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Insonnia n° 80 Marzo 2016 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Spessa Andrea - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Camminavo una sera di molti anni fa sul lungomare ligure con un’amica che aveva appe- na addormentato il suo bimbo nel passeggino. Era stata una conquista! Il piccolo non vo- leva saperne di dormire, no- nostante la stanchezza, aveva gridato a più non posso per un tempo interminabile. Final- mente ora regnava la calma. Noi potevamo parlare tran- quillamente e confidarci come fanno le ragazze al mare, la sera. Ricordo che in quel punto il lungomare svoltava a gomi- to per seguire la foce del fiu- me e immettersi su un ponte. Proprio lì, nell’istante prima della curva, la mia amica ebbe uno scatto incomprensibile, afferrò il bimbo portandoselo al petto, senza preoccuparsi di svegliarlo malamente. La guardai sgomenta per quel ge- sto assurdo mentre la creatura aveva riaperto le fauci, ma non ebbi il tempo di chiederle se era impazzita perché, appena svoltati, arrivò un pallone di cuoio a velocità inaudita pro- prio dentro il passeggino. Mi volsi verso l’amica e le chie- si con un filo di voce: “Come hai fatto a prevederlo? Sei una veggente?” Lei, più stupita di me, rispose: “Non lo so, ho sentito che do- vevo toglierlo al più presto dal passeggino”. Istinto materno. Semplice- mente istinto. Le donne ce l’a- vevano, forse ce l’hanno anco- ra. Molte sanno di che cosa sto parlando, altrettante però lo hanno seppellito sotto le ma- schere che indossano. Forse è esistito un tempo lonta- no nel quale le madri insegna- vano alle figlie a farsi guidare da questa forza interiore. Poi è venuto il tempo di “Uomini e donne” e abbiamo dimenticato chi siamo davvero. segue pag. 16 Redatto l’elenco degli alberi monumentali del Piemonte RACCONIGI: NON PERVENUTA di Anna Maria Olivero segue pag. 14 segue pag. 2 8 MARZO, FESTA DELLA DONNA di Francesca De Simone Una giornata in memoria dei tragi- ci avvenimenti dell’8 marzo 1908, simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, punto di partenza per il proprio riscatto, ormai ridotta alla mera distribuzione di mimose, senza che nessuno si interroghi su quale sia il loro significato. Secoli di lotte per le rivendicazio- ni femminili in merito a lavoro e condizione sociale buttati al ven- to, ignorati, dimenticati. Per non parlare delle molteplici violenze e degli abusi che le donne continua- no, ancora oggi, a subire. Le notizie relative alle violenze contro le donne, ahimè, sono an- cora numerosissime. ci ha causato questo stato di disagio, facendo spazio dentro di noi anche allo sconforto. Noi donne però non siamo abituate ad arrenderci ed a lasciarci mettere al tappeto tanto facilmente, non ci rassegniamo di vivere troppo tempo prigioniere di questo stato d’animo. Credo che tutti noi abbiamo avuto momenti di tristezza causati da dolo- re, insoddisfazione, scelte sbagliate, delusioni o anche da una malattia. Questo sentimento invade il nostro corpo e la nostra mente, ci rende più vulnerabili, a volte rallentando la nostra attività fisica e le nostre ini- ziative, la nostra mente è proiettata esclusivamente verso il motivo che segue pag. 3 ESSERE DONNA Tristezza, sconforto, forza, AMORE, questi nostri sentimenti di Maria Teresa Bono IL 28 dicembre 2015, è stato appro- vato il nuovo “Elenco regionale de- gli alberi monumentali del Piemon- te” che verrà inserito nell’Elenco nazionale. Sono definiti “alberi monumentali” gli alberi secolari dall’aspetto maestoso, dalle gran- dezze inusuali, dalla chioma impo- nente, che hanno vissuto assistendo agli accadimenti del passato, hanno saputo resistere al tempo (e a volte all’uomo) e alla furia degli eventi. La loro salvaguardia è doverosa in quanto, al pari di edifici e mo- numenti, rappresentano pagine di storia, luoghi, simboli e segni, ov- vero i paesaggi che i nostri padri ci hanno consegnato. Da venti anni il Piemonte legifera su questa materia e ultimamen- te con la Legge n.10 del 2013 ha decretato l’obbligatorietà per ogni Comune di censire i propri alberi monumentali. In ottemperanza a questa legge, nel giugno 2015 la Regione ha quindi chiesto ai 1205 Comuni piemontesi la compila- zione delle schede di segnalazio- ne. Parallelamente, per garantire omogeneità ed efficacia dal punto di vista metodologico e operativo, ha affidato all’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente (IPLA Spa) il supporto tecnico per l’attuazione del censimento, in particolare la ve- rifica sul campo delle segnalazioni. FESTA DELLE DONNE 8 MARZO Vaccinazioni pag. 3 LGBT pag. 8 Opinione Bonavia pag. 7 Donne in Nero pag. 10

INSONNIA Marzo 2016

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Page 1: INSONNIA Marzo 2016

Insonnia n° 80 Marzo 2016 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Spessa Andrea - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Camminavo una sera di molti anni fa sul lungomare ligure con un’amica che aveva appe-na addormentato il suo bimbo nel passeggino. Era stata una conquista! Il piccolo non vo-leva saperne di dormire, no-nostante la stanchezza, aveva gridato a più non posso per un tempo interminabile. Final-mente ora regnava la calma. Noi potevamo parlare tran-quillamente e confidarci come fanno le ragazze al mare, la sera.Ricordo che in quel punto il lungomare svoltava a gomi-to per seguire la foce del fiu-me e immettersi su un ponte. Proprio lì, nell’istante prima della curva, la mia amica ebbe uno scatto incomprensibile, afferrò il bimbo portandoselo al petto, senza preoccuparsi di svegliarlo malamente. La guardai sgomenta per quel ge-sto assurdo mentre la creatura aveva riaperto le fauci, ma non ebbi il tempo di chiederle se era impazzita perché, appena svoltati, arrivò un pallone di cuoio a velocità inaudita pro-prio dentro il passeggino. Mi volsi verso l’amica e le chie-si con un filo di voce: “Come hai fatto a prevederlo? Sei una veggente?”Lei, più stupita di me, rispose: “Non lo so, ho sentito che do-vevo toglierlo al più presto dal passeggino”.Istinto materno. Semplice-mente istinto. Le donne ce l’a-vevano, forse ce l’hanno anco-ra. Molte sanno di che cosa sto parlando, altrettante però lo hanno seppellito sotto le ma-schere che indossano.Forse è esistito un tempo lonta-no nel quale le madri insegna-vano alle figlie a farsi guidare da questa forza interiore. Poi è venuto il tempo di “Uomini e donne” e abbiamo dimenticato chi siamo davvero.

segue pag. 16

Redatto l’elenco degli alberi monumentali del PiemonteRACCONIGI: NON PERVENUTAdi Anna Maria Olivero

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8 MARZO, FESTA DELLA DONNAdi Francesca De Simone

Una giornata in memoria dei tragi-ci avvenimenti dell’8 marzo 1908, simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, punto di partenza per il proprio riscatto, ormai ridotta alla mera distribuzione di mimose, senza che nessuno si interroghi su quale sia il loro significato.Secoli di lotte per le rivendicazio-ni femminili in merito a lavoro e condizione sociale buttati al ven-to, ignorati, dimenticati. Per non parlare delle molteplici violenze e

degli abusi che le donne continua-no, ancora oggi, a subire. Le notizie relative alle violenze contro le donne, ahimè, sono an-cora numerosissime.

ci ha causato questo stato di disagio, facendo spazio dentro di noi anche allo sconforto.Noi donne però non siamo abituate ad arrenderci ed a lasciarci mettere al tappeto tanto facilmente, non ci rassegniamo di vivere troppo tempo prigioniere di questo stato d’animo.

Credo che tutti noi abbiamo avuto momenti di tristezza causati da dolo-re, insoddisfazione, scelte sbagliate, delusioni o anche da una malattia.Questo sentimento invade il nostro corpo e la nostra mente, ci rende più vulnerabili, a volte rallentando la nostra attività fisica e le nostre ini-ziative, la nostra mente è proiettata esclusivamente verso il motivo che segue pag. 3

ESSERE DONNATristezza, sconforto, forza, AMORE, questinostri sentimentidi Maria Teresa Bono

IL 28 dicembre 2015, è stato appro-vato il nuovo “Elenco regionale de-gli alberi monumentali del Piemon-te” che verrà inserito nell’Elenco nazionale. Sono definiti “alberi monumentali” gli alberi secolari dall’aspetto maestoso, dalle gran-dezze inusuali, dalla chioma impo-nente, che hanno vissuto assistendo agli accadimenti del passato, hanno saputo resistere al tempo (e a volte all’uomo) e alla furia degli eventi. La loro salvaguardia è doverosa in quanto, al pari di edifici e mo-numenti, rappresentano pagine di storia, luoghi, simboli e segni, ov-vero i paesaggi che i nostri padri ci hanno consegnato. Da venti anni il Piemonte legifera su questa materia e ultimamen-te con la Legge n.10 del 2013 ha decretato l’obbligatorietà per ogni Comune di censire i propri alberi monumentali. In ottemperanza a questa legge, nel giugno 2015 la Regione ha quindi chiesto ai 1205 Comuni piemontesi la compila-zione delle schede di segnalazio-ne. Parallelamente, per garantire omogeneità ed efficacia dal punto di vista metodologico e operativo, ha affidato all’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente (IPLA Spa) il supporto tecnico per l’attuazione del censimento, in particolare la ve-rifica sul campo delle segnalazioni.

FESTA DELLE DONNE

8 MARZO

Vaccinazionipag. 3

LGBTpag. 8

OpinioneBonaviapag. 7

Donne in Nero

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insonnia2 Marzo 2016

Distanze sideralidi Luciano Fico

Sono le otto e mezza del mattino e lui siede al suo solito tavolo, strategico per tenere d’occhio il bar. Ha davanti il consueto cap-puccino, che verso l’ora di pran-zo si avvicenderà con un aperiti-vo non alcoolico.Sotto la mano destra tiene un quaderno scuro e consunto: di tanto in tanto si scuote e appunta qualche parola, poche però.Osserva.Al tavolo in fondo si è appe-na seduta una donna sui qua-rant’anni, elegante ed austera, forse un filo triste, forse… Beve il suo caffè senza degnare il lo-cale di uno sguardo, ma senza imbarazzo, solo come chi è di passaggio e non è interessato a ciò che esula dal proprio mon-do. Squilla il cellulare e lei lo porta all’orecchio, senza dire un parola, né mutare espressione; ascolta qualche breve istante e poi chiude la telefonata. Mentre esce sembra più incerta, si per-cepisce una rabbia controllata ed un pianto che non può trovare ancora la strada per farsi vita.Dopo le nove si siede con le amiche la mamma che ha appe-na lasciato i figli a scuola. E’ sor-ridente ed accaldata in volto, la vitalità trapela dal suo corpo che ha poca grazia e parecchi chili di troppo. Neanche da seduta riesce a stare ferma, il Mondo sembra chiamarla di continuo, esigente e brontolone: lei risponde con un perenne, sottile stato di an-sia. Solo quelle scarpe vezzose, poco adatte alle corse mattutine, tradiscono altro in quella vita de-dita al culto del quotidiano.Mentre l’uomo appunta qualco-sa sul suo quaderno si affaccia alla porta una barbona. Lascia entrare nel locale solo il suo puzzo ed uno sguardo spaven-

8 MARZO, FESTA DELLA DONNAsegue dalla prima tato, che lascia scivolare su tutti

i presenti. Chiede una moneta e torna nel suo altrove.Il barista, ligio al suo ruolo, asciuga i bicchieri e poi il ban-cone con uno straccio. Osserva l’uomo con il quaderno e pensa compiaciuto che potrebbe esse-re uno scrittore, un Hemingway ancora sconosciuto. Qualcuno sostiene invece che sia solo uno sfaccendato o addirittura un mat-to fissato con le donne.Altrove un altro uomo, disto-glie per un attimo lo sguardo dal monitor e si toglie meccanica-mente gli occhiali, quasi volesse sollevare da quel peso gli occhi stanchi. Nella nebbia della sua miopia si concede un momento di assenza per perdersi nei suoi pensieri. Dentro di lui galleggia-no le immagini delle innumere-voli stelle osservate, instancabil-mente, in trent’anni di ricerca. Stelle luminose come soli, stelle morte, stelle nane e stelle enor-mi: gli astronomi come lui si sono sbizzarriti a trovare un nome per descriverle tutte! Ancora non è sazio di quel mi-stero che ogni giorno scruta da lontano: sono così distanti, silen-ziose e chiuse nel loro destino…Il momento più doloroso è quan-do non riesce più a tenere lon-tana la consapevolezza che lui osserva solo ciò che non è più. Mentre inquadra la sua stella, riesce solo ad intercettarne un riflesso tardivo, mentre lei è già altrove, ha già vissuto cose che ancora lui non può vedere.Tutte le sere torna a puntare i suoi strumenti e si consuma gli occhi a guardare ciò che non potrà mai vedere davvero: è un destino, ma forse dovremmo dire un amore, a cui non può sottrarsi.

Nonostante le varie campagne di sensibilizzazione, tra i titoli in prima pagina leggiamo ancora di donne sfregiate con l’acido e as-sassinate, ragazzine stuprate e re-clutate per la prostituzione e per il narcotraffico. Nel 2013, il Forum Economico Mondiale ha stilato una classifica della parità tra i sessi, dove l’Ita-lia si è piazzata nelle ultime posi-zioni. Più di preciso, al 72º posto nelle differenze nel campo della salute, al 65º posto nell’accesso all’istruzione, al 44º nell’impegno

politico e al 97º posto nell’egua-glianza economica e lavorativa. Inoltre, su 136 Paesi, l’Italia è al 124º posto nella parità di stipendi tra i sessi. Questo significa che c’è ancora molta differenza nel modo in cui giudichiamo e retribuiamo uno stesso lavoro a seconda se esso è svolto da un uomo o da una donna.Ma la discriminazione del sesso femminile si può notare anche nello sport. La testimonianza che porto, in quanto giocatrice, riguar-da il mondo del calcio. Sebbene la F.I.G.C. ( Federazione Italiana Giuoco Calcio) stia cercando di promuovere il calcio femminile, promozione favorita anche dai maggiori produttori di videoga-mes, che hanno inserito la catego-ria “donne” nel celebre videogio-

co “Fifa 16”, il presidente della L.N.D. (Lega Nazionale Dilettan-ti) il 5 marzo scorso, ironia della sorte, affermò “basta dare soldi a queste quattro lesbiche”, sollevan-do non poche polemiche. Grazie al cielo, qualcuno si indigna ancora sentendo queste mostruosità.Infine, l’immagine della “donna oggetto” che i diversi media conti-nuano a proporci, di certo non aiu-ta. Finché continueremo a predili-gere l’aspetto estetico a discapito delle altre qualità, non raggiunge-remo mai la parità tra i sessi.

Ma le prime a sba-gliare siamo pro-prio noi donne: ci offendiamo se gli uomini non ci re-galano un mazzo-lino di mimose per l’8 marzo e non battiamo ciglio, invece, quando danno per scontato che i lavori di casa tocchino sempre a noi. È questione di abi-tudini. Abitudini che si sono radica-te nella vita e nel pensare comune. È difficile liberar-si dalle abitudini, ma per farlo biso-gna partire dalle piccole cose, dalle fondamenta, dal quotidiano. Noi, donne di tutti i giorni, facciamoci aiutare anche dai maschi di casa ad apparecchiare la

tavola e lavare i piatti. Insegniamo ai nostri figli femmine e maschi a stendere e stirare, non partiamo dal preconcetto di educare solo le prime. Facciamo sì che siano anche i nostri mariti ad occuparsi della casa e dei figli. E a questo punto, diventa una que-stione di rispetto ed equità. Ovviamente non si vuole fare di tutta l’erba un fascio: conosco molti uomini che si danno da fare non solo per aiutare in casa, ma anche per sostenere le cause fem-minili e per denunciare i proble-mi che, ancora oggi, pesano sulla condizione della donna. Ma il tutto deve partire da noi don-ne. Siamo noi il motore del cam-biamento. Evviva l’8 marzo, evviva le donne!

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insonnia 3Marzo 2016

ESSERE DONNATristezza, sconforto, forza, AMORE, questi nostri sentimentisegue dalla prima

La nostra indole innata ci guida ed indirizza la nostra attenzione ver-so altre motivazioni che ci portano ad agire, a stupirci nuovamente, a risollevarci perché sappiamo che dopo una parentesi triste torneran-no altre parentesi, altri punti, altre virgole e tanti eccetera felici.Le donne hanno sempre trovato il modo di risollevare il capo anche nei momenti più bui, si sono rim-boccate le maniche ed hanno rea-gito ad ogni difficoltà mettendo da parte tristezza e sconforto.Ricordiamo le donne che nei pe-riodi bellici hanno sostituito i loro uomini nelle fabbriche, da sole hanno coltivato le campagne, pur continuando a badare alla fami-glia. Non dimentichiamo le donne partigiane che nella Resistenza hanno imbracciato i fucili o hanno

fatto da staffetta, combattendo la loro guerra per la Libertà.Quante lotte per ottenere il rico-noscimento della piena dignità non solo dal punto di vista politico ma anche giuridico ed economico. Per noi donne tutto è stato più dif-

ficile da conquistare, quello che al sesso maschile era dato per scon-tato a noi era proibito, sembrava irraggiungibile.Quante volte la donna è stata umi-liata, violentata psicologicamente e fisicamente, quante ne sono state uccise per mano dei loro uomini, quasi fosse un loro diritto. Purtroppo però su questo fronte i problemi non sono ancora stati su-perati totalmente e basta guardare i fatti di cronaca degli ultimi gior-ni per prenderne atto.Quanta forza deve trovare una donna dopo una violenza, qua-le tunnel di tristezza e sconforto deve attraversare per vedere nuovi orizzonti.Ma la donna è una locomotiva alimentata da una fonte di energia inesauribile e non inquinante chia-

mata AMORE.Questa locomotiva sa arrancare sulle salite più ripide per poi man-tenere il giusto equilibrio nelle di-scese inaspettate, andando sempre avanti con perseveranza e determi-nazione nelle pianure infinite ed a volte monotone della quotidianità. Al termine della corsa ogni loco-motiva si ferma alla propria sta-zione di arrivo, ma ecco che altre riprendono il viaggio perché que-sta è la corsa della vita.Alla donna infatti è stato anche affidato il compito di dare la vita ed è pure per questo che dobbia-mo considerarci fortunate e privi-legiate di essere nate donne.Quindi viva le donne, auguri a tutte noi e continuiamo il nostro viaggio su queste rotaie senza tempo.

Ho fatto il medico a Racconigi per molti anni, dal 1975 al 2011, come pediatra e come radiologo. In tutti questi anni ho seguito molti bambi-ni, di cui molti sono ora genitori a loro volta. Assisto, in questo ultimo periodo, con non poco stupore, a un fenomeno sempre più diffuso: molti giovani genitori non sottopongono più i loro figli alle vaccinazioni.Le cause sono probabilmente legate ai possibili effetti collaterali imme-diati e al timore di effetti molto gravi a distanza. Inoltre per qualcuno può esserci il desiderio di non appog-giare le multinazionali dei farmaci, sulle quali sovente è sorto negli anni il sospetto di conflitto di interesse e insomma di badare più ai propri utili che non alla salute dei cittadini.Un’altra possibile causa è che a tutt’oggi la gamma delle vaccina-zioni proposte o a disposizione si è allargata tantissimo, tanto che forse qualcuno ha pensato che fossero troppe, e che ci fosse qualcosa sotto: appunto, come dicevamo, una ma-novra economica da parte delle case produttrici.Riguardo agli effetti collaterali, è vero, ci sono, sia di tipo immediato che tardivo. Tra quelli immediati il più rischioso è costituito dalla grave reazione allergica: ogni volta che si introduce in un organismo una so-stanza estranea (in questo caso un “pezzettino” di virus o di batterio, che è “passato” prima su molte so-stanze) esiste questa possibilità, an-che se sono eventi rarissimi, molto ma molto più rari delle complicazio-ni delle malattie contro cui ci vacci-niamo. E poi ci sono tutti gli effetti

collaterali legati al fatto che la vacci-nazione ci fa fare una piccola malat-tia, una piccola difterite, un piccolo morbillo eccetera, per cui possiamo anche non passarne indenni.Ma la grossa paura di questi anni sono stati gli effetti a distanza: per fare l’esempio più clamoroso, la vaccinazione anti-morbillosa è stata associata con l’insorgenza di auti-smo. Ora, per quanto ho letto io (e leggo ancora moltissimo, indirizzata dalla rivista “Medico e Bambino” che guida nella letteratura interna-zionale più qualificata) questo rap-porto è stato assolutamente smentito da vasti e rigorosissimi studi stati-stici ed epidemiologici, studi non gravati da alcun sospetto di conflitto di interesse. Teniamo presente che il morbillo (che noi della mia genera-zione abbiamo fatto tutti, e in effetti siamo ancora qui) può dare, neanche tanto raramente, delle complicazioni gravissime, come la meningo-ence-falite morbillosa, che lascia sovente delle sequele neurologiche (a onor del vero esiste anche una menin-go-encefalite post-vaccinale, che però è assolutamente più rara).Tutto questo per dire che le malattie che ci sembrano più banali, come appunto il morbillo o la pertosse, che “tutti hanno sempre fatto per generazioni e generazioni” portano con sé il rischio di complicazioni veramente severe.Per non parlare poi di malattie come la difterite o la poliomielite che, da quando è calata la copertura vacci-nale di massa, stanno ricomparen-do in Europa in modo per fortuna sporadico. Quando tutta o quasi la

VACCINAZIONI! L’opinione di un medicodi Paola Bonavia

popolazione è vaccinata, si instaura il cosiddetto “effetto gregge”, per cui la malattia non circola più, e di conseguenza anche i pochissimi non vaccinati sono protetti. Ora, l’effetto gregge sta perdendo di efficacia per molte malattie. La ri-diffusione di malattie come la poliomielite può essere favorita dai flussi migratori delle popolazioni; viceversa, le po-polazioni che migrano verso l’Eu-ropa, dovrebbero avere il diritto di essere accolte tra persone esenti da gravi malattie diffusive, in modo da

poter essere a loro volta protetti, an-che se nel loro paese d’origine non avessero avuto la possibilità di vac-cinarsi. Quest’ultima è comunque una mia considerazione personale.Non dimentichiamo il tetano, malat-tia pericolosissima che tante vittime ha fatto in epoca prevaccinale. Ri-cordo la morte di un ragazzino della mia leva, 1950, quand’ero bambi-na; il tetano si può contrarre anche soltanto pungendosi con una spina di rosa, o contaminando una ferita con terreno concimato con sterco di cavallo… qui siamo in campagna. Vorrei che tutti i giovani genitori ri-

flettessero su queste cose.Pensiamo intanto ai casi di menin-gite riscontrati in Toscana in questi ultimi mesi, tutti casi, alcuni con probabili esiti neurologici, che si sa-rebbero potuti evitare se queste per-sone fossero state vaccinate con il nuovo vaccino anti-meningococco. Il più vecchio di questi pazienti ha 33 anni, è uscito indenne dalla sua brutta esperienza, e sta conducendo una campagna per esortare tutti a vaccinarsi (è una malattia che col-pisce soprattutto i giovani e i bam-bini).Facciamo ancora un pensiero al ter-ribile vaiolo, malattia per la quale ora non ci si vaccina più, in quanto la vaccinazione universale l’ha fatta scomparire; il vaiolo non esiste più. Riguardo poi alle multinazionali del farmaco, sono d’accordissimo nel temere comportamenti talora scor-retti da parte loro; ma qui la posta in gioco è veramente grossa, agiamo magari in altri settori; e poi bisogna ammettere che queste case produt-trici lavorano molto bene, e sono sottoposte a test molto severi.Io ho un grandissimo rispetto per le altrui opinioni, e posso capire che certi allarmismi sulle complicazioni a lungo termine delle vaccinazioni abbiano spaventato i genitori, forse anche stanchi di vedere i loro bam-bini “star male” dopo la vaccinazio-ni; e che l’offerta al giorno d’oggi è veramente molto alta. Resto comun-que dell’idea che è meglio evitare assolutamente il rischio di malattie gravissime di per sé, come il tetano o la difterite o la poliomielite, o con potenzialità di dar luogo a severissi-me complicazioni (come la pertosse e il morbillo).Spero che questa mia piccola dife-sa delle vaccinazioni possa essere di ispirazione a qualcuno dei molti incerti (e ce ne sono tanti, li incontro in giro per il paese, e me ne parlano).

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insonnia4 Marzo 2016

MICHELA RACCONTA: IN AMERICA…La speranza non è stare ad aspettare, ma combattere e lottaredi Michela Della Valle

tetraparesi spastica neonatale. Vi parlo questa volta di una esperienza persona-le che ho vissuto negli Stati Uniti.L’America è stata simbolo di speran-za per generazioni di italiani e, in una circostanza molto particolare della mia vita, anche per me e per la mia fami-glia. Da bambina ero seguita, nella mia pa-tologia, da un professore che lavorava in Grecia, il dott. Nicholas Tzimas. Questi consigliò al mio papà di rivol-gersi in America a un ospedale di New York, per tentare un intervento che avrebbe potuto restituirmi l’uso delle gambe. Papà, che ha sempre lottato per me e non ha mai lasciato nulla di in-tentato, decise per il sì..Siamo partiti il 15 novembre 1986 da Milano, una mattina con molta nebbia: avevo 8 anni, eravamo io, papà e non-na. La mamma era morta due anni pri-ma. Io non capivo bene dove stessimo andando…L’intervento è avvenuto il 20 novem-bre 1986. Avrei voluto papà con me in

sala operatoria, ma non sono stata ac-contentata. Piangevo, piangevo, pian-gevo. Mi hanno fatto così tanta aneste-sia che mi sono svegliata 6 ore oltre il previsto, ingessata dai piedi al petto. Ho vomitato 3 giorni. La sofferenza era tanta, non l’ho dimenticata, è or-mai un ricordo indelebile. Ancora oggi quando ho l’influenza o mi fa male la schiena non mi lamento, perché so che il dolore è altro.Io e la mia famiglia siamo rimasti al 28° piano del grattacielo di New York dove vivevamo fino al marzo dell’’87. Di quel periodo il ricordo più bello è il Natale: in America per i bambini il Natale è una festa bellissima. Sono scesa con la carrozzina insieme ad altri bambini, pure loro operati, ed è arriva-to Babbo Natale, con la musica e i doni per tutti noi. E’ stato meraviglioso.Eravamo 8 bambini operati come me nello stesso ospedale e nello stesso periodo: alla fine, 7 si sono alzati dalla carrozzina, io no. Per papà è stato uno shock.

Ed anche per me: non ho più parlato dell’America per anni, non avevo la forza di raccontare quel periodo della mia vita. Finché nel 2008 mio cugino ha sposato una ragazza americana, Jesica. Lei è entrata a far parte della nostra famiglia ed io sono riuscita a ri-pensare e raccontare quell’esperienza; ora mi sono “riconciliata” con l’Ame-rica, ma non ci tornerò più. La speranza non è stare ad aspettare, ma combattere e lottare. Io l’ho fatto e sono contenta di averci provato.Oggi sentiamo tanto parlare di terribili malattie, tipo l’anoressia e la bulimia. Io vorrei dire a tutti, ma soprattutto ai giovani, di non smettere mai di com-battere e di non bruciare doni preziosi come la speranza e la fede. Pensate e sperate: dalle brutte situazio-ni si può uscire! Dovete credere che la vita valga sempre la pena di essere vissuta. Non dobbiamo piegarci alla volontà di quelli che dicono che è tutto inutile, che non c’è speranza; forse, go-dono del dolore altrui…

Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini… la donna (il guerriero)Naginata: antica arte marziale delle donne samuraidi Alessia Cerchia

Un famoso adagio giapponese recita “hana wa sakuragi, hito wa bushi”, ovvero “tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero”. Una frase che nella sua sinteticità racchiude un inte-ro mondo: culturale, sociale, religio-so. Una frase così breve eppure così intensa!Il fiore di ciliegio racchiude in sé l’i-dea di una bellezza perfetta ma effi-mera: un singolo colpo di vento può portarlo via, rubandone l’essenza stessa per sempre. Metafora potente, usata nel Giappone feudale per rap-presentare il guerriero, la cui intera vita era dedicata alla ricerca della bellezza e della perfezione del gesto, attraverso la pratica assidua delle arti marziali, seppur nella consapevolezza della vacuità della propria esistenza e dei risultati raggiunti. Era sufficiente un colpo di spada ben assestato, infat-ti, per porre fine alla sua vita.Non a caso, la classe samurai e molte nobili famiglie giapponesi adottarono proprio il fiore di ciliegio come loro emblema.Lo spirito “guerriero”, tuttavia, pro-prio nel Giappone antico, non era considerato una prerogativa ricono-sciuta soltanto agli uomini, come oggi sembrano invece pensare molti “sedicenti” (passatemi l’ironia) prati-

canti di arti marziali. Tutt’altro.Nel primo periodo feudale, infatti, le donne di nobili famiglie samurai furono costrette a passare lunghi pe-riodi in solitudine, poiché le guerre continue costringevano gli uomini ad allontanarsi per combattere. Le donne diventarono, dunque, il pun-to di riferimento fondamentale per tutto ciò che riguardava la sopravvi-venza della famiglia, finanziaria ed economica, ma anche letteralmente “fisica”. Fu anche per questo motivo che le giovani discendenti da nobili famiglie guerriere venivano sottopo-ste ad un allenamento costante nelle arti marziali. L’arma più diffusa era la “naginata”, l’alabarda giapponese che, grazie alle sue fattezze ed alla sua lunghezza, consentiva e consente anche alla più minuta delle guerriere di tenere testa a qualsiasi avversario, quale che sia la sua forza.Non a caso la naginata veniva re-galata in dote alle giovani spose, al momento del matrimonio, e appesa sopra l’ingresso della loro abitazione, come simbolo della nobiltà d’origine e del loro spirito samurai.Ancora oggi la “naginata” è un’arte marziale giapponese diffusa in tutto il mondo, Italia compresa (e che ho il privilegio e piacere di praticare da cir-

ca quindici anni) che vede una mas-siccia partecipazione femminile. E mi permetto di dire che la differenza si vede… nella naginata, così come nell’aikido e nelle altre arti marziali (mi spingerei a dire nella vita), le don-ne sono spesso impegnate a studiare la tecnica nel più minuscolo dei detta-gli, per ripeterla alla perfezione, fino a renderla propria. Noi donne viviamo nella consapevolezza che là dove i nostri compagni possono rimediare a qualche errore usando la forza, la no-stra essenza ci costringe a (o ci offre l’occasione di) doverci arrivare con la tecnica, con la dedizione, con la perfetta conoscenza delle dinamiche sottese al singolo movimento, a volte con un po’ di furbizia. Là dove spes-so si vedono praticanti maschi, più o meno giovani, confrontarsi sul lato fisico, per dimostrare chi tra loro è il

più forte, le donne trovano quasi sem-pre il peggior nemico da combattere in se stesse, nelle proprie debolezze e (talvolta) nell’eccessiva severità con cui le valutano.Per questo, oggi come ieri, in Italia come in Giappone, si può dire “tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini… la donna”. Perché le donne sono belle, sono perfette, sono profonde come un fiore di ciliegio. Ma le donne sono an-che delicate, effimere… un soffio di vento può portarle lontano. E ancora. Le donne sono forti, caparbie, fecon-de come l’albero da cui fioriscono quei piccoli immensi fiori di ciliegio!La prossima volta che ci trovate su un tatami o ci incrociate per strada guar-dateci con attenzione: nei nostri occhi vedrete forse un riflesso rosa… ricor-date che altro non è se non il riflesso del nostro spirito indomito.

Michela a 6 anni con il papà

I lettori di Insonnia già mi conoscono, però mi voglio presentare per gli altri: sono Michela, una ragazza affetta da

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insonnia 5Marzo 2016

“UFFICIO EUROPA”31 realtà del territorio di Cuneo si uniscono per programmare l’accesso ai nuovi bandi UEdi Anna Maria Olivero

Sono trentuno le realtà del terri-torio di Cuneo, che hanno deciso di migliorare la capacità strategica e di “fare rete”. É nato infatti, an-che a Cuneo, l’“Ufficio Europa”. Il Presidente Federico Borgna il 2 febbraio, nella serata di presenta-zione, ha annunciato: “La rifles-sione che abbiamo fatto é stata quella di istituire uno strumento agile e utile a tutto il territorio per lavorare e programmare insieme le azioni, incrociando i dati della programmazione Europa del pros-simo settennato. Questo ufficio dovrà quindi monitorare, suppor-tare la progettazione e la gestione dei progetti” ricordando però che “l’Europa non è un bancomat”. L’Ufficio sarà in sperimentazione per la durata di un anno.Molte le realtà che hanno istituito da tempo l’“Ufficio Europa”.

Il Comune di Vercelli ha istituito l’Ufficio Europa” nel 2008 allo scopo di inserire l’Amministrazio-ne comunale nel contesto europeo e favorire la partecipazione della città alle opportunità comunitarie. Lavorare con l’Europa infatti rap-presenta non solo un vantaggio dal punto di vista del reperimento di risorse finanziarie aggiuntive, ma anche la possibilità di entrare in un circuito di relazioni internazionali virtuose dalle quali si sviluppano nuove ed importanti opportunità.L’Ufficio svolge un ruolo di sup-porto tecnico ai diversi Settori dell’Ente attraverso una rete di rapporti con gli stessi e rappresen-ta un punto di riferimento costante per l’informazione nell’ambito dei programmi comunitari.Le attività svolte riguardano:• Realizzazione di una newslet-

ter informativa a cadenza mensile per fornire ai Settori dell’Ente tut-te le notizie riguardanti gli svilup-pi delle politiche e dei programmi comunitari, le informazioni sull’u-scita dei bandi europei e l’indica-zione degli eventi nazionali ed in-ternazionali;• Rapporti con gli attori locali, re-gionali ed internazionali;• Rilevazione delle idee proget-tuali attraverso l’identificazione delle opportunità più idonee su cui realizzare i progetti comunitari;• Ricerca dei partner internazio-nali e relazione con gli stessi per tutta la durata di preparazione del progetto;• Elaborazione dei progetti ed invio alla Commissione europea;• Assistenza ai Settori dell’Ente per l’attuazione dei progetti finan-ziati sia per quanto riguarda gli

aspetti amministrativi, sia per le relazioni con i partner locali, na-zionali ed internazionali;• Elaborazione ed invio alla Commissione delle relazioni di verifica intermedie e finali, non-ché attività di rendicontazione du-rante la realizzazione ed alla fine del progetto.Il Comune di PONTEDERA con-sapevole che le politiche locali sono sempre più legate alla di-mensione europea per favorire lo sviluppo del territorio e l’interna-zionalizzazione del tessuto pro-duttivo ha istituito l’“Ufficio Eu-ropa On Line” perché Cittadini e imprenditori possano conoscere e beneficiare delle opportunità deri-vanti dal processo di integrazione comunitaria.

La riforma Renzi - Giannini, al-trimenti conosciuta come Legge 107/2015 o della “Buona Scuola” stabilisce l’obbligo del percorso di Alternanza Scuola Lavoro per tutti gli studenti a partire dal terzo anno di istruzione superiore.L’Alternanza Scuola Lavoro con-siste nella realizzazione di per-corsi progettati, attuati, verificati e valutati, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica, sulla base di apposite convenzioni con imprese, associazioni di rappre-sentanza, istituzioni culturali, Ca-mere di commercio, industria, ar-tigianato e agricoltura, con gli enti pubblici e privati, inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di apprendimento in situazione la-vorativa. Le ore da effettuare nell’arco del triennio, sia nel corso dell’attivi-tà didattica sia durante le vacan-ze, devono essere almeno 400 per gli studenti degli istituti tecnici e professionali e 200 per gli stu-denti dei licei. E’ anche concessa la possibilità di effettuare lo stage all’estero.Spetta alla scuola stipulare per ogni studente coinvolto l’assicu-razione R.C. e Infortuni, mentre si richiede ai responsabili delle

strutture ospitanti, firmatari della convenzione (che non costituisce rapporto individuale di lavoro), di individuare un tutor responsabile dello svolgimento dello stage, a cui ogni studente possa fare rife-rimento.L’attività svolta durante il percor-so è valutata e costituisce parte integrante della formazione curri-colare di ogni allievo.Gli studenti quest’anno impegnati obbligatoriamente nell’Alternan-za Scuola Lavoro saranno alme-no 500.000, mentre a regime sul triennio saranno circa 1 milione e mezzo quelli coinvolti.L’intento alla base del progetto è quello di aprire le porte delle scuo-le alle esperienze e alle competen-ze che si formano fuori dall’aula, unendo sapere e saper fare.Mentre per gli studenti degli istitu-ti tecnici e professionali si tratta di un ampliamento dell’offerta for-mativa che già trovava attuazione nell’esperienza di stage prevista da percorsi consolidati da tempo, per gli studenti dei licei il progetto di Alternanza Scuola Lavoro co-stituisce un elemento di novità. Per quanto sia ampiamente dimo-strato che l’esperienza di lavoro dia motivazione e interesse all’ap-prendimento, con conseguenti

effetti sul futuro professionale e induca nuovi comportamenti e nuovi contenuti, l’Italia rimane il paese OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) con il minor numero di giovani tra i 16 e i 29 anni che

associano lo studio ad esperienze lavorative ed il secondo peggiore per disoccupazione nella stessa fascia. Gli obiettivi che l’Alternanza Scuola Lavoro si pone sono, dun-que, volti a stimolare modalità di apprendimento flessibili sotto il profilo culturale ed educativo che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l’esperien-za pratica.Si tratta di arricchire la formazio-ne dei percorsi scolastici e forma-tivi con l’acquisizione di compe-tenze spendibili nel mercato del lavoro anche correlando l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territo-rio. Non ultimo, rientra negli scopi del progetto favorire l’orientamen-to dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento indivi-duali anche in considerazione del-le scelte nella prosecuzione degli studi universitari o specialistici.Si tratta, insomma, di un passo im-portante nel tentativo di realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la so-cietà civile.

La “Buona Scuola”ALTERNANZA SCUOLA LAVOROdi Cristina Ferrero

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insonnia6 Marzo 2016

a cura di Guido Piovano

ne di separato/a che si trova a vi-vere. Nella separazione abbiamo subìto l’abbandono, il tradimento, lo smembramento delle famiglie, il crollo dei valori più profondi in cui credevamo, la perdita dell’iden-tità e di tutte le sicurezze, la fiducia in Dio e a tratti la fede. In questo contesto traumatico, la Chiesa si è dimostrata in genere indifferente, quando non addirittura ostile, e Dio ci è parso lontano e distaccato.Ciascuno di noi “procedendo a ten-toni” è approdato a Fossano, dove “Dio si è fatto uomo in mezzo agli

Gli zanzarini sono in-setti molesti. La loro puntura non è mortale e neppure dolorosa, ma è spesso irritante. Se ne scacci uno ne arriva subito un altro. Tanto vale farci l’abitudine.

Eccomi, eccomi, arrivo, si avvi-cina l’8 marzo!Zzzz, che c’è di nuovo? Ah, sì, mi sono accorta che gli uma-ni si stanno dando tanto da fare a riscoprire l’importanza delle donne nella loro vita! Addirittu-ra hanno girato un film (loro la chiamano fiction) su quella me-ravigliosa donna che ha inventa-to il bacio perugina, sì quello con i bigliettini dentro che si leggono

prima di mettere in bocca il cioc-colatino! Da un’altra parte sono ar-rivati a scoprire l’eroismo di quelle donne che durante il primo conflit-to trasportavano nelle gerle, cari-cate sulle spalle, cibo e munizioni per i soldati in prima linea! Senza contare che sempre più spesso si parla dell’importanza, durante la seconda guerra mondiale, delle staffette (una volta considerate di serie b), che trasportavano mes-

saggi, denaro, cibo ai partigiani. Venendo ai tempi nostri, ho senti-to di quella dottoressa in chimica che, pur avendo tre figli e un ma-rito, ha scoperto che il glutine del grano arso non nuoce ai celiaci… oddio, sta a vedere che il mondo l’hanno fatto le donne… ma no, solo qualche cosa perché le cose più importanti le fanno i maschi. Ad esempio chi poteva pensare e organizzare la traslazione del-

Nella diocesi di Fossano esiste un progetto “L’ANELLO PERDU-TO” rivolto alle persone separate e alle coppie conviventi o risposate. Questo progetto accoglie le perso-ne ferite dalla separazione e propo-ne incontri, laboratori, celebrazioni per aiutare gli anelli perduti a rea-gire al fallimento del matrimonio e tornare a credere nella vita senten-dosi ancora parte della comunità cristiana.E’ un servizio offerto con grande discrezione, umiltà e senza pregiu-dizio.Negli ultimi tre anni ho partecipato spesso alle iniziative appena de-scritte e sono entrata a far parte di un gruppo di separati che ha fatto un bel percorso di rinascita. Di recente abbiamo scritto una lettera al Papa per chiedergli di ri-ceverci in udienza e “da pazzi” ab-biamo espletato tutte le pratiche per

inviarla.5 giorni dopo l’invio Papa France-sco ha telefonato personalmente al nostro responsabile diacono Paolo Tassinari per capire bene in cosa consistono le iniziative del gruppo, per incoraggiarci a continuare e per invitarci in Vaticano ad udienza!!!Questa telefonata è stata una sorpre-sa del tutto insperata e una carezza al cuore dei separati che credono in una Chiesa a porte e braccia spalan-cate.Qui di seguito trovate la lettera in-viata al Papa

Caro Santo Padre,siamo un gruppo di persone se-parate o divorziate che si sono conosciute seguendo un progetto della diocesi di Fossano (CN) “L’a-nello perduto”.Ognuno di noi ha sofferto e soffre profondamente per la condizio-

Zanza Rinale salme di due defunti, santi o quasi santi, dal profondo sud fino alla città santa (si fa per dire!) culla della religiosità cristiana? Solo un maschio!Zzzz, meno male che esco una volta all’anno… se no chissà quante punzecchiature potevo rifilare!Zzzz, mah, chi l’ha detto, poi, che devo punzecchiare solo a marzo!?

Sono davvero contento di ospitare in questa rubrica l’inter-vento di Sara relativo ad un tema che ho trattato più volte nel recente passato.

UNA CHIESA A PORTE E BRACCIA APERTEdi Sara Brizio

uomini” feriti dalla separazione at-traverso l’equipe de “L’anello per-duto”, un progetto diocesano attivo dal ‘09 su mandato del Consiglio Pastorale Diocesano e Presbiterale e dell’allora Vescovo mons. G. Ca-vallotto, affidato a Paolo, ora diaco-no permanente. Queste persone ci hanno dedicato tempo, attenzione e ascolto con grande rispetto e di-screzione; ci hanno proposto incon-tri con psicoterapeuti e motivatori, impegnati ad aiutarci a prendere coscienza della realtà, a reagire e ri-conoscere la nostra forza nell’anda-re avanti giorno dopo giorno nono-stante le ferite e il disorientamento, a ritrovare il coraggio di guardare

nuovamente la vita con speranza, ad alzare ancora gli occhi a Dio con fiducia… e una scintilla si è riaccesa nei nostri cuori.Ci hanno spalancato le porte delle chiese, perché partecipassimo a Messe e Celebrazioni in cui abbia-mo ritrovato un posto e un senso in seno alla Chiesa; ci hanno accolti fraternamente e hanno medicato le nostre ferite. Condividendo tut-te queste esperienze è nato tra noi “anelli perduti” grande spirito di solidarietà ed amicizia.Ora Santo Padre vista la Sua ec-

cezionale umanità, la Sua spiccata sensibilità e disponibilità all’acco-glienza, la Sua voglia manifesta di essere pastore in mezzo al greg-ge, ci permettiamo di chiederLe udienza privata per avvicinarci a Lei come segno tangibile dell’a-more paterno e della misericor-dia di Dio per i suoi figli feriti. Compresi i nostri figli, saremo cir-ca una settantina di persone: chie-diamo umilmente soltanto qualche minuto del Suo tempo prezioso, per una preghiera ed una benedizione. Alleghiamo una fotografia di una parte delle persone coinvolte.Con affetto e riconoscenza.Fossano, 25/1/2016

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insonnia 7Marzo 2016

Quando mi è stato proposto di scrivere due righe sul mio modo di vedere Racconigi, sono rimasta molto perplessa, in quanto non ho mai partecipato alla vita politica o pubblica della mia città (anche a causa di una patologia invalidante, di cui non riesco a liberarmi). Dal-la mia posizione di assenza da atti-vità pubbliche, non mi sento molto in grado di dare suggerimenti o muovere critiche. In ogni caso, l’a-more per la mia bella città, quella in cui sono nata, ho trascorso una splendida infanzia e giovinezza, da cui non mi sono mai allontanata se non per brevi intervalli, in cui ho fatto il medico per 37 anni, questo amore mi ha spinta a dire due pa-role.Racconigi è bella, molto bella, con le sue piazze, la sua architettura, per non parlare del suo Castello, la sua campagna… Ed è molto mi-gliorata negli ultimi anni: poco più di 30 anni fa, quando ho portato qui per la prima volta mio marito, la città era molto più sporca, aveva un’aria un po’ approssimativa, con aspetti quasi fatiscenti; ora è molto più pulita, ordinata, le piazze sono divenute molto più belle, Piazza Castello poi è bellissima nella sua veste attuale; tutto questo parla del buon lavoro svolto dalle nostre amministrazioni in questi anni.Se potessi esprimere dei desideri, vorrei però tante cose in più. Ini-ziamo dal Castello, decisamente poco “sfruttato” come attrazione turistica; sarebbe bello collegarlo

di più con i Racconigesi, farlo più nostro, con una maggior collabo-razione tra città e gestione del Ca-stello; potrebbe diventare il centro di manifestazioni culturali di gran-de portata, non solo il Castello, ma anche le Margarie, con una enor-me potenzialità per lo svolgersi di congressi o manifestazioni. Natu-ralmente ci vorrebbe una struttura recettiva più sviluppata, ora ab-biamo anche perso il nostro uni-co albergo, e i bed and breakfast sono belli ma poco pubblicizzati. Il castello di Racconigi potrebbe diventare il centro da cui far parti-re visite a tutte le dimore sabaude, che sono tante e vicine; potrebbe prendere accordi con altre città d’arte, una per tutte con la bellis-sima Saluzzo, si potrebbe costitu-ire un circuito turistico molto più ricco… E per chi è più giovane e ama muoversi, sogno grandi piste ciclabili e bei sentieri tracciati, per poter visitare Racconigi e dintorni in modo più sportivo.Auspico inoltre una maggior pub-blicizzazione delle iniziative e en-tità esistenti, ad esempio del bellis-simo “Museo della Seta”, unico e interessantissimo. Inoltre, andando a spasso in campagna, c’è la pos-sibilità di vedere germani reali, aironi bianchi o cinerini, ochette d’acqua, tutte cose che noi abbia-mo, grazie alla LIPU, e altre città non hanno: anche questo andrebbe pubblicizzato.Se il centro città ha un aspetto pulito e ordinato, lo stesso non si

può dire per la campagna, le cui bealere sono piene di ogni tipo di pattume, anche di latte e involucri di anticrittogamici, secondo me; anche nei campi si trova un po’ di tutto. Si potrebbe forse trovare il modo di pulire sistematicamente queste zone (oltre che trovare il modo di indurre la popolazione a comportarsi diversamente). A pro-posito di campagna, sarebbe bello vedere un limite severo di velocità sulle strade asfaltate sulle quali più frequentemente andiamo a passeg-giare o a fare jogging.E poi il problema del Neuro, strut-tura in cui ho passato, nella prima infanzia, tutte le domeniche di guardia di mio papà, e di cui ho un ricordo poetico, quasi magico. Immagino quanto sia complesso il problema, ma tra i sogni che fac-cio c’è quello di vederlo rifiorire. Secondo me i Racconigesi dovreb-bero essere consultati mettendo loro a disposizione la possibilità di far sentire una loro eventuale idea. So benissimo che c’è sempre un problema di costi che non è certo sottovalutabile.Sogno Racconigi come un cen-tro turistico ma anche culturale rilevante. Le iniziative culturali andrebbero incoraggiate e anche ricercate; se fosse disponibile una sede adatta, secondo me bi-sognerebbe attrarre a Racconigi scrittori, musicisti, poeti, pittori, scultori, artisti di teatro in modo molto maggiore di quanto si è fat-to finora. Forse persone con idee e

competenze al proposito ce ne sa-rebbero, e forse non sempre si dà loro spazio. Concludendo, ho parlato da pro-fana, senza conoscere cioè le reali difficoltà di chi si occupa della ge-stione della città; comunque il mio sogno di una Racconigi polo turi-stico e culturale, con una struttura recettiva adeguata, con abitanti en-tusiasti di ricevere turisti e di col-laborare, una Racconigi con la sua bella campagna non più deturpata ma magari percorsa da piste cicla-bili, questo mio sogno è autentico.Magari si riuscirà a fare qualcosa.

L’opinione di Maria Paola Bonavia Sogno una Racconigi polo turistico e culturale

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Per il nostro giro di opinioni tra i cittadini racconigesi membri di quella che viene definita la “società civile” ci siamo rivolti, questa volta, alla dottoressa Maria Paola Bonavia che ci ha parlato dei suoi sogni per la città.

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insonnia8 Marzo 2016

IL MIO PRIMO 8 MARZO…Metamorfosi di una rinascitadi Lucia Macchiorlatti

Come e quando ti sei accorta che qualcosa non andava dentro di te?Sicuramente non mi sono svegliata una mattina e ho detto da domani comincio il percorso di transizio-ne, è stata una scoperta lenta, un progressivo rendersi conto che non era quella la mia strada, un disagio dapprima trascurabile, poi insop-portabile, fino al punto in cui una persona si dice: o prendi una deci-sione seria oppure esplodi, così non puoi andare avanti; fare l’eremita in punta alla montagna non era una soluzione al problema, ma sempli-cemente una lenta condanna all’o-blio. Il come è difficile da spiegare in poche righe sintetiche, ma banal-mente si potrebbe dire: certe cose vengono da sé, giorno dopo giorno, anno dopo anno ci si rende conto che qualcosa non va, prima si pensa di essere sbagliati e si cerca di cor-reggere gli errori, poi pian pianino si prende coscienza della situazio-ne, ci si informa, in questo, Internet è un validissimo supporto, e poi si prende il coraggio a due mani e via, si parte per una grande avventura non priva di difficoltà.Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato?Innanzitutto trovare il coraggio di partire, anche se forse coraggio non è la parola giusta, io la defini-rei spirito di sopravvivenza, meglio tentare un salto nel buio con mille difficoltà e paure che restare in una situazione, sicuramente più tran-quilla, ma che non ti appartiene.Lungo il percorso le difficoltà sono state molte, sia dal punto di vista pratico della vita di tutti i giorni, sia di natura relazionale, e perché no anche di natura psicologica; bisogna avere una grande forza in-teriore per poter andare avanti nel percorso.In Italia il percorso è lungo e diffi-cile, bisogna stare dietro a protocol-li sanitari molto rigidi. Si subiscono sconvolgimenti ormonali non da poco. Tutto cambia.Si devono sopportare, specie all’i-nizio del percorso, sguardi indi-screti, dicerie e malelingue, ma una tira dritto sulla propria strada. Sicu-ramente un conto è sognare di es-sere una donna, un conto è esserlo veramente. Devo dire che molti av-venimenti sono stati più naturali e semplici del previsto, forse perché era così che doveva andare e quindi non sono stati fatti eccezionali, ma un semplice raggiungimento di un traguardo voluto e cercato.Come ha reagito la tua famiglia?

Quanto ha contato il supporto dei tuoi famigliari?Devo dire che se non ci fossero sta-ti i miei genitori e la mia famiglia tutta, una grande dottoressa con cui ho da subito avuto molto feeling, e un gruppo di poche ma fantastiche amiche, non so se ce l’avrei fatta a superare certi momenti difficili.Il giorno che ho fatto la grande ri-velazione ai miei genitori forse è iniziato per loro un incubo, per me al contrario, seppur ammetto che non è stato semplice, come sempre si provano e riprovano i discorsi, ma poi al momento buono non si ricorda nulla e si va a ruota libe-ra, è stata una liberazione; non era giusto tenere nascosta una cosa del genere specie a loro che mi hanno sempre trattato in maniera corretta e stupenda. Finalmente potevo es-sere pian pianino me stessa senza dover più ricorrere a sotterfugi e casini vari. Devo dire che poi pian pianino da persone intelligenti e con grande amore nei miei con-fronti hanno capito e mi hanno supportato e sostenuta nel lungo percorso fino all’intervento. Ancor oggi hanno qualche piccola diffi-coltà specialmente nel chiamarmi nel modo giusto e con i giusti pro-nomi, ma non importa, a piccoli passi si compiono grandi distanze e devo dire che noi abbiamo già fatto moltissimi chilometri insieme.È stato doloroso l’intervento?Sicuramente non una passeggiata, sei ore di sala operatoria non sono una banalità, ma sicuramente se uno si sottopone ad un interven-

to chirurgico voluto e sognato per anni ha una marcia in più nel sop-portare tutte le difficoltà del caso. Doloroso no, nei giorni successivi ti imbottiscono di antidolorifici e devo dire che anche dopo ho solo avuto qualche piccolo fastidio e nulla più. Devo fare un grosso plau-so all’equipe delle Molinette che mi ha operata, a volte noi italiani possiamo essere molto bravi e non è il caso di dover correre all’estero per avere risultati soddisfacenti.Secondo te, la nostra realtà è pronta per accettare queste pro-blematiche?Non del tutto, a volte i media for-niscono delle informazioni molto sbagliate e troppo sensazionalisti-che sulla tematica della transes-sualità. Io mi sono sentita dire più volte: ma noi pensavamo che le trans fossero tutte lavoratrici del-la notte, tanto per essere elegante. La stragrande maggioranza di noi sono uomini e donne che cercano semplicemente una vita normale, ma questo non fa notizia, ai me-dia non interessa una quarantenne libera professionista con una casa in affitto, un lavoro e una famiglia che la sostiene, vogliono lo scoop, il fatto eclatante che faccia vendere, purtroppo non nego che alcune ra-gazze che hanno fatto il percorso su questo aspetto ci marcino e ne fac-ciano un motivo di guadagno. La realtà non è quella, la maggior parte della gente che compie il percorso di transizione sono persone normali che hanno o cercano un lavoro nor-male e che solamente hanno avuto

la sfortuna di nascere e crescere con una mente che non corrispondeva al proprio corpo, a volte però sole, abbandonate da tutti, senza lavoro per sopravvivere, non resta loro che la strada della prostituzione. Quante volte ci troviamo la porta sbattuta in faccia semplicemente perché, in una fase della nostra vita, abbiamo un fisico che dice una cosa e un documento che ne dice un’al-tra e semplicemente il fatto che non coincidano basta per considerarci persone non gradite. Quali sono i tuoi progetti futuri e i tuoi sogni?Progetti e sogni ce ne sono sempre, per anni sono sopravvissuta sola-mente con i sogni, adesso che certi obiettivi li ho realizzati, non mi re-sta che avere ambizioni e progetti tipici di una giovane quarantenne che vuole semplicemente vivere una vita normale in pace soprattut-to con se stessa, consapevole che la parte più difficile è stata fatta e che le difficoltà della vita quotidiana non mi spaventano.

Grazie Erica per la tua disponibilità e per la chiarezza con cui hai rac-contato alcuni aspetti del tuo vissuto in relazione ad una tematica ancora troppo sconosciuta e spesso bistrat-tata dai media. Conoscendo la tua storia, non posso che provare am-mirazione per i tuoi genitori e per la tua famiglia che, nonostante le comprensibili difficoltà, hanno pie-namente accettato e sostenuto con grande partecipazione il tuo percor-so. Auguri per la festa della donna!

Per Erica, 40 anni, laureata, libero professionista, questa giornata internazionale della donna avrà un carattere particolare: un traguar-do raggiunto dopo lunghe e coraggiose battaglie, sofferenze e vicissitudini. Erica, all’anagrafe Enrico, 4 anni fa ha intrapreso il percorso di transizione male to female, cioè verso il genere femminile e 4 mesi fa ha subito l’intervento chirurgico di riassegnazione del genere. Si tratta di un percorso di cambiamento scaturito dal desiderio di poter vivere la propria vita nella dimensione psicologica e sociale a cui si sente di appartenere. L’ambizione di avere un corpo che corrisponda il più possibile al proprio vissuto psicologico e dei documenti anagrafici che si accordino con il sesso al quale si sente di appartenere.

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insonnia 9Marzo 2016

Vincenzo Gamna, “artigiano” del teatro

UNA VOCE FUORI DAL COROdi Grazia Isoardi

Capita sempre così.Appena si muore si diventa insosti-tuibili e necessari, persone speciali ed inimitabili. In vita i talenti non sempre sono compresi ed apprez-zati, “dopo” si trasformano in tesori preziosi di cui si sente da subito la mancanza.Sarà che la morte esalta l’essenza della nostra esistenza e concentra la parte più bella di noi stessi, sarà che nell’immaginario collettivo tutti desideriamo avere avuto un rappor-to speciale con la persona cara. In ogni caso la morte ci riconsegna gli aspetti più importanti e veritieri del-la vita vissuta.E’ morto Vincenzo, uomo di cultura e di teatro.Un uomo che ha vissuto pienamente il suo tempo, che non si è acconten-tato del risultato facile e che si è im-pegnato molto per portare il teatro a tutti e di tutti.Un uomo non esente da limiti ed aspetti spigolosi nelle relazioni umane, né da fragilità e mancan-za di mediazione, ma un uomo di grande cultura, brillante conoscitore

della letteratura e della musica clas-sica, amico e collaboratore di grandi maestri del cinema italiano. I suoi

racconti dell’Italia del dopoguerra, della Roma di Pasolini e Moravia, della provincia e della grande città

così come della vita dei grandi e piccoli personaggi che hanno fatto la storia del teatro del nostro paese, erano momenti di grande magia e fascino che riuscivano a trasportare l’immaginazione di chi ascoltava tanto da sentirsi parte della storia raccontata.Come lui amava definirsi, è stato un “ artigiano“ del teatro, un maestro di bottega che sapeva insegnare i tanti elementi della produzione teatrale, dall’importanza della cura del par-ticolare alle scelte di stile e di lin-guaggio.Un maestro rigoroso, un lavoratore infaticabile.Una voce fuori dal coro, perché mai ha rinunciato a dire il suo pensiero e sempre ha difeso la sua originalità.Come ogni buon maestro anche lui ha tracciato una via, un modo per raccontare e fare memoria, un esem-pio di come poter essere cittadino del mondo attraverso il gioco del teatro. Ora spetta alle nuove genera-zioni il compito di raccogliere la sua eredità e con passione e generosità proseguire per la via da lui tracciata.

Pelle di foca, pelle d’animaStorie come medicine per donne alla ricerca della propria animaLiberamente tratto da “Donne che corrono con i lupi” di Clarissa Pinkola Estés

In un tempo lontano lontano perduto per sempre, i giorni sono di neve bian-ca. Qui nulla fiorisce spontaneamente. I venti soffiano tanto forti che all’aper-to le parole si congelano. In questa ter-ra viveva un uomo così solo che negli anni le lacrime avevano scavato abissi sulle sue guance. Desiderava tanto una compagnia. Una notte raggiunse un grande scoglio in mezzo al mare e vide delle donne nude, bellissime, che danzavano. Erano le donne-foche, le selkies, che toltesi le loro pelli si erano trasformate in meravigliose creatu-re. L’uomo saltò sullo scoglio e rubò una delle pelli di foca lasciate dalle selkies. Finita la danza tutte riprese-ro le loro pelli eccetto una. L’uomo si fece coraggio e chiese alla donna: “Vuoi sposarmi?”. E la donna rispose: “No, io appartengo a coloro che vivo-no nel mare”. L’uomo insistette: “Sii mia moglie, tra sette estati ti restituirò la tua pelle”. E la selkie accettò. Eb-bero un bambino e la madre raccontò al bambino le storie delle creature che vivevano nel mare. Con il passare del tempo la pelle della donna cominciò a seccarsi, le caddero i capelli, le sue rotondità presero ad avvizzire, perse la vista. Una notte il bambino fu sveglia-to dalle urla di sua madre che chiede-va al marito di restituirle la sua pelle perché i sette anni erano trascorsi. Ma il marito non voleva perché non sop-portava di essere abbandonato e non voleva che il loro bambino restasse

senza madre. Il bambino amava mol-to sua madre e temeva di perderla e pianse fino a crollare nel sonno, poi si svegliò, corse alla scogliera, inciampò in una pietra e sotto trovò la pelle di foca. Egli corse verso sua madre e le restituì la sua pelle. La donna lo acca-rezzò e accarezzò la pelle, grata per-ché entrambi erano salvi. Ella voleva restare col suo bambino ma qualcosa la chiamava. Si volse verso di lui con sguardo di grande amore. Soffiò il suo respiro nei polmoni del bambino tenendolo sotto il suo braccio, come un oggetto prezioso. Si tuffò in mare, sempre più in fondo, fino a raggiun-gere la grande foca argentea, la qua-le come vide il bambino lo chiamò “nipote”. Passarono sette giorni, e gli occhi e i capelli della donna ritrova-rono l’antica lucentezza, ritrovò la vista, il suo corpo ritrovò la sua ro-tondità. E venne il tempo di restituire il bambino alla terra. Quella notte la vecchia nonna foca e la bella madre del bambino nuotarono tenendolo in mezzo a loro, risalirono le acque e lo poggiarono delicatamente sulla riva. La madre lo rassicurò: “Sarò sempre con te”. Passò il tempo e il figlio della selkie divenne un grande suonatore di tamburi, cantore e artefice di storie e si disse che tutto ciò accadde perché da piccolo era sopravvissuto sott’acqua ed era stato riportato dalle profondità del mare dalle foche. Ora, nelle grigie mattine lo si vede con il suo kayak

ancorato a parlare con una certa foca. Molti hanno cercato di catturarla ma nessuno c’è mai riuscito. E’ nota come TANQIGCAP, la brillante, la sacra, e si dice che sebbene sia una foca, i suoi occhi siano capaci di sguardi umani, saggi, selvaggi e amorosi.

Nella storia la donna foca si dissecca perchè resta troppo a lungo sulla terra. Quando una donna resta troppo a lun-go lontana “dalla sua casa”, la sua ca-pacità di percepire come si sente den-tro comincia ad affievolirsi, persegue quello che gli altri le richiedono di fare e non quello che desidera. Non perce-

pisce quel che è troppo né quel che non è abbastanza, e vive ai limiti. Come la foca perde la sua pelle, così la donna perde il contatto con la sua anima.Che cos’è l’anima?L’anima selvaggia della donna è intui-to, è stare con sicurezza e orgoglio nel proprio corpo indipendentemente dai suoi doni o dai suoi limiti, è parlare e agire per proprio conto in prima per-sona, essere consapevoli, vigili, rifarsi ai poteri femminili innati dell’intuito e della percezione. Riprendere i propri cicli naturali, scoprire a cosa si appar-tiene, considerare la propria dignità e integrità.

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DONNE IN NEROA Torino e nel mondodi Margherita Granero

A Torino, ogni ultimo venerdì del mese, un piccolo gruppo di donne si ritrova in strada, nella pedonale Via Garibaldi: restano per un’ora in silenzio, vestite di nero, con striscione, cartelli e volantini contro la guerra: è un appuntamento ormai stabile da parecchi anni. Perché in nero e in silenzio?La storia data dal 1988, all’inizio della prima Intifada, quando a Gerusalemme incontrammo don-ne israeliane che per manifestare contro l’occupazione delle terre palestinesi da parte del proprio governo avevano scelto questa modalità: il nero a rappresentare il lutto per le vittime dell’occu-

pazione e le loro tante sof-ferenze, ma anche il lutto per il proprio paese che nel compiere una guerra ine-vitabilmente diventava vio-

lento, si imbarbariva e si trasfor-mava; il silenzio per far parlare i corpi in lutto, più forti di tanti slogan.Noi, folto gruppo di italiane femministe, che avevamo orga-nizzato un incontro pacifista con donne palestinesi ed israeliane, ci riconoscemmo in quei signifi-cati quanto nel modo di trasmet-

terli.In Italia prima, e poi via via il movimento si è allargato sia in Europa che in altre parti del mondo, a sostegno dei diritti del-le e dei palestinesi ma non solo: in particolare negli ultimi ven-ticinque anni proprio il nostro paese, l’Italia, non ha smesso di partecipare a guerre disastrose e noi non abbiamo mai smesso di denunciarne l’ingiustizia e l’or-rore, pur sapendo che non saran-no i nostri volantini a fermare le politiche belliciste né i mercanti di morte, i più interessati a che le guerre continuino. “Not in my name”, “Non in no-stro nome”, compare sui cartelli in svariati paesi, a ribadire il ri-fiuto e la distanza dalle politiche violente e aggressive dei rispet-tivi governi e le possibilità di al-ternative.Ogni gruppo sviluppa la propria attività secondo le proprie scelte, capacità e forze, ma spesso sco-priamo di usare le stesse parole, di affrontare gli stessi problemi;

così capitò che un’amica mia, in gita turistica a New York, mi portò - gradito omaggio - un volantino del-le Women in Black di quella città nelle qua-

li si era imbattuta: tradotto, lo avremmo distribuito anche noi.La rete, nazionale e internazio-nale è sottile ma tenace. Si sono create liste di comunicazione e-mail in più lingue (inglese, francese, spagnolo, serbo-cro-ato, italiano), ogni due anni si realizza un incontro dei gruppi europei e, ad anni alter-ni, un incontro internazionale sempre sui temi della pace, del-la condizione delle donne che, in situazioni spesso drammati-che, resistono e lottano contro la violenza che si esprime diversa-mente nei vari contesti. In questi incontri c’è anche lo spazio per gli scambi personali, si creano amicizie, ci si dà forza, si piange e si ride insieme.Non solo parole. Nel corso del tempo abbiamo realizzato non poche azioni di solidarietà: per e con le donne palestinesi e israe-liane, afgane, balcaniche, colom-biane, curde, turche; le abbiamo spesso invitate e ospitate nelle nostre case come amiche, abbia-mo trasmesso i loro messaggi, fatto conoscere i loro drammi e la loro forza: non un piagnisteo, ma rivendicazione di diritti.A Torino siamo tendenzialmente

amate, anche da chi non parteci-pa alla manifestazione ma si fer-ma a dirci qualche parola di ap-prezzamento; qualche maschio ci invita ad andarcene a fare la calza; molti ci fotografano e noi speriamo di non apparire un’ico-na di “anime belle”.Ma non va così ovunque: le Wo-men in Black israeliane sono oggetto da sempre di insulti, ora anche di tentate aggressioni, ugualmente a San Francisco e a Belgrado, dove il luogo della manifestazio-ne dev’essere protetto dalla polizia.S e m i n i a m o idee di giusti-zia e nonvio-lenza: come titolammo uno dei volantini, quindi “SIAMO QUI PER DISTUR-BARE” Per saperne di più:http://donneinnero.blogs.pot.com - www.womeninblack.org - http://casadelledonneetorino.it In questi giorni che precedono l’Otto Marzo voglio ricordare come in tante, in tutto il mondo, condividemmo piazze, bache-che, giornali per la liberazione della nostra comune amica Giu-liana Sgrena: fu la piazza globa-le di sentimenti condivisi. Anche dopo undici anni, è ancora così.

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Fare la maestra negli anni cinquanta!di Anna Simonetti

Raccontami...

Correva l’anno… 1955… 18 anni, un diploma da maestra, una grande e infinita voglia di “insegnare”! Francesca non andrà a lavorare alla “ma-iolica” (così era chiamata la Ri-chard’s Ginori a Mondovì ).“La mia fortuna è stata di vive-re a Mondovì, allora era la cit-tà degli studi, c’era ogni tipo di scuola sia pubblica che privata. Io ho frequentato la scuola pub-blica, non potevo andare in col-legio, mio padre aveva quattro figli da mantenere ed era solo un operaio della Ginori. Mia madre era una bravissima sarta, non aveva potuto studiare, suo padre era morto che era bambina, ma per tutta la vita ha rimpianto di non averlo potuto fare.”Pacato è il tono di Francesca, i suoi ricordi scorrono lievi.“Io avevo una gioia di vivere… volevo ed ero sicura che avrei cambiato la mia vita prendendo la strada giusta. Ero forte den-tro di me! Dopo la guerra tutti erano proiettati verso la rico-struzione, c’era una speranza, che era anche una certezza, ci sarebbero state difficoltà ma, anche se con tanto impegno, nel futuro si vedeva la realizzazione dei sogni!”“L’esame di stato! Che difficile, tutte le materie con riferimenti agli ultimi tre anni. Poi ancora l’orale… disegno, storia dell’ar-te, bellissima… Quell’anno il concorso per la scuola era stato rimandato, certo, potevo anda-re alla maiolica e avere subito

lo stipendio ma non era quello che volevo; ormai da un paio di anni aiutavo dei bambini a fare i compiti, guadagnando quel-lo che serviva in famiglia, mio papà aveva avuto due infarti: al pomeriggio facevo scuola ai bambini, alla sera studiavo an-che fino a mezzanotte. Le mie amiche lavoravano, portavano già le calze di nylon, al sabato andavano a ballare, io no, stu-diavo per diventare maestra.”Il primo anno dopo il diploma ancora studio con l’iscrizione a pagamento ai corsi di formazio-ne: uno di didattica, uno di agra-ria “per conoscere l’ambien-te che avremmo incontrato”, uno di arte, e l’altro sull’Africa “chissà perché?” e la possibilità di avere mezzo punto a corso su-perando l’esame.“Al bar bevono il Punt e Mes, noi invece collezioniamo i mezzi punti! Ridevamo come matte tra di noi!”Per tre anni si susseguono inca-richi presso le scuole sussidiate: erano organizzate dal Comune per i bambini delle frazioni più lontane, consistevano in una stanza, con stufa a legna, a volte senza acqua, con servizi nature... le maestre fanno scuola, ma an-che pulizie e tutto ciò che serve per il funzionamento e poiché c’è l’obbligo di residenza si può finire anche ad abitare sopra la stalla delle capre!“Di nuovo senza stipendio? come tua sorella!”commentò mio padre, “ sì, niente soldi,

solo alla fine dell’anno avrem-mo preso una piccola, ma pro-prio piccola, cifra per gli alun-ni che in terza e quinta davano l’esame e lo superavano; la cosa più importante era che avremmo guadagnato punti utili per la graduatoria, ma non per la pen-sione, come scoprirò poi molti anni dopo.”“Povera fija, leggevo negli oc-chi di amici e parenti quando tutta felice nominavo le locali-tà cui ero destinata e quello ho letto negli occhi di quella cara signora mentre mi offriva lo sgabuzzino del suo bar per cam-biarmi in caso di pioggia e neve … signora, io non posso prende-re un caffè tutte le mattine per ri-pagarla… Maestra non ci pensi neppure, oggi il caffè glielo offro io!” “Poi, però, dopo ore per arri-vare, treno, auto e bici, trovavo i bambini, i miei scolari, belli come tutti i bambini, con i grem-biuli neri, un bel fiocco azzurro al collo, impalati e seri… Buon-giorno signora maestra… facevo loro tante feste, il primo giorno parlavo e parlavamo tanto men-tre le mamme all’uscita chiede-vano... avete fatto le aste?““Poi ho fatto doposcuola e as-sistenza alla mensa a Mondovì. Portavo gli scolari dalla scuola alla mensa e li riportavo indie-

tro. Correvo dai bambini che aiutavo a studiare. La signora Annetta, seguivo suo nipote, mi preparava un bel piatto di dol-ci, lei era felice nel vedere che ne mangiavo tanti: ero digiuna e non avevo tempo di andare a casa per il pranzo!” “Ma nemmeno le scarpe da ri-suolare ti pagano… diceva mio padre ed era vero, di scarpe ne ho consumate tante, sapevo, però, che dovevo passare da lì per realizzare un sogno.” Poi finalmente il concorso: 600 concorrenti per 4 posti! “Sono risultata 48esima in gra-duatoria, quindi ho girato tutta la provincia di Cuneo, conosce-vo i dati di tutti i centri grandi e piccoli. Ho insegnato nella Lan-ga, allora era una terra pove-ra, nei Roeri: eravamo quattro amiche, un destino comune, un sentimento comune, la felicità d’insegnare. Quando necessa-rio, ci facevamo coraggio, con-dividevamo percorsi e spese fin dove possibile, poi ognuno con la sua bici, che lasciavamo pres-so una famiglia, la mia era tan-to malandata che neppure i tede-schi l’avevano voluta, su strade non tanto belle, anzi pericolose, si arrivava a destinazione e ma-gari si cominciava dall’andare a prendere l’acqua al pozzo, neppure tanto vicino, si faceva

Maestra Francesca

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pulizia… tutto noi. Erano classi multiple fino all’ottava classe... Il ritorno a casa, a fine settima-na, era ancora più complicato!”Francesca continua il suo rac-conto… “Ci accoglievano bene, anche se si guardava a noi come a delle persone che alla fine dell’anno sarebbero scom-parse. Noi si era a disagio nel senso che dovevamo segnalare i bambini che, all’arrivo della primavera, abbandonavano la scuola per lavorare nei campi. C’era comunque rispetto e con-siderazione per le insegnanti e il rispetto era reciproco.”Correva l’anno…1962/63… “quell’anno, a set-tembre, quando è arrivato il mio turno per scegliere il posto dove insegnare, erano rimasti Chiap-pera e Elva e mia mamma che era lì con me, diceva… Elva, no, il vallone è pieno di croci di gen-te che è rimasta sotto le valan-ghe… ovvio, ho preso l’incarico per Chiappera. Non c’erano mezzi diretti, pren-devo il treno fino a Cuneo, poi il bus per Acceglio, ma se era venuta tanta neve si fermava a Prazzo e a piedi si prosegui-va fino ad Acceglio. All’hotel Londra ci aspettava un piatto di cappelletti in brodo, 10 ad essere precisi, una cotoletta e un letto per dormire. Al matti-no, con qualsiasi tempo, zaino in spalle, portavo dei viveri da casa perché a Chiappera non c’era granché e poi risparmia-vo, andavo tutta sola su per il sentiero… la strada non esisteva ed era una bella, lunga cammi-nata. Se ero fortunata trovavo la strada battuta e se no la battevo io con i miei stivali di gomma… che freddo!”

1962/63…“Cuba, i missili… nella mia famiglia si parlava tan-to di quello che stava accadendo nel mondo! Ma non a Chiap-pera, la montagna cominciava a spopolarsi perché i giovani scendevano a valle per lavora-re alla S. Gobain e le ragazze andavano a fare le infermiere a Cuneo, ma nessuno aveva la ra-dio! i miei vicini ascoltavano la mia, assorbivano tutto, occhi e orecchie spalancate.Avevo l’alloggio sopra la scuo-la e la mia camera aveva una grande finestra che si affaccia-va sull’Oronaye, uno spettacolo eccezionale che coprivo solo di notte con la mantella di mio non-no per ripararmi dal freddo: al mattino i vetri erano coperti da bellissimi ghirigori di ghiaccio!Mi ero fatta amica di una fami-glia vicina, avevano molte pre-mure per me, pensa mi hanno dato gli sci, le racchette erano due bastoni con le rotelle fatte da loro… li ho provati, ma ca-

devo sempre: generosamente mi hanno dato quello che avevano! La sera, ascoltavo la radio… quei bellissimi concerti Marti-ni&Rossi, quanta musica, quanti brani di opere… ricamavo, fa-cevo maglie… uscire nella neve alta, nel cuore della notte, al freddo, non mi piaceva! “La scuola Opera Pia Calan-dra, era bellissima, nuova, ave-va un bagno, acqua calda, la stufa per scaldare, ma soprat-tutto una pluriclasse di bambi-ni meravigliosi! Nei pomerig-gi d’inverno li facevo venire a scuola per i laboratori: abbiamo fatto anche un giornalino “La voce di Chiappera” che “esce, quando può, una volta al mese”, lo abbiamo mandato al direttore suscitando la sua meraviglia per il risultato.“Le case avevano l’essenziale; sul tavolo dei miei vicini avevo notato un attrezzo arrugginito, pensavo servisse per i sigari e invece no, ci tagliavano il pane.

Ero inorridita! Il pane che cari-cavano ad Acceglio sulla slitta che 3/4 giovani tiravano su fino a Chiappera, diventava duro e quell’attrezzo serviva per tran-ciarlo… alla fine l’ho dovuto usare anch’io per il mio pane duro!Quell’inverno venne giù tanta neve! Un fine settimana avevo avvisato i miei che tornavo a casa e, malgrado mi avessero avvisata che si stava scatenando la tormenta, mi sono avviata sul sentiero: dopo un’ora di vani e pericolosi tentativi sono tornata indietro, con grande sollievo dei vicini che mi credevano già se-polta nella neve. Ho avuto altri incarichi, in altri paesi sperduti dove ho trovato sempre bambini/scolari eccezio-nali sotto vari aspetti, ma voglio spiegare perché ho accettato di raccontare la mia storia, mal-grado io sia una persona non facile ad aprirsi: oggi come ieri ci sono tante difficoltà nella scuola e nel mondo del lavoro, ma quello che mi colpisce e mi fa star male è vedere che i gio-vani, oggi, purtroppo non hanno quella speranza di poter cam-biare la loro vita che io, che noi, invece, avevamo!”Da qualche anno “la scuola di Chiappera” è stata trasformata in un rifugio/albergo, confortevole e accogliente. Davanti alla finestra con vista sull’Oronaye non c’è più una giovine donna che ascolta musica e lavora a maglia, ci sono degli ospiti che seduti ad un ta-volo, gli occhi persi nella monta-gna, possono gustare le specialità della cucina della Val Maira che il cuoco della casa offre loro.

La ex scuola oggi

Borgata di Chaippera

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RACCONIGI: NON PERVENUTAsegue dalla prima

Sono pervenute alla Regione complessivamente 397 segna-lazioni. Dopo la loro verifica la Regione ha redatto l’“Elenco regionale degli alberi monumen-tali del Piemonte” in cui sono elencati 82 alberi o gruppi di alberi, localizzati in 48 Comuni del Piemonte. Sedici esemplari risultano localizzati in Provin-cia di Cuneo: 3 a Cavallermag-giore; 2 a Alba, Bra, Vernante; 1 a Dronero, Farigliano, Moiola, Monterosso Grana, Piobesi, Ser-ravalle Langhe, Valdieri. Racco-nigi non compare nell’elenco. Eppure noi racconigesi cono-sciamo tutti i due platani posti all’ingresso della villa Levis in località Caire che con le loro di-

mensioni e portamento sono dei veri monumenti alla natura!Sono andata in Comune per avere spiegazioni. Il Comune di Racconigi ha dato l’incarico al Dott. Marco Allasia di censire i due esemplari monumentali di Platano all’ingresso della Vil-la Levis, località Caire, i 126 Platani del “viale monumenta-le” a doppio filare (già sottopo-sto a vincolo paesaggistico DL 42/2004) e i 181 Platani, filare singolo, lungo la ex strada pro-vinciale. Costo incarico: mille euro + IVA. Il censimento è stato spedito il 28 Ottobre 2015, fuo-ri tempo rispetto alla scadenza data dalla Regione ai Comuni!! E così il nostro patrimonio ar-

boreo non è stato inserito nell’e-lenco. Mi sono rivolta anche al Dott. Lorenzo Camoriano - Set-tore Foreste della Regione Pie-monte che prontamente mi ha comunicato che l’elenco degli alberi monumentali pubblicato a dicembre sarà integrato, dopo opportune verifiche, con gli al-beri presenti in precedenti elen-chi dove compaiono anche alberi situati nel territorio di Racconi-gi. In particolare nell’elenco redatto negli anni 2004-2008 ai sensi della LR 59/95, che riporta 39 alberi, compare una ZELCO-VA (Zelkova carpinifolia detta anche OLMO del CAUCASO) situata nel Parco del Castello di Racconigi. Alta 35 metri; con

una circonferenza di 8,45 metri e un’età di circa 200 anni, è la più grande Zelcova del Piemon-te! Nell’elenco relativo al Cen-simento nazionale del 1982, tra i 101 alberi censiti ben cinque sono situati nel Parco del Castel-lo di Racconigi: un Olmo bian-co, un Tasso Comune, una Far-nia e due Platani orientali.Il dott. Camoriano mi ha inoltre comunicato che entro la prima-vera si saprà se saranno disponi-bili anche per il 2016 le risorse finanziarie (lo scorso anno ga-rantite dallo Stato) per l’attua-zione di una nuova campagna di censimento, in particolare per l’attività di verifica tecnica sul territorio. Forse allora ci sarà

LO SPECCHIO CHE EDUCALa fiducia nell’allievo, quel segreto maieutico che abbiamo dimenticatodi Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Pierino non studia, stropiccia i quaderni, sbadiglia e guarda al-trove. Spesso disturba.Pierino è l’allievo che non vor-remmo avere, mai. Ci infasti-disce la sua presenza perché ci rimanda la nostra precarietà. Ci siamo costruiti piano piano l’idea di riuscire ad essere accattivanti con le nostre spiegazioni, ma di fronte a lui la nostra autostima di insegnanti si sfalda, anche se non osiamo dirlo. Preferiamo concen-trarci su di lui, elencando le sue mancanze. Possiamo bocciarlo, ma sappiamo che ne giungerà un altro. Il mondo della scuola è pieno di Pierini! Che fare? Conti-nuare a lamentarci fino al giorno della pensione, oppure…La Pedagogia dell’ascolto ci in-vita ad esplorare un’altra possi-bilità, introducendo un dubbio: e se quello sguardo incazzato e sconfitto dell’insegnante di fronte al vuoto di Pierino peggiorasse la situazione? E se Pierino, per usci-re dal suo guscio, avesse bisogno di altri occhi?La pedagogia dell’ascolto si poggia su due autori. Carl Ro-gers, autore del testo “ La terapia centrata sul cliente” sosteneva che un percorso di “guarigione” avviene quando l’adulto di ri-ferimento, insegnate, terapeuta, genitore, riconosce le risorse in-

terne dell’essere umano che ha di fronte, riuscendo ad essere il suo specchio fiducioso. Il secondo autore Augusto Boal, ideatore del teatro dell’oppresso, crede nella potenza che ha uno specchio per smuovere la realtà e per questo utilizza la rappresentazione tea-trale per mettere in scena quello che viviamo e provare - sempre in scena - a modificarlo (nel TdO non c’è un copione prestabilito, ma gli spettatori propongono dei cambiamenti alla scena ed entra-no direttamente in azione e sosti-tuendo gli attori). Prendere coscienza che, in una relazione, in particolare di carat-tere educativo ma anche d’amore, noi diventiamo specchio per l’al-tro, significa diventare responsa-bili dei danni o delle meraviglie che possono suscitare sugli altri le nostre immagini interiori. La pedagogia dell’ascolto ci ri-corda infatti la potenza che può avere lo sguardo di un adulto su un allievo: se è uno sguardo di fiducia, capace di intravvedere in Pierino il seme di un bellissimo albero, senza vacillare nonostan-te la fatica, Pierino troverà piano piano la strada nel labirinto della sua confusione e passività. Ma se quello sguardo verrà a mancare, la nave interiore di Pierino non avrà chance. Vagherà al buio,

avanti e indietro, senza un faro che indichi il porto sicuro.Facile a dirsi, difficile a farsi. Par-lo per esperienza personale. I miei Pierini provocano, tormen-tano, si fanno richiamare, non ascoltano, sono confusi e agitati. Non sempre riesco a guardarli con fiducia vedendo in loro un grande albero nascosto in un seme. E tor-no a casa con le ali basse, senten-do la mia fragilità di fronte a tanta fatica. Eppure so per certo che dal mio sguardo nasce la possibilità.La fiducia come fondamento educativo alla base dell’appren-dimento è oggi un’idea rivoluzio-naria. La scuola ha dimenticato molti pensieri pedagogici d’avan-guardia ed è tornata a pensare ai ragazzi come “vasi vuoti da riem-

pire” e poi interrogare.Inorridisco, e con me tanti colle-ghi formatisi negli anni 70, ma chi conosce le scuole e le fre-quenta, sa che, purtroppo, nella prassi spesso così accade.Ci accorgeremo un giorno noi in-segnanti, educatori, genitori che i nostri allievi e figli hanno biso-gno di sguardi di fiducia molto più che di parole?PS: Nel nostro territorio, duran-te il week-end di San Valentino, una quindicina di insegnanti ha vissuto uno stage di 15 ore spe-rimentando la Pedagogia dell’A-scolto con strumenti del Teatro dell’Oppresso, guidati da Paolo Senor, formatore della Rete In-segnareducando. Un bellissimo stage! Un inizio.

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CinCinema

LibLibri

THE HATEFUL EIGHT di Cecilia Siccardi

Margaret Mazzantini“Splendore”

2013, pp. 309, € 20,00Ed. Mondadori

Disponibile anche in e-book

impiccata. Durante il viaggio, la loro diligenza si imbatte prima nel Maggior Marquis Warren, ex soldato dell’Unione divenu-to cacciatore di taglie dopo la guerra, poi in Chris Mannix, un giovane sudista. I quattro cerca-no riparo dalla tempesta nella nota locanda di Minnie, ma una volta sul posto vengono accolti non dai soliti proprietari, ma da quattro sconosciuti. Warren ma-nifesta subito la sua diffidenza, mentre Ruth è sicuro che uno o più di quegli uomini sia in com-butta con Domergue per liberar-la. Avranno ragione? In tal caso, chi mente e chi invece è sincero sulla propria identità?The Hateful Eight, secondo we-stern di Quentin Tarantino dopo Django Unchained, è da poco arrivato nelle sale italiane, dove ha riscontrato un buon succes-

so di pubblico. Il cast è ricco di star: fra gli altri, Samuel L. Ja-ckson, Kurt Russell, Tim Roth e Jennifer Jason Leigh, candidata per la sua perfomance al premio Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista. Nonostante molti indubbi pregi, il film non rie-sce però a convincere: dopo un interminabile inizio, raggiunge il suo apice a metà, con lo svi-luppo del giallo whodunit?, per poi perdersi di nuovo nel finale. L’aspetto più deludente, però, è l’opaca sceneggiatura, che con-tribuisce a togliere ritmo alla storia: i surreali e brillanti dia-loghi a cui Tarantino ci ha abi-tuato sono, in generale, meno convincenti del solito. Bella la colonna sonora di Morricone, ma non basta a salvare un film che, sebbene non si possa defini-re brutto, non costituisce di certo

il momento più ispirato del suo regista.

L’ultimo libro di Margaret Maz-zantini “Splendore“ racconta la passione e l’intensità di un amore assoluto e disperato che percorre tutta la vita dei due protagonisti, Guido e Costantino, divisi da ceti sociali e da caratteri diversi ma che provano un’attrazione pro-fonda l’uno per l’altro.

Nato nei difficili anni settanta, quando i due giovani vivono la loro passione nello “splendore“ della loro giovinezza, in una so-cietà ancora lontana dall’accetta-zione di ciò che ancora oggi viene definito da molti “contro natura“ come gli stessi protagonisti defi-niscono il loro legame, l’amore proseguirà tra lunghe separazioni e nuovi incontri non potendo resi-stere entrambi al bisogno di ritro-varsi, fino alla maturità.Il matrimonio di Giulio e il suo lavoro da accademico a Londra, la paternità difficile e sofferta di Costantino e il suo matrimonio in Italia segnano i lunghi anni della separazione anche se non possono scalfire l’attrazione che li lega.Entrambi trascorrono anni appa-rentemente sereni nei nuovi rap-porti che hanno saputo cercare e trovare, ma un alone di tristezza e di “mancanza” contrassegna le

a cura di Anastasia

loro esistenze.E quando i due si rivedono torna ad esplodere la passione tormen-tata e incontrollabile che li rende vulnerabili ma che fa dire loro: “avremo mai il coraggio di essere noi stessi?”, dovendo continuare a nascondere al mondo e ai parenti il loro sentimento.Un episodio terribile segnerà per sempre il loro rapporto a dimo-strazione che ciò che per i più è considerato “diverso” non viene accettato ma anzi combattuto. Margaret Mazzantini ha saputo con rara sensibilità entrare nell’a-nimo dei protagonisti descrivendo sentimenti a volte estremi ma uni-

Wyoming, pochi anni dopo la fine della guerra civile. All’in-combere di una tempesta di neve, il cacciatore di taglie John Ruth sta portando Daisy Do-mergue, pericolosa criminale, alla città di Red Rock, dove sarà

versali che ci rendono consapevo-li che “il vero splendore è la no-stra singola, sofferta, diversità”.

l’opportunità di vedere inseriti i nostri Platani!Anche i cittadini e le Associa-zioni possono segnalare la pre-senza di alberi monumentali ma in ogni caso le nuove segna-lazioni andranno inviate al Co-mune, che dovrebbe farsi carico di verificarle e poi trasmetterle alla Regione, come previsto dal Decreto 23 ottobre 2014 “Isti-tuzione dell’elenco degli alberi monumentali d’Italia e principi e criteri direttivi per il loro cen-simento” all’articolo 3.Gli alberi monumentali sono un bene comune da tutelare per il loro valore naturalistico, pa-esaggistico e storico-culturale, ma anche un’opportunità di svi-luppo turistico ed educativo. E’ dovere quindi di tutti i cittadini collaborare per la loro salva-guardia.

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Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009Direttore responsabile Spessa AndreaRedazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Giancarlo Meinardi Mario Monasterolo Anna Maria Olivero, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Anna Simonetti, Pino Tebano, Luciano Fico, Pier Paolo Delbosco, Alessia Cerchia, Grazia LiprandiSede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti [email protected] Conto corrente postale n° 000003828255Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 2000 copie

Marzo 2016

MusMusica

Questo editoriale è dedicato alle giovani donne, alle ragaz-ze che si affacciano all’adultità senza conoscere davvero la po-tenza che le caratterizza. La forza femminile che regna dentro ognuna di noi ha l’a-spetto di un caleidoscopio dalle mille forme. É istinto, empatia, coraggio, determinazione, sa-pienza e dolcezza. La fragilità può attraversare la vita di una donna come un vento attraver-sa una valle, ma la roccia è so-lida e non basta il vento a cam-biarne la consistenza. Peccato ragazze belle che nes-suno ve lo dica più. Cresce-te pensando di avere bisogno di un uomo, di un vestito o di un profumo... e non conosce-te quanta energia si racchiuda nella vostra carne. Lo scopri-rete poi pian piano, una notte, dopo ore di travaglio e dolore, quando finalmente stringete tra le braccia il vostro cuccio-lo e in un attimo siete capaci di rialzarvi in piedi ritrovando la forza di camminare con lui e per lui. E quando correrete tra figli, lavoro e casa e farete funzionare ogni dettaglio come

GIUA“E IMPROVVISAMENTE”di Giorgia Audisio

E’ uscito recentemente E im-provvisamente, l’ultimo album di Maria Pierantoni Giua (più nota semplicemente come Giua), can-tautrice di Rapallo, classe 1982.La giovane ha scelto, per questa nuova produzione, di scegliere la via del crowdfunding, che ul-timamente pare essere una delle vie che gli artisti indipendenti prediligono per finanziare i pro-pri progetti: l’artista scrive i bra-ni, i fan finanziano e in cambio ottengono qualcosa in propor-zione a quanto donato, strategia semplice ed efficace (basti pensa-re che anche artisti come gli Ex

Otago si sono dati al crowdfunding per il loro ultimo lavoro). Giua ha dichiarato che prodursi un disco da sola conceda molta più libertà di scelta, non per non tener conto del gradimento del suo pubblico, ma più che altro per permettere a lei stessa di crescere e migliorare sempre di più, per “dare un senso alla sua musica”.L’album è composto da dodici tracce, arricchite da collaborazioni con molti artisti importanti: il nu-cleo centrale del suono di questo disco è dato dalla voce e dalle chi-tarre di Giua, dalla batteria di Ro-dolfo Cervetto, dal contrabbasso di Pietro Martinelli e dal violoncello di Stefano Cabrera. Racconta il presente come anello di congiunzione tra passato e fu-turo, elementi inscindibili dalla re-altà ma poco chiari, rappresenta il movimento, l’accadere, l’“improv-viso” che dà il titolo alla raccolta. Unisce sonorità mediterranee, che paiono richiamare Montale, a quel-le nordamericane. E’ un album per indagare l’attesa, il silenzio di una risposta, l’esito, la speranza, l’ac-cadere di un avvenimento, l’arrivo inaspettato di qualcosa e di qualcu-no. Rappresentative di tutto l’album sono due tracce, la prima delle

quali è quella che dà il titolo alla raccolta E improvvisamente, in collaborazione con Zibba (Sergio Ballarino): è una canzone veloce, dall’arpeggio di chitarra incalzan-te, su cui Giua canta descrivendo il paesaggio onirico, che rimanda ad un oltre “e improvvisamente la luna sul vetro elettrica appare e scompare nel nero, montagne rin-corrono strade sospese. Racconta-mi ancora cosa si vede oltre il pun-to lontano, dove nascono i giorni, cosa c’è più lontano di quello che vedo”. Giua e Zibba intrecciano le loro voci, l’u-na dolce e calda e l’altra bassa e profonda, in un disegno legato dagli archi che guidano il pen-siero verso l’in-definito.L’altra canzone interessante è Tutti vanno via dall’Italia insie-me al Coro Popo-lare della Madda-lena, con sonorità swing scanzona-te, molto legata al presente, alla

domanda che moltissimi giovani oggi si pongono, combattuti tra la paura e l’incertezza del do-mani e il legame profondo con la propria casa: “questa terra che mette in fuga chi ha cervello, chi ha talento, e non chiede ne-anche scusa”. La conclusione a cui la cantautrice rapallese arri-va è quella di restare, restare per cambiare le cose “torniamo tutti quanti qui in Italia, con tutti i no-stri guai, col coraggio di chi ha voglia più che mai”.

un ingranaggio oliato dal vostro sorriso che non demorde nono-stante la stanchezza.La forza che è dentro di noi ha qualcosa che odora di selvaggio e sacro. Resiste, si orienta e trova la strada tra mille vicoli bui della vita e tiene in piedi noi e chi ci è caro, noi, i figli che si incasina-no, i compagni che si perdono, i vecchi che si inciampano...La forza delle donne! Peccato che più nessuno sappia indicare a voi ragazze la strada per con-tattare quell’istinto che vi appar-tiene e vi caratterizza. Peccato che noi madri e nonne abbiamo perso la capacità di raccontarvi quelle fiabe che davano la chiave per non cedere al primo ricatto nascosto dietro a un po’ d’appa-renza o a due muscoli gonfiati in palestra. Quante fiabe hanno orientato la strada delle donne che sapevano ascoltarle davvero! C’è un libro che vorrei regalarvi per l’8 marzo: “Donne che cor-rono coi lupi” di Clarissa Pinkila Estés. Forse con questo libro sapremo ritrovarci. entro dicembre 2016

2016

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