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- 1 - Mercanti e traffici nel Canale di Brenta (1571-1702) 1 Katia Occhi “… non si avverte nelle fonti di antico regime uno stacco e una contrapposizione fra pianura e montagna1 . Il 16 luglio 1571 Nicola Fabris, il notaio di fiducia dei fratelli Camoli, Pace e Battista q. Antonio era a Primolano. Come soleva fare di tanto in tanto era venuto da Asolo per stilare le abituali scritture notarili per conto dei due fratelli, titolari di una delle più grosse imprese di mercanti di legname della valle del Brenta. Ma quell’estate era giunto anche per compilare la lista dei beni dotali di Angela, figlia di Pace. L’importanza dell’evento era tale che alla stesura dell’atto intervenne come testimone, oltre a Paolo Sonda q. Lorenzo di Cassola, anche “Joanne Bicharelle Uffer capitano in fortillitia Cuballi”, vale a dire Hanns Winkelhofen esponente di una famiglia della nobiltà tirolese da qualche anno capitano arciducale alla fortezza. Il notaio prese nota dei beni di Angela, che sposava Nicolò Carrara q. Paolo, un attivo mercante di Borgo Valsugana. Si trattava di: - una pezza di tabbi brazza disesete L. 70 - panno alto negro brazza sie L. 45 - una vesta de scarlato L. 63 - un doblon rosso L. 20 - un mocaiaro paonazo L. 34 - una vesta di panno paonazzo L. 20 - un mocaiaro negro L. 24 - una rassa negra L. 20 - una vesta de valenzana roana L. 18 - una bombasina biancha L. 21 - una traversa de lin L. 13 - un paro de manege de raso chremesin L. 10.10 1 Il contributo è pubblicato in: Uomini e paesaggi del Canale di Brenta, a cura di D. Perco-M. Varotto, Cierre Edizioni, Verona 2004, pp. 55-94, ISBN 888314267

Mercanti e traffici_2004

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Mercanti e traffici nel Canale di Brenta (1571-1702)1

Katia Occhi

“… non si avverte nelle fonti di antico regime

uno stacco e una contrapposizione

fra pianura e montagna”1.

Il 16 luglio 1571 Nicola Fabris, il notaio di fiducia dei fratelli Camoli, Pace e Battista q.

Antonio era a Primolano. Come soleva fare di tanto in tanto era venuto da Asolo per

stilare le abituali scritture notarili per conto dei due fratelli, titolari di una delle più

grosse imprese di mercanti di legname della valle del Brenta. Ma quell’estate era giunto

anche per compilare la lista dei beni dotali di Angela, figlia di Pace.

L’importanza dell’evento era tale che alla stesura dell’atto intervenne come testimone,

oltre a Paolo Sonda q. Lorenzo di Cassola, anche “Joanne Bicharelle Uffer capitano in

fortillitia Cuballi”, vale a dire Hanns Winkelhofen esponente di una famiglia della

nobiltà tirolese da qualche anno capitano arciducale alla fortezza.

Il notaio prese nota dei beni di Angela, che sposava Nicolò Carrara q. Paolo, un attivo

mercante di Borgo Valsugana.

Si trattava di:

- una pezza di tabbi brazza disesete L. 70

- panno alto negro brazza sie L. 45

- una vesta de scarlato L. 63

- un doblon rosso L. 20

- un mocaiaro paonazo L. 34

- una vesta di panno paonazzo L. 20

- un mocaiaro negro L. 24

- una rassa negra L. 20

- una vesta de valenzana roana L. 18

- una bombasina biancha L. 21

- una traversa de lin L. 13

- un paro de manege de raso chremesin L. 10.10

1 Il contributo è pubblicato in: Uomini e paesaggi del Canale di Brenta, a cura di D. Perco-M. Varotto,

Cierre Edizioni, Verona 2004, pp. 55-94, ISBN 888314267

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- un per de manege de velludo negro L. 12

- uno paro de manege de velludo verde L. 13

- un paro de manege de damascho rosso L. 12

- un paro de manege de mochairao roan L. 3.12

- un colleto de veludo negro L. 21

- un colleto de damascho roan L. 18

- un colleto de raso negro L. 16

- un colleto de ormesin paonazo L. 8

- un colleto de mochaiaro negro L. 11

- camise de lin nove n. sette L. 67

- camise de canevo n. tre L. 12

- un paro de linzolli de lino L. 50

- dui colleti di seda cum oro L. 14

- due scuffie L. 20

//

- dui fazoli di seda L. 20

- un fazolo da cambra L. 13

- quattro grembialli di diverse sorte L. 6

- dui para forete L. 10

- nove grembiali grossi L. 5

- un fazollo da cambra lavorato de negro L. 7

- una cassa di nogara granda lavorada L. 21

- quattro collari di tella L. 12

- collane e anelli L. 250.12

- una fizza di coralli L. 10

- una fizza di perle tra grosse e minude cum li perosini doro n. 12 L. 50

- tre annelli doro L. 48

I beni mobili della dote valevano 1088.14 lire, alle quali si aggiungevano altre 1868 lire,

per un totale di 2956.14 lire, che erano più di 470 ducati2.

Ma come ci si regolava di norma con gli importi delle doti in questa zona? Posto che

ogni famiglia provvedeva secondo le proprie disponibilità, scorrendo gli strumenti

dotali di alcune donne sposatesi tra Bassano, Campese, Molvena e Solagna negli stessi

anni, possiamo notare che la somma assegnata ad Angela era di tutto rispetto. Nel 1576

Jacopo da Ponte, oramai pittore affermato, assegnò alla figlia Marina una dote di 400

ducati3.

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Più di vent’anni più tardi Giacoma, la figlia di Nicolò Carrara, ai tempi del matrimonio

con il capitano Pietro Girardi di Primiero, avrebbe avuto una dote ancora più

ragguardevole: 1000 ducati4.

Ma che cosa stava alla base delle fortune di queste famiglie? Come era riuscito Pace

Camoli a mettere insieme il patrimonio, che gli consentiva ora di dotare la figlia con

vesti di pregiati tessuti di lana, seta e pelo di cammello, con costosi accessori di

cremisino, damasco, ormesino e velluto di colori assortiti? E ancora con coralli, ori e

perle?

È presto detto. Il suo patrimonio proveniva dai commerci sul fiume. E in primo luogo

dai commerci di legnami. Come del resto, le ricchezze dei numerosi mercanti residenti

nella valle tra ‘500 e ‘600.

1. Il Brenta e il commercio di legname

Il Brenta, insieme all’Adige e al Piave, era una delle principali vie fluviali che

percorrevano la Terraferma veneta, collegando i territori montani alle città e ai centri

della pianura. Nato dai laghi di Levico e Caldonazzo esso attraversava le giurisdizioni

del Tirolo italiano - che faceva parte dell’arciducato d’Austria e di conseguenza

dell’Impero - per introdursi nella Repubblica di Venezia all’altezza di Primolano.

Nella stretta gola del Canale del Brenta le acque erano convogliate nelle roste e nei

canali di derivazione dei diversi impianti manifatturieri e una volta giunte a Bassano

entravano nella pianura veneta, dove irrigavano le campagne e continuavano ad

azionare vari opifici.

Data la conformazione della valle, che disponeva di esigui terreni coltivabili, le

principali attività economiche erano legate al fiume, sui quali si esercitò per secoli il

commercio del legname, soprattutto di abete bianco, abete rosso, faggio e larice.

Nell’Europa di antico regime la domanda di legname raggiungeva livelli quantitativi

altissimi, dato che questa materia prima era l’unica forma di combustibile e il suo

impiego si estendeva a tutti i settori industriali.

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Nello stato veneto, una regione ad altissima densità demografica, attorno ai legnami (da

costruzione e da ardere) e ai loro derivati (carbone dolce) ruotavano molteplici interessi,

non solo per le caratteristiche ambientali della capitale.

A Venezia si concentravano importanti attività economiche con produzioni differenziate

quali l’Arsenale, le fornaci, le fucine, le vetrerie di Murano e la zecca. Inoltre la città era

anche un’importante sede per diversi scambi commerciali che facevano capo ad alcuni

empori del Mediterraneo come l’Egitto, Malta, le Puglie e il regno di Napoli.

Di conseguenza sin dalla conquista della Terraferma – agli inizi del ‘400 - molti patrizi

veneziani furono attirati dalle ricchezze dei distretti alpini.

Il territorio della valle del Brenta non fece eccezione. Il patrimonio boschivo fu per

secoli la principale risorsa della valle, nella quale si sviluppò un piccolo distretto

industriale per la lavorazione di assi e tavolame e la produzione di carbone di legna. Un

fenomeno che si protrasse fino all’introduzione della tabacchicoltura, ma che continuò

anche in seguito, esaurendosi progressivamente nel corso dell’800.

Già negli anni Quaranta del ‘400 la repubblica era stata colpita da una profonda crisi di

approvvigionamento di legna da ardere e da opera, destinata in parte anche alle

costruzioni navali.

Le autorità veneziane adottarono quindi diverse misure amministrative e legislative.

Esse culminarono con la catastazione di tutti i roveri al di qua del Mincio attorno alla

metà del ‘500, estesa più tardi a faggi e conifere. Per garantire i rifornimenti per la

cantieristica navale furono riservati diversi boschi in varie zone della Terraferma. Ma

questi provvedimenti non riuscirono a porre rimedio alla scarsità di risorse forestali per

il fabbisogno interno.

La contea tirolese fu per secoli uno dei principali fornitori di legname dello stato

veneziano, attraverso alcune vie di traffico dell’arco alpino, che facevano capo alle città

della pianura veneta di Verona, Padova e Venezia, considerevoli centri di consumo e di

scambio. L’utilizzo della via fluviale del Brenta è attestato sin dall’età medievale.

Il Canale del Brenta era dotato di ampie risorse boschive locali provenienti dal

Massiccio del Grappa e dall’Altipiano, che le comunità gestivano in modo

prevalentemente autonomo. Ma un apporto non trascurabile proveniva da quelle

trasportate lungo il torrente Cismon, principale affluente del Brenta, a sua volta

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tributario di diversi torrenti alpini quali il Canali, la Noana, il Lozen, il Vanoi e la

Senaiga.

Alla fine del ‘500 il gettito dei dazi ricavati dai legnami in transito tra la contea del

Tirolo e la repubblica veneta proveniva dall’Adige, dal Brenta e da alcune giurisdizioni

gravitanti sul Piave. I rendimenti per le casse arciducali erano i seguenti:

- il 14,10% dalle valli Badia, Pusteria e Fiemme trasportati sul Piave e il

Cordevole

- il 39,19% dall’Adige

- il 46,71% dall’asse Cismon-Brenta.

2. Il Canale del Brenta

Il Canale del Brenta costituì lo snodo privilegiato tra le risorse forestali dei feudi tirolesi

del Primiero, del Tesino e della Valsugana e i mercati cittadini di Padova e Venezia. Per

secoli fu una sede strategica, dove confluirono diverse direttrici di interessi. Data la

vicinanza con il territorio imperiale gli operatori erano in grado di accedere agli uffici

minerari e doganali (a Fiera di Primiero e a Grigno) dove erano rilasciate le concessioni

di taglio dei boschi arciducali e di venderle al patriziato e alla borghesia cittadina,

fungendo da meccanismo scambiatore tra mondo tedesco e veneto.

Per evidenti caratteri di natura geografica, chi voleva riservarsi il mercato della valle

doveva mantenere buone relazioni con chi controllava quello di Fonzaso, principale

porto sul Cismon. Non a caso, nella seconda metà del ‘600 un quarto circa del legname

da opera che pagava la decima del vescovo di Feltre a Fonzaso era di mercanti del

Canale di Brenta, operatori settoriali legati alle più importanti ditte mercantili di

pianura.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la conformazione montuosa e la scarsità di

terreni coltivabili non impedirono il fiorire di diverse attività e di conseguenza la nascita

di una società alquanto composita, formata non solo da contadini e boscaioli, ma anche

da notai e mercanti.

In questa zona maturò una produzione manifatturiera decentrata rispetto ai grandi centri

urbani, la cui rilevanza non fu solo locale; questo anche grazie ad un’intensa attività

degli abitanti che avevano dovuto cimentarsi con altre occupazioni per integrare i

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proventi di un’agricoltura povera. Essi non si erano limitati a sfruttare le risorse dei

territori in cui vivevano, ma grazie alle relazioni con mercanti cittadini e alla loro abilità

tecnica avevano dato vita a compagnie di boschieri itineranti in diverse valli alpine.

La presenza di un importante ceto mercantile e di numerosi lavoranti specializzati nelle

varie segherie della valle si tradusse anche nella diffusione di alcuni servizi di base. Già

nei primi decenni del ‘600 si registra l’attività di chirurghi locali, affiancati anche da

altri professionisti provenienti da Arsié, Bassano e Lusiana5.

Le comunità valligiane si interessarono anche ai servizi scolastici, che dovevano

rispondere a motivazioni tanto economiche quanto sociali. Nella prima metà del ‘600

nel paese di Valstagna viene ingaggiato dalla comunità un parroco-maestro per garantire

le competenze primarie ai bambini. Competenze che avrebbero consentito loro di

imparare a leggere e scrivere e mantenere così i contatti con le famiglie, quando le

attività lavorative li avrebbero portati lontano per un’emigrazione stagionale, come

boschieri, zattieri e spaccalegna. E ancora filatori, stampatori e “libraria”, come Marco

Lazzaroni, che nel 1639 fu mandato dal padre a Padova per quattro anni a imparare il

mestiere da Giulio Crivellari "stampador al pozzo dipento". Del resto una simile

premura è attestata in varie zone della montagna italiana, dove si registra un maggior

tasso di alfabetizzazione rispetto alle campagne6.

Il mercato del legname nei secoli dell’età moderna consentì lo sviluppo e il

consolidamento di molte ricchezze. Ne sono testimoni in Valstagna, come negli altri

villaggi della valle, le numerose famiglie arricchitesi con quest’attività e i vari operatori

forestieri che seguendo il corso del Brenta, provenendo da sud e da nord, si insediarono

in queste zone sia per sfruttare le risorse forestali, sia l’energia idraulica del fiume,

facendo costruire oltre ai vari impianti anche diverse abitazioni.

Di queste residenze restano oggi pochi esempi, come Palazzo Perli a Valstagna, il

piccolo centro di Carpané, sede della manifattura dei Carrara prima e dei patrizi

veneziani Cappello poi, il magazzino del Merlo, la cartiera di Oliero e qualche traccia

negli edifici dei centri storici di Primolano e Solagna.

Anche nella toponomastica rimane memoria degli insediamenti di antiche famiglie, ad

esempio la località Contarini, dove tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 nacque un

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piccolo distretto manifatturiero, dove erano in funzione un mulino da cereali,

un’officina da fabbro, una cartiera e un filatoio meccanico di proprietà della nobile

famiglia veneziana (diapositiva 16).

Bisogna ricordare che entrambi i versanti montuosi del Canale di Brenta erano

ampiamente utilizzati per la produzione di legna da ardere e da opera e carbone, in

particolare a Corlo, Enego, Incino, S. Nazario e Solagna. Il prodotto era destinato al

mercato bassanese, ma anche a quello di Padova, dove tra i vari acquirenti figurava la

corporazione dei fabbri.

Grazie alle loro risorse boschive i comuni riuscivano a garantirsi, tra mille difficoltà, i

rifornimenti di grano, e a far fronte ai carichi fiscali, alle spese di manutenzione degli

argini, dei ponti e delle strade.

Inserendo le risorse del territorio in un ampio circuito commerciale, i mercanti

importavano in questi distretti anche forniture di cereali non riservate solo alle squadre

di boschieri, bensì messe in vendita nei diversi comuni, dove questi personaggi finirono

per rappresentare un punto di riferimento anche per il credito, oltre che per favori e

protezioni.

Era inevitabile che la pressione commerciale provocasse forti risentimenti dei comuni

contro gli speculatori, tanto locali quanto forestieri, che si traducevano in furti di legna a

detta dei mercanti o in legittime raccolte di "stelli et sbreghi che sonno per causa di

rotura schiapati dalle bore di essa conduta" secondo i capi villaggio. C’erano anche

forti attriti all’interno delle comunità, tra coloro che coltivavano i boschi a scopi

mercantili e coloro che si dedicavano all’allevamento, propensi a ridurre i boschi a

pascolo. Ne seguivano "desordini et dani gravissimi che si vien fati per li brusamenti”.

Questi villaggi lungo il confine tra lo stato veneto e la contea del Tirolo divennero dei

piccoli centri industriali della montagna grazie alla loro posizione geografica, al regime

di fiumi e torrenti e alla vicinanza con i mercati della pianura. Erano favoriti

particolarmente i luoghi situati allo sbocco di valli, dove le mulattiere, che non erano

solo vie di comunicazione, ma anche mezzi per il trasporto del legname, si

raccordavano a strade più importanti.

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Insieme a Carpané, Valstagna fu per secoli un vivace centro di scambi, dove c’erano“…

molte seghe per ridurre li legnami in tavole, e poi fatte in rati <zattere>, e caricate di

carbone, legne da fuoco & altre mercatantie, a seconda dell’acqua sono condotte a

Padova, & in altri luoghi”, come scriveva nel 1623 Angelo Portenari, maestro di sacra

teologia dell’ordine degli eremitani e lettore di filosofia straordinaria allo studio di

Padova.

Valstagna godeva di una posizione privilegiata visto che si trovava, come oggi del resto,

allo sbocco della Calà del Sasso, un manufatto risalente alla fine del ‘300, che non

funzionava solo come via di transito dall’Altipiano di Asiago, ma anche come rìsina per

l’avvallamento dei tronchi. Gli stazi di consegna del legname diretto al paese si

trovavano in località Sasso, in un luogo chiamato Altar dell’Asino (boschi di Valstagna

e di Asiago), alla Fontanella e ai cosiddetti Sassi stretti (boschi di Gallio).

La quantità di legnami in uscita dall’Altipiano era sicuramente cospicua, ma è

problematico fare una stima, in mancanza di fonti contabili, disponibili invece per

quelle in uscita dalla valle del Cismon.

Esistevano altre vie che si raccordavano al Brenta, i cosiddetti correggi, mulattiere che

conducevano agli stazi (depositi), dove era sistemato il legname, in attesa di essere

spedito in pianura. Se ne trovavano diverse sia in territorio trentino (a Samone, a

Castelnuovo e a Grigno) che nel Canale del Brenta.

Le vie di sbocco del versante a picco sul Canale erano il correggio di Enego, la val

Gadena e la val Frenzela. Altri percorsi di uscita dall’Altipiano seguivano l’Astico e il

Tesina e si riversavano direttamente a Vicenza.

Anche per il collegamento con il Massiccio del Grappa vi erano vari correggi. Tra i

tanti, qui si ricordano quelli di Cismon e della valle di S. Lorenzo (tra Cismon e S.

Marino), utilizzato per i trasporti fino al Brenta in località Bastianazzi.

3. Boschieri e zattieri

I tronchi, marchiati con le node da legno dei rispettivi proprietari erano estratti dal

bosco dagli uomini dei villaggi. Il lavoro nei boschi richiedeva grandi quantità di operai

e di animali: a volte erano necessari fino a venti uomini o dalle otto alle dieci paia di

buoi per spostare una taglia. Oltre ai buoi, si ricorreva ai cavalli e talvolta alla

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costruzione di ponti e rìsine di legno, canali concavi più o meno lunghi, formati da

diversi tronchi affiancati e ancorati al suolo. Grazie alla pendenza costante del 25-30% e

alla copertura di neve ghiacciata il legname era fatto scivolare a valle e condotto agli

approdi fluviali per essere poi spinto in acqua.

Per facilitare la fluitazione in menada (condotta sciolta) lungo i vari torrenti, i boschieri

costruivano le stue, sbarramenti di legno, pietre e muschio, che richiedevano molto

lavoro e quindi avevano costi alti di realizzazione. In questo modo i tronchi erano

trattenuti fino all’apertura della porta principale della stua, che avveniva solo

periodicamente. In momenti prestabiliti la diga era aperta ed acqua e legnami erano

trasportati a valle da una piena artificiale, che andava sorvegliata perché poteva causare

danni a persone e cose, tanta era la violenza delle acque. Numerose erano le stue

costruite lungo gli affluenti del Cismon, mentre nel territorio del Canale di Brenta ne

viene menzionata una nella Valgadena nel 1632.

Le abilità sviluppate dai boschieri e dagli zattieri dell’asta del fiume Brenta li portavano

ad impiegarsi anche nelle condotte di legname di altri paesi lungo l’alto e il basso corso

del fiume: sul monte Sella presso Borgo Valsugana, in Primiero, in Tesino, lungo il

Maso, il Cismon, la Senaiga, il Lozen, il Vanoi. Gli spostamenti potevano essere di

pochi chilometri, ma anche di raggio più ampio. Lo dimostrano le riunioni di “vicinia”

(i consigli comunali) sempre a ranghi ridotti perché gli uomini si trovavano fuori dal

paese e gli atti notarili che testimoniano il loro impiego come boschieri e zattieri lungo

l’Astico e l’Adige, ma anche nella zona di Augusta, città gravitante sul bacino del

Danubio.

Se è vero che i boscaioli della valle lavoravano fuori dal paese è altrettanto vero che i

mercanti importavano manodopera forestiera. Un villaggio come Valstagna per tutelare

i propri abitanti contro la pressione della manodopera esterna nel 1652 ribadì l’esistenza

del divieto di assumere lavoranti forestieri, imponendo 50 soldi di multa ai

contravventori. Tuttavia l’importo è così basso da sembrare funzionale a pacificare

contrasti in seno al paese, piuttosto che a fare da deterrente. I grossi mercanti potevano

continuare a importare manodopera pagando l’ammenda, gli altri si sarebbero attenuti

alla disposizione.

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Una volta raggiunti i porti dell’asse fluviale Cismon – Brenta, vale a dire Fonzaso per il

primo e Valstagna per il secondo, i legnami erano sistemati negli stazi dei mercanti, in

attesa di essere lavorati nelle varie segherie. Anche le borre di legna da ardere venivano

raccolte in questi depositi in attesa di essere spedite verso il porto di Padova, il

Bassanello.

Giunti nel Canale di Brenta i legnami erano legati in zattere, sulle quali erano caricati

anche i carboni e le altre merci. Questi natanti erano formati da coppole, unità di 18-20

taglie (tronchi lunghi 4,17 m.) affiancate e tenute insieme da ritorte di polloni di

nocciolo o di salice (sache). Le taglie erano forate, in testa e in coda, sui piazzali di

deposito e poi fatte scivolare in acqua mediante l’uso del sapìn, un ferro robusto e

allungato, terminante ad uncino. Unite le 5 coppole, le zattere erano lunghe fino a 20

metri, larghe circa 5 e manovrabili servendosi di remi.

Le zattere, usate nelle acque profonde almeno 1 metro e con un regime regolare,

partivano anche in territorio trentino: dagli stazi di Castelnuovo, Villa, Agnedo e dal

correggio di Grigno. Gli scali veneti erano il Ramon della Piovega (tra Primolano e

Cismon), gli stazi presso il ponte del Cismon e la piazza di Valstagna.

Le zattere viaggiavano sia lungo il corso principale del Brenta che lungo i canali di

derivazione (roste e ramoni). Giunte a Limena si immettevano nella Brentella, il canale

trecentesco che deviava il corso del fiume a sud della città di Padova. Qui le acque si

raccordavano con il Bacchiglione, fino a raggiungere il Bassanello, importante centro di

smercio.

Le zattere proseguivano poi il loro viaggio fino a Lizza Fusina e dopo i lavori idraulici

eseguiti nel ‘500 per la salvaguardia della laguna fino a Brondolo. Da Padova a Venezia

il trasporto dei legnami era fatto su burchi e competeva in genere alla corporazione dei

battellieri di Padova.

Le zattere non trasportavano solo legna e carbone. Da Valstagna partivano carichi di

cuoio, lane, prodotti caseari dell’Altopiano di Asiago e utensili di legno. Come si può

rilevare dall’iconografia storica, a nord di Bassano salivano anche passeggeri.

Alla condotta delle zattere del Brenta sovrintendeva la confraternita degli zattieri di

Valstagna, sotto il patrocinio di S. Nicola, raffigurato nella chiesa di S. Antonio Abate.

Nel 1566 la compagnia era composta da 21 uomini, attivi tra il basso corso del Cismon

(Fonzaso) e Padova. L’associazione regolamentava le zone di competenza dei vari

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zattieri, i salari (parte in viveri, parte in denaro) e le multe per i trasgressori. Per quanto

riguardava le zone di lavoro, si faceva una precisa suddivisione: chi si occupava del

trasporto a Fonzaso, chi lavorava sopra il correggio di Valstagna, chi si recava sopra le

masiere, chi si spingeva a sud di Bassano fino a Fontaniva, a Friola, a Limena, a Padova

e fora di Padova. Nel 1640 sappiamo che erano attivi 18 zattieri di Valstagna e 14 di

Oliero.

L’unico contratto per la legatura di zattere rinvenuto mostra che il salario di un legatore

era basato sul cottimo, vale a dire sulla quantità di taglie forate e legate. Vale la pena

esaminare il contratto di Adamo q. Mattio Fiorese dal Cismon al servizio di Pietro Perli:

nel 1669 egli si impegnò a "forar et ligar tutte le bore di fagaro, pezo et altro legno"

che si trovavano al Ramon della Piovega. Fiorese doveva "forar, ligar, metter zovelli,

sache et altro". Gli zattieri dovevano solo porle nell'acqua "metter suso il suo remo et

venir via". Il compenso pattuito doveva essere saldato in sorgo turco e miglio.

La navigazione sul Brenta incontrava spesso degli ostacoli, dovuti agli eventi naturali

come alluvioni e piene, ma anche a interminabili controversie e liti per l’uso delle

acque. I proprietari delle ville, dei mulini e delle segherie lungo il Brenta avevano la

tendenza a far deviare le acque per l’irrigazione dei fondi agricoli o per lo sfruttamento

dell’energia idraulica, danneggiando la fluitazione e mettendo in pericolo di vita gli

zattieri.

4. I mercanti

Gli intensi contatti commerciali, la presenza di numerosi operatori immigrati dalle città

favorirono la nascita di un ceto di ricchi mercanti, come i Camoli ad esempio, dotati di

patrimoni e relazioni d’affari con la nobiltà tirolese e la borghesia delle città di pianura.

Questi gruppi gestirono per secoli il commercio di transito tra le valli alpine del

Trentino e del Tirolo esportando legnami dalla montagna e importandovi cereali, vini e

stoffe. Essi garantirono in tal modo l’integrazione tra questi villaggi e la pianura.

La zona di influenza di questi notabili era disegnata dalle loro elargizioni, che assieme

al credito rinsaldavano i vincoli clientelari con gli abitanti dei villaggi. Le élite locali si

distinsero, come quelle cittadine del resto, nel commissionare oratori privati, pale

d’altare, istituire legati per i poveri e le ragazze in età da marito.

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Data la natura di questo contributo, le vicende delle case commerciali attive nel distretto

possono essere solo brevemente tratteggiate. La mia scelta è caduta su quelle che mi

sono sembrate più significative nell’arco cronologico analizzato. Tuttavia viste le tante

tracce lasciate nei protocolli dei notai, molti altri gruppi famigliari meriterebbero di

essere studiati a fondo per chiarire l’articolazione delle attività nei distretti della

pedemontana veneta in età moderna.

Come visto, un’importante famiglia di mercanti era quella dei Camoli che nella seconda

metà del ‘500 aveva sede a Primolano. Originari di Menin, un villaggio nel distretto di

Feltre, a Primolano i fratelli Pace e Battista q. Antonio si occupavano di trasporti e di

commercio di legname lavorando soprattutto sul massiccio del Grappa, sull’altopiano di

Asiago e nelle giurisdizioni della bassa Valsugana. Il raggio delle attività commerciali

comprendeva i boschi del feudo di Ivano (Grigno, Strigno e paesi limitrofi), di Primiero,

dei villaggi di Enego in Altipiano e di Cismon sul Grappa. I Camoli si occupavano

dell’intero ciclo produttivo, dalla locazione dei boschi fino alla consegna al Bassanello e

a “lizza Fosina” nella laguna di Venezia. I Camoli, oltre a commerciare in proprio e in

società, svolgevano anche servizi di procuratori per la nobiltà padovana in cerca di

lucrosi affari nel mercato del legname. Esso era lavorato nelle segherie di loro proprietà

dislocate a Cismon (2) e a Carpanè (1).

Come detto la famiglia si occupava anche dell’attività di trasporti: nel 1578 Pace

Camoli fu conduttore della menada di legname di Padova sul Brenta. Altri membri della

famiglia furono “boari del rodolo” della vicinia di Primolano, le compagnie di

carrettieri, presenti in varie zone della Repubblica, che qui competevano agli uomini dei

villaggi della sinistra Brenta. Essi si occupavano della manutenzione della strada e

inoltre dei trasporti per i mercanti del Fondaco dei Tedeschi di Venezia, gli unici a

detenere il privilegio di esportare le merci levantine giunte nella capitale verso i territori

d’oltralpe.

Sulla riva sinistra del Brenta in località Merlo esistevano diverse segherie dei dal

Monico o de Bosis, mercanti di legname provenienti da Padova, con interessi di taglio a

Enego, a Borso del Grappa e nel Primiero. Presenti nel Canale di Brenta sin dagli inizi

del ‘500 secolo si occupavano di approvvigionamento, lavorazione e distribuzione di

legna, anche per conto terzi, a Padova.

- 13 -

Sull’altro lato del fiume avevano la loro sede i Sartori di Valstagna. I loro affari erano

divisi tra mercato del carbone, del credito, della lana, del legname e della terra. Il

patrimonio comprendeva livelli (crediti), beni fondiari, diritti di taglio e segherie

distribuiti nelle giurisdizioni imperiali tra Borgo, Cinte Tesino, Grigno, Pieve Tesino,

Primiero, Scurelle e Telve. In territorio veneto, tra le tante proprietà avevano anche

quelle di Angarano, Bassano, Campolongo, Enego, Foza, Fonzaso, Gallio, Marostica,

Oliero, Tezze sul Brenta, Vallonara e Valstagna. Nel 1581 erano diventati cittadini di

Vicenza e nel 1592 di Bassano, dopo aver “fatto parentado con honorati cittadini di

questa terra” e nel 1599 erano stati ammessi nel Maggior Consiglio di Bassano.

Erano operatori di grosso calibro anche i Mazzoni di Valstagna attivi tra ‘500 e ‘600.

Titolari di segherie a Fonzaso, Oliero e Valstagna, dove stavano di casa in via Rosta,

possedevano terreni a Ospedaletto di Valsugana, a Carpanè, a Rosà e un magazzino per

il carbone a Oliero. Avevano botteghe anche a Padova e a Este, dove erano soliti fare i

loro acquisti di biade.

I Mazzoni avevano interessi commerciali nelle regole di Asiago e di Valstagna in

Altipiano e in quelli di Cismon sul massiccio del Grappa. Il loro bacino di

approvvigionamento era tuttavia ampiamente sbilanciato verso i boschi imperiali -

Primiero, Tesino, Valsugana e valle di Non - dove lavoravano associati con le maggiori

famiglie di Fonzaso, oltre che con mercanti e nobili di Bassano, Borgo Valsugana,

Feltre, Rovereto e Verona. Dalla residenza di Valstagna offrivano servizi al patriziato

veneto: i Memmo, i Nani, i Foscari, i Pesaro, i Morosini.

Perno fondamentale nella storia dell’azienda fu la collaborazione con l’Arsenale di

Venezia, al quale fornirono tra 1616 e 1632 198.620 pezzi assortiti in “balestriere,

banchetti, bordonali, legni, patene, piane, ponte, ponti, pontapiedi, scalete, scaloni,

squaradi, tagliole, tavole, zapini ” di abete bianco, rosso e larice, oltre a 466 larici, 59

antenne e 39 pennoni. A Venezia, per la vendita al dettaglio, si appoggiavano alla

bottega di Zuane Tiepolo q. Francesco, il patrizio veneto, che seppe approfittare del loro

fallimento per installarsi nel Canale di Brenta.

Altra importante famiglia della valle è quella dei Carraro o Carrara. Grazie alle origini

imperiali (come visto Nicolò Carrara era di Borgo Valsugana) e ai continui contatti con

il mondo austriaco essi offrivano ai loro soci della terraferma veneta competenze

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linguistiche e appoggi presso le magistrature centrali (Innsbruck) e locali, conoscenze

con i feudatari e le élite dei distretti tirolesi per ottenere le licenze di taglio dei boschi.

Il centro nevralgico della società era la sede di Carpanè, dove erano coordinate le

diverse fasi - acquisizione dei diritti di taglio, semilavorazione del prodotto, trasporto e

vendita di legname. I loro affari ruotavano soprattutto attorno alle forniture provenienti

dal Tesino e dal Primiero.

Nella seconda metà del ‘500 la famiglia Carrara acquisì diversi beni tra Borgo

Valsugana e Bassano: abitazioni, magazzini, orti, prati e sei segherie, concentrate tra

Cismon (1), Carpanè (4, più una fucina), Oliero (1), una bottega a Venezia in Barbaria

delle Tole e il noto ponte del Cismon, acquistato dal conte Giacomo Angarano. Ponte

attorno al quale nacquero molteplici contrasti, culminati con la concessione e la posa

della tariffa in pietra tra 1622-1625. Nell’intento delle magistrature veneziane essa

mirava a porre fine a una miriade di controversie tra i Carrara (sempre restii a garantire

la sua manutenzione), i mercanti del Fondaco dei Tedeschi di Venezia e le comunità

della bassa Valsugana.

Grazie alle ricchezze accumulate nei traffici di legname Nicolò Carrara ottenne la

concessione della cittadinanza di Bassano nel 1592. Nel 1623 Orazio, Baldissera,

Francesco Carrara, figli di Nicolò, e il loro cugino Nicolò acquisirono dagli arciduchi

d’Austria il titolo nobiliare “von Niederhaus” e furono iscritti nell’elenco della

matricola dei nobili del Tirolo, per meriti conseguiti nei commerci di legnami e in

importanti incarichi svolti nei confini dell’arciducato. Una parte della famiglia si trasferì

a Bolzano, occupandosi di incarichi per gli arciduchi d’Austria. Con gli anni ’30 del

‘600 i loro interessi in valle furono ceduti a terzi, tra cui i patrizi Cappello che

acquisirono le segherie di Carpané.

Anche per via del ponte, i Carrara mantennero dei regolari rapporti con la comunità di

Cismon, tanto che nel 1624 Baldissera Carrara istituì un legato di tre messe settimanali

da dirsi nella chiesa “al Pè d'Ancino”7.

In quanto ai Perli erano anch’essi una famiglia di prosperi mercanti, residenti a

Valstagna. Come tutti gli altri operatori della valle dovevano le loro fortune al

commercio di carbone e legname, praticato lungo l’asta del Cismon e del Brenta.

Nel 1620 Ruggero Perli q. Pellegrin risulta alle dipendenze dei fratelli Mazzoni di

Valstagna8.

- 15 -

I servizi per conto del patriziato veneto erano una delle tante opportunità per i residenti

della valle e costituivano delle occasioni di lavoro con le quali avviare i contatti nel

circuito creditizio veneziano. Nel 1634 Bastian Perli figlio di Ambrosio, insieme ad altri

uomini di Valstagna e Fonzaso, era al servizio di Girolamo Foscarini q. Alvise, patrizio

veneto, per il taglio di legnami nei boschi dello Schener (tra il Feltrino e Primiero)9.

Foscarini aveva ampi interessi nel commercio di legname delle zone pedemontane

comprese tra la valle del Cismon-Brenta e la Valdastico. Nel 1644 aveva affittato dal

comune di Cismon un terreno in località valle delle Farine e un altro lo aveva comprato

in val Nassa per costruire una roggia. Era un manufatto di notevoli dimensioni, sul

quale si era impegnato a costruire 3 ponti per permettere agli abitanti di raggiungere i

campi e i pascoli posti oltre la brentella10.

Nel 1641 Ambrosio Perli era già un mercante di un certo rilievo per poter disporre della

liquidità con cui affittare i boschi dai comuni. In quell’anno insieme ai soci Antonio q.

Bortolo di Merzari e Mattio Lazzaroni q. Battista subappaltava a diverse ditte il lavoro

nel bosco di Lusiana: ad alcuni il taglio di legnami da opera e da carro, ad altri la

produzione del carbone11. Nel 1646 Battista Perli di Mattia è uno degli addetti a

condurre legnami sull’Astico e il Tesina fino a Vicenza per conto dei patrizi Girolamo

Foscarini e Giovanni Malipiero12.

Nel 1651 Pietro Perli q. Sebastiano affitta alcuni boschi in Valsugana dalla comunità di

Scurelle e nel 1661 il bosco di Sella a Borgo Valsugana13. Tra la fine ‘600 e gli inizi del

‘700 la società di Antonio Perli estrasse, soprattutto dalla valle del Vanoi, 134.000

tronchi lavorati nelle segherie di Arsiè e Valstagna14.

L’azienda dei Perli era una grossa ditta e i loro investimenti erano diversificati. Nel

1650 Pietro Perli q. Sebastiano acquistò un mulino da grano con 3 ruote sull’Oliero, che

aveva in affitto da tempo (diapositiva 12). Nel 1675 il figlio Bortolo Perli fece costruire

un filatoio a Valstagna (diapositiva 9)15.

Ma il mercato dei legnami continuerà a costituire un’importante voce tra gli impegni

finanziari dei Perli, dato che Bortolo Perli nel 1685 diede l’incarico ad Agostino

Agostinelli di Bassano di comprare dal nobile feltrino Bonifacio Pasole q. Agostino due

melle da sega a Pedesalto (Fonzaso). Nel 1686 a Dolo era in costruzione un fondaco

dove sarebbe stato stoccato legname a nome di Bortolo16.

- 16 -

Nel 1677 il dottor Sebastiano Perli, altro figlio di Pietro, ottenne la cittadinanza di

Bassano e l’anno successivo fu ammesso nel Maggior Consiglio della città17.

Nel 1679 fu fatta la stima del patrimonio di Pietro Perli q. Sebastiano in occasione della

stesura del suo testamento. Tra i beni dotali delle figlie e i soldi anticipati ai figli per i

servizi per conto della Repubblica (Sebastiano aveva prestato servizio nel Reggimento

di Verona) esso ammontava a più di 120.000 lire, equivalenti a quasi 20.000 ducati. Essi

erano ripartiti in crediti, legnami, la casa di Valstagna, parecchi beni immobili,

magazzini e terreni situati a Cismon, Conco, Pove e Solagna. Pietro non era solo un

abile mercante, ma uomo di vasti interessi, dato che possedeva pure una biblioteca del

valore di 800 ducati18.

Con il matrimonio, celebrato prima del 1745, tra Barbara, ultima discendente dei Perli,

con Giambattista Remondini tutte le fortune famigliari passarano alla casa dei famosi

stampatori, che da lì in avanti si fecero chiamare Perli-Remondini.

5. Segherie ed opifici a forza idraulica

Sin dal ‘400 l’Arsenale di Venezia fece segare il legname destinato alle costruzioni

navali negli impianti dell’entroterra, per salvaguardare la laguna dagli interramenti. Una

di queste zone si trovava lungo il Canale di Brenta. Il legname dei boschi locali e quello

proveniente da terre aliene erano lavorati nelle numerose segherie, che agli inizi del

‘700 erano 26. Esse non dipendevano solo da commesse statali, ma destinavano i vari

assortimenti anche al comparto dell’edilizia privata. Gli impianti erano in funzione tutto

l’anno, non subendo in genere interruzioni dovute alle gelate invernali.

Nel ’600 il regime lavorativo era di 24 ore. Il numero dei segantini non era molto

elevato, si andava da due a tre uomini per opificio. La proprietà delle segherie, strutture

piuttosto costose, era concentrata nelle mani di mercanti di legname della valle, di

patrizi veneziani e di esponenti della borghesia bassanese e padovana.

I due operai nella segheria a ciclo continuo che si trovava a Oliero nel 1638 lavoravano

"compartendo fra loro le hore et tempo per dover esser assistenti al meter a seghar

come il spitiar et squadrar le taglie et tirar alla siegha". Dovevano occuparsi anche

della manutenzione dell’edificio, in caso di piene assicurarsi che la legna fosse fissata

bene sugli stazi e "non dovranno sparagnar fatica et periculo per salvarla". Oltre al

- 17 -

loro compenso essi avevano diritto a tenere la segatura e le cortecce dei tronchi. È

interessante notare che i segantini erano talvolta anche coloro che costruivano

l’impianto.

Oltre ai tradizionali lavori legati al taglio del bosco e al trasporto di legname, diversi

abitanti erano impegnati nell’allevamento bovino e ovino, facilitati dalla vicinanza dei

pascoli dell’Altipiano di Asiago e del Grappa.

A partire dal 1635 si possono osservare le prime attività legate alla lavorazione della

seta, che diventerà un settore preminente per tutto il distretto nei decenni successivi. In

quell’anno a Valstagna si rileva “una stantia dove li era alcuni fornelli da trar seda, …

con un brollo contiguo posta in contrà della chiesa"19. La perizia degli uomini

impiegati in questa arte li testimonia attivi in qualità di filatori di orsogli (organzini di

seta che servivano a confezionare l’ordito delle pannine veneziane) a servizio dei

mercanti di seta di Treviso e Venezia (1658)20.

Nel 1675 “un ediffitio da seda alla bolognese” di proprietà di Bortolo Perli e del suo

socio Angelo Todesco aveva sede a Valstagna, vicino alla chiesa parrocchiale21. Si

trattava di un impianto che richiedeva notevoli investimenti per le infrastrutture (rogge,

ponti, strade), gli edifici, le macchine utensili, gli strumenti semplici, oltre ad un

notevole capitale circolante per l’approvvigionamento di materie prime e di costi del

lavoro. Tra il personale impiegato nel filatoio di Perli-Todesco figuravano alcune

ragazze i cui compensi oscillavano tra le 3-4 lire al mese22.

La presenza di questi filatoi si inserisce nel capitolo delle fortune del setificio bassanese.

La Valbrenta, come Bassano, beneficiava dell’energia di un fiume con la giusta

inclinazione per un buon funzionamento delle ruote idrauliche. A Bassano a metà ‘600

esistevano circa 200 mulini per produrre “orsogli alla rasera” (di filo meno bello

rispetto ai mulini alla bolognese). Nel 1700 il distretto si era convertito ai mulini alla

bolognese, dove si registra la maggior concentrazione di questi mulini da seta nello

stato veneto al di qua del Mincio. In quel anno a Valstagna si segnala un filatoio alla

bolognese azionato a mano dove erano impiegati oltre ad un “maestro” “4 putti per

torcere, 3 putti che girano l’edificio, 14 putelle nell’incannatoio, 14 donne che

doppiano la seda fuori dell’edificio alle loro case”.

- 18 -

Nel 1702 un altro filatoio venne costruito a Valstagna da Ciprian q. Sebastian Bricito da

Bassano per conto di Gio. Batta q. Zuanne Gianese per essere azionato dalla sorgente

del Tovo (si veda la sorgente nelle diapositive 7 e 10)23. L’impianto era composto da

"un arbore da fillar in vintiquattro da sei valleghi, et di mezo arbore di torcer in vinti

naspi per vallego ed un sol fornimento sive con una sola muda di fusi, rocchelli,

rocchelle e particolarmente li fusi lunghi oncie dieci ancorché usadi ma della maggior

perfetione et ogn'altro bisognevole per render detto edifficio di tutta compitezza de

modo ch'altro non manchi che mettervi sopra la seda per lavorarla et ridurla come

sopra in orsoglio …".

In quegli anni, il settore serico nel bassanese assorbiva nel complesso oltre 1.175

persone, per lo più donne e bambini (immagini degli impianti in Valbrenta nelle

diapositive 7, 8, 9, 10, 12)24.

Gli attenti studi dedicati ai Remondini negli ultimi decenni hanno contribuito a far luce

su una delle più grosse imprese di stampatori della Terraferma veneta. A partire dal

1735 i Remondini, imprenditori bassanesi originari di Padova, presero in affitto due

cartiere sul Brenta, poste ad Oliero, di proprietà delle famiglie patrizie veneziane

Tiepolo (diapositive 13, 14, 15) e Cappello, e poco dopo un impianto sulla Rea a

Campese. Il prestigio di queste cartiere era legato alla produzione di carte di gran

pregio, ottenute grazie alla limpidezza e alla regolarità delle acque che consentivano

lavorazioni raffinate e costanti, salvo nei periodi di brentane o di magre. Grazie

all’energia del fiume erano azionati i magli e i cilindri che trituravano gli stracci

necessari per la fabbricazione della carta. La cartiera grande, costruita nel 1728, era un

edificio di vaste dimensioni. Disposta su tre piani, occupava 1300 m2, era lunga 100

metri e larga 13 e utilizzava macchinari moderni per una produzione più rapida e

migliore rispetto alla maggior parte degli impianti della Repubblica veneta. Da questi

opifici uscivano le carte utilizzate per le famose incisioni remondiniane, che venivano

portate fino alla stamperia di Bassano a dorso di mulo. Erano i cosiddetti “Santi dei

Remondini”, immagini raffiguranti divinità e scene religiose, e poi stampe con soggetti

profani come “Il Paese di cuccagna”, gli annuari, i calendari, i lunari e ancora carte da

parati, ventagli, carte da gioco, carte geografiche e infine i fogli per la produzione

tipografica. Per tutto il ‘700 e anche nei primi decenni del secolo seguente, l’azienda

- 19 -

Remondini distribuì le sue incisioni nell’Europa centrale e in Spagna raggiungendo,

attraverso gli ambulanti del Tesino, anche la Russia, il Cairo, l’impero ottomano e le

Americhe.

Bibliografia e note

Di seguito si dà conto di una breve bibliografia per un inquadramento del periodo storico e dei temi

trattati. In quanto alle note, ci si è limitati a fornire le indicazioni dei principali atti notarili cui si fa

riferimento. Per ulteriori indicazioni rimando ai miei lavori citati in bibliografia.

Per concludere desidero ringraziare il personale dell’archivio di stato di Bassano del Grappa per la

collaborazione.

Dedico queste mie note ad Adriano.

Abbreviazioni usate nel testo

ASBAs Archivio di stato di Vicenza, sezione di Bassano del Grappa

NA Notarile di Asolo

NB Notarile di Bassano

ASBl Archivio di stato di Belluno

N Notarile

b. = busta

c./cc. = carta/e

nn. = non numerate/a

L. = Lire

prot. = protocollo

q. = quodam (fu)

1 MOZZARELLI (1988), p. 9.

2 ASBas, NA, Nicola Fabris, b. 71, prot. 1571, cc. 53v-55r, Primolano, 16.7.1571. Nicolò Carrara in tale

occasione donava alla moglie come controdote altri 200 ducati aurei.

3 Le altre doti prese in considerazione sono quelle contenute nei seguenti protocolli notarili: ASBas, NB,

Giulio Gosetti, b. 119, prot. 1571; ASBas, NB, Nicola Appollonio, b. 108, prot. 1571. La dote di Marina,

figlia di Jacopo da Ponte, in: La famiglia (1992), pp. 46-47.

4 ASBas, NB, Ludovico Bassi, b. 147, prot. 1595, cc. 48r-49r, Carpané, 14.2.1595.

5 ASBl, N, Simone Zen, b. 7874, cc. 278v-279v, 19.8.1629. ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/b, prot.

1639, c. 64r-v, Valstagna, 1639.6.14. ASBl, N, Francesco Emilei, b. 2904, c. 355r, 1640.5.11. ASBas,

NB, Pompeo Perli, b. 570, prot. 1608-1611, c. 171r, Oliero, 12.7.1611.; b. 571, prot. 1618-1619, c. 21r-v;

11.4.1619; c. 73v, 11.7.1619. ASBas, NB, Gio. Battista Prane, b. 572/b, c. 11v, 22.2.1638; b. 577, c. 103r-

v, 28.12.1663.

6 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/B, prot. 1639, cc. 72v-73r. Sul maestro di Valstagna cfr. SIGNORI

(1979), pp. 74-77. Sulla scuola in aree di montagna cfr. TOSCANI (1993).

7 ASBas, NB, Giorgio Trintinaglia, b. 494, prot. 4, c. 18r-v, Cismon, 2.10.1673.

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8 ASBas, NB, Pompeo Perli, b. 571, prot. 1619-1621, c. 185v, Valstagna, 14.11.1620.

9 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, 1634, cc. 39v-40r, Valstagna, 5.8.1634.

10 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 573, prot. 1644, cc. 47v-49r, Valstagna, 7.10.1644. cc. 67r-69v,

Valstagna, 21.10.1644.

11 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/B, prot. 1641, c. 83r-v, Valstagna, 1.7.1641.

12 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 573, prot. 1647, cc. 120r-121r, Valstagna, 29.7.1647.

13 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 574, prot. 1651, c. 70r-v, Valstagna, 24.7.1651. ASBas, NB, Gio. Batta

Prane, b. 577, prot. 1663, c. 20r-v, Valstagna, 27.3.1663.

14 SIMONATO ZASIO (2000), p. 39.

15 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 575, prot. 1659, cc. 67r-68r, Valstagna, 1659.7.28.

16 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 579, prot. 1685, c. 244r, Valstagna, 18.11.1685; prot. 1686,

c. 92r, Valstagna, 1686.6.3.

17 COMPOSTELLA, (1905).

18 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 578, prot. 1679, cc. nn., nr. 275, Valstagna, 13.3.1679.

19 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/a, Prane, prot. 1633-1642, cc. 77r-78r, Valstagna, 8.1.1635. Nei

fornelli si soffocavano le crisalidi dei bachi. Dopo una cernita erano fatte macerare. Seguivano una serie

di ulteriori operazioni durante le quali si cercava il capofilo dei bozzoli per riunire le bave e formare il filo

da avvolgere su un aspo.

20 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 575, prot. 1658, c. 115r-v, Valstagna, 5.11.1658.

21 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 578, prot. 1677, cc. 15r-17v, Valstagna, 3.7.1677.

22 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 578, prot. 1677, c. 47v, nr. 57, Valstagna, 7.11.1677.

23 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 581, prot. 1702, c. 53r-v, Valstagna, 18.10.1702.

24 MATTOZZI (1997), p. 471.

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