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ANNO XX - NUMERO 1 - MAGGIO 2006 - Semestrale d'informazione del Comune di Treppo Grande distribuito gratuitamente a tutte le famiglie del Comune e agli emigranti - Reg. Trib. UD 22/87 - Sede redazione, Uffici Comunali: Piazza Marconi, Treppo Grande www.comune.treppogrande.ud.it i l c o m u n e d i TREPPO GRANDE I tre Sindaci del dopo terremoto (da sinistra a destra: Menis, Ponta, Ioseffini) durante le celebrazioni per il ventennale del sisma. T rent’anni, e pare ieri! Sono tra- scorsi proprio tre decenni da quella afosa serata del 6 mag- gio 1976, allorché “l’orcolat” ci cam- biò letteralmente la vita. Da quel mo- mento il nostro destino e la storia di ognuno di noi subì un radicale ed im- provviso scossone. La paura e l’ansia dei primi momenti lasciò ben presto spazio alla consapevolezza di ciò che stavamo vivendo, seppur con molte incognite ed interrogativi. L’ingegno ed il sapersi arrangiare emersero con prepotenza, e la neces- sità di crearsi un riparo, al di fuori del potenziale pericolo di crolli, fece spuntare una miriade di “abitazioni” d’emergenza. Poi venne il tempo delle tende, per molti dello sfollamento sul litorale, e successivamente dei prefab- bricati. Quante storie dietro questi periodi, quanti ricordi e quanti episo- di che hanno segnato indelebilmente il destino di tutti noi! Il decentramento amministrativo e le leggi regionali sulla ricostruzione se- gnarono la fine della fase dell’emer- ...E pare ieri! Il Sindaco Giordano Menis segue a pag. 2 NUMERO SPECIALE 1976 -2006 TRENT’ANNI DAL TERREMOTO genza per dare inizio a quella della ri- costruzione. A distanza di tre decenni il volto del nostro Comune appare profondamen- te mutato rispetto a quel tempo. Le ri- strutturazioni delle case e la costru- zione di nuovi edifici, unitamente alla realizzazione di moltissime opere pubbliche, hanno generato un aspetto nuovo, pulito, ordinato, funzionale e paesaggisticamente piacevole al no- stro territorio ed al nostro “piccolo mondo”. Allorché mi capita di attraversare qualche paese della bassa friulana, do- ve i marciapiedi presentano qualche discontinuità, le facciate delle case non sono tutte fresche di pittura, la vetustità di tante strutture fa traspari- re i segni del tempo, ritorno a “vede- re” i nostri paesi di un tempo: chi si ricorda l’aspetto delle nostre strade e piazze di allora? L’immagine delle pa- reti sbiadite delle case in linea lungo le vie centrali, intercalate da qualche portone consumato sotto i portici d’accesso, con i marciapiedi sconnessi ed irregolari sono oramai un lontano ricordo. Le moltissime opere nel settore via- rio, fognario, cimiteriale, sportivo, delle strutture scolastiche, istituziona- li e dell’edilizia pubblica hanno rap- presentato in questi anni un impegno che solo pensando a quanto è costato ci fa capire le dimensioni e la portata. Oltre nove miliardi delle vecchie lire attinti dai fondi per la ricostruzione delle opere pubbliche. L’edilizia privata ha potuto contare su contributi pubblici per oltre quindici miliardi delle vecchie lire. Le Ammi-

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Page 1: Comune di Treppo Grande: Comune di Treppo Grande ......ANNO XX - NUMERO 1 - MAGGIO 2006 -Semestrale d'informazione del Comune di Treppo Grande distribuito gratuitamente a tutte le

ANNO XX - NUMERO 1 - MAGGIO 2006 - Semestrale d'informazione del Comune di Treppo Grande distribuito gratuitamente a tutte le famiglie del Comune e agli emigranti - Reg. Trib. UD 22/87 - Sede redazione, Uffici Comunali: Piazza Marconi, Treppo Grande

www.comune.treppogrande.ud.it

i l c o m u n e d i

T R E P P O G R A N D E

I tre Sindaci del dopo terremoto (da sinistra a destra: Menis, Ponta, Ioseffini) durantele celebrazioni per il ventennale del sisma.

Trent’anni, e pare ieri! Sono tra-scorsi proprio tre decenni daquella afosa serata del 6 mag-

gio 1976, allorché “l’orcolat” ci cam-biò letteralmente la vita. Da quel mo-mento il nostro destino e la storia diognuno di noi subì un radicale ed im-provviso scossone. La paura e l’ansiadei primi momenti lasciò ben prestospazio alla consapevolezza di ciò chestavamo vivendo, seppur con molteincognite ed interrogativi. L’ingegno ed il sapersi arrangiareemersero con prepotenza, e la neces-sità di crearsi un riparo, al di fuori delpotenziale pericolo di crolli, fecespuntare una miriade di “abitazioni”d’emergenza. Poi venne il tempo delletende, per molti dello sfollamento sullitorale, e successivamente dei prefab-bricati. Quante storie dietro questiperiodi, quanti ricordi e quanti episo-di che hanno segnato indelebilmenteil destino di tutti noi! Il decentramento amministrativo e leleggi regionali sulla ricostruzione se-gnarono la fine della fase dell’emer-

...E pare ieri!

Il Sindaco Giordano Menissegue a pag. 2

NUMERO SPECIALE

1976 -2006 TRENT’ANNI DAL TERREMOTOgenza per dare inizio a quella della ri-costruzione.A distanza di tre decenni il volto delnostro Comune appare profondamen-te mutato rispetto a quel tempo. Le ri-strutturazioni delle case e la costru-zione di nuovi edifici, unitamente allarealizzazione di moltissime operepubbliche, hanno generato un aspettonuovo, pulito, ordinato, funzionale epaesaggisticamente piacevole al no-stro territorio ed al nostro “piccolomondo”.Allorché mi capita di attraversarequalche paese della bassa friulana, do-ve i marciapiedi presentano qualchediscontinuità, le facciate delle casenon sono tutte fresche di pittura, lavetustità di tante strutture fa traspari-re i segni del tempo, ritorno a “vede-re” i nostri paesi di un tempo: chi siricorda l’aspetto delle nostre strade epiazze di allora? L’immagine delle pa-reti sbiadite delle case in linea lungole vie centrali, intercalate da qualcheportone consumato sotto i porticid’accesso, con i marciapiedi sconnessi

ed irregolari sono oramai un lontanoricordo.Le moltissime opere nel settore via-rio, fognario, cimiteriale, sportivo,delle strutture scolastiche, istituziona-li e dell’edilizia pubblica hanno rap-presentato in questi anni un impegnoche solo pensando a quanto è costatoci fa capire le dimensioni e la portata.

Oltre nove miliardi delle vecchie lireattinti dai fondi per la ricostruzionedelle opere pubbliche. L’edilizia privata ha potuto contare sucontributi pubblici per oltre quindicimiliardi delle vecchie lire. Le Ammi-

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2 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Grazie

nistrazioni che si sono susseguite, con Sindaci edAssessori in testa, hanno attuato un programmadi investimento che mai la storia del nostro Co-mune aveva registrato. Oggi ciò che consegniamo alle nuove generazioni puòcertamente farci inorgoglire. Io credo che accanto alla dedizione, sacrificio edimpegno della popolazione tutta un riconoscimento particolare lo dobbiamoagli amministratori pubblici, in particolare a quelli che hanno vissuto l’emer-genza ed i primi anni della ricostruzione. Assumendosi responsabilità enormihanno dedicato ogni ora del proprio tempo per far risorgere il nostro tessutosociale ed abitativo. Grazie! Un pensiero commosso lo rivolgiamo a quegli Am-ministratori che dopo aver tanto dato purtroppo ci hanno lasciato. Una cosìgrande opera, segnata da sacrifici e dedi-zione, realizzata da tutti indistintamente,ha avuto purtroppo un momento di mor-tificazione. Mi riferisco al momento incui al nostro Comune, assieme ad altrisette, fu decretata l’assegnazione dellamedaglia d’argento al valor civile per glieventi sismici. Diversamente dagli altri 38 comuni clas-sificati disastrati, come il nostro, a cuivenne conferita la medaglia d’oro. Que-sta sminuizione creò la convinzione nellacittadinanza di essere stati oggetto diun’ingiustizia e fu proprio sulla spintadella Comunità intera che ingaggiammouna vera e propria “contesa” con le Au-torità dello Stato al fine di rivedere detta

assegnazione. Scrivemmo al Presidente della Re-pubblica, motivando le nostre ragioni con dati og-gettivi, e Ciampi ci capì. Dopo un frenetico perio-

do di incontri, iniziative, richieste, articoli sulla stampa arrivò finalmente l’invi-to ad un’audizione presso il Ministero degli Interni a Roma. Le nostre ragioni furono condivise ed il suono delle campane a distesa, il po-meriggio del 6 febbraio 2003, annunciarono l’assegnazione della medagliad’oro. Il 25 febbraio dello stesso anno, al Quirinale, nel corso di una cerimoniasolenne, sono state consegnate ai 46 Comuni disastrati del Friuli, tra cui il no-stro, le medaglie d’oro al merito civile. La motivazione che appare sul decretodi conferimento della medaglia d’oro al Comune di Treppo Grande recita: “In

occasione di un disastroso terremoto,con grande dignità, spirito di sacrificioed impegno civile, affrontava la difficileopera di ricostruzione del tessuto abita-tivo, nonché della rinascita del propriofuturo sociale, morale ed economico. Splendido esempio di valore civico e dialto senso del dovere, meritevoledell’ammirazione e della riconoscenzadella Nazione tutta”. Ora questa preziosa medaglia è appunta-ta sul gonfalone comunale a riconoscen-te memoria di tutti coloro che con la lo-ro opera hanno contribuito al consegui-mento di un così alto riconoscimento.

Il Sindaco Giordano Menis

dalla prima pagina

Vogliamo dire “grazie” a tutti coloro che hanno dedicato il lorotempo prezioso per contribuire alla realizzazione di questa pub-blicazione.

Nel ragionare su come svilupparla, abbiamo riflettuto sul significatoche ha oggi quell’evento in parte lontano, ma che così spesso ricorrenei discorsi della gente. A cominciare dai giovani e dai bambini che loconoscono solamente attraverso i racconti di genitori e nonni. Abbia-mo quindi pensato di coinvolgere gli alunni della nostra scuola in que-sta ricerca di testimonianze. E il loro lavoro, correttamente indirizzatodalle insegnanti, è stato ottimo. Quel forte senso di comunità che l’avvenimento calamitoso aveva ri-svegliato, quello spirito di sacrificio e quel sentimento di gioia nel dar-si vicendevolmente una mano, quel magnifico, impagabile aiuto offer-to da volontari, organismi, associazioni, enti di tutto il mondo – che inqueste pagine non abbiamo rappresentato nella sua totalità, visto ilgran numero di realtà diverse implicate – vorremmo non fossero di-menticati nemmeno dai più piccoli.Abbiamo cercato di dare agli approfondimenti un taglio umano, soffer-mandoci anche su aneddoti e dettagli che ambiscono a far addentrare illettore con gli occhi e con il cuore nella quotidianità di quel periodo.Grazie quindi a quanti ci hanno riferito le proprie esperienze, grazie achi ci ha fornito prezioso materiale fotografico, grazie a coloro che conpalpiti di vita vissuta ci hanno fatto rivivere quei momenti così tragicieppure così intensi. Grazie a quanti hanno scritto queste pagine, ria-prendo a volte capitoli della propria vita momentaneamente chiusi, oaffacciandosi a una finestra da cui spesso amano ammirare l’orizzonte.E si è trattato frequentemente di primi protagonisti nella ricostruzionefisica e sociale del nostro paese. Spesso, questi scritti sono costati fati-cose ricerche, in un tram tram quotidiano sempre più pressante; per-ciò, il nostro, è un grazie che vorremmo ripetere mille volte.

La redazione

Trent’anni... E pare ieri!

NNuummeerroo ssppeecciiaallee 11997766--22000066

1976-2006trent’anni dal terremoto 1-2137 comuni sconvolti 3Scatta l’emergenza 4-5Vivere nella “tendopoli” 6-7“Modello Friuli” 8Sfollati a Lignano 9TESTIMONIANZE...

A Vendoglio si racconta 10A Treppo Piccolo si racconta 11A Treppo Grande si racconta 12-13A Zeglianutto si racconta 14A Carvacco si racconta“Pinsîrs” 15L’ansia di chi era lontano 16-17Terra, aria, fuoco e acqua 18Volontari di Protezione civile 19Il gruppo di Protezione civile 20Un maestro severo e prezioso 21La ricostruzionenel nostro comune 22-23Nel tempo, una diversacultura dell’ambiente 24-25Maggio ’76 attraversogli occhi di un ex dodicenne 26Cultura friulana e terremoto 27Mamma, papàraccontatemi il terremoto 28/30Le poesie di Guerrino 31

sommario

AVVISO. Si comunica che questo numero speciale sostituisce il notiziario comunale consueta-mente edito in giugno. Vista l’importanza di questa commemorazione, infatti, si è pensato didare priorità a una pubblicazione che dedichi i dovuti approfondimenti e i giusti spazi a unevento che ha segnato profondamente la comunità.

1976:Treppo ricorda

PROGRAMMACELEBRAZIONITRENTENNALETERREMOTO

VENERDI 28 APRILEore 20.30 - Sede municipale

Scoprimento opera artistica in legno realizzata e donata dallo scultore Luciano Spizzo

InaugurazioneMOSTRA FOTOGRAFICA “Treppo 1976: la terra trema, la vita cambia”

Presentazione numero specialeNotiziario comunale “1976-2006. Trent’anni dal terremoto”

Incontro “IO C’ERO, IO NO” Parlano i testimoni di allora e chi ne ha solo sentito parlare

VENERDI 5 MAGGIOore 20.30 - Piazza Marconi

Proiezione filmato sul terremoto in Friuli e a Treppo

SABATO 6 MAGGIOScuole elementari - Prova di evacuazione e testimonianze

ore 21.00 - Chiesa parrocchiale

SS. Messa commemorativa

Tutti gli Amministratori comunali succedutisi dal 1976 al 2003, in occasionedell’incontro dedicato al conferimento della medaglia d’oro al valor civile pergli eventi sismici al nostro Comune.

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6 MAGGIO 1976 –ORE 21:una scossa pari all’undi-cesimo grado della sca-la Mercalli della duratadi 52 secondi, con epi-centro il monte San Si-meone, sconvolgeun’area di 5.700 kmq. Viene devastato il terri-torio di 137 comuni delFriuli.Di questi, 45 furonoclassificati disastrati:Amaro, Artegna, Atti-mis, Bordano, Buja,Cassacco, Cavazzo Car-nico, Chiusaforte, Col-loredo di Monte Alba-no, Faedis, Forgaria nelFriuli, Gemona delFriuli, Lusevera, Ma-gnano in Riviera, Maja-no, Moggio Udinese,Montenars, Nimis,Osoppo, Pontebba, Ragogna, Resia, Resiutta, San Daniele delFriuli, Taipana, Tarcento, Tolmezzo, Trasaghis, Tricesimo, TreppoGrande, Venzone, Villa Santina; Castelnovo del Friuli, CavassoNuovo, Clauzetto, Fanna, Frisanco, Meduno, Pinzano al Taglia-mento, Sequals, Spilimbergo, Tramonti di Sopra, Tramonti di Sot-to, Travesio, Vito d’Asio.

40 gravemente danneggiati: Ampezzo, Arta Terme, Cercivento, Cividale del Friuli, Come-glians, Dogna, Enemonzo, Fagagna, Lauco, Ligosullo, Malbor-ghetto, Martignacco, Moimacco, Moruzzo, Ovaro, Pagnacco, Pa-luzza, Paularo, Povoletto, Prato Carnico, Premariacco, Preone,Pulfero, Ravascletto, Raveo, Reana del Roiale, Remanzacco, Rived’Arcano, San Pietro al Natisone, Socchieve, Sutrio, Torreano,Treppo Carnico, Verzegnis, Zuglio; Andreis, Arba, Maniago,Montereale Valcellina, Vivaro.

52 danneggiati: Basiliano, Buttrio, Campoformido, Corno di Rosazzo, Coseano,Dignano, Drenchia, Flaibano, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni

di Sotto, Grimacco, Le-stizza, Manzano, Mere-to di Tomba, Pasian diPrato, Pavia di Udine,Pozzuolo del Friuli,Pradamano, Prepotto,Rigolato, San Giovannial Natisone, San Leo-nardo, San Vito di Fa-gagna, Sauris, Savogna,Sedegliano, Stregna,Tarvisio, Tavagnacco,Udine; Arzene, Aviano,Barcis, Budoia, Caneva,Cimolais, Claut, Corde-nons, Fontanafredda,Polcenigo, Porcia, Por-denone, Roveredo inPiano, Sacile, San Gior-gio della Richinvelda,San Martino al Taglia-mento, San Quirino,Valvasone; Cormons,Dolegna del Collio, SanFloriano del Collio.

La popolazione coinvolta fu di 600.000 persone, 989 furono imorti, più di 3.000 i feriti, oltre 100.000 i senza tetto.

IL 15 SETTEMBRE 1976:due scosse pari al decimo grado della scala Mercalli, registrate alle5.20 e alle 11.15, costrinsero oltre 100.000 persone ad abbando-nare la zona disastrata. Il commissario straordinario del Governo, on. Zamberletti, orga-nizzò in pochi giorni l’esodo verso la costa adriatica dove 40.000persone trovarono ospitalità. Lignano, Grado, Bibione e Jesolodiventarono per molti friulani il loro secondo paese. Per dare untetto provvisorio alle popolazioni così duramente colpite, la Re-gione realizzò 9.252 alloggi capaci di accogliere 35.000 persone.Il commissario straordinario integrò tale intervento con altri11.748 alloggi. Vennero così a crearsi 350 villaggi, dove al 1 mag-gio 1977 avevano trovato sistemazione oltre 75.000 persone.

18.000 furono le case distrutte, mentre 75.000 risultarono quelleda riparare.

Il castello di Zegliacco gravemente danneggiato (foto Alvio Baldassi).Si ristruttura il municipio

137 comuni sconvolti: tutti i dati del sisma del ’76

7 maggio 1976. Titolo di testa della prima pagina del “Messaggero Veneto”

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Ringraziamento pubblico, presso le scuole elementari, per i prefabbricati Por-takabin donati dagli inglesi. Da sinistra a destra si possono scorgere il senatoreBeorchia, il console inglese di Venezia Jacques, l’ambasciatore inglese di RomaCampbell, una alunna delle scuole di Treppo, il commissario straordinario delGoverno Zamberletti, il sindaco Ponta (archivio Enrico Ponta).

Scatta l’emergenzaNel ventennale del terremoto, nel1996, ebbi a scrivere che, in una ce-rimonia a villa Manin, i sindaci delFriuli riconsegnarono simbolicamen-te i comuni ricostruiti al presidentedella Repubblica Scalfaro. L’attualepresidente Ciampi, l’anno scorso, hainsignito di medaglia d’oro al valorecivile i comuni del terremoto. Sono stati premiati il lavoro, la dedi-zione e la volontà di ricostruire deisindaci e degli amministratori succe-dutisi dal ’76.Trent’anni dopo quel 6 maggio, cer-te immagini e certi ricordi mi sem-brano di pochi giorni fa, mentre in-vece ne è passata di acqua sotto iponti. Cercherò di rendere un’im-magine di come era la situazione pri-ma e cosa è cambiato dopo. Tre im-piegati, un segretario in consorziocon Cassacco, due persone addettealla manutenzione strade ed edificipubblici, un geometra della Comu-nità Collinare, due ore alla settimanasvolgevano egregiamente tutto il la-voro.Il 6 maggio ’76 la mia agenda preve-deva due appuntamenti: alle 10 unmatrimonio civile ed alle 20.30 unariunione, a Maiano, con la ComunitàCollinare. Sindaco dall’agosto ’75,era il primo matrimonio che celebra-vo. Segretamente, ero più emoziona-to degli sposi, che erano alla secondaesperienza. Al secondo appuntamen-to, a Maiano, io e Mario Castenetto(allora vicesindaco) saremmo arrivatiun po’ più tardi. Alle 21.03 facevabuio (a quel tempo non c’era l’ora

Casa inagibile di Zegliacco: si osservi la scritta “no” apposta sul muro (foto Alvio Baldassi).

legale): eravamo a qualche decina dimetri dal campanile di Maiano e conla Fiat 124 stavo facendo retromar-cia per entrare in una laterale. Un ondeggiamento strano dell’automi fece pensare ad un vento fortissi-mo; l’ondeggiamento dei pali dell’il-luminazione pubblica e delle case al-la luce dei fari per 57 secondi ci reseconsapevoli del terremoto. Nel pre-cipitoso ritorno a Treppo, trovammoostruita la strada a Casasola e a Buia,ma finalmente per Carvacco e Ven-doglio giungemmo a casa. Eravamomeno sfortunati di tanti altri, ma lapaura ci fece passare la notteall’aperto. Al primo chiarore ci tro-vammo nella piazza del municipio eincominciammo a organizzarci sucosa fare.Le scuole elementari rimaste agibilie l’adiacente campo sportivo furonoadibiti ad ospitare il consiglio comu-nale, i primi interventi sanitari e lasede dell’ambulatorio. Giunsero anche i primi soccorsi mi-litari con tende, viveri, generi ali-mentari e vestiario inviati dalla Pre-fettura.Il verbale ciclostilato del primo con-siglio dice: “Il consiglio comunaleriunitosi in seduta urgente – straor-dinaria, oggi 9 maggio c.a. (1976,ndr), alle 10.00, presso un’auladell’edificio scolastico elementaredel Capoluogo, ha esaminato la si-tuazione del comune a seguitodell’evento del 6 maggio c.a.Esaminata la situazione con partico-lare riguardo:

a) Approvvigionamento acqua pota-bile;

b) Sistemazione nuclei abitativi intende;

c) Approvvigionamento viveri;d) Situazione sanitaria;e) Situazione logistica ed edilizia.

HA DELIBERATO

Di prendere i seguenti specificiprovvedimenti:a) In merito all’approvvigionamento

di acqua potabile:- è stato accertato l’utilizzo per uso

potabile dell’acqua delle rete idri-ca del Cornappo;

- è vietato l’uso potabile dell’acquadei pozzi artesiani e simili;

b) In merito alla sistemazione deinuclei abitativi sfollati:saranno sistemati presso due ten-dopoli:

- una tendopoli verrà installatapresso il campo sportivo di Trep-po Grande (Capoluogo);

- la seconda tendopoli verrà instal-lata presso il campo sportivo diVendoglio (di fronte all’attualeparco festeggiamenti, non esistevail nucleo di abitazioni attuale,ndr);

c) Approvvigionamento viveri:presso le due tendopoli di cui so-pra funzionerà la distribuzione diviveri, i cui responsabili sono:

- VIDONI PAOLO ePICCOLI ENRICO per la tendo-poli di Vendoglio;

- DANELUTTI ATTILIO edERMACORA EFREM per la ten-dopoli di Treppo Grande.

Detti responsabili coordineranno ilproprio compito con l’E.C.A. (EnteComunale Assistenza).d) In merito alla situazione Sanitaria:- si provvederà immediatamente al-

la riapertura della Farmacia Pe-derzolli per dar modo alla popo-lazione di servirsi dei medicinalipiù urgenti;

- si accerterà lo stato di igienicitàdegli immobili (case, stalle, ecc.)per provvedere eventualmente al-la loro disinfestazione;

- si cercherà di ottenere il fabbiso-gno necessario di vaccini, percontinuare le vaccinazioni già incorso della popolazione tutta;

e) In merito alla situazione edilizia:- è stata costituita una commissione

composta da due periti, un inge-gnere, due impresari edili, per ac-

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certare nei prossimi giorni lo sta-to di agibilità delle case lesionate.

Il Sindaco Enrico Ponta”

Volontari della Croce Rossa con me-dici e personale sanitario si installa-rono nella tendopoli. Si fecero dellevaccinazioni a tutti per evitare pos-sibili epidemie. Si eseguirono delleprime classificazioni sulle abitazio-ni, sulle strutture portanti e sullapossibilità di eventuali crolli su stra-de pubbliche. La Regione inviò deitecnici per verificare edifici pubbli-ci, ponti, strade danneggiate, possi-bili zone franose, un controllo gene-rale sul territorio ed eventualmentedelimitare zone ed intervenire consquadre di addetti. Le linee elettri-che a Treppo vennero ripristinatedopo tre giorni.Si potevano ascoltare notizie con ra-dio a batteria, i giornali arrivaronoregolarmente, i telefoni erano sem-pre occupati ed era impossibile co-municare visto che i telefonini nonesistevano. Le prime notizie del di-sastro sono state trasmesse da ra-dioamatori. La base operativa ven-ne fatta in Prefettura; i primi giornivennero chiuse le strade di accessodelle zone disastrate: venivano la-sciati entrare solo mezzi autorizzati.Dalla Prefettura furono creati centridi coordinamento. Treppo facevaparte di quello di Maiano, assiemeal comune di Moruzzo e di Collore-do. Ogni giorno ci si trovava al mat-tino sotto le tende in piazza a Maia-no per verificare lo stato della situa-zione e le necessità di ogni comune,nonché prendere ordini, istruzioni edirettive dal Commissario straordi-nario del Governo, Zamberletti.Nei magazzini c’era di tutto e servi-

va un po’ di tutto, ma la necessitàmaggiore era quella di avere tendeper sistemare le persone. Molti siorganizzarono da soli in box e mez-zi di fortuna fatti con legname e telidi plastica.Fabbriche fermate, alcune distrutte;uffici, negozi, scuole, laboratorichiusi. Squadre dell’Enel di altreRegioni ripristinarono il più veloce-mente le linee elettriche e lentamen-te si riprese il lavoro. Avvisi sui mu-ri, scritti con lo sprai, avvertivano difar bollire acqua e verdure primadel consumo. Su alcune case siscrisse “SÌ” oppure “NO”, che vo-leva dire abitabile o meno. Ai rap-

presentanti del Governo fu subitochiesto di ripristinare le fabbriche,di assicurare il lavoro e le case. Ven-nero sistemati negozi e attività arti-gianali in box o prefabbricati di le-gno, in zone delimitate secondo leesigenze dei vari comuni. Nel no-stro comune c’erano circa ventiaziende commerciali di vario gene-re, varie aziende edili, di servizi, ar-tigiani del legno, due latterie; l’eco-nomia di molte famiglie si basavasia su attività agricole e di alleva-mento bovini sia su lavoro dipen-dente. In Comune funzionava, unavolta alla settimana, l’ufficio dei col-tivatori diretti, che tramite un suofunzionario svolgeva pratiche buro-cratiche e sindacali per gli addetti.Al giorno d’oggi l’agricoltura è an-cora una componente importanteper l’economia locale, ma concen-trata solo in poche aziende.Mentre nel nostro Comune si cerca-va quasi di non accettare i prefab-bricati della Regione, per il timoreche, una volta sistemati “i senza ca-sa” nelle baracche, ci si dimenticas-se di loro e facessero la fine di altriterremotati che dopo anni vivevanoancora in situazioni precarie, le fortiscosse del 15 settembre ci fecero ca-pire la realtà dell’imminente inver-no e dell’impossibilità di ricostruirein breve tempo. La popolazione, asua richiesta, venne sistemata in ap-partamenti a Lignano e Grado.Venne varata la legge regionale perla ricostruzione e poi quella per lariparazione, un po’ più articolata e

più complessa, in quanto si operavasull’esistente.Fino al 1968 si costruiva con regolenazionali; da quella data lo Statoimponeva ai comuni di dotarsi dipiani regolatori. Treppo si era dota-to di un programma di fabbricazio-ne e di un progetto di massima diopere pubbliche. Grazie alla soler-zia del sindaco precedente abbiamopotuto sistemare nel ’76 l’attualescuola materna donata dalla Provin-cia di Mantova, perché il piano pre-vedeva un ampliamento dell’areascolastica, come pure abbiamo po-tuto usufruire subito di contributiregionali perché dotati di un pro-getto generale di fognature. La con-cessione al sindaco, funzionario de-legato della Regione, dell’importototale dei tre lotti delle fognature el’inizio dei lavori furono passi im-portanti per l’inizio della ricostru-zione. Nelle imprese edili locali,oberate di lavoro, vennero inseritilavoratori di altre regioni, ed anchestranieri, specialmente dalla vicinaSlovenia.La mole di contributi concessi atti-rava l’attenzione di tante ditte ed ilComune doveva porre molta atten-zione ad offerte e richieste di lavo-ro, proposte di case prefabbricate,metodi di costruzione e di ripara-zione nuovi, non sempre adatti allanostra zona climatica. Si era creatoun volano economico non indiffe-rente; c’era molto lavoro e molto di-versificato, che creava benessereper tutti. Dobbiamo dire che la ri-costruzione del Friuli è stato unesempio di buona amministrazionee che possiamo portare con orgo-glio la medaglia d’oro concessaci.Voglio citare, con la ricostruzione,anche la nascita dell’università diUdine, il congiungimento dell’auto-strada Udine-Tarvisio, la valorizza-zione del patrimonio culturale, arti-stico e monumentale del nostroFriuli. Anni fa c’era uno slogan “IlFriûl al ringrazie e nol dismentee”;con questo spirito un grazie ai tantivolontari e a quanti con il loro con-tributo ci hanno permesso di co-struire: gli alloggi per gli anziani aTreppo (CENTRO PAVIA), il“CENTRO CICHAGO” di Vendo-glio (voluto dagli emigranti degliStati Uniti), la scuola materna“AMICIZIA MANTOVANA”. Lanostra riconoscenza, inoltre, va alGoverno inglese per i prefabbricatie alla Caritas di Alessandria per ilCENTRO COMUNITARIO diVendoglio.

Enrico Ponta

Montaggio – nei pressi dell’attuale ecopiazzola di Carvacco - di uno dei Portaka-bin donati dal Governo inglese. Questi prefabbricati avevano caratteristiche parti-colari, tarate sugli standard del Paese di provenienza (per quanto riguarda, peresempio, le spine e l’elettricità) ed erano stati pensati per essere trascinati persinonel deserto, grazie alla presenza di particolari barre sul fondo (arch. Enrico Ponta).

Delegazione della Provincia di Pavia, che progettò e realizzò il centro anziani delcapoluogo – pensato per ospitare anziani (nuclei familiari o singoli) che difficilmente avrebbero potuto gestire la ricostruzione della casa – e l’edificiocon gli ambulatori medici, collocati sul fondo dell’ex Braide di Menocio (archivioEnrico Ponta).

LE PRIME MISURE URGENTI PER TUTELARE LA POPOLAZIONE. IL RACCONTO DEL SINDACO D’ALLORA

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6 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Esattamente trenta anni fa, alle21 di quell’infausto, afoso 6 mag-gio, le forze della Natura si sonoscatenate con violenza sfrenatacontro la nostra terra e pochi se-condi sono stati sufficienti persconvolgere e snaturare ogni cosa,per mutare radicalmente, profonda-mente l’aspetto dei nostri paesi edelle nostre città, non solo dal latoesteriore e fisico, ma modificandototalmente il nostro secolare mododi vivere sotto il profilo e nel conte-sto non solo economico e sociale,ma anche familiare e ambientale.Quali sono state le conseguenzeimmediate e le ripercussioni piùevidenti e rilevanti? Come ha sapu-to reagire e rispondere la popola-zione?La nostra Regione aveva immedia-tamente preso alcune misure e su-bito istituito appositi “centri dicoordinamento” per facilitare esnellire e programmare l’invio diaiuti e soccorsi alle Amministrazionicomunali che ne avessero fatto ri-chiesta. Treppo, assieme ai comunilimitrofi, faceva riferimento al “cen-tro” di Majano, al quale aveva subi-to fatto richiesta urgente di asse-gnazione di tende da campo, perdare immediato riparo alle tantepersone rimaste senza casa. Il con-siglio comunale era stato convo-cato dal sindaco Enrico Ponta, inseduta urgente-straordinaria, perle 10 di domenica 9 maggio (nei lo-cali della scuola elementare, fortu-natamente rimasta agibile); tra glialtri argomenti all’ordine del giornodiscussi, tutti inerenti la grave si-tuazione in cui si era venuta a tro-vare la nostra comunità in seguitoall’evento calamitoso, aveva delibe-rato di allestire due “tendopoli”nei campi sportivi, rispettivamen-te, di Treppo - per la gente di

Treppo, di Zeglianutto e di Zegliac-co - e di Vendoglio – per la popo-lazione di quella frazione, di TreppoPiccolo e di Carvacco (allora anchea Vendoglio c’era un campo di cal-cio, di ridotte dimensioni, che sitrovava nelle vicinanze della localescuola elementare, edificio succes-sivamente demolito in quanto irri-mediabilmente lesionato dai som-movimenti del 6 maggio e più tardidel 15 settembre dello stesso an-no).Per l’approvvigionamento e la suc-cessiva distribuzione dei viveri nelledue tendopoli erano stati designati:Paolo Vidoni ed Enrico Piccoli perVendoglio, Atti l io Daneluttti edEfrem Ermacora per Treppo (macome vedremo in seguito, la loroopera si risolverà dopo pochi gior-ni, grazie all’entrata in funzione dicucine da campo militari).Le prime tende assegnate alla no-stra comunità furono CINQUE, con-segnate la sera di sabato 8 maggioe subito montate dai militari: tre aTreppo e due a Vendoglio, attivitàsvolta sotto una pioggia scroscian-te, insistente, di eccezionale inten-sità, che rendeva l’operazione fati-cosa e difficoltosa. Erano tendespaziose, benché veri avanzi di ma-gazzino - senz’altro residui dell’ulti-ma guerra - ma furono ugualmenteaccettate ed accolte con sollievo egioia. Era soltanto l’inizio di unperiodo che tutti si auguravanobreve, di poca durata. Le tendevennero giustamente ed ovviamen-te assegnate a famiglie con bam-bini, od anziani, od infermi e subi-to prese in consegna ed occupateda più persone: 10-15 in ciascuna,membri di diversi nuclei familiari,ma per il momento tutti amici, ri-spettosi, pronti e disposti a frater-nizzare e a dimostrarsi cordiali, af-

fabili e cortesi (chiaro e lampanteesempio di come la necessità ren-da possibili e vivibili le coabitazionipiù strane, inconsuete ed a primavista impensabili ed impossibili).Pur di avere un semplice, piccoloriparo si era disposti a superare in-vidie, animosità preesistenti tra fa-miglie, rivalità; di colpo si mise daparte ogni motivo di risentimenti,riaffiorarono sentimenti di solida-rietà da troppo tempo sopiti o (vo-lutamente) dimenticati.Nei giorni successivi i militariconsegnarono un secondo e piùconsistente quantitativo di tende,che furono subito sistemate daisoldati ed equamente divise tra ledue tendopoli e messe accanto alleprecedenti, così da completarle.Questa seconda assegnazionecomprendeva tende meno spaziosedelle prime cinque, ma più maneg-gevoli, pratiche e funzionali, così darichiedere meno impegno e lavoroper sistemarle; erano tutte fornite diintercapedine che evitava infiltra-zioni di umidità, in quanto isolava ilsuo interno dal terreno.Assieme alle tende furono fornitebrande con relativi materassini, cu-scini, coperte e qualche sacco apelo: in tal modo il vivere in tendaera diventato meno spiacevole.Verso la metà di maggio si pote-rono distribuire alla popolazione al-tre tende, che i beneficiari provvi-dero a sistemare nel cortile di casapropria o nel vicino orto. Erano ten-de di varia provenienza: quelle“americane” col telo di colore blu,ben impermeabili, sufficientementespaziose e comode, con finestrelletrasparenti che lasciavano filtrare laluce del sole e potevano esserechiuse con cerniere “lampo”; altreinviate dall’Unione Sovietica (contelo molto spesso di colore marro-

ne, pesanti e molto robuste, ottimeper climi freddi, meno adatti per lanostra imminente e prevedibileestate piuttosto calda e afosa); altreancora donate da Paesi arabi, ditela celeste e bianca molto leggera,ampie e spaziose, non impermeabi-li, idonee per Paesi con clima caldoed asciutto. Due di tali tende, posteall’inizio della tendopoli, ospitaronoper alcuni mesi i piccoli alunni dellascuola materna, in quanto l’edifi-cio che li accoglieva (la Villa Bella-vitis) era stato dichiarato inagibileperché fortemente danneggiato epericolante.Contemporaneamente alla conse-gna delle tende, i militari fornironole due tendopoli di cucine da cam-po e reparti di soldati provviderosubito a metterle in funzione e apreparare, cucinare e distribuire trevolte al giorno ottimi pasti caldi nonsolamente agli “ospiti” delle tendo-poli, ma a tutti i cittadini, residentinel comune, che ne facessero ri-chiesta (ed erano parecchi, perchéla stragrande parte delle abitazionidel territorio era inagibile e pertantole famiglie si erano trovate senzapossibilità di cucinare).L’encomiabile opera degli addettialle cucine fu apprezzata ed assaigradita indistintamente da tutti gliabitanti.Gli spogliatoi dell’allora camposportivo erano stati adibiti dai mili-tari a deposito di alimentari dipronto consumo, come pane, car-ne, burro, latte, ecc., mentre la par-te più consistente di derrate di largoconsumo e di maggior durata, era-no state sistemate e conservatenello scantinato dell’edificio scola-stico attiguo.Come si viveva nella tendopoli?Se affermassi che tutto era bello ele giornate scorrevano serenamente

Vivere nella NNuummeerroo ssppeecciiaallee 11997766--22000066

A sinistra, la tendopoli allestita nel campo sportivo di Treppo Grande; a destra, la tenda che ospitò per alcuni mesi i bimbi della scuola materna, in quanto l’edificioche li accoglieva (Villa Bellavitis) era inagibile (archivio Licia Ponta).

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“tendopoli”

Le cucine da campo allestite dai militari, che preparavano tre volte al giornoottimi pasti caldi non solamente per gli “ospiti” delle tendopoli, ma per tutti icompaesani che ne facevano richiesta (archivio Licia Ponta).

Le scuole elementari di Vendoglio, demolite in seguito al terremoto del ’76 perché irrimediabilmente lesionate. Accanto a questo edifico si trovava un campo di calcio, in cui fu allestita una tendopoli (foto Turrin, Tarcento).

e senza problemi, direi una cosanon vera. Problemi e difficoltà di va-rio genere sorgevano immancabil-mente, ma il sentirsi al sicuro infon-deva coraggio e faceva superare imomenti di sconforto.Dal giorno che le cucine avevanocominciato a preparare e distribuirepasti caldi, gli “ospiti” non avevanol’assillo e la preoccupazione di pro-curarsi il mangiare. Per fortuna nonera mai mancata l’acqua potabile,in quanto l’acquedotto Cornapponon aveva subito danni e continua-va a funzionare regolarmente. Nellatendopoli, l’acqua arrivava a mezzodi un tubo collegato all’impiantoidrico della scuola e fissato al recin-to del campo sportivo; alcuni rubi-netti, disposti a regolare distanzauno dall’altro, distribuivano il pre-zioso bene vicino ad ogni tenda ederano facilmente raggiungibili da chivoleva servirsene.Per quanto riguarda l’illuminazionedelle tende, ricordo che le primedue o tre notti, esse erano scarsa-mente rischiarate dalla tremula lucedi candele, o dal fioco lume di lu-cerne ad olio (i ferai), o da vecchielampade a petrolio scovate chissàdove e rimesse in funzione. Dopoqualche giorno si poté portare lacorrente elettrica in ogni tenda e sirisolse in tal modo pure quel pro-blema.Tra le tende, una era destinata al“servizio sanitario” ed il medicocondotto, D’Este, l’aveva fornitadell’occorrente per fronteggiareeventuali emergenze: accanto acassette di medicinali più comuni,“ferri del mestiere”, disinfettanti, si-ringhe, ecc., c’era un tavolino condue sedie e un lettino. Nelle altretende (più di una ventina) che for-mavano la tendopoli, trovavano ri-paro e rifugio in media 100-120 per-

sone (molti bambini ed anziani) cheavevano dovuto forzatamente ab-bandonare le proprie abitazioni reseinagibili e pericolanti e che, nellecase, avevano lasciato ogni cosa:mobilio, suppellettili, elettrodome-stici, vestiti e quant’altro serviva allafamiglia.La vita sotto la tenda era tutt’al-tro che idilliaca: scordate e dimen-ticate le comodità prima godute;l’esiguo spazio tra una tenda e l’al-tra creava problemi di convivenza edi promiscuità non sempre e da tut-ti gradita, anche se tollerata; il con-tinuo sommovimento della terra,causato dalle nuove scosse, facevasussultare e nel contempo riaffiora-re, nel subconscio di ciascuno, ilterrore, l’angoscia, lo sgomento giàprovati e subiti la sera del 6 mag-gio; l’incertezza nell’avvenire si ag-giungeva al timore della perdita dellavoro; tanti e tanti altri problemi(non ultimo quello della ricostruzio-ne) come “cattivi pensieri” martella-vano incessantemente, come tarli,nella mente e nel cervello degli“sfollati”. Fortunatamente le tenderiparavano sì, alla bell’e meglio, dal-la pioggia, dal vento, dall’umiditàdella notte; non c’era pericolo chequalcosa rovinasse addosso, ed al-meno in parte difendevano l’intimità(la “privacy”) e la riservatezza fami-liari, ma tutto ciò non doveva durareall’infinito. Fu di grandissimo aiutoe conforto l’opera assidua, impa-gabile, dei militari e dei molti gio-vani volontari accorsi da ogni do-ve. L’esempio di tutti costoro diedeil “la” all’istituzione su scala nazio-nale dell’organizzazione della Prote-zione civile ed oggi ne godiamo iprofitti.Nella scuola, funzionavano perfetta-mente i servizi igienici e le docce,di cui si potevano giovare gli asse-

gnatari delle tende. Ricordo a talproposito un episodio singolare:domenica 16 maggio tutta la popo-lazione del comune fu invitata apresentarsi nei locali della scuolaper sottoporsi alla vaccinazione ob-bligatoria contro eventuali epide-mie. Due ufficiali medici svolseroquesta incombenza ed al termine,visto con meraviglia che nel fabbri-cato c’era acqua corrente calda efredda, chiesero di poter fare ladoccia. Naturalmente furono soddi-sfatti ed all’uscita dalla stanza, unodei due ringraziando disse: “Da tan-ti giorni non riuscivo a darmi unarinfrescata simile”. Il servizio di pulizia della scuolaera svolto giornalmente dalle donneospiti della tendopoli, le quali a tur-no e volontariamente disimpegna-vano quella mansione, tanto che igabinetti, le docce e tutti i pavimen-ti dell’edificio erano sempre ben pu-liti e lavati. Più volte le donne si so-no meritate gli elogi di quanti, pervari motivi, entravano e si sofferma-vano nella scuola. Piano piano, conil trascorrere dei giorni, gli ospitidella tendopoli si erano educata-mente e civilmente organizzati e nelnuovo modo di convivere eranoquasi inaspettatamente riaffiorati le-gami e sentimenti di solidarietà datempo sopiti. Si erano adattati adun ritmo e ad abitudini quasi dacaserma, in particolare nel rispetta-re gli orari di distribuzione dei trepasti quotidiani: prima colazionedalle 6 alle 7, pranzo dalle 11 alle12 e cena dalle 18 alle 19 e tutti infila in attesa, chiacchierando edesternando i propri crucci ma anchei buoni pensieri e le speranze in unfuturo migliore. Dopo il tramonto,non c’era bisogno di suonare la “ri-tirata” od il “silenzio”: tutti si ritira-vano nella propria tenda per il meri-tato riposo, dopo una giornata difatiche e di lavoro. Durante il giorno, gli unici a nonaver problemi di alcun genere eranoi bambini, i quali - giocando, cal-ciando una palla o rincorrendosi -davano, con la loro naturale allegriae spensieratezza, un senso di sollie-

vo agli adulti per le loro vicissitudini.Nella tendopoli si era trasferita unaparte della popolazione e nella ten-dopoli si svolgevano e assolvevanovarie incombenze: si tenevano riu-nioni, manifestazioni e dimostra-zioni. Tra le tante, da ricordarequella del 6 giugno, quando, in unasplendida domenica di sole, il par-roco don Claudio Como, alla pre-senza del vescovo Alfredo Battisti,ha amministrato il battesimo a Raf-faele Mattiel e Federica Castenetto;tutti gli accampati si sono stretti at-torno ai piccoli e hanno festeggiatoi genitori Silvano e Maria Rosa Mat-tiel ed Otello e Maria Rosa Caste-netto. Semplice cerimonia, ma par-ticolarmente significativa: nono-stante tutto, la vita continuava. Altro momento particolare: la visitadell’ambasciatore del Regno Unitod’Inghilterra in occasione della con-segna alla nostra comunità di 15“containers” da parte di quella na-zione. Visite frequenti da parte delPrefetto, del Commissario straordi-nario del Governo on. Zamberletti, edi delegazioni ed esponenti di co-munità di altre Regioni o nazioni anoi vicine. All’approssimarsidell’inverno la tendopoli è statasmontata e gli ospiti hanno trovatosistemazione in case ristrutturate ein prefabbricati, oppure hanno tro-vato alloggio in abitazioni ed appar-tamenti nelle nostre località balnearidi Lignano, Grado, Bibione, Caorle.Col tempo il Friuli è risorto, la genteè tornata nelle proprie case e gli“ospiti” delle tendopoli, a distanzadi trenta anni ricordano ancora, e lofaranno certamente a lungo, i giornipassati e vissuti sotto la tenda; rivi-vranno i momenti spiacevoli, le pau-re, le ansie, le tante rinunce e priva-zioni sofferte; ma il diavolo nonsempre è così brutto come lo si di-pinge ed ecco che, accanto a tante“cose storte”, rivivranno, seppureidealmente, anche ciò che di buonohanno avuto: la solidarietà, l’affettodi tante persone dimostrato in mo-do tangibile e duraturo.

Roberto Ponta

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Prefabbricati di via Colombo, a Treppo Grande (foto di Alvio Baldassi, Buia, aprile 1977).

NNuummeerroo ssppeecciiaallee 11997766--22000066La terribile scossa del 6 maggio 1976seminò, tra il Friuli occidentale e quelloorientale, morte e distruzione. Circamille furono i morti, migliaia e migliaiale case distrutte e danneggiate. A segui-to di quella immane catastrofe i politicifriulani, in un’unica voce, si fecero pro-motori presso lo Stato italiano affinchéla popolazione del Friuli, già provatada una smisurata emigrazione, nonfosse abbandonata ulteriormente a sestessa.La sfida venne raccolta repentinamen-te. Ad un mese della sciagura, una pri-ma ed immediata risposta vennedall’Amministrazione regionale con il

varo della Legge Regionale 7 giugno1976, n. 17. Era una legge che aveva ilcompito di garantire a tutti coloro cheavevano subito danni non gravissimi dipoter ripristinare le proprie abitazionie di consentire agli stessi proprietari dipoter rioccupare i fabbricati. I contri-buti non erano notevoli, infatti venivaconcesso un contributo fino ad un mas-simo di € 3.098,85 (6.000.000 di vec-chie lire) per alloggio e di € 2.065,83(4.000.000 di vecchie lire) per ogni atti-vità produttiva (annessi rustici, nego-zio, magazzini, ecc.), il tutto sulla basedegli accertamenti effettuati dalle ternestatiche che a tappeto controllavano ifabbricati di ogni paese.

Già nei giorni successivi all’evento si-smico la popolazione tutta si era rim-boccata le maniche per sistemare leproprie abitazioni senza la necessitàdella presentazione di alcun elaboratoprogettuale ma attenendosi alle prescri-zioni di cui ai verbali della L.R.17/1976.Si viveva l’emergenza. Il legislatore re-gionale, ma neppure quello statale, nonaveva modelli cui richiamarsi, non ave-va punti di riferimento da imitare e do-veva sopperire alle straordinarie ed im-pellenti esigenze abitative della popola-zione terremotata.La tremenda scossa del 15 settembre cimise definitivamente in ginocchio. Cifurono ulteriori e notevoli danni. Moltodi quello che in un primo tempo potevaessere recuperato fu distrutto; l’invernoera alle porte, i tempi troppo ristrettiper trovare una soluzione immediata.Nelle varie località balneari del Friulifurono reperiti alloggi affinché la po-polazione stessa potesse trascorrere ilperiodo invernale in attesa di una siste-mazione più consona negli alloggi pre-fabbricati che le varie amministrazionicomunali andavano realizzando.Nel frattempo, dalla citata L.R. 17/76prende così l’avvio tutta la produzionelegislativa in tema di terremoto: si trat-tava proprio di inventare tutto sotto ilprofilo normativo, perché nessuno ave-va potuto ipotizzare, in via preventiva,regimi giuridici alla inenarrabile seque-la di casi che, invece, la quotidianitàdelle questioni poneva all’esame del le-gislatore. A fronte delle necessità dellapopolazione colpita dagli eventi sismici,con saggezza e buon senso cominciaro-no a prendere corpo quelle leggi cheassurgeranno a tappe fondamentali ditutto il processo di ricostruzione delFriuli.Il 20 giugno 1977, la Regione licenziò

opere b) e c) sino ad un massimo di £.5.000.000; anche per la ristrutturazionedegli annessi rustici e delle attività pro-duttive inserite nel fabbricato venivanoapplicati dei massimali, il costo delle spe-se tecniche veniva stabilito sulla base delcosto dell’intervento approvato}.I contributi venivano erogati in parte afondo perso e in parte con mutuo dastipularsi con le banche convenzionatecon la Regione. La percentuale del con-tributo a fondo perso e quella a mutuovariava da caso a caso. Per gli alloggi occupati dal proprietarioivi residente o dal proprietario emi-grante che rientrava periodicamente, ilcontributo a fondo perso concesso eradell’80%, mentre il contributo a mutuoveniva fissato sulla differenza pari al20%; per le seconde case il contributoin conto capitale era del 60% e quello amutuo del 40%, tale finanziamento silimitava alle sole opere strutturali –opere a) – ed alle relative spese tecni-che. Qualora i proprietari delle secon-de case stipulassero apposita conven-zione con il comune mettendo in que-sto modo a disposizione dell’ente lapropria abitazione, affinché questi lapotesse assegnare in locazione a nucleifamiliari terremotati, il contributo inconto capitale era del 60% e quello amutuo agevolato del 40% per la realiz-zazione di tutte le opere.La legge regionale 30/1977 prevedevaanche l’intervento pubblico: il comunesi sostituiva al privato per l’esecuzionedelle sole opere a), con a caricodell’amministrazione il 100% del costodell’intervento indipendentemente sefossero prime o seconde case.Il 23.12.1977 venne licenziata la L.R.63/1977 per venire incontro alla popo-lazione che a causa degli eventi sismicidel 1976 aveva perso la propria abita-zione.La L.R. 63 diede la possibilità non solo

“L’immane tragedia del terremoto ha offerto al Friuli la possibilità

di uscire da una atavica condizione di emarginazione e di isolamento sociale

ed economico (non a torto il Friuli era stato definito, sin da sempre,

la fabbrica degli emigranti)”

la legge regionale n. 30. Era certamenteuna legge che prevedeva un maggiorimpegno economico a favore della po-polazione anche perché garantiva aquesta, con gli interventi che sarebberoandati a realizzare, di rendere antisi-smica la propria abitazione.La L.R. 30/1977 prevedeva contributiper la realizzazione delle opere a)[opere strutturali], per le opere b) e c)[opere di completamento] e per le spe-se tecniche. Se in un primo tempo ecioè sino al 31 marzo 1979 i contributiche venivano concessi per la ristruttu-razione e l’adeguamento antisismicodei fabbricati non avevano limiti di spe-sa, con l’entrata in vigore del D.P.G.R.n. 055 dell’08.03.1979, furono applicatidei limiti di spesa per ogni intervento{abitazioni: £. 28.000 al mc. per la rea-lizzazione delle opere a), sino ad un mas-simo di £. 21.000.000 per alloggio; £.7.000 al mc. per la realizzazione delle

Sulle case considerate non abitabili, veniva apposta sul muro la scritta “NO”, come si nota nella foto di questo edificio adiacente al municipio (archivio LiciaPonta).

“Modello Friuli”, le leggi che l’hanno reso possibile

UNA PARTITA VINCENTE GIOCATA A TRE: ENTI LOCALI, REGIONE E STATO

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ai legittimi proprietari di ricostruire lapropria abitazione ma ci furono agevo-lazioni anche per coloro che, alla datadel 06.07.1976, si trovavano in affitto,per i nuclei familiari che si staccavanoda quello originario per formarne unoproprio e anche per gli emigranti diorigine friulana che, seppur in assenzadi proprietà immobiliari di civile abita-zione, si sarebbero impegnati al rientrostabile in Friuli.I contributi erogati con la L.R. 63/77venivano computati non solo sulla basedella composizione numerica del nu-cleo familiare, ma anche tenendo contodel fatto che al 6 maggio 1976 il richie-dente fosse proprietario dell’immobiledemolito, o locatario, o emigrante chesi impegnava al rientro stabile, o nuovonucleo familiare, o proprietario di se-conda casa, o proprietario residente inaltro comune.Anche la legge regionale 63/1977 pre-vedeva l’intervento pubblico: il comunesi sostituiva al privato per la realizzazio-ne dell’intervento; questo tipo di sceltaera limitata esclusivamente ai proprie-tari che alla data del 6 maggio 1976 uti-lizzavano effettivamente l’alloggio.Il contributo spettante agli interessatisia per gli interventi di riparazione siaper gli interventi di ricostruzione, ognidue mesi, subiva degli aggiornamentidovuti alla variazione dei costi.In questo modo la L.R. 30/77 e la L.R.63/77 sancirono i principi basilari e lemetodologie operative a cui dovevanoispirarsi – e così è stato – rispettiva-

mente per l’opera di riparazione e perl’opera di ricostruzione.Tutta la produzione legislativa successi-va si è incentrata sui succitati provvedi-menti, ora modificando, ora integran-do, ora sostituendo norme a secondadelle molteplici istanze e delle effettiverichieste.Le scelte allora operate furono positiveed in gran parte innovative. La partitarivelatasi vincente venne giocata su tretavoli: Stato, Regione ed enti locali. LoStato nella veste di finanziatore e legi-slatore di massima, la Regione qualeprogrammatore e guida del processo diricostruzione e l’ente locale quale ge-store concreto dell’opera di ricostruzio-ne sul territorio.La prima grande operazione fu quelladi affidare direttamente alla Regioneed agli enti locali il gravoso compitodella ricostruzione. Fu veramente unatto di coraggio da parte dello Statoquello di affidare, per la prima volta, inoccasione del verificarsi di una pubbli-ca calamità, l’opera di rinascita alla Re-gione che così si accollava un onere disiffatta gravità ed impegno.La capacità, la serietà, la professionalitàe l’umiltà di tutti coloro che, nel corsodegli anni, si sono adoperati nella rico-struzione sta ad indicare che poco ha ache fare la sorte con gli esemplari risul-tati raggiunti. La scelta della delega allaRegione ed agli enti locali ha consentitocosì di dar vita ad una ricostruzioneconcreta, a quello che, da più parti, èstato definito il “modello Friuli”. La ri-

Dopo la scossa del 15 settembre,una trentina di nuclei familiari delnostro paese furono costretti atrovar momentaneamente casaaltrove. Ecco le testimonianzedell’ufficio municipale di Treppoallestito nella località marittima.

Il giorno 24 settembre 1976, mi tro-vai a dover organizzare un ufficionei locali di un negozio di LignanoCity (messo a disposizione dalcommissario straordinario del Go-verno per il Friuli terremotato) as-sieme all’allora sindaco di Treppo,Enrico Ponta. Tale ufficio dovevafare da riferimento alle persone diTreppo Grande sfollate a Lignanodopo le forti scosse di settembre. Inquella stanza trovava posto anchela sede del Comune di Cassacco edella Comunità Collinare del Friuli;

mento al nostro ufficio per qualsiasiproblema avessero riscontrato. Lapopolazione del comune che si eratrasferita a Lignano era compostain gran parte da persone anziane ebambini; i giovani erano rimasti inpaese per continuare la loro attivitàlavorativa e per avviare i lavori disistemazione delle abitazioni. Era-vamo ormai giunti al mese di otto-bre e l’inverno era alle porte. Pur-troppo all’epoca gli appartamenti diLignano non erano dotati di riscal-damento; per ovviare a tale spiace-vole inconveniente il commissariodel Governo mise a disposizionedelle stufe elettriche e a gas cheprovvedemmo a distribuire. La Cro-ce Rossa Italiana mise inoltre a di-sposizione del vestiario invernale.L’ufficio che avevamo allestito ave-va la funzione di Municipio del pae-se: venivano rilasciate certificazioni,carte d’identità, si ricevevano do-mande di contributi, ecc. Una voltaalla settimana mi recavo a TreppoGrande per ritirare tutti i documentirichiesti, che al rientro consegnavoagli interessati. Quasi tutti i pome-riggi si tenevano riunioni presso ilcoordinamento, sito nel Municipio di

Lignano, durante le quali venivanotrattati argomenti riguardanti le diffi-coltà di ordine sociale e sanitarioche dovevano essere affrontate conurgenza.A trent’anni di distanza rimane unlontano ricordo di quegli eventi, manon dimenticherò mai le personeanziane che mi facevano visita di-cendomi “satu no mi covente nie,ma vignint chi mi par di respirà aiardi Trep, pren di cumò no vevi maistat vie dal pais!”, oppure “Atu nis-sune nuvitat di Trep?”, o ancora“avrei bisogno di telefonare ai pa-renti”, o mi chiedevano di far loroquesto o quel favore.Ricordo benissimo anche la visitaimprovvisa nel nostro ufficio delcommissario del Governo, onorevo-le Zamberletti, persona molto affa-bile e gentile, la quale si preoccupa-va che tutto funzionasse al meglio.La località balneare era affollata co-me nei mesi estivi, tuttavia da Rivie-ra a Sabbiadoro si parlava esclusi-vamente la lingua friulana.L’ufficio di Lignano cessò di operarenel mese di maggio dell’anno 1977.

Rino Ermacora

costruzione è stata, altresì, un’occasio-ne di rinascita e di sviluppo della nostraterra. L’immane tragedia del terremotoha infatti offerto al Friuli la possibilitàdi uscire da una atavica condizione diemarginazione e di isolamento socialeed economico (non a torto il Friuli erastato definito, sin da sempre, la fabbricadegli emigranti).Scelta importante fu anche quella di ri-costruire i nostri paesi “dove erano” e“come erano” prima del terremoto, ri-fiutando le chimere di una grande ag-

gregazione urbanistica che avrebbe irri-mediabilmente compromesso l’essenzastessa della “friulanità”.Forse, le numerose norme promulgatenon risponderanno ai criteri della gene-ralità e dell’astrattezza, ma ciò che im-porta è che loro tramite si è corrispostoalle esigenze di una popolazione dura-mente colpita da una così tremenda ca-lamità naturale e si è riusciti a riprende-re il cammino bruscamente interrotto.

Pierino Molinaro

Sfollati a Lignano“La popolazione del comune

che si era trasferita a Lignano era composta in gran parte

da persone anziane e bambini; i giovani erano rimasti in paese per continuare la loro attività

lavorativa e per avviare i lavori di sistemazione delle abitazioni”

“Non dimenticherò mai le persone anziane che mi facevano visita

dicendomi ‘satu no mi covente nie, ma vignint chi mi par di respirà aiar

di Trep, pren di cumò no vevi mai stat vie dal pais!”

Un rappresentante del gruppo volontari di Pessano (MI) consegna simbolicamente al sindaco d’allora, Enrico Ponta, la chiave della recinzione della scuola materna, costruita - oltre ad altre opere - nell’estate del ’77 da questi “amici” lombardi (archivio E. Ponta).

nei locali attigui erano ubicati gli uf-fici di riferimento di tanti altri comu-ni. Presso l’Ufficio di coordinamentoritirai le schede degli sfollati del no-stro comune (circa 30 nuclei fami-liari). La maggior parte dei concitta-dini era stata sistemata in apparta-menti di Lignano Sabbiadoro; perpoterli rintracciare ho dovuto me-morizzare in brevissimo tempo latoponomastica della zona. Ricordobene la prima riunione tenuta in sa-la consiliare a Lignano. L’ordine delgiorno consisteva nel coordinamen-to del pubblico trasporto. Mi sonotrovato in difficoltà, perché ho dovu-to affrontare una realtà completa-mente nuova. Nei giorni successivivisitai tutti i compaesani informan-doli che avrebbero potuto far riferi-

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10 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Come cambiò la vita di una famigliaIn quel maledetto giorno del 6 mag-gio 1976, la vita degli abitanti diTreppo Grande fu sconvolta.Tra i vari ricordi, ci sono quelli diuna famiglia di Vendoglio compostada cinque persone: marito, moglie,figlio, figlia e nonna materna.Quella sera il capofamiglia non do-veva essere a casa, bensì fuori regio-

ne per lavoro, ma per una serie dicircostanze riuscì a rientrare a casaverso le 20, quasi come avesse avutoun beffardo appuntamento con ilterremoto, che come noto si manife-stò poco dopo le 21.Quando ci fu la scossa sismica, la fi-glia e la nonna si trovavano al pianodi sopra, e furono sbalzate a terra,mentre il padre urlò a tutte di usciredi casa. Il figlio, invece, in quel mo-mento giocava a calcio nel campo di

Treppo. Egli ricorda l’ango-scia che lo assalì nel sapereche i suoi cari erano a casa,e il non sapere come stava-no, per cui subito si preci-pitò da loro. Fortunatamen-te tutti i componenti dellafamiglia erano illesi, ma loscenario che si presentavaintorno era desolante.Da quel giorno per moltimesi le loro vite e la loroquotidianità, come quelli dimolti friulani, subirono undrastico cambiamento. Tutta la famiglia dormì i pri-mi cinque giorni in macchi-na vicino a quella che era laloro casa, mentre successiva-mente andarono nella ten-dopoli allestita nell’ex cam-po di calcio di Vendoglio.Durante i giorni passati inquell’alloggio di fortuna,tutta la gente ebbe a disposi-zione alcuni forni da cucinaper prepararsi i pasti.

Dopo un po’ di tem-po quella famiglia sisistemò in una tendain un orto vicino ca-sa, per poi pianopiano cercare di ri-tornare ad una situa-zione che sfiorasse lanormalità di un tem-po, passando le nottiin una stanza dellaloro casa, lottandocontro la pioggia e ilfreddo dell’inverno esoprattutto convi-vendo con il timoredi un’altra fortescossa sismica, dopoquelle avvenute a maggio e a settem-bre di quell’anno.

I vendogliesiringraziano AlessandriaSi riporta un estratto di un articolopubblicato dal giornale la voce ales-sandrina del 2 luglio 1977.Due pullman hanno portato domeni-ca 26 giugno in Alessandria oltre uncentinaio di cittadini di Vendoglio diTreppo Grande per un atto di ricono-scenza e ringraziamento alla chiesaalessandrina, per la solidarietà dimo-strata nei giorni del terremoto e per ilcentro sociale realizzato dalla “cari-tas” diocesana.Il tempo non ha premiato il sacrificiodei friulani, perché per tutta la matti-nata un furioso temporale ha imper-

versato sulla città, impedendo unapartecipazione più numerosa e qualifi-cata degli alessandrini come l’avveni-mento richiedeva.

Un gesto significativoIl gesto dei vendogliesi ha un grandesignificato. Una popolazione che, col-pita dalla sventura, negli affetti, nellacomposta operosità, avrebbe avutotanti motivi per fermarsi e piangeresulle rovine delle città e dei borghi,trova la forza non di maledire ma dipartire per un atto di ringraziamento.Ci siamo resi conto che, se ai friulaniabbiamo dato qualcosa dei nostri pic-coli risparmi, domenica 26 giugno ab-biamo ricevuto assai di più in fortezzad’animo, in fiducia, in serenità, insperanza.È un popolo, il friulano, che con glioltre mille morti, con cinquecentomi-la persone senza casa, con centoquat-tordici chiese distrutte, con le officinerase al suolo, ha maturato nella soffe-renza di tutti e dei singoli una fedepiù grande. […]Con mons. Vescovo hanno concele-brato il prev. Don Giovanni Fossatied il parroco di Vendoglio FaustinoCroatto.Fra i presenti abbiamo notato il sin-daco di Treppo Grande sig. EnricoPonta, il vice sindaco Mario Castenet-to, l’assessore ai lavori pubblici Vini-cio Iosefini, con una rappresentanzadei consiglieri comunali ed altre auto-rità locali. Alessandria era rappresen-tata da una delegazione della provin-cia, dall’assessore Piero Formavano edal consigliere d.c. Vittorio Trieste edai carabinieri.Una corale composta di giovani friu-lani ha interpretato i canti in dialettolocale durante la S. Messa. Un’esecu-zione veramente di ottimo livello econ accenti di alta spiritualità. […]

Articolo reperito da Mauro Moretti grazie alla collaborazione

di Enrico Ponta

TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

Il tetto della chiesa di Vendoglio, prima della ri-strutturazione (foto Alvio Baldassi, Buia).

1977: i bambini delle classi 3ª e 4ª delle scuole elementari di Treppo, assieme a una delegazione dell’Amministrazione co-munale, in gita a Mantova, ospiti della Provincia grazie alla quale venne costruita la scuola materna “Amicizia mantovana”.In occasione dell’inaugurazione di quest’ultima, infatti, nel ’77, i mantovani vennero nel nostro paese con due-tre scolare-sche. Nacque un gemellaggio con i nostri alunni, che ricambiarono, per l’appunto, la visita. A destra si nota il maestro Ma-rio Castenetto, vicesindaco di Treppo Grande in quegli anni difficili (archivio Enrico Ponta).

A Vendoglio si racconta…A cura di Mauro Moretti

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11I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

Anche nella frazione di Treppo Pic-colo il ricordo del terremoto è anco-ra vivo fra gli abitanti, nonostantesiano trascorsi trent’anni.Riportiamo di seguito due brevianeddoti riferitici da Angela Erma-cora.

L’episodio della tendaNel primo periodo dopo le scosse,in paese arrivarono i militari, por-tando con sé le tende per gli allog-gi provvisori, quelli che, raggrup-pati, successivamente furono noticome tendopoli. Alcuni intraprendenti abitanti diTreppo Piccolo decisero allora dirivolgersi ai soldati per richiedereuna tenda da montare vicino alleloro abitazioni. Ebbero successo e riuscirono -grazie all’ospitalità offerta da unabitante della frazione, che diedeil permesso di usufruire del suoterreno - a collocarsi nella frazio-ne.Ad un certo momento, però, il sin-daco di allora, nell’intento di snel-lire l’organizzazione in questo pe-riodo d’emergenza, dette l’ordinedi raggruppare tutte le tende indue tendopoli, quella di TreppoGrande e quella di Vendoglio. Questa direttiva causò sconfortofra gli abitanti della tenda di Trep-po Piccolo, specie per gli anziani

che non volevano lasciare le pro-prie case, sebbene pericolanti ed

inabitabili. Lo sconcerto fu amaroquando arrivarono i militari e

smontarono la tenda,portandola via. Fu allorache Luigi Ermacora, incalzoni corti, in un’afosagiornata estiva, si recòprecipitosamente dal sin-daco per trovare una so-luzione.Quindi, con argomentipersuasivi, di dialogo enon (tanto che giunseroanche alcuni rappresen-tanti delle forze dell’ordi-ne per “calmare le ac-que”), riuscì nell’intentoe Treppo Piccolo ebbe dinuovo la sua tenda, pron-tamente rimontata daglistessi militari che pocheore prima se l’erano por-tata via.

Cesarino, uomo dal cuore d’oroLa seconda testimonian-za vuole ricordare la figu-ra di una persona che,nel momento del bisognodei compaesani, ha dato

Molti compaesani montarono le tende, temporanei alloggi di quei momenti d’emergenza, nei pressi delle loro abitazioni. Pochi,infatti, volevano allontanarsi dalle proprie case, anche se pericolanti e inagibili (1976, archivio Giacomino Simeoni, Vendoglio).

quello che poteva, e anche di più,con una naturalezza e spontaneitàmemorabili.Cesarino Ermacora era noto inpaese per la sua attività di costru-zione di gabbie per uccelli e ditrappole per topi, che svolgevaall’interno di un ampio locale disua proprietà. Quando ci fu il terremoto e tanticompaesani purtroppo si ritrova-rono senza casa, Cesarino offrìl’uso del suo luogo di lavoro, dan-do ricovero a varie famiglie conbambini piccoli e nonni.Avendo inoltre un mezzo di tra-sporto veloce e flessibile, il “ve-spino” di allora, spesso si recavaal campo sportivo di TreppoGrande per raccogliere i pasti indistribuzione per riportarli ai suoi“ospiti”.Dobbiamo ringraziare il cielo che,in quei giorni tristi, figure comeCesarino non erano rare e chequel ché di “rudezza” che certevolte viene rimproverato alla gen-te della nostra terra, spesso, misu-randosi con le avversità, viene col-mato dalla generosità e spontaneavoglia di fare.

A Treppo Piccolo si racconta…A cura di Jacqueline Ermacora

I danni subiti dalla chiesetta di Treppo Piccolo.

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La testimonianza di Silvio Danelutti, “Scivo”,classe 1911“Mi ricordavo della scossadel 1928!”L’età di Silvio Danelutti comunicagià da sola il ricco bagaglio di espe-rienze e memorie di cui il nostrocompaesano è custode.Quando i primi tremolii che prece-dettero la grande scossa del 6 mag-gio si fecero sentire, Scivo si trova-va nelle scuole elementari di Trep-po per una riunione della Polispor-tiva. Fu il primo del gruppetto dipersone presenti all’incontro aduscire di corsa dalla porta posterio-re, quella che dà sul campo sporti-vo, il quale ben presto iniziò a “on-dulare” davanti ai suoi occhi.“Ricordavo bene – ci racconta – ilterremoto del 1928, sebbene nonfosse stato forte quanto quello del’76! Ormai il linguaggio dell’or-colàt lo conoscevo già!”.

“Stavo ristrutturando la casa, quando trovai una lettera del ’700”Se gli chiediamo di parlarci di qual-che aneddoto riferito a quel perio-

do, immediatamente ci svela un ri-trovamento davvero singolare chefece in occasione di alcuni lavori direstauro della sua abitazione.“Stavo togliendo l’intonaco dallaparete per appoggiare la rete dirinforzo al muro in pietra, quandoho sentito un sasso che si muoveva.Ho pensato così di toglierlo, accor-gendomi poi che dietro al sassoc’era un buco.Sono andato dentro con la manoper verificare quanto fosse profon-do e lì ho trovato un foglio, che miha subito incuriosito”.Ebbene, ben presto Scivo si reseconto di aver tra le mani un reper-to storico di non poca importanza,che ha le sembianze di un docu-mento ingiallito e in parte annerito,privo di alcuni pezzi. Dalle ricerche effettuate, infatti, èstato ipotizzato che lo scritto, data-to 30 marzo 1765, riguardi un ac-cordo contrattuale tra chi, proba-bilmente, in tale epoca viveva tra lemura in cui ora risiede Scivo e unrappresentante della Serenissima,quindi di provenienza veneta. L’ac-cordo avrebbe avuto ad oggetto leproprietà dal Ronc, area, adiacentea Villa Bellavitis, ricchissima di al-beri e quindi di legname.

La solidarietà. I pomodori e la scala del campanileQuanto invece alla solidarietà, aisegnali forti che tali circostanze ca-lamitose ci hanno lasciato, e di cuisperiamo serbino memoria anche ipiù giovani, Scivo ci riferisce uncurioso episodio che fa parte dellepreziose tracce che le “microsto-rie” private – spesso sconosciute –lasciano nella “grande storia”,quella che poi viene ufficializzata eportata a conoscenza di tutti.“Quando fu inaugurata la Parroc-chiale di Treppo Grande (nel 1982,ndr), la mamma del parroco michiese se potevo tenere d’occhio lacasa e accogliere eventuali ospitiprovenienti da Milano (la chiesa fuinfatti ricostruita con gli aiuti dellaProvincia di Milano, ndr), poichéanche lei teneva molto a partecipa-re alla Messa. Andavo spesso inquell’abitazione a dare una manoper piccole manutenzioni o lavoret-ti nell’orto. Mentre mi trovavo là, vidi arrivareuno dei tecnici della Provincia diMilano presenti per la cerimonia, ilquale, notati i bellissimi pomodoridell’orto di don Claudio, mi chiesese poteva prenderne alcuni. Io approfittai dell’occasione per

ringraziarlo per la bella ricostruzio-ne della chiesa, pur sottolineandoche era un vero peccato che il cam-panile, invece, fosse ancora da si-stemare.Al che il tecnico mi chiese: ‘Ma cheproblemi ha il campanile? Si puòandare a vedere?’. Mentre tutti gli altri erano a Messa,io, che avevo accesso alla chiave, loaccompagnai subito a fare una per-lustrazione: la scala era visibilmen-te pericolante. Il tecnico prese su-bito le misure di tutto. Poco dopo,mi sembra nemmeno un anno piùtardi, sono venuti da Milano a rifa-re anche una nuova scala in ferroper il campanile!”.

Una poesia su un “pezzo d’intonaco sgretolato”Ma le singolari testimonianze diScivo sul terremoto, riservano an-cora qualche chicca. Ci mostra una speciale opera, ap-pesa nel suo salottino assieme adaltri rilevanti pezzi di storia diTreppo – e non solo – del secoloscorso (fotografie, poster, quadri evari oggetti): una riproduzione inpolistirolo di un pezzo d’intonacosgretolatosi dal muro, dalla simbo-lica origine sismica. La vigilia di

TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

A Treppo Grande s

Cerimonia di inaugurazione del campanile di Treppo (1984). Scivo ci ha rivelato inediti retroscena sulla ristrutturazione della torre campanaria (archivio Enrico Ponta).

A cura di Cristina Menis

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TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

e si racconta…

La lettera del ’700 ritrovata da Scivo durante lavori di restauro della casa.

Natale del ’76, infatti, Scivo, ispi-randosi alle recenti scosse, vi incisequesta poesia:

FurlansTigninsi durs

Alè pasàt l’orcul in FriulChe nus a dade une biele

sdramassadeCumò o viodìn el valor dal Friul.

El mont intir nus dà une manPar co podedin falu mior di pren.

FurlansLait la co voles

Ma no steit mai a dismeteà el Friul.A duc Buinis Fiestis.

1976 Scivo

Ecco cosa ci riferisce il compaesano Aniceto di Giusto

“Mi trovavo nell’inferno”La scossa del 6 maggio colse Anicetodi Giusto in un sito in cui nessunoavrebbe voluto trovarsi: a Gemona.

Gemona, le macerie.

Il nostro compaesano lavorava infat-ti nel nosocomio della cittadina pe-demontana.“Per nostra fortuna – riferisce –l’ospedale non trovava collocazionenelle zone più colpite di Gemona. Il nostro primo sforzo fu indirizzatoal recupero dei degenti. Era difficilemuoversi, nel buio, cercando di farsilargo tra le macerie e di intravederequalcosa attraverso la fitta polverecausata dallo sgretolamento degliedifici.Abbiamo innanzitutto posto in salvoi malati, con precedenza per quelligravi, che sono stati poi trasferiti inaltri ospedali. Sono quindi stati rag-gruppati tutti i pazienti psichiatrici,che si trovavano nei piani bassi.Nel frattempo le ore passavano, e ionon avevo notizie della mia famiglia.Riuscii a partire per casa solo quan-do il cielo si fece chiaro ed ebbi l’av-vallo della mia coordinatrice, che midisse: ‘È ora che tu vada dai tuoi’.Sono seguiti mesi di lavoro intensis-simo, in cui dovevo essere reperibile24 ore su 24. Ricordo le inenarrabili scene del re-cupero dei corpi e in una fase suc-cessiva il duro impegno pressol’ospedale militare da campo. Du- rante i soccorsi ci davano da bere

cognac, perché ci facessimo forza:andavamo avanti come automi, sen-za fermarci a riflettere su quanto sta-va accadendo, altrimenti sarebbestato impossibile riuscire a lavorare.Ho assistito, in questa situazione diemergenza, a episodi paradossali chespesso si verificano in queste cala-mità: gente che, pur senza bisogno,si accaparrava grosse quantità di vi-veri pressi i punti di rifornimento.Per non parlare della scena racca-pricciante in cui una persona sot-traeva il portafogli dal corpo senzavita del fratello.Il 15 settembre, poi, è stato tremen-do: mi trovavo su un furgoncino traArtegna e Gemona e ho visto i massiprecipitare dalle montagne”.

“A Gemona, in località Orvenco,parlano ancora con affettodi ‘Claudio’ e dei treppesi”

Aniceto ci racconta anche di alcuniimportanti contatti che sono nati traGemona e il nostro paese in queimesi difficili.“C’è una zona di Gemona (localitàOrvenco) che serba un ricordo parti-colare degli abitanti di Treppo: lì, in-fatti, don Claudio – rammenterò sem-pre le sue mani quasi sanguinanti per

il continuo prodigarsi negli aiuti, an-che nell’opera di costruzione dei pre-fabbricati “Danelutti” – e un gruppodi giovani volontari si diedero moltoda fare per prestare soccorso. A Or-venco, la gente parla ancora con affet-to di ‘Claudio’ e dei treppesi”.

Il racconto di Luca Fasiolo

A cura di Jacqueline Ermacora

“Le sere seguenti guardavamola TV dalla finestra”

Stavamo guardando un film we-stern alla TV seduti sul divano, lasera del 6 maggio, quando si è ve-rificata la scossa.Avevo sette anni e ricordo ancorabene il rombo, il tremore che mos-se anche il divano e il frastuonoche proveniva dal tetto: poi ci ac-corgemmo che era crollato il cami-no e che erano cadute alcune tegole.Fortunatamente i danni si sono li-mitati a questi, ma la paura eratanta; infatti, per il resto di quellanotte i miei cugini Giuseppe edAntonella ed io abbiamo dormitofuori casa, nella “mitica” 500 bludi mio padre. E le sere seguentiguardavamo la TV dalla finestra.

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14 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

I ricordi della maestra Fiorella“Mia figlia urlava: ‘un mostro, io lo ammazzo’ ”“Quella sera eravamo andati a let-to presto, mio marito Rizieri face-va il pendolare a Padova e partivaalle 4.30 di mattina, e poi avevo ibambini: la più piccola, Michela,aveva 4 anni e il più grande, Ro-berto, 10.A un certo punto, ho sentito unforte boato e, in preda alla paura,mi sono alzata, ma Rizieri mi hatranquillizzata dicendo che eral’impianto idraulico.Poi la scossa.Allora ho pensato subito ai bambi-ni: mi sono precipitata nella came-ra dei maschietti, dove Paola di 8anni era andata da sola, svegliatadal terremoto.Ancora non so dove ho trovato laforza, presa dal terrore e non riu-scendo nemmeno a stare in piediper l’intensità della scossa, di aprirela finestra e far uscire uno a uno ibambini, prima di uscire anche io. Rizieri era andato dalla più piccolae il tremare e sobbalzare era cosìintenso che non riusciva ad arriva-re al letto per prenderla. Mi ricordo che Michela urlava:“un mostro, io lo ammazzo”.Poi ci siamo ritrovati tutti in stra-da, io, i miei, la famiglia di Quintoe Auselia, eravamo tutti in strada.

“Mio marito salvò due donne”Rizieri mi ha lasciata con loro ed èandato ad Urbignacco da sua ma-dre, per vedere se stava bene.Arrivato là ha visto la distruzione

di cui Buja era stata vittima: moltecase erano crollate, la situazione erapeggiore che a Treppo. Quella notte ha salvato due donneche erano rimaste intrappolate nelleproprie case. Resosi conto della gra-vità e del pericolo ha telefonatoall’esercito - lui infatti era in aviazio-ne - e si è fatto mandare dei soldatiin aiuto. Insieme hanno liberato un’anzianache era rimasta a letto sotto una tra-ve che le era caduta sopra bloccan-dola e un’altra donna che in preda alpanico non riusciva ad uscire dalpiccolo varco che i muri crollati del-la sua casa lasciavano verso l’esterno.Io e miei bambini abbiamo dormitoin macchina; mi ricordo le continuescosse che si sono susseguite tutta lanotte. Poi c’è stata la tenda. Nonostante la paura per il terremo-to, la paura di un suo ripetersi e ildisagio, ricordo quei momenti comeun periodo comunitario, i cui ci siaiutava, si viveva assieme, ci si sor-reggeva reciprocamente e così abbia-mo anche ritrovato la voglia di ride-re e di ripensare al futuro”.

“Ci aspettavano fuori dalle case per salutare il nostro arrivo”“A quel tempo insegnavo a Buja e ilcomune di Buja era gemellato conMarano. La comunità maranese, at-traverso don Luigi Regeni e donElia, aveva organizzato dei campiper bambini, per portarli via dalFriuli distrutto durante i momentipiù difficili.Mi fu proposto di accompagnareuno dei gruppi e così partii anchecon i miei bambini.Mi ricordo ancora, arrivando con il

TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

A Zeglianutto si racconta…A cura di Manuela Celotti

Buja nel cortile dell’oratorio.Tutto questo ha creato dei legamiimportanti, che durano ancora oggi.Mi ricordo anche di un signore, unpescatore del posto, Geremia, una diquelle persone particolari presenti inogni paese. Ci aveva portati in gitasul suo barcone e l’ultimo giorno cisalutò con una canzone che avevacomposto per noi, in cui c’era unverso dedicato a ogni bambino”.

I ricordi di Lucianutti:“Ero sotto la doccia”“Quella sera, nemmeno a farlo ap-posta, ero sotto la doccia.Ho sentito un rumore strano e forte,un boato. Mia madre, mi ricordo, hadetto che doveva essere il bruciato-re. Non era il bruciatore.Subito dopo è arrivata la scossa, unascossa fortissima. Non siamo nem-meno riusciti ad uscire di casa, tuttotremava e tremava così forte che leporte non si aprivano, come se fosse-ro sotto pressione”.

I ricordi di GiorgioRazza: “Ci dissero di non tornare”Io ero in Svizzera, ho vissuto a di-stanza il sisma del 6 maggio.Mi ricordo che stavo guardando latelevisione e che hanno interrotto ilprogramma per annunciare una tra-gedia che aveva colpito il Friuli: ilterremoto. Subito dopo suggerironoagli italiani che avevano ascoltato lanotizia di aspettare nuove indicazio-ni, di non muoversi, di non tornare.Io telefonai a mio fratello e anche luimi disse di non venire.Quando sono partito per venire aTreppo ero carico degli aiuti che miavevano dato in Svizzera: una tenda,abiti, soldi.Mi ricordo che avevano anche fattouna colletta per don Giulio che eragià stato trasferito ad Avasinis”.

pullman, l’acco-glienza che quellepersone ci hannoriservato: ci siamosentiti accolti, aiu-tati, seguiti. Anco-ra oggi mi com-muovo ripensandoall’intensità di quelmomento, con tut-te le persone fuoridalle case a saluta-re il nostro arrivo.Ogni gruppo si fer-mava circa un meseed erano stati orga-nizzati quattro turni,noi eravamo il secondo.L’asilo era stato organizzato perospitare le cucine e il dormitorio.Parlando adesso, penso a quantepersone si erano mobilitate per noi:dalle cuoche, ai volontari, agli ani-matori… insomma, tutta la comu-nità.Ogni bambino era stato affidato aduna famiglia che provvedeva al cam-bio degli abiti e alle necessità più ur-genti, quindi i bambini vivevano ef-fettivamente tutti assieme nell’asilo,ma ogni sera le “loro famiglie” veni-vano a trovarli per passare un po’ ditempo con loro.Era tutto programmato, dalle attivitàdella giornata, alle gite, tutto a misu-ra di bambino. Non si sono limitatiad aiutarci e ad ospitarci, ci hannofatto sentire bene, ci hanno fatto di-vertire, ci hanno fatto sentire partedella comunità.Mi ricordo ancora di don Samueleche assieme agli altri ragazzi di Ma-rano veniva a giocare con quelli di

Un riparo d’emergenza in un cortile di Zeglianutto.

La maestra Fiorella ricorda con intensità la calorosa ospitalità ricevuta a Marano dai bambini delle scuole di Buja – qui ritratti proprio nella località lagunare – dove all’epoca insegnava.

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moto ha innescato a livello socialenella nostra piccola comunità èstata la formazione di un gruppogiovanile che ha rappresentatouno dei primi esempi di associa-zione, in un comune dove fino adallora, secondo quanto ricordano igiovani del tempo, non vi eranostati grandi esempi di forme di ag-gregazione.Svariate sono state le iniziative chehanno caratterizzato la storia delgruppo, in cui era confluita unabuona parte dei ragazzi di queglianni, dal volontariato alla benefi-cenza e allo sport. Proprio gli interessi sportivi ave-vano spinto alcuni di loro a for-mare un gruppo, “i disperas”, chepartecipava a tutte le competizio-ni podistiche della zona, ottenen-

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“Uffa, i soliti scherzi di quei ragazzacci!”Che dire poi di chi, sempre durantela scossa del mese di maggio, destatodai fragori del terremoto, in tuttatranquillità si è affacciato alla fine-stra per ascoltare meglio, convintoche il rumore fosse causato da qual-che maldestro ragazzo che, con l’in-tento di compiere la classica bravatadi gioventù, la notte si divertiva a in-nescare piccoli ordigni per creare unpo’ di scompiglio tra la gente.

Il terremoto e il gruppo giovanileSicuramente una delle trasforma-zioni più importanti che il terre-

TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

A Carvacco si racconta…A cura di Martino Di Giusto

do buoni risultati grazie alla dedi-zione ed all’allenamento.

In chi mi ha raccontato questecose è ancora ben vivo il ricordodel disappunto che tutti loroprovarono quando, eccitati perl’aver appena trovato uno spon-sor ed entusiasti del loro nomedecisamente anticonformista,aprendo l’involucro contenentele nuove magliette da utilizzarenelle gare, videro che il nome delgruppo era scritto in minuscolo eche risultava praticamente illeg-gibile sul petto, con gran rispar-mio di inchiostro da parte dellosponsor, mentre quello di que-st’ultimo dominava a chiare lette-re l’intera superficie posterioredelle magliette.

Chi c’era nel letto a dondolo?Come nel caso di qualsiasi altroevento di portata collettiva, svariatesono le storie accadute a chi lo ha af-frontato in prima persona, moltedelle quali sono per fortuna a lietofine, altre addirittura grottesche. Inesse spesse volte si riscontrano an-che aspetti caratteristici di una so-cietà e molte vicende potrebbero es-sere considerate dei veri e propripunti di svolta o momenti chiave ditrasformazioni generazionali in atto.Queste considerazioni sono sicura-mente valide per alcune testimonian-ze che è stato possibile raccoglierenella nostra comunità, in particolarein quella della frazione di Carvacco.C’è ad esempio la storia della picco-la Claudia, di appena sedici mesi,che già da un bel po’ dormiva beata-mente nella sua cameretta in un letti-no a dondolo posto accanto ad unarmadio, perché la piccina amava al-zarsi in piedi e rimirarsi allo spec-chio ivi appeso. Per sua fortuna, quella fatidica nottedi maggio i suoi genitori decisero dicoricarsi prima del solito, e il papàvolle tenerla alcuni minuti in mezzoa loro nel lettone grande per giocare. Tale scelta si rivelò provvidenziale,considerato che in quegli attimi eb-be inizio la scossa più forte, e quan-do poi i genitori fecero il giro dellestanze per controllare i danni ed en-trarono in quella della bambina, vi-dero che una pesante statuetta d’ar-gento, che si trovava sull’armadioaccanto al letto a dondolo, era cadu-ta esattamente sul cuscino. La stessa bambina, in occasione del-la scossa del mese di settembre, eb-be modo di lamentarsi perchél’evento sismico non le aveva per-messo di finire la bistecca che avevaappena addentato!

Inaugurazione (anno 2001) dell’ex latteria di Carvacco, ricostruita successivamente ai danni subiti nel terremoto del ’76.Oggi è un importante punto di riferimento per l’aggregazione sociale.

PensieriTrent'anni sono passati / da quella notte tre-menda / quando non riuscivi / a scappare dasotto le macerie / Trent'anni da quella nottesinistra / attorno al fuoco in campagna / ascaldare l'angoscia / di essere ancora vivi / .Raccontavano / di paesi crollati / della gen-te, dei bambini / spalancati in un sonno /senza respiro. / Trent'anni sono passati / ildolore è vuoto di lacrime / le parole echivuoti a manifestare / quello che abbiamoperduto / ...... nel cuore rimbombano / i rin-tocchi - quattrocento - / della campana diGemona……

ANIVERSARI DAL TEREMOT

PinsîrsTrent'agns a son passâtsdi che gnot tramendache no tu rivavisa scjampâ di sot i rudinas.

Trent'agns di che gnot signestraatôr dal fûc inta campagnaa scjaldâ l'ingosdi jessi incjmo vîfs.

A contavindi paîs sdrumâtsda int, di frutsspalancâts intun siumcença respîr.

Trent'agns a son passâtsil dûl al è vueit di agrimase las peraulas çondaras a pandice ch'i vin pierdût.

......tal cûr a rimbombini glons - cuatricent -da la cjampana di Glemona......

Lucina Dorigo

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TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

L’ansia di chi alle famiglie “importanti” di potertelefonare attraverso dei numeriprivati assegnati. Non vi era dun-que possibilità di contattare almomento i propri cari e man ma-no cresceva l’angoscia di noi emi-grati. Sempre il giorno 7 maggio,si sono attese le notizie di mezzo-giorno ma il TG è stato molto sin-tetico in quanto non era ancora ingrado di dare notizie esatte sull’ac-caduto: sconsigliavano vivamentedi mettersi in viaggio, visto che le

località colpite erano irraggiungi-bili e riferivano che la protezionecivile francese, nonostante tutto, sistava organizzando al fine di por-tare aiuto in Friuli.Per poter comprendere meglio lostato d’ansia di quei momenti,dobbiamo ricordare che gli unicistrumenti di comunicazione di al-lora erano il telefono fisso e la tele-visione. Molto probabilmente coni mezzi più evoluti di oggi (internete telefonia mobile) avremmo avutole informazioni in modo più velocee, forse, anche direttamente dainostri cari. L’agitazione e la preoc-cupazione erano sentimenti che ciaccompagnavano e crescevano diora in ora in quanto non potevamofare altro che aspettare i flash deinotiziari che si ripetevano frequen-temente nel pomeriggio. Durantequesti venivano messi in evidenzala volontà e lo spirito con cui ifriulani reagivano ai fatti, unendoin noi alla preoccupazione ancheun sentimento di doloroso orgo-glio per i nostri compaesani colpi-ti. Finalmente, la sera, arrivò unatelefonata da Udine: mia zia ci mi-se il cuore in pace tranquillizzan-doci e confermando che tutti i no-stri parenti stavano bene. Sebbene non personalmente colpi-ti, i giorni successivi furono appe-santiti dalle tristi notizie che segui-rono, con i telegiornali che visua-lizzavano le liste dei comuni friula-ni nei quali vi erano state delle vit-time.Quando finalmente si abbassò il li-vello di emergenza, riuscimmo arecarci in Italia per assistere lanonna che viveva da sola e la cuicasa era stata colpita gravemente.La ospitammo a Parigi fino aquando non fu possibile un suorientro.

Jacqueline Ermacora

“Durante i notiziari venivanomessi in evidenza la volontà e lo spirito con cui i friulani reagivano ai fatti, unendo

in noi alla preoccupazione ancheun sentimento di doloroso orgoglio

per i nostri compaesani colpiti”

mattino del giorno dopo (7 mag-gio): siamo rimasti increduli e stu-pefatti. La prima reazione è stataquella di chiedere ai nostri amicifriulani che abitavano nella zona sepure loro avevano sentito dell’ac-caduto: nessuno ne sapeva niente.Abbiamo quindi iniziato a cercaredi contattare telefonicamente i no-stri parenti in Italia, ma le linee te-lefoniche non davano segnali e ilConsolato italiano di Parigi erauno strumento che consentiva solo

Come visse il terremoto una famiglia di emigrati in Francia

Il 6 maggio 1976 ero in Franciacon la mia famiglia nella periferiasud di Parigi, quindi non posso di-re di aver vissuto in prima personal’esperienza tragica del terremotoche ha colpito la nostra regione.La notizia ci è giunta attraverso unbreve servizio durante il TG del

Prima pagina del “Messaggero Veneto” di martedì 11 maggio 1976.

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TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

era lontano

Per molti emigranti friulani non c’era modo di mettersi in contatto con i propri cari. C’è chi ha provato di tutto, anche a chiamare le redazioni di TV e giornali. Fino adottenere l’informazione desiderata.

L’angoscia degli emigrantiIn mezzo ai tanti ricordi di chi erain Friuli il 6 maggio di trent’annifa, ci sono anche quelli di quei friu-lani che per ragioni di lavoro si tro-vavano all’estero. Ogni emigrantesi ricorda senz’altro l’angoscia diquei giorni terribili, specialmente iprimi passati da quel terribile si-sma nel cercare di capire come sta-vano i propri cari rimasti nella loroterra d’origine.Io in quel periodo avevo quasi 5anni e vivevo nei pressi di Parigi,dato che mio padre era emigrato inFrancia molti anni prima dall’ama-to Friuli. Attraverso i suoi raccontiho rivissuto il dramma che lui haprovato nei giorni immediatamentesuccessivi al terremoto. Il 7 maggio 1976, come ogni gior-no, era andato a lavorare, quandomia madre lo chiamò al telefonoverso le 10 del mattino per dirgliche aveva sentito al telegiornale

della televisione francese che c’erastata la sera prima una forte scossasismica in Friuli, con molti morti eferiti nelle zone di Gemona, Osop-po, Buia e Maiano. Dopo quella drammatica telefona-ta, mio padre mi dice sempre chetutto quello che fece dopo fu ac-compagnato dall’incubo e dallapaura di quello che poteva esseresuccesso a suoi familiari. Rientratosubito a casa dopo la notizia rice-vuta, iniziò il calvario di tutte le te-lefonate fatte per avere notizie deisuoi cari. I tentativi fatti per met-tersi in contatto con loro non eb-bero successo, così come quelli fat-ti per chiamare amici e conoscenti. Ore ed ore di telefonate non face-vano che accrescere la paura chefosse successo loro il peggio. Fecediversi tentativi per avere notiziepiù precise, chiamando l’Amba-sciata a Parigi, il Consolato italia-no, il Fogolâr Furlan, ma tutti da-vano la stessa risposta, e cioè che lenotizie sulle zone colpite dal sisma

non erano ancora precise. Telefonòpoi anche agli uffici della televisio-ne francese, e gli venne detto che laseconda rete della TV di Stato ave-va inviato una loro troupe in Friuli,ma che comunque era ancora pre-sto per avere notizie certe.Chiamò di nuovo il Consolato, e glivenne detto di provare a telefonarealle redazioni dei vari giornali ita-liani del nord Italia, dato che sicu-ramente avevano mandato dei gior-nalisti nelle zone terremotate. Fecediverse chiamate a molti giornali,ma senza successo, finché a tardasera, la redazione de La Stampa diTorino gli comunicò che nel comu-ne di Treppo Grande non c’eranostate vittime. Questa notizia rassicurò parzial-mente i miei genitori, visto che co-munque non erano riusciti a met-tersi in contatto con i familiari.Passarono quattro giorni prima chemio padre riuscisse a parlare conmia nonna. Lui mi dice sempre chenon riuscì a trattenere le lacrime al

suono della voce di sua madre libe-randosi così dalla tensione creatasidall’angoscia e dalla paura accu-mulate in quei giorni.Giorni dopo, la televisione france-se fece vedere le prime immaginidel Friuli devastato, specialmentedi Gemona e di Osoppo, che miopadre conosceva bene, ridotte adun cumulo di macerie.Fu molto colpito nel vedere il cine-ma sociale di Gemona, dove erastato molte volte, raso al suolo conmolte persone sepolte sotto le suemacerie.Un particolare colpì molto mio pa-dre il giorno dopo, quando fu tra-smesso un altro servizio in televi-sione in cui vide delle immagini diuna Buia semidistrutta, con un par-ticolare da far venire i brividi: fuoridal Tabeacco, che una volta ospita-va una sala cinematografica, c’era ilcartellone del film in programma-zione in quei giorni, il cui titolo era“La città sarà distrutta all’alba”.

Mauro Moretti

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6 maggio 1976, ore 21. La vitacambia. La natura parla con voceperentoria, in un monologo di 52secondi che non ammette intrusioniumane.6 maggio 1976, ore 21. L’uomo,paradossalmente, si avvicina inmaniera più viscerale alla natura. Ècostretto ad ascoltare il suo mes-saggio. E si risvegliano istinti ance-strali normalmente sopiti.

Terra, aria, fuoco e acqua diven-tano gli attori protagonisti di unatragedia che rappresenta, in queifrangenti, l’esistenza umana.

TERRATrema, trema quella terra a cui ifriulani sono così profondamentelegati e continua a tremare e a fre-mere per mesi e mesi, togliendo se-renità e speranze durature. Comeraccontano alcune brevi testimo-nianze di chi, in quegli attimi, sitrovava in paese.

“C’era chi alimentava la psicosi,andando in giro a dire, senza ele-menti fondati, ‘Ora arriva un’altrascossa. Vedrete! Sta per arrivare!’”.

“Quando la terra tremò con forza il15 settembre, tutte le speranzecrollarono. E i friulani dovettero ab-bandonare il motto ‘O fasén di be-soi’ per accogliere a braccia aperteil sempre più necessario aiuto deglialtri”.

“Per mesi, la notte, continuai a so-gnare che la terra tremava e i muricadevano. Un vero incubo”.

ARIA e… AIARL’aria calda di quel 6 maggio, l’afa.Ma qualcuno rammenta anchel’aiar, il vento.“Ricordo quella notte, fuori, all’ad-diaccio, dopo la scossa. Mi è resta-to impresso lo strano vento chespirava”.

FUOCO“Dopo la scossa del 6 maggio,quando attoniti ci riunimmo in uncampo con la gente della borgata,il nostro primo istinto fu quello diaccendere un fuoco. Faceva caldo,ma quel fuoco rappresentava unaforma primitiva di aggregazione,uno strumento di protezione e unmodo per darsi coraggio”.

“Il 6 maggio era una giornata cal-dissima, molte persone davano se-gnali di irrequietezza”.

“Nel cielo, verso le montagne, sivedevano bagliori rossastri”.

“Quel giorno, mentre da Colloredomi dirigevo a Treppo, la mia autoprese fuoco. Fatto strano, se inter-pretato con il senno di ciò che ac-cadde la sera”.“Non dimenticherò mai la luna ros-sa del 6 maggio, sembrava di fuo-co”.

ACQUAE poi l’acqua, quella che cadde ingran quantità dal cielo i giorni suc-cessivi a quella tremenda scossa.

“Un violento temporale, con piog-gia torrenziale, era seguito all’in-sopportabile calura dei giorni 6 e 7maggio; la pioggia aveva portatonuovi disagi alla popolazione co-stretta a vivere in ricoveri di fortu-na”.

“Ho ancora impressa nella mentel’immagine di chi operava senzasosta per costruire i prefabbricati,lavorando sotto una pioggia bat-tente.Mi fa sorridere ancora un episodiocui io, allora bambino, assistetti: unvolontario impegnato in uno di que-sti lavori di fatica, sotto un acquaz-zone, si rivolse bagnato fradicio alparroco che lo stava aiutando, di-cendo: ‘E cumò ce veno di fà, venodi preà o di bestemà?!’ ”.

I CINQUE SENSI

Natura, quindi. Segnali, istinti. Ge-nerosità o egoismo si sprigionavanocome un fiume in piena palesandoinclinazioni naturali. Il prima e il dopo letto con chiavifortemente emotive. Acuendo i cin-que sensi…

UDITO“Come dimenticare, prima dellescosse, l’ululare dei cani, l’agitazio-ne delle bestie nelle stalle, il cantodei galli. Avevamo imparato a inter-pretare gli avvertimenti degli anima-li ogni volta che la terra stava pertremare in maniera importante”.

“La sera del 6 maggio, dopo lascossa, a parlare era un silenziotombale. Impressionante”.

“La scossa? Un grande shock.C’era chi non riusciva a trattenere lapaura, urlando come un ossesso”.

“Ero piccolino… ma ricordo le pri-me notti in ricoveri di fortuna. Il cal-do, poi il freddo… E il suono in-quietante delle sirene delle ambu-lanze dirette nei paesi con morti eferiti”.

OLFATTO“Mi è rimasto impresso l’odore deltelo di nylon con cui mio padreaveva costruito un rifugio d’emer-genza poco dopo la scossa. Ancoroggi quando entro in una serra epercepisco quell’odore mi tornanoin mente tali momenti spiacevoli”.

GUSTO“Accanto alla tendopoli era statocreato un magazzino per la distri-buzione di viveri. Rammento chequando veniva data la carne, c’erachi si accalcava forsennatamenteper averne un pezzo”.

“Che shock tremendo! Si aveva co-me l’impressione di essere fuoridalla realtà. Ricordo che in queigiorni noi ragazzi facevamo dellebevute colossali e poi andavamo adormire nella tendopoli”.

VISTA“Il 6 maggio, di giorno, vidi duescorpioni morti, a pancia in su, sot-to il sole: cosa molto insolita, nor-malmente quegli animali stannoben nascosti”.

“La scossa del 15 settembre… ve-devo i fili della luce che si toccava-no e sprigionavano scintille”.

“La vista era oscurata dalle polveridelle macerie”.

“Dopo le scosse, la luce spariva.Eravamo immersi nel buio”.

“La percezione del terremoto del 6maggio fu diversa da quella del 15settembre, quando le scosse forti simanifestarono di giorno. Vederechiaramente la terra tremare fu an-cora più impressionante”.

TATTO…Per così dire…qualcosa che toccala tua testa e…“Dopo la scossa del 6 maggio cieravamo radunati con i vicini in unposto al sicuro da eventuali crolli.Mancava però un uomo della miaborgata, uno che aveva l’abitudinedi andare a dormire presto. Beh,dopo un po’ lo vediamo raggiun-gerci bofonchiando qualche sacra-ment: non si era assolutamente ac-corto del terremoto, se non quan-do, pacificamente addormentatonel suo letto, era stato colpito allatesta dal quadro della Madonna,caduto dalla parete a causa dellescosse!”.

Cristina Menis

TESTIMONIANZE E ANEDDOTI DAL NOSTRO PAESE

Terra, aria, fuoco e acqua

Un rifugio di fortuna allestito in quei giorni difficili nel Borgo Moretti diVendoglio (archivio Giacomino Simeoni).

Crollano i muri, crollano i tetti. E anche gli incubi notturni di alcune persone si popolanodi edifici che cadono (archivio Lisute Spizzo).

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19I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Ci sono dei fatti o degli eventi chetalvolta ti sorprendono, ti colgonoimpreparato, ti risvegliano improv-visamente da un lungo e profondotorpore: lo smarrimento che neconsegue può determinare reazio-ni e comportamenti non razionali,inopportuni o semplicemente con-trari alle esigenze del momento. Ilterremoto del 1976 ne è un esem-pio: l’unica difesa possibile, in talicasi, è una consapevolezza e matu-rità acquisite precedentemente.Ora, chi ha vissuto il terremotonell’età adulta, si rende conto dellarapidità con cui trascorre un tren-tennio; può pertanto constatare chequando correva l’anno di grazia1976, erano trascorsi solo 29 annidalla fine della 2ª guerra mondialee, da tale data, solo 27 anni dalla fi-ne della prima; pertanto, pensandoalla storia del Friuli, tutto quello cheera accaduto, agli avvenimenti insitinelle due guerre, all’emigrazione,alla evoluzione tecnologica, allamodifica delle condizioni di vita,ecc. ecc., si deve dar atto che, og-gettivamente, solo un portatore diiella (anche se la geologia mettevain guardia) poteva preventivare e“programmare” un evento sismicoche, per l’ennesima volta, sconvol-gesse il Friuli. Poi le cose accadono e… bisognaricominciare.Non so se le nefaste esperienze deiventenni di trent’anni prima, cin-quantenni ai tempi del terremoto,con metà Friuli distrutto, siano stateuna delle chiavi della rapida rinasci-ta del Friuli, delle scelte precise,chiare e forse anche lungimiranti;una considerazione però va sicura-mente fatta: quei tipi di evento ac-cadono, a causa dell’uomo o dellanatura, di diversa gravità ma co-munque in tempi che in realtà, purapparendo lunghi, non lo sono af-fatto.Da quel terremoto una convinzioneprecisa è nata: è necessario esserepronti il più possibile alle calamità,non è più possibile vivere in una zo-na altamente sismica, dimenticandogli ammonimenti che vengono dalpassato e dalle conoscenze scienti-fiche (non più leggende, comete edquant’altro la fantasia suggeriva);l’embrione di quell’organizzazioneche in seguito si chiamerà “Prote-zione civile” si stava formando.Sullo stato emotivo le idee pullulanoma definire la protezione civile neisuoi aspetti operativi concreti,estrapolare l’essenza di tale entità èstata quasi una disquisizione filoso-

fica, un esercizio intellettuale: laconvinzione di giungere a qualcosadi concreto era però troppo radicatae diffusa perché l’idea potesse es-sere abbandonata.Un’esperienza locale a supportodelle zone terremotate dell’Irpinia,tra le varie conseguenze, ha portatoad un momento di aggregazione fi-nalizzato alla formazione di un ipo-tetico gruppo comunale, sfociatoanche in una riunione con funziona-ri prefettizi: nonostante tale richie-sta fosse propria anche di altri Co-muni, i tempi non erano ancoramaturi per un volontariato ricono-sciuto ed istituzionalizzato; lo Statoaveva già altri organismi (Vigili delFuoco, Esercito, Prefetture, Crocivarie, ecc.) che operavanonell’area di protezione civile e do-veva combinare e/o coordinare variaspetti: giuridici, organizzativi eprobabilmente anche un po’ corpo-rativi.La voglia di “Protezione civile”, eracomunque così radicata (anche peresempio delle risorse messe in

campo dai volontari giunti in Friulinel ’76) che la Regione Friuli Ve-nezia Giulia decise nel 1986, pri-ma Regione in Italia, di legiferarein materia e, almeno virtualmente,di rispondere alle aspirazioni di nu-merosi volontari. La nascita di questa legge fu resapossibile dal superamento di alcuniproblemi: si riuscì a definire il ruolodel volontario, l’attività che dovevasvolgere ed inoltre si chiarì il ruolostesso della Regione, che si erafatta interlocutore principale con loStato.

Il lungo dibattito formulava un’ipo-tesi di volontariato che sommaria-mente si può così sintetizzare, defi-nendo il Gruppo di Protezione civi-le in questi termini:- un’estensione dell’attività istitu-

zionale del Comune (figura cardi-ne il sindaco), per cui il volonta-rio doveva operare tramite gruppicomunali che non erano associa-zioni o similari;

- non era (e non è tuttora) alterna-tivo agli organi istituzionali;

- era legato al territorio comunale,di cui ha una profonda cono-scenza;

- non era finalizzato ad operare aldi fuori del Comune ma all’inter-no di esso; soprattutto doveva

essere in grado di ricevere ecoordinare aiuti portati al proprioComune (qui il ricordo del terre-moto e dello scoordinamento chespesso si crea nel momento incui affluiscono gli aiuti è eviden-te);

- doveva integrare i “professioni-sti”, coadiuvandoli nelle opera-zioni più semplici, evitando di di-stoglierli da interventi che richie-dono professionalità e favorendoaltresì un loro rapido intervento;

- era tenuto a operare sotto i lcoordinamento di una sede ope-rativa regionale.

“Fatta la legge, fatto l’inganno”, citaun vecchio detto e travisandone unpo’ il significato si poteva dire: “fat-ta la legge, ingannato il volontario”:soldi, mezzi, attrezzature ed azionipratiche per quattro, cinque annierano tabù; restava difficile dare unsenso ad un’idea che, seppur nobi-le, poneva continuamente nuoveproblematiche, originate dalla va-riabilità delle situazioni ipotizzate eche facevano oscillare il volontariotra essere “pompiere” o “parcheg-giatore”.Gli anni ’90 – ’93 sono stati caratte-rizzati da una attività perlopiù teori-ca; nel caso del nostro gruppo, dal-la collaborazione con il gruppo diTricesimo (corso di primo soccor-so, incontri e mini – corsi), con ilgruppo di San Daniele del Friuli(esperti sub e nuotatori) e da unpo’ di autogestione.Poi, lentamente, qualcosa si èmosso: le prime divise (1994), leprime attrezzature (1994), le primeuscite fuori regione (Piemonte,Umbria), il “Bremach”(1997); poi èstoria recente.Nello scrivere questa sintesi mi storendendo conto che si tratta di ri-cordi, poiché le prime ed incerte at-tività del gruppo sono più vicine alperiodo del terremoto che al pre-sente; auspico pertanto che l’occa-sione delle celebrazioni per itrent’anni dal terremoto sianoun’occasione per un riesame edapprofondimento di quell’immensamacchina organizzativa quale sonostati i soccorsi portati alle popola-zioni del Friuli e, sfrondata la retori-ca di circostanza, si traggano i giu-sti insegnamenti, le indicazioni edanche gli stimoli per proseguireun’attività, nata in un periodo cheha segnato profondamente la sto-ria del Friuli, che deve progredire econtinuare.

Umberto Minutti

Volontari di Protezione civile: dall’incertezza del terremoto alla certezza di oggi

““La nostra Regione fu la prima in Italia, nel 1986,

a legiferare in materia”

Nell’inverno dell’80, dopo le terribili scosse che sconvolsero l’Irpinia il 23 novem-bre, un gruppo spontaneo di volontari treppesi, assieme al parroco don Claudio(nella prima “spedizione” erano in nove), portarono soccorso alla popolazionedel paese di Montella. Successivamente, l’Amministrazione comunale organizzòuna sottoscrizione per raccogliere fondi, e fiorirono nuove squadre di volontari,che più volte in poche settimane percorsero i 950 chilometri che li separavanodai terremotati. I primi tre prefabbricati consegnati alla località campana furonoquelli del nostro paese! In occasione di queste operazioni, si tentò di formare unipotetico gruppo comunale di Protezione civile (ci fu anche una riunione con fun-zionari prefettizi), ma i tempi non erano ancora maturi per un volontariato ricono-sciuto ed istituzionalizzato. Nella foto, alcuni compaesani all’opera in Irpinia (im-magine tratta dal Bollettino parrocchiale di Treppo Grande, anno 1981).

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Il Gruppo comunale di Protezione civile

Da una tragica esperien-za, nasce un’importanterealtà. Anche per aiutarechi è in difficoltà, comeeravamo noi nel ’76.

Il terremoto che colpì il Friuli Vene-zia Giulia nei mesi di maggio e set-tembre del 1976 ebbe forti ripercus-sioni a livello nazionale ed istituzio-nale. In considerazione degli sforziche fu necessario sostenere per fron-teggiare le situazioni di emergenza,venne costituita poco tempo dopo laProtezione civile nazionale, ovverouna organizzazione fondata sul vo-lontariato e formata da persone pre-parate ed attrezzate per intervenireprontamente in caso di calamità na-turali. In breve tempo iniziarono acostituirsi i Gruppi comunali di Pro-tezione civile, dapprima nei comunipiù grandi, secondariamente anchenelle realtà minori. Attualmente ilFriuli Venezia Giulia è l’unica re-gione d’Italia in cui ogni comune hail proprio Gruppo comunale di Pro-tezione civile, a testimonianza diquanto quell’evento abbia influito suun’intera comunità, facendo nascerenelle persone una consapevolezzanuova, che è quanto mai utile tra-mandare anche alle nuove genera-zioni.Il Gruppo comunale di Protezionecivile di Treppo Grande venne for-malmente istituito il 17 gennaio del1992, e contava già all’epoca ben 33iscritti, numero che si è conservatopressoché identico nel tempo. Varieed intense sono le attività che hannocaratterizzato l’operato dei volonta-ri: il gruppo ha infatti sempre rispo-sto prontamente a tutte le chiamateche si sono avute in questi anni perportare soccorso in zone colpite dacalamità naturali anche se, facendoparte di una struttura molto più am-pia e organizzata, non sempre i vo-lontari che avevano dato la propriadisponibilità sono stati chiamatiall’intervento.Ecco i principali interventi e servizieffettuati dal Gruppo a beneficiodella Comunità sul territorio del co-mune e in zone colpite da eventi ca-lamitosi nel corso della sua storia:• il 10 novembre 1994, due volon-

tari hanno partecipato alla spedi-zione presso il comune di Albain Piemonte per portare soccor-so alla popolazione in seguito aduna alluvione;

• in occasione del terremoto che il26 settembre 1997 ha colpitol’Umbria, due volontari avevano

dato disponibilità per intervenirepresso i comuni terremotati.Non è stata tuttavia richiesta laloro partecipazione. In seguito, siè organizzata una raccolta di fon-di che sono stati destinati ai co-muni di Scheggia e Pascelupo. Iproventi della raccolta sono statiutilizzati per l’acquisto dell’arre-do per le mense delle rispettivescuole. I volontari hanno inoltreprovveduto al trasporto del ma-teriale;

• il 7 ottobre 1998, quattro volon-tari sono stati impegnati nel pro-sciugamento di alcuni scantinatiin località Treppo Piccolo;

• 14 agosto 2002: un volontario èpartito alle ore 18 da Maiano allavolta di Praga per intervenire afavore della popolazione colpitadall’alluvione. Giunto ad Ar-noldstein la colonna è stata fattarientrare su ordine della centraleoperativa di Palmanova;

• 31 ottobre 2002: un volontariodava la propria disponibilità perrecarsi in Molise e partecipareall’azione di soccorso della Pro-tezione civile a favore delle po-polazioni della stessa regione col-pite dagli eventi sismici. Giuntoa Palmanova la partenza vennerinviata al giorno successivo, mail volontario ritirò la disponibi-lità;

• il 15 novembre 2002, due volon-tari si sono recati in Molise pres-so Castello d’Annone. Durantela settimana di permanenza han-no preso contatti con l’ammini-strazione di Montorio nei Fren-tani. Da questo contatto sono na-ti gli accordi per una nuova sot-toscrizione che è stata devolutaal Comune di Montorio;

• il 30 novembre 2002, a seguitodell’alluvione che ha colpito ilterritorio di Pordenone e quellicircostanti, tre volontari hannopartecipato all’emergenza mal-tempo intervenendo nella puliziadelle abitazioni e degli scantinatiinvasi dal fango accumulatosidurante l’alluvione;

• il 18 aprile 2003, a seguito dellacaduta di una gru sul tetto dellachiesa di Zeglianutto, sei volon-tari hanno provveduto alla chiu-sura delle strade per consentire ildirottamento del traffico lungole strade adiacenti al luogodell’accaduto e consentire la via-bilità, mentre venivano effettuatii lavori di recupero della gru;

• in occasione dell’alluvione che il29 agosto 2003 ha devastato il

Canal del Ferro e la Val Canale,21 volontari hanno partecipatoalle operazioni di soccorso e soli-darietà alle popolazioni colpitedall’evento per un periodo che siè protratto dall’1 al 18 settem-bre;

• il 20 agosto 2004, otto volontarihanno partecipato all’operazionedi sgombero di diverse vie delcomune sulle quali si erano ab-battuti alberi in seguito ad unnubifragio, ristabilendo così lanormale viabilità esattamente al-le ore 24;

• il 31 ottobre 2004 sono stati ef-fettuati, sempre sul territorio co-munale, altri interventi di pro-sciugamento di scantinati in se-guito ad allagamenti generati daforti precipitazioni piovose;

• il 6 novembre 2004, 18 volontarihanno eseguito un lavoro di ad-destramento e formazione con-cretizzatosi nella pulizia di unastrada comunale denominata viaVidrì, che da diversi anni risulta-va abbandonata e quindi impra-ticabile perché ostruita.

Oltre alle attività di intervento sulterritorio, i volontari hanno frequen-tato vari corsi di preparazione ed ad-destramento organizzati dalla Prote-zione civile o da altri organismi. Trai principali possiamo annoverare iseguenti:• corso di primo soccorso organiz-

zato dalla C.R.I. presso la scuoladi Tricesimo nell’aprile del 2002,a cui hanno partecipato 12 vo-lontari;

• corso sull’utilizzo in sicurezzadella motosega per l’abbattimen-to alberi, tenutosi il 12 e 13 otto-bre 2002, a cui hanno partecipa-to tre volontari;

• corso di formazione ed aggiorna-mento svoltosi dal 10 marzo all’8aprile 2003, rivolto a coordinato-ri e capisquadra, e riguardante leseguenti aree: normativa, orga-nizzativa, della sicurezza e psico-sociale. A tale corso hanno parte-cipato il coordinatore e due capi-squadra;

• progetto di formazione per ilruolo di manager formativo e dimediatore multimediale, tenutositra il 24 maggio ed il 21 giugno2005 presso l’Università di Udi-ne, a cui hanno partecipato duevolontari;

• corso di formazione “Area Inter-net” presso l’istituto IAL di Ge-mona, svoltosi tra il 2 ed il 16maggio 2005, a cui hanno parte-cipato due volontari.

Al di là delle prestazioni “ufficiali”,ogni anno i volontari si prodigano,in collaborazione con gli addetti delcomune, nello spargimento del salesu tutte le strade comunali in occa-sione delle nevicate invernali, preve-nendo la formazione di uno spessostrato di neve e ghiaccio sulla carreg-giata e alleviando in questo modobuona parte dei disagi che la nevearreca alla viabilità. Collaborano inoltre attivamenteall’organizzazione di tutte le festedella comunità garantendo la sicu-rezza e la viabilità e partecipanospesso a importanti manifestazioni aldi fuori del territorio del comune,come “EYOF2005”, manifestazionedi gare olimpiche della gioventùsvoltasi a Lignano Sabbiadoro, for-nendo supporto alla gestione logisti-ca ed organizzativa.

Giuseppe Scagnetti e Martino Di Giusto

Una delle prime formazioni del Gruppo comunale di Protezione civile. I volontariindossano le prime divise “ufficiali” fornite dalla Regione (anno 1994).

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2121I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Un maestro severo e preziosoSono trascorsi trent’anni. Tanti.Tantissimi, soprattutto per la nostramemoria.Guardando indietro, ci sembra avolte impossibile sia passato cosìtanto tempo ed aver vissuto mo-menti così difficili. Ora, ogni voltache i notiziari televisivi ci presenta-no i terremoti ed i loro terribili effettinelle più svariate parti del mondo,noi riusciamo a comprendere per-ché ci siamo passati ed abbiamovissuto le stesse emozioni, diffi-coltà, attese e speranze.La vita è una gran maestra, a pattodi non perdere la memoria: quantevolte gli uomini lungo i secoli hannofatto le guerre dimenticandone pre-sto la lezione!Per me il terremoto è stato un pre-zioso e severo maestro. Non loavevo mai provato prima d’allora.Quella caldissima sera di maggio diritorno da Zeglianutto, dopo averconsegnato alle famiglie i bimbidella prima Comunione, fu la miamamma ad avvertirmi: “E’ il terre-moto!”, perché lei da piccola loaveva imparato a conoscere e nonaveva dimenticato il suo sinistro av-vicinamento.

Conoscere se stessi e gli altriLa prima lezione ch’esso immedia-tamente mi ha impartito è quelladella conoscenza dell’animo uma-no. E’ stato un formidabile test pertogliere la crosta superficiale e ap-parente delle persone ed anche lamia per rivelarne la parte più na-scosta. Innanzitutto la generale enaturale paura, l’incertezza ma an-che il coraggio, il controllo e la cal-ma; l’istintivo stringersi insieme e ri-trovarsi sulla stessa barca ed an-che l’egoismo più sfrenato; la ge-

nerosità, la disponibilità come lagrettezza, l’avarizia, l’accaparra-mento; la pigrizia fisica e mentale ela prontezza a condividere, ad aiu-tare, a dare una mano; la discrezio-ne silenziosa e l’esibizionismo inva-dente… Ma la persona umana ètutto questo e non possiamo nontenerne conto. “Conosci te stesso”è l’antico adagio di Socrate più chemai valido anche oggi per vivere lapropria vita insieme agli altri in au-tenticità, senza finzioni, senza illu-sioni.

Una bella scopertaQuei giorni lontani, ma scolpiti nelcuore profondamente, mi hannofatto del bene fino a commuovermirivelandomi quanta bontà, umanità,solidarietà esistono nel mondo.Non riuscirò a dimenticare la matti-na dell’arrivo, sulla piazza dellachiesa, degli autisti inglesi con glienormi camion che trasportavanole ‘Portakabin’, alloggi di fortunanecessari in quei primi momenti;come non ricordare tutti i volti deglialpini di Zambana (TN) accorsi su-bito con un carico di tiranti a dispo-sizione nella fornace di Zegliacco; ela gioia e l’unione del magnificogruppo di Pessano (MI) guidato daAntonio: donne, bambini, giovani eadulti impegnati nel costruire intempo record il recinto della nuovascuola materna; il soggiorno in Ri-viera per i nostri anziani offerto dalcomune di Leno (BS) ed il trio tec-nico della Provincia di Milano cheper otto anni ha fatto la spola tra lametropoli lombarda ed il nostropaese per restituirgli il suo patrimo-nio di fede e di storia: la chiesa, ilcampanile e l’antico organo.Davvero ho scoperto come il mon-do è più buono di quanto pensiamo

tende, col sapore dell’autenticitàdelle cose semplici e veramentevissute; il ritrovarci nel settembre1982 nel sito della vecchia chiesain borgo Centa, non solo per in-camminarci verso la chiesa rico-struita, ma per riprendere consa-pevolmente un’identità di popolo edi credenti che questi tempi vo-gliono cancellare.

Costruire saldamente il futuroMa il terremoto è stato anche ungrande, formidabile maestro di fu-turo. Da allora abbiamo iniziato a

Inaugurazione della chiesa parrocchiale di Treppo Grande – nel settembre 1982– ristrutturata con gli aiuti della Provincia di Milano (archivio Enrico Ponta).

Inaugurazione del campanile del capoluogo, nel 1984. A parlare è la presidentes-sa della Provincia di Milano, ente che collaborò, oltre che alla ricostruzione dellachiesa, alla restaurazione del suo antico organo (archivio Enrico Ponta).

Un esempio di solidarietà. Gli “amici” di Pessano (MI), 38 privati cittadini (con inpiù un cuoco) che nell’estate del ’77 vennero a Treppo per costruire a propriespese, durante un mese di lavoro, il muro di cinta attorno alla scuola materna“Amicizia mantovana” (realizzata invece dalla Provincia di Pavia). Questi impa-reggiabili volontari, giunti in parte con le proprie famiglie, alloggiavano nellascuola elementare. Erano già accorsi in una mezza dozzina, poco dopo le scossedel 6 maggio del ’76, con un autocarro carico di grossi trafilati, piastre di ferro euna macchina operatrice per fare i “tiranti”, andando poi di casa in casa a chie-dere se c’era bisogno del loro intervento. Tornarono ancora nel nostro paese perportare la ringhiera che delimita il sagrato della chiesa di Treppo. Nella foto, sul-la sinistra, si può scorgere don Claudio (archivio Enrico Ponta).

e vediamo, e tantissime personeche non vedremo mai sulle primepagine dei giornali continuano a la-vorare per costruire una società piùfraterna e solidale.

Credere per sperareDovrei, a questo punto, sottolinea-re l’importanza della fede nella du-ra esperienza di quei giorni, quasitre flash che emergono dai ricordi:la gente di Zeglianutto tutta rac-colta ai piedi della scalinata dellachiesa quella notte, come vicinoad una madre nel momento delpericolo, ad ascoltare e commen-tare con incredulità le prime noti-zie portate da chi veniva da Buja eda Majano; la Messa in mezzo alle

don Claudio Comosegue a pag. 23

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22 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Dopo trent’anni, il ricordo di quelsinistro evento rimane indelebile, so-prattutto per le persone della miagenerazione che, dopo i primi mo-menti vissuti con sgomento e ansia,hanno dovuto affrontare un futurodenso di preoccupazioni ed incertez-ze e a volte anche di grande sconfor-to. Ora, dopo ben trenta anni, vieneancora la pelle d’oca ricordando co-me abbiamo vissuto il periodo tra idue terremoti (maggio e settembre):in luglio è nato il mio primo figlio, ela “casa” era composta da una tendae una roulotte; lascio immaginare allettore lo stato d’animo con cui havissuto quei momenti il padre friula-no di un neonato, a cui non potevaoffrire alloggio sicuro in una veraCasa (di clap intendo).Attualmente alcuni aspetti di quellacatastrofe si ricordano in maniera unpo’ sfocata, credo che la mente siadotata di una naturale tendenza acancellare i peggiori eventi vissuti ea tenere vivi nella memoria gli aspet-ti positivi delle vicende. E su questiultimi mi soffermerò, in particolarecercherò, con l’aiuto dei dati, di ren-dere una panoramica di quello che èstato il grande “cantiere” della rico-struzione del nostro Comune e cherappresenta (lo dico con orgoglio)un tassello di quello che in tutto ilmondo da anni viene citato comeesempio di rinascita da emulare conl’appellativo “Modello Friuli”.Le primissime “opere pubbliche”realizzate dopo il 1976 sono stati i136 alloggi prefabbricati provvisorirealizzati da un’impresa locale e fi-nalizzati al ricovero dei senzatettoper qualche anno, in attesa della“vera” ricostruzione delle case.Negli anni seguenti (dal 1977 inpoi), la Regione FVG fece un’impor-tante scelta politica che si rivelò poi

La ricostruzione nel n

La ex latteria di Carvacco “sotto cantiere” e a lavori ultimati.

vincente: rispettando l’autonomiadei sindaci, emanò apposite normati-ve che regolamentavano, in manieramolto puntuale, la materia che ri-guardava riparazione e ricostruzionedi patrimonio edilizio e infrastruttu-rale pubblico e privato, prevedendoadeguati e tempestivi finanziamentiche, sostanzialmente, coprivano qua-si l’intero costo delle opere (dallaprogettazione al collaudo finale). Lagrande macchina della rinascita, ali-mentata anche dalla proverbialeoperosità della nostra gente e con laspinta della congenita patologia mal

Panoramica sui prefabbricati di via Colombo del capoluogo, finalizzati al ricovero, per qualche anno, dei senzatetto.

interventi di ricostruzione completa n. 114interventi di consolidamento antisismico n. 10

interventi pubblici (gestione affidata al Comune)interventi di riparazione/ricostruzione n. 116

interventi di ripristino di immobili considerati “beni ambientali”interventi gestitidirettamentedall’Ente regionale n. 15

dal clap, si mise così in moto e i terri-tori devastati dalla grande catastrofesi trasformarono subito in un im-menso cantiere che invase tutto ilterritorio del Comune e gradualmen-te interessò quasi tutte le case.

INTERVENTI NELL’AMBITODELL’EDILIZIA ABITATIVA

per una somma assegnata di Euro 7.462.230,00

interventi attuatidirettamente dai privatiinterventi di riparazione n. 547

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costruire case più solide, senzaeconomia di ferro e di cemento per

evitare il ripetersi di avvenimenticosì dolorosi in avvenire.

L’esperienza vissuta sulla nostrapelle, soprattutto nel momentodell’emergenza, e la consapevolez-za degli enormi aiuti confluiti inFriuli, hanno fatto scattare in alcunidi noi la decisione di portare in Irpi-nia (novembre-dicembre 1980) nonsolo la nostra esperienza ma so-prattutto la nostra concreta solida-rietà. Al ritorno da quell’indimenti-cabile ‘spedizione’ guidata non so-lo dall’entusiasmo ma da una preci-sa e competente organizzazione,abbiamo contagiato popolazioneed Amministrazione comunale perun progetto ideato e realizzato inpochissimi mesi. E, da quella pro-va, è nata l’idea di un gruppo diprotezione civile che gli intralci del-la burocrazia hanno solo ritardato

un po’ nella sua attuazione.Terremoto come costruttore di fu-turo, dunque, per chi legge la storiae non ne dimentica le lezioni. Oggi,trent’anni dopo, stiamo vivendo untempo meraviglioso e complesso.Grandi trasformazioni attraversanotutti i campi della nostra vita perso-nale e sociale (globalizzazione eco-nomica, comunicazioni telemati-che, società multiculturale e multi-religiosa, ecc.). Se sapremo co-struire la nostra identità personalee comunitaria sulle solide fonda-menta della fede dei nostri padri,legate insieme dal cemento dellasolidarietà, saremo in grado di vi-vere con serenità e coraggio anchequesto nostro tempo.

don Claudio Como

23I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

l nostro Comune

Una strada di Treppo Piccolo sottoposta a lavori di risistemazione.

Le normative citate non si limitava-no a regolamentare e finanziare sologli interventi di ripristino e ricostru-zione di beni danneggiati o distruttidal sisma, ma erano state pensateper promuovere una grande rinasci-ta, indicando come fondamentaleobiettivo da perseguire lo sviluppo,inteso in senso lato, di tutte le zonecolpite. Questa filosofia delle normespeciali fu ben interpretata dagli am-ministratori locali, specialmente nelsettore delle opere pubbliche, infattifurono finanziate e portate a terminemoltissime opere, in tutti i settori,che il comune realizzò gradualmenteconcretizzando un programma plu-riennale.

- Costruzione della nuova scuolamaterna, donata e realizzata dallaProvincia di Mantova

costo Euro 59.894,00

- riparazione e nuova costruzioneparziale della scuola elementare

costo Euro 222.268.00

- costruzione del centro sociale peranziani di Vendoglio, donato dal-la comunità di Chicago

costo Euro 47.458,00

- costruzione centro sociale per an-ziani, ambulatorio e sala riunionidel capoluogo

costo Euro 58.360,00

- ampliamento e ristrutturazionestatica dei due cimiteri

costo Euro 234.867,60

- ristrutturazione statica funzionaledella sede municipale

costo Euro 50.058,50

- ricostruzione di casa civile abita-zione di proprietà comprendentecinque appartamenti e bibliotecacomunale

costo Euro 379.679,60

- ricostruzione ex latteria di Car-vacco di proprietà comunalecomprendente un appartamentoe una sala riunioni

costo Euro 173.013,00

Nell’ambito dello smaltimento e de-purazione delle acque è stata in pra-tica costruita l’intera rete fognariaassieme a ben sette depuratori in cuiconfluiscono le acque di scarico diquasi tutto il territorio comunale(prima del sisma tutto questo erainesistente)

costo Euro 911.030,00

Nel settore della rete idrica sono sta-ti attuati numerosi interventi di so-stituzione e nuova installazione ditubature e infrastrutture che hannointeressato tutto il territorio comu-nale

costo Euro 341.378,00

La viabilità è stata sensibilmente mi-gliorata ed in questo ambito sonostati portati a termine importanti in-terventi di sistemazione e anche dirifacimento completo di strade intutte le località del Comune di Trep-po Grande

costo Euro 969.839,00

Anche nel settore della pubblica illu-minazione gli interventi sono statimassicci e tutto il territorio abitatoha beneficiato degli interventi

costo Euro 161.289,00

Si ristruttura il municipio.

Un momento di saluto tra i nostri anziani e i rappresentanti del Comune di Leno(BS), che offrirono loro un soggiorno a Borgio Verezzi, in provincia di Savona (archivio Enrico Ponta).

seguito da pag. 21

Infine la Regione ha stanziato i fondiper ricostruire una parte dei muri dicontenimento laterali di via Roma; ilavori sono stati appaltati di recentee saranno presto eseguiti

Costo Euro 190.000,00

Nella lettura dei costi riportati va te-nuto conto del valore di quelle cifretrasformate in lire italiane con il po-

tere di acquisto degli anni settanta eottanta. Si tratta quindi di un’operadi rinascita imponente che ha coin-volto per decenni amministratori,cittadini, tecnici e imprese che assie-me hanno perseguito e raggiuntoobiettivi che sono citati ad esempioin Italia e nel mondo.

L’assessore ai LL.PP.Francesco De Luca

Un maestro severo e prezioso

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Una “cjase di clap” del capoluogo e i danni subiti a causa del terremoto (si notiin particolare il tetto) (archivio Lisute Spizzo).

Si condividevano cortili ed edifici privati disponibili – qui è il caso di Vendoglio,nell’agosto del ’76 – persino per effettuare cerimonie religiose (foto Alvio Baldassi).

Nel tempo, una diversa cultura d

Sono trascorsi tre decenni daquando “l’orcolat” ha colpito ilFriuli centrale e questo eventocalamitoso ha inciso profonda-mente sul nostro modo di viveree di relazionarsi con l’ambientecircostante. Inoltre in questo pe-riodo alcuni cambiamenti ri-guardanti l’ambito sociale, chedi solito si evolvono attraversoun lento processo, hanno rice-vuto una notevole accelerazio-ne proprio in conseguenza dellesituazioni intervenute a seguitodel sisma. Nel suo complessoquanto è accaduto ha inciso sullametodologia di vivere delle per-sone e ci consente di cogliere al-cuni aspetti interessanti per unavalutazione tra la situazione at-tuale e quella che si presentavanel ’76. Probabilmente l’aspetto più evi-dente è dato dal rapporto con lospazio abitativo dove in alcunicasi parti consistenti di diversicentri abitati, che sono andati di-strutti, sono stati letteralmentetrasformati dalla ricostruzione.Questa situazione ha portato co-me effetto ad una rimozionequasi totale nella memoria sto-rica collettiva dei luoghi pree-sistenti che sono stati interessatidalle rimozioni dei fabbricati. Si-tuazione che non ha particolar-mente interessato Treppo Gran-de ed invece si era presentatasoprattutto nelle zone più colpitedal sisma.Comunque erano rimaste ancorasignificative presenze del princi-pale sistema edilizio preesistentecostituito dalla casa rurale, co-struzione tipica delle nostre loca-

lità. Questo esempio edilizio co-stituisce tuttora l’espressione diun sistema abitativo connesso aduna economia prevalentementeagricola, relazionato alle sueconsuetudini ed usanze e dalquale solo da poco tempo si sta-vano prendendo “le distanze”.L’alternativa a questa tipologiaabitativa era rappresentata (co-me tuttora) dalla casa unifami-liare o dalla villetta, tipica deglianni ’60/’70; soprattutto per chidesiderava risiedere in un am-biente funzionalmente più artico-lato e in un luogo più rappresen-tativo.Nel nostro contesto territoriale lacasa rurale rappresentava la ca-pacità dell’uomo di adattarsi inrelazione al territorio e di segna-lare la sua presenza attraversodelle realizzazioni che risponde-vano a delle necessità primarie esopratutto legate agli aspetti pra-tici a cui doveva essere destinatala costruzione, oltre a costituirela sedimentazione di una culturaacquisita dal passato.Queste costruzioni realizzate inmodo sapiente avevano affronta-to questa terra che veniva soven-te colpita da sismi distruttivi e piùrecentemente anche dalle tra-sformazioni intervenute attornoagli anni ’70 della metodologialavorativa nell’ambito agricolocon nuove colture e dal passag-gio allo sviluppo industriale, cheha inciso sulle forme e la funzio-ne iniziale a cui era destinata lacasa rurale. In questo contestoerano più che mai vivi il ruolodella famiglia, dell’esperienzada questa tramandata e di costi-

tuire un punto di riferimento.L’abitazione poteva essere an-cora il luogo in cui conviveva-no ben tre generazioni costitui-te solitamente dai genitori, i figlie i nonni; in questo modo sichiudeva un anello in cui loscambio tra la nuova e la vec-chia generazione aveva una re-lazione diretta.

Allo stesso modo erano vissutele interconnessioni tra lo spa-zio abitativo privato e quellopubblico; inteso, questo, sottol’aspetto delle relazioni socialiche avvenivano con la comunitàlocale. Dalla casa si passavaall’area contermine spesso costi-tuita dal cortile dove i rapportitra le persone avvenivano conuna condivisione giornaliera fattadi scambi e di corrispondenze di-rette.Inoltre questo tipo di relazione trale persone continuava nei luoghidi incontro pubblico quale lapiazza, la chiesa ed anche neilocali di ritrovo, con una condivi-sione comune e finalizzata delleesperienze e degli accadimenti;in questo modo si costituiva an-che un atteggiamento di ricono-scimento della propria collocazio-ne in seno alla società locale. Questo tipo di rapporti era facili-tato anche dalla conformazioneabitativa dei fabbricati e dallaloro collocazione nel territoriocon la tipica soluzione che se-gue l’andamento della retestradale principale, andando aformare una serie continua diedifici con le facciate contrappo-ste e con qualche varco di tanto

in tanto. In particolare dalla corti-na degli edifici si disponevanodei prolungamenti perpendicolar-mente alla strada, collocati inuna successione quasi periodicaa formare delle corti, solitamenteaperte e rivolte verso le aree orti-ve retrostanti. All’esterno dell’ag-glomerato urbano si presentanodelle edificazioni di tipo isolatocostituite anche da diversi nucleiabitativi che a volte hanno dannoluogo a dei raggruppamenti edili-zi complessi e di notevole dimen-sione.In generale la situazione del pa-trimonio edilizio prima del ’76 ri-chiedeva notevoli opere di manu-tenzione e pertanto si stavanoattuando degli interventi di ri-strutturazione sulle tipiche ca-se contadine, anche con l’inten-to di ricavare una maggiore fun-zionalità all’interno dell’abitazio-ne. La volontà era di trasformarlein fabbricati che riproducevanodelle soluzioni di tipo cittadino;attraverso delle modifiche pun-tuali ma di carattere sostanziale. A seguito del sisma la trasfor-mazione in corso, per quanto re-stava dell’impianto edilizio origi-nario, trova una sorta di inver-sione supportata in alcuni casianche dal punto di vista legislati-vo e dai piani di recupero deicentri abitati. Queste forme legi-slative hanno consentito di attua-re degli interventi conservativiche sono individuabili anche sulterritorio comunale e costituisco-no un patrimonio edilizio che fun-ge da esempio e testimonianza. A questo proposito segnalo gli in-terventi attuati con la legge L.R.

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30/76 (art. 8) di cui troviamo al-cuni esempi a Zeglianutto, costi-tuiti dalla Casa Ponta o Casa DeGiorgie che rappresentano unavariabile della tipologia della “ca-sa carnica”. Queste costruzionisono più curate e dotate di varipregi architettonici, rispetto allatipica casa rurale più semplice ecomunque sono rappresentativedi un diffuso sistema abitativoche in prevalenza si distribuiscesu di una pianta di forma rettan-golare e con una elevazione inaltezza su tre piani, di cui l’ultimodestinato a granaio.

La parte centrale della facciata ri-volta verso il cortile interno rien-tra per lasciare lo spazio ad unazona porticata al piano terra e auna loggia al piano superiore, co-stituite da una serie di archi a tut-to sesto o sesto ribassato. Di solito ai lati del porticato, op-pure da una sola parte, si prolun-gano perpendicolarmente dellebrevi ali destinate agli annessirustici. Come per la tipica casarurale ai vari piani le stanze sonodisposte in continuità, ma negliesempi citati l’affaccio delle fine-stre al piano terra è rivolto al por-tico, mentre dalla loggia del pia-no superiore si accede alle ca-mere.La scala è posta all’interno delfabbricato ma situata ai lati delportico e della loggia e collega incontinuità i vari livelli, sino al sot-totetto.Un altro importante esempio, nelcaso dell’edificazione sul frontestrada, è costituito dalla corte cuile abitazioni sono disposte conun lato verso la via e con dei pro-lungamenti verso il retro che van-no a racchiudere su tre o quattrolati un cortile, come la CorteMartinis a Zeglianutto. Pertan-to, per accedere al cortile internoè necessario attraversare il fron-te edilizio attraverso un vano (an-drone) o un corridoio che venivautilizzato anche per il passaggiodei carri o del bestiame. A questi esempi di conserva-zione si contrappongono i nu-merosi interventi di caratteresostitutivo della preesistentecasa rurale attuati dopo il si-sma quale soluzione alternativaall’intervento di ristrutturazione.In questo modo avveniva in ma-niera cruenta il processo di “di-sgregazione” edilizia rispetto al

modello del passato e comporta-va dei “vuoti” tra gli edifici posti“in allineamento” sul fronte stra-da.Inoltre il nuovo modello di casa,rappresentato dalla villetta iso-lata, si collocava in un ambitodelimitato e circoscritto; in questomodo si veniva ad accentuare laframmentazione e un effettivo di-stacco rispetto al sistema ediliziopreesistente, che consentiva uncontatto diretto attraverso deglispazi contermini e condivisibili.Allo stesso modo si assisteva adun cambiamento anche dellaconformazione del nucleo fa-miliare in cui il un numero deicomponenti si stava riducendorispetto al passato e quindi an-che l’uso degli spazi abitativi sistava adeguando per sopperirealle nuove esigenze di una mag-giore ricerca di intimità.Alcuni dati tratti dai censimentidella popolazione successivi al1976 sino al 2001 fanno vederecome i nuclei familiari che era-no composti da almeno sei

persone si sono molto ridotti,pensando che questi potevanorappresentare la famiglie con al-meno tre generazioni. Sono prin-cipalmente aumentate invece lefamiglie costituite da una almassimo due-tre persone, perun totale rispetto ai nuclei fami-l iari del 77%. Invece si sonomantenuti quasi stabili i nucleifamiliari costituiti da almenoquattro persone per una per-centuale pari al 15%.

La restante parte viene costituitadalla famiglia composta da cin-que-sei componenti, che in gene-rale sono di numero molto infe-riore (8%). Da rilevare che tra il 1991 e il2001 nel complesso sono au-mentate il numero delle famigliedel 7%, il che comporta circa 50nuovi nuclei che probabilmentesono anche da attribuire alle sin-gole persone.Tale andamento conferma lagenerale tendenza alla ricerca,da parte di una famiglia media, di

soluzioni degli spazi abitabili piùcontenuti, “cosa” che condizionail mercato edilizio a proporredelle soluzioni tipo il miniap-partamento o comunque dapoter essere utilizzate per dueo tre persone.Inoltre la scarsità di aree edifi-cabili sta spingendo l’imprendito-ria locale a fare degli investimentiche in precedenza erano attuatida dei privati ma soprattutto siassiste ad un riutilizzo delle co-struzioni poste nelle corti o ne-gli edifici di proprietà del nucleofamiliare di origine, situate nellaantica edificazione in linea. Que-sto anche per soluzioni dalle di-mensioni ridotte ed in corti comu-ni, mentre fino ad alcuni de-cenni indietro venivano rifiuta-te dal mercato edilizio, in quan-to soluzioni di ripiego rispetto allapossibilità di una edificazioneisolata e possibilmente in un lottodi proprietà.Una inversione di tendenza? For-se una riconsiderazione, ancheperché di questa situazione nonbeneficia un diverso e più direttomodo di relazionarsi a livello dirapporto sociale, che comun-que rimane basato sulla indivi-dualità costituita del nucleo fa-miliare. Oltretutto la casa è soloun punto di passaggio, una sortadi dormitorio. Il lavoro si svolgelontano dalla propria abitazione ela fruizione si limita alle ore not-turne.Pertanto sono sempre meno fre-quenti i casi in cui si trovano an-cora degli edifici rurali nelle con-dizioni originarie; per quelli anco-ra esistenti si presenta la neces-sità di un processo di adegua-mento alle attuali esigenze abita-tive, con interventi di risanamen-to o manutenzione. Gli esempi (attuati con l’art. 8)potrebbero costituire un utile rife-rimento affinché nel riutilizzo ditali edifici si possa tener contodelle principali caratteristiche diqueste costruzioni. Queste, seopportunamente evidenziate,possono apportare un valore ag-giunto che sommato agli attualicriteri di fruibilità, da applicaresenza dover recare degli stravol-gimenti, consente alla casa rura-le di rimanere una testimonianzache ci giunge dal passato.

Sandro De Luca

a dell’abitare e delle relazioni sociali

Nelle case contadine di una volta convivevano normalmente tre generazioni. E il“curtil” veniva condiviso da più famiglie. Dopo il sisma del ’76 le cose cambiaro-no (archivio Lisute Spizzo).

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26 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

6 Maggio ’76, attraverso gli occhidi un ex dodicenne

Avevo 11 anni e mezzo quando,trenta anni fa, il terribile sismasconquassò la parte alta del nostroFriuli, distruggendo case, fabbriche,chiese, paesi, recando morte e luttidolorosi in tante famiglie. Un ricor-do che è difficile cancellare e che èimportante non rimuovere e tra-smettere a chi non c’era o era trop-po piccolo per capire.È diventato luogo comune nel par-lare e ricordare le cose passate, usa-re come parametro temporale pro-prio il “prima” e il “dopo” terremo-to. Queste considerazioni penso sia-no condivise dai più, ma io perso-nalmente ho vissuto di rimandoquesti fatti, visto che abitavo a Ma-rano e la zona della Bassa in quellanotte ha sussultato, ha tremato, hasentito il rombo cupo che ha scon-volto l’alto Friuli, ma non ha subitodanni, solo grande paura e grandedolore.Il telefono non era tanto diffusonelle case e quella notte non funzio-nava. Dei cellulari neanche parlar-ne, non c’erano, e le notizie veniva-no raccolte dai radio amatori con ilCB, che hanno fatto da ponte, dacollegamento per poter capire e po-ter agire.Ricordo con angoscia, appoggiatosul davanzale di Franco – mio vici-no di casa appassionato radio ama-tore – il gracidio delle onde corteche dai trasmettitori ripetevano ildolore di tante persone. “Gemonaè rasa al suolo, non si contano imorti, Venzone è distrutta, Buja èin macerie”. Ma dove sono questiposti, questi paesi? Ma tutto questoè solo a 50 km da noi! Sembrava unincubo, un thriller, un racconto difantascienza. Come è possibile siaaccaduto tutto ciò! La terra, su cuicamminiamo, si è ribellata. Nella mente di un dodicenne tuttoquesto non sembrava la realtà, eraimpossibile credere a ciò che ascol-tavo, tutto si era fermato, i rumoridella quotidianità avevano perso laloro confusione, la notte sembravaancora più cupa, si aveva paura diritornare nelle case, si desideravastare insieme, nessuno voleva anda-re a dormire. C’era un altro ritor-nello che passava di bocca in boccaai grandi: “Che fare, che possiamofare, cosa si può fare per questagente?”.Il tempo ha risposto, è tutto quelloche vediamo del nostro Friuli rico-

struito, è il frutto dell’impegno, del-la solidarietà, della generosità ditutti.Ho un altro ricordo legato all’estate1976, quando Marano, su propostadel parroco e del cappellano, si èmobilitato ad accogliere i bambinidi Buja, accompagnati dalla maestraFiorella e da tante volontarie, nelvecchio asilo parrocchiale che eradiventato una colonia. Ogni fami-glia si occupava di un bambino perle cose che gli occorrevano, ma tuttiloro vivevano insieme in questo luo-go protetto, perché parlavano fraloro una lingua strana, e chi li capi-va?! Ogni sera, dopo cena, c’eral’appuntamento dei giochi e il corti-le dell’ex asilo si riempiva di grandie di piccoli, ci si trovava per stareinsieme, per fare amicizia. Il legame che si è creato fra le no-stre famiglie e quelle dei bambini“adottati” è continuato nel tempo eha permesso un’amicizia che conti-nua tutt’ora.L’anno successivo, con la mia fami-glia siamo stati invitati a Buja. Ioavevo visto dalla televisione e dallefoto dei giornali il disastro, ma nonimmaginavo assolutamente che larealtà fosse completamente diversa.Arrivati a Santo Stefano la situazio-ne era allucinante. Tutto era di-strutto. La gente viveva nelle tende,in container o in vagoni di treni.Come era possibile?! La scena haprodotto in me uno sconvolgimen-to emotivo tale che per due giornisono rimasto a letto con la febbrealtissima. Povera gente.Dopo anni la Divina Provvidenzami ha portato ad iniziare proprio ilmio ministero sacerdotale a Gemo-na, ormai quasi totalmente rico-struita. Era il 1988, le persone abi-tavano nelle case e il terremoto eraormai un ricordo, ma ciò che è statoè impossibile dimenticare. Tantiaiuti, tanti volontari, tanti scono-sciuti che sono diventati amici, fra-telli, che per anni hanno dedicato leloro ferie, il loro tempo per solleva-re il Friuli ferito. Non si può di-menticare, non si deve dimenticareciò che è stato.La solidarietà, la condivisione,l’amicizia, la disponibilità di tempo,sono valori attuali e condivisibilitutt’ora, da riscoprire e valorizzare.Sono questi che hanno permesso al nostro Friuli di risorgere, di rivi-vere.

È stata una grandissima scuola divita che ha segnato la nostra vita.Dieci anni fa sono arrivato a Trep-po Grande, come parroco, per con-dividere con voi un cammino im-portante che consiste nel continuaread andare avanti senza dimenticare.Ho trovato un paese ricostruito, al-cune cose da completare, altre sucui intervenire, che i predecessoriavevano lasciato da fare, riguardantile chiese e altre cose delle parroc-chie, che ho cercato in questi annidi finire. Ho ritrovato la maestraFiorella.Che cosa mi ha insegnato tutto que-sto?Saper ricostruire dalle macerie per-ché c’è un tempo per piangere, mac’è anche un tempo per sorridere,c’è stato un tempo che ha distruttoe c’è stato un tempo che ha rico-struito, un tempo per disperarsi e

un tempo per sperare. Ora è il tem-po per sperare e per costruire, nonle case, ma famiglie e comunitànuove che siano capaci di dare oggi,nel 2006, un segno nuovo di spe-ranza concreta.Come ricordava Monsignor AlfredoBattisti, già Arcivescovo della no-stra Diocesi, al ventennale del terre-moto “ora che abbiamo ricostruitocase dignitose e vivibili, con il lorogiardino e recinto, pensiamo a nonchiudere e recintare il nostro cuoreall’accoglienza dell’altro. Ci sononuove povertà ed emergenze da af-frontare, le sfide dei tempi nuovi cirendano capaci di agire per il benecomune senza personalismi o cam-panilismi.Friûl, riscuvierç lis stos lidriis”.

Don Cristiano Samuele ZentilinParroco

Buja, un paese distrutto.

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27I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Cultura friulana e terremoto

Sono passati come un soffio i tredecenni che ci separano da quel-l'evento catastrofico che si ab-batté sul Friuli nel maggio 1976 ediede il suo colpo di coda nel set-tembre dello stesso anno. Rima-sero coinvolte nel cataclisma tel-lurico soprattutto la fascia preal-pina e pedemontana e le areecollinari al di qua e al di là del Ta-gliamento. Altre zone vennero in-teressate in qualche tratto a Norde a Sud di questa cintura, ma in

misura meno drammatica. Spe-riamo che sia l'ultimo terremoto,ma la Storia della nostra regioneprova fin dai tempi antichi la si-smicità del Friuli, attraversatodalla faglia periadriatica e adriati-ca.Udine iniziò la sua ascesa ametà del XIII secolo con il Pa-triarca Pertoldo che vi era ripara-to in seguito al terremoto cheaveva sconvolto Cividale, doverisiedeva dall'età longobarda l'au-torità patriarcale.Nel Cinquecento un terremoto di-strusse in gran parte la stessaUdine, che perse l'antico castel-lo. Sono due esempi che hannoavuto successori fino al 1976. LaStoria dovrebbe essere la mae-stra della vita (Magistra vitae) main realtà, spesso e volentieri, noninsegna nulla.La violenza del sisma ha fattopiazza pulita di abitazioni fati-scenti, di edifici, anche recenti,costruiti senza criteri antisismici,di manufatti antichi che esigeva-no manutenzione e restauro. Hapagato la popolazione con unmigliaio di vittime. Altre vittimevennero causate dal trauma su-bito e dalla fragilità psicologica,ma esulano dal conto dell'impat-to immediato. Lo sconvolgimen-to tellurico divenne anche scon-volgimento degli uomini. In ge-nere i nervi rimasero saldi. Lareazione fu positiva. L'emergen-za venne gestita con impegno. Isoccorsi arrivarono da ogni par-

te del Mondo. Nel mara-sma scattarono meccani-smi egoistici propri di ognitragedia umana. Quindivenne la ricostruzione,che appare praticamentecompletata. I Friulani delresto sono da secoli abi-tuati a invasioni, guerre,distruzioni, saccheggi, ca-restie e hanno imparato areagire con tenacia e pa-zienza. Ci si chiede oggise è stato il terremoto asvegliare il senso di iden-tità culturale del popolofriulano e la volontà diriappropriarsi delle sueradici originarie.Rispondo negativamente,sebbene ne sia venuto uncontributo di consapevo-lezza. Tutto il primo No-vecento e in particolare ilsecondo dopoguerra han-no operato per una co-scienza culturale e identi-taria delle genti friulane.Pagine Friulane, Filologi-ca, Academiuta di Ciasar-sa, Risultive, Scuele Liba-re Furlane, Cjarande e legrandi sagre della villotta,della canzone friulanamoderna, del canto sacro sonoanteriori al terremoto. Il catechi-smo del Bellarmino in friulano èdel Settecento.Abbiamo sotto gli occhi le variestorie del Friuli del Paschini e delLeicht e di Menis, di Londero e diEllero. La lettera del clero ai rap-presentanti politici e la battagliaper l'università di Udine eranorealtà attuali. Sono questi solo

accenni di un mondo in crescita."I Saggi Ladini" dell'Ascoli sul-l'autonomia linguistica del friula-no e la sua appartenenza algruppo ladino sono della secon-da metà dell'Ottocento. Nelle in-certezze del futuro e nello smarri-mento del presente tutti i punti diriferimento di questa cultura han-no fatto da sponda e si sono tra-mutati in ulteriore forza morale.Anche i Friulani che non si rico-noscevano più come tali di fronteall'affluire di migliaia di personeitaliane e straniere per soccorsi,aiuti e gemellaggi di solidarietàcivica e parrocchiale si sono vistisufficientemente diversi nel con-fronto.Lingua, caratteri, tradizioni, fol-clore collimavano e non collima-vano con quelli degli altri. Ma pu-re gli altri si accorsero che i Friu-lani erano un popolo ben precisonel concerto della famiglia nazio-nale ital iana ed europea. Lastampa ed i mezzi di comunica-zione di massa hanno fatto il re-sto. E questo è il dato positivo.Un altro riscontro a favore è sta-

to il risveglio delle friula-nità nei centri urbani ve-netizzati in buona e gran-de parte. Attualmente os-serviamo che la spintaculturale si è trasformatain una tensione stimolantein alcuni e si è arenata inaltri.Quello che può preoccu-pare è l'intervento buro-cratico e statalista nellacultura e nella lingua, rigi-do e larvatamente repres-sivo della Regione.Stiamo pure attenti al mi-cronazionalismo e al mi-crorazzismo friulano dicerti groppuscoli integrali-sti, della friulanità politiciz-zata.Inventare una correlazio-ne tra lingua e costituzio-ne fisica e mentale nelsenso strutturale di unaspecie umana friulana ase stante è una autenticaaberrazione storica escientifica. Come personaumana respingo ferma-mente questo pseudo edeteriore friulanismo. IFriulani possono atrent'anni dal sisma esse-

re orgogliosi come tutti i popoli,quando superano i momenti criti-ci e difficili della loro storia, senzavanterie inutili come senza sensidi inferiorità di fronte a nessuno.Aiuti e soccorsi ci hanno dato intempi di divisioni, guerre e guerri-glie, di intolleranze d'ogni gene-re, il senso della fratellanza edella solidarietà umana. In tuttele disgrazie, guerre e calamitàspuntano gli approfittatori, ma ilfenomeno in Friuli è stato conte-nuto, se non marginale, e incon-sistente. Le amplificazioni scan-dalistiche si sono sgonfiate subi-to. Il Friuli è il Friuli. La battaglia dell'esistenza e dellosviluppo continua a ricostruzioneavvenuta. Siamo informati di vi-vere in una terra che ci ha dato inatali e che amiamo, ma che puòdiventare matrigna e precaria.Senza angoscia alcuna, liberi daogni ansia, potenziamo forme emezzi di vita in costante vigilan-za. Sapremo sempre dare una ri-sposta.

Domenico Zannier

“Aiuti e soccorsi ci hanno dato in tempi di divisioni, guerre

e guerriglie, di intolleranze d'ognigenere, il senso della fratellanza

e della solidarietà umana”

“Anche i Friulani che non si riconoscevano più come tali di fronte all'affluire di migliaia

di persone italiane e straniere persoccorsi, aiuti e gemellaggi

di solidarietà civica e parrocchialesi sono visti sufficientemente diversi nel confronto. Lingua, caratteri, tradizioni, folclore

collimavano e non collimavano con quelli degli altri. Ma pure

gli altri si accorsero che i Friulanierano un popolo ben preciso nel concerto della famiglia

nazionale italiana ed europea”

Specola del castello di Udine, danneggiata dal sismadel ’76. Già nel ’500 il maniero era stato “vittima” delterremoto.

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28 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Mamma, papà, raccontatemi d

Ringraziamo i bambini, assieme al-le loro insegnanti, per i preziosiracconti scritti. L’intento di questa pubblicazione,infatti, è anche quello di rendereconsapevoli i più giovani della por-tata di quell’evento catastroficoper il Friuli, dei sacrifici che le per-sone furono costrette a sostenere,del grande spirito di collaborazio-ne che fiorì tra gran parte della po-polazione e, soprattutto, della ma-gnifica solidarietà dimostrataci datutto il mondo attraverso numerosiaiuti. Un messaggio importante danon dimenticare. Per essere prontia dare e ricevere anche in futuro.

Il 6 maggio di 30 anni fa alle 9 di se-ra un grande boato e un forte tremo-re ha interrotto la tranquilla serata:era il terremoto.Mia mamma era bambina, ma si ri-corda bene l’evento.Tutta la gente, spaventata, era uscitadalle case. Fortunatamente nella suafrazione non ci sono stati morti, mamolte case erano inagibili e qualcunaaddirittura distrutta.Tutta la gente, riversatasi in strada,piangeva disperata e aveva una gran-de paura che la terra ritornasse a tre-mare.Lei con la sua famiglia (i miei zii e imiei nonni), come molte altre fami-glie, hanno dormito nelle automobilinei campi come i grilli, solo che inquella sera di maggio invece dei can-ti dei grilli si sentivano in lontananzale sirene delle ambulanze.

Antonella Gregorutti

Racconta la mammaIl 6 maggio, alle 9 di sera, mia mam-ma era già a dormire.Lei e la zia Piera stavano ancora par-lando nel letto, quando hanno senti-to un forte rumore e uno strano mo-vimento.All’inizio non avevano capito che sitrattava di una grande scossa di ter-remoto e quando l’armadio gli caddeaddosso si spaventarono molto. Fini-ta la scossa il nonno e la nonna, chenel frattempo erano corsi fuori, an-darono a vedere se la zia e la mam-ma stavano bene.Le presero in braccio e le portaronofuori visto che la casa era molto peri-colante.In giro c’erano solo macerie.La nonna portò mia mamma in unacasa, per farla medicare, perché eraferita alla testa.

La prima notte la passarono in mac-china in un orto.Nei giorni che seguirono arrivaronogli aiuti con tende e cibo.Durante l’estate rimasero nella ten-dopoli e con il primo freddo venne-ro sistemati nelle roulot, dove tra-scorsero il primo inverno.Con l’arrivo della primavera vennerocostruite le baraccopoli.Finalmente il nonno e la nonna riu-scirono a ricostruire una casa nuova,visto che la vecchia era stata comple-tamente demolita.La mamma aveva nove anni e ha unbrutto ricordo di quella tragica sera-ta, che, per fortuna, non ha fatto vit-time nella nostra famiglia.

Alexa Floreani

Il giorno 6 maggio 1976, alla sera, al-le ore 21.06 circa, si è verificato nellanostra regione un catastrofico terre-moto. Anche Treppo era tra i paesicolpiti da questo terribile movimen-to della Terra, durato alcuni minuti.La nostra casa, in quel periodo abi-tata solo durante le vacanze estive,ha subito notevoli danni. Il tetto eraquasi crollato, i muri portanti esterniavevano grosse crepe, le pareti inter-ne che dividevano una stanza dall’al-tra erano cadute o segnate da evi-denti fessure.Anche le scale, i soffitti e i pavimenti

di legno erano rovinati. Numerosealtre abitazioni di Treppo e la chiesaerano molto danneggiate (la chiesaparrocchiale non aveva più il soffit-to: travi ed intonaco erano cadutiall’interno).Gli abitanti del paese, che per sicu-rezza non potevano entrare in casa,per un lungo periodo di tempo han-no vissuto nelle tende, messe a di-sposizione da persone venute in aiu-to ai terremotati, anche da altre re-gioni d’Italia: i volontari.I gruppi di tende, innalzate in variezone del Comune, formavano veri epropri piccoli villaggi: le tendopoli.C’erano le tende con la cucina, letende con le brande per dormire, letende con l’infermeria e persino letende con la chiesa e la scuola.Durante l’estate del 1976, le case delpaese, danneggiate dal terremoto,sono state controllate da tecniciesperti in costruzioni (ingegneri, ar-chitetti, …).Sui muri di quelle che potevano es-sere riparate, si scriveva con la verni-ce rossa “SÌ” e su quelle che pur-troppo dovevano essere demolite siscriveva “NO”.La nostra casa è stata proprio fortu-nata: nel corso degli anni successivial 1976, anno del terremoto, è statariparata e, con grande soddisfazionedel nonno Dino Bernardinis, è oraabitata dalla mia famiglia.

La sera del 6 maggio, durante lascossa di terremoto, le case “trema-vano”, i lampadari dondolavano, lestoviglie (piatti, bicchieri, …) cade-vano dalle credenze…Si udiva un tremendo boato. Tutti,molto spaventati, si sono precipitatiall’aperto. È mancata la luce e le li-nee telefoniche erano interrotte.Le persone piangevano per lo spa-vento o correvano di qua e di là peravere notizie di parenti e amici.Quasi tutti, durante la notte, hannodormito in automobile, mentre già sisentivano le sirene di ambulanze edei mezzi dei Vigili del Fuoco che sidirigevano verso i paesi del Friulipiù colpiti dalla catastrofe: Gemona,Osoppo, Artegna, Venzone…

Domenico Ariis

Il 6 maggio 1976, alle 9 di sera, laterra ha cominciato a tremare e perquasi un minuto non si è fermata.C’è stato un terremoto così forte elungo, che ha provocato la distruzio-ne di interi paesi e quasi 1000 perso-ne sono morte a causa di questo.Dopo la prima scossa di terremoto,ci sono state altre scosse per moltigiorni, che hanno reso quasi tutte lecase inabitabili ed hanno aumentatola paura.Sono sorte tantissime tendopoli, an-che grazie alla solidarietà di tutto il

Disegno di Elia Micoli.

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29I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

i del terremoto!mondo; la popolazione aveva un po-sto dove dormire.In settembre, il giorno 15, un’altrascossa di terremoto, ha finito di di-struggere quel poco che restava e, vi-sto l’avvicinarsi dell’inverno ed in at-tesa delle baracche, quasi tutti passa-rono diversi mesi a Lignano e Gra-do.Con l’arrivo della primavera, nel1977 tutti rientrarono nei loro paesiper iniziare la opera di ricostruzioneche durò tantissimi anni.

Mirco Floreani

La mia mamma aveva 5 anni e si ri-corda bene di quella sera: “Eravamonel cortile a casa di amici quando unboato e poi una scossa ci hanno spa-ventati.Mentre correvamo le galline rotola-vano nei miei piedi tanto che avevoperso anche le scarpe, sembrava chela scossa non finisse mai”.La sera, molto spaventati, hannodormito in macchina.Il giorno dopo hanno visto quantidanni avevano le case.

Alessandro Rugo

Il 6 maggio del 1976 era una giorna-ta molto calda. Quella sera la genteera nelle case a cenare e c’era chi sitrovava per le strade.Verso le ore 21 si sentì un forte boa-to e la terra cominciò a tremare esaltare; la gente con la paura delcuore cominciò a scappare fuori dal-le case inconsciamente, ma molti ri-masero sotto le proprie case checrollavano per la forte scossa di ter-remoto che era sussultorio e ondula-torio: furono 56 secondi intermina-bili. Poi il silenzio e il buio, la genteche urlava; si iniziò a togliere le per-sone da sotto le macerie; le scossecontinuarono per tutta la notte manon forti, avevamo perso tutto. Ipaesi erano vecchi così il danno e imorti furono molti.È un’esperienza e tragedia che nondimenticheremo mai.

Elizaveta Marchukova

La nonna Giuliana mi ha raccontatoche il 6 maggio del 1976 a TreppoGrande, come in tanti altri paesi, èvenuto il terremoto. Erano circa le 9 di sera e lei stava sti-rando. Ad un certo punto ha sentitouna cosa sotto i piedi, ma lei non sa-peva cosa fosse. La sua mamma in-vece ha cominciato a gridare di usci-re, che era il terremoto. Quando erafuori c’è stato un grande rumore, lascossa era forte e lunga, le case si

muovevano tutte, gli scuretti si apri-vano e chiudevano da soli, il cieloera rosso, come il fuoco, tanta genteera fuori e tutti avevano paura. Poi sisono iniziate a sentire tante sirene edè arrivato il Sindaco a vedere comesi stava e a portare notizie dei tantimorti e crolli nei paesi vicini. Quellanotte tutti hanno dormito fuori e laterra ha continuato a tremare. L’in-domani ci si è raggruppati per fami-glie vicine per decidere cosa fare.Gli uomini hanno costruito un gran-de tendone di plastica, si è presodalle case ciò che serviva e tutti dor-mivano per terra, e invece i bambinie gli anziani nelle macchine. Si cuci-nava e mangiava anche all’aperto,perché tutti avevano ancora paura. Ilnostro paese è stato fortunato per-ché sono crollate solo pochissime ca-se, le altre avevano solo tante crepe equalche danno e non ci sono statimorti. Ancora adesso la nonna quan-do sente una piccola scossa inizia aurlare e scappa fuori.

Marco Della Mea

Il papà mi ha raccontato che la seradel 6 maggio alle ore 21 circa era se-duto a tavola con i suoi genitori esua sorella, avevano terminato di ce-nare e guardavano la televisione.All’improvviso la tavola si è mossa emio papà si è piegato per rimprove-rare il cane, che di solito stava sottola tavola, ma il cane non c’era. Dinuovo all’improvviso ritornò a tre-mare e a sollevare tutto: la tavola, imobili, le sedie e le persone, cosìforte che non stavano in piedi. Ilpapà con i suoi genitori e sua sorellaall’improvviso si trovarono senza lu-ce, al buio e in mezzo al cortile. Ilpapà era piccolo e ha avuto moltapaura.

Thomas Bevilacqua

La sera del 6 maggio mentre i mieigenitori stavano cenando nella lorocasa di Collalto hanno sentito im-provvisamente un forte boato e unaforte scossa. Non avendo mai sentito una cosacosì, non si erano subito resi contoche quello era il terremoto.Sono fuggiti di corsa fuori casa ehanno assistito ad uno scenario or-rendo: gente che gridava, tetti chefranavano e case che oscillavano, manon essendosi feriti hanno subitopensato di raggiungere i loro genito-ri che però abitavano a Treppo.Il tragitto Collalto-Treppo è statolungo e penoso, da una parte perchési temeva il peggio non sapendo i

danni che erano stati provocati nelComune di Treppo e dall’altra per-ché in poco tempo si era fatto buio enelle strade di paese non si passava acausa di cumuli di calcinacci e tego-le. Arrivati nella casa dei nonni aTreppo, per fortuna tutti stavanobene, ma le case erano rovinate. Lanotte l’hanno trascorsa assieme aimiei nonni ed è passata molto lenta-mente perché la luce non c’era, il te-lefono non funzionava, le ambulanzepassavano continuamente e si senti-vano di tanto in tanto scosse di asse-stamento e i singhiozzi della genteche all’alba sfociarono in pianti,quando cominciò a rendersi contodei danni e dei feriti.È stato l’inizio di un incubo soprat-tutto per quelli che hanno visto stri-tolare in un momento i sacrifici diuna vita e poi continuò nel momentoche si doveva calcolare i danni e rim-boccarsi le maniche per sistemare ericostruire.La mamma e il papà mi dicono sem-pre che non si dimenticheranno maidi aver visto un grande bagliore nel-le montagne, simile al fuoco.Speriamo che non succeda più…

Alexia Gori

La sera del sei maggio 1976: quellasera i nonni, con mio papà, eranoandati a trovare un parente in ospe-dale a Pordenone.Al loro rientro, verso le nove di sera,hanno notato tegole sull’asfalto e adun certo punto, la strada statale cheda San Daniele porta a Majano erachiusa perché alcune case eranocrollate.Molte erano le persone riversatesisulle strade e nelle piazze e in aperta

campagna.Cresceva quindi la preoccupazionedi quello che era successo alla pro-pria casa di Vendoglio.Dopo varie peripezie, per strade se-condarie, sono arrivati a Treppo, do-ve per fortuna le case erano solodanneggiate e non c’erano vittime.Il papà racconta che in quel giornodi maggio, particolarmente caldo, glianimali avevano manifestato segni diinsofferenza, in quanto particolar-mente agitati.Molti chiedevano aiuto ai passanti,perché i loro cari erano sepolti dallemacerie.

Nicolas Moretti

Era giovedì 6 maggio 1976 e il miopapà stava facendo i compiti, sentìche la sedia tremava.Il mio papà si spaventò e corse fuorida casa con il mio nonno, ma, quan-do arrivarono nella strada, ci fu unascossa molto forte.Il papà non capiva cosa stava succe-dendo poi sentì tutti gridare e ungrande rumore.La mia nonna e la zia erano nella ca-mera e non riuscivano ad uscire, laporta non si apriva. Il nonno gridòche era il terremoto, il papà si ricor-da di aver visto ondeggiare le case, egli alberi si piegavano sempre di più,sembrava che toccassero la strada,anche la strada si muoveva.Finita la scossa di terremoto si sentìun grande silenzio e tutta la notte sisentivano le sirene delle autoambu-lanze che soccorrevano i feriti.Anche la casa del papà era rovinatae le notti tutti dormivano fuori, o inmacchina, o nelle tende, facevafreddo.

LE TESTIMONIANZE RACCOLTE PRESSO GENITORI E NONNI DAGLI ALUNNI DELLA SCUOLA PRIMARIA DI TREPPO GRANDE

Disegno di Luca Molinaro.

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30 I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

Ci furono tanti morti sotto le mace-rie delle case distrutte, il mio papàmi spiega sempre che nel caso ci fos-se un altro terremoto conviene met-termi sotto le porte, o sotto il tavolo.

Luca Menis

Io descrivo il terremoto del 6 mag-gio 1976 attraverso le parole dei mieinonni. I nonni si trovavano a casacon due bambini, erano le 21 circa, ec’è stata la prima scossa. Non si po-teva uscire di casa, perché i comi-gnoli e le tegole cadevano.Allora il nonno ha deciso di uscirefacendo molta attenzione, ha presola macchina e l’ha portata lontana dacasa, in modo che la madre e il bam-bino minore potessero dormire inmacchina; nel giorno stesso il figliomaggiore e il padre sono partiti perMilano. Quando sono tornati hannodormito per 15 giorni nel camion,poi, pian piano, hanno costruito unabaracca nella quale affrontare l’in-verno, perché la casa era andata inrudere. Per fortuna tutti non si sonofatti male! Con il tempo hanno rico-struito la casa, ma è costata tanta fa-tica e tanto dolore.

Carla Della Vedova

Il 6 maggio 1976, 30 anni fa, è avve-nuto un fatto sconvolgente, qui inFriuli, c’è stata una forte scossa diterremoto. Tutti gli uomini avevanoperso le loro case, che erano andatetutte distrutte e tutti avevano ungran terrore. Il comune che ha subi-to più danni e più morti è stato Ge-mona, dato che si trova tra le monta-gne. Gli uomini si erano ritrovatitutti uguali, molti di loro avevanoperso persone a loro care. Bisognaringraziare molti paesi di tutto ilmondo, che ci hanno aiutati, ma so-prattutto l’America, che ci hannoaiutato a ricostruire le case e ci han-no portato il cibo, per sfamare ibambini e persone. Quest’anno è iltrentennale e si ricorda in modo piùprofondo questo avvenimento cheha sconvolto la vita di molte perso-ne, e anche del Friuli stesso.

Ilenia Spizzo

Ho intervistato la mia nonna sul ter-remoto del 1976 in Friuli. La nonna inizia così il suo racconto:“La sera del 6 maggio 1976, alle ore21.01 minuti, ero in salotto quandola terra ha iniziato a tremare. Il pavimento si alzava e si abbassava,ho cominciato ad aver paura e sonoandata in cameretta, ho abbracciatole mie bambine Chiara e Monica. Ilterremoto è durato un minuto. La porta era bloccata e siamo uscitidalla finestra. Era buio e mancava laluce e tutte le persone radunate ingiardino erano impaurite e si chiede-vano cosa fosse successo. Quella se-ra ci sono state tantissime scosse enessuno ha dormito. Le bambinehanno dormito in macchina. Cercando di avere notizie attraverso

una radiolina portatile o attraversopersone che avessero notizie più ap-profondite, ho saputo che interi pae-si erano stati distrutti e tante perso-ne erano morte.Il terremoto aveva colpito gran partedella regione Friuli. Per alcuni giorniho avuto paura che il terremoto ri-tornasse”.

Nicola Petri

Mia mamma mi racconta che…Il sei maggio 1976, alle ore 21.02, inFriuli c’è stato il terremoto. Quellasera mia mamma stava cenando conla sua famiglia, quando c’è stata laprima scossa: lei non s’è mossa, maalla seconda scossa è saltata la luce emia mamma ha preso la coda del ca-ne, che l’ha portata fuori fino agliscalini. Mia mamma ha percorso trevolte gli scalini, perché faceva unpasso in avanti e due indietro, poi ilnonno le ha detto: “Vai sotto il fur-gone!”. Alla fine mia mamma haguardato il cielo ed era nero, dipintodi rosso. Mia mamma non vorrebberivivere questo terremoto.

Luca Floreani

Mia nonna oggi mi ha raccontato co-sa è successo durante il terremotodel 1976: erano le nove di sera, leiera con mia mamma e con mio zio,quando hanno sentito la prima scos-sa di terremoto, è stato un momentoterribile! Hanno dovuto dormiresull’auto, perché la casa era tutta

rotta. Sono arrivati gli zii da Tricesi-mo con loro figlia Anna, che avevatre anni. Il giorno dopo mia nonna ha dettoloro: “Andate a Buia a vedere comestanno i parenti, che là c’è stata unascossa più forte”. Poi mia nonna egli altri hanno dovuto dormire nelletende portate dai militari, al camposportivo, ma mentre piazzavano letende mia nonna e gli altri dormiro-no nell’auto per una o più settimane.L’undici settembre ci fu un’altrascossa molto forte; in quei giorni miamamma era a dormire a Tricesimo emia nonna in una tenda, nell’orto dizio Augusto (fornita dai militari); so-no stati molto generosi i volontari adaiutare tutte quelle persone!

Luca Molinaro

Mia mamma ha detto che al momen-to della scossa il mio nonno le stavaraccontando una favola e sentivanoil letto e le tapparelle muoversi. Do-po il terremoto mio nonno era moltopreoccupato, perché suo fratello En-zo si trovava a Gemona, che era lacittadina più colpita dal terremoto.A Gemona infatti erano rimaste inpiedi solo 2 case, quella di mio zio euna casa appena ristrutturata.Lo zio era andato da Osoppo a piedifino ad Arta, perché là c’erano suamoglie e suo figlio e pensava che fos-sero morti. Per lui è stata un’espe-rienza terribile.

Pietro FilacordaDisegno di Luca Floreani.

SEGUONO LE TESTIMONIANZE RACCOLTE PRESSO GENITORI E NONNI DAGLI ALUNNI DELLA SCUOLA PRIMARIA DI TREPPO GRANDE

Disegno di Federico Spizzo.

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31I L C O M U N E D I T R E P P O G R A N D E

LE POESIE DI GUERRINO

SI PUBBLICANO ALCUNE RIFLESSIONI E UNA POESIA DI GUERRINO FLOREANI ISPIRATEAL SISMA DEL ’76, TRATTE DAL VOLUME “BON DÌ FRIÛL”, EDITO DAL COMUNE DITREPPO GRANDE NELL’APRILE 2004.

Il terremoto “Che terribile momento quello del terremoto del 1976. Mi avvertì del grave evento ac-caduto nella mia terra un amico che mi telefonò sollecitandomi ad accendere la radio.Seppi così cos’era accaduto nella regione, ma solo più tardi ebbi le informazioni piùdettagliate riguardanti anche Vendoglio e l’intero comune di Treppo Grande, oltre chei comuni vicini.Al Fogolâr Furlan ci interrogammo subito sul da farsi e partì immediatamente una sot-toscrizione.Più tardi decidemmo come utilizzare i fondi raccolti: è nato così, a Vendoglio, il Centrosociale dedicato a Chicago. All’epoca del terremoto non scrivevo ancora poesie.Molti anni dopo ne ho scritte un paio, legate non tanto alla sciagura, ma al modo in cuii miei compaesani l’hanno superata, con il recupero della chiesa e del campanile”.

Sullo sfondo, la chiesa e il campanile di Vendoglio sottoposti a lavori di ristrutturazione (1988).

EL TÔR DI VENDÔI

O tôr dal nestri paîstestemonide nestre storietestemoni des nestris lidrîs.

Còntimi tualc dal passât,còntimi dutchel cal è stât.

Dut lé passât sot dai toi voi…Vidût a nasci, vidût a murî,cambiade la intvidût a sufrî.

Vidûdis vueris,taramòs e invasions,le nestre tierea cambiâ parons.

Tu tu sês stâtel pui furtunât:el taramòtti à nome tocjât.

Tu sês restât vèdul,vecjio e malât,cence cjampanise un pôc scuancassât.

No son stadis mortâlles tôs feridis,cjatât un bon miedison dutis vuaridis.

Mitût su le schenedi gnûf les cjampanische dìsin ae intche lôr son tornadis

e insieme cun tee cjalin atôre scampanotin a fiestesul vecjo lôr tôr.

Inaugurazione del centrosociale Chicago di Vendo-glio, sorto – dove primac’erano le scuole elemen-tari – grazie ai fondi inviatidagli Stati Uniti dagli emi-granti della frazione. Fraquesti, Guerrino Floreani(sotto il fiocco tricolore;archivio Enrico Ponta).

Reg. Trib. Ud 22/87

Direttore responsabileGiordano Menis

Redazione numero specialeManuela Celotti Francesco De Luca Martino Di Giusto Jacqueline Ermacora Cristina MenisMauro Moretti

Comitato di redazioneSandro De LucaLucina DorigoElena PiccoliPaola PontaRoberto Ponta

Comitato GarantiManuela CelottiJacqueline ErmacoraFlora MastandreaMonia BassoMarco Zanini

Il Comune di Treppo Grande Segretaria di redazioneChiara Monsutti

GraficaGiulietta Aita

Foto

Archivio Comune di Treppo Grande, Archivio Luigino Della Vedova, Archivio EnricoPonta, Archivio Licia Ponta, Archivio Giacomino Simeoni; Alvio Baldassi, don Claudio Como, Agostino Moretti,Lisute Spizzo, Turrin.

Hanno collaborato a questo numero

Alunni e maestre della Scuola Primaria di Treppo Grande, don Claudio Como, Sandro De Luca, Lucina Dorigo, Rino Ermacora, Guerrino Floreani, Flora Mastandrea, Umberto Minutti, Pierino Molinaro, Enrico Ponta, Roberto Ponta, Giuseppe Scagnetti, Domenico Zannier, don Samuele Zentilin.

Realizzazione grafica e stampaSucc. Menini / Spilimbergo

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