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40 1 DIOCESI DI REGGIO EMILIA - GUASTALLA I BAMBINI SULLA VIA DELLA FEDE SCHEDE PER L’EDUCAZIONE RELIGIOSA NELLA PRIMA INFANZIA Da 3 a 5 ANNI

I BAMBINI SULLA VIA DELLA FEDE - WebDiocesi · I BAMBINI SULLA VIA DELLA FEDE SCHEDE PER L’EDUCAZIONE RELIGIOSA NELLA PRIMA INFANZIA Da 3 a 5 ANNI . 2 39 INDICE 8. Benedizione della

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DIOCESI DI REGGIO EMILIA - GUASTALLA

I BAMBINI SULLA VIA

DELLA FEDE

SCHEDE

PER

L’EDUCAZIONE

RELIGIOSA

NELLA

PRIMA INFANZIA

Da 3 a 5 ANNI

2 39

INDICE 8. Benedizione della tavola pag. 3

9. Premesse all’educazione morale pag. 10

10. Gesù Buon Pastore pag. 19

11. Vivere la Pasqua pag. 26

12. Prime visite in Chiesa pag. 33

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8. La Benedizione della Tavola La svolta dei due anni Quando il bambino arriva - o sta per arrivare - ai due anni, è pronto ad una svolta, ad una forte accelerazione dei suoi processi di crescita. Una crescita che non riguarderà tanto il fisico (il cui sviluppo prosegue intenso), quanto la sua vita mentale, la percezione di sé e del mondo. È l'età in cui comincia a sentirsi una persona, dotata di un suo pensiero, di una sua volontà. Non a caso proprio in questo periodo inizia a dire "io", "è mio" e a pronunciare i primi "no". Ormai sta imparando a parlare in maniera sempre più ricca e fluida. O-gni giorno spuntano parole nuove che accrescono il vocabolario del piccolo e di conseguenza le sue capacità di comunicare. Inoltre egli viene scoprendo altre forme di linguaggio. Ad esempio comincia a piacergli che qualcuno sfo-gli insieme a lui un libro disegnato di favole, che poi chiederà di vedere più volte. E quando è messo davanti ad un televisore su cui scorre un cartone ani-mato, resta lì incantato, affascinato dalle immagini, dai suoni, dalle musiche che lo raggiungono (ma conosciamo bene i rischi che una esposizione pro-lungata finisce col creare). Anche nel campo delle relazioni i progressi sono tanti. Sia all'interno della famiglia (dove cresce il rapporto col padre) che, progressivamente, all'esterno di essa. L'asilo nido lo mette a contatto con un ambiente nuovo (i coetanei, le

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maestre ...), e lo avvia così verso una vera e propria iniziazione sociale che si arricchirà presto di tante altre esperienze. Insomma, il bambino alla soglia dei due anni è in corsa verso il futuro. Sono soprattutto i genitori che, giorno per giorno, lo aiutano ad entrare progressiva-mente nella vita. È con il loro sostegno che raggiungerà tutte le tappe neces-sarie per diventare un uomo, o una donna, autonomi e consapevoli del mondo e della realtà in cui sono immersi. Nuove opportunità per l'educazione religiosa L'educazione religiosa entra dunque in una stagione ricca di potenzialità che la famiglia deve saper cogliere. Certo, il segno della croce prima che il picco-lo si addormenti, l'immagine della Madonna col Bambino, le invocazioni spontanee al Signore della madre e del padre in certi momenti significativi, alcuni gesti essenziali della preghiera (mani giunte, braccia allargate, in gi-nocchio), una visita in chiesa quando capita l'occasione - tutti spunti cui ab-biamo dedicato i precedenti opuscoli - restano momenti significativi da man-tenere, nella maniera sobria, semplice e spontanea di cui si è parlato. Ma lo sviluppo raggiunto dal bambino offre ormai nuove e interessanti opportunità. I momenti che maggiormente incidono e hanno più profonda risonanza sono quelli in cui la famiglia vive insieme certi appuntamenti religiosi. Lo si è vi-sto nel segno della croce tracciato la sera sulla fronte del piccolo. L'esperienza dice che quando è divenuta un'abitudine consolidata, è il bambino stesso che l'attende, la riceve poi contento, e arriva a chiederla qualora i genitori se ne fossero dimenticati. Ma adesso è arrivato il momento di aggiungere un segno che può essere di grande significato nel vissuto famigliare: la benedizione della mensa. Un segno denso di significato La benedizione della mensa è un'importante tradizione cristiana, trasmessa dall'ebraismo e fondata sulla Bibbia. I Vangeli ci ricordano che Gesù faceva tale benedizione: "Prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro" (Marco 14,22). Il suo era un gesto quotidiano dal profondo signi-ficato religioso. Un gesto che generazioni di cristiani ci hanno tramandato e che oggi siamo chiamati a riscoprire. Quale il suo fondamento? Ogni cibo e ogni bevanda sono sempre un dono di Dio che crea la vita e fornisce a ciascu-no i mezzi per nutrirsi. La preghiera della tavola è dunque una lode e un atto di riconoscimento al Signore e al suo amore per l'uomo. Nell'assunzione del cibo si compie infatti il mistero dell'esistenza. Il cristiano ne è cosciente: da qui nasce la spinta a lodare Dio Creatore e Si-

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del buon senso. Se i bambini non diventano occasione di disturbo (ad esempio quando sono molto piccoli e stanno buoni in passeggino), non ci sono proble-mi. Quando invece crescono, cominciamo a camminare, desiderano girare per la chiesa, fare domande, toccare, allora è chiaro che per loro è difficile regge-re più di alcuni minuti. Di conseguenza i genitori, se non hanno qualcuno cui affidare il piccolo, dovranno partecipare alla messa in momenti differenti. Dopo i tre anni si potrà riprovare, con prudenza e senza però insistere troppo: il bambino non deve sentirsi obbligato a stare in chiesa per forza (anche per-ché la messa non è ancora una realtà alla sua portata). Però, man mano che cresce potrebbe essere significativa la sua presenta a una parte della Messa per prendere familiarità con canti, preghiere, gesti. Saranno i genitori a valu-tare l’opportunità. Una cosa è certamente da evitare: portare in chiesa giochi del bambino per tenerlo buono in qualche angolo mentre si celebra la messa, in questo modo l'ambiente chiesa agli occhi del piccolo perderebbe si suo carattere di casa di Dio, di luogo sacro, diventando uno spazio come tanti altri dove passa il suo tempo, senza alcuna distinzione. Verrebbe inoltre ad accentuarsi la sua com-pleta estraneità all'evento cosi importante che la comunità sta vivendo. Difficoltà Le esperienze fatte non fanno emergere particolari difficoltà. In genere ai bambini queste visite, se preparate e fatte in un momento opportuno, piaccio-no molto e li trovano ricettivi. L'unica possibile difficoltà da segnalare sta nel-l'atteggiamento del genitore. È importante che egli sia psicologicamente, e soprattutto spiritualmente, coinvolto nella visita stessa. Non porta suo figlio ad ma visita guidata alla chiesa, ma lo conduce con amore e umiltà perché co-minci ad entrare in contatto con alcuni segni importanti della fede e con il ''mistero"' che una chiesa sempre racchiude.

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sulla fronte del bambino con l'acqua del fonte battesimale: «Adesso ti faccio il segno della croce con quest'acqua benedetta per ricordare quel giorno bello e importante in cui anche tu, col battesimo, sei diventato cristiano, pecorella di Gesù Buon Pastore». Esauriti questi tre elementi fondamentali in ogni chiesa, la visita può concludersi con un breve momento di preghiera. Il geni-tore - se ci sono le condizioni - può dire al bambino: «Prima di andare via, papà (o mamma) e .............. (nome del bambino) rivol-gano in silenzio, col cuore, una piccola preghiera a Gesù». È importante che subito dopo il piccolo veda suo padre o sua madre che restano qualche mo-mento in atteggiamento di preghiera che lui potrà eventualmente imitare. Al momento di uscire il genitore fa il segno della croce e un breve inchino con la testa. Nelle visite successive (o anche nella prima se il bambino si mostra ancora ricettivo e interessato), si potrà portare l'attenzione ad altre cose presenti nella chiesa. Ad esempio la statua della Madonna: «La riconosci? Questa è Maria, la mamma di Gesù, del dono più grande che Dio ha fatto agli uomini. Adesso papà (o mamma) anche a nome del suo piccolo recita la preghiera della Ma-donna: "Ave, Maria… ». Se nella chiesa ci fossero statue o immagini di santi e il bambino ne fosse interessato, il genitore potrà spiegare brevemente: «Questa è la statua di San Francesco (oppure di Sant'Antonio, ecc.), un uomo molto buono vissuto tanto tempo fa che ha insegnato alla gente ad amare Gesù, a pregarlo e a vivere come lui». Altri a-spetti interessanti della chiesa possono essere l'ambone, la sagrestia... Una cosa che piace molto ai bambini è l'accensione del-le candele o delle lampade votive. A conclusione della visita se ne potrebbe accendere con lui una, spiegando-gli il gesto con parole del genere: «Tra poco usciamo dalla chiesa. Ma per dire a Gesù che il nostro cuore resta ancora qui con Lui, accenderemo insieme una candela... Questa fiamma significa che anche quando saremo fuori dalla chiesa, è come se continuassimo ad esserci perché ci portiamo nel cuore l'amore di Gesù». A conclusione di questa scheda, ci sembra opportuno soffermarci brevemente sul tema della partecipazione alla santa Messa domenicale. Come comportar-si? È possibile portare i bambini? Il criterio cui attenersi è innanzitutto quello

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gnore del mondo, insieme alla famiglia, centro dei suoi affetti più profondi. Questa preghiera è poi semplice e breve. Può essere fatta con una formula fis-sa oppure adattata alle circostanze (ne parliamo più avanti). Consente alla fa-miglia di trovare un momento - brevissimo in termini di tempo, ma denso di significato - per elevare un pensiero riconoscente al Signore. Eppure la benedizione della mensa è una pratica pressoché scomparsa dalle case dei cristiani. Vale però la pena di recuperarla, in un mondo nel quale c’è sempre meno tempo per riflettere, per meditare sul senso della vita, è impor-tante avere almeno un momento della giornata in cui sentirsi creature amate dal Signore, in cui riconoscerlo come fondamento della nostra esistenza. Tan-te volte ci si lamenta perché le nostre giornate sono spesso convulse e non la-sciano spazio alle cose più importanti. La benedizione della tavola, se lo vo-gliamo, ci offre uno spazio in sé piccolissimo, ma capace di dare un significa-to allo scorrere incessante del tempo. Coinvolta la sfera dei sentimenti e degli affetti Il recupero di tale pratica assume poi un grande valore nell'educazione alla fede dei bambini. Ormai anche loro mangiano a tavola, o comunque sono pre-senti. Per questo la benedizione prima di iniziare il pasto, diventa un fatto ca-pace, più di tante parole, di far scoprire al piccolo la dimensione religiosa del-la vita. Perché sono papà e mamma a rivolgersi a Dio e a lodarlo per il cibo che si sta per mangiare. Proprio loro che poco fa mi hanno fatto giocare, mi hanno parlato, accudito. Che sono tornati dal lavoro, magari stanchi e nervosi. Sono loro che adesso chiedono un momento di silenzio, fanno il segno della croce e ringraziano Dio per il cibo che è sulla tavola, pronto ad essere man-giato. Ecco, sono bastati pochi secondi per un gesto che, se ripetuto con conti-nuità, lascerà nel bambino tracce profonde, perché ha coinvolto la sfera dei sentimenti e degli affetti. Ci troviamo insomma di fronte ad una pratica semplice, che può essere messa in atto senza grandi difficoltà. Tuttavia l’esperienza dice che non è facile farla propria. Spesso anche tra i cristiani praticanti si è persa l'abitudine di iniziare il pranzo con questo gesto. Compierlo per molti sembra quasi una forzatura, uno sconfinamento, un qualcosa che si scontra con la "praticità" della fami-glia moderna, con la fretta nel consumare il pasto per potersi dedicare ad altre cose. Per superare un atteggiamento del genere, occorre comprendere bene il significato e il valore della benedizione della mensa. È bene che i genitori ne parlino tra loro, che si interroghino sulle ragioni di certe remore, che riscopra-no insieme la bellezza del gesto e la sua importanza: anzitutto nella loro vita, poi nell'educazione religiosa dei figli.

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Quando e come benedire la tavola Passiamo ora agli aspetti pratici Prima cosa: quando benedire la tavola? Con-viene farlo tutti i giorni, nel momento in cui la famiglia si ritrova insieme per mangiare. Considerando il lavoro dei genitori, nella maggioranza dei casi ciò oggi accade per la cena e per il pranzo della domenica. Sono momenti a cui bisogna tenere perché rimarcano l'unità della famiglia e tengono vivo lo scambio tra i suoi componenti. Certo, il pranzo della domenica ha un'impor-tanza particolare e può essere preparato con più cura. Ma l'esperienza dice che se la preghiera viene fatta solo in quest'occasione non mette radici, non diven-ta una pratica consolidata. Soltanto l'abitudine quotidiana consente di rag-giungere l'obiettivo. Non possiamo però dimenticare alcuni problemi. Talvolta potrebbe essere dif-ficile ritrovarsi tutti insieme al momento di andare a tavola. Il bambino può aver avuto bisogno di mangiare prima, un genitore può arrivare tardi dal la-voro. Altre volte ci può essere qualche tensione per un capriccio del piccolo, per stanchezza o qualche malumore. E poi capita che il telefono squilli... l'im-portante è saper gestire questi momenti con pazienza e buon senso. La bene-dizione potrebbe essere un gesto capace di far ritrovare la giusta dimensione delle cose e di riportare la serenità. La benedizione viene fatta da uno dei genitori. Tutti i presenti all'inizio fanno il segno della croce e alla fine rispondono "Amen". Per la formula da usare, le possibilità sono numerose. Si può anzitutto seguire una formula fissa. La tra-dizione della Chiesa ne conserva diverse semplici e belle. Ecco una tra le più conosciute:

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Sii benedetto o Padre per questo cibo che dividiamo tra noi come segno del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Le formule spontanee Ma la benedizione della mensa può anche essere spontanea, legata a fatti, e-venti, situazioni particolari della giornata. L'importante è mantenere gli ele-menti fondamentali della preghiera: il segno della croce iniziale, l'amen fina-le, la lode o il ringraziamento per il cibo. Si potranno poi aggiungere altre co-se che serviranno a rendere attuale e ancora più sentita la benedizione al Si-gnore. Ecco alcuni esempi. Per la pioggia. "Ti benediciamo, Signore, per il cibo... Ti benediciamo anche

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viene a messa, quando tutti insieme ringraziamo il Signore per i tanti doni che egli ci fa e per pregarlo di starci sempre vicino, di volerci sempre bene. Questi si chiamano banchi. La gente ci si siede per ascoltare la messa o per pregare. Davanti ai banchi -vedi? - ci sono gli inginocchiatoi, dove le perso-ne possono inginocchiarsi, così come adesso faccio io, per diventare piccoli e adorare Dio. Ricordi? L'abbiamo fatto anche a casa. Adesso, piano piano, andiamo a vedere da vicino le cose che ci sono in questa chiesa». A questo punto può iniziare un giro per la chiesa. L'attenzione del bambino va anzitutto rivolta all'altare, al tabernacolo e al fonte battesimale. Questi tre luo-ghi, fondamentali in ogni chiesa, possono essere presentati con parole come quelle che seguono. - Altare. «Questo è l'altare. È come la tavola di una casa dove mangia la fa-mIglia. Qui sopra il sacerdote dice le preghiere più importanti della messa usando il pane e il vino, come ci ha insegnato Gesù. Poi la gente si avvicina all'altare e riceve un po' di quel pane consacrato (quel piccolo tondino bian-co chiamato ostia), come vedi fare la domenica da papà e mamma. In questi momenti, come in altri della messa, si canta per manifestare la nostra gioia e il nostro amore per il Signore». - Tabernacolo. «Questo è il tabernacolo, il posto dove Gesù è sempre pre-sente. Vedi lo sportellino di quella specie di armadietto là sopra? (se ci sono le condizioni il genitore si può avvicinare e farlo vedere da vicino). Lì dentro c'è Gesù. In qualsiasi momento della giornata possiamo venire a trovarlo, a stare un po' in sua compagnia. Quando arriviamo di fronte al tabernacolo, è bello inginocchiarsi profondamente e restare qualche momento così, per dire che di fronte a lui ci sentiamo piccoli e che gli vogliamo tanto bene, che lo adoriamo. Ricorda che per sapere se Gesù è presente nel tabernacolo, biso-gna guardare verso questo lumino rosso (farlo vedere). Se vediamo che la sua fiammella è accesa, vuol dire che Gesù è pre-sente». - Fonte battesimale. «Questo si chiama fonte bat-tesimale perché qui si battezzano i bambini. Den-tro - vedi? - c'è l'acqua benedetta. Attraverso di essa i bambini diventano cristiani, pecorelle di Ge-sù Buon Pastore. Per battezzare il bambino il sa-cerdote prende un po' di quest'acqua e la versa sul-la sua testa, affidandolo così a Dio, a Gesù e allo Spirito Santo. Anche tu sei stato battezzato in que-sto modo». Un bel gesto, se ci sono le condizioni, potrebbe essere quello di fare il segno della croce

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riamo una traccia - sono veramente essenziali. Non bisogna preoccuparsi del-la loro piena intelligibilità (secondo il criterio usato per le persone adulte). Il bambino ha una capacità di comprendere superiore a quella che noi immagi-niamo, perché utilizza canali, come quelli affettivo e intuitivo, che in lui han-no una grande risonanza (lo abbiamo già sottolineato in altre occasioni). Im-portante sarà parlargli in maniera semplice e coinvolgente, facendogli sentire che stiamo compiendo qualcosa di bello e significativo. «Adesso andiamo a visitare la chiesa, la casa di Dio e di Gesù. Vedrai, sarà una cosa molto bella». Potrebbero essere parole di questo tipo, senza tanti preamboli, quelle giuste per presentare la visita. Una volta entrati in chiesa, il genitore fa il segno della croce. Si potrà usare l'acqua "santa". Il suo significa-to è quello di purificarsi dalle colpe prima di entrare nell'ambiente sacro. Coinvolge dunque il campo morale di cui il bambino può avere coscienza verso i cinque-sei anni. Prima di iniziare l'esplorazione della chiesa, conviene sedersi in un angolo e dare al bambino, a voce un po' bassa, qualche parola di spiegazione come quella che segue.

«Questa è una chiesa. Vedi com'è grande e bella? Ci sì viene per incontrare e pregare Dio e Gesù. Per questo c'è silenzio e si parla a bassa voce. La chiesa è così grande perché soprattutto la domenica deve ospitare tanta gente che

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per la pioggia di oggi. A noi forse dà fastidio. Ma è così importante per la terra, per i campi, per tutta la natura. Senza la pioggia non avremmo il pane e le altre cose buone che tra poco mangeremo. Grazie, Signore, per il dono della pioggia". Per un. compleanno. "Ti benediciamo, Padre, per il cibo ... Oggi questo cibo è più abbondante e buono del solito perché per noi è un giorno importante: il compleanno di papà cui vogliamo fare festa. Grazie, Signore, per averci dato un padre come lui... Stagli sempre vicino e illuminalo col tuo Spirito". Per la famiglia. "Ti benediciamo. Signore, per il cibo... Oggi vogliamo bene-dirti anche per la nostra famiglia, per il bene che ci vogliamo, per l'amore che c’è tra noi. È bello stare insieme, conoscerci bene l'uno con l'altro. Gra-zie, Signore, per questa famiglia che ci hai dato". Naturalmente sarà opportuno usare formule diverse in occasione di particolari festività come Natale, Pasqua e altre ancora. La benedizione della tavola è essenzialmente una preghiera di lode. Per que-sto è opportuno che le preghiere di richiesta siano riservate ad un altro mo-mento. C’è però un caso in cui alla preghiera di lode può e deve innestarsi quella di richiesta: per coloro che non hanno cibo sufficiente a nutrirsi. È be-ne che di tanto in tanto la famiglia invochi il Signore per questo problema, drammatico ancora per troppa gente. La formula anche in questo caso può es-sere molto semplice: "Signore, noi ti ringraziamo per il cibo che è sulla nostra tavola, segno del tuo amore. Aiutaci però a non dimenticare mai quelli che ne sono privi e per questo soffrono tanto". Ci può essere poi il caso di qualche problema particolare che coinvolge la fa-miglia: una persona malata, un parente o un amico in difficoltà, un impegno importante da affrontare, in genere - come detto - conviene rimandare ad un altro momento la preghiera per queste situazioni. Se però la cosa è molto sen-tita e la mente di tutti è rivolta lì, converrà fare un'eccezione e con molta sem-plicità - dopo la benedizione per il cibo -chiedere al Signore di assistere, di stare vicino alla persona cara in difficoltà. Lo stesso vale per le vittime di un cataclisma naturale, quando la disgrazia ha coinvolto emotivamente anche i piccoli. La benedizione fatta dal bambino Dicevamo sopra che la benedizione sarà fatta da uno dei due genitori, che si

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alterneranno in maniera opportuna. Ma verrà il giorno in cui il bambino chie-derà di poter fare anche lui la sua benedizione. Sarà un momento importante da favorire. Quando si percepisce che il momento è maturo si potrà provare a incoraggiarlo (senza forzature): "Andrea, oggi vuoi provare tu a fare la bene-dizione, a ringraziare Dio per il cibo che tra poco mangeremo?...". Al di là di ciò che il bambino riuscirà a dire, è il segno che egli desidera diventare parte attiva del piccolo ma importante rito in cui la famiglia si rivolge al Padre per ringraziarlo dei suoi doni e per riconoscerlo come il Dio della vita. Quando c’è qualche ospite Come comportarsi quando c’è qualche ospite a tavola? È bene che la benedi-zione venga in ogni caso fatta, a prescindere dalle sue abitudini, dalle sue convinzioni e anche dal suo credo religioso. Sarà il modo migliore per ricono-scergli la nostra amicizia. La vera accoglienza, infatti, è far sentire all'ospite che la sua presenza non crea imbarazzo, non modifica le abitudini della fami-glia. Di fronte a lui la famiglia appare per quella che è, può mostrarsi nel pro-prio vissuto, nella propria autenticità, nei valori in cui crede. Non fare la be-nedizione sarebbe poi un cattivo esempio per i bambini che finirebbero con l'avvertire in questa pratica qualcosa di poco conveniente, che è bene tenere celata agli altri. Per non cogliere di sorpresa gli invitati, al momento di mettersi a tavola si po-trà dir loro, con molta semplicità: "Nella nostra famiglia prima di mangiare siamo abituati a benedire la mensa...". Sarebbe poi bello se nella benedizione ci fosse anche un ringraziamento per le persone presenti: "... Signore, ti rin-graziamo anche per questi amici che oggi sono con noi: la loro presenza dà più calore e più gioia alla nostra tavola". Formule di Benedizione della mensa Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Benedici, Padre, questi doni che stiamo per ricevere come segno della tua bontà. Per Cristo nostro Signore. Amen. Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Benedici, Signore, a cibo che è su questa tavola e fa che a nessuna creatura manchi il necessario per vivere. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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12. Le prime visite in Chiesa La proposta che vi presentiamo in questa scheda tiene conto della nuova fase di svi-luppo del bambino e dei progressi fatti, di cui abbiamo parlato sopra. Il camminare in modo autonomo amplia enormemente le sue possibilità di esplorare l'ambiente che lo circonda. Da qui può scaturire un'oppor-tunità interessante: visitare la "casa" di quel Dio il cui nome (soprattutto nella per-sona del Padre e in quella del Figlio) ha sentito già più volte risuonare in famiglia. È probabile che altre volte sia andato in chiesa, magari in passeggino, accompa-gnando i suoi genitori a messa. Ma stavol-ta dovrà trattarsi di una visita tutta partico-lare di cui sarà lui il protagonista. Per que-sto è opportuno programmarla in orari in cui non vi sono celebrazioni liturgiche o momenti di preghiera collettiva. In-fatti è importante che il piccolo, oltre a muoversi in libertà, possa scoprire an-che la dimensione del silenzio che in quelle ore regna nelle chiese. La visita va programmata (o anche improvvisata) nel corso di una passeggiata con uno dei genitori. La prima volta sarebbe preferibile la presenza di un solo genitore che feccia da guida e sia l'unico interlocutore del bambino, in modo da non disperdere l'impatto dell'avvenimento. Potrebbe essere il padre (che per solito in questo campo ha meno occasioni), ma va benissimo anche la ma-dre: l'importante è che la visita si faccia in questo periodo della sua crescita. Ora vi daremo dei suggerimenti su come condurre questa visita. Prima vi in-vitiamo però a tenere ben presentì due cose di fondo: - Gli spunti forniti costituiscono una specie di "canovaccio" che il genitore è chiamato ad adattare con l'elasticità opportuna (e non necessariamente in u-n'unica volta, ma in più volte). Sarà lui a trovare le modalità, i tempi e le pa-role giuste. Occorre solo avere ben chiaro l'obiettivo principale: far scoprire al bambino (e rendergli familiare) la chiesa come luogo dove incontrare Dio e pregarlo nel silenzio e nel raccoglimento, ma soprattutto dove rivolgersi a lui come comunità, come suo popolo, specie nella messa della domenica. - Alla base della visita c'è il dialogo con il bambino. A questo proposito va ancora una volta sottolineato che le spiegazioni del genitore - di cui vi sugge-

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ci tenevamo a dare il vero senso della festa. Allora ci è venuto in mente di dar vita ad una piccola "veglia " di preghiera. Spente le luci, sono entra-ta nella stanza con una piccola fiaccola accesa. Alla sua luce abbiamo letto i versetti centrali del vangelo della risurrezione seguito da un canto ("Il Signore è la luce..."), spiegando ai bambini che Gesù Risorto è la no-stra luce. Poi, riaccese le luci, sono state aperte le agognate uova di Pa-squa con grande gioia dei bambini. Quest'anno vorrei ripetere l'esperien-za perché ha la bellezza di riprodurre in famiglia, nella chiesa domestica, la liturgia che si svolge in tutte le chiese del mondo e presenta ai bambini i segni essenziali della Pasqua in un clima di festa familiare. (Stefania C.)

Continuare la narrazione della storia della Salvezza Con l’aiuto del Catechismo dei bambini si può continuare e approfondire il racconto della storia della Salvezza: − Adamo ed Eva (pag. 74) − Noè (pag. 76) − Abramo (pag. 78) − I Magi (pag.90) − La parabola del buon Samaritano (pag.92) − Gli episodi della Pasqua di Gesù (pag. 102-105).

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Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, amante della vita, che nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, benedici noi e questo cibo perché possiamo servirti meglio nei nostri fratelli. Per Cristo nostro Signore. Amen. Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Benedici, Padre, noi e questo cibo: aiutaci a condividerlo con i fratelli rendendo gloria a te, sorgente di ogni bene. Per Cristo nostro Signore. Amen. Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Benedici, Signore, questo nostro cibo e la nostra famiglia. Fa che tra noi circoli sempre il tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen. Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Signore, benedici questo pane, frutto del tuo amore e del nostro lavoro. Per Cristo nostro Signore. Amen. Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Sii benedetto, o Signore, che fin dalla nascita ci dai il nutrimento quotidiano. Riempi i nostri cuori di gioia e stacci sempre vicino col tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen. Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Signore Dio nostro, noi ti ringraziamo per questo cibo che a hai concesso oggi nel tuo amore. Aiutaci a non dimenticare mai quelli che ne sono privi. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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9. Alcune premesse all'educazione morale C'è un momento nella, vita dei bambini in cui compaiono le prime bizze, i primi capricci, le prime forme di aggressività e di egoismo. Sono le manife-stazioni iniziali di quella fragilità, di quella inclinazione al male che l'uomo si porta con sé dalla nascita come riflesso del peccato originale. Tutte le madri e tutti i padri sperimentano questa realtà e al tempo stesso l'esigenza di porre presto le basi dell'educazione morale. È vero che nel bambino il mondo mora-le (inteso come percezione di ciò che è bene e di ciò che è male) non emerge prima dei cinque-sei anni, quando il piccolo manifesta una prima consapevo-lezza dei suoi comportamenti. Ma ciò che lo guiderà in questo campo dipende da una serie di orientamenti ricevuti fin dai primi mesi di vita nell'ambito fa-miliare. Si tratta di "premesse" all'educazione morale vera e propria, ma premesse es-senziali, senza le quali la formazione ai valori morali sarebbe assai proble-matica. Nelle pagine che seguono parleremo di empatia, di disciplina, di limi-ti da porre, di "no" che bisogna saper dire. Ci soffermeremo sul discorso - de-licato, ma non eludibile - delle punizioni; della necessità di messaggi chiari e coerenti; della coerenza di padre e madre nel valutare le situazioni, di come gestire i momenti di rabbia del bambino. Qualcuno potrebbe chiedersi che posto occupa in questo discorso la formazio-ne religiosa nella prima infanzia cui sono dedicate queste schede. Il suo posto, come spiegato nell'ultimo paragrafo, è essenziale, anche se essa resta sullo sfondo, nel senso che non può ancora influenzare direttamente i comporta-menti del bambino (mancano i presupposti che si porranno solo nell'età successiva). Però l'educa-zione religiosa attraversa tutta la vita del bambino, e pian piano lo orienta, gli fornisce un "metro" con cui egli possa, quando verrà il momento, dare una risposta da sé ai problemi morali che gli si presenteranno. Ma ciò sarà possi-bile se ora i genitori svolgeranno il loro ruolo, insostituibile, per trasmettere nel vissuto quotidia-no le regole che stanno alla base di ogni esistenza umana. Trovia-

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Difficoltà In fondo, a ben vedere, la difficoltà è una sola: non esistendo per la Pasqua tradizioni consolidate capaci di parlare ai bambini, come avviene per il Nata-le, la famiglia deve crearne di proprie. Ciò presenta tutti gli inconvenienti del-le le cose nuove, quando non è possibile far riferimento ad esperienze conso-lidate. Ma al tempo stesso può trasformarsi in un'opportunità: quella di risco-prire dentro di noi il senso profondo della Pasqua. D'altra parte solo così le cose che faremo con i bambini acquisteranno la giusta dimensione. E trasmet-teranno valori importanti per la vita cui essi si stanno aprendo. ESPERIENZE VISSUTE ⇒ Era il pomeriggio di venerdì santo. Stavo a casa con Alessandro (cinque

anni) e con Edoardo (due armi e otto mesi). Desideravo trovare il modo di far capir loro l'importanza di quella giornata e anche la sua dramma-ticità. Ma come? Ho avuto un'intuizione e l'ho seguita. Prima abbiamo visto un cartone animato in cassetta sulla passione, morte e resurrezione di Gesù. Poi ho letto loro, fermandomi ad ogni frase con brevi commenti, il brano della passione preso da La mia prima Bibbia. Alla fine li ho fatti un po' parlare sull'argomento. Alessandro mi ha chiesto: "Ma perché hanno ucciso Gesù?". Le osservazioni di Edoardo hanno invece seguito più il filo delle emozioni: "Povero Gesù... lo hanno ucciso...". A quel pun-to ho proposto loro di fare un disegno. Edoardo, aiutato un po' da me, ha fatto quel che ha potuto, ma con impegno e soddisfazione. Alessandro in-vece si è appartato e ha disegnato Gesù crocifisso con i due ladroni, il soldato romano e Maria ai piedi della croce. Ma non si è fermato lì: ha sentito il bisogno di rappresentare anche la resurrezione di Gesù con l'angelo e Maria Maddalena... Eravamo tutti e tre molto coinvolti nel ri-vivere la passione di Gesù in quel pomeriggio di un venerdì santo che non dimenticherò. (Francesco M.)

⇒ L'anno scorso la sera del sabato santo, a partire da un piccolo spunto

nato dai bambini, abbiamo vissuto un momento molto bello. Era dopo cena. Le uova di Pasqua troneggiavano in sala da pranzo in attesa di es-sere aperte il giorno dopo, domenica di risurrezione. Paolo (tre anni da poco compiuti) non resisteva all'idea di aprirle subito quelle uova, e ini-zia così un formidabile "pressing" valendosi di tutti gli strumenti persua-sivi che può mettere in campo un bambino della sua età... Anche il più grande, Francesco (sei anni), senza operare "pressing" lasciava chiara-mente trapelare un analogo desiderio. Noi però non volevamo capitolare:

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sù. Si potrebbe prendere un vaso già predisposto, versarvi dei semi per fiori facendo in modo che penetrino bene nella terra, per poi seguire, nelle settima-ne e nei mesi successivi, lo sboccio della piantina e la sua piena fioritura. Co-sì le parole di Gesù penetreranno a fondo nel cuore dei bambini. La Benedizione della mensa nel giorno di Pasqua La più importante forma di educazione religiosa per i bambini piccoli è vede-re (fin dai primi mesi di vita) pregare i genitori e poi - progressivamente - par-tecipare a questa preghiera. Le grandi feste offrono a tale proposito opportu-nità che non dovrebbero essere perse. Per la Pasqua il momento più propizio è la benedizione della mensa.

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mo qui applicato un principio di fondo dell'educazione alla fede: la dimensio-ne religiosa si costruisce su quella umana, non può prescindere da essa. Il ruolo dell'empatia: la capacità di capire i bisogni degli altri Tutti gli studi e le ricerche più recenti sulla prima infanzia, mettono in evi-denza come a fondamento della futura vita morale c'è tutto un percorso che inizia dal primo anno di vita. Di che si tratta? Va anzitutto tenuto presente che la coscienza non è solo una questione di testa, di acquisizione di valori e di concetti. Riguarda anche il cuore, la capacità di aver presenti gli altri, di intui-re ciò che essi provano, di mettersi nei loro panni, agendo poi di conseguenza. Stiamo parlando dell'empatia (sentire ciò che sente un'altra persona), una qua-lità in parte innata, ma in parte acquisita dall’ambiente. I primi segni di capa-cità empatica si colgono fin dagli otto mesi, quando il piccolo cerca di conso-lare la madre con un gesto o un sorriso, se si accorge che è triste, oppure di farsi perdonare se appare dispiaciuta o arrabbiata. E qualche mese dopo negli asilo nido non è raro trovare bambini dotati di una precisa sensibilità verso coetanei che soffrono: danno loro protezione, li consolano, cercano di allevia-re il loro disagio. Questa precoce forma di condivisione non proviene solo dall'indole del bambino, ma dalla quotidiana esperienza che egli fa di perso-ne - soprattutto i genitori - che proprio attraverso la capacità empatica intui-scono i suoi bisogni e stati d'animo, prima ancora che lui sia in grado di espri-merli con la parola. Così succede alla madre che si prende cura del suo picco-lo perché attraverso questa via ne comprende e condivide stati d'animo, emo-zioni, problemi. Ha detto bene recentemente uno studioso americano, Robert Cole, nel suo libro L'intelligenza morale dei bambini: "Fin dall'inizio della vita la coscienza viene plasmata dai valori affettivi trasmessi al bambino dagli adulti attraverso il linguaggio delle emozioni e la comprensione intuitiva, em-patica, dei suoi bisogni. Se questa comprensione manca, il bambino si sente trascurato. E mostrerà verso i bisogni e i sentimenti degli altri la stessa indif-ferenza nella quale è cresduto". Insomma, la mancanza di sensibilità e di em-patia nei confronti del bambino finisce spesso con l'ostacolare lo sviluppo del senso morale. Sono i primi legami affettivi a formare il nucleo più profondo della sua personalità, anche nella sfera morale. Attraverso i segnali emotivi trasmessi dai genitori il bambino impara a distin-guere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Prima ancora di acquisire il sen-so dell'onestà, della giustizia, della solidarietà, già a uno-due anni sono i "sì" e i "no" dei genitori a restare impressi nella sua memoria come una tavola del-la legge. Bene e male gli vengono indicati solo dai gesti, dal tono di voce, dal comportamento dei suoi genitori che mostrano disapprovazione, scontento,

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oppure consenso, gioia. Lo sguardo severo della madre mostra affettivamente ciò che è male. Al contrario, la sua gioia e la sua serenità gli segnalano affetti-vamente ciò che è bene. Il senso di colpa: un sentimento da rivalutare? L'importanza della sfera emotiva ed affettiva nell'educazione alla vita morale, porta a rivalutare due sentimenti da tempo un po' trascurati: il senso di colpa e la vergogna. Fino a non molto tempo fa sia l'una che l'altro erano considerate esperienze negative, da evitare ad ogni costo. Se ne vedeva infatti solo l'aspet-to contrario, cioè il rischio che potessero avere effetti distruttivi o inibenti lo sviluppo della personalità. Ma una volta evitato questo rischio - e un genitore accorto sa bene come farlo - sembra opportuno riscoprirne il valore. Per il senso di colpa si tratta di quel disagio, di quella sensazione spiacevole che ognuno prova quando commette cattive azioni, quando compie atti dannosi per gli altri o contrari alle norme in cui anche lui si riconosce. E la vergogna è qualcosa di simile (tutto giocato all'interno della persona): il turbamento su-scitato da un'azione o da un comportamento in qualche modo riprovevole che è stato compiuto. È bene che il bambino sperimenti su di sé queste emozioni - quando si presentino - perché lo aiutano a percepire in maniera incisiva il ri-flesso negativo che certe azioni hanno sul mondo che ci circonda, i danni che possono provocare intorno a noi. Naturalmente il genitore farà attenzione a non aggravare il disagio del bambino con rimproveri eccessivi e prolungati. Non bisogna provocare nel bambino angoscia, ma consapevolezza sì: per fa-vorire una successiva elaborazione dell'esperienza compiuta. Come trasmettere le principali regole di vita.

La disciplina Ma c'è un'esigenza di fondo che sta alla base dell'intero discorso sulla vita morale dei piccoli; la disciplina. È stato giustamente detto che fra tutto ciò che un genitore dona a un figlio, la disciplina è seconda per importanza solo all'amore. Certo, occorre intendersi sul si-gnificato di questo termine. Disciplina non vuol dire punizioni (anche se, in maniera moderata - come vedremo - vanno previste), ma insegnamento, trasmissione di regole es-senziali alla vita. Il bambino ha bisogno che il genitore qualche volta gli dica dei "no" in maniera inflessibile, anche se ragionata, di fronte a certe sue richieste ostinate e non

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viene dai loro cuori e che desiderano trasmettere con molto affetto ai propri figli. Preparazione delle nova È questa un'attività che piace molto ai bambini: preparare le uova (colorate o istoriate) che troveranno posto sulla mensa nel giorno di Pasqua. Le tecniche sono diverse. Si può far uso di coloranti per alimenti da aggiungere all'acqua in cui saranno poi immerse le uova (sode). Si può, in alternativa, far ricorso a decalcomanie (è facile trovarne in commercio) da attaccare alle uova (sempre sode). Entrambe andranno poi conservate in frigorifero per il pranzo di Pa-squa. I bambini più grandicelli verranno coinvolti nei modi opportuni. Impor-tante che si sentano protagonisti di questa attività che prepara la Pasqua. Na-turalmente nel momento adatto andrà ricordato il significato dell'uovo come simbolo pasquale (vedi sopra). Il Venerdì Santo Per i bambini che hanno raggiunto almeno i tre anni si può fare qualcosa an-che per il venerdì santo. Innanzitutto sarà opportuno dire loro che quel giorno mamma e papà faranno digiuno, spiegandone il significato: "Nella giornata in cui ricordiamo la morte di Gesù sulla croce per tutti noi, vogliamo dimostra-re con questa piccola rinuncia che gli siamo vicino e al tempo stesso che ci sforziamo di fare qualcosa per il bene degli altri. I soldi così risparmiati li daremo in chiesa per i poveri". Se poi si riuscirà a trovare un momento adatto, specie la mattina o la sera, si potrà spiegare, in maniera breve e sobria, il senso della giornata. Le parole potrebbero essere di questo tipo (ma, come al solito, dovranno essere i genito-ri a trovare quelle giuste per i loro bambini): "Oggi ricordiamo il momento più triste della vita di Gesù: quando muore in croce, egli che era un uomo profondamente buono, innocente e giusto. Siamo tristi al ricordo delle sue sofferenze e della sua morte, ma siamo anche pieni di speranza perché sap-piamo che Gesù, tre giorni dopo la sua morte, risorge e dà a tutti una vita nuova che non finisce mai (è quello che festeggeremo a Pasqua, domenica prossima). Il significato della sua morte lo aveva spiegato Gesù stesso ai suoi amici più cari, gli apostoli, con l'esempio del seme. Il seme - aveva detto - non è fatto per rimanere solo, ma per essere messo sotto terra. È vero che co-sì sembra essere finito, morto. Ma è necessario che questo accada, che le so-stanze di cui è fatto si disperdano nel terreno, che ci sia questa trasformazio-ne: solo così nasceranno fiori e frutti in abbondanza". A questo punto sareb-be bello verificare nella pratica - insieme al bambino - l'insegnamento di Ge-

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Segni della Pasqua A pensarci bene diversi sono i segni che possiamo ritrovare nella festa di Pa-squa. Importante sarà spiegare con parole semplici il loro significato simbolico. Ec-co alcuni spunti. - Colomba. La colomba è un uccello molto presente nei nostri cieli. Il suo volo è bello ed elegante. Essa ci ricorda due cose importanti. La prima è quel-la grande forza d'amore di Dio che chiamiamo Spirito Santo, la stessa che ha fatto risuscitare Gesù dopo la sua morte in croce. La seconda è la pace, il vo-lerci sempre bene: uno dei grandi doni che Gesù ci ha dato e che desideriamo sia sempre presente tra noi. - Campane. A mezzanotte di sabato santo le campane di tutte le chiese del mondo, che per tre giorni erano rimaste in silenzio, cominciano a suonare per dare a tutti la grande notizia; Gesù è risorto! Gesù è risorto! Ha vinto la mor-te! Facciamo festa! La gioia sia sempre tra noi! Guardando a queste campane nei nostri cuori sentiremo un po' della loro gioia, della loro allegria! - Uova. Sono il segno della vita che sempre nasce in mezzo a noi. Dalle uova nascono i pulcini e tante altri animali. Ma c'è una cosa che non devi mai di-menticare: la vita che ci ha portato Gesù con la sua risurrezione è una vita e-terna, che non finisce mai! Ed è una vita che trascorreremo nella gioia. È co-me un grande girotondo! Guarda: lo faccio con il dito intorno a questo uovo, un girotondo che continua per sempre (far girare diverse volte il dito intorno all'uovo). - Angeli. Furono gli angeli che diedero la grande notizia della risurrezione di Gesù. Egli era morto in croce, condannato dalla cattiveria degli uomini ben-ché fosse un uomo buono e giusto. Ma Dio attraverso la sua grande forza d'a-more, lo Spirito Santo, lo ha risuscitato. Gli angeli vedendo alcune donne che andavano alla tomba dove Gesù era stato sepolto, dicono loro: "Perché cerca-te tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato". Mai notizia più bella era stata data a qualcuno! La diedero gli angeli. Naturalmente quella che abbiamo dato è solo una traccia: saranno le madri e i padri a trovare le parole, i gesti, le espressioni giuste in rapporto ai loro figli, tenendo conto di tanti fattori (a partire dall'età) che solo loro conoscono bene. Ciò che è importante - lo ripetiamo - è non avere la preoccupazione che i bambini comprendano in pieno tutti i messaggi che gli diamo. Questa preoc-cupazione alla fine può inibire o rendere meno spontanea ed efficace la comu-nicazione. Il momento della comprensione globale verrà dopo. Adesso i pic-coli debbono cogliere dalla viva voce dei genitori qualcosa di importante che

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esaudibili. Talvolta egli cerca di ottenere in tutti i modi ciò che desidera. In realtà anche lui è alla ricerca di un limite, di un contenimento che solo l'adulto può fornirgli, con un chiaro sistema di regole e di limiti. Altrimenti il bam-bino crescerà allo stato brado, senza punti di riferimento certi e questo sarà fonte di non pochi problemi al momento del suo inserimento nella vita sodale. Alcuni genitori diventano permissivi perché non vogliono veder soffrire il fi-glio: "La vita è già tanto dura, perché imporgli fin da ora rinunce?". Questo il ragionamento di chi finisce troppo spesso col cedere alle richieste del piccolo. In realtà non si rende conto che in questi anni l'esperienza diretta di piccole frustrazioni ha un valore educativo. Anzitutto perché il "no" pone un freno ad una certa onnipotenza del bambino. Poi perché gli apre nuovi scenari, gli of-fre opportunità che non avrebbe preso in considerazione. Come osserva Asha Phillips nei no che aiutano a crescere, il bambino che vuole subito qualcosa e non lo ottiene, deve imparare a rinunciare o ad aspettare. Allora si guarderà intorno in cerca di alternative, esplorerà l'ambiente, metterà in moto l'immagi-nazione. Prenderà in mano una scatola, la rigirerà in tutti i modi, se la metterà in testa; come un piccolo scienziato, scoprirà tutto delle sue proprietà. La fru-strazione stimola il bambino a fare uso delle proprie risorse, purché natural-mente il "no" sia ragionevole e non generi disperazione. Occorre in particola-re evitare atteggiamenti del tipo: "questo non lo fai perché l’ho detto io", sen-za dare le opportune spiegazioni. Messaggi chiari e coerenti In questa educazione morale un ruolo fondamentale ha certamente l'ambiente che ruota intorno al bambino e in particolare il rapporto con i genitori. La vita di tutti i giorni lo spinge a intraprendere tante azioni nelle quali il referente naturale è la madre o il padre. È qui che occorre mettere in atto comportamen-ti capaci di aiutare il piccolo ad orientarsi, ad interagire in maniera positiva con il mondo che lo circonda. Una cosa importante è comunicare messaggi chiari e coerenti, facendo in modo che in situazioni simili la risposta del geni-tore sia sempre la stessa. Un esempio interessante lo fornisce T. Berry Brazel-ton nel suo libro Il tuo bambino e la disciplina. Se mentre il bambino protende la mano verso la manopola del volume del televisore, sua madre sorride da-vanti a questa sfida gioiosa, naturalmente il piccolo scatterà in avanti e alzerà il volume al massimo. E lo farà anche se sua madre dice “non toccarlo” con un'espressione di divertimento dipinta sul volto. Se la prima reazione non è chiara, il bambino ripeterà l'azione anche quando la madre riproverà dicendo "no", questa volta con un'espressione adeguata al messaggio. Quando le ri-sposte al suo comportamento sono coerenti, egli acquisisce una visone chiara

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di ciò che è consentito e di ciò che è vietato; di cosa è sicuro o invece perico-loso. Per questo è importante evitare messaggi confusi o contraddittori che finiscono col renderlo ansioso e irritabile. Un altro elemento cui prestare attenzione è che esista una certa coerenza dei genitori nel valutare le situazioni. Se ciò che il padre approva viene disappro-vato dalla madre, e questo accade costantemente, si creerà una situazione am-bigua per il piccolo, che lo sconcerterà non poco, non riuscendo egli a capaci-tarsi su ciò che è giusto e ciò che non lo è. Sa solo che se si comporta in un modo con la mamma verrà punito, mentre con papà tutto fila liscio. Rischia così di diventare un piccolo "opportunista". Per questo è importante che i ge-nitori abbiamo una linea educativa comune, in modo che il bambino possa seguire delle regole generali, condivise da entrambi i genitori. Solo così egli farà proprie certe modalità di comportamento. Ciascuno avrà poi un modo diverso di comportarsi quando il bambino trasgredisce alcune regole, a secon-da del suo carattere. Ma se c'è una linea comune, non ci saranno grosse diffe-renze nel giudicare. Osserva Silvia Vegetti Pinzi in A piccoli passi che, entro certi limiti, le rea-zioni diverse dei genitori non sono del tutto negative: il bambino comincia così a imparare che i suoi comportamenti vengono recepiti in modo diverso, da persona a persona. E che non può aspettarsi la coerenza assoluta da nessu-no, perché non esiste. Quando però un genitore si accorge di essersi compor-tato in modo non solo incoerente, ma ingiusto, punendo magari il bambino per una cosa da nulla, è importante che sappia riconoscerlo: "Mi dispiace, ho sbagliato. Oggi sono troppo stanco e ho perso la pazienza". È bene che il bambino sappia che anche ai genitori può capitare di fare qualche eccezione alle regole: e di sbagliare. Le punizioni: quando sono utili Come regolarsi con le punizioni? Servono realmente? Hanno una loro funzio-ne? È questo un capitolo delicato in cui i genitori debbono usare grande atten-zione e mano leggera, anche se decisa. Anzitutto prima di arrivare alle puni-zioni sarà bene far ricorso ad altri modi, come cambi di voce, espressioni fac-ciali e gesti significativi (da cui il bambino può avvertire subito l'aria che ti-ra), e a una grande sicurezza personale sulla proibizione da imporre (sapendo di star facendo la cosa giusta per il bene del figlio). Talvolta ciò è sufficiente, specie quando i bambini sono piccoli. Ma indubbiamente le punizioni - specie quando il bambino diventa più grande, dopo i tre anni - possono essere uno strumento utile. Comunque non è la punizione in se stessa a contare, quanto ciò che con essa si comunica al piccolo. La sua funzione è quella di aiutarlo a

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degli oggetti e alle parole dei genitori (specie della mamma) che l'accompa-gnano, cioè al dialogo familiare di cui non bisogna mai dimenticare l'impor-tanza (i piccoli hanno antenne per comprendere molto più di quanto noi im-maginiamo). Per quelli più grandicelli (specie dopo l'anno e mezzo) si posso-no prevedere progressivi livelli di partecipazione alle cose da fare. Un elemento deve essere chiaro: a questa età non è ancora possibile trasmet-tere il senso profondo del mistero cristiano: i bambini non posseggono ancora le capacità per percepirlo nella sua interezza. Solo verso i tre anni, dopo che avranno conosciuto la figura di Gesù Buon Pastore che ama le sue pecorelle e dà la vita per loro, sarà possibile un approccio più denso, in ogni caso già da prima è importante avvicinare i piccoli agli aspetti della festa che sono in gra-do di far propri anche se in maniera ancora frammentata. Se avranno fatto queste esperienze, poi - quando arriverà il momento giusto - sarà tanto più ricca la scoperta della Pasqua che saranno in grado di fare. Le Palme benedette Una ricorrenza legata alla Pasqua a cui guardare con attenzione è la domenica delle Palme, Il ramoscello di ulivo che si riceve in chiesa, costituisce un ele-mento interessante per avvicinare i bambini ad alcuni messaggi importanti, in un momento in cui il piccolo è sveglio e ricettivo, gli si può parlare con paro-le di questo tipo, mostrandogli il ramoscello d'ulivo: Giulia, ti ricordi di questo ramoscello di ulivo? Lo abbiamo preso ieri in chie-sa perché era la domenica delle palme. Guarda quant'è bello, quante foglie ha! Sono foglie che rimangono sempre verdi, sai? Ce lo siamo portato a casa que-sto ramoscello perché ci ricorda delle cose molto belle: la pace e l'amore che Gesù ha portato tra noi e di cui abbiamo tanto bisogno. Quel giorno a Gerusa-lemme la gente aveva capito intanto Gesù fosse buono e quanto il suo mes-saggio fosse bello e importante. Per questo gli fecero festa, sventolando i loro ramoscelli. Così, guarda, come faccio io. E siccome noi desideriamo tanto che quella pace e quell'amore siano sempre nella nostra casa, adesso mamma si-stema questo ramoscello in un punto dove tutti potremmo sempre vederlo. E mentre lo sistemo rivolgo a Dio una preghiera: "Signore, io, papà, Giulia e ... ti ringraziarne tanto di averci mandato Gesù. Fa' che la pace e l'amore che ci ha portato siano sempre tra le mura di questa casa. Amen". Ogni tanto, nel corso dell'anno, si potrà tornare sull'argomento facendo notare come il ramoscello si sia mantenuto verde, e legandolo a Gesù e ai doni che ci porta (evitando così di trasformarlo in una sorta di amuleto).

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11 .Vivere la Pasqua con i bambini La Pasqua è certamente la più gran-de festa cristiana. In essa riviviamo il mistero centrale della nostra fede (morte e risurrezione di Cristo), da cui tutta la vita prende luce e signifi-cato. Nella settimana santa ci sono le più belle liturgie dell'anno, che iniziano con la domenica delle Pal-me e culminano nell'emozionante veglia della notte di sabato. E c'è un lungo periodo di preparazione: la quaresima. Eppure di questa festa ai bambini arriva ben poco. Il Natale al confronto è molto più ricco di segni e di simboli (il presepio, il calendario e la corona dell'Avvento, ecc.). Fino ad al-cuni decenni fa non era così. Esistevano tradizioni venate di un certo folklore, che il Concilio ha giustamente eliminato, attraverso le quali passavano però messaggi capaci di raggiungere i piccoli. Pensiamo solo alla visita ai "sepolcri", alla copertura di tutte le immagini nelle chiese, allo sciogliersi del-la campane a mezzogiorno del sabato santo, quando nelle famiglie ci si fer-mava un momento per fare il segno della croce e per una preghiera. Queste tradizioni, ed altre ancora, trasmettevano ai bambini in maniera viva qualcosa di essenziale della Pasqua: il dolore e lo sconcerto per la morte di Gesù, la grande gioia per la sua risurrezione, il senso della speranza per una vita piena che non avrà mai fine. Oggi di tali pratiche religiose non c'è più traccia, con-siderando l'avvenuto recupero di una liturgia più autentica e la spinta a vivere la Pasqua in una dimensione più interiore. Ma per i bambini è rimasto ben po-co di ciò che proveniva in maniera naturale dall'ambiente circostante. Purtrop-po ora i segni della Pasqua che li raggiungono sono soltanto quelli del consu-mismo: le uova di cioccolata, il dolce della colomba, certe abitudini alimenta-ri come l'abbacchio per il pranzo di Pasqua. Anche il loro significato origina-rio si è perduto: ormai vengono percepiti esclusivamente come oggetti di con-sumo. In questa situazione tocca alla famiglia, tocca ai genitori trovare i modi per-ché i bambini possano cogliere il senso della Pasqua. O se ne fanno carico lo-ro, oppure ai piccoli giungerà poco o niente di questa grande festa cristiana. Ma cosa si può fare? Per i bambini più piccoli (sotto i 15 mesi) ci si affiderà soprattutto alla visione

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riflettere di più su quello che ha fatto, o sul "no" che ha ricevuto. Le strategie da mettere in atto in questo campo sono diverse: da ridurre la TV, a mandare il bambino nella sua stanza, a confiscargli uno dei suoi giochi pre-feriti, a non portarlo ai giardini come promesso... È bene comunque non usare la mano pesante, non perdere le staffe, non imporre la propria volontà con la forza. Perdere le staffe non è utile (un comportamento incontrollato genera paura sia nell'adulto che nel bambino). Ma - osserva a questo proposito Asha Phillips – se qualche volta, come succede a tutti i genitori, dite o fate qualcosa che poi rimpiangerete, non è la fine del mondo. Il bambino imparerà che siete un essere umano e non un robot o un angelo. L'importante è non venir meno alla funzione di adulto: capire il bambino e il suo stato d'animo, e sapere cosa è meglio per entrambi. Dovete fargli capire che il vostro "no" ha una ragione. Non sempre è necessario spiegarglielo. In determinate occasioni, per bloccare un'escalation di emozioni e conflitti uno sculaccione può essere preferibile a una lunga romanzina. Molti genitori di questa generazione rischiano di obera-re di lezioni e di spiegazioni il bambino a difesa delle proprie scelte, in un ec-cesso di razionalità, di cerebralità, che rischia di far perdere loro una vera au-torevolezza. Le punizioni: quelle da evitare Comunque, sempre in fatto di punizioni, è importante che esse scattino di fronte a patti non mantenuti. Vanno applicate solo quando il bambino non ri-spetta una regola che gli era stata presentata in modo chiaro: "Questo non lo devi fare, altrimenti oggi non andiamo al giardino come mi hai chiesto". La punizione non deve essere cioè estemporanea, magari sull'onda del cattivo umore di un genitore, altrimenti il bambino finisce col percepire di essere pu-nito a caso. Certo, poi bisognerà essere coerenti; i patti vanno rispettati. Os-serva a questo proposito Silvia Vegetti Pinzi che c'è chi un giorno è indulgen-te e il giorno dopo è punitivo, secondo le variazioni del suo umore: e il bam-bino non capisce perché lo stesso comportamento, che un giorno passa del tutto inosservato o rimane impunito, il giorno dopo merita invece un castigo. C'è poi chi promette un castigo, e quando è il momento di attuarlo se ne di-mentica, o preferisce "dimenticarsene" per evitare tensioni e conflitti. Invece è estremamente importante mantenere le promesse, non solo in fatto di premi, ma anche di punizioni. Nelle punizioni ci sono poi le forme ambigue del baratto: "Se fai come ti dico avrai questo premio". È un modo per svilire le richieste fatte al bambino, una lusinga che sa in qualche modo di ricatto. Così si confondono i valori delle cose, in contrasto col bisogno di chiarezza che hanno i piccoli. La minaccia

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più negativa è quella sul piano affettivo: "Se ti comporti male mamma non ti vuole più bene". Dicendogli - nota ancora Silvia Vegetti Pinzi - che se non ubbidisce non gli si vuole più bene, si evoca la paura più angosciosa del bam-bino: la perdita dell'amore del genitore e il loro possibile abbandono. Ma oltre a dare corpo con le nostre parole ai suoi fantasmi interiori, suscitiamo nel pic-colo l'impressione che le sue angosce più terribili possano avverarsi in qual-siasi momento: e per cose da nulla. Diventa così difficile per lui continuare ad avere fiducia nei genitori, se il loro affetto può svanire di punto in bianco per i motivi più futili: un capriccio, una disubbidienza, uno scontro di volontà. Un'altra forma veramente deleteria di punizione è picchiare i bambini. Men-tre, come si è detto sopra, una sculacciata in certe situazioni (per interrompere una "crisi isterica" o uno scoppio di ostilità irriducibile) ci può stare (ma deve essere un'eccezione), giungere a picchiare il bambino è un fatto grave che può avere effetti molto negativi su di lui. È una sconfitta non solo nell'educazione ma nella comunicazione, il più forte prevarica sul più debole, mancando al ri-spetto che sempre si de-ve al corpo dell'altro, alla sua integrità, alla sua "sacralità". Come gestire i momenti di rabbia del bambino Alcune volte i bambini sono presi da vere e proprie crisi di rabbia: si buttano per terra, urlano, si dimenano, trattengono il respiro fino quasi a diventare cia-notici, in queste occasioni insieme alla collera tirano fuori una forza incredi-bile. Ci troviamo di fronte a delle forze primordiali che emergono quando il bambino vuole a tutti i costi ottenere qualcosa. Si tratta di emozioni e di senti-menti forti che egli deve pian piano abituarsi a tenere sotto controllo. Non di-mentichiamo che la rabbia è comune a tutti e tutto sommato è rassicurante per i bambini sapere che anche i genitori vanno in collera. La differenza sta nel modo di affrontarla. Se i genitori si arrabbiano e riescono a superare la colle-ra, anche il bambino imparerà a gestire in maniera positiva le proprie emozio-ni. Nel suo libro Asha Phillips ha approfondito il tema e dice in proposito co-

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punto del tavolo dove si stabilisce il posto dell'ovile, tranne una, messa in di-sparte). “Chi tra voi - disse Gesù - avendo cento pecore, se ne perde una non lascia le altre novantanove e va in cerca di quella smarrita (il pastore lascia le pecore e va a cercare la pecorella)... Finché non la ritrova? (il Pastore trova la pecora). E quando l'ha ritrovata se la mette sulle spalle tutto con-tento (si pone la pecora sulle spalle del Pastore) e giunto a casa (il pastore e la pecora entrano nell'ovile), chiama gli amici e i vicini e dice: rallegratevi con me perché ho trovato la mia pecorella che si era smarrita". Il dialogo con il bambino potrà ruotare intorno a domande di questo tipo: - Perché il Buon Pastore va in cerca di una sola pecora quando ne aveva già tante? - Cosa avrà provato la pecorella quando si è persa? - Perché quando torna all'ovile il Buon Pastore fa festa? Anche stavolta al termine della presentazione è bene che il bambino possa lavorare da solo con le statuine. Gli si può inoltre proporre un disegno. Altri personaggi biblici Tra le pagine bibliche proposte dal Catechismo dei bambi-ni, si consiglia di raccontare quelle di alcuni personaggi chiave della storia della salvezza: − Mosè (pag. 80) − Davide (pag.82) − Maria nell’annunciazione (pag.86) o

nell’assunzione (pag.108) Inoltre l’avere incontrato la figura di Gesù può servire per introdurre il suo insegnamento con la preghiera del Padre nostro (pag. 100).

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si conclude osservando: "Certo a me sembra strano che siano pecorelle qual-siasi...". Ci si tornerà più avanti, quando il bambino lavora con il materiale e può chiedere al genitore di ripetergli qualcosa ascoltato in precedenza. Oppu-re in altre occasioni, ad esempio con la parabola della pecorella smarrita o in altri momenti che si presenteranno in futuro. Quando arrivano a capire che dietro le pecorelle ci sono le persone, il primo riferimento in genere non è a se stessi ma ad altri. Così, tornando al Buon Pastore che chiama per nome le pe-corelle, fanno il nome di qualcuno della famiglia o di qualche amico. Da qui il passaggio a se stessi è breve. Lavoro con il materiale È un momento importante: potendo ripetere con le statuine i movimenti che ha visto fare al genitore, il bambino ha la possibilità di meditare e rielaborare le cose che ha ascoltato, Il "lavoro" costituisce la sua meditazione personale. Gli si consegna la scatola con le statuine dicendo semplicemente: "Se ti va, puoi trattenerti un po' con il Buon Pastore e le sue pecorelle. Se vuoi chieder-mi qualcosa, mi chiami", in genere il bambino ha piacere di ritornare sulla parabola personalmente, rivivendo da solo la presentazione fatta dal genitore movendo le statuine e talvolta ripetendo lui stesso le cose che ha udito. È per questa via che farà suoi in maniera profonda i significati della parabola. Se il bambino sa un po' disegnare (al di là dei risultati formali), gli si può anche proporre di fare un disegno del Buon Pastore con le sue pecorelle. La pecorella ritrovata Dopo qualche tempo si potrà tornare sul Buon Pastoie con la parabola della pecorella ritrovata, sempre utilizzando le statuine. È importante presentare anche questa parabola al bambino perché è un'altra manifestazione dell'amore del Pastore. Per il Buon Pastore tutte le pecorelle sono importanti, al punto che se anche una sola si perde, egli non sta tranquillo e la va a cercare. C'è poi un altro motivo che rende interessante questa parabola: attraverso la pecorella che perdendosi resta sola, in pericolo, c'è la possibilità per il bambino di inte-riorizzare l'amore e la cura del Pastore, ma anche di identificarsi in quelle si-tuazioni negative in cui anche lui potrà trovarsi (le asperità della vita comin-ciano presto). Vediamo adesso come procedere. Le cose da dire potranno essere simili a quelle che seguono. "Torniamo a par-lare di Gesù Buon Pastore con un'altra storia (si può usare il temine parabo-la se il bambino lo ha già sentito) che lui ha raccontato a chi gli stava vicino. Anche stavolta la rappresentiamo con le statuine. (Si mettono le pecore in un

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se interessanti. Se non si possono esprimere la collera e la rabbia diventa dif-ficile gestire sentimenti estremi. Senza farne esperienza diretta, il bambino non ha modo di imparare a controllare le emozioni aggressive. Solo provan-dole può sapere quanto sono forti. Se non può buttare fuori tutta la sua rabbia, può immaginare il suo potere di distruzione ben più grande di quanto non sia realmente. Dovrebbe esserci uno spazio in cui i sentimenti di collera sono le-gittimi e dove è possibile elaborarli. In quanto genitori dobbiamo essere capa-ci di accettare la furia e la collera che provochiamo nei nostri bambini quando prendiamo posizione e diciamo loro dei "no". Non dimentichiamo che il bambino stesso può essere preoccupato delle forze che sente scatenarsi in lui, specie quando alla rabbia si unisce l'ansia di ritro-vare il normale rapporto con i genitori. Per questo la madre e il padre debbo-no capire che in queste situazioni il loro piccolo ha bisogno di recuperare pre-sto il loro affetto. Educazione religiosa e educazione morale L'educazione religiosa ha una valenza morale anche nella prima infanzia? In senso stretto bisogna dire di no. Anzi, occorre fare bene attenzione a certe for-zature che si fanno usando espressioni del tipo: "Se non ubbidisci. Gesù si di-spiace"; "Se ti comporti male, Gesù piange"; oppure: "Hai fatto un capriccio, il buon Dio è triste e non vuol più saperne di tè". Per fortuna si tratta di e-spressioni ormai in disuso. Ma bisogna essere sempre attenti a non far inter-venire Dio nei capricci familiari quotidiani. Dio non è lo strumento per far mangiare la minestra al bambino, o per impedirgli di fare qualcosa (così pure lasciamo in pace le streghe, gli orchi e i fantasmi che servono solo a provoca-re un timore irrazionale). Altra cosa da evitare è coinvolgere i bambini in discorsi morali che non sono in grado di recepire. O raccontare loro parabole morali che non hanno ancora gli strumenti per comprendere. Racconta a tale proposito Sofia Cavalletti ne Il potenziale religioso del bambino, che chi tentasse di seguire questa strada a-vrebbe lo stesso risultato di quella maestra di scuola materna che volle rac-contare ai suoi bambini la parabola del Figliol prodigo; l’unica reazione che ebbe fu: "Che ne è stato dei maiali?". La maestra ne trasse l'impressione che le parabole non sono per i piccoli, mentre era la scelta ad essere sbagliata, e i bambini avevano risposto nell'unica maniera confacente alla loro età: trovan-dosi nel periodo sensitivo della protezione erano stati colpiti dal solo fatto che i maiali restavano abbandonati, mentre tutta la problematica del peccato e del-la conversione era loro completamente sfuggita. Fatte queste premesse, c'è però da sottolineare che la vita religiosa in questi

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anni assicura al bambino un retroterra fondamentale su cui potrà contare quando la vita morale gli si manifesterà con i suoi problemi e i suoi interroga-tivi il riferimento è soprattutto a tutti quei momenti in cui il piccolo vive la dimensione religiosa nell'ambito familiare: il segno della croce tracciato dai genitori sulla sua fronte; l'immagine della Madonna col Bambino; le prime forme di preghiera; la benedizione della mensa; Natale e Pasqua vissuti con le ricche tradizioni della fede che accompagnano queste feste; la lettura insieme a papà o mamma dei primi libri che parlano di Dio e di Gesù... È attraverso queste esperienze che il bambino arriva a scoprire e a godere dell'amore pro-tettivo di Dio. Nell'infanzia il bisogno basilare del bambino è proprio quello di essere amato di un amore protettivo e di avere qualcuno da amare. È in ba-se alla soddisfazione di questa esigenza che la vita morale prenderà forma. In questo senso ogni esperienza religiosa è una preparazione morale indiretta in vista dell'età successiva. Nella visione cristiana, infatti, la vita morale non è che la risposta all'amore di Dio. Ecco perché l'adulto che vuole dare al bambi-no una formazione morale dovrà anzitutto far percepire l’amore di Dio, e aiu-tare il piccolo a sperimentarlo e a goderlo. Quanto più profonda, sentita e go-duta è l'esperienza religiosa del bambino, tanto più pronta, autonoma e di buona lega sarà, quando verrà il momento, la sua risposta morale. Per saperne di più Asha PHILLIPS, I no che aiutano a crescere, Feltrinelli Silvia VEGETTI PINZI, A piccoli passi, Oscar Mondadori Robert COLE, L'intelligenza morale dei bambini, Rizzoli T. Berry BRAZELTON, Il tuo bambino e la disciplina, R.Cortina Editrice Sofia CAVALIETTI, Il potenziate religioso del bambino, Città Nuova Pedagogia dei modelli

Il Catechismo dei bambini suggerisce la pedagogia dei modelli per trasmettere i valori e i comportamenti da inse-gnare. Da pag. 130 a 139 del testo sono contenute le storie di quattro santi, ma se è possibile si consiglia di raccontare anche la storia del santo o della santa di cui il figlio/a por-ta il nome.

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tutte le pecore cammina davanti a loro e le pecore lo seguono perché conosco-no la sua voce (si sposta avanti il pastore seguito dalle pecore). Non seguiran-no invece un estraneo perché non conoscono la voce dell'estraneo. Cammina davanti alle pecore perché se ci fosse qualche pericolo lui le può proteggere. “Io sono il Buon Pastore (si gira il Pastore verso le pecore), il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore. Io sono a Buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre e per le mie pecore do la mia vita (il pastore riconduce le pecore verso l'ovi-le)”. Il dialogo con il bambino A questo punto è importante riprendere con il bambino gli elementi della pa-rabola attraverso un dialogo che lo porterà pian piano a rivisitare quanto ha ascoltato e visto. Ecco un esempio di dialogo: "Allora, hai sentito cosa fa il Buon Pastore? Vediamo un po'. Come chiama le sue pecorelle?... Le chiama per nome. E perché le chiama per nome?... Perché le conosce tutte. E poi che fa?... Le fa uscire. E come si mette?... Si mette davanti a loro. E perché si mette davanti a loro?.» Perché ci potrebbe essere qualche pericolo e lui le protegge. E quando il Pastore le porta fuori, perché le pecore non si sentono mai sole?... Perché ascoltano la sua voce e così lo riconoscono sempre...". Attraverso il dialogo il bambino penetra sempre più nella parabola e in lui e-merge maggiormente il motivo per cui il Pastore fa tutto questo: l'amore per le sue pecorelle. Un passaggio delicato: l'identificazione con le pecore Ora c'è un passaggio delicato, in cui bisogna evitare forzature: l'identificazio-ne con le pecore. A conclusione del dialogo si può dire: "Beh, saranno impor-tanti o no queste pecorelle?..." Una volta che il bambino si mostra convinto che le pecorelle sono proprio importanti, allora viene fuori la domanda: "Allora chi saranno queste pecorelle?... Il Buon Pastore conosce le sue peco-relle per nome, le chiama una ad una, le conduce fuori. Esse ascoltano la sua voce. Chi saranno? Saranno le pecorelle del prato... oppure no?... Certo, de-vono essere pecorelle speciali, perché il Buon Pastore le conosce per nome, le chiama una ad una, le conduce fuori, si mette davanti a loro e le guida. Tu chi dici che siano queste pecorelle?... Sono pecorelle proprio speciali per es-sere tanto amate dal Buon Pastore. Perché il Buon Pastore ha detto: "Io per le mie pecore do la mia vita". Quando i bambini sono piccoli non sempre vie-ne fuori subito che le pecorelle siamo noi. Allora si lasciano le cose così, sen-za dirlo (sarebbe sbagliato anticipare una scoperta che debbono fare da soli) e

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potrebbero distogliere l'attenzione del bambino dalla figura del Buon Pastore (su questi personaggi si tornerà più avanti). Le parole con cui introdurre e presentare brevemente la parabola possono essere simili a quelle che seguono. "Tante volte hai sentito parlare di Gesù. Ma adesso è importante che tu lo conosca meglio. È lui stesso che ci aiuta in questo. Un giorno a chi gli chie-deva chi fosse - erano in tanti a farlo -, Gesù ha detto: «Io sono il Buon Pa-store, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Queste pecore le conosco proprio bene, le conosco una ad una. Di ognuna so il nome e infatti le chiamo tutte per nome». Poi ha detto ancora che le pecore conoscono la voce del padrone, cioè del pastore, e seguono la sua voce. Il Pastore le con-duce fuori, cammina davanti a loro, le guida. Le pecore si sentono sicure per-ché riconoscono subito la sua voce. Così lo seguono, mentre non seguono un estraneo perché non conoscono la voce di un estraneo. Gesù dice che lui è un Buon Pastore. Buon Pastore vuol dire che lui ama le sue pecore e dà la vita per loro. Che significa dare la vita? Dare la vita significa dare tutto l'amore che si può, tutta l'attenzione, tutto l'aiuto necessario fino a dare tutto se stes-so. E ci sono altre pecore che non appartengono al suo gregge, però anche quelle si abitueranno al suono di questa voce fino a che si raduneranno e ci sarà un solo gregge e un solo pastore". Lettura della Parabola Dopo questo primo racconto, si può dire al bambino: "Adesso sentiamo pro-prio le parole che dice Gesù, le prendiamo dalla Bibbia, il grande libro che parla di Dio e di Gesù" (non si legge l’intero brano, ma i versetti 10, 3-5; 14-16). Presentazione con le statuine "Adesso quello che abbiamo ascoltato lo rappresentiamo con le statuine che sono in questa scatola". Così il genitore può dare il via alla terza parte. Ma deve essersi preparato bene, avendo in mente chiare le cose da dire e i movi-menti da fare con le statuine (converrà fare una prova prima). Occorre utiliz-zare una superficie piana (possibilmente un tavolo sgombro). Prima è bene far vedere al bambino il materiale raccolto nella scatola (Buon Pastore e pecorel-le). Poi si può dire: "Immaginiamo che qui ci sia il prato (indicare la base del tavolo), e qui l'ovile delle pecore (indicare una parte del tavolo). Il Pastore entra nell'ovile (sistemare il Pastore nella parte indicata). Le pecore ascoltano la sua voce ed egli le chiama per nome (si fanno entrare le pecore nello spazio dell'ovile). Poi il Pastore chiama di nuovo per nome le sue pecore e le condu-ce fuori (si fa uscire il Pastore seguito dalle pecore). Quando ha fatto uscire

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10. Presentazione di Gesù, Buon Pastore Quando il bambino arriva ai tre anni ha sentito già molte volte parlare di Gesù, ma ne ha un'idea confusa: un po' uomo e un po' Dio; bambino che nasce in una grotta a Betlemme, ma anche colui che muore in croce; straordinario guaritore e persona capace di meravi-gliosi atti di amore ... Sono tante le im-magini di Gesù che arrivano ai bambi-no, ma per lui è difficile metterle insie-me, anche perché fanno riferimento ad aspetti di Gesù che alla sua età risulta-no obiettivamente complessi. C'è però un'immagine che Gesù ha dato di se stesso nel vangelo di Giovanni che il piccolo arriva a far propria immediata-mente: il Buon Pastore ("Io sono il Buon Pastore", centro dell'omonima parabola: Gv 10, 1-16). È un'immagine semplice e al tempo stesso intensa, che racchiude in sé il messaggio centrale della fede cristiana: il Pastore ama le sue pecore ed è pronto a dare la sua vita per loro. Altrettanto importante è la relazione che il bambino può stabilire, dopo averlo conosciuto, con Gesù-Buon Pastore. Ci sono degli aspetti di onesta figura che lo attraggono molto: il Buon Pastore chiama le pecore per nome perché le co-nosce una ad una; le conduce verso i pascoli migliori; le guida, cammina da-vanti a loro. E quando sono fuori, le pecore non si sentono mai sole, perché c'è la sua voce, una voce che conoscono bene. E se una si perde, il Buon Pa-store lascia le altre nell'ovile per andare a cercarla, finché non la trova. Poi, nel momento in cui il bambino si rende conto di essere lui stesso una pecorel-la del Buon Pastore (ma è una scoperta che deve fare da solo), la sua gioia è grande. L'esperienza dice che egli si sente appagato per qualcosa di profondo di cui era alla ricerca. In effetti la parabola risponde al bisogno del piccolo di essere amato in modo profondo e di essere protetto, bisogno fondamentale dell'in-fanzia. Dall'appagamento di questa fondamentale esigenza nasce quella fidu-cia di base, che mette l'uomo in armonia col mondo e che poi si espanderà

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dall'essere amato al poter amare. Per i piccoli è arrivato dunque il momento dì conoscere ed entrare in relazio-ne con la figura di Gesù che gli è più congeniale, quella del Buon Pastore. Ma come procedere? Faremo riferimento a una catechesi che può contare su un'e-sperienza ormai cinquantennale, conosciuta e praticata in 23 paesi. Una cate-chesi che prende nome proprio dal protagonista della parabola del vangelo di Giovanni: il Buon Pastore. In questa catechesi, a partire dai tre anni i bambini iniziano, in un ambiente predisposto per loro chiamato atrio, un percorso di educazione religiosa capace di coinvolgerli in maniera profonda. La presenta-zione del Buon Pastore viene fatta in modo molto sobrio, per favorire la me-ditazione personale attraverso il lavoro del bambino con il "materiale". Nel nostro caso sarà il genitore stesso a svolgere il ruolo di catechista. Qui si for-niscono una serie dì suggerimenti su come procedere. Può essere un'occasione bella e importante. Finora abbiamo individuato una serie di segni, di gesti, di abitudini familiari (segno della croce, benedizione della mensa, prime forme di preghiera, come vivere le grandi feste cristiane...) che costituiscono il retro-terra essenziale dell'educazione religiosa nella prima infanzia. Ora, quasi al termine del nostro itinerario, i genitori sono chiamati a fare un passo in più, a diventare, in qualche modo, "messaggeri della Parola" presentando al proprio figlio, attraverso la parabola del Buon Pastore, l'annuncio centrale della nostra fede. La Parabola del Buon Pastore Io sono il Buon Pastore. Le pecore ascol-tano la voce del Buon Pastore, ed egli chiama per nome le sue pecore, una per una, e le conduce fuori. E quando ha con-dotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estra-neo, invece, non lo seguiranno, perché non conoscono la voce dell'estraneo. Io sono il Buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come io conosco il Padre e il Padre cono-sce me. Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore. Ho anche altre pecore che non sono di questo ovile. An-che esse io devo guidare; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. (Giovanni 10, 3-5; 14-16)

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Il "materiale" da utilizzare Prima di passare alla presentazione della parabola al bambino, è opportuno soffermarsi un momento sul materiale da utilizzare e poi da mettergli a dispo-sizione. L'esperienza dice che se la trasmissione avviene solo per via orale, il piccolo ha possibilità notevolmente più limitate di far proprie le storie raccon-tate (in questo caso la parabola), e i messaggi collegati. Egli ha bisogno di ve-dere, di avere un riferimento concreto, percepibile con i sensi, anche se sim-bolico, della rappresentazione che gli viene offerta. Abbiamo già visto a pro-posito dei libri (nell'opuscolo I primi libri che parlano di Dio e di Gesù) come siano importanti le immagini che accompagnano il testo. In questo caso l'e-sperienza dice che occorre fare un passo ancora più avanti, arrivando a utiliz-zare delle statuine dei protagonisti della parabola (Pastore e pecorelle), capaci sia di stimolare maggiormente l'attenzione del bambino, sia di consentirgli di ripetere poi liberamente ciò che ha visto rappresentato. Per questo potete uti-lizzare un’immagine del Buon Pastore su cartoncino che può essere trasfor-mata in una statuina capace di reggersi in piedi. Per le pecorelle (una dozzina) si possono utilizzare quelle del presepio che un po' tutti abbiamo in casa, o che sono facilmente reperibili. Converrà sistemare il tutto in una scatola (perché le utilizzazioni potranno essere diverse), che poi il bambino avrà la possibilità di chiedere spontaneamente. Sarà bene che la presentazione, e ciò che segue, sia fatto da uno solo dei geni-tori. Anche l'altro, naturalmente, potrà essere presente, ma in maniera silen-ziosa (per evitare ogni possibile dispersione). Bisogna anzitutto trovare il mo-mento più giusto per proporre l'esperienza al bambino. Per solito egli si dimo-stra subito interessato a conoscere da vicino la figura di Gesù Buon Pastore. La presentazione si sviluppa in cinque fasi, una di seguito all'altra (sarà il ge-nitore a trovare i tempi e la combinazione giusta tra di esse): breve racconto della parabola, lettura del brano del Vangelo, presentazione con le statuine, dialogo con il bambino, libera attività del bambino con il materiale. È oppor-tuno sviluppare tutto di seguito (il tempo occorrente è breve), senza interru-zioni tra una fase e l'altra. Riportiamo una serie di esemplificazioni sulle cose da dire che serviranno da traccia per il genitore. Sarà poi lui a trovare le e-spressioni e le parole adeguate. Breve racconto della Parabola La parabola non viene data per intero perché contiene elementi ancora troppo complessi per il bambino (come quello della "porta" e altri ancora). Inoltre in questa presentazione è preferibile non nominare il lupo e il mercenario, che