Bonanno Individualismo e Comunismo

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    Alfredo Maria Bonanno

    Individualismo e comunismo.Una realt e due falsi problemi.

    .(Per questo tutto continuo:

    infatti ci che si attacca a ci che )Parmenide, 8,25

    Il titolo della relazione merita un piccolo cappello introduttivo: questoriguarda una presunta antitesi tra individualismo e comunismo. Lamaggior parte di quello che prover a dire suoner qualche volta unpo' strano, perch appartiene al bagaglio tradizionale del senso co-mune secondo il quale sono due cose radicalmente diverse l'indivi-dualismo ed il comunismo. Addirittura, in tempi attuali, la pioggia, lasedimentazione delle condanne politico-giornalistiche che sono stateaccumulate sul concetto di comunismo, hanno sigillato con una pietra

    tombale qualsiasi discussione sull'argomento. E siccome coloro i qualisi occupano di queste cose, chierici pagati per farlo, sono stati bencontenti di trasferirsi, armi e bagagli, a parlare di altre cose, si sco-perto che fra queste altre cose c' anche il discorso sulla rivalutazionedell'assoluta e sacrale, in senso stirneriano, indipendenza dell'indivi-duo.Questo non toglie, ovviamente, che ci possa essere una differenza traindividuo e collettivit, individuo e comunit, individuo ed insieme diindividui che vivono insieme, che vivono a contatto reciproco, con

    rapporti reciproci, vedendo quali sono queste differenze, quali hannosignificato concreto, operativamente trasformativo, e quali inveceservono soltanto a sedimentare piccoli luoghi, piccoli ghetti di autosuf-ficienza illusoria.Quindi, io suggerisco di fare un poco mente locale e anche di fareappello alla pazienza che in molti compagni anarchici, per la verit,scarseggia, per affrontare questi problemi che necessariamente pre-sentano alcune difficolt, in quanto ineluttabilmente anche un aspet-to del dibattito filosofico, quello di cui bisogner parlare.Ieri ho visto leoni in gabbia che si aggiravano nella sala in balia disentimenti contraddittori, riottosi ad ascoltare e a sentire formulazioniineccepibili di specialisti, altrettanto dottrinariamente ineccepibili, iquali specialisti dicevano cose indiscutibili. Per questo turbava l'e-quilibrio rivoluzionario di molti di noi, che non so per quale motivo, siaspettavano forse che dalla fonte del sapere ufficiale ci piovesse ad-dosso un contributo chiarificatore per la pratica attiva di trasformazio-ne che ogni rivoluzionario anarchico insurrezionalista chiamato a

    concretizzare nella vita.Qua siamo davanti ad un equivoco fondamentale, che occorre chiariresubito. Nulla, dico nulla, pu venirci dall'Accademia, nulla dall'elabo-

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    razione colta dei luoghi del sapere. Questo non un pregiudizio. Nullapu venirci nel senso di operativamente applicabile e trasformabile.Ma quel poco che pu venirci, questo poco o tanto che sia, e che qui

    dentro stato esposto con sapiente sagacia, avr un senso purchvenga filtrato attraverso le nostre capacit di applicazione, purchvenga vissuto e quindi trasformato all'interno di noi stessi, in nome deiquel laboratorio autonomamente e significativamente capace di ope-rare questa trasformazione che l'individuo.Il libro di Stirner certamente un classico della filosofia, e qui statomolto dottamente inserito all'interno del dibattito filosofico che attra-versa gli ultimi centocinquant'anni, con una stravolgente attualit ricor-rente, e questo certamente un dato di fatto.

    Ma, come tutti i classici, come tutte le espressioni dell'umano senti-mento, dell'umano pensiero, che si sono realizzate in opere che han-no una loro compiutezza ed originalit singola, non unico soltanto illibro di Stirner, in quanto qualsiasi classico in se stesso un librounico, presentandosi come una significativa testimonianza che ciproviene dal passato e che noi dobbiamo leggere ed interpretare.Interpretare, badate bene, in quel processo transitorio di avvicinamen-to ad una fase trasformativa in cui quella interpretazione deve fiorire e

    produrre quelle che sono le effettive capacit trasformative dell'indivi-duo e non pi del libro. Noi leggiamo un libro unico, perch sono tuttilibri unici, e quello di Stirner unico come gli altri libri unici, purchlo leggiamo affinch diventi materia nostra, noi lo facciamo nostro, cene impadroniamo, diventa cio una nostra propriet soltanto nel mo-mento in cui siamo capaci, attraverso quel contributo, di modificare lanostra vita e di trasformare la realt.Se non siamo capaci di fare questo, noi possiamo essere i sapientiracchiusi nella classica torre d'avorio, i quali guardano sdegnosamen-

    te al volgo e all'ignoranza del volgo, incapaci in effetti di operare quelpassaggio all'interno di se stessi, passaggio che ineluttabilmente con-duce ad una messa in discussione di quella che la propria vita. Per-ch la differenza tra il processo di trasformazione e il processo diliberazione senza stare a ricordare la tesi marxiana su Feuerbachtra interpretazione e trasformazione consiste in questo, secondome, che la lettura che facciamo, e il libro di Stirner una delle tanteletture che facciamo, deve avere la capacit di metterci in condizionidi trasformare la nostra vita, perch solo questa possibile trasfor-mazione, possibile non certa, pu contribuire a modificare le condi-zioni date di cui parla Stirner. Soltanto attraverso il nostro metterci ingioco, soltanto attraverso la nostra partecipazione diretta, abbiamo ineffetti la possibilit di trasformare le condizioni date, in caso contrariole condizioni date resteranno quelle che sono, la ribellione dell'indivi-duo apparterr a quel momento dialettico, nel senso peggiore hege-liano che tipico di qualsiasi autoassoluzione intellettuale, cio diquelle classiche contraddizioni che nascono, fioriscono e muoiono

    all'interno della mente del chierico.Ora io mi chiedo in effetti quanti lettori de L'Unico, questa una do-manda che mi ha travagliato negli ultimi trent'anni, si sono avvicinati a

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    quest'opera con intento trasformativo, (non che dovessero trasforma-re l'opera, ma trasformare se stessi attraverso la lettura dell'opera).Quanti lettori de L'Unico si sono avvicinati al testo perch questo

    potesse essere occasione, fra le tante, e non certamente la migliore ola pi privilegiata, per trasformare la propria vita, per incidere su quel-le che sono le condizioni dell'asservimento, della compartecipazione,della collaborazione a una struttura di potere che ci schiaccia e checostituisce le condizioni di privilegio attraverso le quali molti di noi sisono potuti avvicinare a L'Unico. Perch, badate bene, la lettura di unlibro, di qualsiasi libro, accidente dovuto al privilegio, perch moltepersone, forse pi degne di noi, non si sono potute permettere,schiacciate dalle condizioni oggettive, la lettura de L'Unico.

    Milioni di persone hanno letto questo libro, ma cosa ne hanno cavatofuori? luoghi comuni in cui si esaltava la forza, luoghi comuni in cui siesaltava la costruzione assoluta dell'individuo, un patrimonio inelutta-bile attraverso cui magari conquistare il mondo. Anche queste sonostate le letture de L'Unico. In questo campo si verificato poi l'inse-rimento di coloro che, ad arte, volevano sottolineare incredibili sviluppidi tipo autoritario, di tipo fascista, di tipo violento nel senso gratuito deltermine.

    Detta questa premessa, che potrebbe sembrare fuori luogo, ma cheinvece indispensabile, perch sarebbe umanamente incredibileparlare dell'unicit dell'individuo e pensare di chiamarsi fuori, di esse-re all'esterno di quel processo di costruzione dell'unicit dell'individuo,io vorrei accennare, innanzi tutto, ad una contraddizione che a me,vecchio lettore di Stirner superficiale, badate bene, perch non sonouno specialista stirneriano a me sempre parsa presente nel testodi Stirner. Secondo me, c' una strana contraddizione ed questa:sembrerebbe, leggendo Stirner, (qua ho scritto nella relazione i passi

    che pi si attengono a questo che io ho considerato, forse un po' er-roneamente, una possibile contraddizione), che ci siano l'idea, l'im-magine della possibile costruzione perfetta dell'individuo. Ad un certopunto Stirner si immagina che l'individualista perch questa parolaStirner la dice e a noi spetta solo il compito di aggiungere stirneriano

    possa definirsi in modo completo, e possa farlo con una serie diacquisizioni. Ora, se noi esaminiamo il momento storico in cui questoconcetto apparentemente lapalissiano, perch Roma non si costruin un giorno, le cose si fanno sempre a poco a poco se noi lo esami-niamo all'interno del contesto del pensiero filosofico europeo di quelmomento, e non solo filosofico ma principalmente anche scientifico,vediamo come quello era il momento sostanzialmente in cui si pensa-va che la costruzione di un avvenire progressivo, la realizzazione diuna storia che andasse verso la realizzazione della filosofia, fossepossibile. Perch non vero che soltanto Stirner scrive e pensa discrivere un libro unico, una volta per tutte, sul quale poi non pi tor-nare, ma prima di lui il suo maestro aveva detto quelle famose parole:

    io non vi insegno una filosofia, io sono la filosofia, cio a dire Hegelaveva pensato di essere l'unico filosofo e Stirner unico in quantopermane ancora hegeliano, in quanto pensa di poter costruire l'indivi-

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    duo a pezzo a pezzo. Secondo me, oggi noi siamo in grado di direche questo non possibile, non esiste costruzione possibile fondatasul processo dell' a poco a poco. Senza dubbio Marx ha contribuito

    a rendere di pubblico dominio in certi ambienti i motivi filosofici perchquesto non possibile. Nell'Introduzione al Capitale, credo del '56,non ricordo bene la data e poi io non sono nemmeno uno speciali-sta marxiano questo concetto sviluppato in modo chiarissimo:nessuna cosa pu costruirsi a poco a poco, se di gi non la posse-diamo nella sua interezza. Noi possiamo, come dir molto bene suc-cessivamente Nietzsche, diventare, a condizioni estremamente pieto-se e difficili, soltanto quello che siamo, se non lo siamo non lo potre-mo diventare, se il coraggio, diceva Don Abbondio, uno non c' l'ha,

    nessuno glielo pu dare.L'impadronimento, quindi, della totalit di ci che si vuole essere,della totalit dell'individuo capace di trasformare il mondo, possibilesoltanto tutto in una volta. Perch soltanto all'interno della dimensionecomplessiva, possibile individuare le fasi progressive di modifica-zione. Teniamo presente che era il momento in cui si sviluppava ilpensiero fisico, la scienza fisica, il pensiero, poniamo, della geometria,il pensiero dell'economia politica; le equazioni di Bastiat, sono di que-

    sto periodo e sono le equazioni che dimostrano l'equilibrio possibile diun sistema economico in evoluzione. Bastiat, il teorico del liberalismofrancese, cio a dire della borghesia pi forte in quel momento in Eu-ropa, afferma le stesse cose: costruzione della possibile societ per-fetta, a poco a poco.E gli anarchici, tragicamente, sono sempre caduti in questo equivoco.Diceva Bovio, la societ viaggia comunque e in ogni caso verso l'a-narchia.Io ritengo che questa sia una delle contraddizioni di Stirner, non tanto

    perch lui non ha proposto gli strumenti oggettivi per risolvere e supe-rare questa contraddizione, quanto perch leggendo il libro in un'otticadell' a poco a poco, questa contraddizione non pu essere superata.Fra gli strumenti che Stirner ci propone c', indiscutibilmente, il ri-chiamo alla forza, alla capacit dell'individuo di ergersi a contrapposi-tore delle contraddizioni che lo opprimono. Quindi, pagine bellissimeche riguardano la differenza importante tra il liberato e il libero, l'uomoliberato come liberazione octroy dal potere e, invece, chi si libera das, l'autoliberato, chi costruisce il proprio futuro, la propria realt. Ecertamente questo appello alla forza importante, ma, e qua dob-biamo ricordare le parole che ho detto all'inizio, la lettura del testoassume particolare connotazione e significato considerata in funzionedelle cose che il lettore, e in particolar modo l'anarchico rivoluzionario,intende realizzare.Molte volte questo testo ha contribuito a creare in molti compagni unasuper valutazione della forza, non rendendosi conto, questi compagni,purtroppo a mio avviso lettori sprovveduti, di Stirner, che la forza

    l'altra faccia della debolezza. E come altra faccia di qualsiasi cosa,appartiene a quell'unit contraddittoria che occorre superare. Vedre-mo successivamente come e a quali condizioni. Chi si limitasse sol-

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    tanto ad un esercizio della forza per costruire l'autonomia dell'indivi-duo, si accorgerebbe che non esiste forza bastante per superare que-sta contraddizione, ma occorre sempre un'acquisizione di forza mag-

    giore, perch si avverte il limite dell'insufficiente costruzione realizzatae si sviluppa continuamente la necessit e quindi l'angosciosa man-canza di una forza maggiore.Non esiste l'uomo forte in assoluto, non esiste l'uomo pi forte delmondo. Ognuno di noi si dibatte all'interno di certi limiti, e questo c'un po' anche in Stirner, questo concetto della violenza, questa analisia partire da questi limiti, e nessuno pu superarli soltanto col concettodella forza, in quanto questi limiti appartengono a quelle che sono lecaratteristiche dell'individuo, la sua connaturale essenza umana.

    Quindi appartengono a quelle che sono le contraddizioni di cui Stirnerparla amaramente, secondo me, all'interno di uno schema che ine-luttabilmente privo di sbocchi, in quanto affidato a quel meccanismoapparentemente esaustivo che la triade hegeliana. Non mi riferiscoqua all'uso dei mongoli e tutte queste cose, o all'uso delle tre fasiecc., questi sono tutti aspetti formali che appartengono alla scuola eche comunque in ogni caso non sono certamente altro facendo partedel problema, ma mi riferisco sostanzialmente all'illusione che Stirner

    coltiva e che appartiene alla possibilit di questo superamento. Maquesta Aufhebung esattamente la dimensione del superamentohegeliano, in cui le contraddizioni si superano, si aboliscono, si sus-sumono all'interno di una realt che li vede scomparire completamen-te.Su questo punto ha riflettuto il pensiero successivo, e ha riflettutoparticolarmente non soltanto Schopenhauer, come stato giustamen-te e molto dottamente detto ieri, ma principalmente ha ripetuto loSchelling, che ritorna all'insegnamento dopo la morte di Hegel e dopo

    la sospensione del divieto che gli era stato imposto. E che cosa dicequesto fatto: la ragione non sufficiente, la contraddizione non si pusuperare soltanto con l'intelletto, e non basta il nus questo affascinan-te concetto pensate che un filologo come Giorgio Colli chiamavanus la donna del suo cuore questo un concetto affascinante certa-mente, e importante, per non basta solo quello. Occorre anche ren-dersi conto che il territorio della desolazione, che sta al di l del terri-torio apparentemente organizzato e autosufficiente della ragione, puessere accessibile soltanto attraverso la propria vita, attraverso il pro-prio coinvolgimento, il proprio mettersi in gioco. Non soltanto l'intui-zione che consente il passaggio alla fase successiva, e questo illimite di Schelling. Ecco perch Kierkegaard risolve in modo dramma-tico il suo rapporto con Regina e lo risolve in nome di una trasforma-zione della propria vita, perch non pensabile una contrapposizionereale ad un dominio della ragione se non mettendo in gioco la propriavita.Non semplicemente avendone l'intuizione, avendone, cio a dire, la

    vaga, o anche sentimentale, o in quel contesto specifico romantica, oanche semplicemente piacevole, come vogliamo, di qualcosa d'altro.Occorre che questo qualcosa d'altro venga scovato, venga indivi-

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    duato, fatto nostro e al limite occorre che in questo incontro ci bru-ciamo la propria vita, perch ci stiamo mettendo in gioco. Perch senoi teniamo a tutte le condizioni specifiche che rispondono allo status

    al riconoscimento di quello che era la prima, la vecchia antecedentecontraddizione Hegel era filosofo ufficiale dello Stato prussiano senoi teniamo a tutto quello, se noi teniamo a che praticamente alla finedel mese ci si garantisca quello che accade giorno 27, siamo davantiad una tragedia irrecuperabile. Badate bene, non sono chiacchiereche vi sto raccontando, sono fatti che ho vissuto personalmente, an-ch'io sono stato schiavo del 27, ma ad un certo punto ci vuole unacesura, un taglio radicale, perch se no non si pu discutere di certecose. Va be, queste sono faccende secondarie, sorvoliamo.

    Vorrei aggiungere ancora una cosa sul superamento, superamentodella ragione, superamento dei limiti della ragione. Perch (permette-temi di citare una frase che non mia, ma credo sia di Lukcs) ilsonno della ragione che genera i mostri (frase di Lukcs), ma se-condo me al contrario; perch i mostri, poniamo, hitleriani, che oggisembrano risvegliarsi un poco dappertutto, erano il prodotto dellaragione tedesca, ed erano soltanto avvolti in una carta velina di irra-zionalismo prodotta dalla accademia tedesca, con la specifica capaci-

    t organizzativa ed amministrativa del Deutsche Ordnung. Quindi,secondo me, non superamento nel senso hegeliano, ma oltrepas-samento. Il concetto importante e per questo ci torno, soltanto perun attimo. Oltrepassamento (berwindung) significa portare le con-traddizioni con noi, non sognare, illusoriamente, che possiamo defini-tivamente metterle da parte. Perch, badiamo bene, nemmeno ope-rando quella cesura nella propria vita, dichiarandosi completamentealtro, possibile che questo altro sia stabilmente fissato.Io non propongo di sostituire allo status del professore universitario lo

    status del rivoluzionario, non propongo di avere praticamente al postodello stipendio del 27 la rapina a mano armata, non propongo questo,perch status quello e status quell'altro: definitiva incredibile se-dimentazione della ragione la prima e altrettanto la seconda.Propongo che vengano criticamente vissute le due condizioni e chevengano superate e continuamente messe in gioco, perch se ci sifermasse alla rapina a mano armata al posto dello stipendio del 27,come ci sono stati casi concreti, si creerebbe che cosa? L'ideologiadello specialista, il quale in nome della propria presunta superioritpretenderebbe imporre agli altri la risoluzione definitiva del problema.In altre parole superamento nel senso hegeliano, dove ancora unavolta la ragione, penetrando la calzamaglia calata sugli occhi, ripre-senterebbe il funzionario in cravatta e giacca.Oltrepassamento, invece, il portarsi dietro con s le contraddizioni,avere la coscienza che non mai possibile esorcizzare definitivamen-te i mostri, perch questi convivono con noi, perch sono semprepresenti.

    Cosa c', quindi, dopo questo oltrepassamento? Evidentemente l'indi-viduo che si rende conto di questa trasformazione radicale della pro-pria vita e vede come questa operi trasformazioni nelle condizioni

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    oggettivamente date, e ci, come molto bene stato detto ieri, prendela forma di una ricerca delle differenze.Ci si accorge allora che la realt fatta di altri individui, altri individui

    differenti da noi, altre realt differenti da noi. E come possibile avvi-cinarsi a queste differenze? Ancora una volta si ripresenta una dico-tomia di possibilit: quelle basate sulla ragione giudicante, sull'analisi,e quelle basate, invece, sulla partecipazione, non sull'intuizione sol-tanto, ma sulla ragione che partecipa e che diviene insieme altro das; in quanto la differenza la realt stessa, non esistendo identitnella realt. Anche la formula aristotelica, di A non non A, unabanalit, come ha dimostrato Heidegger in un famoso seminario tenu-to a causa sua. Quindi, c' al di sotto di questa pretesa di poter cata-

    logare definitivamente le differenze un imbroglio tassonomico. Il cata-logo infinito, noi possiamo fare lunghe, lunghissime elencazioni diquelle che sono le differenze, sognando di impadronircene, di poterlecollocare, ma, nel momento in cui li raccogliamo e ce li poniamo da-vanti, queste scompaiono, vengono annullate.Quindi, quale potrebbe essere, secondo me e secondo la mia letturadi Stirner, la differenza? Una continua, reiterata e sempre modificatainvenzione dell'altro. Cio cercare l'altro individuo nelle sue possibili

    linee di comunanza, di persistenze. Il concetto non semplice, me nerendo conto, per chiamerei ad un poco di pazienza su questo pro-blema.In effetti semplice individuare le differenze, non c' cosa, appunto,uguale all'altra, ma, nel momento in cui noi scendiamo nella differen-za, abbiamo bisogno di una ulteriore discesa. Ed la stessa tragica,inconclusionata, vicenda della forza. In quanto, noi per conoscere ladifferenza stiamo impiegando la forza, stiamo penetrando. questo ilconcetto di un certo modo maschilista di immaginarsi il rapporto ses-

    suale, penetrare nella differenza.Non ha sbocco questa strada, perch senza fine. Se, invece, noiriflettiamo un attimo e ci fermiamo alla possibile considerazione difarci penetrare dalla differenza e permettere che questo essere inelut-tabilmente diverso della realt ci porti un possibile codice di comu-nanza, di affinit, allora cogliamo le differenze significative, cio a direquelle differenze che per noi, per il nostro essere individui hanno unsenso, non tutte le differenze possibili.La selezione di queste differenze costruisce e realizza, nella realt, la

    limitata, circoscritta, spiacevole come preferite possibile identifica-zione delle differenze. Quindi, noi in fondo cosa conosciamo? sol-tanto Individui e ci per limitarci a questo problema, perch in fondopotremmo arrivare alla identificazione della realt naturale, in quantodifferenza ecc., ma ci allargheremmo molto e queste sono considera-zioni che ho fatto in altri posti e che non mette conto riprendere qui. Inquesto contesto, quindi, noi identifichiamo un individuo altrettantodiverso da noi, altrettanto individuo come noi, altrettanto desideroso di

    costruire la propria vita, la propria diversit. Soltanto cogliendo le pos-sibili affinit che questo individuo ha con noi, possiamo conoscerlo,perch non possibile cogliere le affinit senza tenere conto delle

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    differenze e senza conoscere queste differenze e in subordine quelleaffinit.Capisco che queste considerazioni appaiono come chiacchiere banali

    che in fondo lasciano il tempo che trovano, ma credo che non lo sianodel tutto.Quindi, questa operazione che mi sembra di leggere nelle intenzioniforse recondite di Stirner, essendo ignorante e incapace di coglierequelle che sono le oggettive manifestazioni del libro ma io sonosempre stato incapace di leggere un libro in modo oggettivo, che poi,tra parentesi, mi sono chiesto quali cose in modo oggettivo sarebbepossibile fare? Ma questo un altro discorso ... . La scienza unmodo oggettivo di conoscere, l'identificazione del delinquente un

    modo oggettivo di identificare... discorso che mi interessa molto e chesar uno dei punti conclusivi di questa brevissima discussione comela si pu realizzare se non attraverso la costruzione di un processo dimascheramento? E questo Stirner lo intuisce quando parla dell'artifi-cialit della costruzione dell'altro e quindi della costruzione di se stes-so. Non un processo naturale. Il rifiuto della naturalit, il rifiuto diquello che era stato individuato come concezione giusnaturalista deldiritto, non altro che il rifiuto della possibilit di identificare un luogo

    certo della natura, come mi pare d'aver capito, badate bene... con tuttii miei limiti. Quindi sempre una finzione questa struttura della identi-ficazione. sempre una finzione, che poi sar lo stesso concetto che,rielaborato da Nietzsche, prender corpo nel concetto bellissimo dellamaschera.Cio a dire, in effetti, noi possiamo avvicinarci all'altro operando unduplice processo di mascheramento: mascherandoci noi, mascheran-do quelle che sono le nostre vere intenzioni per poter utilizzare nelsenso stirneriano, quindi nel senso positivo l'altro. E per, per fare

    questo, possiamo e dobbiamo realizzare l'utilizzo dell'altro attraversouna mascheratura della sua oggettivit.Sostanzialmente ho finito, perch mi sono reso conto che tutte questecose non hanno pi importanza. Volevo solo dire un'ultima cosa.Ho accennato al fatto che non possibile chiamarci fuori, l'ho dettoall'inizio (qua, nella mia relazione, invece era posto alla fine). Nonpossiamo chiamarci fuori in quanto dobbiamo cercare di costruire ilpossesso di noi stessi, cio a dire, dobbiamo cercare di costruire l'au-tonomia di noi stessi e questo possibile soltanto secondo me al-

    meno in una dimensione in cui non viene esclusa la comunit congli altri, in cui l'altro viene fatto entrare all'interno di un rapporto con lanostra unicit.E qua il discorso della societ degli egoisti di Stirner della quale stato fatto un accenno e che, per altro, non un caso che sia stato ilsolo fatto ieri, come se quest'aspetto fosse affidato alla parte margina-le della trattazione, cosa che io invece non credo che sia cos co-munque, questo aspetto e la mia affermazione far storcere il muso

    a alcuni compagni per me centrale. Io penso che l'individuo nonsoltanto debba costruire se stesso, perch questo in un certo sensol'apprestazione degli strumenti, io sono strumento di me stesso per

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    realizzare me stesso. Ma se non realizzo me stesso non possiedonessuno strumento di realizzazione. La cosa contemporanea: mirealizzo nel momento in cui realizzo me stesso come strumento, in

    quanto io sono scopo di me stesso, e questo certo. Per nel mo-mento in cui opero questa realizzazione di me stesso, devo avere unprogetto, che non pu essere me stesso: il progetto qualcosa chesupera me stesso e lo supera nella concezione dall'oltrepassamento,non in quella del superamento. Cio a dire, che porta con me, attra-verso me, fuori di me, quelle che sono le contraddizioni che erano inme e nelle condizioni oggettive date che erano fuori di me. Solo que-sto possibile come condizione del progetto.Certo a questo punto incomincia la strada che molti possono dire

    lastricata dalle pietre infuocate dell'autoritarismo, perch il processo dicostruzione di un progetto sempre progetto autoritario, in quantoineluttabilmente.... ed stato fatto qua ieri il raffronto tra Bakunin eStirner. Raffronto che secondo me lascia il tempo che trova perch fral'altro non ci sono letture certe di Bakunin da parte di Stirner, perquanto Bakunin sia un nome filosoficamente importante nella Germa-nia degli anni '30, tanto vero che c' stata la pubblicazione di unopuscolo clandestino di Engels attribuito a Bakunin, come stato

    dimostrato da ricerche fatte negli anni 50; siamo nell'ambito di tuttiquelli che partecipavano alle lezioni del secondo Schelling. Malgradoquesto, Bakunin differente, perch non che Bakunin sia pi autori-tario o appartenga ad un altro aspetto dell'anarchismo, cosa che stata detta ieri e che a mio avviso non condivisibile: Stirner ha unparticolare anarchismo, Bakunin ha un altro, Kropotkin ce ne ha unaltro. No! L'anarchismo un fenomeno estremamente eterogeneo ecomplesso, articolato, perch una visione della vita, della realt ed anche, quindi, un modo di vedere la vita in tutti i suoi aspetti, nella sua

    complessit, non , quindi, una concezione politica di rapportazionecol potere. Quindi, Stirner appartiene all'anarchismo cos come viappartiene Bakunin. La differenza che si coglie proprio questa: nellacostruzione dell'individuo e nell'applicabilit di questa costruzione,nell'apprestazione dello strumento, nella applicazione poi ad un pro-getto.Se noi esaminiamo, poniamo, alcuni dei progetti di Bakunin, come adesempio il progetto che lui realizza nel 1870, sul finire del '70, allavigilia della Comune di Parigi, con la sconfitta degli eserciti francesi

    gi in atto, ci rendiamo conto della precisa indicazione del lavoro di unanarchico insurrezionalista, rivoluzionario, che opera all'interno di unacondizione data, in cui praticamente esamina quelle che sono le forzepolitico-sociali in atto, cercando sul movimento in corso per spostarloverso la realizzazione di certi processi di liberalizzazione. come direche dall'empireo delle realizzazioni possibili filosoficamente ineccepi-bili, si scende in quello che un compagno ieri, parlando con il cuore inmano, diceva sporcarsi le mani.

    Questo un argomento che a me preme moltissimo, perch gli anar-chici, compagni e non compagni che mi ascoltate, non abitano dueuniversi differenti, non sono come la vecchia del Candide che stava

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    tre giorni della settimana col Vecchio Testamento e tre giorni col Nuo-vo Testamento, avendo per amante un cardinale e un rabbino.Gli anarchici non possono essere come la vecchia del Candide, gli

    anarchici debbono essere una cosa e devono avere la capacit el'incredibile duttilit di pensiero ed azione di essere quella stessa cosain modo sempre differente in mutate condizioni differenti, cio a diredevono avere la capacit di adottare, di stare nella taverna comediceva l'antica canzone medioevale in taverna con i ladri e in palaz-zo con i principi. Gli anarchici devono avere, quindi, la capacit dicontrastare, nella realt concreta, le realizzazioni del potere, cioquelle strutture che lo portano alle sue estreme conseguenze, quindialle razionalizzazioni peggiori, per ridurre questo progetto all'interno di

    limiti, sia pure parzialmente accettabili. Ma devono fare questo dopoaver superato quelle che sono le condizioni preventive di costruzioneassoluta dell'individuo autonomo, autosufficiente, autogestito. In quan-to se facessero le due cose separatamente cosa succederebbe? Fa-cendo la prima parte soltanto sarebbero stupidi servi di forze sociali epolitiche oggettivamente pi forti di loro, come successo amaramen-te tante volte nella storia: il '36 spagnolo, il '17 russo, la situazionemessicana, sono testimonianze di questa mancata capacit di vedere

    le cose nella variet estremamente duttile. Se si limitassero a costrui-re soltanto la seconda parte, questo individuo che si arrocca in sestesso e in nome della forza dell'individuo si ritiene autosufficiente, sichiuderebbero all'interno del proprio orticello. Queste due cose dob-biamo compenetrare e dobbiamo compenetrarle anche a scapito diuna possibile e ineccepibile lettura di Stirner e dobbiamo realizzarle qui l'uso del termine dovere un luogo comune della lingua dob-biamo realizzarle anche se nella nostra attivit progettualmente rivo-luzionaria dobbiamo ogni volta ricominciare da capo come Sisifo.

    In questo contributo ci occuperemo di alcune riflessioni filosofi-che di grande attualit. L'individuo, da un lato, che sta per esse-re sommerso definitivamente dall'appiattimento generalizzatodella societ attuale, e, dall'altro, il bisogno di questa societ,immaginata e desiderata con forme differenti, spesso confusa-mente indicate da tanti rivoluzionari sotto l'insegna deformante

    di societ comunista. In quest'analisi non ci faremo intimoriren dalla degenerazione che l'amaro tramonto del socialismoreale ha causato nell'idea stessa di comunismo, n dai tentativiinteressati del liberalismo d'ogni genere di mettere avanti il fan-tasma dell'individuo per nascondere i propri progetti di dominioreale.L'occasione di queste riflessioni ci viene fornita da una enne-sima rilettura del libro di Stirner, sopraggiunta, per quel che mi

    riguarda, a distanza di oltre dieci anni, rilettura che come mi eraaccaduto in passato puntualmente contribuisce a suggerire

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    nuove occasioni critiche e nuovi sviluppi filosofici. In fondo, l'at-tualit di un libro come quello di Stirner non pu pi essere mi-surata all'interno del dibattito fra scuole filosofiche diverse,

    spesso oscuramente contrastanti, immerse in un'atmosfera fit-tiziamente lacerante, ma pronte in ogni caso a darsi reciproca-mente una mano nel garantire la permanenza dell'attuale statodi cose, purch siano fatte salve le illegittime interpretazioni diuna filologia ammiccante dall'interno del proprio attivamente cu-stodito ginepraio.Mettendo da parte queste preoccupazioni, forse procurer conle riflessioni che seguono non poche delusioni agli attenti ascol-

    tatori, e mi auguro anche lettori. Delusioni ancora pi consi-stenti attenderanno coloro che si aspettavano, come cosa scon-tata, una discussione sul libro sacro, che tale non l'ho maiconsiderato, ancorch Unico. Come ogni occasione presentatadai testi classici, anche questa stata, almeno per me e per imiei scontati quindici lettori, soltanto un'occasione per proce-dere oltre, in quel territorio scoperto della ricerca dove tuttopermane precario ed approssimativo, con il pericolo costante diperdere legittimit e coerenza man mano che ci si allontanadalla letteralit del testo di partenza e ci si affida alla riflessioneche non solo anticipa, ma che spesso segue l'azione.

    Una contraddizione tutta stirnerianaNel testo ho sempre colto una persistente contraddizione, pocoimportante per chi dell'individualismo anarchico ha una conce-

    zione conchiusa e ferreamente autarchica, molto per tutti glialtri, per coloro che considerano questo territorio della vita co-me uno dei luoghi possibili dell'autenticit, non come l'asso-luzione di ogni imbroglio intermedio, contrassegnante, imbroglioe circospezione, nel bene come nel male, l'accorta vicissitudinedi chi sa amministrarsi pi che il coraggio di chi invece si spen-de tutto in una volta.Come individualisti, siete liberi da tutto, dice Stirner, ma non lo

    siete quando cercate di liberarvi, quando come liberi siete sol-tanto i maniaci della libert, esaltati e sognatori. Solo quandola libert diventa la propria forza questa libert perfetta, maallora non si pi liberi, bens individualisti. Die Freiheit kannnur die ganze Freiheit sein: Ein Stck Freiheit ist nicht die Frei-heit (Der Einzige und sein Eigentum, Leipzig 1893, p. 189), Lalibert pu soltanto essere la libert intera; un pezzo di libertnon la libert (L'Unico tr.it., Catania 1987, p. 149).

    Tutto ci va benissimo, almeno in quanto proposta metodolo-gica, e difatti la contrapposizione esemplificativa tra emancipa-

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    zione e autoliberazione, nella sua genericit, conferma l'in-tento programmatico. L'uomo che si liberato da s, der Nicht-Selbst-befreite, si contrappone all'uomo che stato liberato, der

    Freigegebene. Ma la contraddizione si colloca nel fatto, pertanti versi riduttivo e foriero di letture tutt'altro che rivoluzionarie,di suggerire un possibile aggiustamento progressivo riguardol'abbattimento delle barriere, in modo da accontentarsi di unprocesso iniziato, non essendo ovviamente possibile abbatteretutte le barriere. Ma ci, non forse in contrasto con l'equiva-lenza tra l'essere individualista e l'essere realmente liberi datutto? A me sembra che questa totalit possibile di libert, con-chiusa nelle mani forti dell'individualista, mani capaci di aprire lefauci del leone societario, mal si coniughi con un progressivi-smo accomodante che di fatto rende l'individualista un uomocon dei compiti (Aufgaben) come tutti gli altri, il quale spessocon la scusa della propria forza si adatta come pu giacendo suun pezzo (Stck) di libert, correndo il rischio di proporre a sestesso le proprie debolezze, i propri limiti (Grenzen), come ri-prova dell'avvenuto godimento della vita, della propria vita.In effetti, e qui inizio le riflessioni cui facevo cenno prima, lastrada mi sembra molto pi complessa e difficile. Il pensierofilosofico degli ultimi cinquant'anni ha di certo contributo a de-nunciare questa complessit, facendo uscire un po' tutti gli inte-ressati dall'ingenuit massimalista di un dominio della volontdegli uomini forti. Ma spesso questi approfondimenti hannolasciato molti cultori di un malinteso stirnerismo, alcuni di nuo-

    vissimo conio, nella loro tranquilla ignoranza. La ribellione (Em-prung) un grande momento vitale dell'uomo, del singolo uo-mo, e ci anche (e direi preliminarmente) nella condizione dellainterna insoddisfazione dell'uomo (Unzufriedenheit der Men-schen), ma pu anche costituire un ulteriore traguardo da rag-giungere, uno scopo e quindi una sacralizzazione. Il meccani-smo correttivo ideato proprio da Stirner funziona sempre, im-mancabilmente. Non possiamo arrestarlo, come lo stesso suo

    autore avrebbe voluto, ma dobbiamo condurlo alle estremeconseguenze. E queste sono, fra l'altro, la negazione di ogniconquista stabile, definitivamente conservata e attentamentecustodita, anche di quella di se stessi. L'individualista non taleuna volta per sempre, ma se lo , lo perch continuamente simette in gioco, si estremizza nel rifiuto di ogni collocamentodefinitivo, anche quello del ribelle stabilito una volta per tutte,nella propria divisa mentale di ribelle, sclerotizzato e mummifi-

    cato. E il limite degli stirneriani, oggi pi che mai visibile, e lo di-ciamo anche se con questa affermazione scandalizzeremo tantiappassionati, quello di non tenere conto proprio di questa

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    ulteriore e conclusiva possibilit di catalogazione. La contraddi-zione del testo diventa cos accomodamento di vita, scelta delpossesso sul filo del minore rischio, quando la crescita occhiu-

    tamente si contrae in se stessa e si prepara alla difesa.Al contrario, l'utilizzo di se stesso come criterio di vita l'unicometro che l'individualista pu impiegare. Nella sua assoluta uni-cit questo criterio diventa criterio di verit (Kriterium der Wa-hrheit). Cos, con forza determinante, noter Nietzsche: Das In-dividuum ist etwas ganz Neues und Neuschaffendes, etwas Ab-solutes, alle Handlungen ganz sein eigen. (L'individuo qual-cosa di assolutamente nuovo, che crea ex novo, qualcosa di

    assoluto, tutte le azioni sono assolutamente sue. Frammentipostumi, Opere Complete, tr.it., VII, I, p. 34).

    La debolezza della forzaOgni dottrina della forza e questo il caso di Stirner solo per isuoi cattivi lettori irrimediabilmente debole. Ci vale nonsolo per la dottrina dello Stato, ma anche per quella dell'Indivi-duo. Dietro la forza ci sta sempre la necessit e questa scom-pare, o almeno si affievolisce, soltanto di fronte al prevaleredell'individuo che si ribella e ribellandosi vince non solo le forzeche l'opprimono, ma anche il destino. Per questo Stirner puscrivere: Mglichkeit und Wirklichkeit fallen immer zusammen(Der Einzige, p. 385), possibilit e scelta coincidono sempre.Ma la ribellione non pu essere commisurata e valutata sem-plicemente come forza, in caso contrario non si uscirebbe mai

    dal binomio costituito dalla forza dell'oppressore e dalla forzadell'oppresso. Questo scontro non ha solo una connotazionequantitativa, ma ne possiede una qualitativa, ed su quest'ul-tima connotazione che si opera la rottura in grado di conse-gnare la forza a se stessa e l'individuo libero al di l delle pro-prie stesse capacit di potenza. Stirner ha visto bene questopunto, parlando dello scopo della libert che finisce per di-ventare sacro in se stesso e quindi per snaturare il libero ridu-

    cendolo al grado di liberato, ma non sempre i suoi lettori hannouguale sottigliezza d'intelletto.La forza ha da sempre affascinato il senso comune (der ge-meine Meschenverstand), il quale ha posto come sua proprialegge l'utilit immediata del risultato ottenuto, la piccola conqui-sta liberatoria, ed il testo stirneriano, qualche volta, si presta adequivoci, presto esaltati da un interessato aspetto dell'individua-lismo cattedratico. Cos la reale debolezza si cela dietro un re-

    boante turbinio di affermazioni, un continuo nascondere la pro-

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    pria Not, il proprio tragico bisogno di tutela e garanzia, dietro ilrifiuto di ogni conformit (Richtigheit).Oggi finalmente sappiamo che il riconoscimento dei propri limiti,

    della propria interna condizione di bisogno (innerste Not), ilpasso primario per intraprendere qualsiasi itinerario di ribel-lione, intendendo quest'ultima non solo come ribellione vera epropria (Aufruhr), quanto come Wendung, cio come una svoltanel bisogno, un cambiamento radicale che riconosce la condi-zione di bisogno e cerca un rimedio.Il superamento dell'ambiguit (Mehrdeutigkeit) nell'uso dellaforza, corrisponde non tanto ad un vero superamento nel senso

    hegeliano (Aufhebung), quanto ad un oltrepassamento (ber-windung) nel senso niciano, non essendoci niente di definitiva-mente abolito e niente di definitivamente vinto. Questo oltre-passamento vittoria sulla debolezza umana, sui limiti e sullepaure, proprio perch trascina con s l'ostacolo, lo coinvolgenel processo di trasformazione e quest'ostacolo, dapprima con-siderato come qualcosa di oggettivo, si scopre alla fine esserel'individuo stesso, nell'insieme delle sue credenze, non ultimaquella sull'onnipotenza della volont.Wahr ist, was mein ist,unwahr das, dem Ich eigen bin (Der Einzige, p. 416), Vero ci che mio, non vero ci a cui io appartengo, (L'Unico, p.336).

    Emergere della differenzaNon c' cosa pi evidente della differenza. Tuttavia, se non la si

    vuole banalizzare, e quindi far retrocedere qualsiasi riflessioneche prende spunto da essa, bisogna introdursi in un territoriotutt'altro che facile.L'individuo non pu bastare a se stesso. Chi s'illude di veniremeno a questo limite segna il non oltrepassamento (berwin-dbar) fissato dal nichilismo, la conformit assoluta del di gidato e acquisito una volta per tutte. Ogni chiusura sigilla la for-za che l'ha prodotta, per cui anche il conato pi ricco di effettua-

    lit tradisce le proprie premesse e tramonta miseramente. Unavollendete Sinnlosigkeit, una perfetta assurdit.Ma l'apporto del mondo esterno, e principalmente degli altriindividui, correttamente impostato produce una serie infinita diproblemi, singolarmente non facili e spesso neanche proponi-bili. La differenza pura e semplice diventa in questo modo un'a-strazione indicibile (unsagbar), insignificante in quanto priva diconcretezza umana, di realt attiva, snaturata dal suo proprio

    oggetto. Certo, un rimedio ci sarebbe, ed stato illustrato pivolte, si tratta dell'alibi tassonomico, una lunga lista empirica-

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    mente falsificabile, dalla quale dedurre, per negazioni succes-sive, il resto positivo, quello che l'altro e non quello che po-trebbe essere. Ogni esperienza, sia pur minima, in questo sen-

    so, ha come risultato lo zero pi assoluto. Con esattezza ci soc-corre l'antica intuizione di Eraclito: ,

    , (frammento 41: Un'unica cosa saggezza, intenderecome il tutto sia governato attraverso tutto).Pi pertinente, la differenza prodotta dall'intermediazione cultu-rale. L'interpretazione della realt. L'azione dell'intelligenza suldato di fatto, della fantasia e del sentimento sulla pretesa veri-t del contesto oggettivo. Un'invenzione, insomma, ma almenoconcretamente plausibile, quindi identificabile, sia pure a tento-ni.La differenza in base alla quale rimettiamo in valore l'altro, eche cerchiamo a tutti i costi di difendere, quindi un nostro pro-dotto, l' ho indagato me stesso di Eraclito( ), cio un riflesso colto e contorto della

    nostra individualit, intendendo quest'ultima nella estrema com-plessit del suo essere composto all'interno del quale elementicontrastanti denunciano la propria comune appartenenza (Zu-gehrigkeit). E questa comunanza la situazione personaleche anticipa l'inevitabile situazione comune, la quale ultima puessere anche vissuta come una prigione, ma non per questopu essere eliminata soltanto con un pio atto della volont.Siamo quindi noi che ci concretizziamo nell'azione vitale che ci

    contraddistingue, calandoci pienamente nella nostra propriavita, subendola, a volte, trasformandola in rarissimi casi, inter-pretandola pi spesso e pi malaccortamente di quanto non sicreda. Senza questo continuo processo di de-formazione, sen-za quello che Eraclito chiamava (Frammento 51: Armonia ditensioni contrastanti come nell'arco e nella lira), l'individuo nonesisterebbe, senza questa continua produzione di aggiunte

    esemplari l'individuo resterebbe chiuso nella sua vacua insigni-ficanza. Purtroppo ci sono le considerazioni scolastiche, e l'in-dividualismo come ogni altra ideologia ha la sua scuola, cheimpongono di ragionare in tal modo e non in tal altro, per cuiviene fuori una considerazione d'officina, dove discepoli minu-scoli si travagliano l'anima sui grandi cadaveri dei loro maestri.Cacofonie.L'individuo non coglie la realt che a partire da se stesso, per

    cui riflettendo sopra quanto sta attorno al proprio essere indivi-duale vi trasferisce non solo le proprie possibilit di compren-

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    sione, ma anche le proprie paure. Ne deriva che sarebbe inutileandare alla ricerca d'una differenza oggettivamente fissata persempre. Questa oggettivata nella misura in cui riesce ad inse-

    rirsi nell'insieme costituito dalla situazione che ospita anchel'individuo ideatore della differenza.Da qui la grande difficolt della scoperta, della ricerca. Ognisuperficialit tassonomica si tradisce subito come ridicola farsa.Al contrario, l'illusione, l'artificio, la finzione sono strumenti uti-lissimi per l'apprendistato intellettuale necessario alla ricercadella differenza. La verit non ci comunica altro che una mutaesistenza catalogabile, riconducibile ad una spenta identit.

    Scavando al di sotto di questa verit, ripercorrendo itinerarisempre pi interdetti, riusciamo infine a scoprire differenze realiche prima ci sfuggivano. E si tratta delle nostre differenze, co-stituite, direi quasi impiantate, nell'altro.

    Ma possibile una ricerca delle differenze?In questi termini non ha senso parlare di ricerca delle diffe-renze. Queste, difatti, se stanate individualmente in quanto tali,appaiono solo elenchi privi di vita, ossa scarnificate sul tavoloanatomico dell'oggettiva verit, esercitazioni tassonomiche.Nessuna ricerca sicura di s raggiunge il territorio della diversi-t reale, smarrisce la vera e propria differenza e finisce per si-gillare la compiutezza ideale del catalogo. Occorre lo stimolo diun progetto perduto, il rimpianto di qualcosa che si sarebbepotuto trovare e non si trovato, in innumerevoli ricerche, la

    somma di tutti i fallimenti del passato, i mille e mille rivoli pro-sciugati di un'alluvione che fu e che non siamo sicuri riuscir ariprodursi. Non un percorso circoscritto, segnato da limiti preci-si, dal mio al tuo, dialogica tragicommedia ormai suonata intutte le salse.Al di l dello schematismo aristotelico tra e ,che considera identici il toccare e la sensazione, anche nellastessa logica originale, su cui si sono andati adeguando tutti gli

    altri tentativi di organizzare il pensiero umano, eccettuato quellodi Hegel, si ritrova la funzione del , dell'intuizione immedia-ta, che apre prospettive diverse a qualsiasi teoria della cono-scenza che non si faccia schematismo a se stessa. In questomodo, perfino Aristotele, lontanissimo dal dar spazio a conces-sioni del genere, si affaccia sul terreno parmenideo, dove l'es-sere, immaginato secondo l'antico insegnamento delle folliedionisiache come una sfera (), qualcosa che sfugge

    irrimediabilmente a qualsiasi rappresentazione, a qualsiasi . L'indagine individualista finisce quindi per assumere una

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    connotazione assolutamente nuova. La riflessione non si limitaa catalogare quello che conosciuto, ma pretende illuminarequello che si ritrae, che assume una maschera e gioca come un

    fanciullo.La differenza pura e semplice un ideale che non ci pu affa-scinare. La natura la produce proprio per riaffermare l'assenzadi quella caratteristica esclusivamente umana che permette diidentificare la differenza reale. Ogni cellula diversa dall'altra,ma proprio per questo non ha senso parlare della differenza diuna cellula con l'altra. La possibilit di una vera e propria diffe-renza nasce soltanto dopo che si sono individuate delle co-

    stanti, delle uniformit, non proprio assolute, questo vero, chedi assolutamente identico non c' niente, ma sufficientemente ingrado di fornire orientamenti e progettualit. Questo il puntoessenziale del discorso che sto facendo.L'individuo che non capace di individuare queste costanti nonsa su cosa fondare la propria assoluta individualit, non ha mo-do di capire l'unicit, la quale finisce per sfuggirgli nell'ugual-mente cangiante molteplicit del reale. In questo modo, s'im-magina di vivere in una struttura stabile, culturalmente definita,insomma in quello che una volta si chiamava una civilt matu-ra. Una civilt dove il rapporto propone alla ra-gione una sua normativit differente, quella che insistendo sullasuperiorit della natura sulla ragione stessa, riconduce quest'ul-tima all'ovviet del reale, al non attendersi mai nulla di vera-mente nuovo, di sconvolgente, essendoci noi tutti tratti indie-

    tro, finalmente chiusi in una posizione gerarchica e in una pre-supposta funzione essenziale.Il segreto di Stirner proprio nel rifiuto di tutto questo, accom-pagnato per da un fondo sufficientemente uniforme su cui sibasa l'Unico, e questa uniformit non la si coglie solo nell'aspi-razione alla societ degli egoisti, ma proprio nel giovane sorrisodel , nell'ambito dissacrante dell'individuo e della suaassoluta, e fondata, pretesa a godere di se stesso, senza limiti

    e senza scopi posti al di fuori. Stirner non propone un ritornoalla natura, che allora sarebbe stato un ripropositore pi o me-no hegelianizzato di Rousseau. Egli sottintende la natura, e lasupera, e fa ci proprio perch non intende tenere conto delledifferenze cosiddette oggettive che la natura ineluttabilmentepone sotto gli occhi di tutti. Il suo un approfondimento colto,una deformazione programmata e interessante dei dati dellarealt, l'opera che produce la costituzione di un mondo artifi-

    ciale, in cui le condizioni della vita sono determinate dalla capa-cit del singolo di aprire possibilit, non semplicemente da un

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    vegetare senza sforzi e senza intenzioni. L'arte dell'individuali-sta consiste nel ricondurre la vita, dalla sua prorompente diffe-renziazione, assolutamente priva di significati, all'interno di un

    quadro significativo di uniformit, dove leggere le proprie diffe-renze e quelle degli altri, ma non per annullare ogni ulteriorealterazione, anzi proponendo via via sempre maggiori e conti-nue deformazioni.Il modello dell'individuo stirneriano proiettato verso qualcosadi inesistente, non in una mitica societ del passato, selvaggiaa volont. E questa assenza permette di riconfermare quantostiamo dicendo, nessuna intenzione di ricercare e ancor me-

    no difendere o garantire differenze, ma al contrario ricerca diuniformit. Dopo tutto, lo stirnerismo ha le sue regole, discutibilise vogliamo, ma non per questo meno rigide. E il suo grandeinteresse, almeno per me, sempre stato proprio nell'impossi-bile esistenza del mondo esemplare che prospetta, impossibilitche apre orizzonti all'azione, cio a tutti quei tentativi di trasfor-mazione del mondo in cui viviamo che guardano verso quel mo-dello spesso senza nemmeno capirlo fino in fondo. L'individua-lismo stirneriano, con tutti i suoi appelli datati, e qualche voltafuorvianti, una geniale menzogna, una finzione pi vera delletragiche verit che hanno avvolto le realizzazioni storiche dellecosiddette societ liberate. Al suo cospetto, la verit distillatadalle idee dominanti un riflesso ignobile e malsano, espe-diente empirico per sostenere lo scettro e la tiara. E del ma-scheramento di fronte ad una conoscenza troppo dolorosamen-

    te reale, parler Nietzsche: ... und bisweilen ist die Narrheitselbst die Maske fr ein unseliges allzugewisses Wissen (... etalvolta la follia stessa la maschera per un sapere infelicetroppo certo, Al di l del bene e del male, Opere Complete,tr.it., VI, 2, p. 194).Lavorando in modo sotterraneo quindi in modo tutt'altro chevolontariamente plausibile l'individuo in un cammino lento etortuoso, attraverso mille penosi tentativi, a tentoni, in maniera

    sorda e anonima, ritaglia quei piccoli pezzi di vita che valgonoveramente la pena di essere vissuti. Il suggerimento stirneriano quello di estendere questo processo, via via, a pezzi semprepi ampi, e poi all'intera realt sociale. Personalmente non cre-do a questo processo di approssimazioni successive, e l'espe-rienza di questi ultimi cent'anni dalla parte della mia sfiducia.Occorrono altri metodi per intervenire in modo rivoluzionarionella realt, ma non si tratta di metodi che si escludono a vi-

    cenda. E questo chiaramente un altro discorso.

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    La ricerca dell'affinitTutto Stirner sarebbe privo di senso, o almeno privo d'impor-tanza per noi, se si racchiudesse nell'illusione di una semplice

    ricerca della differenza, della propria come di quella degli altri.La sua grande importanza, costante nel tempo com' facileconstatare, dovuta proprio all'aspetto complementare, quellodella ricerca dell'affinit. Il fatto che Stirner non usi questo ter-mine ha poca importanza. Cerchiamo invece di approfondire ilproblema.In che modo la ricerca dell'affinit diventa complementare allaricerca della differenza? La risposta non semplice.Innanzi tutto, c' da dire che nessuna individuazione di diffe-renza possibile senza una conoscenza approfondita dellacomplessit dell'altro, cio della sua molteplice possibilit divita. Non questione di parit di diritti, non si tratta di concede-re all'altro un dialogo che comunque sarebbe ulteriore forma dicontrollo e dominio. Si tratta, al contrario, e nella sua forma piradicale, di entrare in se stessi, nell'intimo dell'individualit, sitratta di costruire dalle fondamenta quell'individualista che altri-menti resterebbe puro conato retorico. Ora, seguendo l'iniziodella riflessione filosofica sulla base di Platone, quest'altro ap-pare come ci che esso stesso se stesso, ci che essostesso identico a se stesso. Platone, nel Sofista, discute delladistinzione (differenza) tra e , tra quiete e moto,e dimostra come la differenza tra questi due momenti della re-alt consista nel fatto che separatamente essi sono identici a se

    stessi e che non sarebbe possibile la loro reciproca compren-sione se non si identificasse con sufficiente esattezza proprioquesta uniformit persistente.Non quindi possibile trovare la propria stessa individualit setutto quello che a questa individualit appartiene, quello cheStirner chiama la sua propriet, non sia restituito a se stesso,proprio quello che Platone affermava dicendo: , ciascuno di essi esso stesso iden-

    tico a se stesso, dove l'impiego del dativo, come ha notatoHeidegger, restituisce ogni cosa a se stessa in se stessa e perse stessa. Ogni propriet nel senso stirneriano ci interdetta,riducendoci soltanto a possessori passivi di oggetti che noncomprendiamo pur producendoli, se non penetriamo questadifferenza e se non abbiamo la capacit di collocare questadifferenza nel grande flusso delle uniformit.

    Una comunanza di elementi

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    Noi possiamo formare un tutto, e quindi essere insieme (zu-sammen) con l'altro, possiamo veramente conoscerlo, e uti-lizzarlo nel senso stirneriano, soltanto se rifiutiamo di ridurlo a

    mera oggettualit, a semplice strumento di conforto delle nostrepaure. E per fare ci non dobbiamo n in fondo possiamo limitarci a garantire, per lui e per noi stessi, le sue differenze,dobbiamo andare oltre, tratteggiare una serie di interventi che ciforniscono la mappa dell'affinit, una conoscenza quanto pidettagliata possibile, che non si realizza mai del tutto ma checomunque, se approfondita, fornisce la base su cui costruire ilrapporto con l'altro. Il nostro lavoro quindi fondato sulla comu-nanza di elementi e sulla individuazione di quelle parti di diffe-renza che cos vengono rilevate ed abbandonate nell'apparte-nenza, quella Zugehrigkeit o se si vuole, con Heidegger, sem-plicemente quella Gehrigkeit di cui abbiamo parlato.Non si devono confondere questi processi conoscitivi con lacatalogazione genericamente astratta del particolare e dell'uni-versale, seguendo in questo l'indicazione inesatta di Kant. Quisiamo davanti ad un forte procedimento selettivo diretto a for-mare un tutto organico, strutturato secondo l'elemento comunedella conoscenza, non una definizione tassonomica della pos-sibile pluralit di eventi. Aristotele affermava: , cio: la definizione l'enun-ciazione dell'essenza, ma l'atto del definire non l'ap-plicazione di un principio astratto alla concretezza del reale, lasovrapposizione di una piramide logica, quanto piuttosto la co-

    struzione dei fondamenti della conoscenza, il procedimento,spesso semplice, a volte complesso, con il quale l'altro esa-minato nella prospettiva di individuare possibili affinit, costantisulle quali costruire qualcosa assieme.

    La negazione delle differenze quindi il procedimento salutareper mezzo del quale queste stesse differenze contribuiscono adefinire la realt e a conoscerla, riflettendosi nell'individualitconoscitiva, accrescendola e rendendola in grado di agire in

    quanto individuo, al massimo delle sue possibilit. Omnis de-terminatio est negatio et omnis negatio est determinatio.Se la permanenza necessaria, e come tale potrebbe man-tenere le pareti della prigione intatte, il cangiamento soltantopossibile, e come tale modificherebbe all'infinito i confini manon potrebbe n superarli, n abolirli. Ma in realt tra questidue poli non c' separazione, come accade per tutto quello cheesiste. Ildi Platone soltanto un espediente metodo-

    logico, un distacco ordinativo. Giustamente Aristotele l'abolisceintroducendo l'cos considerando semplicemente pro-

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    babile la pura possibilit separata dalla necessit e legando idue termini: e l'uno all'altro in modo chescorrano uno nell'altro e viceversa, costruendo in questo modo

    il concetto di divenire.Non possiamo dividerci nella differenza, non pi di quanto pos-siamo isolarci dal mondo e sognare territori esclusivamentenostri. Per il medesimo motivo le mostruosit del mondo, anchele pi estreme e incomprensibili sono anche le nostre e non cipossono mai risultare del tutto estranee, non possiamo mai iso-larle definitivamente e dire che il senso verso cui c'indirizziamo quello giusto, il senso della storia e del progresso. Die Wstewchst, scriver Nietzsche, weh Dem, der Wsten birgt, (Il de-serto cresce, guai a chi alberga deserti, Ditirambi di Dioniso,Opere Complete, tr.it. VI, 4, p. 17).

    Cosa significa essere individualisti?Questa domanda finale, che poniamo al termine del nostro in-tervento, vuole dapprima riflettere brevemente sul senso dadare alla parola significa. Spesso non ci poniamo questo pro-blema, ma proprio nell'argomento che ci occupa la riflessionediventa indispensabile. Un modo errato di concepire il significa-to di qualcosa quello illustrato nel vecchio libro di Ogden eRichards, The Meaning of Meaning, dove il problema ristrettoall'influenza delle parole sul pensiero e quindi sulla cosa pen-sata. Ancora una volta la lingua tedesca ci viene in aiuto. Signi-ficare si dice bedeuten, nel senso di voler dire, ed questo il

    senso corrente del termine, ma esiste un altra parola con unadifferente modulazione: heien, che sottolinea il senso dichiamare a, inviare a. In effetti, l'essere individualisti significaqualcosa solo nel senso di movimento verso la realt, non nelsenso di uno statico possesso di qualcosa, custodito con mino-re o maggiore attenzione.Le formulazioni di principio, e la dichiarazione d'individualismofino a prova contraria resta tale, sono semplici notazioni che

    non si concretizzano se non quando rinviano ad una realt pre-cisa, e questo rinviare (hinweisen) contiene un significato soloquando pu dimostrare (beweisen) l'effettiva conquista dellapropria autonomia individuale. In questo modo l'atto significante la vera e unica differenza, la propriet da usare e non da cu-stodire, anzi da spendere al massimo, da bruciare e quindi davivere. Cos Nietzsche: Man mu seine Leidenschaft in Dingenhaben, wo sie heute Niemand hat, (Si deve riporre la propria

    passione nelle cose in cui oggi non la ripone alcuno, CasoWagner, Opere Complete, tr.it., VI, 3, p. 46). La vita diventa

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    Alfredo Maria Bonanno

    cos l'unico movimento che riempie di significato l'individuali-smo, e non viceversa, l'atto significante si scambia con l'affinitconforme a se stessa e diventa atto verificante, fondamento del

    principio individualista, che torna comunque a smarrirsi un'altravolta non appena il coinvolgimento individuale viene meno e lapaura sorge all'orizzonte.Niente ci garantisce dall'esterno, meno che mai tutto quello cheistituzionalmente si appella alla garanzia. Non siamo garantitin dalla comunit artificiale che ci ospita, n dall'unit che nonpossiamo non cogliere nel processo conoscitivo dell'altro, quelZusammen di cui abbiamo parlato. Ma non siamo neanche ga-rantiti dal dichiararci individualisti. Noi non apparteniamo a noistessi se non giocandoci tutte le volte che ci si rende possibile(e quindi anche necessario). Se ci ritraiamo, se ci tiriamo indie-tro (sognando di chiamarci fuori), ci sperdiamo nell'esterioritche ci ospita come una prigione, con regolamenti e orari, nume-ri e riconoscimenti. Solo cos possiamo appartenerci e, parten-do da questa condizione indiscussamente privilegiata. Da que-sto Gehren in movimento, possiamo costruire l'unit del mon-do che ci circonda, la nostra unit significativa, quel Zusammenche ha fatto cadere le differenze e cos su queste ultime co-struire il processo di affinit.Il possesso di noi stessi, in fondo la vera Eigenheit, la nostrapeculiarit, la vera propriet di cui parla Stirner ci deve appar-tenere (ancora una volta gehren), e ci pu accadere dopoche noi l'abbiamo condotto all'unit con noi stessi, al di l di

    qualsiasi differenza possibile, e solo dopo che lo abbiamo tra-sferito (bereignet) in noi, dopo che ce ne siamo impossessati.Ed allora, nell'ambito di questa nuova unit, la molteplicit delledifferenze ci parla, assume significato nuovo per noi, e noi ciponiamo in ascolto, e non trascurabile notare che in tedescogehren deriva proprio da hren, che vuol dire ascoltare.L'individualista abita una radura luminosa ma non ha paura delbuio. Non ha paura di niente. Condizione molto faticosa questa,

    che non tutti riescono a sopportare. La libert brucia veloce-mente, bisognerebbe parlare (e scrivere) di meno. Schreibt mannicht gerade Bcher, um zu verbergen, was man bei sich birgt?(Non si scrivono forse libri al preciso scopo di nascondere quelche si custodisce dentro di s?, Al di l del bene e del male,Opere Complete, tr.it., VI, 2, p. 201).