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Il Dialogo interreligioso al di là dei conitti: un punto di vista cristiano P. Felix Körner, S.I. (Decano della Facoltà di Missiologia della Ponticia Università Gregoriana, Roma) Procederemo in tre momenti: 1 Dove siamo. Consapevolezza, relazione, riessione 2 Dove vogliamo andare. Speranze, livelli, temi 3 Il costo da pagare. Chiarezza, giustizia, successo Ogni momento rivisiterà il titolo “Il dialogo interreligioso al di là dei conitti” e cercherà di svelare alcune sue nuove dimensioni. Quello che potremo scoprire sarà: a. Il dialogo ci conduce oltre i conitti b. Il dialogo non risolve tutti i conitti c. Il dialogo è più che risolvere i conitti Prima di tutto questo, tuttavia, dovremo fare alcune osservazioni preliminari sul dialogo interreligioso. 0 Comprendere il dialogo a Filologia Il termine “dialogo” è un’acquisizione relativamente recente nel vocabolario della Chiesa. I testi ecclesiastici lo usarono per la 131|132 prima volta durante il Concilio Vaticano II, ma prima che Carità e Missione Rivista di studi e formazione vinenziana 11 (2011), 131–155

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Il Dialogo interreligioso al di là dei conflitti: un punto di vista cristiano

P. Felix Körner, S.I.(Decano della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Gregoriana, Roma)

Procederemo in tre momenti:1 Dove siamo. Consapevolezza, relazione, riflessione2 Dove vogliamo andare. Speranze, livelli, temi3 Il costo da pagare. Chiarezza, giustizia, successo

Ogni momento rivisiterà il titolo “Il dialogo interreligioso al di là dei conflitti” e cercherà di svelare alcune sue nuove dimensioni. Quello che potremo scoprire sarà:

a. Il dialogo ci conduce oltre i conflittib. Il dialogo non risolve tutti i conflittic. Il dialogo è più che risolvere i conflitti

Prima di tutto questo, tuttavia, dovremo fare alcune osservazioni preliminari sul dialogo interreligioso.

0 Comprendere il dialogo

a FilologiaIl termine “dialogo” è un’acquisizione relativamente recente nel vocabolario della Chiesa. I testi ecclesiastici lo usarono per la 131|132 prima volta durante il Concilio Vaticano II, ma prima che

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esso apparisse in uno di questi documenti, lo troviamo in una lettera: il Papa appena eletto, Paolo VI, menziona il dialogo nella sua prima enciclica Ecclesiam Suam, del 1964.Il pontefice descrive la Chiesa di oggi in un triplice modo: deve essere una Chiesa con maggiore coscienza di se stessa, di rinnovamento e di dialogo. Ispirato dal dialogo di Dio con la creazione, il Papa chiama la Chiesa a dialogare a tutti i livelli: il dialogo con il mondo, il dialogo interreligioso, il dialogo ecumenico, il dialogo intra-ecclesiale, vengono esplicitamente menzionati. Sebbene il Papa fosse chiaramente influenzato dai filosofi francesi e dal loro pensiero sul dialogo, il testo latino della lettera non usò il termine “dialogus”, ma “colloquium”. Ciò fa pensare che l’apertura e l’onestà richieste per entrare in un vero “dialogo” abbiano ceduto il posto ad un parlare definito ma senza impegno. La scelta dei termini, comunque, può avere anche delle semplici ragioni idiomatiche.1La Gaudium et Spes, un anno più tardi, sarà marcata dall’atteggiamento di “dialogo” come il suo leitmotiv e userà anche il termine latino “dialogus” senza inibizioni, alternandolo con “colloquium”. Essa cita perfino l’enciclica inaugurale di Paolo VI, come se il termine “dialogus” vi si trovasse.2 132|133

b TerminologiaPossiamo definire cosa sia il dialogo? Dobbiamo stare attenti. Definire i termini all’inizio è una metodologia scolastica. Più che una coerenze terminologica – una virtù matematica – dovremmo guardare all’atteggiamento biblico di fedeltà creativa, anche nelle parole. La fedeltà non dice esattamente che sappiamo già quello che significano le parole che usiamo e che vi aderiremo rigidamente. Nella storia della salvezza c’è una promessa, e perciò un rischi, nelle parole usate: basti pensare ai termini “Messia” o “Signore”.3Ciononostante, una definizione preliminare di “dialogo” può risultare utile.Dialogo è ciò che accade se ho una mia visione e mi interesso a qualcuno che la vede diversamente.

c EpistemologiaLa definizione ci porta a sette caratteristiche di un attegimaneto veramente dialogico:1. Il mio punto di partenza non è una “posizione”, nel senso che ho deciso di credere questo o

quello; se parlo di una “visione” invece che di una posizione, affermo di avere un contatto con la realtà;

2. ma sono anche consapevole del fatto che quello che affermo è soltanto una visione delle cose; accetto la differenza tra visione e realtà, come anche la possibilità di altre visioni;

3. ed ora, in effetti, riconosco che c’è qualcuno con un’altra visione.

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1 Per Tommaso d’Aquino dialogus/dyalogus designa un genere di opere letterarie, specialmente quelle di papa Gregorio, mentre per “conversazione” egli usa il termine colloquium. Colloquio è anche il termine usato da Ignazio di Lodola per indicare l’incontro dell’esercitante con Maria, Gesù e il Padre, al termine di una meditazione o contemplazione. (Esercizi spirituali, § 45 etc.).

2 Gaudium et Spes, § 40, nota 81.

3 Pietro, in opposizione a Gesù, sembra iniziare con un concetto (scolasticamente) definito di “Messia” e dovrà scoprire che non è la sua definizione, ma la vita stessa di Gesù a dare il “vero” significato del termine. Κύριος/kurios si rivela essere l’equivalente di “Rabbi” (maestro), e di “Signore” (per l’imperatore romano), e di “Adonai” (JHWH).

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4. Non necessariamente devo rinunciare alla mia visione, né la devo immediatamente riaffermare, cercando di convincere l’altro;

5. Sono, piuttosto, interessato al fatto che qualcuno può avere un’interpretazione diversa, una “visione” diversa, vale a dire esperienza, piuttosto che illusione;

6. Mi interesso alla persona che ha questa visione diversa;7. e mi chiedo se è corretta la sua visione, o la mia, o entrambe, o nessuna delle due.Questa breve riflessione epistemologica mostra che il dialogo non è un annullamento di se stessi, un’espressione di insicurezza patologica, ma un sano realismo mentale, che include, anche quando si tratta di religioni, l’affermazione coraggiosa che nella tua credenza tu sei in contatto con la realtà e proprio per questo può essere in errore o incompleto nella tua visione. Non è semplice buona educazione ciò che ti porta a cambiare idee: le cambi perché sei giunto ad una nuova percezione della realtà. 133|134

d CronologiaUna contestualizzazione del rapporto tra cattolici e musulmani deve fornire due cornici. Gli avvenimenti più recenti devono essere brevemente richiamati; in secondo luogo si deve analizzare, in modo più riflessivo e dettagliato, l’atteggiamento della Chiesa negli ultimi cinquant’anni.

Novembre 2004. L’Istituto Aal al-Bayt, sostenuto dalla famiglia reale hascemita di Giordania, lancia due importanti documenti: il cosiddetto Messaggio di Amman4, un tentativo di creare un dialogo intra-islamico e di ricordare a musulmani e non musulmani la missione non violenta dell’Islam e il Messaggio interconfessionale di Amman. In esso il re Abdullah fa un appello alla benevolenza e al dialogo tra Ebraismo, Islam e Cristianesimo e cita il comandamento biblico dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.

Natale 2005. Il neoeletto Papa Benedetto XVI pubblica la sua prima enciclica, Deus caritas est.

Marzo 2006. Papa Benedetto pone il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (PCDI) sotto la direzione del Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, il Cardinale Paul Poupard, e nomina l’allora Presidente del PCDI, Mons. Michael Fitzgerald, M.Afr., nunzio apostolico in Egitto.

12 settembre 2006. Papa Benedetto tiene una lezione accademica a Ratisbona. Sottolineando la centralità del logos (ragione) per il Cristianesimo, egli la contrappone al carattere violento ed inumano dell’Islam. Sebbene si trattasse di una citazione di un’affermazione dell’imperatore Michele II Paleologo del 1391, e sebbene con riserve verso tale affermazione, le parole del Papa furono intese come un insulto all’Islam.

12 ottobre 2006. 38 personalità musulmane scrivono una lettera aperta al papa, esprimendo il loro dissenso verso i contenuti e il tono della lezione di Ratisbona, chiedendo una nuova fase nel dialogo.

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4 www.ammanmessage.com

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28 novembre 2006. Benedetto XVI, nel suo discorso al Direttorato degli Affari Religiosi di Turchia ad Ankara, cita, approvandole, le parole di Papa Gregorio VII ad un leader musulmano, nel 1054: “crediamo in un unico Dio, sebbene in modi diversi”.5

13 ottobre 2007. Il documento Una parola comune, firmato da 138 personalità musulmane è mandato al Papa ed ai leader mondiali delle chiese.

Novembre 2008. A seguito di questa iniziativa, si tiene a Roma il primo seminario del neo fondato forum cattolico-musulmano. Il suo titolo è: Amore di Dio, amore del prossimo: fondamenti teologici e spirituali; la dignità umana e il rispetto reciproco.

Per novembre 2011 è previsto un secondo seminario del forum cattolico-musulmano. Tema possibile: Ragione, fede e persona umana.

Passiamo ora all’atteggiamento tenuto dalla Chiesa cattolica negli ultimi 50 anni verso il dialogo interreligioso. Possiamo far questo distinguendo tre fasi, ciascuna rappresentata da un Papa, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Un opinione comune è che dopo anni di dialogo, ora, con Papa Benedetto, si è ritornati alla dogmatica. Tuttavia è più accurata un’altra lettura: un’interpretazione che vede le parole, le decisioni e le azioni di Papa Benedetto come uno sviluppo coerente con ciò che lo ha preceduto. Tre concetti verranno introdotti per caratterizzare i tre pontificati in termini di politica interreligiosa: consapevolezza, relazione e riflessione.

1 Dove siamo. Consapevolezza, relazione, riflessione

a Paolo VI: la consapevolezzaLungo tutta la storia della Chiesa sono avvenuti significativi incontri interreligiosi. Teologi cristiani hanno discusso con musulmani fin dalle origini dell’Islam.6 La questione soggiacente, però, 135|136 era come confutare le credenze musulmane o come stabilire delle somiglianze di esse con il Cristianesimo. Vi era confronto, ma la differenza non veniva percepita come teologicamente rilevante. Il Concilio Vaticano II si rese conto che discutere di un credo non cristiano era produttivo per la teologia cristiana.Si possono individuare tre cause di questo cambio di paradigma: l’atteggiamento di dialogo di Paolo VI, lo spirito del Concilio in generale, e la necessità avvertita da molti cristiani di ritornare alle questioni esistenziali, per far sì che la Chiesa fosse di nuovo un fattore di formazione della coscienza

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5 Patrologia Latina, volume 148, colonna 451; http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/november/documents/hf_ben-xvi_spe_20061128_pres-religious-affairs_it.html.

6 Cf. Felix Körner, Kirche im Angesicht des Islam. eologie des interreligiösen Zeugnisses, Stuttgart 2008, capitolo 3, e capitolo 6, § A. And: “Bibliographie du dialogue islamo–chrétien“, in: Islamochristiana 1 (1975), 125–181, 2 (1976),187–249, 3 (1977), 255–256, 4 (1978), 245–267, 5 (1979), 299–317, 6 (1980), 259–299; cf. anche Michael Penn, “Syriac Sources for the Study of Early Christian–Muslim Relations“, in: Islamochristiana 29 (2003), 39–78.

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umana, della politica e della società. Non fu, tuttavia, un mero calcolo di potere: piuttosto, fu l’intuizione che dobbiamo ascoltare gli altri per poter essere sinceri. Il cambiamento teologico fu, quindi, il riconoscimento che altre visioni religiosi potessero essere teologicamente di valore; che il pensiero cattolici poteva imparare da altre tradizioni cristiane, come aveva sempre imparato da innovazioni filosofiche; che esso poteva essere nuovamente ispirato dall’ascolto della testimonianza di Israele. Da qui nacque l’intuizione che la teologia cristiana potesse avere anche un interesse teologico verso le altre religioni, specialmente l’Islam.Nel linguaggio teologico classico, le diverse fonti di conoscenza autorevole venivano definite come loci di teologia.7 Per lo meno in senso lato, come punto prospettico per nuove scoperte, potremmo dire che l’incontro interreligioso iniziò ad essere percepito come un nuovo locus teologico.

b Giovanni Paolo II: la relazioneIl genio di Giovanni Paolo II si manifestò nel suo carisma personale, il suo fascino. Aveva sofferto sotto diversi regimi totalitari, a cominciare da quello nazista. Il suo carattere era estroverso e creativo, così egli cercò sempre di appianare divergenze e tensioni. C’era in lui un’intuitiva – ed in Polonia non molto comune – simpatia per gli ebrei, una prontezza ad adottare il pensiero di una cultura che altri della sua generazione avrebbero potuto vedere come nemica: il 136|137 suo dottorato fu suoMax Scheler! Sembrava anche guardare con simpatia i semplici teisti: una chiara reazione all’ateismo che aveva sperimentato. Un uomo di grandi gesti e una figura paterna, divenne popolare anche in paesi a maggioranza musulmana: più popolare, si direbbe, che in Occidente critico. I giovani musulmani si sentirono da lui incoraggiati. La sua aura e la sua disponibilità alla riconciliazione fu credibile; egli seminò entusiasmo con successo. Il suo messaggio ed il suo atteggiamento erano, a molti livelli, inclusivi. Per il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, nato dal Segretariato per i non cristiani di Paolo VI, gli anni di Giovanni Paolo II furono molto attivi e produttivi.

c Benedetto XVI: la riflessioneNel riformare la curia romana Papa Benedetto subordinò il Pontifico Consiglio per il Dialogo Interreligioso al Pontifico Consiglio per la Cultura. La sua lezione di Ratisbona (12 settembre 2006) sembrò comprovare quanto alcuni avevano predetto riguardo al “pastore tedesco”: la fine della costruzione di efficaci ponti diplomatici interreligiosi – chiari confini – verità piuttosto che carità – senza compromessi, non comprensiva.Occorre considerare, tuttavia, che Benedetto stava in effetti compiendo il necessario passo in avanti. Il lavoro preparatorio dei sui predecessori richiedeva una nuova fase; ed il passo da lui intrapreso non è stato dall’amicizia al conflitto. Egli vede piuttosto l’apertura di porte raggiunta da Giovanni Paolo come un’opportunità per poter ora far qualcosa con queste porte aperte.Il pontificato di Benedetto è di teologia, di serietà intellettuale, di riflessione. La lezione di Ratisbona deve essere compresa in questo contesto. Benedetto apparentemente voleva provocare i suoi colleghi accademici ad un nuovo pensiero, come ha spesso anche fatto con i colleghi teologi

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7 Melchior Cano, De Locis theologicis (Salamanca, 1562) ne elenca dieci: La Scrittura, la tradizione orale, la Chiesa cattolica, i concili, la Chiesa romana, i Padri della Chiesa, i teologi scolastici, la ragione umana, i filosofi, la storia.

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luterani. Lui stesso fu sorpreso ed imbarazzato al vedere che ciò che aveva provocato non era, al principio, nuove riflessioni, bensì offese e violenza.Nell’autunno del 2008, però, un a proposta costruttiva da parte musulmana fu raccolta dal Vaticano, ed esperti a leader musulmani e cattolici si incontrarono precisamente per riflettere insieme.8 Da 137|138 allora, egli ha più volte affermato che il dialogo interreligioso è per lui prezioso. Particolarmente illuminante è la dichiarazione fatta dal Papa a Londra il 17 settembre 2010. In essa egli descrive il rapporto interreligioso come un duplice movimento: fianco a fianco a faccia a faccia.9 Vale a dire che insieme ai credenti di altre religioni io rendere testimonianza davanti a quelle parti della società che non osano interrogarsi sulle questioni ultime; e di fronte ai credenti io posso condividere la ricchezza del mio proprio patrimonio.A volte, tuttavia, Papa Benedetto non parla di “dialogo interreligioso”.10 In effetti egli ha scritto una volta che, in senso stretto il dialogo interreligioso è impossibile.11 Perché?

2 Dove vogliamo andare. Speranze, livelli, temi

C’è una differenza fondamentale tra il dialogo ecumenico e quello interreligioso.Tutti i cristiani vogliono testimoniare la morte e la resurrezione di Gesù Cristo come salvezza del mondo. La separazione nel Cristianesimo è percepita in modo differente dai vari cristiani: ma nello Spirito della preghiera del Cristo, la Chiesa cattolica sente l’urgenza di promuovere il dialogo con tutti i cristiani “ut unum sint”12, nel senso di una unità visibile di tutti i cristiani in un’unica, solo così permanete “cattolica” Chiesa. Una tale unità cattolica include rispetto per le varietà di spiritualità, tradizioni, lingue e culture all’interno del Cristianesimo. L’intuizione cattolica è che solo una testimonianza così unificata – quantunque non uniforme – 138|139 è credibile. Dunque c’è uno scopo ben chiaro per il dialogo ecumenico e abbiamo imparato molto da esso.13

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8 12 ottobre 2006: Lettera aperta di 38 personalità musulmane al Papa; 13 ottobre 2007: documento Una parola comune di 138 personalità musulmane ai leader delle chiese; 4–6 novembre 2008: primo forum cattolico-musulmano.

9 Cf. Felix Körner, “Eine neue Epoche. Die interreligiösen Beziehungen sind unter Benedikt XVI. theologischer geworden”, in: Herder Korrespondenz Spezial 2-2010, Konflikt und Kooperation. Können die Religionen zusammenfinden?, 21–24. Gli articoli dell’autore citati in questo saggio sono accessibili in rete: http://www.sankt-georgen.de/lehrende/koerner.html.

10 Un’approvazione esplicita del dialogo interreligioso la si trova nell’Esortazione Apostolica post-sinodale del 2010: Verbum Domini, §117.

11 In una lettera a Marcello Pera, pubblicata come prefazione al libro di Pera: Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Milano, 2008. Ma il Papa qui esprimeva il suo condividere l’opinione di Pera che il dialogo interreligioso, inteso come pubblico confronto, non perviene necessariamente a trovare la verità. Cf. Felix Körner, “Dialog unmöglich? Leitlinien für ein Glaubensgespräch mit Muslimen”, in: CIBEDO-Beiträge 2/2009, 48–50.

12 “perché tutti siano una cosa sola”, Gv 17, 21.

13 Walter Card. Kasper, Harvesting the Fruits. Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue, Londra, 2009.

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In cosa differisce il dialogo interreligioso? Nella rapporto che abbiamo con persone che non condividono la morte e la resurrezione di Gesù Cristo come evento salvifico per il mondo.14 Dato che con gli altri cristiani possiamo almeno pensare di iniziare dallo stesso impulso di unità nella Chiesa, possiamo anche parlare del grande obiettivo dialogico di unire i Cristiani. Con le altre religioni la questione è differente. Non possiamo avere un obiettivo fondamentale comune, poiché le altre religioni hanno scopi di base differenti della Chiesa. E’ il sacramento di Cristo,15 o, nelle parole del più antico testo del Nuovo Testamento, quello che vogliamo è “la vostra santificazione” (1Ts 4, 3).Per mostrare rispetto per questa distinzione degli scopi delle religioni alcuni teologi, come Papa Benedetto XVI esitano a parlare di dialogo interreligioso in generale. Non possiamo essere d’accordo negli articoli fondamentali di fede con i non cristiani. Esiste, tuttavia, un Pontifico Consiglio che ha questo nome e lo stesso Benedetto ha esplicitamente lodato il dialogo interreligioso nel 2009.16 Occorre semplicemente tenere presente il fatto che il dialogo interreligioso non lavora per l’accordo teologico con le altre religioni.Quali possono dunque essere i nostri obiettivi nel dialogo interreligioso? In un dialogo in cui i nostri punti di partenza sono così differenti, è più appropriato non parlare di obiettivi. Un simile dialogo non può essere pensato tatticamente. La libertà umana rende un vero processo dialogico imprevedibile; gli scopi possono cambiare cammin facendo. Dobbiamo, perciò, piuttosto parlare delle nostre motivazioni e delle nostre speranze. 139|140

a Le speranzeLe nostre speranze nel dialogo interreligioso sono cinque. Ognuna può essere vista come una “comprensione”, ma ogni volta in un senso differente.1. Abbiamo bisogno di trovare un accordo (“arrivare ad una comprensione”) su questioni

pratiche che hanno a che fare con osservanze religiose. Per esempio, in Germania, i musulmani possono seppellire i loro defunti in zone riservate, senza la bara, che era originariamente obbligatoria per protezione dalla infiltrazioni.

2. Nel dialogo arriviamo a comprendere perché altri vedono le cose in un altro modo. Per esempio, essi comprendono il bianco sudario che copre i cadaveri come un richiamo all’imminenza della resurrezione del corpo: un simile abbigliamento è portato dagli uomini nel pellegrinaggio alla Mecca, come anticipazione della morte e del giudizio finale.

3. Nello scoprire le prospettive altrui molti cristiani fanno l’esperienza che anch’essi comprendono meglio le proprie credenze e pratiche religiose. Per esempio, i musulmani spesso si mostrano sorpresi dell’esistenza di quattro vangeli canonici; pensano che il Vangelo sia il testo affidato al profeta Gesù. Nel discutere questa opinione, i cristiani possono afferrare il significato della “testimonianza”. L’azione salvifica di Dio non è solo il messaggio

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14 Questa sembra essere una definizione alquanto vaga, parlando così genericamente di un “rapporto”; ma in effetti i documenti ufficiali della Chiesa vogliono definire dialogo interreligioso anche un semplice incontro quotidiano tra un cristiano ed un non cristiano. Vedi sotto, §2.b.1.

15 Lumen Gentium, §1.

16 Indirizzo di saluto nella moschea Hussein bin Talal, Amman, Giordania, 9 maggio 2009.

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ma anche la vita, la morte e la resurrezione di Cristo. Questi sono gli eventi salvifici di Dio: essi sono controversi e necessitano di testimonianza.

4. C’è un’altra speranza nel dialogo interreligioso: la speranza che la mia controparte possa comprendere Cristo come Salvatore dal mondo intero e richieda il battesimo. Non è affatto imbarazzante menzionare questa come una speranza. Non può essere un obiettivo strategico, ma non dovrebbe nemmeno esser tenuta nascosta. Se il dialogo è interessarsi alla visione che l’altro ha, e se io ho scoperto Cristo come il Salvatore, verrò visto anch’io come qualcuno che desidera condividere questo. Questo non causa problemi, a patto che si rispettino tre condizioni: a. Non ci si vergogna di questa speranza, ma si è aperti ad essa; b. non si usino trucchi o pressioni; c. non si è offesi o meno interessati all’altro, se lui/lei non risponde a questa speranza.

5. Eccoci arrivati alla quinta speranza. Anche con una persona o un gruppo che non desiderano essere battezzati ho un sacco di temi per 140|141 il dialogo. Sono interessato al perché essi non abbiano questo desiderio, e se il mio interesse nel loro modo di vedere le cose è sincero, potrei anche essere tentato di cambiare la mia propria visione ed iniziare a vedere le cose come il mio partner nel dialogo. In ogni caso, rimango interessato al rapporto con gli altri, per poter dialogare su altri temi. Lo scopo della Chiesa di santificare il mondo, “evangelizzare”, per usare un termine postconciliare, non si restringe al battezzare la gente. Evangelizzazione significa trasformare la faccia della terra in senso evangelico. Chi non desidera diventare cristiano può essere ugualmente collaboratore del progetto della Chiesa di formare la società di oggi. Le priorità, gli obiettivi, le visioni sull’umanità, le metodologie economiche, culturali, sociali ed umanitarie possono ancora essere condivise. Ecco perché la Chiesa sviluppa e offre la sua dottrina sociale. I non cristiani sono spesso ispirati da essa e si sono mostrati di esempio nel metterla in pratica.

b I livelliI documenti della Chiesa, a partire da Dialogo e Missione (1984; §§28-35) e Dialogo ed Annuncio (1991; §42), hanno spesso presentato uno schema di dialogo interreligioso su quattro livelli. Essendo “livelli” essi sono aspetti dell’incontro interreligioso nella sua interezza, piuttosto che attività separate; essi vogliono essere una descrizione completa. Più che semplicemente ricapitolare quello che succede – e provvedere un linguaggio categoriale – la lista ha anche diverse sottolineature: incoraggia alcuni tipi di incontro, facendo menzione di essi. Noi riteniamo, però, che è stato trascurato un importante livello.1. La vita quotidiana è menzionata come un livello di dialogo, sebbene non ci sia molto “-

logo”, molto parlare in essa. Ma usare lo stesso pulmino, le stesse scale di casa, lavorare per la stessa ditta, frequentare la stessa scuola vengono evidenziati come momenti di dialogo: evidenziati, cioè, come occasioni per mostrare umanità, rispetto e interesse.

2. Progetti comuni ed attività umanitarie costituiscono il secondo livello. L’esperienza del servizio gesuita per i rifugiati, per esempio, è che un’opera per i profughi è più convincente, facilmente accettata e determinante per la riconciliazione, se portata avanti insieme da membri di religioni diverse. 141|142

3. L’esperienza mistica è mostrata come un terzo livello. Lo scambio spirituale al di là dei confini di una religione è in effetti audace e illustrativo. Vengono in mente avvenimenti di

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rilievo come le preghiere di Assisi. Esiste anche una vera rete di dialogo intermonastico che attraverso i confini religiosi.

4. L’ultimo livello menzionato nei documenti è l’incontro di esperti. Lo scambio tra pensatori musulmani e cristiani ha una lunga storia sia nel Medio Oriente che in regioni come l’Andalusia. Dal 1986 professori della facoltà di teologia islamica di Ankara e professori della Gregoriana di Roma si scambiano visite. Delegazioni di alto livello del mondo cristiano e musulmano si incontrano nel forum cristiano-musulmano. Oggi molte facoltà, associazioni e anche pubblicazioni specializzate come la Encyclopaedia of the Qu’ran offrono spazi per incontri accademici.

5. Ma, come anticipato sopra, si potrebbe obiettare che un livello è assente. Forse è stato intenzionalmente omesso, dato che potrebbe creare imbarazzo o difficoltà. Chi vive tra i musulmani avrà fatto la seguente esperienza. Anche da laico, da persona non-accademica, si è facilmente coinvolti in discussioni con i musulmani. Una tipica domanda è perché i cristiani non accettano Maometto come profeta, sebbene egli fosse stato predetto da Gesù e sebbene i musulmani accettano Gesù come profeta. Questa è probabilmente la forma più comune di dialogo. Farne menzione significa preparare i cristiani per questo genere di incontri. Piuttosto che far imparare loro a memoria delle risposte belle e pronte, dobbiamo esser preparati a questo dinamismo: testimoniare la nostra fede non davanti ad un non credente, ma nella conversazione con qualcuno che crede, ma che crede in qualcosa differente.

c I temiSe raccogliamo i vari punti che abbiamo finora sviluppato, ossia lo spazio per la riflessione, la speranza di una comprensione, i livelli di discussione, possiamo ora domandarci:Quale progresso è stato raggiunto nel dialogo interreligioso? E cosa deve esser fatto in futuro?Il dialogo ebraico-cristiano ha avuto abbastanza successo nelle ultime decadi. Occorre ricordare tre punti teologici:1. L’alleanza non è revocata. Di fronte a teologie di elezione 142|143 che vorrebbero vedere la

Chiesa in sostituzione di Israele, Papa Giovanni Paolo II ha ribadito a Magonza nel 1980, che Israele è il popolo dell’alleanza di Dio. Essa non è mai stata abrogata. Benedetto è ugualmente fedele a questo punto.17 La teologia contemporanea non sostiene diverse alleanze, ma vede che l’unica alleanza di Dio, come testimoniato dalla Bibbia, consiste in una serie di atti di alleanza.18

2. La Torah non è abolita. Nel 1966 Klaus Berger, un famoso studioso del Nuovo Testamento, cercò di sostenere nella sua tesi di dottorato che l’interpretazione di Gesù della legge giudaica non l’aboliva. L’opinione di Berger fu dichiarata eretica, allora. I tempi sono cambiati. Ormai, il Catechismo della Chiesa cattolica può dichiarare che Gesù non rompeva

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17 Per esempio nel suo indirizzo di saluto nella sinagoga di Roma, gennaio 2010.

18 Norbert Lohfink, “Ein Bund oder zwei Bünde in der Heiligen Schri?”, in: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa: Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Roma, settembre 1999, Città del Vaticano 2001, 272–297.

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con la Torah: “La Legge evangelica dà compimento ai comandamenti della Legge. Il discorso del Signore sulla montagna, lungi dall’abolire o dal togliere valore alle prescrizioni morali della Legge antica, ne svela le virtualità nascoste e ne fa scaturire nuove esigenze: ne mette in luce tutta la verità divina e umana.” (§1968).

3. La fratellanza non vissuta. Benedetto XVI incoraggia anche gli esegeti contemporanei ad imparare da come i nostri fratelli ebrei, con i quali preghiamo lo stesso Dio, si accostano alla Scrittura.

Rispetto al dialogo ebraico-cristiano, il bilancio sembra più deludente se guardiamo al dialogo cristiano-musulmano. Vi sono varie ragioni per questo:1. Con gli ebrei condividiamo la Bibbia ebraica. I cristiani accettano le scritture dell’”Antico

testamento” come “alleanza”: i testi testimoniano azione e il nome “testamento” dice che è accettato in quanto tale dalla Chiesa. L’azione di alleanza divina viene in esso testimoniata. Sia gli ebrei, sia i cristiani, a partire da questo libro di libri, sostengono una pretesa particolare:noi affermiamo che Dio, per sua propria iniziativa, diventa accessibile, e questa iniziativa accade in un luogo e in un tempo specifico, con un popolo specifico; e così per tutte le nazioni e per il mondo intero. Condividiamo la concezione della storia come atteggiamento teologico, come fuoco del credo e come confessione di questa serie di eventi. 143|144

2. C’è un'altra disposizione teologica che condividiamo con Israele, a causa dell’accettazione della Bibbia ebraica come testo sacro. All’interno di quella storia vi era promessa e delusione, fedeltà e sviluppo, anche a livello di significato. Invece di lavorare su terminologie, su definizioni statiche, il carattere storico della Bibbia mostra che Dio è fedele a ciò che dice, in un modo sorprendentemente differente da quello che ci aspettiamo. Esempio: come possiamo essere il popolo eletto, se siamo condotti in esilio? Risposta: l’elezione non significa protezione ma dovere rischioso di testimonianza. Così i concetti che venivano usati in tutta fedeltà hanno dinamicamente preso tutt’altra direzione rispetto alla nostra prima comprensione. Tutto il discorso teologico cristiano porta questa apertura storica che è fedeltà dinamica, piuttosto che conoscenza definita.

Altri motivi per i quali il dialogo ebraico-cristiano progredisce teologicamente con una speciale efficacia diventano evidenti quando guardiamo all’Islam.1. Il punto di dissenso con gli ebrei è se Gesù sia il Messia. Il Corano, e perciò i musulmani

oggi, parlano di Gesù come al-masīh. L’Islam, perciò, sostiene di accettare Gesù come Messia. I cristiani rispondono che qui c’è una confusione di termini, dal momento che per Messia noi intendiamo colui che con la sua vita, morte e resurrezione ha inaugurato l’era della salvezza di Dio. Nel dialogo con gli ebrei c’è il vantaggio che, pur con tutte le differenze su ciò che intendiamo con questo termine, da tutte e due le parti si è d’accordo sul disaccordo nell’accettare Gesù come Messia.

2. Inoltre con l’Islam la situazione è speciale anche per un altro fattore. Il Corano, che afferma di essere rivelato, dichiara che i testi che noi consideriamo sacre Scritture sono in errore. L’unicità dei Gesù Cristo viene considerata una distorsione di ciò che Gesù ha in realtà detto (Sura 4:171; cf. 5:116), e la sofferenza e la morte di Gesù vengono rigettate (Sura 4:157).

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3. La teologia islamica ha sempre avuto molte questioni, formulazioni, supposizioni in comune con la teologia cristiana, ma le dimensioni socio-politiche hanno anch’esse le loro ripercussioni negli incontri teologici. Sebbene ci sia sempre stato un discorso teologico professionista nell’Islam, spesso di esempio per i pensatori cristiani, i musulmani di oggi partono forse da un complesso di inferiorità di fronte ai successi occidentali. Anche gli esperti islamici possono diventare immotivatamente apologetici al vedere i 144|145 risultati accademici occidentali, per esempio nella ricerca storica o filosofica.

Queste caratteristiche rendono il dialogo interreligioso difficile e gli scambi teologici particolarmente delicati, ma non impossibili, né inutili o senza frutto. Ciò che rende l’incontro tra esperi musulmani e cristiani particolarmente interessante è che in esso possiamo vedere i principi del Cristianesimo in una nuova luce. C’è una serie di risvolti importanti della fede cristiana che rimarranno controversi per l’Islam. Questo non deve deludere: è piuttosto una conseguenza del fatto che questi risvolti sono fondamentali. Le convinzioni fondamentali sono così fissate che è difficile cambiarle: così tanto dipende da esse! Ed è difficile argomentare a favore o contro di esse, perché gli argomenti che si vorrebbero usare poggiano proprio su queste convinzioni. Essendo “fondamentali” esse non si vedono facilmente, spesso sono implicite; è già un risultato il farle emergere. Ci si potrebbe meravigliare perché non c’è progresso nella filosofia: gli esseri umani disputano ancora su questioni dibattute da Platone e Aristotele. Questo precisamente a causa del carattere fondamentale di questi temi. A buon ragione si potrebbe avere anche una posizione contraria. Quando torniamo al dialogo interreligioso con questa consapevolezza, non diciamo che le convinzioni di base dell’Islam o del Cristianesimo sono arbitrarie o semplicemente una questione di gusti o di decisioni. Credo che noi abbiamo buoni motivi per vedere le cose nel modo in cui la fede cristiana le vede. Ciononostante dobbiamo essere realistici ed accettare il fatto che molti non vedono nello stesso modo. Questo perché la fede cristiana è “costosa”, costa qualcosa: bisogna abbandonare alcuni amati modi di interpretare il mondo. E’ la metanoia, il cambio di mentalità al quale ci chiama la novità del vangelo (Rm 6, 7). E’ lo “scandalo”, il lato difficile, sacrificale, di Gesù. Si possono portare buone motivazioni per fidarsi di tutto questo, ma non si può forzare qualcuno ad accettarlo. Le tre implicazioni fondamentali della fede cristiana che si possono scoprire nel dialogo con l’Islam sono queste:1. Dio mette a rischio la sua divinità nella storia. Dio si lega a persone da Lui scelte e vuole che

il successo del suo Regno dipenda dalle nostre decisioni.2. Abbiamo una vocazione che siamo troppo deboli per realizzare. La nostra chiamata, la

realizzazione dell’umanità è “amare come io vi ho amato” (Gv 15, 12ss). Con i nostri semplici sforzi e buona volontà, questo è impossibile. 145|146

3. E’ nell’altro che si ritrova se stessi. Le separazioni io-tu vengono costantemente messe in questione e superate da Gesù (Gv 12, 25ss), ma l’amore oblativo non significa però autodistruzione. Siamo capaci di amare perché siamo capaci di entrare, con gioia e speranza, nella storia, nella persona e nella comunione di Cristo: la nostra vita è sacramentale.

Primo risultato: vediamo ora perché è utile distinguere differenti “speranze” nel dialogo interreligioso.1. C’è differenza tra lo sperare in una “comprensione” nelle questioni pratiche e lo sperare che

il tuo partner nel dialogo scopra Cristo come Salvatore. Nelle questioni pratiche si può

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sperare in un accordo tra persone di fede differente. Nelle convinzioni di base appena descritte, tuttavia, non si può sperare in un accordo con i musulmani. Non sarebbero più musulmani, se fossero d’accordo. Ma ci sono altre controversie in ogni incontro interreligioso. Con Israele è controverso, come abbiamo visto, il fatto se Gesù sia il Messia.

2. Vediamo ora anche perché è utile chiamare le nostre motivazioni “speranze”, piuttosto che scopi. La conversione dell’umanità a Cristo non può essere un obiettivo strategico. Richiede la libertà di prendersi il rischio di fidarsi. Non tutti affronteranno il costo di lasciare la propria sicurezza per confidare in un Dio che si consegna in una storia particolare. Certamente possiamo impegnarci per l’avverarsi di questo nostro desiderio con tutta la nostra esistenza, nella preghiera e nella testimonianza. Possiamo sperarlo, ma dobbiamo anche capire che fa parte della storia della salvezza di Dio19 il fatto che non tutti saranno d’accordo sulle convinzioni fondamentali e nella fede esplicita in Cristo Salvatore.

3. Stiamo riflettendo sul “dialogo al di là dei conflitti”. Prima abbiamo visto che il dialogo interreligioso è un modo per risolvere i conflitti: si può arrivare ad un accordo su questioni pratiche perché si vedono i fondamenti della fede dell’altro. “Al di là dei conflitti” significa allora condurre oltre i conflitti. Il dialogo interreligioso ci porta oltre i conflitti. Ora, però, abbiamo visto qualcos’altro, abbiamo riscontrato delle controversie irriducibili e dobbiamo dire: il dialogo interreligioso al di là dei conflitti – il dialogo fa risaltare vedute inconciliabili, non risolve tutti i conflitti! 146|147

Non necessariamente questo ci dovrebbe spaventare. In effetti, può essere liberatorio. Richiede però alcuni ripensamenti di fondo. L’Islam parte dall’affermazione che i messaggio del Cristianesimo, dell’Ebraismo e del Corano erano da intendersi come lo stesso messaggio. Perciò i musulmani possono rimanere delusi da un affermazione come: Dio si è legato ad una storia particolare, ed è solo entrando in quella storia della morte e resurrezione di Cristo che l’essere umano può avere una conoscenza che giustifichi la libertà gioiosa dal peccato e dalla morte. I musulmani normalmente presuppongono che noi cristiani dichiariamo il nostro assenso teologico con loro, come essi fanno con noi. I cristiani devono però astenersi dal percorrere questo cammino. Perché allora esitare, quando ci viene offerta l’unità interreligiosa?1. Dichiarare che il Cristianesimo e l’Islam significano la stessa cosa significa prescindere dalla

particolarità della storia testimoniata dalla Bibbia. Mettere tra parentesi quella storia è un modo per generalizzare la comunione con Dio. La conoscenza salvifica e l’amore di Dio, in questo modo, diventano parte del nostro equipaggiamento dalla nascita. Ognuno ce l’ha già, basta semplicemente guardare alla natura, sentirlo nel proprio animo e pensare. L’idea che l’unione con Dio è naturale porta logicamente a sostenere che la credenza teistica è razionale: poca comprensione è lasciata verso chi non si sentono chiamati e con la grazia della fede. Il non credere diventa irrazionale, o anche male. Nella fede cristiana noi sosteniamo che la nostra esperienza di comunione con Dio non si basa sull’esercizio di riflessioni o meditazioni. La fede cristiana è piuttosto il movimento di fiducia del lasciare se stessi in una persona altra da noi stessi, Cristo, che ci ha chiamati alla sua vita.

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19 Perfino la non credenza ha conseguenze salvifiche nel piano generale; “kata men to euangelion echthroi di’ humas / κατὰμὲν τὸ εὐαγγέλιον ἐχθροὶ δι᾽ ὑμᾶς – Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio” (Rm 11, 28).

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2. Un'altra difficoltà di un accordo sul “nucleo” è, naturalmente, il Corano che i musulmani vogliono fornire come criterio e come spiegazione dei termini dell’accordo. Ecco un esempio: Abramo era già un credente, ma un credente nel senso coranico (Sura 3:67), non come qualcuno che confidava nell’elezione di un popolo da parte di Dio. L’Abramo coranico era un credente proprio come Maometto. Il modello significativo è così il Corano.

3. L’idea musulmana di un accordo interreligioso spesso motiva i suoi sforzi dicendo che un’unità nazionale o internazionale dell’umanità può essere meglio (oppure unicamente) garantita, se siamo in accordo religioso. Questa è un’idea pericolosa. Dobbiamo, invece, costruire la nostra società e il futuro di questo mondo 147|148 con persone che accettano di essere differenti. Dobbiamo modellare sistemi politici ed attitudini in modo che consentano le alterità e le rispetti, che accettino il dissenso e che siano aperti ad un’ispirazione che venga da una varietà di fonti, anche in conflitto tra loro. Altrimenti un’unità che dichiarasse di essere unificata da fattori esistenziali sarà sempre alla ricerca del cattivo disturbatore da incolpare per il fallimento del bel progetto di unità. Il “dissenziente” può essere l’ebreo o l’ateo, il gay o il missionario. La libertà religiosa, così, si dimostra essere un rilevatore sull’effettiva umanità delle strutture umane, sullo spazio concesso alla differenza. Gli Stati devono essere pluralistici, questo significa anche permettere ai singoli credenti di essere esclusivisti nella loro visione della salvezza.

Il progetto di dichiarare l’unità può creare un clima di emozione: il chiamarsi fuori dei cristiani può sembrare deludente. Dobbiamo però togliere “de-emozionare” il processo di dialogo. Un motto forse meno entusiastico di “Le nostre credenze sono le stesse”, ma più rispettoso potrebbe essere quello suggerito dall’autore al termine del primo seminario del forum cattolico-musulmano: Possiamo essere amici nella differenza.All’interno della cornice della differenza rispettata e dell’interesse in questa differenza, il dialogo guadagna nuovo slancio. In agenda vengono messi i seguenti temi. Ognuno di essi è immenso e la maggior parte di essi tradizionale, ma nel dialogo con pensatori musulmani questi temi teologici ricevono nuovi spunti, se cerchiamo non solo di trovare il comun denominatore, ma vogliamo anche scoprirvi i diversi accenti delle due religioni.1. La confessione. Il carattere dell’uso cristiano del linguaggio teologico è differente da quello

musulmano. La parola biblica per la relazione linguistica cristiana con Dio è homologia, ossia, “confessione”. (a) Ci riferiamo ad eventi storici particolari, che professiamo con gratitudine; (b) confessiamo la nostra imperfezione, che comprende la nostra inadeguatezza linguistica – e perciò spesso usiamo una formula provocativa, perché volgiamo (c), nella confessione, entrare nella nuova realtà, nella nuova creazione – una confessione che ha il suo contesto originario nel consegnare noi stessi alla nuova realtà, che è Cristo, nel battesimo. Il linguaggio religioso islamico, dal Corano in poi, è più terminologico (cf. Sura 10:68).

2. Dio. La domanda è così basilare che suona quasi brutale: abbiamo lo stesso Dio? I documenti della Chiesa affermano questo 148|149 in un modo prudente e bello. La Lumen Gentium (1964): “nobiscum Deum adorant unicum misericordem – insieme con noi adorano l’unico Dio misericordioso” (§16); e la Nostra Aetate (1965, §3) “qui unicum Deum adorant – adorano l’unico Dio”. E’ bello che i testi non dicono: “hanno lo stesso Dio” ma “adorano”. Dio non deve essere sottoposto a noi, piuttosto il contrario. Altrimenti ne facciamo come un

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oggetto a nostra disposizione. La fede cristiana, tuttavia, a causa della confessione trinitaria, sottolinea che anche la capacità umana di “adorare”, ossia di vivere in corrispondenza di Dio, è una realtà propria di Dio. Lo Spirito – la relazione che la creazione può avere con Dio – è lo stesso Dio. Così per la fede cristiana Dio non è solo lo scopo della nostra preghiera, ma la preghiera stessa, nel suo accadere, è, per così dire, “Dio che accade”. La preghiera cristiana è la Trinità vivente.

3. La preghiera. Musulmani e cristiani possono pregare insieme? Una visione cristiana della vita cerca di tener conto della debolezza umana. Noi non sappiamo metterci nella giusta relazione con Dio. E’ l’azione particolare di Dio nell’elezione e nella santificazione che ci dà la fiducia di poter dire che siamo in comunione con Lui. L’elezione del popolo di Israele si è aperta in Cristo a tutta l’umanità. Solo accettando il suo mistero pasquale – la sua morte e resurrezione – possiamo avere motivata fiducia che la nostra preghiera è davvero in comunione con Dio. E’ un dono della grazia di Dio – attraverso la storia, la persona, il corpo di Cristo – che ci fa vivere in Dio, vivere una vita di adorazione. Nella nostra testimonianza pubblica dobbiamo sempre mostrare la nostra dipendenza dall’azione particolare di Dio. Perciò, oscurerebbe la nostra testimonianza nella grazia elettiva di Dio se, ad esempio in un’assemblea, cristiani recitassero il testo di una preghiera simultaneamente a musulmani.

4. Il profeta. I cristiani possono riconoscere che Maometto era un profeta? In senso teologico “profeta” significa più di “qualcuno che sostiene di avere una missione da Dio”. Per la fede cristiana un profeta è una persona che, con un nuovo messaggio, prepara il popolo all’incontro con Cristo. Preparare il popolo all’incontro con Cristo non è, generalmente, ciò che fa il Corano, In questo senso sarebbe una mancanza di onestà se i cristiani dichiarassero che Maometto è un profeta: facendo così, approverebbero in toto il messaggio da lui annunciato.

5. Lo Stato. E’ possibile, per qualcuno che prenda seriamente il Corano, approvare la secolarità dello Stato, ossia la separazione 149|150 tra la politica ufficiale e l’Islam? I testi di base e la storia iniziale dell’Islam non sembrano in favore di questo modello. Ci sono, tuttavia, nuovi e seri approcci nella riflessione islamica che sostengono, sulla base dei testi fondamentali, una correlazione pluralistica tra Stato e religione. Per esempio, i musulmani possono trovare nel Corano un impulso fondamentale alla chiamata alla conversione, e la vera conversione presuppone vera libertà (Muḥammad Tālbī).

6. La razionalità. A volte si sente l’affermazione che il Cristianesimo è più razionale dell’Islam,20 che la Bibbia è più vicina alla ragione umana del Corano. E’ difficile suffragare quest’affermazione. Il Corano è razionale in tre sensi: Fa appello costantemente alla riflessione e all’osservazione (es. Sura 3:13; con un suggestivo “forse”, es. 59:21), fa distinzioni nella sua terminologia teologica (es. Dio lam yalid wa-lam yūlad non ha generato e non è stato generato – che può essere visto in opposizione alle disorientanti affermazioni cristologiche della Chiesa, fino al θεοτóκος/theotokos “portatrice di Dio”), e presuppone che

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20 Nella sua lezione a Ratisbona del 12 settembre 2006, Benedetto XVI è sembrato condividere, se non la forma, i contenuti dell’affermazione dell’imperatore Michele Paleologo che il λόγος, la razionalità, distingue il Cristianesimo dall’Islam.

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le persone sappiano già cosa sia bene (il bene è ma‘rūf, “conosciuto”, es. 3:104). L’Islam ritiene di essere la religione della natura (fitra).21 Per quanto riguarda la razionalità, il Cristianesimo è in un’altra situazione. Afferma che la nostra ragione umana deve ancora essere purificata. Solo attraverso la grazia del riconoscimento della storia della salvezza gli esseri umani riescono a vedere la verità e a parteciparvi consapevolmente. Ciò che essi scoprono del mondo, di loro stessi, di Dio, in questa “illuminazione da Cristo”, può però essere dimostrato come realmente razionale, non nel senso di “deducibile da principi che tutti hanno comunque”, ma come “in accordo con tutto l’essere”. Le nuove acquisizioni riguardano la personalità che diventa ablativa (monogamia fedele, celibato, incarnazione). Dopo la prima sorpresa, il cristiano può ritornare a concetti razionali e formulare un nuovo tipo di filosofia. Non è irrazionale, ma non è nemmeno deducibile.

Il dialogo al di là dei conflitti – anche su questioni sulle quali non arriveremo ad una posizione comune – è uno sforzo vitale. E’ lo spazio per l’apprendimento, l’arricchimento e l’influsso reciproco. 150|151 Ci aiuta a vedere, formulare e sviluppare le nostre vedute. E’ la preparazione, l’esercizio e il sostegno per condizioni di vita in cui la pluralità sia possibile.

3 Il costo da pagare. Chiarezza, giustizia, successo“Prendi il largo!” è la missione di Gesù a Pietro (Lc 5, 4). E’ una eccellente indicazione per persone che hanno iniziato a vedere la sfida del dialogo interreligioso. Pietro ed i suoi compagni22 hanno cercato di prendere pesci per tutta la notte. Sono ora stanchi, stanno rassettando le loro reti, frustrati perché tutti i loro sforzi sono stati una perdita di tempo. Simone mette la sua barca a disposizione di Gesù per un insegnamento generale alle folle, a poca distanza dalla riva del lago di Gennesaret. E’ una situazione accettabile, perfino comoda per Pietro, ma improvvisamente il tono cambia. Gesù ha un a missione personale per Simone. Vuole che prenda il largo. A Simone, con la sua fatica, arriva un comando sorprendente ed autorevole, una “parola” improbabile (5, 5).Ogni cristiano ha una missione personale, un compito che è al di là delle sue capacità., Trascendere l’efficacia calcolabile, ecco il punto. Nel dialogo interreligioso sperimentiamo precisamente questo dinamismo. Se lo prendiamo seriamente, è rischioso, è un sacrifico. Abbandoniamo tre sicurezze.

a La chiarezzaC’è un certo fascino, anche gioia, nel seguire delle chiare argomentazioni fino ad una convincente conclusione; la vita di Gesù, però, è assai differente. Come cristiani veniamo costantemente sfidati a superari i confortevoli modi che ci rendono sicuri; siamo chiamati a riconsiderare tutto. Basta pensare al sacerdote che, tenendo in mano quello che si potrebbe dire un pezzo di pane, proclama: “Ecco l’agnello di Dio!”. E’ un appello a vedere quello che si vede in un modo nuovo.Il dialogo interreligioso è una manifestazione di questo dinamismo di rischiare la novità. Non si può sapere cosa succederà. Se si 151|152 potesse predire i risultati sull’altra persona, e, analogamente, su se stessi, non sarebbe dialogo. Se non si è in grado di vedere che si potrebbe aver torto o aver

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21 Cf il famoso hadith nella raccolta di Buḥārī 23, 42. Tutti gli esseri umani nascono musulmani.

22 Sia per metochoi che per koinōnoi di Luca la Vulgata traduce: socii.

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frainteso l’altro, o la propria fede, allora non si è coraggiosi abbastanza per essere in contatto con la realtà.Simone è sfidato a rischiare le acque profonde: crede di conoscerle, ma è in grado di prescindere dal suo giudizio. Si fida delle parole di Gesù. Non c’è nemmeno un’esplicita promessa nel mandato di Gesù. Ha semplicemente detto: “gettate le reti per la pesca”. Simone può aver sentito e visto qualcosa di convincente in Gesù, in precedenza. Ora si fida di lui.Nel nostro modo di condurre il dialogo interreligioso deve esserci un atteggiamento di fondo: la fiducia. Siamo chiamati a fidarci a quattro livelli.1. Dobbiamo creare un’atmosfera di fiducia e, se necessario, di confidenzialità, nella quale sia

possibile l’onestà, nella quale possiamo esporre dubbi, possiamo esprimere le nostre esperienze senza proteggerci, e in cui i nostri partner possono essere ascoltate come persone che danno voce a ciò che veramente sentono, vedono e sperano.

2. Dobbiamo essere sempre più consapevoli dello status dei nostri contributi semantici, etici, teologici, nel dialogo interreligioso. Essi sono provati dall’esperienza storica e da molti buoni argomenti; questo però non significa che ne possiamo parlare disinvoltamente. Dobbiamo riconoscere la debolezza della nostra condizione. Dobbiamo riconoscere l’investimento, la speranza, la fiducia che comporta dire “Cristo è il Signore” (Fil 2, 11) o anche: Gesù è Dio (cf. Gv 20, 28). Solo al termine della storia questo sarà chiaro. Dobbiamo così lasciar spazio e comprensione a visioni differenti da quelle della fede cristiana.

3. Laddove un dialogo andasse oltre la condivisione personale e cercasse di esprimere una rappresentatività: “la mia religione dice che..” si può pensare ad una duplice verifica. Quello che si dice in modo ufficiale in un incontro sul dialogo può esser reso pubblico e così esser fatto proprio anche dalla comunità dei credenti? E’ stato possibile menzionare anche i lati difficili, oscuri della religione e riflettere sul loro significato oggi, es. versetti duri dei testi fondativi o aggressioni del passato?

4. Il nostro linguaggio non potrà mai chiarificare tutto. Alcuni diranno sempre che non capiscono. Dobbiamo sempre riformulare, imparare dai fraintendimenti e dalle domande, ma non dobbiamo 152|153 aspirare ad un linguaggio formalizzato. I cristiani, invece, possono ben recuperare l’antica formula e confidare nel carattere sacramentale della confessione. Un’espressione come “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6) non è evidente a tutti; richiederà sempre una certa disponibilità ad accoglierla. Questa disponibilità è un dono. Possiamo, tuttavia, credere che, se mettiamo da parte trucchi demagogici e retorici, la testimonianza cristiana può esercitare un’attrazione sugli uomini.

b La giustiziaSimone vorrebbe che Gesù andasse via, quando si rende conto che lui stesso, Simone, sta per far parte di una storia tutta nuova. Simone è diventato consapevole, forse solo ora, della sua peccaminosità. Sembra intuire che, se sarà coinvolto nella missione di Gesù, compirà errori terribili. Gesù non accetta il peccato come un alibi. Proprio come egli può trasformare una notte fallimentare in una grandiosa pesca, così egli può fare di una storia di peccato una parte della sua testimonianza. Simon Pietro non arriverà alla perfezione infallibile. Si scoprirà essere un rinnegatore (Lc 22, 58ss), ma questo non impedirà la sua salvezza. I rinnegamenti diventeranno, al contrario, elementi

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significativi della storia della salvezza. Il dialogo è più che la risoluzione dei conflitti. Non risolveremo tutti i problemi, ma all’interno del dialogo ci può essere della guarigione. Specialmente su di noi, se abbandoniamo le nostre fantasie di potere e perfezione, le nostre tendenze interventiste. Un genuino dialogo che sacrifica la nostra idea di giustizia ha le seguenti caratteristiche:1. Riconosciamo che la Chiesa ha una storia di peccati e che noi stessi siamo incapaci di

presentare in modo giusto la fede cristiana. Un atteggiamento di onesta autocritica è solitamente liberatorio.

2. Il dialogo può però essere doloroso. Mi sento spesso offeso da quello che dicono gli altri. Non c’è una ricetta per le ferite, né per le cure di questi dolori; c’è però la possibilità, a volte, di menzionare la mia propria sofferenza senza usare quell’esperienza per un auto-vittimismo o per altri intenti strategici.

3. Sapere che nel dialogo non sono nel lato della giustizia mi aiuta a vedere quanta dedicazione e coraggio, bellezza ed amore c’è nella fede vissuta dagli altri. I Musulmani possono essere eroici 153|154 nel loro abbandonarsi a Dio. Devo però stare attento a non idealizzare gli altri, ma piuttosto avere quel senso di umorismo necessario per relazionarsi con altre persone.

4. La nostra attenzione va anche al fatto che nell’incontro con persone di altre fedi, io stesso posso compiere errori o perfino mentire, a causa della mia insicurezza, specialmente di fronte ad eventi imprevisti. Una volta che ci si accorge di questo, se ne può parlare, cercando di spiegare come sia potuto succedere.

5. Non dovremmo sopravvalutare l’efficacia del dialogo interreligioso. Non creiamo la pace nel mondo attraverso una strategia del dialogo.23 E’ più realistico, ed anche più fruttuoso, accettare il fatto che non possiamo costruire la pace nel mondo, ma piuttosto possiamo umilmente render testimonianza, da cristiani, del fatto che ogni essere umano ha un’inclinazione verso l’egoismo. Accettare questo e mantenere comunque dialoghi e collaborazione è già molto.

c Il successoLa pesca di Simone non è una cosa facile: le reti si rompono, ha bisogno dell’aiuto degli altri, le barche quasi affondano. Simone deve scoprire e riconoscere la sua incapacità. Anche il nuovo incarico che riceve non è bello: “pescare uomini”.24 Di nuovo viene richiesta molta fiducia nel credere che questo sia veramente buono per l’umanità, metterla in una rete come pesci. Ne deriva una conseguenza sorprendente: se entriamo in un dialogo ispirato dal Vangelo, la nostra azione non sarà coronata da successo. Piuttosto:1. Lo standard di qualità delle nostre azioni è se esse sono fatte in comunione con Cristo. Le

nostre decisioni e aspettative rivelano se esse ci uniscono di più a Cristo. La sua vita non fu una storia di successo. Fu piuttosto krisis, e solo nella resurrezione di cristo c’è vera vittoria.

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23 Cf. Felix Körner, “Einigung jenseits der Religionsgrenzen? Eine Problematisierung von Weltethos- und Naturrechts-Programmen“, in: Zeitschri für Missionswissenscha und Religionswissenscha 94 (2010), 90–105.

24 Il verbo dal quale proviene il participio ζωγρῶν “qualcuno che prende prigionieri” appare solo un’altra volta nel Nuovo Testamento: 2Tm 2, 26, dove indica l’azione di Satana!

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Quello che dobbiamo imparare è desiderare di seguire il suo comando, spesso inaspettato. Dobbiamo partire in missione nello stile mite, delicato che è il suo proprio, stile marcato 154|155 da gioia, libertà interiore, umiltà, obbedienza e fiducia, piuttosto che da efficienza, produttività, eroismo e ammirazione.

2. Il non pensare in termini di successo non è un alibi per non lavorare a metà, o con riserve mentali. Nemmeno dobbiamo evitare una valutazione del nostro lavoro. Si richiede discernimento, un esame continuo delle motivazioni ed una vita di preghiera. Occorrono momenti nella nostra vita quotidiana che non solo sostengono quello che facciamo, ma che lo mettano anche in discussione e lo trasformino.

3. Le missioni non sono mai compiute. “Missione compiuta” è piuttosto un’espressione militare. Una vera missione da Cristo sarà sempre trasformata mentre viene realizzata. Per i cristiani è importante sapere che non sono l’agente principale della storia. La storia è di Dio. Lui ne farà una storia buona, spesso molto differente da quello che io pensavo dovesse essere. Le indicazioni fondamentali sul capire se è davvero la sua voce che mi manda verso il largo sono: rimango in comunione con Cristo? Con i miei compagni? Con la Chiesa?

Abbiamo cercato di esplorare ciò che può essere il dialogo al di là dei conflitti. Il dialogo interreligioso può portarci oltre i conflitti delle domande di ogni giorno, ma non appiana tutte le tensioni. E’ disponibilità ad avventurarsi con Cristo in profondità sconosciute nella speranza di essere sempre più profondamente in comunione con lui.

Tradotto da Claudio Santangelo, C.M.

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