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Una Buona Pratica per gestire processi interculturali Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020 Obiettivo Specifico 2.Integrazione / Migrazione legale - Obiettivo nazionale ON 3 - Capacity building lett. m) - Scambio di buone Pratiche - Inclusione sociale ed economica SM Progetto cofinanziato da UNIONE EUROPEA MINISTERO DELL’INTERNO IL DIALOGO INTERRELIGIOSO NELLA SOCIETA’ MULTIETNICA

IL DIALOGO INTERRELIGIOSO NELLA SOCIETA’ MULTIETNICA · 2020. 12. 22. · dialogo interreligioso che grazie ai tre precedenti Progetti aveva modellizzato approccio, strategia e

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Una Buona Pratica per gestire processi interculturali

Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020 Obiettivo Speci�co 2.Integrazione / Migrazione legale - Obiettivo nazionale ON

3 - Capacity building lett. m) - Scambio di buone Pratiche - Inclusione sociale ed economica SM

Progetto cofinanziato da

UNIONEEUROPEA

MINISTERODELL’INTERNO

IL DIALOGO INTERRELIGIOSO NELLA SOCIETA’ MULTIETNICA

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Una Buona Pratica per gestire processi interculturali

a cura di

Alex Koensler

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Sommario

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I PRESENTAZIONE 7

II INTRODUZIONE Il contesto 9 Lesfideaffrontate 10

III MANUALE : RIPENSARE L’INTERCULTURALISMO a. L’etnicizzazione:lepolitichedelladifferenza nell’interculturalismo 19

b. Lafluiditàdellecategorieidentitarie:conseguenzepratiche 23

IV PRINCIPI METODOLOGICI PER INTERVENTI DI DIALOGO INTERRELIGIOSO 1. Adottareunapprocciorelazionale 272. Usciredallecornicidicuisièparte 283. Adottareunapprocciodigenere 294. Adottareunapprocciochetengacontodellegenerazioni 295. Costruirespazicomunieretiorizzontali 306. Considerarecentralicontattipersonalie‘“ascoltoattivo” 317. Rispondereinmodocreativoaiconflitti 32

V BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO 35

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VIALLEGATIIL DIALOGO INTERRELIGIOSO PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO:1. PROTOCOLLO DI INTESA TRA PREFETTURA - UFFICIO

TERRITORIALE DEL GOVERNO DI PERUGIA E COMUNITÀ DI FEDE DEL TERRITORIO 41

2. PROTOCOLLI D’INTESA TRA ALISEICOOP E I COMUNE DI BACOLI (NA), MUGNANO DI NAPOLI, QUAGLIANO (NA) E VILLARICCA(NA) 48

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I PRESENTAZIONE

1 IdentitàepluralitàneldialogointerreligiosoFEI2010,LaicitàepluralitàneldialogointerreligiosoFEI2011,L’oradireligionealternativaFEI2013.

Può risultare sorprendente, ma mai prima d’ora tante persone vivono lontano dalla propria terra di origine. E’ un dato di fattoche da sempre ci siano stati movimenti migratori di gruppi o etnie da un territorio all’altro, nella speranza di trovarvi nuove e migliori condizioni di vita. Negli ultimi decenni, tuttavia, la migrazione globale ha raggiunto proporzioni mai viste. Secondo le Organizzazioni internazionali, attualmente circa 175milioni di persone vivono lontane dal paese di origine. Condizioni di vita precarie, clima di violenza e guerre, degrado ambientale, prospettive economiche di miseria e divario crescente tra paesi poveri ericchi,sonodifattoallabasediuntaledrammaticofenomeno.Perquesto, ilmalesseresemprepiùdiffusonell’opinionepubblicaoccidentale, renderebbe necessaria la ricerca di soluzioni per un corretto ed equilibrato inserimento dei tanti segmenti di popolazione migrante.Alcontrario,l’opinionepubblicasembraoggifocalizzataquasi esclusivamente sulle conseguenze della migrazione irregolare, sulla necessità dei respingimenti, sugli improbabili rimpatri, sultrafficking,sullacrescentexenophobia,etantoaltroancora.Occorrerebbe invece promuovere e consolidare con sempre maggiore convinzione una politica di integrazione che possa seriamente incidere sul miglioramento dei rapporti tra le persone immigrate di varia provenienza e di conseguenza promuovere una corretta convivenza nel territorio di accoglienza.Al riguardo va richiamata l’attenzione sul percorso di dialogo interreligioso intrapreso da Aliseicoop (anche grazie al contributo di tre Progetti FEI del Ministero dell’Interno)1, percorso che era partito

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dallapresad’attochelamigrazione,datempodiventatafenomenostrutturale, imponeva che si acquisissero i mutamenti indotti dalla presenzadinuovicittadininellastrutturastessadellasocietà,cioè,difatto,nelnostrosistemadiconvivenza.In questo senso, a parere di Aliseicoop, il primo mutamento di cui prendere atto, era il fattore oggettivo che nella societàcontemporanea non si può disconoscere il ruolo assunto proprio dalla religione. Il riconoscimento ed il rispetto della appartenenza religiosadiciascuno,puòinfattidareuncontributoimportante:almiglioramento dei rapporti tra gli uomini, ad un percorso di scoperta reciproca, ad una collaborazione tra società, culture e religioni e,nondaultimo,adunacondivisionedellacentralitàdeidiritti-doveridi ciascuno.Si trattava in altri termini di utilizzare proprio il pluralismo religioso come fattoredi contrastoal climadidiffidenzaediscriminazioneche andava instaurandosi. E questo perché la religione costituisce un elementofondamentalediidentità,unospaziodimemoriaperognicultura e in questo senso un importante tramite per la convivenza. L’esito positivo dei tre Progetti e il successo di iniziative ed incontri tra comunitàdi fededel territorio e segmenti importantidella popolazione autoctona, hanno consolidato la convinzione di Aliseicoop dell’utilità di continuare l’impegno sul dialogointerreligioso; grazie al nuovo contributo del Progetto “Bridge”, approvato dal Ministero dell’Interno, ha così ulteriormente sviluppato il suo approccio al dialogo nel convincimento che le religioni possonocostituire“mezzidiavvicinamento”tralediversecomunitàdifedeedinquestosensocontribuireapromuoverel’instaurarsidiunasocietàprontaalconfrontoedalreciprocoarricchimento.In questa direzione Aliseicooop ed i suoi Partner di Progetto hanno considerato tuttavia determinante che il dialogo interreligioso fosse acquisito come un obiettivo prioritario di una politica diintegrazioneanchedaquantihannolaresponsabilitàdelgovernodelterritorio,inparticolare:Prefetture,QuestureeComuni,periqualièstatoprospettatoerealizzatounprogrammaspecificodicapacity

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2 Percorsidiinformazione/approfondimentosulpluralismoreligiosoes-istente nel paese attraverso la pubblicazione nel sito del progetto Bridge http://www.bridgedialogointerreligioso.it/capacity-building/delMinisterodell’Interno di una raccolta organizzata, ad accesso libero e gratuito, di una ampia gamma di materiali destinati a due distinte categorie di destinatari: docentiscolasticiefunzionaridiIstituzionipubblicheel’organizzazionediquattroSeminariInterattiviviawebperdiscuternecollegialmente.3 TavolopermanentesuldialogointerreligiosoattivatodallaPrefettura-UfficioTerritorialedelGovernodiPerugia.4 Cfr.Allegato.

building2finalizzatoatrasmettereunelementoessenziale,valeadireche l’appartenenza religiosa non può essere considerata come uno spazio chiuso, ma al contrario come un contesto aperto all’interno delqualepromuovereunaretedirelazionitralemoltepliciformedi appartenenza religiosa e il complesso degli attori istituzionali del territorio.In questa direzione l’impegno di Aliseicoop ha portato alla realizzazionedi una serie di incontri tra le comunità di fededelterritorioelaPrefetturadiPerugiadacuisonosfociatilacostituzionedi un Tavolo permanente sul dialogo interreligioso3 ed un Protocollo di Intesa sottoscritto da tutti i partecipanti al Tavolo4.Sul piano più generale sono stati inoltre attivati spazi e canali di dialogo che hanno permesso di implementare: iniziative ed eventi pubblici come mezzo privilegiato per sviluppare il rispetto e la condivisione,incontriconiministridicultodelledifferenticomunitàreligioseecon i lorofedeliper lareciprocaconoscenzadiaspettirituali,modalitàdicultoedisocializzazione,partecipazioneafestereligiosedellediversecomunitàpresentisulterritorio.Dal sostanziale buon esito della promozione del pluralismo religioso come fattore determinante per il miglioramento deirapporti tra immigrati e popolazione autoctona, si è ritenutoopportuno aggiornare ed arricchire le linee del Manuale per il dialogo interreligioso che grazie ai tre precedenti Progetti aveva modellizzatoapproccio,strategiaemodalitàdegliinterventiattivati.

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La presa d’atto dei cambiamenti intervenuti nel tempo, in particolare lapresenzadisemprepiùimportantiflussidirifugiatierichiedentiasilo, ha indotto all’aggiornamento del Manuale per il dialogo interreligioso con l’introduzione di numerosi, innovativi elementi. In particolare, l’approccio relazionale suggerito dal presente Manuale si incentra su una comprensione delle dinamiche identitarie e religiosenoncomesefosseroriferibiliaun“mosaicodicomunità”,ma come una rete dinamica di relazioni in continua evoluzione, attraversatadamolteplici interessipolitici, formediappartenenzee sensi di identità. Infatti la dimensione religiosa, rinvia soltantoad uno dei denominatori dell’appartenenza, per cui è essenzialevalorizzare nel lavoro interculturale anche altri denominatori comuni o meno, ad esempio il genere, la posizione sociale e gli stili di vita, l’appartenenza nazionale.IlManualeèstatocuratodaAlexKoeslerdellaUniversitàdiPerugiaincollaborazioneconCristinaPapaelostaffdiAliseicoopincaricatodella gestione del Progetto.

AliseicoopPerugia,aprile-2020

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a. Il Contesto Iprocessiglobalidellemigrazionistannoprofondamentecambiandol’aspetto delle società europee, mettendo in discussione moltodiciòchesembravascontato.Paesichefinoadalcunidecenni faalimentavanoancoraunasignificativaemigrazione,sonoalcontrariosempre più caratterizzati da una presenza strutturale di immigrati chelihannotrasformatiinsocietàplurietnicheemulticulturali.In questo nuovo contesto, l’evoluzione delle reti religiose ha cambiato l’assetto delle vecchie strutture già affermate, costituendone unfattore chiave. Anche in Italia l’appartenenza a diverse tradizionireligiose è divenuta, proprio con lemigrazioni, un fenomenopiùevidente rispetto a solo qualchedecennio fa quando la religionecattolica era se non esclusiva certamente largamente prevalente. Nella società contemporanea, caratterizzata da pluralismisociali, culturali, politici e, appunto, religiosi, proprio il “religioso” costituisce una componente dei possibili e vari “sentire comuni” ed e’ un importante fattore di auto-riconoscimento. A questorisponde peraltro il principio cardine secondo cui l’integrazione della popolazione immigrata deve essere considerata “un processo dinamico di adeguamento reciproco tra vecchi e nuovi cittadini all’internodelqualeildialogotrauominiecomunitàdifedidiversecostituisce un elemento fondante” (Primo dei Principi di BaseComuni per l’integrazione dell’Unione Europea). Anche in una recente risoluzionedel Parlamento Europeodel 2dicembre2019siaffermache“lecredenzeepratichereligiosedeimigrantiedeirifugiati devono essere prese in considerazione come un fattoreessenziale delle buone politiche di accoglienza e integrazione…La prevenzione della violenza e della discriminazione nei confrontidelleminoranzereligiosetra i rifugiati inEuroparichiedeazionia

II INTRODUZIONE

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tutti livelli… soprattutto a livello locale”. Ciò malgrado, non sempre ad una articolata e importante presenza di comunità con differenti appartenenze religiose, corrispondonosufficientiretidicollegamentointerreligiosooadeguateiniziativedidialogoeconfronto.Nerisultachespessolenuovecomunitàdifederestanoisolate,avolteinposizionedifensivaocomunquemarginale.Peraltro, almeno alcune di esse sono percepite e vissute talora dalla societàdiaccoglienzacomeunaminacciaallasicurezzaocomeunelemento inquinante del contesto culturale locale, quando non un pericolo di sostituzione etnica. Il prevalere di queste posizioni non consentediriconoscereilfortevaloreaggregativochelareligioneriveste per molti immigrati come fondamentale occasione disocialitàel’apportochelediversecomunitàreligiosepossonodareal processo di integrazione della popolazione immigrata, attraverso percorsi di reciproca conoscenza e di dialogo. D’altra parte, la stessa consapevolezza della pluralità religiosa costituisce un importantefattorediintegrazioneinquantoconsentedisuperarelebarrierealdialogoeall’integrazionesociale.Centrale,ataleproposito,èiltemadel “riconoscimento”, sia a livello intersoggettivo, sia interculturale eistituzionale(HabermaseTaylor2003;Taylor1998;Sartori2002).EdèinquestaprospettivachesimuoveilProgettoBridge,lacuifinalitàèquelladi facilitare ilprocessodi integrazionedellapopolazioneimmigrata attraverso la promozione del dialogo interreligioso come fattoredeterminanteperilmiglioramentodeirapportitraimmigratied italiani, nell’ambito di un comune percorso di costruzione di spazi di negoziazione ed interazione tra differenti significati religiosi eculturali.ObiettivospecificodelProgettoèquellodicostruireunpiùstrettolegamesocio/culturaletralecomunitàreligiosepresenti,pertoglierle dall’isolamento, ridurre pregiudizi e stereotipi, temperare motivi di scontro, accelerare processi di acculturazione positiva nel rispettoreciproco.Taleprospettivatrovafondamentonelcrescentepluralismo confessionale sviluppatosi sul territorio umbro, anchein relazione alla forte crescita dei vari flussimigratori. Il presenteManuale rappresenta uno degli esiti del progetto e consiste nelle

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linee guida seguite nel corso del progetto stesso e che qui si propongono perché possano costituire un Modello per ulteriori interventieispirarecorsidiformazionedivarisoggettieoperatori,impegnati in progetti di dialogo interreligioso.Secondo dati statistici recenti, l’Umbria si colloca al secondo posto(11,1%),dopol’EmiliaRomagna(12,3%),perincidenzadellapopolazione straniera su quella totale. Degli oltre 97mila stranieri residenti in Umbria (Rapporto IDOS 2019), il 35,5% proviene dapaesicomunitari,il27,4%daaltripaesieuropei,il19,8%dall’Africa,il9,4%daipaesidell’Asia,irestantidaAmericheedOceania.Invaloreassoluto i cittadini stranieri non comunitari sono 62.898, di cui31.8456donneparial58,9%.IlDossierIDOSgiàcitato,nonpotendoper ovvie ragioni porre quantitativamente in rilievo l’adesione di fedeinsensostretto,fondametodologicamentelesuevalutazionisulle proiezioni statistiche delle appartenenze religiose nel paese di origineperciascunacollettivitànazionale;stimadiconseguenzachenel2019sicontavanoinUmbria(tramenodiunmilionediabitanti)circa 24.488 musulmani, 24.274 ortodossi, 14.842 cattolici, 2.912evangelici,827induisti,375buddhisti.E’aquestaplatea,aifedeliitalianiedallasocietàcivileumbracheilProgettosièrivoltoimplementandounaseriediattivitàdestinate,divolta involta,ai leaderdellecomunitàreligiose,ai fedelistessi,all’insieme di entrambi. Incontri tra responsabili di comunità suquestioni generali e specifiche, incontri tra fedeli, partecipazioneorganizzata a feste e pratiche delle differenti comunità, iniziativedi approfondimento su tematiche “sensibili” (immigrazione edappartenenza religiosa) o problematiche (Seconde Generazioni e pratiche religiose), hannoconsentitodimigliorare laqualitàdellacomunicazione tra i fedeli delle diverse comunità religiose e traitalianieimmigrati,prevenireatteggiamentidichiusuradifensivaediintolleranza,aumentarelasensibilitàinterculturaledifascedellapopolazione immigrata e italiana, allacciare e consolidare rapporti proficuitrafedeli,stimolarelelororisorseculturali,mettereinmotoprocessi di socializzazione e partecipazione.

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Dal sostanziale buon esito delle attività di Progetto che èiniziato nell’ottobre 2018 ed è in fase di ultimazione da parte diAliseicoop e dei suoi Partner, trae origine il presente Manuale che intende prospettare una Buona Prassi, vale a dire un Modello dell’esperienza maturata con la realizzazione del Progetto. Con la suaimplementazionenelterritorioumbro,sièinfattiintrodottaunamodalità specifica per perseguire il dialogo interreligioso, che haconsentito di raggiungere i risultati attesi, e che può di conseguenza essere generalizzata ad altri contesti, in quanto sostenibile. La si intende pertanto prospettare a tutti coloro i quali, seppure in contesti differenti,lavoranonell’ambitodell’interculturalismoedaffrontanoquotidianamente le molteplici sfide legate al loro impegno di“mediatori” tra mondi diversi.

b. Le sfide affrontate Far comprendere le opportunità nella costruzione di una societàapertaesolidaleneiconfrontidelledifferenzedivarianaturacheincludonoevidentementeancheledifferenze“religiose”,èilcompitodi un lavoro interculturale che intende gestire con consapevolezza lesfidedell’interculturalismo.Nella percezione comune, nei discorsi pubblici e nelle rappresentazioni mediatiche i processi di migrazione sono di solito considerati come strettamenteconnessialladiffusionediunpluralismoconfessionalesemprepiùesteso.Finoapochiannifa,lapresenzastranieravenivaassociataalladiffusionedelle fedi islamiche, sia inchiavepositivacomeportatoridiunarricchimentoculturaleepreziosaopportunitàdiaperturacosmopolita(Branca2007;Allievi2003),siacomeminacciaagli equilibri socio-politici e, in toni allarmistici e giornalistici, come portatoridiunaradicalizzazioneortodossa(Magdi2002).L’Umbria,anchegrazieallapresenzadell’UniversitàperStranieriaPerugia,èstataunadelleprimeregioni incuisièvista lanascitadi organizzazioni religiose islamiche, in particolare l’Unione degli studenti musulmani in Italia (USMI), nata già nel 1971. Ilminoreafflussodistudentiprovenientidaipaesiarabiel’ingresso

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nell’Unione Europea di paesi come la Bulgaria e la Romania, hanno ridotto lo spazio delle fedi islamiche, rafforzando le chiese e igruppi confessionali ortodossi. Lo scalpore suscitato dalla derivafondamentalista di un Centro islamico nei pressi di Perugia chesi è concluso con l’arresto di alcuni esponenti e la chiusura delCentro, invece, ha sicuramente rafforzato la percezione dell’Islamcome minaccia principale, anche se si è trattato di un episodioisolato e separato rispetto alle correnti maggioritarie dell’Islam in Italia (cfr.Naso2010).Rispetto a tali processi di diversificazione ediaccrescimentodellapluralitàreligiosa inUmbriaèpiùevidentel’insufficienza di reti di collegamento o forum che potrebberoportarelenuoveconfessionifuoridall’invisibilitàedall’isolamentoefavorirelacostruzionedirapporticollaborativiconleconfessionistoricamente presenti sul territorio. Una sfida che l’Umbria devecogliere anche in virtù del suo capitale simbolico, alimentato dal lascito morale di Capitini, dall’ essere sede della marcia Perugia – AssisiedalruolodiprotagonistacheilSacroconventodiAssisièvenuto via via assumendo nella direzione dell’impegno per la pace e per il dialogo interreligioso.Difronteaquesto“incontromancato”diventaessenzialeconsiderarelacontinuaevoluzionedelpluralismoconfessionalenell’otticadel“senso delle possibilità”, partendo da una rilettura critica dellecategorieinterpretativeapplicateaifenomenimigratori.Il“sensodellapossibilità”,comeèstatopuntualizzatodalloscrittoreMusil (1997) nell’opera L’uomo senza qualità, si potrebbe anchedefinire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbeessere. Il “senso di possibilità” è caratterizzato dall’abilità divedere le abitudini, i valori e le esperienze attraverso una “quarta dimensione”, in cui svaniscono le certezze e le pretese e in cui emerge la vulnerabilità di tutte le regole del regime della verità.Essosidefinisceincontrapposizioneadunnetto“sensodirealtà”,chesirifiutadivederelarealtàinun’altraluce.L’ideadel“sensodipossibilità”puòesserevistacomeunacaratteristicafondamentaledel lavoro interculturale in quanto sensibilizza la capacità di

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comprensionedellarealtàoltrelecategorieinterpretativecuisiamoabituati(Carrithers2005).E’questochel’antropologaemediatriceMariellaSclavi(2003)hadefinito“l’usciredallecornicidicuisiamoparte”.Ilvaloredel“sensodipossibilità”perillavorointerculturalesi trova dunque nell’approccio critico del senso comune del ruolo e dellerealtàmigratorienellasocietà.In particolare, si indicano tre sfide principali che si trovanodi fronte agli operatori impegnati nell’ambito della gestionedell’interculturalismo, che volessero intraprendere iniziative del tipo di quella di cui si parla.La più importante sfida è di carattere trasversale e riguarda glieffetti dell’etnicizzazione nell’applicazione e nella reificazione dicategorieidentitariechefissanodinamichecomplesseinfenomeniapparentementeoggettivi,comeidatistatistici.Lealtreduesfideinvece riguardano alcuni aspetti della rappresentazione pubblica del fenomenoreligiosonellapopolazionemigrante. Inprimo luogo l’ideadaconfutarechelereligionimigrantisonosoprattuttoquelledimatriceislamica.InfattisecondolostudiodicasodiPaoloNaso(2010),“indubbiamente,almenosinoaundecenniofa,larilevanzanumericae socialedell’Islam in Italiahagiustificatoquesta sceltaselettivacheperòhafinitoperconsolidareun’equazioneimpropriaeoggialfondoscorrettatraimmigratiemusulmani”.Si tratta in sostanza di mettere in discussione le assunzioni del senso comune sulla prevalenza islamica, interpretando i dati statistici. Il Progetto,infatti,partivadalpresuppostochetalinumerinonfosseroda prendere alla lettera in quanto nascondevano una varietà diintrecci,relazioni,differenzeinterneesovrapposizioni.Le categorie interpretative raccolte come “confessioni religiose”rinviano di fatto alle realtà quotidiane in cui operano i progettiinterculturali, cioèa realtàdifficilmenteempiricamenteosservabilio riscontrabili in modo univoco. Gli operatori del Progetto si sono resi conto, già nella fase iniziale, che sarebbe stato sbagliatopartiredall’assunzionecheadognidefinizionecorrispondesseunacomunitàfacilmenteriscontrabilesulterritorio.Inoltre,idatidicui

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soprasièparlato,nontengonocontodellacontinuaevoluzioneedeidiversi atteggiamenti dei singoli individui verso la propria religione di appartenenza. In altre parole, il lavoro interculturale inizia proprio doveinumerifiniscono.I continui processi di trasformazione del tessuto socio-politicoin relazione alle dinamiche della migrazione, rinviano anche a una serie di sfide per la gestione di progetti interculturali. Peril successo dell’iniziativa, il Progetto ha cercato di promuovere una comunicazione capillare rivolta al complesso della societàcivile, a vecchi e nuovi cittadini, alle Istituzioni, al Volontariato, al Terzo Settore per un coinvolgimento quanto più ampio possibile alle iniziative, in primo luogo dei fedeli immigrati e italiani, cosìcome dei responsabili delle loro comunità religiose. Nel corsodi questa esperienza, ci si è potuto rendere conto dei diversi“livelli” delle comunità religiose. Ad esempio, in alcune intervistee presenze pubbliche i portavoce delle diverse fedi apparivanocome chiaramente distinguibili, legittimando la propria autoritàsocialeereligiosaattraversoriferimentiprecisiaspecifichepratiche, ricorrenze e saperi religiosi. Ciò malgrado l’idea che l’esperienza religiosa dei migranti fosse vissuta all’interno di comunità bendistinteechiaramenteidentificabili,e’statariconsiderata.Ilquadroinfattièquellodimoltepliciattoricheparlanoinnomedideterminate“unitàdifede”,inparteconsovrapposizioni,inparteconrelazioniconflittuali.Inoltre,nonsempreiportavoceufficialidellecomunitàreligioseesprimevanolatotalitàdellecomunitàdeifedeli.Questo rapporto complesso invita alla cautela nella creazione di Reti di dialogo immaginate semplicemente come uno scambio tra compatte comunità religiose, rappresentate automaticamente dailoroleaders.Peraltro,lasfidadiapplicareunapproccioinrelazionealle categorie identitarie, viene resa più complessa da due altri fattori.Neidiscorsipubblici,nonostantelanotevolediversificazionedelle fedi religiose, rimane persistente l’associazione tra processimigratori e l’immagine di un Islam unitario. La forza simbolicadi questa associazione si rispecchia peraltro nelle numerose

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pubblicazioni divulgative sul tema (Branca 2007; Lano 2005), inlavori accademici internazionali sulla scia del volume di Huntigton Loscontrodiciviltà.Evidentementesi trattadiunaposizionechecade nella trappola dell’assunto di una divisione essenzializzata tra “occidente”e“mondo islamico”,che,comenotaMichaelHerzfeld(2005) con chiarezza, “utilizza idee antropologiche in uso primadegli anni Sessanta quando il termine cultura assomigliava molto a quello delle ideologie nazionalistiche. Le culture erano trattate come dotate di mente, reciprocamente incompatibili, che guidavano cose indiscutibili” (p. 35). Seguendo alcune linee del dibattito contemporaneo nelle scienze sociali sull’interculturalismo e i processi di appartenenza, emerge come molti versanti dell’attivismo etnico o religioso non solo utilizzano divisioni sociali preesistenti in modo essenzialista, ma contribuiscono anche a produrle. Il riferimento all’appartenenzareligiosa, in questo caso, può servire come il mattone di un progetto politico mirato alla mobilitazione delle popolazioni piuttosto che un’espressione neutrale di una fede individualistica. Nelleparole diMichael Herzfeld (2005, p. 35), coloro che condannanoil“nazionalismobalcanico”oil“fondamentalismoreligioso”nonsirendono conto della somiglianza tra il proprio fondamentalismoculturaleequellorifiutatodeglialtri,ignorandoancheuncontattosemprepiùintensotralediverseculture/società.L’ultimasfidariguardalasopravvalutazionechespessovienefattadel“fattorereligioso”inrelazionealfenomenomigratorio.Talesovra-valutazione rischia di impedire il processo di “integrazione dinamica” indicato nelle linee guida dell’UE per l’integrazione dei cittadini di paesiterzi.Esiste infatti ilrischiochel’appartenenzanazionaledei“nuoviarrivati” li faccia identificarecon le lorocomunità religiosedi origine. Le prime esperienze degli operatori del Progetto, per contrasto, hanno dimostrato l’inadeguatezza di questo assunto. Sul campo si sono potuti facilmente rendere conto che inmolti casinon esisteva un legame diretto tra “religione” prevalente nel paese dioriginee leformeconcui lastessareligionesiorganizzavanel

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paese di arrivo o di transito. Uno degli esempi più significativi èla composizione sociale molto eterogenea delle chiese pentecostali che,oltreaifedeliafricani,accolgonounagrandevarietàdimigrantidi origini differenti, inclusi latino americani, cittadini cinesi odell’Europa dell’Est, costituendo nel paese di arrivo dei migranti nuovetipologieconfessionali.Nell’insieme,letresfiderinvianoallaconsapevolezzadellacomplessità,fluiditàerelazionalitàdeifenomenimigratoriedelleappartenenzereligiose, così da implicare categorie interpretative capaci di darne conto. Ciò richiede che gli operatori interculturali siano dotati di un sapere specializzato, basato sull’aggiornamento continuo e su una formazionepermanente,fondatosiasuunaletteraturaaggiornatasulmulticulturalismosiasuunasolidaconoscenzadellerealtàlocaliincuioperanoedellelorotrasformazioni.

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a. L’etnicizzazione: le politiche della differenza nell’interculturalismoPer utilizzare l’ esperienza maturata nel Progetto in altri contesti, il Manuale intende proporre un quadro contestuale che stimoli la riflessione sulle sfidedellagestionedeiprocessi interculturali allaluce della letteratura specialistica più recente sulla migrazione, sulle politiche identitarie e le dinamiche interculturali.Semolteformedidiseguaglianzaedifferenzavenivanointerpretatein passato in termini di “classe” o “posizione sociale”, negli ultimi decennisièdiffusalatendenzaarappresentarlecomeilrisultatodidifferenze“etniche”o“culturali”,cosìcomeledifferenzetra“gruppietnici” o “differenze culturali” sono spesso considerate problemicentrali della convivenza. Questospostamentodeldiscorsodimostracheledifferenzeculturalinon sono oggettivamente date, ma sono il risultato di interpretazioni che per diverse ragioni variano nel tempo. Il riemergere nei discorsi pubblicidiunamaggioreattenzionesupresunteoveredifferenze“culturali”,“etniche”o“religiose”èstatodefinitonuovoculturalismo,perché si fonda sul presupposto che queste differenze culturalisianodefinitiveeinsuperabili(Ginsborg2003;Visweswaran2010).Ilculturalismo e’ un orientamento teorico che ebbe il suo periodo di fiorituraneglianniCinquantaeSessantaechesibasavasull’ideachegli individui sono plasmati in primo luogo dalla loro “cultura”, che i gruppiumani“possiedono”uncertotipodicultura,cheiconfinitraigruppiculturalipossonoesseredefiniticonprecisione.Traglistudiosidell’etnicitàquestoorientamentoe’statomessoindiscussione in quanto la “cultura” non può essere considerata un elemento “essenziale” del senso di appartenenza degli individui (“essenzialismo culturale”), perché le culture si evolvono in

IIIIL MANUALE

RIPENSARE L’INTERCULTURALISMO

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continuazione,siframmentanoesiricompongono.La“cultura”nellavita delle persone si affianca ad altri elementi, come ad esempioalle trasformazionieconomiche,alledifferentiposizionisocialieamoltialtrifattori.La“cultura”,infatti,adunosguardopiùanalitico,risultaunfenomenomoltosfuggente,difficilmentedescrivibileconelementi empirici. Il nuovo culturalismo segna un ritorno all’enfasi sulla “cultura”(sull’“identità culturale”) che viene da alcuni studiosi interpretatocome una nuova forma di razzismo, in quanto gli individui sonoimmaginati come caratterizzati per sempre dalle loro “culture”. Il culturalismo, in questo senso, costituisce, produce o reificadifferenze che spesso sono strumentalizzate per tracciare confini,frontiereeseparazioni.Le sfide emerse nel corso del Progetto sono riconducibili invecealla cosiddetta “ipotesi dell’etnicizzazione” elaborata da molti antropologi e studiosi dell’etnicità da alcuni decenni. Secondoquesta ipotesi, gruppi etnici, culturali e religiosi non esistono come cose nel mondo, ma vengono costruite attraverso discorsi e politiche che, riaffermandoedenfatizzando lepresunte “differenze” invecedelle basi comuni, contribuiscono alla costruzione sociale degli stessigruppiea rafforzare il lorosensodi identitàeseparatezza.In questa ottica le differenze etniche o culturali sono prese inconsiderazionenoncomediversitàoggettive,macomeilrisultatodidiscorsi e politiche “multiculturali”. Nelle pratiche quotidiane, invece, ledifferenzeculturalispessononassumonoilruolodibarriere,cheviene loro attribuito dall’esterno. Ad esempio, la ricerca di Andreas Wimmer (2004) sulla costruzione del senso di appartenenza tragruppi di bambini migranti, ha dimostrato che la consapevolezza dell’appartenenza a una “cultura altra” di figli e figlie dimigrantinonèimportantenellacostruzionediamiciziefinoall’interventodioperatori multiculturali che cercano, ad esempio attraverso appositi giochi, di “valorizzare” attivamente le diverse “tradizioni” e “costumi”, creando in questo modo nuove barriere sociali. Mentre la critica al culturalismo e all’essenzialismo si è affermata

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con relativa facilità nel mondo accademico e tra gli operatoriinterculturali, l’idea che il mondo sia diviso in “gruppi” relativamente omogenei e ben distinti nell’ opinione pubblica rimane spesso un assunto riprodotto senza ulteriori specificazioni. In questomodo,le funzioni politiche e sociali dei gruppi (spesso strumentalizzatesia da forze governative che nongovernative) rimangono spessosottovalutate. L’“ipotesi dell’etnicizzazione” si distacca quindi dal “gruppismo” che vede le società inesorabilmente divise in “gruppi” o “comunità”,immaginate come relativamente omogenee e collocate in modo orizzontale tra loro. I gruppi e le comunità simili alle cultureessenzializzate,sonospessoconcepitecomeunaformadi“mosaico”,fattodielementibendistinti,quasifosserodelle“sostanze”.Coerenteconl’“ipotesidell’etnicizzazione”èunaltrofilonediinterpretazionedelle differenze culturali(1) secondo cui le identità collettive nonsono “una cosa nel mondo”, ma piuttosto “una visione del mondo” (Brubacker2004;Vermeersch2005).Ilfattochegliindividuiagisconosulla base di queste visioni del mondo, le rende “reali e potenti” (Veermersch2005,p.467),cosìcome losono igruppisociali chesono parte della nostra visione del mondo. Ricerche basate su questa prospettiva dimostrano in che modo molte pratiche “multiculturali”, promosseanchedallepoliticheufficiali,sottolineandoledifferenzeculturali, creano linee di divisione che successivamente le “politiche di integrazione” cercano di superare. Ilmododivedere,daunlato,leidentitàcomecostruzionisocialie,dall’altro,comedelle“realtà”concuibisognafareiconti,haunaseriediconseguenzepratiche.RogerBrubacker,sociologodell’UniversitàdiHarvard,fanotarecheinquestaprospettivaun“conflittoetnico”non implica necessariamente un conflitto “tra etnie”, nello stessomodoincuiunconflittochesembramotivatosubasireligiosenonèun conflitto tra “religioni”, oppureun conflittoapparentementetra nazioni non è un conflitto tra nazioni. I partecipanti coinvoltinei conflitti, sia religiosi che culturali, tendonoa rappresentare loscontro in termini etnici, razziali o religiosi, ma questi attori, secondo

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Brubacker,adifferenzadeglianalistiodeglioperatoriinterculturali,spessovivono”dalla”e“per” l’etnicità. Inquestomododifferenzeinterne,glieffettidellepoliticheneoliberaliealtredisuguaglianzevengono oscurati, legittimando l’autorità di quegli agenti politiciche si promuovono come rappresentanti dei gruppi considerati omogenei.Nelcasodiconflittitragruppireligiosiquestadinamicapuò avere conseguenze importanti per la loro risoluzione. Ciò accade ad esempio, in Irlanda dove l’IRA parla in nome degli irlandesi cattolici o nel Kosovo dove la KLA parla per gli albanesi cristianidelKosovo,oscurandoilfattochequestigruppihannounsostegno spesso molto debole da parte delle popolazioni nel cui nomeagiscono,chetalorasonoestraneealmodoincuiilconflittoèrappresentato.SecondoPierreBourdieu(1990)invocandoleidentità,esse vengono costruite performativamente e diventano “realtà”riscontrabili a livello di esperienze sia collettive che individuali. Sulla scia di PaulWatzlawick (2006) si potrebbe affermare che ilsensodiappartenenzareligiosooetnicocostituisceuna“profeziachesiauto-determina”:gliattoridelconflittononsonole“etnie”,maorganizzazionispecifiche,sceltepolitiche,strategiedimobilitazionedei leader o di gruppi che si presentano come i rappresentanti delle identitàcollettive;lastessacosapotrebbedirsiperlereligioni.L’ipotesi dell’”etnicizzazione”, quindi, porta a considerare le “buone pratiche” dell’interculturalismo in una nuova luce e spinge a interrogarsisuimodi incui ledifferenzeculturalistannoallabasedi queste pratiche. Essa dirige l’attenzione verso quegli agenti che fissano, categorizzano e naturalizzano le identità come categoriepratiche(Palumbo2001;Remotti2007),consapevolideglieffettidellinguaggio e delle conseguenze politiche di una visione “culturalista” delledifferenze.E’proprioquestorovesciamentodellaprospettivache, rispetto a una prima generazione di discorsi sulla “persistenza etnica/culturale/religiosa”, permette di rinnovare l’approcciointerculturale,tenendocontodeglieffettipoliticidel“gruppismo”edevitando alcuni errori che ostacolano pratiche interculturali mirate al superamentodelle“politichedelladifferenza”.

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b. La fluidità delle categorie identitarie: conseguenze praticheLa conseguenza principale dell’applicazione dell’“ipotesi dell’etnicizzazione” è un certo disagio rispetto alla terminologiaclassicachedescriveledifferenzeculturali.Categoriedianalisicome“identità”,“etnia”e“gruppo”relativamentestatiche, tendono ad essere sostituite con categorie più dinamiche come”processidiidentificazione”,“gruppietnici”o“appartenenzereligiose” (Brubacker 2004;Wimmer 2004; Remotti 2007). Non sitrattaperòdi“celebrare”fluidità,sincretismiefenomeniibridicomefine a se stessi rispetto alle dinamiche di appartenenza statica esolidarietà,comeavvenivaavolteinunaprimafasedidiscussionisulle condizioni della post-modernità (Appadurai 1991; Bhabha1994). Non intendere le appartenenze come oggettivamentedate alla luce dell’ipotesi dell’etnicizzazione, sposta l’attenzione dalla valorizzazione “oggettivante” ed “etnicizzante” di culture immaginatecomealtre,alcarattere relazionaledelle realtàsocialie alla comprensione delle dinamiche politiche alla base della costruzionedelleidentitàcollettiveedeigruppi.I Principi metodologici introdotti dal presente Manuale sono state concepiti sulla base di questo rovesciamento. Non si tratta, infatti,divalorizzareisaperireligiosieculturalicome“valoriinsé”,ma di considerare i singoli portatori delle pratiche religiose e gli esponenti e i rappresentanti pubblici come attori socio-politici che simuovonoall’internodiuncampodiforzeincontinuaevoluzione,dovesiintreccianosapericulturaliereligiosi,opportunitàpolitiche,limitistrutturali.Ilcambiamentonelcampodiforzepuòinnescaredelletrasformazioninellerelazioni.Adesempiolaposizionediungruppo che è minoranza religiosa nel paese di origine e che inquanto tale vi era discriminato, potrebbe cambiare una volta giunto nel paese di accoglienza, dove le proporzioni rispetto al resto della popolazione migrante potrebbero essere diverse, innescando di fattounatrasformazionenelmododiesprimere lapropriafedeenelle relazioni con altri gruppi religiosi.

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E’importante,inquestocontesto,richiamareleriflessionidiPierreBourdieu sul “pensiero relazionale”, che esprime nel suo concetto di “campodi forze” (Bourdieu1990;BourdieueWacquant1992).La sua ricerca di un linguaggio “aperto” permette ai concetti di dispiegarsi,invecediracchiudereifenomeniincategorie,econsente,ad esempio, di situare lo stesso operatore interculturale non più in mezzo ad un “mosaico di culture”, ma all’interno di un “campo” in cuiagisconoagentipoliticispecificieconfinalitàdiverse.Questa maggiore precisione invita a interrogarsi in modo critico sulle categorie, siano esse identitarie, etniche o religiose, in uso presso gli attori collettivi. In questo contesto, studi recenti sulle dinamiche della “rappresentatività” di portavoce di “minoranze”,pongonol’enfasisullacomplessitàdelledinamichediorganizzazionedelle comunità, inclusequelle religioseonazionali. Spessononsidistingueinmodosufficientementecriticotrale“comunità”elelorovariegate articolazioni politiche (ad esempio con più portavoce e più correnti interne),assumendospessocomedatodi fattounacertaomogeneità interna e una coerenza tra gli agenti politicamentevisibili (organizzazioni non governative, reti di mobilitazione, partiti politici). Mettere in luce queste dinamiche multidimensionali può essere il compito di interventi interculturali in grado di superare, ad esempio, la reificazione del legame statico tra migranti e appartenenzereligiose,consapevolideglieffettidell’etnicizzazione.Questi esempi dimostrano l’importanza del ripensamento del rapportotralecomunità,ilororappresentantieledinamicheincuisi articolano le rivendicazioni e appartenenze religiose o identitarie, sfuggendo alle “seduzioni” della loro rappresentazione come uninsiemeorizzontaledicomunitàomogenee(Creed2006).In breve, l’approccio relazionale suggerito dal presente Manuale si incentra su una comprensione delle dinamiche identitarie e religiose noncomesefosseroriferibiliaun“mosaicodicomunità”,macomeuna rete dinamica di relazioni in continua evoluzione, attraversata da molteplici interessi politici, forme di appartenenze e sensi di

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identità. Infatti ladimensione religiosa, rinvia soltantoadunodeidenominatoridell’appartenenza,percuièessenzialevalorizzarenellavoro interculturale anche altri denominatori comuni o meno, ad esempio il genere, la posizione sociale e gli stili di vita, l’appartenenza nazionale.L’acquisizione di questi orientamenti non può che avvenire attraverso specificicorsi formativirivoltiaimediatori,ai leadersdellediversecomunità, ai membri delle associazioni coinvolte nelle politichemigratorie, ai volontari, per promuovere il dialogo interreligioso e una migliore coesistenza. Più in generale essa dovrebbe essere rivoltaancheainuovi“attoridellacittadinanza”(Isin2009)chesonol’insieme dei soggetti e agenti che lottano per l’allargamento e la ridefinizione del concetto di cittadinanza e dei suoi spazi, comead esempio organizzazioni di migranti, organismi non governativi (ong) e reti di appartenenza religiosa. L’ importanzadiquesta formazionederivadal fattochenonsoloè importante sviluppare per le ragioni sopra esposte il dialogointerreligiosotracomunitàdiaccoglienzaemigrantistabilizzatineidiversi paesi ma anche all’ interno dei centri per l’ accoglienza dei rifugiatiedellelororesidenzetemporaneedovespessoiconflittielediscriminazioni tra diversi gruppi di migranti assumono la veste del conflittoreligiosoedelladiscriminazione,taloramessainattoanchedalleforzedell’ordineodaglistessioperatoriedoveènecessarioprevenireancheformediradicalizzazione.I contenuti di questi corsi sono di due tipologie: da un lato i principi metodologici a cui devono ispirarsi gli interventi nel campo del dialogo interreligioso, dall’altro i contenuti tematici che riguardano conoscenze su vari aspetti delle singole religioni: ricorrenze religiose, feste, temporalitàdellepreghiere,possibilitàofferteper lapraticareligiosa,normeinternazionalienazionalisullalibertàreligiosa.Sono elencati qui di seguito soltanto i principi metodologici poiché gliaspetticheriguardanoicontenutisonofacilmenteaccessibiliedivolta in volta variabili a seconda delle circostanze.

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IV PRINCIPI METODOLOGICI PER INTERVENTI

DI DIALOGO INTERRELIGIOSO

1. Adottare un approccio relazionaleIl primo Principio suggerito dal Manuale riguarda l’approccio relazionale rispetto ai problemida affrontare, al finedi rispettarela fluidità delle categorie identitarie. Un tale approccio traducein prassi un pensiero aperto, capace di uscire dalle cornici interpretativeprefissate.Questopuòessereintesocomeiltentativodi non “stigmatizzare” alcuni gruppi sociali in base all’appartenenza, tracciando linee nette di divisione rispetto al gruppo sociale egemone. Esso consente di individuare le politiche pubbliche che, nel tentativodivalorizzarela“culturadell’altro”,difattocontribuisconoalla creazione di quelle barriere che il lavoro interculturale deve poi cercare di superare. Ricerche nell’ambito della linguistica applicata e della pragmatica sugli effetti di potere del linguaggio sugli individui (ad esempioattraverso la capacitàdelle categoriedidefinire ilmondo)hannomesso in evidenza i modi con cui il linguaggio contribuisce alla creazione delle realtà (Watzlawick 2006) e l’ importanza dellaconsapevolezza dei suoi effetti politici per promuovere una suarivisitazione.In questo senso, il Primo Principio che risponde alle sfide dellagestione di progetti interculturali (come quelli realizzati in Umbria sul Dialogo interreligioso), riguarda il tentativo attivo di applicare una terminologia relazionale piuttosto che categorie troppo rigide rispetto alla realtà dinamica della vita quotidiana, che fissano eoggettivizzanosignificatifluidi.Esempidilinguaggiorelazionaledautilizzare che superi divisioni percepite come nette e permanenti sono:

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2. Uscire dalle cornici di cui si è partePensarealdifuorideglischemiconsueti,SecondoPrincipiodiquestoManuale,èunacomponenteindispensabiledellavorointerculturale.Uscire dalle categorie interpretative preconfezionate, infatti,significanon semplicemente il superamentodei propri pregiudizineiconfrontidialtreformedisocialitàoappartenenza,maancheuncontinuo mettere in discussione le conoscenze acquisite nell’ottica di un processo continuo. L’intellettuale ed attivista interculturale Alexander Langer (1996) richiama inquesto contesto la necessitàdi definire e delimitare le appartenenze “nel modo meno rigidopossibile”,nonescludendo“appartenenzeeinterferenzeplurime”.Atitolodiesempiodicosaquestopossasignificareinunapprocciointerculturale Mariella Sclavi (2003) propone il “gioco dei novepunti” che suggeriamo come un valido esercizio per uscire dalle cornici interpretative di cui siamo parte. Ai partecipanti del gioco vienechiestodiunirenovepunticollocatiaformareunquadrato,tracciando quattro segmenti in linea retta, senza mai staccare la pennadal foglio.Sesi restaall’internodellacornicecostituitadainove punti, è impossibile risolvere il gioco. Nelmomento invecein cui si prolunga uno dei segmenti in linea retta oltre i limiti del quadrato, il gioco diventa facilmente risolvibile. In altre parole,invece di cercare la soluzione all’interno dello stesso schema, diventa necessario cambiare la cornice interpretativa. L’importanza dell’esempio del “gioco dei nove punti” diventa evidente nel lavoro interculturale in diverse circostanze.

Cultura,Identità=> “ordiniculturali”/“formedi appartenenza”.Clandestino,Extra-communitario=>“senzapermessodisoggiorno”/ “cittadino di paesi terzi”.l’Islam,laChiesaOrtodossa=> “fediislamiche”/”confessioni ortodosse”.

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3. Adottare un approccio di genere Il Terzo Principio implica la necessità di tenere conto che unadimensionecostantedell’identitàpersonaleèquelladelgenereechenonèpossibileunrealeconfrontosenza tenerecontoche larealtàumanaèsessuata.Anche l’appartenenza di genere non costituisce un’ essenza, un carattere proprio degli individui. Come sottolineano Candace WesteDonZimmerman,collocandol’identitàsessualeinrapportoall’interazione, il genere coincide con l’attività stessa, essa è una“realizzazione rutinaria, sistematica e ricorrente(...) Sono gli individui che fanno ilgenere.Masi trattadiun fare situato, realizzatoallapresenza virtuale o reale di altri individui che si presume siano orientati in direzione della sua produzione ” (p.126). Se le formedell’ identità di genere sono variabili e si producono dentro leinterazioni sociali, in unadinamicadi produzionedella differenzarispettoall’altro,nonsignificachedisuguaglianze,discriminazioniedifferenzenonsicostruiscanolungolalineadelgenere.Alcontrario”laprofonditàdelleformeconcuicisisentediappartenereadunsesso,aungenereoaunaltroèsostenutodaistituzionisocialidallafamiglia,allascuola,chemodellandoicorpiacquistanostabilitàenaturalità”(Papa2018,p.33).Utilizzarelalentedelgenerepermettedunquedicomprenderemeglioanchelerealtàmigranticompresala modulazione su questa linea dell’ appartenenza religiosa e di tenere conto anche delle violenze di cui sono vittime le donne, talora proprio in nome della religione. Proprio per ridurre disuguaglianze e discriminazioni si dovrebbe valorizzare il ruolo delle donne all’internodeiprogrammididialogointerreligiosooffendolorounaopportunitàdiempowerment.

4. Adottare un approccio che tenga conto delle generazioniIl Quarto Principio implica la necessità di considerare che unadimensionecostantedell’appartenenzaèquelladellagenerazionee chegli interventidevonoesseremisurati anche inbaseall’ età,tenendo conto per quanto riguarda i più giovani sia degli spazi

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educativiformalichediquelli informali.E’certamenteimportante,anche ai fini dell’esercizio di una piena cittadinanza, che i piùgiovani trovino nella scuola le opportunità di integrazione edialogo attraverso la costruzione di spazi comuni, rafforzandovalori condivisi e realizzando occasioni e momenti aggregativi. Che questeattivitàabbianounesitopositivoquandovengonoattivateè dimostrato anche da studi recenti sui ragazzi più grandi delleSeconde Generazioni, chemostrano la loro capacità di uscire daschemi che costruiscono gerarchie e disuguaglianze. Studi sulle formediappartenenzadelle“SecondeGenerazioni”dimostranoadesempio una maggiore consapevolezza dei diritti di cittadinanza, che vengono concepiti in maniera più attiva e intraprendente (Falteri eGiacalone2011)rispettoallagenerazionedeipadri,mettendoindiscussione lemodalità in cui essa viene intesa. Tuttavia sarebbeutile che venissero inserite attivitàdidialogo interreligiosoanchenelleoccasionidiincontroeformazioneperipiùgiovaniorganizzatespessopropriodaigruppireligiosiattraversoformedicooperazionetra i vari gruppi religiosi. E’ infatti necessario che la formazionereligiosadeipiùgiovaninonsi trasformi in formedisettarismoechiusuramasiaapertaalconfrontoealdialogo. 5. Costruire spazi comuni e reti orizzontaliIlQuintoPrincipioinvitaafareunsaltoinavanti,anonfermarsiaduna“comprensionedell’altro”chefissaeoggettivizzaleconoscenzein rigide categorie. La consapevolezza della relatività dei proprivalori è intesa nel Manuale come una base che conduce allacreazione di reti orizzontali e spazi comuni, in cui trovano spazio formedivitaedisocialitàdiverse,atutti i livelli,dalleprospettiveculturali all’appartenenza religiosa, dall’ appartenenza di genere alla posizione sociale. L’analisi sistematica di progetti interculturali (Al-Haj 2002;Veermersch2005)insegnacheilsuperamentodellebarrieresocio-culturaliavvienepiùfacilmentequandoundeterminatointerventononsifermaaunoscambiodiideeeall’acquisizionediconoscenze

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reciproche.Adesempio,èstatodimostratocomei“circolididialogo”ed iniziative finalizzate a sviluppare la “conoscenza dell’altro”possonoportareadunrafforzamentodeglistereotipi,sesibasanosucategorieinterpretativetropporigide(Pettigrew2008).Maggior successo hanno invece interventi che coinvolgono i partecipantiattivamentenellacostruzionedispazidisocialitàchecreano interessi comuni, ad esempio la realizzazione di momenti aggregativi, la partecipazione ad eventi comuni, l’attivazione di una reteinformaleodistituzionalechecreivisibilitàpubblicacomuneaisoggetti coinvolti. Con questo non si intende semplicemente una valorizzazione delle “culture altre”, ma la creazione di reti orizzontali e spazi condivisi, in grado di affrontare la diversità non solo culturale, ma anchedi genere e di classe sociale.Molti sono in tal senso i fattori daprendere in conto. 6. Considerare centrali contatti personali e ‘“ascolto attivo”IlSestoPrincipio riguarda lacentralitàdeicontattipersonalinellepratiche di coinvolgimento dei rappresentanti di gruppi sociali che si trovano spesso in una posizione difensiva e scettica neiconfronti delle Istituzioni e di altre componenti della societàcivile. Attraverso un’adeguata valorizzazione dei contatti personali diventapossibilelacreazionediretiorizzontalibasatesullafiducianecessaria a intraprendere cammini comuni. L’esperienza dimostra che l’avvicinamento a gruppi marginali tramite canali ufficiali,oppureviaposta,emailotelefono,quasisemprerisulta inefficacee inadeguata. Al contrario la costruzione di reti amicali e di contatti personali,lacondivisioneorizzontalecheavvieneinincontrifacciaa faccia, permettedi superarediffidenze egettare le basi per uncoinvolgimentocontinuochepuòrimanerepiùfacilmentestabileeaprire spazi per l’attivazione di interventi o di collaborazioni. Una gestione articolata degli incontri personali può avvalersi delle esperienzedell’“ascoltoattivo”,nonsoltantopercreareifondamentidifiduciareciproca,maancheperriflettereattivamentesulprogresso

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delle iniziative stesse. Secondo il lavoro “Arte di ascoltare e mondi possibili”diScalzi (2003,p.63), l’ascoltoattivovabasatosusetteregole:a.Nonaverefrettadiarrivareadelleconclusioni,chesonolapartepiùeffimeradellaricerca.

b. Quel che si vede dipende dalla prospettiva in cui ci si trova. Per riuscire a vedere la prospettiva, si deve cambiare prospettiva.

c. Se si vuole comprendere quel che un altro sta dicendo, si deve assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a capire come e perché.

d.Leemozionisonomezziconoscitivifondamentalinelcasoincuisisappiacomprenderneillinguaggio.Noninformanosucosasivede,masucomesiguarda.Illorocodiceèrelazionaleeanalogico.

Unbuonascoltatoreèunesploratoredimondipossibili. Isegnalipiù importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza comeal tempostesso trascurabili e fastidiosi,marginalie irritantiperché incongruenti con le proprie certezze.Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni peresercitarsi in un campo che lo appassiona. E’ questa la gestione creativadeiconflitti.Per diventare esperto nell’arte di ascoltare, si deve adottare una metodologia umoristica. Ma quando si è imparato ad ascoltare,l’umorismo viene da sé”. 7. Rispondere in modo creativo ai conflittiIl Settimo Principio riguarda proprio lo sviluppo consapevole di tecniche e strumenti adeguati per gestire i conflitti, che puòessere considerata una parte integrante non soltanto del lavoro interculturale, ma in generale dell’attivazione di iniziative destinate ad avere un impatto rilevante sui diversi soggetti socio-politici. Dall’ ideadelconflittocomeminacciaènecessariopassareall’ ideadelconflitto come risorsa chepuòprodurremigliori relazioni.Perché

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questopossaaccedereènecessarioconsiderarechelasoddisfazionedei propri bisogni non debba necessariamente corrispondere alla eliminazione di quelli dell’altro. Che necessariamente ci debba essere un vincitore e un perdente.Una“gestionecreativadeiconflitti”(Scalzi2003)dovrebbefondarsinon soltanto sulle tecniche dell’“ascolto attivo” ma anche sulla capacità di rispettare le diverse cornici di riferimento degli attoricoinvolti.Invecedifermarsialconfrontodelleposizioni,lagestionecreativaindagheràsuilorointeressiesuciòchehaportatolepartiad assumere determinate posizioni. E’ un approccio che si può collegare alle riflessioni del filosofodellanon-violenzaAldoCapitini(1955)incontinuitàconilpensierodi Gandhi, sulle idee di “apertura” e “religiosità aperta” capaci diaccogliere nella conoscenza qualcosa di più ampio dei singoli individui e del mondo che si percepisce nell’ esperienza, che può gettare le fondamenta per un’apertura intesa come “sporgenzadella prassi”.

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VIALLEGATI

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Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020 Obiettivo Speci�co 2.Integrazione / Migrazione legale - Obiettivo nazionale ON

3 - Capacity building lett. m) - Scambio di buone Pratiche - Inclusione sociale ed economica SM

Il dialogo interreligioso per il governo del territorio Protocollo di intesa tra

prefettura - UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI PERUGIA

e comunità di fede del territorio

Premessochel’arrivodisignificativiflussimigratorihaportatoadunatrasformazioneradicaledelcamporeligiosoperl’entratainscenadinuoviattoriconfedivecchieenuove,dall’induismoall’islam,sinoanuovimembriditradizionireligiosegiàpresenti:cattolici,ortodossi,ebrei, protestanti, buddhisti;

Consideratochetalipresenzesonoconnotatedadifferentivisionidel mondo, tradizioni, pratiche, immagini, simboli, componendo in questo senso un mosaico complesso attraversato da numerose divisioni di tipo etnico, linguistico, nazionale;

Consideratocheemergecondifficoltàunacorrettapercezioneditale fenomeno e del suo consapevole riconoscimento, sebbeneormaitalepluralismocoinvolgaunnumerosignificativodipersone,valeadireunaparteimportantedellasocietàumbraeditaliana,

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Considerato che a fronte di una articolata presenza di comunitàreligiose poche sono le Reti di collegamento interreligiose attivate, così come largamente insufficienti sono le iniziative di contatto,dialogoeconfrontotracomunitàreligioseefedeli,italianiestranieri;

Considerato che ne risulta, in particolare per la stragrande maggioranzadelle comunità “altre”, unamarginalizzazione che lecostringespesso inposizionepersinodifensiva,anchearischiodialcunediderivefondamentaliste;

Considerato che questa situazione non consente di valorizzare il fortevaloreaggregativochel’appartenenzareligiosarivestepergliimmigratiné la funzionedi tramitechepotrebbeesercitareaifinidella riuscita del processo di integrazione;Considerato che l’appartenenza religiosa, in termini di fede e diadesioneadunacomunitàdifedeli,rappresentaperl’individuounodeifattoridellapiùgeneraleappartenenzasociale;

Visto tuttavia che debitamente valorizzato lo sviluppo e il consolidamentodi undialogo tra i fedeli, immigrati ed italiani, elelorocomunitàpotrebbecostituireunfattoredeterminanteaifinidella coesione sociale sul territorio;

Vistochelapartecipazionedellecomunitàdifedeall’internodegliOrganismi territoriali, quali Prefettura, Questura e Comuni, puòfavorireedalimentareunafattivainterlocuzionesutemieproblemidi comune interesse;

Valutati in questo senso in termini molto positivi i due incontri tenutisisulDialogointerreligiosotralecomunitàdifedepresentisulterritorioequantihannolaresponsabilitàistituzionaledigarantirelacoesionesociale,segnatamentePrefetturaeQuestura;

Preso atto delle convergenti conclusioni di tali incontri sulla opportunità di mantenere nel tempo l’acquisizione del Dialogointerreligioso come strumento per migliorare la reciproca

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conoscenza tra comunità edOrganismi istituzionali, ai fini di unabuona governance del territorio;

Le Parti si impegnano a porre in essere quanto necessario per promuovere ilDialogo interreligiosocosìcome loStato italianoèchiamato ad assicurare:

Articolo1.Quantopremesso formaparte integrantedelpresenteProtocollodi Intesa.

Articolo2Obiettivi del Protocollo

prendere atto di presenze che connotano un mosaico molto complesso e diversificato, impegnandosi in un ascolto attivo chefacilitil’approcciorelazionalefavorireiniziativeedincontriperiodicichestimolinolaconoscenzareciproca e rafforzino la metodologia del Dialogo interreligiosocome strumento di convivenza ed integrazioneprospettare convintamente un Modello di convivenza nel quale le diverseesperienzereligiosepossanofavorirelapienaintegrazionenel contesto di accoglienza

Articolo 3Azioni prioritarie del Protocollo

impegnare gli Organismi istituzionali coinvolti a convocare con regolaritàilTavoloInterreligiosoesupportarelarealizzazionedellostessopromuovere iniziative preliminari e stilare documenti utili alla realizzazione del Tavolo, anche su sollecitazione delle Parti, nonché iniziative e spazi di attività comuni che facilitino il dialogo e lerelazioni personali discutere di temi e problemi prospettati dagli Organismi

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costituzionalmenteproposti,nonchédallecomunitàdifedechenefaccianorichiestapromuovere e rafforzare una Rete tra le Parti (Comunità di fede,Istituzioni, Amministrazioni), al fine di facilitare lo scambio diinformazioni anche su quanto convenuto al Tavolo e in ulterioriincontri

Articolo 4Con quale approccio

promuoveremodalitàdiascoltochedianogaranzieidoneeaffinchéil dialogo si svolga senza restrizioni e condizionamenti né per la libertàdireligione,néperilpluralismoconfessionaleeculturalegestire gli incontri tenendo in conto il fatto che l’appartenenzareligiosa non è uno spazio chiuso, ma al contrario un contestoaperto incuiaciascunodevepoteressere riconosciuta lavaliditàdel proprio ambito

Articolo 5Modalitàdiattuazione

NellospiritodelpresenteProtocollod’Intesa,alfinedidarnepienaattuazione nel tempo, le Parti PREFETTURA DI PERUGIA E LE COMUNITÀ:

Ufficioperl’EcumenismoeilDialogoInterreligiosoChiesa Valdese di Perugia

Chiesa Ortodossa Rumena Perugia Centro Culturale Islamico di Perugia

Centro Islamico Culturale C.I.C. Église Évangélique Temple Sion Perugia

TheRedeemedChristianChurchofGodPerugiaMinistero Apostolico Paz a las Naciones Perugia

IstitutoBuddistaItalianoSokaGakkaiChiesa Cristiana Evangelica Pentecostale Movimento Missionario

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Mondiale Perugia GloriousGospelofChristMinistryInt.Perugia

siimpegnanoastimolareefavorireleformedicoinvolgimentopiùampie e auspicate da tutti i Soggetti interessati allo sviluppo delle iniziative individuate nel Protocollo.Il presente Protocollod’Intesanonprevede impegni finanziari daparte dei sottoscrittori.

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Il dialogo interreligioso per il governo del territorio

Protocollo di intesa

Tra

Aliseicoop E

Comune di Qualiano, Villaricca, Mugnano e Bacoli

Di seguito congiuntamente indicati come le Parti Premessa la necessità di prendere atto del fatto che il processo migratorio ha determinato negli ultimi anni un pluralismo religioso, per l'entrata in scena di nuovi attori con fedi vecchie e nuove, dall'induismo all'islam, passando per religioni etniche, sino a nuovi membri di tradizioni religiose già presenti: cattolici, ortodossi, ebrei, protestanti, buddhisti; Considerato che tale nuovo pluralismo nasce e si sviluppa per la presenza di fedi religiose connotate da differenti visioni del mondo, tradizioni, pratiche, immagini, simboli, componendo in questo senso un mosaico complesso attraversato da numerose divisioni di tipo etnico, linguistico, nazionale; Considerato che emerge con difficoltà una corretta percezione di tale fenomeno, la presenza di nuove comunità di fede poco presenti sul territorio campano, come pentecostali, evangelici, questi ultimi molto presenti, sebbene ormai tale pluralismo coinvolga un numero significativo di persone, vale a dire una parte importante della società campana ed italiana, Considerato che poche sono le Reti di collegamento interreligiose attivate, così come largamente insufficienti sono le iniziative di contatto, dialogo e confronto tra comunità religiose e fedeli, italiani e stranieri; Considerato che ne risulta, in particolare per la stragrande maggioranza delle comunità “altre”, una marginalizzazione che le costringe spesso in posizione persino difensiva, anche a rischio di alcune di derive fondamentaliste, che possono portare a situazioni potenzialmente difficili da governare; Considerato che questa situazione non consente di valorizzare il forte valore aggregativo che l'appartenenza religiosa riveste per gli immigrati né la funzione di tramite che potrebbe esercitare ai fini della riuscita del processo di integrazione;

1

Progetto cofinanziato da

UNIONEEUROPEA

Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020Obiettivo Specifico 2.Integrazione / Migrazione legale - Obiettivo nazionale ON 3 - Capacity building

lett. m) - Scambio di buone Pratiche - Inclusione sociale ed economica SM

Percorsi di informazione/approfondimento di capacity building

sul pluralismo religioso esistente nel paese

Le appartenenze religiose in Italia*

1. Va innanzitutto richiamata l’attenzione sul fatto che Istituzioni ed Opinione pubblica in generale, non sembrano accorgersi della nuova realtà della complessa scena religiosa nazionale. Risulta evidente che calcolare come una certa popolazione si ripartisca in base all'appartenenza religiosa dei propri membri, sia un'operazione resa tanto più difficile dal carattere inevitabilmente sfumato che ha la stessa nozione di "appartenenza religiosa”. D'altra parte, è pur vero che un simile calcolo risulta quanto mai utile sia per comprendere esattamente il contesto multireligioso in cui - volenti o nolenti - siamo chiamati a vivere, nelle nostre società irreversibilmente multiculturali, sia per acquisire una conoscenza più corretta del fenomeno, almeno a livello quantitativo, al di là delle continue mistificazioni e distorsioni ideologiche al riguardo. In tale ottica, occorre tuttavia tenere conto, da un lato, che è impossibile rilevare e misurare direttamente l'appartenenza religiosa di un universo di persone, dal momento che si tratta di un'informazione sensibile non immediatamente acquisibile e, dall’altro, che ai fini di una misurazione quantitativa, la “appartenenza religiosa" non può che intendersi in senso lato, considerato l’ampio ventaglio di atteggiamenti in cui si esplica, e l'imperscrutabile sfera personale di adesione (più o meno ampia e intensa) ai principi della religione di riferimento. Per queste ragioni si dovrà fare ricorso, per una stima la più attendibile possibile, alla provenienza da un contesto socio-territoriale, che sarà ovviamente informato a valori e ideali riconducibili a specifiche tradizioni religiose, le quali a loro volta si presume che abbiano improntato, ciascuna in misura proporzionale alla loro diffusione, la visione e il comportamento culturale dei soggetti nati ed educati in quei contesti.

* A cura di Aliseicoop.

Il dialogo interreligioso per il governo del territorio

Protocollo di intesa

Tra

Aliseicoop E

Comune di Qualiano, Villaricca, Mugnano e Bacoli

Di seguito congiuntamente indicati come le Parti Premessa la necessità di prendere atto del fatto che il processo migratorio ha determinato negli ultimi anni un pluralismo religioso, per l'entrata in scena di nuovi attori con fedi vecchie e nuove, dall'induismo all'islam, passando per religioni etniche, sino a nuovi membri di tradizioni religiose già presenti: cattolici, ortodossi, ebrei, protestanti, buddhisti; Considerato che tale nuovo pluralismo nasce e si sviluppa per la presenza di fedi religiose connotate da differenti visioni del mondo, tradizioni, pratiche, immagini, simboli, componendo in questo senso un mosaico complesso attraversato da numerose divisioni di tipo etnico, linguistico, nazionale; Considerato che emerge con difficoltà una corretta percezione di tale fenomeno, la presenza di nuove comunità di fede poco presenti sul territorio campano, come pentecostali, evangelici, questi ultimi molto presenti, sebbene ormai tale pluralismo coinvolga un numero significativo di persone, vale a dire una parte importante della società campana ed italiana, Considerato che poche sono le Reti di collegamento interreligiose attivate, così come largamente insufficienti sono le iniziative di contatto, dialogo e confronto tra comunità religiose e fedeli, italiani e stranieri; Considerato che ne risulta, in particolare per la stragrande maggioranza delle comunità “altre”, una marginalizzazione che le costringe spesso in posizione persino difensiva, anche a rischio di alcune di derive fondamentaliste, che possono portare a situazioni potenzialmente difficili da governare; Considerato che questa situazione non consente di valorizzare il forte valore aggregativo che l'appartenenza religiosa riveste per gli immigrati né la funzione di tramite che potrebbe esercitare ai fini della riuscita del processo di integrazione;

IL DIALOGO INTERRELIGIOSO PER IL GOBERNO DEL TERRITORIO

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Considerato che l’appartenenza religiosa, in termini di fede e di adesione ad una comunità di fedeli, rappresenta per l’individuo uno dei fattori della più generale appartenenza sociale; Visto tuttavia che debitamente valorizzato lo sviluppo e il consolidamento di un dialogo tra i fedeli, immigrati ed italiani, e le loro comunità di fede potrebbe costituire un fattore determinante ai fini della coesione sociale sul territorio; Visto che la conoscenza ed i contatti da parte delle istituzioni, potrebbe favorire ed alimentare una fattiva interlocuzione su temi e problemi di comune interesse; Valutati in questo senso in termini positivi gli incontri attivati da Alisei con le comunità di fede presenti sul territorio e quanti hanno la responsabilità istituzionale di garantire la coesione sociale, come i Comuni; Preso atto delle convergenti conclusioni emerse in tali incontri sulla opportunità di promuovere incontri tra gli organismi istituzionali e le comunità di fede come strumento per migliorare la reciproca conoscenza, ai fini di una buona governance del territorio; Le Parti si impegnano a porre in essere quanto necessario per promuovere il Dialogo interreligioso così come lo Stato italiano è chiamato ad assicurare:

Articolo 1. Quanto premesso forma parte integrante del presente Protocollo di Intesa.

Articolo 2

Obiettivi del Protocollo

− Prendere atto di presenze che connotano un mosaico molto complesso e diversificato,

impegnandosi in un ascolto attivo che faciliti l'approccio relazionale − Favorire iniziative ed incontri periodici che stimolino la conoscenza reciproca e rafforzino la

metodologia del Dialogo interreligioso come strumento di convivenza ed integrazione − Promuovere un Modello di convivenza nel quale le diverse esperienze religiose possano

favorire la piena integrazione nel contesto di accoglienza

Articolo 3

Azioni prioritarie del Protocollo

− Impegnare i Comuni coinvolti a convocare un Tavolo Interreligioso con le differenti comunità di fede;

− Promuovere iniziative preliminari e stilare documenti utili alla realizzazione del Tavolo, anche su sollecitazione delle Parti, nonché iniziative e spazi di attività comuni che facilitino il dialogo e le relazioni personali

− Discutere di temi e problemi che eventualmente sono prospettati dagli Organismi costituzionalmente proposti e da ciò che le comunità di fede prospetteranno

− Promuovere e rafforzare una Rete tra le Parti (Comunità di fede, Istituzioni,

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Amministrazioni), al fine di facilitare lo scambio di informazioni anche su quanto convenuto al Tavolo e in ulteriori incontri italiani ed immigrati

Articolo 4 Modalità di attuazione

Nello spirito del presente Protocollo d'Intesa, al fine di darne piena attuazione nel tempo, le Parti si impegnano a stimolare e favorire le forme di coinvolgimento più ampie e auspicate da tutti i Soggetti interessati allo sviluppo delle iniziative individuate nel Protocollo. Il presente Protocollo d’Intesa non prevede impegni finanziari da parte dei sottoscrittori. Napoli, 25 marzo 2020 Elenco e firma sottoscrittori: Comune di Qualiano - ll Sindaco Raffaele De Leonardis:

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La migrazione diventata ormai fenomeno strutturale -da tempoalimentatoda costanti, nuovi arrivi di rifugiati e richiedenti asilo-imporrebbe che si acquisissero sino in fondo imutamenti indottidallapresenzadinuovicittadininellastrutturastessadellasocietà,cioè,difatto,nelnostrocomplessivosistemadiconvivenza.

Inquestosensoilprimomutamentodicuiprendereatto,èilfattoreoggettivo che nellasocietàcontemporaneanonsipuòdisconoscereilruoloassuntodallacomponentedellaidentitàreligiosa.Equestoperché la religione costituisce un elemento fondamentale diidentità,unospaziodimemoriaperogniculturaeinquestosensoun importante tramite per la convivenza. Difatto,ilriconoscimentoedilrispettodellafedediciascuno,puòcontribuireinmodosignificativo:almiglioramentodeirapportitragliuomini, ad un percorso di scoperta reciproca, ad una collaborazione trasocietà,cultureereligionie,nondaultimo,adunacondivisionedellacentralitàdeidiritti-doveridiciascuno.

Questa è la finalitàdelpresenteManuale chedelineaunaBuonaPratica per la gestione di processi interculturali attraverso un approccio incentrato su una comprensione delle dinamiche identitarieereligiosenoncomesefosseroriferibiliaun“mosaicodicomunità”,macomeunaretedinamicadi relazioni incontinuaevoluzione, attraversata da molteplici interessi politici, forme diappartenenzeesensidiidentità.