaggio e bellezze naturali, nonché l'affermarsi d’una più compiuta e totalizzante nozione di paesaggio, inteso sia come forma del paese (creato dall'azione cosciente e sistematica della comunità che vi è insediata: «ambiente costruito»), sia come ambiente naturale. Con il Codice del 2004 la tutela del paesaggio ha assunto una portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica, sull’intero territorio, venendo quindi a disciplinare anche immobili non soggetti a vincolo paesaggistico. Tanto, com’è noto, anche in osservanza degli impegni assunti dalla Repubblica con la convenzione europea del paesaggio (conclusa a Firenze il 20 ottobre 2000 ed entrata in vigore in Italia nel settembre 2006). Se questo è vero, è parimenti indubbio il permanere, nell'ordina-mento positivo (art. 135, c. 1, I per. del Dlg 42/2004) della distinzione tra piani paesaggistici “meri” (ossia quelli un tempo regolati dall’art. 5 della l. 29 giugno 1939 n. 1497 e dagli artt. 23 e 24 del RD 3 giugno 1940 n. 357) e piani urbanistico-territoriali, che si suole assimilare ai «piani territoriali di coordinamento» previsti dall'art. 5 della l. 17 agosto 1942 n. 1150 (l. urb.).

Ebbene, non avrebbero potuto il Comune di Ragusa, nel suo ricorso introduttivo, né tampoco il Giudice di prime cure prescindere da tal distinzione, o dal contenuto del piano impugnato in quella sede, al fine di verificarne in che cosa mai incidesse sul territorio a guisa di vero e proprio piano urbanistico e compromettesse valori ambientali.

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Per meglio dire, il ricorso di primo grado (cfr. il VI motivo, pagg. 18/22) censura il contenuto di alcuni articoli delle NTA del piano, sotto il profilo della grave contraddittorietà e dell’illogicità del relativo contenuto. Nondimeno, tali contestate prescrizioni fissano stringenti regole non sulla costruzione, ma sui limiti di compatibilità di talune strutture agricole a forte impatto in aree sensibili, secondo valutazioni tecnico-discrezionali non manifestamente arbitrarie o irrazionali. In tal senso, d’altronde, il TAR s’è pronunziato

in termini sfavorevoli alla tesi del Comune appellato. A parte ciò, più in generale è noto (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 12 gennaio 2011 n. 110) che già il tipo di prescrizione proprio di un piano paesistico è assai differente dal contenuto d’ uno strumento

urbanistico, essendo volto non già al dimensionamento dei nuovi interventi, quanto alla valutazione ex ante della loro tipologia ed incidenza qualitativa. Sicché le predette doglianze, sebbene per vero inducano l’attività costruttiva nel settore agricolo alla

deconcentrazione delle strutture dalle aree sensibili, non colgono nel segno né in sé nel senso che non dimostrano l’evidente irrazionalità, ma anzi appalesano un metodo rigoroso e dinamico di tutela dell’ambiente e del paesaggio (soprattutto in caso di

dismissione di colture agricole, ecc.), né quale sintomo dello straripamento del contenuto del piano dal senso dell’art. 143 del Dlg 42/2004. Se, quindi, il piano paesistico-territoriale ha solo (ovviamente, nel senso spiegato dianzi) una funzione conservativa degli ambienti reputati meritevoli di tutela, a più forte ragione ciò si riscontra in quelli che riepilogano, organizzano e chiariscono i vincoli finora esistenti nel territorio considerato.

Non spetta al Collegio, non essendo argomento dedotto in ap-pello, discettare sull’avviso dell’Assessorato regionale territorio ed

ambiente, nel parere prot. 22864 del 1° aprile 2010 reso nei confronti dell'Assessorato ai bb.cc., in ordine alla soggezione a VAS di quelle parti d’ un piano paesistico-territoriale che abbia eventualmente aspetti urbanistici. Ciò che rileva, invece e così condividendo l’avviso degli appellanti e dello stesso Assessorato, è che un piano privo di tal contenuto non è assoggettato a VAS, perché non determina alcun impatto sull’ ambiente (anzi, lo protegge).

Del pari, va condiviso il parere dell’Ufficio legislativo e legale della Regione, racchiuso nella nota prot. n. 1827.195.11.2009 del 21 gennaio 2010, pagg. 9 e ss. (in atti). L’Uffico parte dalla disamina dell'art. 6, commi 1 e 2 del Dlg 152/2006 e, con molta lealtà, si mostra consapevole della prassi esistente in altre Regioni circa la soggezione a VAS dei piani paesistici. Nondimeno, afferma che questi ultimi hanno una fisionomia del tutto differente da ogni strumento urbanistico e, quindi, il loro contenuto serve a garantire, non ad alterare gli equilibri ambientali della zona considerata. Il predetto parere afferma perciò un principio di diritto, propugnato peraltro dagli appellanti, per cui i piani de quibus, non abilitando alla realizzazione di progetti nel territorio, non rientrano nel campo di applicazione della VAS, nel senso spiegato dal Collegio nei paragrafi di cui sopra.

6.5. – Inoltre, non basta predicare la sicura assoggettabilità tout court del piano paesistico a VAS, in base al mero dato testuale, il quale, d'altronde, si riferisce agli impatti significativi, tali anzitutto essendo quelli determinati da piani e programmi che, nei settori indicati dall'art. 3, § 1) della dir. n. 2001/42/CE, intervengano per la realizzazione di progetti elencati negli allegati II, III e IV del Dlg 152/2006. In questi casi e per i piani ed i programmi che gli Stati membri in-dividuano bisognosi di VAS (cfr. art. 6, c. 3-bis del Dlg 152/2006), a tutto concedere ed ai sensi dell’art. 6, c. 1, in tanto la soggezione a VAS si verificherà, in quanto tale piano attinga la soglia dell’impatto significativo sull'ambiente, cosa, questa, di cui la sentenza appellante non fa cenno. Né si può aggirare tal ostacolo logico-argomentativo grazie solo al riferimento, che la sentenza compie, alla definizione d’impatto

ambientale di cui al precedente art. 5, c. 1, lett. c) e, in particolare, all'alterazione positiva dell'ambiente. Si deve concordare con la tesi degli appellanti secondo la quale la norma si riferisce, in base alla serena sua lettura e nell’uso quasi incalzante degli aggettivi del sostantivo «alterazione». Se, quindi, la norma associa all’impatto ambientale il concetto di «alterazione» (ossia quello dell’altro da

sé, dell’alterità degenerata, della modificazione, del turbamento), allora sfugge la ragione della necessità della VAS nei casi, quali quelli indicati dal piano paesistico, di modificazioni sì, ma positive, anzi d’elevazione del livello, singolo e/o complessivo, della

protezione ambientale. A ben vedere, l’alterazione positiva ha un significato diverso da quello accolto dal TAR: essa non corrisponde alla cennata vicenda di miglioramento della tutela o di più rigorosa salvaguardia dei valori ambientali, ma vuol indicare le condotte commissive attive il cui effetto è pur sempre pregiudizievole nei riguardi di questi ul-timi.

7. – Il Comune appellato, che non ha proposto impugnazione incidentale autonoma sul rigetto del VI motivo del ricorso di primo grado, replica in questa sede le doglianze assorbite dal TAR.

Ebbene, quanto alla dedotta violazione dell’art. 2 della l. reg. Sic. 15 maggio 2000 n. 10 ed incompetenza, la questione è del tutto spe-ciosa. Invero, la competenza ad adottare il piano de quo è dell'Asses-sore del ramo, chiarissima essendo sul punto la norma, la quale lascia sì ai dirigenti l’emanazione dei provvedimenti ad efficacia verso terzi, ma non anche degli atti generali ed a contenuto pianificatorio. Sicché l’apposizione della sottoscrizione dei dirigenti di settore, in calce al decreto d’adozione, del piano è vicenda in sé inidonea a modificare l' assetto delle attribuzioni poste al riguardo dalla legge, o ad ingenerare confusioni sull’effettiva imputazione soggettiva dell’atto, che è peraltro facilmente evincibile dal contesto di quest’ultimo.

Neppure convince la pretesa violazione degli artt. 139 e 144 del Dlg 42/2004 e delle regole di pubblicità.

Ora, la Regione siciliana non ha tuttora disciplinato, come prescrive il medesimo art. 144, c. 1, II per., mediante apposite norme di legge i procedimenti di pianificazione paesaggistica, se del caso anche con forme ulteriori di partecipazione, informazione e

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comunicazione. Pertanto, fino a quel momento, restano tuttora in vigore le norme ex artt. 23 e 24 del citato RD 1357/1940 come specificamente impone l’art. 158 del Dlg 42/2004, integrate, ai fini partecipativi, dalle norme generali della l. 7 agosto 1990 n. 241. È soltanto da precisare che siffatta partecipazione, con la relativa pubblicità, in assenza del definitivo recepimento in Sicilia del citato art. 144, s’invera nelle forme ordinarie del RD 1357/1940 e della l. 241/1990 e senza che ciò trasmuti in qualsivoglia forma di codecisione con i soggetti coinvolti, nei limiti posti dalla stessa Regione con il decreto assessorile n. 5820 dell’8 maggio 2002. Il criterio di sufficienza della partecipazione va quindi valutato in con-creto, ossia in relazione sia alla concertazione istituzionale di cui all’art. 5, c. 5 del D.A. 5820/2002, sia alle occasioni effettive in cui i soggetti medesimi abbiano potuto manifestare il proprio avviso alla P.A. procedente. La mancanza dell’art. 144, nella specie e ben lungi dal trasformare ciò in un error in procedendo, ha indotto anzi l'Assessorato, mutuando all’uopo la procedura dall’art. 139 per la dichiarazione di notevole interesse, ad assicurare un adeguato coinvolgimento concertativo (non codecisorio, è ovvio) dei soggetti stessi attraverso la duplice fase della previa adozione e della definitiva approvazione del piano a seguito degli avvisi espressi da questi ultimi.

Il Comune appellato se ne duole, ma non dimostra quale procedura alternativa all’art. 144 sarebbe potuta esser più congrua, né tampoco in che cosa si sia sostanziato il mancato apporto partecipativo a causa di quella adoperata dell’Assessorato.

Il Comune contesta poi la scala cartografica (1:50.000) scelta dall’ Assessorato medesimo per la redazione delle carte allegate al piano. Il Comune ritiene, perché troppo elevata, inidonea la scala adottata dall’ Assessorato a garantire l’esatta rappresentazione e

delimitazione dei beni, specialmente dove ricada la linea di confine tra le aree interessate dai vari livelli di tutela ed al riguardo colorate in modo differente. In realtà, il Comune si riferisce alle sole tavole generali, afferenti al piano adottato, per cui, in sede d’approvazione di questo, si potrà avere una cartografia che, con maggior dettaglio, rappresenti più in particolare (ossia, con una più immediatamente percepibile indicazione, rispetto ai limiti delle particelle coinvolte) l’andamento delle linee di confine tra le aree stesse.

Infine, lamenta il Comune appellato che l’effetto conformativo del piano impugnato, per quanto concerne l’area di massima

protezione, si riverberi con un vincolo d’inedificabilità (art. 20 delle NTA) sulle zone E (rurali) di PRG, per le quali la legge ammette invece la realizzabilità di case rurali case rurali ed insediamenti produttivi sul fondo. Il motivo è malamente riproposto, perché non indica a quali norme legislative regionali si faccia riferimento, tant’è che quest’ultimo s’evince solo dalla lettura del ricorso di primo grado, che riguarda appunto la violazione dell’art. 22 della l.r. 27 dicembre 1978 n. 71 e dell’art. 15 della l. r. 12 giugno 1976 n. 78.

Ebbene, quanto al primo aspetto, l'effetto conformativo del piano prevale ex lege su ogni diversa previsione degli strumenti urbanistici, mentre gli insediamenti indicati nel citato art. 22, il cui regime è già in sé molto rigoroso, vanno valutati in base al precedente art. 1, lett. c), cioè nel senso che la loro ammissibilità è legittimamente subordinata alla valorizzazione ed alla salvaguardia del patrimonio naturale e dell’ambiente. In ordine, poi, al secondo aspetto, è solo da rammentare che il piano fissa, con volizione della Regione che ne fa pieno recepimento, l’ampiezza dell’area di protezione della fascia costiera in perfetta coerenza con l’art. 142, c. 1, lett. A) del Dlg 42/2004.

8. – In definitiva, gli appelli qui riuniti vanno accolti, ma la com-plessità della controversia e giusti motivi suggeriscono la compensa-zione integrale, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando e previa loro riu-nione, accoglie gli appelli in epigrafe e, in parziale riforma della sen-tenza impugnata, rigetta integralmente il ricorso di primo grado, pro-posto dal Comune di Ragusa. Spese compensate. Ordina all'Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza. Così deciso in Palermo il 7 marzo 2012 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori: Paolo Turco, Presi-dente, Antonino Anastasi, Silvestro Maria Russo (est.), Giuseppe Mi-neo, Alessandro Corbino, Componenti.

F.to Paolo Turco, Presidente

F.to Silvestro Maria Russo, Estensore

Depositata in Segreteria 27 settembre 2012

http://www.ambientediritto.it/home/giurisprudenza/consiglio-di-giustizia-amministrativa-la-regione-siciliana-%E2%80%93-27-settembre-2012-n-811

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TITOLO III-BIS L’AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE

Articolo 29-quater Procedura per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale

1. Per gli impianti di competenza statale la domanda e’ presentata all’autorita’ competente per mezzo di procedure telematiche, con il formato e le modalita’ stabiliti con il decreto di cui all’articolo 29-duodecies, comma 2.

2. L’autorita’ competente individua gli uffici presso i quali sono depositati i documenti e gli atti inerenti il procedimento, al fine della consultazione del pubblico.

3. L’autorita’ competente, entro trenta giorni dal ricevimento della domanda ovvero, in caso di riesame ai sensi dell’articolo 29-octies, comma 4, contestualmente all’avvio del relativo

procedimento, comunica al gestore la data di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e la sede degli uffici di cui al comma 2. Entro il termine di quindici giorni dalla data di ricevimento della comunicazione il gestore provvede a sua cura e sue spese alla pubblicazione su un quotidiano a diffusione provinciale o regionale, ovvero a diffusione nazionale nel caso di progetti che ricadono nell’ambito della competenza dello Stato, di un annuncio contenente l’indicazione della localizzazione dell’impianto e del proprio nominativo, nonche’ gli uffici individuati ai sensi del comma 2 ove e’ possibile prendere visione degli atti e trasmettere le osservazioni. Tali forme di pubblicita’ tengono luogo delle

comunicazioni di cui all’articolo 7 ed ai commi 3 e 4 dell’articolo 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Le informazioni pubblicate dal gestore ai sensi del presente comma sono altresi’ pubblicate dall’autorita’ competente nel proprio sito web. E’ in ogni caso garantita l’unicita’ della pubblicazione per gli impianti di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto.

4. Entro trenta giorni dalla data di pubblicazione dell’annuncio di cui al comma 3, i soggetti interessati possono presentare in forma scritta, all’autorita’ competente, osservazioni sulla domanda.

5. La convocazione da parte dell’autorita’ competente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, di apposita conferenza di servizi, alla quale sono invitate le amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, nel caso di impianti di

competenza statale, i Ministeri dell’interno, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dello sviluppo economico, oltre al soggetto richiedente l’autorizzazione, ha luogo ai sensi degli articoli 14, 14-ter, commi da 1 a 3 e da 6 a 9, e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

7. Nell’ambito della Conferenza dei servizi di cui al comma 5, vengono acquisite le prescrizioni del sindaco di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nonche’ il

parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale per gli impianti di competenza statale o delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente per quanto riguarda il monitoraggio ed il controllo degli impianti e delle emissioni nell’ambiente. In presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell’autorizzazione di cui al presente titolo, il sindaco, qualora lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica, puo’ chiedere all’autorita’ competente di verificare la necessita’ di riesaminare l’autorizzazione rilasciata, ai sensi dell’articolo 29-octies.

8. Nell’ambito della Conferenza dei servizi, l’autorita’ competente puo’ richiedere integrazioni alla documentazione, anche al fine di valutare la applicabilita’ di specifiche misure alternative o aggiuntive, indicando il termine massimo non superiore a novanta giorni per la presentazione della documentazione integrativa. In tal caso, il termine di cui al comma 9 resta sospeso fino alla presentazione della documentazione integrativa.

9. Salvo quanto diversamente concordato, la Conferenza dei servizi di cui al comma 5 deve concludersi entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine previsto dal comma 4 per la presentazione delle osservazioni.

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10.L’autorita’ competente esprime le proprie determinazioni sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale comunque entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda, ovvero, nel caso di cui al comma 8, entro centottanta giorni dalla presentazione

della domanda. La tutela avverso il silenzio dell’Amministrazione e’ disciplinata dalle disposizioni generali del processo amministrativo.

11.Le autorizzazioni integrate ambientali, rilasciate ai sensi del presente decreto, sostituiscono ad ogni effetto le autorizzazioni riportate nell’elenco dell’allegato IX, secondo le modalita’ e gli

effetti previsti dalle relative norme settoriali. In particolare le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono la comunicazione di cui all’articolo 216, ferma restando la possibilita’ di utilizzare successivamente le procedure semplificate previste dal capo V.

12.Ogni autorizzazione integrata ambientale deve includere le modalita’ previste dal presente decreto per la protezione dell’ambiente, nonche’ l’indicazione delle autorizzazioni sostituite.

13.Copia dell’autorizzazione integrata ambientale e di qualsiasi suo successivo aggiornamento, e’ messa a disposizione del pubblico, presso l’ufficio di cui al comma 2. Presso il medesimo ufficio sono inoltre rese disponibili informazioni relative alla partecipazione del pubblico al procedimento.

14.L’autorita’ competente puo’ sottrarre all’accesso le informazioni, in particolare quelle relative agli impianti militari di produzione di esplosivi di cui al punto 4.6 dell’allegato VIII, qualora cio’ si renda necessario per l’esigenza di salvaguardare ai sensi dell’articolo 24, comma 6, lettera a), della legge 7 agosto 1990, n. 241, e relative norme di attuazione, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale. L’autorita’ competente puo’ inoltre sottrarre all’accesso informazioni non riguardanti le emissioni dell’impianto nell’ambiente, per ragioni di tutela della proprieta’ intellettuale o di riservatezza industriale, commerciale o personale.

15.In considerazione del particolare e rilevante impatto ambientale, della complessita’ e del preminente interesse nazionale dell’impianto, nel rispetto delle disposizioni del presente decreto, possono essere conclusi, d’intesa tra lo Stato, le regioni, le province e i comuni territorialmente competenti e i gestori, specifici accordi, al fine di garantire, in conformita’ con gli interessi fondamentali della collettivita’, l’armonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali. In tali casi l’autorita’competente, fatto comunque salvo quanto previsto al comma 12, assicura il necessario coordinamento tra l’attuazione dell’accordo e la procedura di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Nei casi disciplinati dal presente comma i termini di cui al comma sono raddoppiati.))

Articolo 29-quinquies ((Indirizzi per garantire l’uniforme applicazione sul territorio

nazionale

1. Con uno o piu’ decreti del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e del lavoro, della salute e delle politiche sociali e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, possono essere emanati indirizzi per garantire l’uniforme applicazione delle disposizioni del presente titolo da parte delle autorita’ competenti.))

Articolo 29-sexies Autorizzazione integrata ambientale

1. L’autorizzazione integrata ambientale rilasciata ai sensi del presente decreto deve includere tutte le misure necessarie per soddisfare i requisiti di cui agli articoli 6, comma 15, e 29-septies, al fine di conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso. L’autorizzazione integrata ambientale di attivita’ regolamentate dal decreto legislativo 4

aprile 2006, n. 216, contiene valori limite per le emissioni dirette di gas serra, di cui all’allegato

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B del medesimo decreto, solo quando cio’ risulti indispensabile per evitare un rilevante inquinamento locale.

2. In caso di nuovo impianto o di modifica sostanziale, se sottoposti alla normativa in materia di valutazione d’impatto ambientale, si applicano le disposizioni di cui all’art. 10 del presente decreto.

3. L’autorizzazione integrata ambientale deve includere valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti, in particolare quelle elencate nell’allegato X, che possono essere emesse dall’impianto interessato in quantita’ significativa, in considerazione della loro natura, e delle loro potenzialita’ di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro,

acqua, aria e suolo, nonche’ i valori limite ai sensi della vigente normativa in materia di inquinamento acustico. I valori limite di emissione fissati nelle autorizzazioni integrate non possono comunque essere meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui e’ ubicato l’impianto. Se necessario, l’autorizzazione integrata ambientale contiene ulteriori disposizioni che garantiscono la protezione del suolo e delle acque sotterranee, le opportune disposizioni per la gestione dei rifiuti prodotti dall’impianto e per la riduzione dell’inquinamento acustico. Se del caso, i valori limite di emissione possono essere integrati o

sostituiti con parametri o misure tecniche equivalenti. Per gli impianti di cui al punto 6.6 dell’allegato VIII, i valori limite di emissione o i parametri o le misure tecniche equivalenti tengono conto delle modalita’ pratiche adatte a tali categorie di impianti.

4. Fatto salvo l’articolo 29-septies, i valori limite di emissione, i parametri e le misure tecniche equivalenti di cui ai commi precedenti fanno riferimento all’applicazione delle migliori tecniche disponibili, senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell’ambiente. In tutti i casi, le condizioni di

autorizzazione prevedono disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento a grande distanza o attraverso le frontiere e garantiscono un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo

complesso. 5. L’autorita’ competente rilascia l’autorizzazione integrata ambientale osservando quanto

specificato nell’articolo 29-bis, commi 1, 2 e 3. In mancanza delle linee guida di cui all’articolo 29-bis, comma 1, l’autorita’ competente rilascia comunque l’autorizzazione

integrata ambientale tenendo conto di quanto previsto nell’allegato XI. 6. L’autorizzazione integrata ambientale contiene gli opportuni requisiti di controllo delle

emissioni, che specificano, in conformita’ a quanto disposto dalla vigente normativa in materia ambientale e nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 29-bis, comma 1, la metodologia e la frequenza di misurazione, la relativa procedura di valutazione, nonche’ l’obbligo di comunicare all’autorita’ competente i dati necessari per verificarne la conformita’ alle condizioni di autorizzazione ambientale integrata ed all’autorita’ competente e ai comuni interessati i dati relativi ai controlli delle emissioni richiesti dall’autorizzazione integrata

ambientale. Tra i requisiti di controllo, l’autorizzazione stabilisce in particolare, nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 29-bis, comma 1, e del decreto di cui all’articolo 33, comma 1, le modalita’ e la frequenza dei controlli programmati di cui all’articolo 29-decies, comma 3. Per gli impianti di cui al punto 6.6 dell’allegato VIII, quanto previsto dal presente comma puo’ tenere conto dei costi e benefici. Per gli impianti di competenza statale le comunicazioni di cui al presente comma sono trasmesse per il tramite dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

7. L’autorizzazione integrata ambientale contiene le misure relative alle condizioni diverse da quelle di normale esercizio, in particolare per le fasi di avvio e di arresto dell’impianto, per le

emissioni fuggitive, per i malfunzionamenti, e per l’arresto definitivo dell’impianto. 8. Per gli impianti assoggettati al decreto legislativo del 17 agosto 1999, n. 334, l’autorita’

competente ai sensi di tale decreto trasmette all’autorita’ competente per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale i provvedimenti adottati, le cui prescrizioni ai fini della

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sicurezza e della prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti sono riportate nella autorizzazione. In caso di decorrenza dei termine stabilito dall’articolo 29-quater, comma 10, senza che le suddette prescrizioni siano pervenute, l’autorita’ competente rilascia l’autorizzazione integrata ambientale e provvede ad integrarne il contenuto, una volta concluso il procedimento ai sensi del decreto legislativo del 17 agosto 1999, n. 334.

9. L’autorizzazione integrata ambientale puo’ contenere altre condizioni specifiche ai fini del presente decreto, giudicate opportune dall’autorita’ competente. Le disposizioni di cui al

successivo art. 29-nonies non si applicano alle modifiche necessarie per adeguare la funzionalita’ degli impianti alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale.))

Articolo 29-septies Migliori tecniche disponibili e norme di qualita’ ambientale

1. Se, a seguito di una valutazione dell’autorita’ competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure piu’ rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualita’ ambientale, l’autorita’ competente

puo’ prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari

piu’ rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di

qualita’ ambientale. Articolo 29-octies Rinnovo e riesame

1. L’autorita’ competente rinnova ogni cinque anni l’autorizzazione integrata ambientale, o l’autorizzazione avente valore di autorizzazione integrata ambientale che non prevede un rinnovo periodico, confermando o aggiornando le relative condizioni, a partire dalla data di rilascio dell’autorizzazione. A tale fine, sei mesi prima della scadenza, il gestore invia

all’autorita’ competente una domanda di rinnovo, corredata da una relazione contenente un

aggiornamento delle informazioni di cui all’articolo 29-ter, comma 1. Alla domanda si applica quanto previsto dall’articolo 29-ter, comma

3. L’autorita’ competente si esprime nei successivi centocinquanta giorni con la procedura prevista dall’articolo 29-quater, commi da 5 a 9. Fino alla pronuncia dell’autorita’

competente, il gestore continua l’attivita’ sulla base della precedente autorizzazione. 2. Nel caso di un impianto che, all’atto del rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo 29-

quater, risulti registrato ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, il rinnovo di cui al comma 1 e’ effettuato ogni otto anni. Se la registrazione ai sensi del predetto regolamento e’

successiva all’autorizzazione di cui all’articolo 29-quater, il rinnovo di detta autorizzazione e’

effettuato ogni otto anni a partire dal primo successivo rinnovo. 3. Nel caso di un impianto che, all’atto del rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo 29-

quater, risulti certificato secondo la norma UNI EN ISO 14001, il rinnovo di cui al comma 1 e’ effettuato ogni sei anni. Se la certificazione ai sensi della predetta norma e’ successiva

all’autorizzazione di cui all’articolo 29-quater, il rinnovo di detta autorizzazione e’ effettuato

ogni sei anni a partire dal primo successivo rinnovo. 4. Il riesame e’ effettuato dall’autorita’ competente, anche su proposta delle amministrazioni

competenti in materia ambientale, comunque quando: a) l’inquinamento provocato dall’impianto e’ tale da rendere necessaria la revisione dei valori

limite di emissione fissati nell’autorizzazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi

valori limite; b) le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una

notevole riduzione delle emissioni senza imporre costi eccessivi; c) la sicurezza di esercizio del processo o dell’attivita’ richiede l’impiego di altre tecniche; d) nuove disposizioni legislative comunitarie o nazionali lo esigono.

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5. In caso di rinnovo o di riesame dell’autorizzazione, l’autorita’ competente puo’ consentire

deroghe temporanee ai requisiti ivi fissati ai sensi dell’articolo 29-sexies, comma 4, se un piano di ammodernamento da essa approvato assicura il rispetto di detti requisiti entro un termine di sei mesi, e se il progetto determina una riduzione dell’inquinamento.

6. Per gli impianti di cui al punto 6.6 dell’allegato VIII, il rinnovo di cui al comma 1 e’ effettuato

ogni dieci anni. Articolo 29-nonies ((Modifica degli impianti o variazione del gestore

1. Il gestore comunica all’autorita’ competente le modifiche progettate dell’impianto, come

definite dall’articolo 5, comma 1, lettera l). L’autorita’ competente, ove lo ritenga

necessario, aggiorna l’autorizzazione integrata ambientale o le relative condizioni, ovvero,

se rileva che le modifiche progettate sono sostanziali ai sensi dell’articolo 5, comma 1,

lettera l-bis), ne da’ notizia al gestore entro sessanta giorni dal ricevimento della

comunicazione ai fini degli adempimenti di cui al comma 2 de presente articolo. Decorso tale termine, il gestore puo’ procedere alla realizzazione delle modifiche comunicate.

2. Nel caso in cui le modifiche progettate, ad avviso del gestore o a seguito della

comunicazione di cui al comma 1, risultino sostanziali, il gestore invia all’autorita’

competente una nuova domanda di autorizzazione corredata da una relazione contenente un aggiornamento delle informazioni di cui all’articolo 29-ter, commi 1 e 2. Si applica quanto previsto dagli articoli 29-ter e 29-quater in quanto compatibile.

3. Agli aggiornamenti delle autorizzazioni o delle relative prescrizioni di cui al comma 1 e alle autorizzazioni rilasciate ai sensi del comma 2 si applica il disposto dell’articolo 29-octies, comma 5, e dell’articolo 29-quater, comma 15.

4. Nel caso in cui intervengano variazioni nella titolarita’ della gestione dell’impianto, il

vecchio gestore e il nuovo gestore ne danno comunicazione entro trenta giorni all’autorita’ competente, anche nelle forme dell’autocertificazione.))

Articolo 29-decies Rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale

1. Il gestore, prima di dare attuazione a quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale,

ne da’ comunicazione all’autorita’ competente.((Per gli impianti localizzati in mare, l’Istituto

superiore per la protezione e la ricerca ambientale esegue i controlli di cui al comma 3, coordinandosi con gli uffici di vigilanza del Ministero dello sviluppo economico.))

2. A far data dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il gestore trasmette all’autorita’ competente e ai comuni interessati i dati relativi ai controlli delle emissioni richiesti dall’autorizzazione integrata ambientale, secondo modalita’ e frequenze stabilite

nell’autorizzazione stessa. L’autorita competente provvede a mettere tali dati a disposizione del pubblico tramite gli uffici individuati ai sensi dell’articolo 29-quater, comma 3.

3. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, per impianti di competenza

statale, o le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente, negli altri casi,

accertano, secondo quanto previsto e programmato nell’autorizzazione ai sensi dell’articolo 29-sexies, comma 6 e con oneri a carico del gestore:

a) il rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale; b) la regolarita’ dei controlli a carico del gestore, con particolare riferimento alla regolarita’

delle misure e dei dispositivi di prevenzione dell’inquinamento nonche’ al rispetto dei valori limite di emissione;

c) che il gestore abbia ottemperato ai propri obblighi di comunicazione e in particolare che abbia informato l’autorita’ competente regolarmente e, in caso di inconvenienti o incidenti

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che influiscano in modo significativo sull’ambiente, tempestivamente dei risultati della sorveglianza delle emissioni del proprio impianto.

4. Ferme restando le misure di controllo di cui al comma 3, l’autorita’ competente, nell’ambito

delle disponibilita’ finanziarie del proprio bilancio destinate allo scopo, puo’ disporre ispezioni

straordinarie sugli impianti autorizzati ai sensi del presente decreto. 5. Al fine di consentire le attivita’ di cui ai commi 3 e 4, il gestore deve fornire tutta l’assistenza

necessaria per lo svolgimento di qualsiasi verifica tecnica relativa all’impianto, per prelevare

campioni e per raccogliere qualsiasi informazione necessaria ai fini del presente decreto.

6. Gli esiti dei controlli e delle ispezioni sono comunicati all’autorita’ competente ed al gestore

indicando le situazioni di mancato rispetto delle prescrizioni di cui al comma 3, lettere a), b) e c), e proponendo le misure da adottare.

7. Ogni organo che svolge attivita’ di vigilanza, controllo, ispezione e monitoraggio su impianti che

svolgono attivita’ di cui agli allegati VIII e XII, e che abbia acquisito informazioni in materia ambientale rilevanti ai fini dell’applicazione del presente decreto, comunica tali

informazioni, ivi comprese le eventuali notizie di reato, anche all’autorita’ competente. 8. I risultati del controllo delle emissioni, richiesti dalle condizioni dell’autorizzazione integrata

ambientale e in possesso dell’autorita’ competente, devono essere messi a disposizione del

pubblico, tramite l’ufficio individuato all’articolo 29-quater, comma 3, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.

9. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, o di esercizio in assenza di autorizzazione, l’autorita’ competente procede secondo la gravita’ delle infrazioni:

a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarita’; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attivita’ autorizzata per un tempo determinato,

ove si’ manifestino situazioni di pericolo per l’ambiente; c) alla revoca dell’autorizzazione integrata ambientale e alla chiusura dell’impianto, in caso

di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per l’ambiente.

10. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l’autorita’ competente, ove si

manifestino situazioni di pericolo o di danno per la salute, ne da’ comunicazione al

sindaco ai fini dell’assunzione delle eventuali misure ai sensi dell’articolo 217 del regio

decreto 27 luglio 1934, n. 1265. 11. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale esegue i controlli di cui al comma

3 anche avvalendosi delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente territorialmente competenti, nel rispetto di quanto disposto all’articolo 03, comm 5, del

decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61.

Articolo 29-undecies Inventario delle principali emissioni e loro fonti 1. I gestori degli impianti di cui all’allegato VIII trasmettono all’autorita’ competente e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il tramite dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, entro il 30 aprile di ogni anno, i dati caratteristici relativi alle emissioni in aria, acqua e suolo dell’anno precedente.

2. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in conformita’ a quanto previsto dalla Commissione europea, sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono apportate modifiche ai dati e al formato della comunicazione di cui al decreto dello stesso Ministro 23 novembre 2001, attuativo dell’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372. 3. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale elabora i dati di cui al comma 1 e li trasmette all’autorita’ competente e al

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Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare anche per l’invio alla Commissione europea. 4. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale assicurano, nel rispetto del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, l’accesso del pubblico ai dati di cui al comma 1 e alle successive elaborazioni.))

Articolo 29-duodecies Comunicazioni 1. Le autorita’ competenti comunicano al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con cadenza annuale, i dati concernenti le domande ricevute, le autorizzazioni rilasciate ed i successivi aggiornamenti, d’intesa con la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nonche’ un rapporto sulle situazioni di mancato rispetto delle prescrizioni della autorizzazione integrata ambientale.

2. Le domande relative agli impianti di competenza statale di cui all’articolo 29-quater, comma 1, i dati di cui al comma 1 del presente articolo e quelli di cui ai commi 6 e 7 dell’articolo 29-decies, sono trasmessi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il tramite dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, secondo il formato e le modalita’ di cui al decreto dello stesso Ministro 7 febbraio 2007.))

Articolo 29-terdecies Scambio di informazioni 1. Le autorita’ competenti trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il tramite dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale , ogni tre anni, entro il 30 aprile, una comunicazione relativa all’applicazione del presente titolo, ed in particolare ai valori limite di emissione applicati agli impianti di cui all’allegato VIII e alle migliori tecniche disponibili su cui detti valori si basano, sulla base dell’apposito formulario adottato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 24 luglio 2009.

2. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare predispone e invia alla Commissione europea una relazione sull’attuazione della direttiva 2008/1/CE e sulla sua efficacia rispetto ad altri strumenti comunitari di protezione dell’ambiente, sulla base del questionario, stabilito con decisione 2006/194/UE del 2 marzo 2006 della Commissione europea, e successive modificazioni, redatto a norma degli articoli 5 e 6 della direttiva 91/692/CEE.

3. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di intesa con il Ministero dello sviluppo economico, con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministero della salute e con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede ad assicurare la partecipazione dell’Italia allo scambio di informazioni organizzato dalla Commissione europea relativamente alle migliori tecniche disponibili e al loro sviluppo, nonche’ alle relative prescrizioni in materia di controllo, e a rendere accessibili i risultati di tale scambio di informazioni. Le modalita’ di tale partecipazione, in particolare, dovranno consentire il coinvolgimento delle autorita’ competenti in tutte le fasi ascendenti dello scambio di informazioni. Le attivita’ di cui al presente comma sono svolte di intesa con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali limitatamente alle attivita’ di cui al punto 6.6 dell’allegato VIII.

4. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, provvede a garantire la sistematica informazione del pubblico sullo stato di avanzamento dei lavori relativi allo scambio di informazioni di cui al comma 3 e adotta d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 modalita’ di scambio di informazioni tra le autorita’ competenti, al fine di promuovere una piu’ ampia conoscenza sulle migliori tecniche disponibili e sul loro sviluppo.

Articolo 29-quattuordecies Sanzioni

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1. Chiunque esercita una delle attivita’ di cui all’allegato VIII senza essere in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale o dopo che la stessa sia stata sospesa o revocata e’ punito con la pena dell’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 2.500 euro a 26.000 euro.

2. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorita’ competente.

3. Chiunque esercita una delle attivita’ di cui all’allegato VIII dopo l’ordine di chiusura dell’impianto e’ punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni o con l’ammenda da 5.000 euro a 52.000 euro.

4. E’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 52.000 euro il gestore che omette di trasmettere all’autorita’ competente la comunicazione prevista dall’articolo 29-decies, comma 1.

5. E’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 euro a 11.000 euro il gestore che omette di comunicare all’autorita’ competente e ai comuni interessati i dati relativi alle misurazioni delle emissioni di cui all’articolo 29-decies, comma 2.

6. E’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 26.000 euro il gestore che, senza giustificato e documentato motivo, omette di presentare, nel termine stabilito dall’autorita’ competente, la documentazione integrativa prevista dall’articolo 29-quater, comma 8.

7. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

8. Le sanzioni sono irrogate dal prefetto per gli impianti di competenza statale e dall’autorita’ competente per gli altri impianti.

9. Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dal presente articolo sono versate all’entrata dei bilanci delle autorita’ competenti.

10. Per gli impianti rientranti nel campo di applicazione del presente titolo, dalla data di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, non si applicano le sanzioni, previste da norme di settore, relative a fattispecie oggetto del presente articolo PREVENZIONE E RIDUZIONE INTEGRATE DELL’INQUINAMENTO – CONDIZIONI DI AUTORIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI ESISTENTI Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttiva 2008/1/CE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Condizioni di autorizzazione degli impianti esistenti» SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione) 31 marzo 2011 (*) «Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttiva 2008/1/CE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Condizioni di autorizzazione degli impianti esistenti» Nella causa C-50/10, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 258 TFUE, proposto il 29 giugno 2010, Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra A. Alcover San Pedro e dal sig. C. Zadra, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente, contro Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra M. Russo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta,

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LA CORTE (Settima Sezione), composta dal sig. D. Šváby (relatore), presidente di sezione, dai sigg. G. Arestis e J. Malenovský, giudici, avvocato generale: sig. N. Jääskinen cancelliere: sig. A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza

conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 Con il presente ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli artt. 6 e 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 gennaio 2008, 2008/1/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (versione codificata) (GU L 24, pag. 8; in prosieguo: la «direttiva IPPC)», ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle

prescrizioni, che gli impianti esistenti ai sensi dell’art. 2, punto 4, di tale direttiva funzionino secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, lett. a) e b), e 15, n. 2, della medesima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. l, della citata direttiva. Contesto normativo 2 La direttiva IPPC, conformemente al suo art. 1, ha ad oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività industriali elencate nel suo allegato I ed è diretta a «conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso». 3 La direttiva IPPC ha codificato la direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26). Conformemente all’art. 5, n. 1, di quest’ultima, gli Stati membri dovevano adottare le misure necessarie affinché le autorità competenti vigilassero, mediante autorizzazioni rilasciate a norma dei suoi artt. 6 e 8, ovvero, in modo opportuno, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle condizioni,

che entro un massimo di otto anni successivi alla messa in applicazione di tale direttiva, e cioè entro il 30 ottobre 2007, gli impianti esistenti funzionassero secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, primo e secondo trattino, nonché all’art. 15, n. 2, della medesima direttiva. 4 Dal tredicesimo ‘considerando’ della direttiva IPPC risulta che le disposizioni adottate a

norma della stessa in alcuni casi devono essere applicate agli impianti esistenti dopo il 30 ottobre 2007 ed in altri a decorrere dal 30 ottobre 1999. 5 L’art. 2, punto 4, di tale direttiva definisce l’impianto esistente come «un impianto che al 30

ottobre 1999, nell’ambito della legislazione vigente anteriormente a tale data, era in funzione o era

autorizzato o che abbia costituito oggetto, a giudizio dell’autorità competente, di una richiesta di

autorizzazione completa, purché sia poi entrato in funzione non oltre il 30 ottobre 2000». 6 L’art. 3 della direttiva IPPC fa riferimento agli obblighi fondamentali del gestore. 7 L’art. 5 della direttiva IPPC, intitolato «Condizioni di autorizzazione degli impianti esistenti», al n. 1 così dispone: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli articoli 6 e 8, ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle prescrizioni, che entro il 30 ottobre 2007

gli impianti esistenti funzionino secondo i requisiti di cui agli articoli 3, 7, 9, 10 e 13, all’articolo

14, lettere a) e b) ed all’articolo 15, paragrafo 2, fatte salve altre disposizioni comunitarie

specifiche». 8 Gli artt. 6-10, 13, 14 e 15, n. 2, della direttiva IPPC istituiscono il regime relativo al rilascio delle autorizzazioni degli impianti in grado di provocare inquinamento. Tale regime è comprensivo dei seguenti aspetti: domande di autorizzazione, approccio integrato, decisioni, condizioni dell’autorizzazione, migliori tecniche disponibili, verifica, aggiornamento e rispetto delle condizioni

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di autorizzazione, accesso all’informazione e partecipazione del pubblico alla procedura di

autorizzazione. 9 La direttiva IPPC è entrata in vigore il 18 febbraio 2008 conformemente al suo art. 23. Procedimento precontenzioso 10 Nel corso di diverse riunioni del gruppo di esperti competenti in materia, svoltesi nel periodo compreso tra marzo 2005 e febbraio 2007, i servizi della Commissione hanno attirato l’attenzione

degli Stati membri sulla necessità di rispettare la scadenza del termine, fissato al 30 ottobre 2007, prevista inizialmente dall’art. 5, n. 1, della direttiva 96/61, successivamente dalla medesima disposizione della direttiva IPPC, per quanto riguarda le condizioni di autorizzazione e di controllo del funzionamento degli impianti esistenti. 11 Con lettera del 13 novembre 2007 la Commissione ha invitato tutti gli Stati membri a fornirle informazioni sul numero totale di «impianti esistenti», ai sensi dell’art. 2, punto 4, della direttiva IPPC, in ciascuno Stato, sul numero di autorizzazioni nuove, riesaminate e, ove ritenuto opportuno, aggiornate per tali impianti. 12 Nella sua risposta del 7 e 20 febbraio 2008 la Repubblica italiana ha comunicato alcuni dati relativi a una parte degli impianti esistenti e ha informato la Commissione dell’adozione del decreto

legge 30 ottobre 2007, n. 180, convertito in legge con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2007, n. 243 (GURI n. 299, del 27 dicembre 2007, pag. 3), che ha prorogato al 31 marzo 2008 il termine per l’adeguamento degli impianti esistenti alle disposizioni della direttiva IPPC e ha previsto, in

caso di inadempienza delle autorità competenti, l’attivazione urgente del potere sostitutivo dello

Stato. 13 Ritenendo che la Repubblica italiana fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC, la Commissione ha avviato il procedimento per inadempimento previsto dall’art. 226 CE e, in data 8 maggio 2008, ha intimato a tale Stato membro di fornirle informazioni dettagliate circa la denominazione, il settore di attività e l’ubicazione degli

impianti esistenti per i quali era stata rilasciata un’autorizzazione e di quelli che continuavano a

essere in funzione senza autorizzazione. 14 Con note dell’11 e 14 luglio 2008 la Repubblica italiana ha fornito alcune informazioni relative, in particolare, al numero di impianti esistenti nonché al numero di impianti di questo tipo per i quali erano state rilasciate nuove autorizzazioni, erano state riesaminate le precedenti autorizzazioni o le autorizzazioni riesaminate erano state aggiornate. 15 Con nota del 12 gennaio 2009 la Repubblica italiana ha trasmesso nuovi dati relativi allo stato di attuazione degli obblighi di cui all’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC, disponibili al maggio 2008, i quali sostituivano i dati già trasmessi con le note dell’11 e 14 luglio 2008. 16 Alla luce delle informazioni trasmesse, la Commissione ha constatato che molti degli impianti esistenti erano in funzione senza essere dotati dell’autorizzazione di cui all’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC. 17 La Commissione ha pertanto inviato un parere motivato alla Repubblica italiana il 2 febbraio 2009, invitando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarsi a detto parere entro due mesi dal ricevimento dello stesso. 18 Con nota del 14 aprile 2009 la Repubblica italiana ha trasmesso ulteriori informazioni. Tale nota precisava che, secondo le informazioni raccolte fino ad allora presso la metà delle autorità competenti delle Regioni italiane, che corrispondono a circa due terzi degli impianti esistenti sul territorio italiano, l’85% di tali impianti erano dotati di autorizzazioni integrate ambientali. Per un

ulteriore 7% degli impianti esistenti, il rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva IPPC era garantito attraverso l’adeguamento delle autorizzazioni preesistenti e per il rimanente 8% degli

impianti, le autorità nazionali non avevano rilevato la necessità di modificare le autorizzazioni preesistenti per garantire la loro conformità agli obblighi previsti dalla direttiva IPPC, nelle more delle procedure di rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali. 19 Con nota del 18 novembre 2009 la Repubblica italiana ha inviato un ulteriore aggiornamento dei dati disponibili, aggiornati al 30 ottobre 2009. Da tali dati risultava che su 5 669 impianti

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esistenti in esercizio, 4 465 erano dotati di autorizzazione integrata ambientale e per i rimanenti 1 204 impianti in esercizio erano in corso procedure di rilascio di autorizzazioni integrate ambientali. Si precisava che per 593 impianti (l0% del totale) le autorizzazioni preesistenti erano state riesaminate e in 246 casi aggiornate, mentre per 608 impianti (11% del totale) le autorità competenti non avevano ritenuto necessario riesaminare le autorizzazioni preesistenti per garantire la loro conformità agli obblighi previsti dalla direttiva IPPC, nelle more della conclusione delle procedure di rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali. 20 Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse soddisfatto gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso. Sul ricorso Argomenti delle parti 21 La Commissione afferma che alla scadenza del termine previsto all’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC, e cioè al 30 ottobre 2007, numerosi impianti funzionavano senza essere dotati dell’autorizzazione di cui al citato art. 5 e che tale situazione persisteva allo scadere del termine previsto nel parere motivato, vale a dire al 2 aprile 2009. Invero, secondo la Commissione, dalla nota della Repubblica italiana del 14 aprile 2009 emerge che le autorità competenti non erano neppure in possesso di tutte le informazioni relative al numero di impianti in parola presenti sul territorio nazionale e alle loro attività. 22 La Commissione ritiene inoltre che la Repubblica italiana non abbia fornito alcuna informazione dettagliata volta a dimostrare l’equivalenza tra le autorizzazioni ambientali preesistenti e le autorizzazioni integrate ambientali ai sensi della direttiva IPPC, la quale soltanto permetterebbe di assicurarsi che il funzionamento di tutti gli impianti esistenti sia disciplinato da autorizzazioni ambientali che garantiscono adeguati livelli di protezione. 23 La Repubblica italiana ritiene di essersi conformata ai requisiti della direttiva IPPC. 24 La Repubblica italiana giustifica la variazione dei dati comunicati adducendo che, in particolare, fino alla metà del 2009, non tutte le autorità competenti regionali avevano ancora trasmesso informazioni complete sul numero e sulle attività degli impianti esistenti sul territorio di rispettiva competenza e che la variazione del numero degli impianti esistenti era dovuta, inoltre, ai dinieghi di rilascio delle autorizzazioni, alla chiusura o alla divisione di tali impianti nonché al censimento di impianti non ancora registrati. Tuttavia, essa sottolinea che le autorità competenti disponevano delle informazioni necessarie, almeno a partire dal 30 gennaio 2008. 25 Per quanto riguarda gli impianti esistenti sprovvisti di un’autorizzazione integrata ambientale,

menzionati nelle note del 14 aprile e 18 novembre 2009, la Repubblica italiana osserva che il rilascio di una siffatta autorizzazione era in corso, e precisa che per alcuni di tali impianti le autorizzazioni preesistenti sono state riesaminate e, in alcuni casi, aggiornate, mentre per gli impianti restanti, pari a 608 al 30 ottobre 2009, le autorità competenti non hanno ritenuto necessario riesaminare le autorizzazioni preesistenti al fine di garantire il rispetto degli obblighi fondamentali derivanti dalla direttiva IPPC. 26 La Repubblica italiana afferma che, in questi ultimi casi, le competenti autorità regionali hanno ritenuto, sulla base di una valutazione caso per caso, di non dover adottare alcun provvedimento, in quanto non vi era evidenza alcuna che detti impianti, autorizzati conformemente alle più avanzate disposizioni in materia ambientale, non fossero conformi ai criteri stabiliti dalla direttiva IPPC. 27 A tale proposito, essa chiarisce che le motivazioni tecniche sottese alla valutazione operata da dette autorità «potranno essere illustrate solo a valle della conclusione dell’istruttoria tecnica per la definizione dell’[autorizzazione integrata ambientale] che, individuate le migliori tecniche

disponibili applicabili nel caso specifico, definirà i livelli prestazionali che nel caso specifico garantiscono il rispetto della disciplina [prevista dalla direttiva] IPPC, confermandone formalmente la corrispondenza a quelli garantiti nel periodo transitorio». Il fatto che, per tali impianti, l’esercizio

stesse avvenendo nel rispetto non solo delle autorizzazioni esistenti al 1999, ma anche degli

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ulteriori obblighi di legge successivamente introdotti discende, in particolare, anche dal regime sanzionatorio previsto da tali disposizioni di legge, che impegna i gestori a raggiungere determinate prestazioni ambientali indipendentemente dai contenuti dell’atto autorizzativo. 28 Inoltre, la Repubblica italiana sostiene che il decreto legge n. 180/07, modificato dalla legge di conversione n. 243/2007, non può costituire un ulteriore indice dell’inadempienza agli obblighi

derivanti dall’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC, in quanto il citato decreto, come modificato, ha prorogato al 31 marzo 2008 soltanto l’obbligo di dotare ogni impianto esistente di

un’autorizzazione integrata ambientale. Giudizio della Corte 29 Occorre ricordare che dall’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC risulta che la data di scadenza per rendere conformi gli impianti esistenti era fissata al 30 ottobre 2007 (v. sentenza 4 marzo 2010, causa C-258/09, Commissione/Belgio, punto 27). 30 Orbene, dalle informazioni comunicate dalla Repubblica italiana il 14 aprile e il 18 novembre 2009 emerge che soltanto una parte delle autorizzazioni preesistenti era stata riesaminata e, ove necessario, aggiornata, mentre le autorità competenti non avevano ritenuto necessario riesaminare le autorizzazioni di 608 impianti preesistenti per garantirne la conformità alla direttiva IPPC. 31 Nelle sue memorie, la Repubblica italiana sostiene che, nelle more della conclusione delle procedure di rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, e al fine di non arrecare pregiudizio alle aziende che avevano presentato tempestivamente la domanda, le autorità competenti si sono limitate a verificare l’assenza di un evidente contrasto con i requisiti della direttiva IPPC. 32 La Repubblica italiana aggiunge che, in ogni modo, alla scadenza del termine assegnato con il parere motivato, vale a dire al 2 aprile 2009, gli impianti esistenti ancora sprovvisti di autorizzazione integrata ambientale funzionavano nel rispetto dei requisiti della direttiva IPPC. 33 A tale proposito, va osservato che, come risulta dall’art. 1 della direttiva IPPC, tra i vari obblighi che il legislatore dell’Unione ha imposto agli Stati membri figurano quelli di cui all’art. 5, n. 1, di tale direttiva, finalizzati al conseguimento di un livello elevato di protezione dell’ambiente

nel suo complesso. Pertanto, soltanto un’esecuzione piena e conforme, da parte degli Stati membri,

degli obblighi ad essi incombenti in forza della citata direttiva consentirà il raggiungimento di tale obiettivo di protezione. 34 Inoltre, occorre constatare, come ha fatto la Commissione, che il riesame delle autorizzazioni preesistenti consiste in una valutazione approfondita delle condizioni esistenti al momento del rilascio, con la conseguente possibilità di verificare la loro conformità ai requisiti specifici della direttiva IPPC e, quindi, l’eventuale necessità di un aggiornamento. 35 Dal tenore letterale dell’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC e dalla finalità di tale disposizione risulta infatti che i requisiti relativi al funzionamento degli impianti esistenti si applicano allo stesso modo tanto in sede di esame preliminare al rilascio di un’autorizzazione integrata ambientale

quanto in caso di riesame delle autorizzazioni preesistenti. 36 Pertanto, la mera verifica delle autorizzazioni preesistenti, diretta esclusivamente a valutare l’assenza di un evidente contrasto con i requisiti della direttiva IPPC, non appare adeguata al fine di

garantire il rispetto degli obblighi previsti dall’art. 5, n. 1, di tale direttiva. 37 Ciò premesso, l’argomento della Repubblica italiana secondo il quale gli impianti esistenti

rispettano gli ulteriori obblighi di legge introdotti successivamente e, pertanto, il loro funzionamento sarebbe conforme ai requisiti della direttiva IPPC, non può essere accolto. Tale verifica delle autorizzazioni preesistenti non consente infatti di accertare la conformità del funzionamento degli impianti esistenti ai requisiti della direttiva IPPC. Ciò vale a maggior ragione in quanto, come sottolineato dalla Commissione, la Repubblica italiana non ha fornito e nemmeno menzionato informazioni quali il riferimento delle procedure di riesame e l’indicazione dei motivi

in base ai quali le autorizzazioni preesistenti non necessitavano di un adeguamento. 38 Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, occorre considerare fondato il ricorso proposto dalla Commissione.

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39 Si deve pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli artt. 6 e 8 della direttiva IPPC, ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle prescrizioni, che gli impianti esistenti ai sensi dell’art. 2, punto 4, di tale direttiva funzionino secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, lett. a) e b), e 15, n. 2, della medesima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. 1, della citata direttiva. Sulle spese 40 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso in tal senso, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese. Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara e statuisce: 1) La Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli artt. 6 e 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 gennaio 2008, 2008/1/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (versione codificata), ovvero, nei modi opportuni, mediante il

riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle prescrizioni, che gli impianti esistenti ai sensi

dell’art. 2, punto 4, di tale direttiva funzionino secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, lett. a) e b), e 15, n. 2, della medesima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. 1, della citata direttiva. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. Firme

http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=80824&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=258

T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 12 dicembre

2008, n. 1767 INQUINAMENTO - A.I.A. - D.lgs. n. 59/2005 - Poteri del sindaco in relazione al TULS 1265/1934 in materia di industrie insalubri - Coordinamento e limiti. L’autorizzazione integrata ambientale è istituto introdotto nel nostro ordinamento dal d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59; essa si propone, a fini di maggiore efficacia ed efficienza, di sostituire con un unico titolo abilitativo i molti di essi che in precedenza erano necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante. Con l’’A.I.A. risulta pertanto contraddittorio un potere come quello riconosciuto al Sindaco dagli artt. 216 e 217 T.U.L.S. in relazione al D.M. 5 settembre 1994: se al Sindaco stesso fosse consentito, attraverso la dichiarazione di insalubrità, di obbligare in qualsiasi momento l’industria destinataria del provvedimento, ancorché fornita di A.I.A., ad allontanarsi dall’abitato, è evidente che di autorizzazione integrata, e onnicomprensiva, non si potrebbe più parlare, e l’obiettivo della legge sarebbe frustrato. In proposito, quindi, il legislatore del d. lgs. 59/2005, al comma 11 dell’art. 5, ha previsto un coordinamento fra le due discipline, imponendo all’autorità che rilascia l’A.I.A. di acquisire, in sede di istruttoria, le “prescrizioni del Sindaco di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934 n°1265”, di tenerne conto nel rilascio dell’autorizzazione; al Sindaco ha conferito poi un potere di intervento anche a posteriori, consentendogli “in presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell’autorizzazione” e qualora “lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica” di chiedere alla Regione il riesame, in vista ovviamente di una revoca o modifica, dell’autorizzazione stessa. In sintesi, il potere di far allontanare un’industria in quanto insalubre è degradato a potere di intervento e di promozione procedimentale nei riguardi della Regione, che ormai accentra tutte le competenze in materia. Pres. Petruzzelli, Est. Gamabto Spisani - W. s.r.l. (avv. Bini) c. Comune di Quinzano D'Oglio (avv. Bezzi) - TAR LOMBARDIA,

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Brescia, Sez. I - 12 dicembre 2008, n.1767

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

N. 01767/2008 REG.SEN. N. 00723/2007 REG.RIC.

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 723 del 2007, proposto da: W.T.E. Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Ughetta Bini, con domicilio eletto presso Maria Ughetta Bini in Brescia, via Ferramola, 14 (Fax=030/3755220);

contro

Comune di Quinzano D'Oglio, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso Domenico Bezzi in Brescia, via Cadorna, 7 (030/2938011) @; nei confronti di Asl 302 - A.S.L. della Provincia di Brescia, Asl 302 - A.S.L. della Provincia di Brescia Distretto Socio Sanitario N. 8; per l’annullamento del decreto 16 aprile 2007 n° prot. 3251, con il quale il Sindaco del Comune di Quinzano d’Oglio ha classificato come industria insalubre di I classe per le lavorazioni, deposito e impianti di depurazione e trattamento, lettera b voce 100 del D.M. 5 settembre 1994 l’insediamento sito alla via Zaccagnini di quel Comune e di pertinenza della W.T.E. S.r.l.; di tutti gli atti presupposti e consequenziali e in particolare, ove necessario: della deliberazione 12 aprile 2007 n°55, con la quale la Giunta comunale di Quinzano d’Oglio ha approvato la bozza del decreto di cui sopra; della nota 21 dicembre 2005 n° prot. 0167191, con la quale il responsabile di area igiene e medicina di comunità e il direttore del distretto n°8 della A.S.L. di Brescia proponevano la classificazione suddetta; della nota 26 marzo 2007 n° prot. 0045422 degli stessi funzionari; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Quinzano D'Oglio; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27/11/2008 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

La W.T.E. S.r.l. gestisce alla via Zaccagnini in Comune di Quinzano d’Oglio, a ridosso dell’abitato, un impianto di smaltimento di rifiuti speciali, liquidi ovvero fangosi, non pericolosi,

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autorizzato già con decreto 21 febbraio 2006 n°444 del Direttore dell’area ambiente della Provincia di Brescia (doc. 7 ricorrente, copia di esso; l’ubicazione dell’impianto è incontroversa in causa), e relativamente a tale impianto ha ricevuto, come comunicatole dal Comune, numerose lamentele relative ad immissioni maleodoranti nell’atmosfera (doc. ti 12 e 13 ricorrente, copie note del Comune); da ultimo, ha ricevuto il decreto meglio indicato in epigrafe, che classifica l’impianto in questione come industria insalubre di prima classe, in quanto volta al trattamento di “rifiuti solidi e liquami” e, com’è noto, ne comporta la necessità di trasferimento in zona lontana dall’abitato, salvo che si dimostri l’assenza di conseguenze pregiudizievoli per i vicinanti (doc. 1 ricorrente, copia decreto impugnato). Avverso tale provvedimento, la W.T.E. propone impugnazione articolata in tre motivi: - con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, per omissione dell’avviso di inizio procedimento, vertendosi a suo avviso al di fuori dei casi in cui esso può omettersi; - con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 216 T.U. leggi sanitarie, in quanto la propria attività avrebbe ad oggetto non già liquami, bensì rifiuti liquidi, che dai primi differirebbero sia per natura sia per classificazione normativa; - con il terzo motivo, deduce ulteriore violazione dell’art. 216 T.U. citato, in quanto, anche ammesso che una data industria rientri in astratto in una categoria di industrie insalubri, la sua classificazione in tal senso richiederebbe una concreta valutazione di pericolosità, dopo adeguata istruttoria, che nella specie sarebbe mancata. Si è costituito il Comune di Quinzano, con atto 18 marzo 2008 e memoria del 13 novembre successivo, difendendo invece la legittimità del proprio operato e chiedendo la reiezione del ricorso. All’udienza del giorno 27 novembre 2008, il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO Il ricorso va dichiarato improcedibile, per le ragioni di seguito precisate. 1. La disamina compiuta dalle parti non ha tenuto conto di un dato di fatto rilevante: successivamente alla pronuncia del provvedimento impugnato, che come risulta in epigrafe è del 16 aprile 2007, la Regione ha rilasciato, in data 22 novembre 2007, alla ricorrente WTE la cd. A.I.A. , ovvero l’autorizzazione integrata ambientale, che è prodotta in copia nel presente procedimento. 2. L’autorizzazione integrata ambientale è istituto introdotto nel nostro ordinamento dal d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59, che recepisce una direttiva europea, e infatti reca in epigrafe “attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento”; essa si propone, a fini di maggiore efficacia ed efficienza, di sostituire con un unico titolo abilitativo i molti di essi che in precedenza erano necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, e infatti consente all’imprenditore che lo gestisce di avere un unico ente pubblico, in Italia la Regione, come interlocutore, con intuibile risparmio di tempo e di risorse ed eliminando il rischio di valutazioni contraddittorie, per le quali l’impianto che per un dato ente è autorizzabile e può funzionare viene bloccato da un altro ente nell’esercizio delle competenze sue proprie. 3. Già da questa sommaria ricostruzione dell'istituto, è chiaro che con esso risulta contraddittorio un potere come quello riconosciuto al Sindaco dagli artt. 216 e 217 T.U.L.S. in relazione al D.M. 5 settembre 1994 ed esercitato nel caso di specie: se al Sindaco stesso fosse consentito, attraverso la dichiarazione di insalubrità, di obbligare in qualsiasi momento l’industria destinataria del provvedimento, ancorché fornita di A.I.A., ad allontanarsi dall’abitato, è evidente che di autorizzazione integrata, e onnicomprensiva, non si potrebbe più parlare, e l’obiettivo della legge sarebbe frustrato. 4. In proposito, quindi, il legislatore del d. lgs. 59/2005, al comma 11 dell’art. 5, ha previsto un coordinamento fra le due discipline, imponendo all’autorità che rilascia l’A.I.A. di acquisire, in sede di istruttoria, le “prescrizioni del Sindaco di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934 n°1265”, ovvero del citato TULS in materia di industrie insalubri, e di tenerne conto nel rilascio dell’autorizzazione; al Sindaco ha conferito poi un potere di intervento anche a

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posteriori, consentendogli “in presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell’autorizzazione” e qualora “lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica” di chiedere alla Regione il riesame, in vista ovviamente di una revoca o modifica, dell’autorizzazione stessa. In sintesi, il potere di far allontanare un’industria in quanto insalubre è degradato a potere di intervento e di promozione procedimentale nei riguardi della Regione, che ormai accentra tutte le competenze in materia. 5. In tali termini, è necessario concludere che in presenza di una A.I.A. validamente rilasciata ad una industria, e avverso quella ottenuta dalla WTE non constano allo stato impugnative, eventuali precedenti provvedimenti con i quali il Sindaco abbia dichiarato insalubre la stessa industria perdono di efficacia, perché superati dall’A.I.A. medesima, che incide sul medesimo ambito di competenza, e permette in via autonoma al privato di operare. Ne segue la improcedibilità del presente ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. 6. Il rilievo di ufficio della questione è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile il ricorso. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27/11/2008 con l'intervento dei Magistrati: Giuseppe Petruzzelli, Presidente Sergio Conti, Consigliere Francesco Gambato Spisani, Referendario, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 12/12/2008 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) IL SEGRETARIO

http://www.ambientediritto.it/sentenze/2008/TAR/Tar_Lombardia_BS_2008_n.1767.htm A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA ISOLA DELLE FEMMINE http://isoladellefemmineitalcementieambiente.blogspot.it/2010/08/azienda-insalubre-italcementi-nel.html