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Mercanti e traffici nel Canale di Brenta (1571-1702)1
Katia Occhi
“… non si avverte nelle fonti di antico regime
uno stacco e una contrapposizione
fra pianura e montagna”1.
Il 16 luglio 1571 Nicola Fabris, il notaio di fiducia dei fratelli Camoli, Pace e Battista q.
Antonio era a Primolano. Come soleva fare di tanto in tanto era venuto da Asolo per
stilare le abituali scritture notarili per conto dei due fratelli, titolari di una delle più
grosse imprese di mercanti di legname della valle del Brenta. Ma quell’estate era giunto
anche per compilare la lista dei beni dotali di Angela, figlia di Pace.
L’importanza dell’evento era tale che alla stesura dell’atto intervenne come testimone,
oltre a Paolo Sonda q. Lorenzo di Cassola, anche “Joanne Bicharelle Uffer capitano in
fortillitia Cuballi”, vale a dire Hanns Winkelhofen esponente di una famiglia della
nobiltà tirolese da qualche anno capitano arciducale alla fortezza.
Il notaio prese nota dei beni di Angela, che sposava Nicolò Carrara q. Paolo, un attivo
mercante di Borgo Valsugana.
Si trattava di:
- una pezza di tabbi brazza disesete L. 70
- panno alto negro brazza sie L. 45
- una vesta de scarlato L. 63
- un doblon rosso L. 20
- un mocaiaro paonazo L. 34
- una vesta di panno paonazzo L. 20
- un mocaiaro negro L. 24
- una rassa negra L. 20
- una vesta de valenzana roana L. 18
- una bombasina biancha L. 21
- una traversa de lin L. 13
- un paro de manege de raso chremesin L. 10.10
1 Il contributo è pubblicato in: Uomini e paesaggi del Canale di Brenta, a cura di D. Perco-M. Varotto,
Cierre Edizioni, Verona 2004, pp. 55-94, ISBN 888314267
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- un per de manege de velludo negro L. 12
- uno paro de manege de velludo verde L. 13
- un paro de manege de damascho rosso L. 12
- un paro de manege de mochairao roan L. 3.12
- un colleto de veludo negro L. 21
- un colleto de damascho roan L. 18
- un colleto de raso negro L. 16
- un colleto de ormesin paonazo L. 8
- un colleto de mochaiaro negro L. 11
- camise de lin nove n. sette L. 67
- camise de canevo n. tre L. 12
- un paro de linzolli de lino L. 50
- dui colleti di seda cum oro L. 14
- due scuffie L. 20
//
- dui fazoli di seda L. 20
- un fazolo da cambra L. 13
- quattro grembialli di diverse sorte L. 6
- dui para forete L. 10
- nove grembiali grossi L. 5
- un fazollo da cambra lavorato de negro L. 7
- una cassa di nogara granda lavorada L. 21
- quattro collari di tella L. 12
- collane e anelli L. 250.12
- una fizza di coralli L. 10
- una fizza di perle tra grosse e minude cum li perosini doro n. 12 L. 50
- tre annelli doro L. 48
I beni mobili della dote valevano 1088.14 lire, alle quali si aggiungevano altre 1868 lire,
per un totale di 2956.14 lire, che erano più di 470 ducati2.
Ma come ci si regolava di norma con gli importi delle doti in questa zona? Posto che
ogni famiglia provvedeva secondo le proprie disponibilità, scorrendo gli strumenti
dotali di alcune donne sposatesi tra Bassano, Campese, Molvena e Solagna negli stessi
anni, possiamo notare che la somma assegnata ad Angela era di tutto rispetto. Nel 1576
Jacopo da Ponte, oramai pittore affermato, assegnò alla figlia Marina una dote di 400
ducati3.
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Più di vent’anni più tardi Giacoma, la figlia di Nicolò Carrara, ai tempi del matrimonio
con il capitano Pietro Girardi di Primiero, avrebbe avuto una dote ancora più
ragguardevole: 1000 ducati4.
Ma che cosa stava alla base delle fortune di queste famiglie? Come era riuscito Pace
Camoli a mettere insieme il patrimonio, che gli consentiva ora di dotare la figlia con
vesti di pregiati tessuti di lana, seta e pelo di cammello, con costosi accessori di
cremisino, damasco, ormesino e velluto di colori assortiti? E ancora con coralli, ori e
perle?
È presto detto. Il suo patrimonio proveniva dai commerci sul fiume. E in primo luogo
dai commerci di legnami. Come del resto, le ricchezze dei numerosi mercanti residenti
nella valle tra ‘500 e ‘600.
1. Il Brenta e il commercio di legname
Il Brenta, insieme all’Adige e al Piave, era una delle principali vie fluviali che
percorrevano la Terraferma veneta, collegando i territori montani alle città e ai centri
della pianura. Nato dai laghi di Levico e Caldonazzo esso attraversava le giurisdizioni
del Tirolo italiano - che faceva parte dell’arciducato d’Austria e di conseguenza
dell’Impero - per introdursi nella Repubblica di Venezia all’altezza di Primolano.
Nella stretta gola del Canale del Brenta le acque erano convogliate nelle roste e nei
canali di derivazione dei diversi impianti manifatturieri e una volta giunte a Bassano
entravano nella pianura veneta, dove irrigavano le campagne e continuavano ad
azionare vari opifici.
Data la conformazione della valle, che disponeva di esigui terreni coltivabili, le
principali attività economiche erano legate al fiume, sui quali si esercitò per secoli il
commercio del legname, soprattutto di abete bianco, abete rosso, faggio e larice.
Nell’Europa di antico regime la domanda di legname raggiungeva livelli quantitativi
altissimi, dato che questa materia prima era l’unica forma di combustibile e il suo
impiego si estendeva a tutti i settori industriali.
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Nello stato veneto, una regione ad altissima densità demografica, attorno ai legnami (da
costruzione e da ardere) e ai loro derivati (carbone dolce) ruotavano molteplici interessi,
non solo per le caratteristiche ambientali della capitale.
A Venezia si concentravano importanti attività economiche con produzioni differenziate
quali l’Arsenale, le fornaci, le fucine, le vetrerie di Murano e la zecca. Inoltre la città era
anche un’importante sede per diversi scambi commerciali che facevano capo ad alcuni
empori del Mediterraneo come l’Egitto, Malta, le Puglie e il regno di Napoli.
Di conseguenza sin dalla conquista della Terraferma – agli inizi del ‘400 - molti patrizi
veneziani furono attirati dalle ricchezze dei distretti alpini.
Il territorio della valle del Brenta non fece eccezione. Il patrimonio boschivo fu per
secoli la principale risorsa della valle, nella quale si sviluppò un piccolo distretto
industriale per la lavorazione di assi e tavolame e la produzione di carbone di legna. Un
fenomeno che si protrasse fino all’introduzione della tabacchicoltura, ma che continuò
anche in seguito, esaurendosi progressivamente nel corso dell’800.
Già negli anni Quaranta del ‘400 la repubblica era stata colpita da una profonda crisi di
approvvigionamento di legna da ardere e da opera, destinata in parte anche alle
costruzioni navali.
Le autorità veneziane adottarono quindi diverse misure amministrative e legislative.
Esse culminarono con la catastazione di tutti i roveri al di qua del Mincio attorno alla
metà del ‘500, estesa più tardi a faggi e conifere. Per garantire i rifornimenti per la
cantieristica navale furono riservati diversi boschi in varie zone della Terraferma. Ma
questi provvedimenti non riuscirono a porre rimedio alla scarsità di risorse forestali per
il fabbisogno interno.
La contea tirolese fu per secoli uno dei principali fornitori di legname dello stato
veneziano, attraverso alcune vie di traffico dell’arco alpino, che facevano capo alle città
della pianura veneta di Verona, Padova e Venezia, considerevoli centri di consumo e di
scambio. L’utilizzo della via fluviale del Brenta è attestato sin dall’età medievale.
Il Canale del Brenta era dotato di ampie risorse boschive locali provenienti dal
Massiccio del Grappa e dall’Altipiano, che le comunità gestivano in modo
prevalentemente autonomo. Ma un apporto non trascurabile proveniva da quelle
trasportate lungo il torrente Cismon, principale affluente del Brenta, a sua volta
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tributario di diversi torrenti alpini quali il Canali, la Noana, il Lozen, il Vanoi e la
Senaiga.
Alla fine del ‘500 il gettito dei dazi ricavati dai legnami in transito tra la contea del
Tirolo e la repubblica veneta proveniva dall’Adige, dal Brenta e da alcune giurisdizioni
gravitanti sul Piave. I rendimenti per le casse arciducali erano i seguenti:
- il 14,10% dalle valli Badia, Pusteria e Fiemme trasportati sul Piave e il
Cordevole
- il 39,19% dall’Adige
- il 46,71% dall’asse Cismon-Brenta.
2. Il Canale del Brenta
Il Canale del Brenta costituì lo snodo privilegiato tra le risorse forestali dei feudi tirolesi
del Primiero, del Tesino e della Valsugana e i mercati cittadini di Padova e Venezia. Per
secoli fu una sede strategica, dove confluirono diverse direttrici di interessi. Data la
vicinanza con il territorio imperiale gli operatori erano in grado di accedere agli uffici
minerari e doganali (a Fiera di Primiero e a Grigno) dove erano rilasciate le concessioni
di taglio dei boschi arciducali e di venderle al patriziato e alla borghesia cittadina,
fungendo da meccanismo scambiatore tra mondo tedesco e veneto.
Per evidenti caratteri di natura geografica, chi voleva riservarsi il mercato della valle
doveva mantenere buone relazioni con chi controllava quello di Fonzaso, principale
porto sul Cismon. Non a caso, nella seconda metà del ‘600 un quarto circa del legname
da opera che pagava la decima del vescovo di Feltre a Fonzaso era di mercanti del
Canale di Brenta, operatori settoriali legati alle più importanti ditte mercantili di
pianura.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la conformazione montuosa e la scarsità di
terreni coltivabili non impedirono il fiorire di diverse attività e di conseguenza la nascita
di una società alquanto composita, formata non solo da contadini e boscaioli, ma anche
da notai e mercanti.
In questa zona maturò una produzione manifatturiera decentrata rispetto ai grandi centri
urbani, la cui rilevanza non fu solo locale; questo anche grazie ad un’intensa attività
degli abitanti che avevano dovuto cimentarsi con altre occupazioni per integrare i
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proventi di un’agricoltura povera. Essi non si erano limitati a sfruttare le risorse dei
territori in cui vivevano, ma grazie alle relazioni con mercanti cittadini e alla loro abilità
tecnica avevano dato vita a compagnie di boschieri itineranti in diverse valli alpine.
La presenza di un importante ceto mercantile e di numerosi lavoranti specializzati nelle
varie segherie della valle si tradusse anche nella diffusione di alcuni servizi di base. Già
nei primi decenni del ‘600 si registra l’attività di chirurghi locali, affiancati anche da
altri professionisti provenienti da Arsié, Bassano e Lusiana5.
Le comunità valligiane si interessarono anche ai servizi scolastici, che dovevano
rispondere a motivazioni tanto economiche quanto sociali. Nella prima metà del ‘600
nel paese di Valstagna viene ingaggiato dalla comunità un parroco-maestro per garantire
le competenze primarie ai bambini. Competenze che avrebbero consentito loro di
imparare a leggere e scrivere e mantenere così i contatti con le famiglie, quando le
attività lavorative li avrebbero portati lontano per un’emigrazione stagionale, come
boschieri, zattieri e spaccalegna. E ancora filatori, stampatori e “libraria”, come Marco
Lazzaroni, che nel 1639 fu mandato dal padre a Padova per quattro anni a imparare il
mestiere da Giulio Crivellari "stampador al pozzo dipento". Del resto una simile
premura è attestata in varie zone della montagna italiana, dove si registra un maggior
tasso di alfabetizzazione rispetto alle campagne6.
Il mercato del legname nei secoli dell’età moderna consentì lo sviluppo e il
consolidamento di molte ricchezze. Ne sono testimoni in Valstagna, come negli altri
villaggi della valle, le numerose famiglie arricchitesi con quest’attività e i vari operatori
forestieri che seguendo il corso del Brenta, provenendo da sud e da nord, si insediarono
in queste zone sia per sfruttare le risorse forestali, sia l’energia idraulica del fiume,
facendo costruire oltre ai vari impianti anche diverse abitazioni.
Di queste residenze restano oggi pochi esempi, come Palazzo Perli a Valstagna, il
piccolo centro di Carpané, sede della manifattura dei Carrara prima e dei patrizi
veneziani Cappello poi, il magazzino del Merlo, la cartiera di Oliero e qualche traccia
negli edifici dei centri storici di Primolano e Solagna.
Anche nella toponomastica rimane memoria degli insediamenti di antiche famiglie, ad
esempio la località Contarini, dove tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 nacque un
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piccolo distretto manifatturiero, dove erano in funzione un mulino da cereali,
un’officina da fabbro, una cartiera e un filatoio meccanico di proprietà della nobile
famiglia veneziana (diapositiva 16).
Bisogna ricordare che entrambi i versanti montuosi del Canale di Brenta erano
ampiamente utilizzati per la produzione di legna da ardere e da opera e carbone, in
particolare a Corlo, Enego, Incino, S. Nazario e Solagna. Il prodotto era destinato al
mercato bassanese, ma anche a quello di Padova, dove tra i vari acquirenti figurava la
corporazione dei fabbri.
Grazie alle loro risorse boschive i comuni riuscivano a garantirsi, tra mille difficoltà, i
rifornimenti di grano, e a far fronte ai carichi fiscali, alle spese di manutenzione degli
argini, dei ponti e delle strade.
Inserendo le risorse del territorio in un ampio circuito commerciale, i mercanti
importavano in questi distretti anche forniture di cereali non riservate solo alle squadre
di boschieri, bensì messe in vendita nei diversi comuni, dove questi personaggi finirono
per rappresentare un punto di riferimento anche per il credito, oltre che per favori e
protezioni.
Era inevitabile che la pressione commerciale provocasse forti risentimenti dei comuni
contro gli speculatori, tanto locali quanto forestieri, che si traducevano in furti di legna a
detta dei mercanti o in legittime raccolte di "stelli et sbreghi che sonno per causa di
rotura schiapati dalle bore di essa conduta" secondo i capi villaggio. C’erano anche
forti attriti all’interno delle comunità, tra coloro che coltivavano i boschi a scopi
mercantili e coloro che si dedicavano all’allevamento, propensi a ridurre i boschi a
pascolo. Ne seguivano "desordini et dani gravissimi che si vien fati per li brusamenti”.
Questi villaggi lungo il confine tra lo stato veneto e la contea del Tirolo divennero dei
piccoli centri industriali della montagna grazie alla loro posizione geografica, al regime
di fiumi e torrenti e alla vicinanza con i mercati della pianura. Erano favoriti
particolarmente i luoghi situati allo sbocco di valli, dove le mulattiere, che non erano
solo vie di comunicazione, ma anche mezzi per il trasporto del legname, si
raccordavano a strade più importanti.
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Insieme a Carpané, Valstagna fu per secoli un vivace centro di scambi, dove c’erano“…
molte seghe per ridurre li legnami in tavole, e poi fatte in rati <zattere>, e caricate di
carbone, legne da fuoco & altre mercatantie, a seconda dell’acqua sono condotte a
Padova, & in altri luoghi”, come scriveva nel 1623 Angelo Portenari, maestro di sacra
teologia dell’ordine degli eremitani e lettore di filosofia straordinaria allo studio di
Padova.
Valstagna godeva di una posizione privilegiata visto che si trovava, come oggi del resto,
allo sbocco della Calà del Sasso, un manufatto risalente alla fine del ‘300, che non
funzionava solo come via di transito dall’Altipiano di Asiago, ma anche come rìsina per
l’avvallamento dei tronchi. Gli stazi di consegna del legname diretto al paese si
trovavano in località Sasso, in un luogo chiamato Altar dell’Asino (boschi di Valstagna
e di Asiago), alla Fontanella e ai cosiddetti Sassi stretti (boschi di Gallio).
La quantità di legnami in uscita dall’Altipiano era sicuramente cospicua, ma è
problematico fare una stima, in mancanza di fonti contabili, disponibili invece per
quelle in uscita dalla valle del Cismon.
Esistevano altre vie che si raccordavano al Brenta, i cosiddetti correggi, mulattiere che
conducevano agli stazi (depositi), dove era sistemato il legname, in attesa di essere
spedito in pianura. Se ne trovavano diverse sia in territorio trentino (a Samone, a
Castelnuovo e a Grigno) che nel Canale del Brenta.
Le vie di sbocco del versante a picco sul Canale erano il correggio di Enego, la val
Gadena e la val Frenzela. Altri percorsi di uscita dall’Altipiano seguivano l’Astico e il
Tesina e si riversavano direttamente a Vicenza.
Anche per il collegamento con il Massiccio del Grappa vi erano vari correggi. Tra i
tanti, qui si ricordano quelli di Cismon e della valle di S. Lorenzo (tra Cismon e S.
Marino), utilizzato per i trasporti fino al Brenta in località Bastianazzi.
3. Boschieri e zattieri
I tronchi, marchiati con le node da legno dei rispettivi proprietari erano estratti dal
bosco dagli uomini dei villaggi. Il lavoro nei boschi richiedeva grandi quantità di operai
e di animali: a volte erano necessari fino a venti uomini o dalle otto alle dieci paia di
buoi per spostare una taglia. Oltre ai buoi, si ricorreva ai cavalli e talvolta alla
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costruzione di ponti e rìsine di legno, canali concavi più o meno lunghi, formati da
diversi tronchi affiancati e ancorati al suolo. Grazie alla pendenza costante del 25-30% e
alla copertura di neve ghiacciata il legname era fatto scivolare a valle e condotto agli
approdi fluviali per essere poi spinto in acqua.
Per facilitare la fluitazione in menada (condotta sciolta) lungo i vari torrenti, i boschieri
costruivano le stue, sbarramenti di legno, pietre e muschio, che richiedevano molto
lavoro e quindi avevano costi alti di realizzazione. In questo modo i tronchi erano
trattenuti fino all’apertura della porta principale della stua, che avveniva solo
periodicamente. In momenti prestabiliti la diga era aperta ed acqua e legnami erano
trasportati a valle da una piena artificiale, che andava sorvegliata perché poteva causare
danni a persone e cose, tanta era la violenza delle acque. Numerose erano le stue
costruite lungo gli affluenti del Cismon, mentre nel territorio del Canale di Brenta ne
viene menzionata una nella Valgadena nel 1632.
Le abilità sviluppate dai boschieri e dagli zattieri dell’asta del fiume Brenta li portavano
ad impiegarsi anche nelle condotte di legname di altri paesi lungo l’alto e il basso corso
del fiume: sul monte Sella presso Borgo Valsugana, in Primiero, in Tesino, lungo il
Maso, il Cismon, la Senaiga, il Lozen, il Vanoi. Gli spostamenti potevano essere di
pochi chilometri, ma anche di raggio più ampio. Lo dimostrano le riunioni di “vicinia”
(i consigli comunali) sempre a ranghi ridotti perché gli uomini si trovavano fuori dal
paese e gli atti notarili che testimoniano il loro impiego come boschieri e zattieri lungo
l’Astico e l’Adige, ma anche nella zona di Augusta, città gravitante sul bacino del
Danubio.
Se è vero che i boscaioli della valle lavoravano fuori dal paese è altrettanto vero che i
mercanti importavano manodopera forestiera. Un villaggio come Valstagna per tutelare
i propri abitanti contro la pressione della manodopera esterna nel 1652 ribadì l’esistenza
del divieto di assumere lavoranti forestieri, imponendo 50 soldi di multa ai
contravventori. Tuttavia l’importo è così basso da sembrare funzionale a pacificare
contrasti in seno al paese, piuttosto che a fare da deterrente. I grossi mercanti potevano
continuare a importare manodopera pagando l’ammenda, gli altri si sarebbero attenuti
alla disposizione.
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Una volta raggiunti i porti dell’asse fluviale Cismon – Brenta, vale a dire Fonzaso per il
primo e Valstagna per il secondo, i legnami erano sistemati negli stazi dei mercanti, in
attesa di essere lavorati nelle varie segherie. Anche le borre di legna da ardere venivano
raccolte in questi depositi in attesa di essere spedite verso il porto di Padova, il
Bassanello.
Giunti nel Canale di Brenta i legnami erano legati in zattere, sulle quali erano caricati
anche i carboni e le altre merci. Questi natanti erano formati da coppole, unità di 18-20
taglie (tronchi lunghi 4,17 m.) affiancate e tenute insieme da ritorte di polloni di
nocciolo o di salice (sache). Le taglie erano forate, in testa e in coda, sui piazzali di
deposito e poi fatte scivolare in acqua mediante l’uso del sapìn, un ferro robusto e
allungato, terminante ad uncino. Unite le 5 coppole, le zattere erano lunghe fino a 20
metri, larghe circa 5 e manovrabili servendosi di remi.
Le zattere, usate nelle acque profonde almeno 1 metro e con un regime regolare,
partivano anche in territorio trentino: dagli stazi di Castelnuovo, Villa, Agnedo e dal
correggio di Grigno. Gli scali veneti erano il Ramon della Piovega (tra Primolano e
Cismon), gli stazi presso il ponte del Cismon e la piazza di Valstagna.
Le zattere viaggiavano sia lungo il corso principale del Brenta che lungo i canali di
derivazione (roste e ramoni). Giunte a Limena si immettevano nella Brentella, il canale
trecentesco che deviava il corso del fiume a sud della città di Padova. Qui le acque si
raccordavano con il Bacchiglione, fino a raggiungere il Bassanello, importante centro di
smercio.
Le zattere proseguivano poi il loro viaggio fino a Lizza Fusina e dopo i lavori idraulici
eseguiti nel ‘500 per la salvaguardia della laguna fino a Brondolo. Da Padova a Venezia
il trasporto dei legnami era fatto su burchi e competeva in genere alla corporazione dei
battellieri di Padova.
Le zattere non trasportavano solo legna e carbone. Da Valstagna partivano carichi di
cuoio, lane, prodotti caseari dell’Altopiano di Asiago e utensili di legno. Come si può
rilevare dall’iconografia storica, a nord di Bassano salivano anche passeggeri.
Alla condotta delle zattere del Brenta sovrintendeva la confraternita degli zattieri di
Valstagna, sotto il patrocinio di S. Nicola, raffigurato nella chiesa di S. Antonio Abate.
Nel 1566 la compagnia era composta da 21 uomini, attivi tra il basso corso del Cismon
(Fonzaso) e Padova. L’associazione regolamentava le zone di competenza dei vari
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zattieri, i salari (parte in viveri, parte in denaro) e le multe per i trasgressori. Per quanto
riguardava le zone di lavoro, si faceva una precisa suddivisione: chi si occupava del
trasporto a Fonzaso, chi lavorava sopra il correggio di Valstagna, chi si recava sopra le
masiere, chi si spingeva a sud di Bassano fino a Fontaniva, a Friola, a Limena, a Padova
e fora di Padova. Nel 1640 sappiamo che erano attivi 18 zattieri di Valstagna e 14 di
Oliero.
L’unico contratto per la legatura di zattere rinvenuto mostra che il salario di un legatore
era basato sul cottimo, vale a dire sulla quantità di taglie forate e legate. Vale la pena
esaminare il contratto di Adamo q. Mattio Fiorese dal Cismon al servizio di Pietro Perli:
nel 1669 egli si impegnò a "forar et ligar tutte le bore di fagaro, pezo et altro legno"
che si trovavano al Ramon della Piovega. Fiorese doveva "forar, ligar, metter zovelli,
sache et altro". Gli zattieri dovevano solo porle nell'acqua "metter suso il suo remo et
venir via". Il compenso pattuito doveva essere saldato in sorgo turco e miglio.
La navigazione sul Brenta incontrava spesso degli ostacoli, dovuti agli eventi naturali
come alluvioni e piene, ma anche a interminabili controversie e liti per l’uso delle
acque. I proprietari delle ville, dei mulini e delle segherie lungo il Brenta avevano la
tendenza a far deviare le acque per l’irrigazione dei fondi agricoli o per lo sfruttamento
dell’energia idraulica, danneggiando la fluitazione e mettendo in pericolo di vita gli
zattieri.
4. I mercanti
Gli intensi contatti commerciali, la presenza di numerosi operatori immigrati dalle città
favorirono la nascita di un ceto di ricchi mercanti, come i Camoli ad esempio, dotati di
patrimoni e relazioni d’affari con la nobiltà tirolese e la borghesia delle città di pianura.
Questi gruppi gestirono per secoli il commercio di transito tra le valli alpine del
Trentino e del Tirolo esportando legnami dalla montagna e importandovi cereali, vini e
stoffe. Essi garantirono in tal modo l’integrazione tra questi villaggi e la pianura.
La zona di influenza di questi notabili era disegnata dalle loro elargizioni, che assieme
al credito rinsaldavano i vincoli clientelari con gli abitanti dei villaggi. Le élite locali si
distinsero, come quelle cittadine del resto, nel commissionare oratori privati, pale
d’altare, istituire legati per i poveri e le ragazze in età da marito.
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Data la natura di questo contributo, le vicende delle case commerciali attive nel distretto
possono essere solo brevemente tratteggiate. La mia scelta è caduta su quelle che mi
sono sembrate più significative nell’arco cronologico analizzato. Tuttavia viste le tante
tracce lasciate nei protocolli dei notai, molti altri gruppi famigliari meriterebbero di
essere studiati a fondo per chiarire l’articolazione delle attività nei distretti della
pedemontana veneta in età moderna.
Come visto, un’importante famiglia di mercanti era quella dei Camoli che nella seconda
metà del ‘500 aveva sede a Primolano. Originari di Menin, un villaggio nel distretto di
Feltre, a Primolano i fratelli Pace e Battista q. Antonio si occupavano di trasporti e di
commercio di legname lavorando soprattutto sul massiccio del Grappa, sull’altopiano di
Asiago e nelle giurisdizioni della bassa Valsugana. Il raggio delle attività commerciali
comprendeva i boschi del feudo di Ivano (Grigno, Strigno e paesi limitrofi), di Primiero,
dei villaggi di Enego in Altipiano e di Cismon sul Grappa. I Camoli si occupavano
dell’intero ciclo produttivo, dalla locazione dei boschi fino alla consegna al Bassanello e
a “lizza Fosina” nella laguna di Venezia. I Camoli, oltre a commerciare in proprio e in
società, svolgevano anche servizi di procuratori per la nobiltà padovana in cerca di
lucrosi affari nel mercato del legname. Esso era lavorato nelle segherie di loro proprietà
dislocate a Cismon (2) e a Carpanè (1).
Come detto la famiglia si occupava anche dell’attività di trasporti: nel 1578 Pace
Camoli fu conduttore della menada di legname di Padova sul Brenta. Altri membri della
famiglia furono “boari del rodolo” della vicinia di Primolano, le compagnie di
carrettieri, presenti in varie zone della Repubblica, che qui competevano agli uomini dei
villaggi della sinistra Brenta. Essi si occupavano della manutenzione della strada e
inoltre dei trasporti per i mercanti del Fondaco dei Tedeschi di Venezia, gli unici a
detenere il privilegio di esportare le merci levantine giunte nella capitale verso i territori
d’oltralpe.
Sulla riva sinistra del Brenta in località Merlo esistevano diverse segherie dei dal
Monico o de Bosis, mercanti di legname provenienti da Padova, con interessi di taglio a
Enego, a Borso del Grappa e nel Primiero. Presenti nel Canale di Brenta sin dagli inizi
del ‘500 secolo si occupavano di approvvigionamento, lavorazione e distribuzione di
legna, anche per conto terzi, a Padova.
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Sull’altro lato del fiume avevano la loro sede i Sartori di Valstagna. I loro affari erano
divisi tra mercato del carbone, del credito, della lana, del legname e della terra. Il
patrimonio comprendeva livelli (crediti), beni fondiari, diritti di taglio e segherie
distribuiti nelle giurisdizioni imperiali tra Borgo, Cinte Tesino, Grigno, Pieve Tesino,
Primiero, Scurelle e Telve. In territorio veneto, tra le tante proprietà avevano anche
quelle di Angarano, Bassano, Campolongo, Enego, Foza, Fonzaso, Gallio, Marostica,
Oliero, Tezze sul Brenta, Vallonara e Valstagna. Nel 1581 erano diventati cittadini di
Vicenza e nel 1592 di Bassano, dopo aver “fatto parentado con honorati cittadini di
questa terra” e nel 1599 erano stati ammessi nel Maggior Consiglio di Bassano.
Erano operatori di grosso calibro anche i Mazzoni di Valstagna attivi tra ‘500 e ‘600.
Titolari di segherie a Fonzaso, Oliero e Valstagna, dove stavano di casa in via Rosta,
possedevano terreni a Ospedaletto di Valsugana, a Carpanè, a Rosà e un magazzino per
il carbone a Oliero. Avevano botteghe anche a Padova e a Este, dove erano soliti fare i
loro acquisti di biade.
I Mazzoni avevano interessi commerciali nelle regole di Asiago e di Valstagna in
Altipiano e in quelli di Cismon sul massiccio del Grappa. Il loro bacino di
approvvigionamento era tuttavia ampiamente sbilanciato verso i boschi imperiali -
Primiero, Tesino, Valsugana e valle di Non - dove lavoravano associati con le maggiori
famiglie di Fonzaso, oltre che con mercanti e nobili di Bassano, Borgo Valsugana,
Feltre, Rovereto e Verona. Dalla residenza di Valstagna offrivano servizi al patriziato
veneto: i Memmo, i Nani, i Foscari, i Pesaro, i Morosini.
Perno fondamentale nella storia dell’azienda fu la collaborazione con l’Arsenale di
Venezia, al quale fornirono tra 1616 e 1632 198.620 pezzi assortiti in “balestriere,
banchetti, bordonali, legni, patene, piane, ponte, ponti, pontapiedi, scalete, scaloni,
squaradi, tagliole, tavole, zapini ” di abete bianco, rosso e larice, oltre a 466 larici, 59
antenne e 39 pennoni. A Venezia, per la vendita al dettaglio, si appoggiavano alla
bottega di Zuane Tiepolo q. Francesco, il patrizio veneto, che seppe approfittare del loro
fallimento per installarsi nel Canale di Brenta.
Altra importante famiglia della valle è quella dei Carraro o Carrara. Grazie alle origini
imperiali (come visto Nicolò Carrara era di Borgo Valsugana) e ai continui contatti con
il mondo austriaco essi offrivano ai loro soci della terraferma veneta competenze
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linguistiche e appoggi presso le magistrature centrali (Innsbruck) e locali, conoscenze
con i feudatari e le élite dei distretti tirolesi per ottenere le licenze di taglio dei boschi.
Il centro nevralgico della società era la sede di Carpanè, dove erano coordinate le
diverse fasi - acquisizione dei diritti di taglio, semilavorazione del prodotto, trasporto e
vendita di legname. I loro affari ruotavano soprattutto attorno alle forniture provenienti
dal Tesino e dal Primiero.
Nella seconda metà del ‘500 la famiglia Carrara acquisì diversi beni tra Borgo
Valsugana e Bassano: abitazioni, magazzini, orti, prati e sei segherie, concentrate tra
Cismon (1), Carpanè (4, più una fucina), Oliero (1), una bottega a Venezia in Barbaria
delle Tole e il noto ponte del Cismon, acquistato dal conte Giacomo Angarano. Ponte
attorno al quale nacquero molteplici contrasti, culminati con la concessione e la posa
della tariffa in pietra tra 1622-1625. Nell’intento delle magistrature veneziane essa
mirava a porre fine a una miriade di controversie tra i Carrara (sempre restii a garantire
la sua manutenzione), i mercanti del Fondaco dei Tedeschi di Venezia e le comunità
della bassa Valsugana.
Grazie alle ricchezze accumulate nei traffici di legname Nicolò Carrara ottenne la
concessione della cittadinanza di Bassano nel 1592. Nel 1623 Orazio, Baldissera,
Francesco Carrara, figli di Nicolò, e il loro cugino Nicolò acquisirono dagli arciduchi
d’Austria il titolo nobiliare “von Niederhaus” e furono iscritti nell’elenco della
matricola dei nobili del Tirolo, per meriti conseguiti nei commerci di legnami e in
importanti incarichi svolti nei confini dell’arciducato. Una parte della famiglia si trasferì
a Bolzano, occupandosi di incarichi per gli arciduchi d’Austria. Con gli anni ’30 del
‘600 i loro interessi in valle furono ceduti a terzi, tra cui i patrizi Cappello che
acquisirono le segherie di Carpané.
Anche per via del ponte, i Carrara mantennero dei regolari rapporti con la comunità di
Cismon, tanto che nel 1624 Baldissera Carrara istituì un legato di tre messe settimanali
da dirsi nella chiesa “al Pè d'Ancino”7.
In quanto ai Perli erano anch’essi una famiglia di prosperi mercanti, residenti a
Valstagna. Come tutti gli altri operatori della valle dovevano le loro fortune al
commercio di carbone e legname, praticato lungo l’asta del Cismon e del Brenta.
Nel 1620 Ruggero Perli q. Pellegrin risulta alle dipendenze dei fratelli Mazzoni di
Valstagna8.
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I servizi per conto del patriziato veneto erano una delle tante opportunità per i residenti
della valle e costituivano delle occasioni di lavoro con le quali avviare i contatti nel
circuito creditizio veneziano. Nel 1634 Bastian Perli figlio di Ambrosio, insieme ad altri
uomini di Valstagna e Fonzaso, era al servizio di Girolamo Foscarini q. Alvise, patrizio
veneto, per il taglio di legnami nei boschi dello Schener (tra il Feltrino e Primiero)9.
Foscarini aveva ampi interessi nel commercio di legname delle zone pedemontane
comprese tra la valle del Cismon-Brenta e la Valdastico. Nel 1644 aveva affittato dal
comune di Cismon un terreno in località valle delle Farine e un altro lo aveva comprato
in val Nassa per costruire una roggia. Era un manufatto di notevoli dimensioni, sul
quale si era impegnato a costruire 3 ponti per permettere agli abitanti di raggiungere i
campi e i pascoli posti oltre la brentella10.
Nel 1641 Ambrosio Perli era già un mercante di un certo rilievo per poter disporre della
liquidità con cui affittare i boschi dai comuni. In quell’anno insieme ai soci Antonio q.
Bortolo di Merzari e Mattio Lazzaroni q. Battista subappaltava a diverse ditte il lavoro
nel bosco di Lusiana: ad alcuni il taglio di legnami da opera e da carro, ad altri la
produzione del carbone11. Nel 1646 Battista Perli di Mattia è uno degli addetti a
condurre legnami sull’Astico e il Tesina fino a Vicenza per conto dei patrizi Girolamo
Foscarini e Giovanni Malipiero12.
Nel 1651 Pietro Perli q. Sebastiano affitta alcuni boschi in Valsugana dalla comunità di
Scurelle e nel 1661 il bosco di Sella a Borgo Valsugana13. Tra la fine ‘600 e gli inizi del
‘700 la società di Antonio Perli estrasse, soprattutto dalla valle del Vanoi, 134.000
tronchi lavorati nelle segherie di Arsiè e Valstagna14.
L’azienda dei Perli era una grossa ditta e i loro investimenti erano diversificati. Nel
1650 Pietro Perli q. Sebastiano acquistò un mulino da grano con 3 ruote sull’Oliero, che
aveva in affitto da tempo (diapositiva 12). Nel 1675 il figlio Bortolo Perli fece costruire
un filatoio a Valstagna (diapositiva 9)15.
Ma il mercato dei legnami continuerà a costituire un’importante voce tra gli impegni
finanziari dei Perli, dato che Bortolo Perli nel 1685 diede l’incarico ad Agostino
Agostinelli di Bassano di comprare dal nobile feltrino Bonifacio Pasole q. Agostino due
melle da sega a Pedesalto (Fonzaso). Nel 1686 a Dolo era in costruzione un fondaco
dove sarebbe stato stoccato legname a nome di Bortolo16.
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Nel 1677 il dottor Sebastiano Perli, altro figlio di Pietro, ottenne la cittadinanza di
Bassano e l’anno successivo fu ammesso nel Maggior Consiglio della città17.
Nel 1679 fu fatta la stima del patrimonio di Pietro Perli q. Sebastiano in occasione della
stesura del suo testamento. Tra i beni dotali delle figlie e i soldi anticipati ai figli per i
servizi per conto della Repubblica (Sebastiano aveva prestato servizio nel Reggimento
di Verona) esso ammontava a più di 120.000 lire, equivalenti a quasi 20.000 ducati. Essi
erano ripartiti in crediti, legnami, la casa di Valstagna, parecchi beni immobili,
magazzini e terreni situati a Cismon, Conco, Pove e Solagna. Pietro non era solo un
abile mercante, ma uomo di vasti interessi, dato che possedeva pure una biblioteca del
valore di 800 ducati18.
Con il matrimonio, celebrato prima del 1745, tra Barbara, ultima discendente dei Perli,
con Giambattista Remondini tutte le fortune famigliari passarano alla casa dei famosi
stampatori, che da lì in avanti si fecero chiamare Perli-Remondini.
5. Segherie ed opifici a forza idraulica
Sin dal ‘400 l’Arsenale di Venezia fece segare il legname destinato alle costruzioni
navali negli impianti dell’entroterra, per salvaguardare la laguna dagli interramenti. Una
di queste zone si trovava lungo il Canale di Brenta. Il legname dei boschi locali e quello
proveniente da terre aliene erano lavorati nelle numerose segherie, che agli inizi del
‘700 erano 26. Esse non dipendevano solo da commesse statali, ma destinavano i vari
assortimenti anche al comparto dell’edilizia privata. Gli impianti erano in funzione tutto
l’anno, non subendo in genere interruzioni dovute alle gelate invernali.
Nel ’600 il regime lavorativo era di 24 ore. Il numero dei segantini non era molto
elevato, si andava da due a tre uomini per opificio. La proprietà delle segherie, strutture
piuttosto costose, era concentrata nelle mani di mercanti di legname della valle, di
patrizi veneziani e di esponenti della borghesia bassanese e padovana.
I due operai nella segheria a ciclo continuo che si trovava a Oliero nel 1638 lavoravano
"compartendo fra loro le hore et tempo per dover esser assistenti al meter a seghar
come il spitiar et squadrar le taglie et tirar alla siegha". Dovevano occuparsi anche
della manutenzione dell’edificio, in caso di piene assicurarsi che la legna fosse fissata
bene sugli stazi e "non dovranno sparagnar fatica et periculo per salvarla". Oltre al
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loro compenso essi avevano diritto a tenere la segatura e le cortecce dei tronchi. È
interessante notare che i segantini erano talvolta anche coloro che costruivano
l’impianto.
Oltre ai tradizionali lavori legati al taglio del bosco e al trasporto di legname, diversi
abitanti erano impegnati nell’allevamento bovino e ovino, facilitati dalla vicinanza dei
pascoli dell’Altipiano di Asiago e del Grappa.
A partire dal 1635 si possono osservare le prime attività legate alla lavorazione della
seta, che diventerà un settore preminente per tutto il distretto nei decenni successivi. In
quell’anno a Valstagna si rileva “una stantia dove li era alcuni fornelli da trar seda, …
con un brollo contiguo posta in contrà della chiesa"19. La perizia degli uomini
impiegati in questa arte li testimonia attivi in qualità di filatori di orsogli (organzini di
seta che servivano a confezionare l’ordito delle pannine veneziane) a servizio dei
mercanti di seta di Treviso e Venezia (1658)20.
Nel 1675 “un ediffitio da seda alla bolognese” di proprietà di Bortolo Perli e del suo
socio Angelo Todesco aveva sede a Valstagna, vicino alla chiesa parrocchiale21. Si
trattava di un impianto che richiedeva notevoli investimenti per le infrastrutture (rogge,
ponti, strade), gli edifici, le macchine utensili, gli strumenti semplici, oltre ad un
notevole capitale circolante per l’approvvigionamento di materie prime e di costi del
lavoro. Tra il personale impiegato nel filatoio di Perli-Todesco figuravano alcune
ragazze i cui compensi oscillavano tra le 3-4 lire al mese22.
La presenza di questi filatoi si inserisce nel capitolo delle fortune del setificio bassanese.
La Valbrenta, come Bassano, beneficiava dell’energia di un fiume con la giusta
inclinazione per un buon funzionamento delle ruote idrauliche. A Bassano a metà ‘600
esistevano circa 200 mulini per produrre “orsogli alla rasera” (di filo meno bello
rispetto ai mulini alla bolognese). Nel 1700 il distretto si era convertito ai mulini alla
bolognese, dove si registra la maggior concentrazione di questi mulini da seta nello
stato veneto al di qua del Mincio. In quel anno a Valstagna si segnala un filatoio alla
bolognese azionato a mano dove erano impiegati oltre ad un “maestro” “4 putti per
torcere, 3 putti che girano l’edificio, 14 putelle nell’incannatoio, 14 donne che
doppiano la seda fuori dell’edificio alle loro case”.
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Nel 1702 un altro filatoio venne costruito a Valstagna da Ciprian q. Sebastian Bricito da
Bassano per conto di Gio. Batta q. Zuanne Gianese per essere azionato dalla sorgente
del Tovo (si veda la sorgente nelle diapositive 7 e 10)23. L’impianto era composto da
"un arbore da fillar in vintiquattro da sei valleghi, et di mezo arbore di torcer in vinti
naspi per vallego ed un sol fornimento sive con una sola muda di fusi, rocchelli,
rocchelle e particolarmente li fusi lunghi oncie dieci ancorché usadi ma della maggior
perfetione et ogn'altro bisognevole per render detto edifficio di tutta compitezza de
modo ch'altro non manchi che mettervi sopra la seda per lavorarla et ridurla come
sopra in orsoglio …".
In quegli anni, il settore serico nel bassanese assorbiva nel complesso oltre 1.175
persone, per lo più donne e bambini (immagini degli impianti in Valbrenta nelle
diapositive 7, 8, 9, 10, 12)24.
Gli attenti studi dedicati ai Remondini negli ultimi decenni hanno contribuito a far luce
su una delle più grosse imprese di stampatori della Terraferma veneta. A partire dal
1735 i Remondini, imprenditori bassanesi originari di Padova, presero in affitto due
cartiere sul Brenta, poste ad Oliero, di proprietà delle famiglie patrizie veneziane
Tiepolo (diapositive 13, 14, 15) e Cappello, e poco dopo un impianto sulla Rea a
Campese. Il prestigio di queste cartiere era legato alla produzione di carte di gran
pregio, ottenute grazie alla limpidezza e alla regolarità delle acque che consentivano
lavorazioni raffinate e costanti, salvo nei periodi di brentane o di magre. Grazie
all’energia del fiume erano azionati i magli e i cilindri che trituravano gli stracci
necessari per la fabbricazione della carta. La cartiera grande, costruita nel 1728, era un
edificio di vaste dimensioni. Disposta su tre piani, occupava 1300 m2, era lunga 100
metri e larga 13 e utilizzava macchinari moderni per una produzione più rapida e
migliore rispetto alla maggior parte degli impianti della Repubblica veneta. Da questi
opifici uscivano le carte utilizzate per le famose incisioni remondiniane, che venivano
portate fino alla stamperia di Bassano a dorso di mulo. Erano i cosiddetti “Santi dei
Remondini”, immagini raffiguranti divinità e scene religiose, e poi stampe con soggetti
profani come “Il Paese di cuccagna”, gli annuari, i calendari, i lunari e ancora carte da
parati, ventagli, carte da gioco, carte geografiche e infine i fogli per la produzione
tipografica. Per tutto il ‘700 e anche nei primi decenni del secolo seguente, l’azienda
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Remondini distribuì le sue incisioni nell’Europa centrale e in Spagna raggiungendo,
attraverso gli ambulanti del Tesino, anche la Russia, il Cairo, l’impero ottomano e le
Americhe.
Bibliografia e note
Di seguito si dà conto di una breve bibliografia per un inquadramento del periodo storico e dei temi
trattati. In quanto alle note, ci si è limitati a fornire le indicazioni dei principali atti notarili cui si fa
riferimento. Per ulteriori indicazioni rimando ai miei lavori citati in bibliografia.
Per concludere desidero ringraziare il personale dell’archivio di stato di Bassano del Grappa per la
collaborazione.
Dedico queste mie note ad Adriano.
Abbreviazioni usate nel testo
ASBAs Archivio di stato di Vicenza, sezione di Bassano del Grappa
NA Notarile di Asolo
NB Notarile di Bassano
ASBl Archivio di stato di Belluno
N Notarile
b. = busta
c./cc. = carta/e
nn. = non numerate/a
L. = Lire
prot. = protocollo
q. = quodam (fu)
1 MOZZARELLI (1988), p. 9.
2 ASBas, NA, Nicola Fabris, b. 71, prot. 1571, cc. 53v-55r, Primolano, 16.7.1571. Nicolò Carrara in tale
occasione donava alla moglie come controdote altri 200 ducati aurei.
3 Le altre doti prese in considerazione sono quelle contenute nei seguenti protocolli notarili: ASBas, NB,
Giulio Gosetti, b. 119, prot. 1571; ASBas, NB, Nicola Appollonio, b. 108, prot. 1571. La dote di Marina,
figlia di Jacopo da Ponte, in: La famiglia (1992), pp. 46-47.
4 ASBas, NB, Ludovico Bassi, b. 147, prot. 1595, cc. 48r-49r, Carpané, 14.2.1595.
5 ASBl, N, Simone Zen, b. 7874, cc. 278v-279v, 19.8.1629. ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/b, prot.
1639, c. 64r-v, Valstagna, 1639.6.14. ASBl, N, Francesco Emilei, b. 2904, c. 355r, 1640.5.11. ASBas,
NB, Pompeo Perli, b. 570, prot. 1608-1611, c. 171r, Oliero, 12.7.1611.; b. 571, prot. 1618-1619, c. 21r-v;
11.4.1619; c. 73v, 11.7.1619. ASBas, NB, Gio. Battista Prane, b. 572/b, c. 11v, 22.2.1638; b. 577, c. 103r-
v, 28.12.1663.
6 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/B, prot. 1639, cc. 72v-73r. Sul maestro di Valstagna cfr. SIGNORI
(1979), pp. 74-77. Sulla scuola in aree di montagna cfr. TOSCANI (1993).
7 ASBas, NB, Giorgio Trintinaglia, b. 494, prot. 4, c. 18r-v, Cismon, 2.10.1673.
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8 ASBas, NB, Pompeo Perli, b. 571, prot. 1619-1621, c. 185v, Valstagna, 14.11.1620.
9 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, 1634, cc. 39v-40r, Valstagna, 5.8.1634.
10 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 573, prot. 1644, cc. 47v-49r, Valstagna, 7.10.1644. cc. 67r-69v,
Valstagna, 21.10.1644.
11 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/B, prot. 1641, c. 83r-v, Valstagna, 1.7.1641.
12 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 573, prot. 1647, cc. 120r-121r, Valstagna, 29.7.1647.
13 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 574, prot. 1651, c. 70r-v, Valstagna, 24.7.1651. ASBas, NB, Gio. Batta
Prane, b. 577, prot. 1663, c. 20r-v, Valstagna, 27.3.1663.
14 SIMONATO ZASIO (2000), p. 39.
15 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 575, prot. 1659, cc. 67r-68r, Valstagna, 1659.7.28.
16 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 579, prot. 1685, c. 244r, Valstagna, 18.11.1685; prot. 1686,
c. 92r, Valstagna, 1686.6.3.
17 COMPOSTELLA, (1905).
18 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 578, prot. 1679, cc. nn., nr. 275, Valstagna, 13.3.1679.
19 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 572/a, Prane, prot. 1633-1642, cc. 77r-78r, Valstagna, 8.1.1635. Nei
fornelli si soffocavano le crisalidi dei bachi. Dopo una cernita erano fatte macerare. Seguivano una serie
di ulteriori operazioni durante le quali si cercava il capofilo dei bozzoli per riunire le bave e formare il filo
da avvolgere su un aspo.
20 ASBas, NB, Gio. Batta Prane, b. 575, prot. 1658, c. 115r-v, Valstagna, 5.11.1658.
21 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 578, prot. 1677, cc. 15r-17v, Valstagna, 3.7.1677.
22 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 578, prot. 1677, c. 47v, nr. 57, Valstagna, 7.11.1677.
23 ASBas, NB, Giovanni Merto q. Antonio, b. 581, prot. 1702, c. 53r-v, Valstagna, 18.10.1702.
24 MATTOZZI (1997), p. 471.
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d’un gioco dell’oca. (con una lettera di Bartolomeo Bontempelli dal Calice), in: “Rivista feltrina-el
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MOZZARELLI Cesare, L’ordine di una società alpina. Tre studi e un documento sull’antico regime nel
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