32
CAPITOLO 3 Oppioidi John A. Renner Jr., M.D. Clifford M. Knapp, Ph.D. Domenic A. Ciraulo, M.D. Steven Epstein, M.D. Prevalenza e storia naturale Prevalenza e pattern di utilizzo e della dipendenza dagli oppioidi Le principali epidemie di abuso di eroina si sono verificate negli Stati Uniti in seguito alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale e dopo il conflitto del Vietnam. Tuttavia, i pattern di abuso degli oppioidi sono cambiati significativamente verso la fine degli anni Novanta, quando il numero di utilizzatori di analgesici oppioidi a scopo non medico è quasi triplicato, da 700.000-800.000 a quasi 2,5 milioni (Substance Abuse and Mental Health Services Administration [SAMHSA], 2003). Nel 2011 vi erano più di 1,8 milioni di nuovi utilizzatori illeciti di analgesici, il che rende questa classe di farmaci la seconda 77

Oppioidi - Doctor33 · abuso o dipendenza da sostanze. Come indicato da questi risultati, i farmaci oppioidi hanno sostituito l’eroina come principale oppioide di cui si abusa negli

Embed Size (px)

Citation preview

Capitolo 3

Oppioidi

John A. Renner Jr., M.D.Clifford M. Knapp, Ph.D.

Domenic A. Ciraulo, M.D.Steven Epstein, M.D.

Prevalenza e storia naturale

Prevalenza e pattern di utilizzo e della dipendenza dagli oppioidiLe principali epidemie di abuso di eroina si sono verificate negli Stati Uniti in seguito alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale e dopo il conflitto del Vietnam. Tuttavia, i pattern di abuso degli oppioidi sono cambiati significativamente verso la fine degli anni Novanta, quando il numero di utilizzatori di analgesici oppioidi a scopo non medico è quasi triplicato, da 700.000-800.000 a quasi 2,5 milioni (Substance Abuse and Mental Health Services Administration [SAMHSA], 2003). Nel 2011 vi erano più di 1,8 milioni di nuovi utilizzatori illeciti di analgesici, il che rende questa classe di farmaci la seconda

77

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 77 11/09/14 11:14

più comune nuova sostanza di abuso davanti alla marijuana (SAMHSA, 2011a, 2012). Questo cambiamento ha avuto inizio con l’introduzione, nel 1996, dell’OxyContin, una potente formulazione a rilascio prolungato dell’ossicodone orale. Quando la pastiglia di OxyContin viene spezzata o masticata, avviene un rapido rilascio di quantità intossicanti e talvolta letali di ossicodone.

Si stima che il 10-30% dei soggetti esposti a oppioidi leciti e illeciti possa sviluppare abuso o dipendenza da sostanze. Come indicato da questi risultati, i farmaci oppioidi hanno sostituito l’eroina come principale oppioide di cui si abusa negli Stati Uniti (SAMHSA 2011b, 2012). Come per l’eroina, l’utilizzo non medico dei farmaci oppioidi è prevalentemente un problema dei giovani adulti (SAMHSA, 2011c, 2012).

Per molto tempo si è creduto che la dipendenza da oppioidi raramente fosse determi-nata dalla prescrizione legittima degli stessi per il trattamento del dolore acuto o cronico (Portenoy e Foley, 1986). Tuttavia, la recente esperienza con analgesici potenti e a lunga durata d’azione suggerisce che hanno un rischio significativo di abuso o dipendenza in soggetti con una storia di abuso di sostanze o altri disturbi psichiatrici in comorbilità (Cheatle e O’Brien, 2011). L’approvazione anticipata di formulazioni a rilascio prolun-gato di idrocodone da parte della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha sollevato preoccupazioni riguardo all’introduzione di un altro potente oppioide sul mercato americano. Diverse case farmaceutiche stanno sviluppando prodotti contenenti idrocodone puro come alternative ai prodotti esistenti, come il Vicodin (non commercia-lizzato in Italia, NdC), che combina idrocodone e acetaminofene. Lo sforzo per evitare di esporre i pazienti ai problemi epatici associati a elevate dosi di acetaminofene corre il rischio di rendere largamente disponibili prodotti che contengono fino a 10 volte la quantità di oppioide presente nel Vicodin. Gli esperti di abuso di sostanze temono che questi nuovi prodotti possano essere spezzati, rilasciando una dose di oppioide di cui si può largamente abusare e potenzialmente letale. Tuttavia, le preoccupazioni relative al potenziale di abuso degli oppioidi non dovrebbe precludere l’utilizzo appropriato di questi farmaci per il trattamento del dolore cronico che non risponde a terapie non oppioidi.

Nel 2011 l’Institute of Medicine, nel rapporto “L’alleviamento del dolore in America”, ha individuato il dolore non trattato o non adeguatamente trattato come un problema principale di salute pubblica e ha indicato un piano per trasformare la prevenzione, la cura, l’educazione e la ricerca per fornire sollievo alle persone con problemi correlati al dolore in America. L’educazione dei professionisti sanitari riguardo alla valutazione del paziente e al trattamento adeguato, compresa una corretta ed efficace prescrizione degli oppioidi, è fondamentale per seguire tale raccomandazione.

Storia naturale e risultati del trattamentoNonostante molti soggetti che assumono oppioidi sperimentino euforia o alleviamento dei sintomi con il primo utilizzo, alcuni usano questi farmaci solo raramente e poi evitano di utilizzarli nuovamente per la consapevolezza del rischio che comportano. Anche per coloro che sviluppano dipendenza, il pattern più comune è quello di periodi alternati di

78 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 78 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 79

uso e di astinenza, sia volontari sia dovuti alla pressione esterna. Molti soggetti dipen-denti da oppioidi guariscono senza neanche ricevere un trattamento formale. Gli indi-vidui dipendenti dagli oppioidi che guariscono senza trattamento hanno una psicopato-logia minore, meno problemi legali e un funzionamento sociale più adeguato, ma non una minore dipendenza dal farmaco (Rounsaville e Kleber, 1985). Per quelli che ricer-cano un trattamento, il tempo che trascorre dallo sviluppo della dipendenza al primo trattamento è, in media, di circa 2-3 anni. Il trattamento iniziale solitamente comporta la disintossicazione con scarse o addirittura senza cure successive. Fino ai due terzi dei soggetti che si sottopongono solo a disintossicazione riprendono a fare uso di oppioidi, la maggior parte nei primi mesi successivi al trattamento.

Sono stati effettuati diversi studi di follow-up a lungo termine sui pazienti con dipen-denza da oppioidi che desideravano sottoporsi a un programma di trattamento sovvenzio-nato da fondi pubblici. Un follow-up a 33 anni su 581 pazienti dipendenti da oppioidi, che avevano ricevuto un trattamento nell’ambito del California Civil Addict Program tra il 1962 e il 1964, ha mostrato un tasso di mortalità molto elevato pari al 49% (Hser et al., 2001). Dei 242 soggetti intervistati al follow-up, il 20,7% era positivo per eroina al test delle urine, il 9,5% aveva rifiutato di sottoporsi al test, mentre il 14% si trovava in carcere. Gli autori sono giunti alla conclusione che per molti di questi soggetti la dipendenza da eroina fosse una condizione permanente che aveva un grave effetto sulla salute e sul funzionamento sociale. Entro il termine del periodo di follow-up di 33 anni, solo il 25% dei soggetti aveva raggiunto l’astinenza; per la maggior parte di quegli anni, una percentuale inferiore al 6% era stata in trattamento. Un secondo studio effettuato su questa coorte ha esaminato la mortalità prematura in termini di anni potenziali di vita persi. La coorte costituita da soggetti dipendenti aveva perso 34,29 anni (anni di potenziale vita persi su 1.000) a causa di lesioni e disturbi rispetto ai 5,63 anni (anni di potenziale vita persi su 1.000) della popo-lazione americana in generale (Smith et al., 2007).

In un altro studio, utilizzatori giornalieri di oppioidi selezionati che erano entrati in trattamento nel periodo 1969-1974 sono stati seguiti per 12 anni dopo il trattamento iniziale. A quel punto, il 24% degli uomini dipendenti aveva fatto uso di oppioidi giornal-mente durante l’anno precedente e il 25% aveva riferito di non avere più fatto uso giorna-liero di oppioidi (Simpson e Marsh, 1986; Simpson et al., 1982). Dell’intero campione, il 35% non aveva mai avuto ricadute dopo avere smesso. Durante l’anno precedente, il 13% era stato arrestato e il 29% era stato incarcerato.

In un terzo studio, sono stati intervistati più di 10.000 pazienti dipendenti da sostanze che erano entrati in trattamento durante il periodo 1979-1981; un campione di questi soggetti è stato reintervistato 3-5 anni più tardi (Hubbard et al., 1989). Tra questi individui l’utilizzo di eroina era diminuito durante il trattamento e successivamente a esso. Per quanti erano rimasti in trattamento, il tasso di uso regolare di eroina era sceso dal 63,5% prima del trattamento al 17,5% dopo 3-5 anni.

In genere, i medici e gli altri professionisti sanitari con dipendenza da oppioidi hanno una prognosi assai favorevole quando sono obbligati a smettere di fare uso di queste sostanze, se vogliono continuare a esercitare la professione e se vengono sotto-

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 79 11/09/14 11:14

posti senza preavviso a esami delle urine per monitorare lo stato di astinenza. Uno studio condotto su 904 medici trattati in 16 programmi statali ha documentato una risposta molto positiva al trattamento. Al follow-up a 5 anni, quasi il 78,7% aveva mantenuto la professione di medico. Gli autori hanno notato l’alta qualità del trattamento ricevuto e l’importanza di un monitoraggio regolare (test delle urine) e hanno evidenziato come un trattamento di simile qualità, durata e intensità raramente fosse disponibile in ambienti standard (Dupont et al., 2009; McLellan et al., 2008).

Attualmente non vi sono mezzi affidabili per prevedere la prognosi a lungo termine di un soggetto dipendente da oppioidi valutando l’utilizzo della sostanza, il lavoro, la crimi-nalità e l’adattamento psicologico. Nonostante il raggiungimento di un’astinenza anche temporanea sia associato al miglioramento di diversi fattori (in particolare, problemi legali), il fatto di raggiungere semplicemente l’astinenza non garantisce un adeguato adattamento psicosociale. Pertanto, il trattamento deve essere indirizzato anche ad altre aree problematiche. In genere, il risultato in una particolare area (per esempio, impiego o comportamento criminale) è meglio predetto dal comportamento tenuto in passato dal soggetto in quello stesso campo (Kosten et al., 1987a; Rounsaville et al., 1987).

La dipendenza da oppioidi è sempre stata associata a elevati tassi di mortalità correlati a fattori quali overdose, suicidio, omicidio e infezioni. Gli autori di uno studio condotto in Svezia hanno riferito un tasso di mortalità pari al 20% durante un periodo di 1 anno in un gruppo di pazienti dipendenti da oppioidi che era stato utilizzato come gruppo di controllo in uno studio di mantenimento a doppio cieco e controllato mediante placebo sulla buprenorfina (Kakko et al., 2003). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a disintossicazione dalla buprenorfina (come fase iniziale di un braccio in placebo di 1 anno del trial di mantenimento) e sono stati loro offerti servizi intensivi di assistenza ambulatoriale.

Questi risultati sottolineano i difetti e i rischi del trattamento composto da disintos-sicazione e counseling ambulatoriale, anche per gli individui dipendenti con una storia di dipendenza relativamente breve.

Farmacologia clinicaTre sono i tipi di recettori degli oppioidi finora individuati: i recettori µ, δ e κ. È stato inoltre individuato un recettore nociceptina/orfanina FQ che, tecnicamente, è classifi-cato come recettore degli oppioidi per la sua struttura, pur non mediando direttamente gli effetti degli agonisti degli oppioidi. Questi recettori sono accoppiati a proteine leganti il nucleotide guanina (proteine G). Gli agonisti degli oppioidi producono effetti intra-cellulari attraverso la loro azione sulle proteine G, che includono l’inibizione dell’adenil-ciclasi, producendo una riduzione dei livelli di adenosina monofostato ciclico (cAMP), una minore apertura dei canali del calcio voltaggio-dipendenti, un aumento del flusso nel canale del potassio e l’attivazione della protein-chinasi C. Gli oppioidi sono in grado di inibire il rilascio di neurotrasmettitori, in particolare l’acido γ-aminobutirrico (GABA) e la sostanza P, dai neuroni (Williams et al., 2001).

80 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 80 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 81

Gli effetti massimi prodotti da un particolare oppioide sono determinati dalla natura delle sue interazioni con le proteine G accoppiate ai recettori (Selley et al., 1998, 2003). Gli agonisti completi dei recettori per gli oppioidi, tra cui il metadone, sono in grado di attivare al massimo le proteine G. Gli agonisti parziali, tra cui la morfina e la buprenor-fina, producono un’attivazione limitata delle proteine G, anche se la morfina può produrre un grado di attivazione sufficiente a causare grave depressione respiratoria. Altri agonisti parziali come la buprenorfina, invece, stimolano le proteine G in grado assai limitato, mostrando un “effetto a plateau” nella loro azione depressiva respiratoria e in molti dei loro effetti soggettivi (Ciraulo et al., 2006). Ipotesi premature circa un effetto a plateau per l’analgesia sono state messe in questione dall’esperienza clinica (Malinoff et al., 2005) e dalla ricerca. Nel 2008, un gruppo di esperti ha riesaminato la ricerca recente concludendo che, nonostante nella pratica clinica la buprenorfina agisca come un agonista µ completo degli oppioidi per l’analgesia, senza un effetto a plateau, essa ha comunque questo effetto per quanto riguarda la depressione respiratoria (Pergolizzi et al., 2010). Un altro studio ha riscontrato che l’aggiunta di naloxone a dosi bassissime alla buprenorfina determina un potenziamento degli effetti analgesici nell’uomo senza effetti collaterali significativi (La Vincente et al., 2008). Tuttavia, una recente revisione ha indicato come i pazienti con dolore cronico abbiano maggiore probabilità di smettere di assumere la buprenorfina come analgesico rispetto alla morfina (Bekkering et al., 2011), lasciando aperta la questione se l’analgesia prodotta dai due farmaci sia equivalente.

Gli agonisti degli oppioidi includono diverse classi di peptidi endogeni, comprese le endorfine, le encefaline, le endomorfine, le dinorfine e numerose sostanze oppioidi esogene. Gli agonisti esogeni degli oppioidi vengono utilizzati per trattare tosse, diarrea e dolore. Tra di essi vi sono i derivati del Papaver somniferum (cioè, il papavero) come la morfina e la codeina; le droghe semi-sintetiche correlate alla morfina, tra cui l’eroina, l’ossicodone e agenti sintetici come il fentanil, il metadone e la meperidina. Gli effetti degli agonisti degli oppioidi possono essere bloccati dagli antagonisti degli oppioidi tra cui il naloxone, il naltrexone e il nalmefene. Questi antagonisti si legano ai recettori degli oppioidi per bloccare l’azione degli agonisti, ma a dosi terapeutiche sembrano avere pochi altri effetti farmacologici.

La maggior parte dei farmaci oppioidi analgesici attualmente utilizzati sembra eserci-tare la propria azione principalmente mediante il recettore µ degli oppioidi (Zhang et al., 1998). Alcuni analgesici oppioidi, come il butorfanolo e la nalbufina, possono produrre analgesia stimolando i recettori κ degli oppioidi. Nonostante la stimolazione dei recettori κ degli oppioidi produca analgesia, in risposta all’attivazione di questi recettori possono verificarsi anche disforia e allucinazioni. La nalbufina è anche un antagonista dei recettori µ degli oppioidi e può indurre astinenza nei soggetti con dipendenza da oppioidi.

Gli effetti dei farmaci agonisti dei recettori µ degli oppioidi sul sistema nervoso centrale includono analgesia, sedazione, “annebbiamento mentale” (apatia e difficoltà a concentrarsi), alterazioni dell’umore, nausea e vomito. Il metabolita della meperidina, la normeperidina, può anche indurre delirium. Nelle persone che erano dipendenti dagli oppioidi e che stanno osservando l’astinenza, l’euforia è maggiore e l’annebbiamento

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 81 11/09/14 11:14

mentale è meno pronunciato rispetto ai soggetti non dipendenti. La tolleranza a questi effetti si sviluppa con l’uso cronico. Gli oppioidi inibiscono in acuto l’ormone stimolante il rilascio di gonadotropina e la secrezione dell’ormone stimolante il rilascio di cortico-tropina, ma con l’utilizzo cronico si sviluppa tolleranza. Pertanto, i pazienti maschi in trattamento con metadone, che sono stati mantenuti per più di 1 anno a dosi stabili, in genere hanno livelli normali di cortisolo, ormone luteinizzante e testosterone (per riferi-menti generali, si veda Gutstein e Akil, 2001).

I principali effetti gastrointestinali derivanti dalla somministrazione degli agonisti dei recettori µ includono riduzione della motilità intestinale e modificazioni nella secrezione dei succhi gastrici e intestinali. La morfina e la maggior parte degli agonisti dei recettori µ degli oppioidi causano costrizione pupillare (miosi). A questo effetto si può sviluppare una certa tolleranza, ma i soggetti dipendenti con elevati livelli di oppioidi continueranno a presentare miosi. La depressione respiratoria è la più comune causa di morte da overdose di oppioidi.

Dopo una rapida iniezione endovenosa di oppioidi, l’utilizzatore presenta cute calda e arrossata e un “rush” che dura circa 45 secondi. In uno studio retrospettivo (Seecof e Tennant, 1987), le sensazioni più comunemente associate al rush erano piacere, rilas-samento e soddisfazione. Nonostante una volta tale rush venisse solitamente riportato come simile all’orgasmo sessuale, in uno studio su questo fenomeno tale sensazione è stata riportata solo dal 18% degli uomini e dal 10% delle donne (Seecof e Tennant, 1987).

Gli oppioidi vengono assorbiti dal tratto gastrointestinale, dalla mucosa nasale (per esempio, quando l’eroina viene sniffata) e dai polmoni (per esempio, quando si fuma oppio). Il potente agente oppioide fentanil può essere assorbito per via transdermica e l’agonista parziale degli oppioidi buprenorfina può esser somministrato per via sublin-guale. Dopo l’assorbimento dal tratto gastrointestinale la morfina subisce un notevole effetto di primo passaggio (cioè viene metabolizzata in modo estensivo nel fegato); di conseguenza, è più potente se somministrata tramite iniezione.

Le caratteristiche farmacocinetiche distinguono alcuni degli oppioidi comunemente utilizzati. La codeina deve subire una biotrasformazione in morfina dall’enzima epatico citocroma P450 (CYP) 2D6 per esercitare tutti i suoi effetti terapeutici. Il 90% circa dell’escrezione di morfina avviene durante le prime 24 ore, ma nelle urine le tracce sono individuabili per più di 48 ore. L’eroina (diacetilmorfina) viene idrolizzata a monoacetil-morfina, poi idrolizzata a sua volta a morfina. La morfina e la monoacetilmorfina sono responsabili degli effetti farmacologici dell’eroina. L’eroina produce effetti più rapida-mente della morfina, in quanto è più liposolubile e pertanto attraversa più rapidamente la barriera ematoencefalica. Nell’urina l’eroina viene individuata come morfina libera e morfina glucuronide (Gutstein e Akil, 2001; Jaffe et al., 2004).

Recettori per gli oppioidiTre sono i geni dei recettori degli oppioidi che sono stati individuati: l’OPRM1 codifica il recettore µ, l’OPRK1 codifica il recettore κ e l’OPRD1 codifica il recettore δ. Questi geni hanno estese sequenze di acidi nucleici in comune e producono recettori con sequenze di

82 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 82 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 83

aminoacidi molto simili. La struttura dei recettori degli oppioidi è molto simile a quella del recettore nociceptina/orfanina FQ, che non è sensibile agli effetti antagonisti del naloxone ma è comunque classificata come un gene dei recettori degli oppioidi.

L’evidenza farmacologica suggerisce che vi possano essere diversi sottotipi dei tre principali recettori sensibili agli agonisti degli oppioidi, ma ciò non è supportato da alcuna evidenza a livello molecolare. Le differenze nel funzionamento dei diversi recettori degli oppioidi dello stesso tipo possono essere dovute a polimorfismi a singolo nucleotide nei recettori (si veda, per esempio, Kroslak et al., 2007). Anche lo splicing alternativo che si verifica durante la traduzione dell’RNA messaggero degli oppioidi può essere causa di differenze funzionali in recettori degli oppioidi generati dallo stesso gene (Dietis et al., 2011). La variazione nella farmacologia dei recettori degli oppioidi può essere dovuta anche all’esistenza di eterodimeri degli oppioidi, che nascono dall’interazione dei diversi tipi di recettori degli oppioidi. Un esempio è visibile nelle differenze delle azioni della morfina e dell’ossicodone: l’ossicodone ha le caratteristiche di un agonista κ in alcuni modelli sperimentali di analgesia. Questo fenomeno può essere dovuto all’interazione di questa sostanza con un eterodimero recettore κ degli oppioidi/recettore δ degli oppioidi (Dietis et al., 2011).

Elevate densità di recettori µ degli oppioidi nel sistema nervoso si trovano nel corno dorsale del midollo spinale, nel tronco encefalico, nel talamo e nella corteccia, dove possono modulare l’intensità dei segnali dolorifici afferenti. Nel sistema mesolimbico i recettori µ degli oppioidi possono avere un ruolo nella regolazione dei comportamenti motivati dalla ricompensa. Gli effetti rinforzanti degli agonisti degli oppioidi vengono prodotti, almeno in parte, dall’induzione del rilascio di dopamina da parte di questi agenti nel nucleus accumbens, una struttura mesolimbica implicata nel mediare gli effetti dello stimolo ricompensa sul comportamento (Nestler et al., 2001).

Meccanismi di tolleranza e dipendenzaLa somministrazione prolungata di analgesici oppioidi determina lo sviluppo di tolle-ranza a queste sostanze, che si manifesta come la necessità di assumere una dose maggiore del farmaco per produrre un determinato effetto. I meccanismi che mediano il verificarsi della tolleranza agli oppioidi non sono stati ancora ben definiti e possono inte-ressare alterazioni nella regolazione intracellulare dell’attività dei recettori degli oppioidi e adattamenti in ampie reti di neuroni che mediano gli effetti fisiologici degli oppioidi. La cessazione della somministrazione cronica di agonisti degli oppioidi determina una serie precisa di sintomi da astinenza che sono indicativi di dipendenza fisica dagli oppioidi. Almeno alcuni dei meccanismi cellulari che mediano l’astinenza da oppioidi hanno anche un ruolo nello sviluppo della tolleranza agli oppioidi.

Numerose ricerche sui meccanismi che mediano lo sviluppo della tolleranza agli agonisti degli oppioidi si sono concentrate su fattori che regolano direttamente la funzio-nalità dei recettori degli oppioidi. Questi includono la desensibilizzazione, la fosforilazione, la risensibilizzazione e l’interiorizzazione (cioè endocitosi) dei recettori degli oppioidi.

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 83 11/09/14 11:14

La desensibilizzazione dei recettori comporta la perdita acuta della loro funzione, che può derivare dalla divisione di un recettore dalla sua proteina G a seguito della fosforilazione della proteina del recettore prodotta dalla chinasi del recettore accoppiato alla proteina G e al successivo rinforzo del legame con le β-arrestine (Christie, 2008). La risensibilizzazione del recettore può avvenire mediante il suo riciclo attraverso le vie intracellulari. Per i recet-tori degli oppioidi questo processo può comportare la fosforilazione del recettore legato all’agonista, seguita dal legame del recettore alla β-arrestina. Questo complesso recetto-riale successivamente subisce endocitosi e i recettori risensibilizzati nella cellula vengono riciclati alla superficie della cellula. Possono esistere anche altri meccanismi finora non pienamente caratterizzati che consentono la risensibilizzazione dei recettori degli oppioidi che rimangono sulla superficie della cellula (Dang e Christie, 2012).

È stato postulato che la tolleranza alla morfina sia dovuta al fatto che dei recettori desensibilizzati rimangono sulla superficie della cellula a seguito dell’esposizione prolun-gata a questa sostanza. L’esposizione cronica alla morfina può portare alla persistenza della desensibilizzazione, che può essere correlata a modificazioni nei sistemi di signa-ling che mediano gli effetti dell’enzima protein-chinasi C (Christie, 2008). La tolleranza agli effetti analgesici della morfina, osservata in seguito alla somministrazione cronica di questa sostanza, è attenuata negli animali che presentano una mutazione tale per cui il gene β-arrestina-2 (ARRB2) è deleto (Bohn et al., 2000). Nonostante la morfina non interagisca subito con la β-arrestina-1, il fentanil e il metadone interagiscono con questa proteina (Groer et al., 2011). Le modificazioni nell’affinità del recettore µ degli oppiodi correlate agli agonisti per le diverse forme di β-arrestina possono essere un fattore importante nei meccanismi responsabili dello sviluppo di tolleranza a diversi oppioidi.

La somministrazione di diversi agonisti completi degli oppioidi, compresi il fentanil e il metadone, produce una risensibilizzazione del recettore µ degli oppioidi tramite un meccanismo che può comportare l’internalizzazione di questi recettori all’interno del neurone. Diversamente dagli agonisti completi dei recettori degli oppioidi, molti agonisti parziali dei recettori degli oppioidi ‒ in particolare la morfina ‒ non producono una marcata o rapida endocitosi (Schulz et al., 2004). L’evidenza emersa da studi condotti sugli animali indica che la tolleranza alla morfina può essere più pronunciata di quanto lo sia negli animali trattati con agenti che facilitano rapidamente l’internalizzazione dei recettori degli oppioidi. Attualmente, tuttavia, nessuna evidenza nell’uomo mostra che i farmaci oppioidi, che notoriamente promuovono rapidamente l’endocitosi, producono tolleranza in misura minore rispetto ai farmaci che promuovono scarsamente l’interna-lizzazione dei recettori (Morgan e Christie, 2011).

Un altro meccanismo implicato nello sviluppo di tolleranza agli oppioidi comporta una riduzione negli effetti inibitori della morfina sull’attività del pathway del cAMP. La somministrazione acuta di agonisti degli oppioidi, come la morfina, riduce l’attività dei pathway dei secondi messaggeri del cAMP attraverso l’inibizione dell’attività dell’adenil-ciclasi. Tuttavia, in seguito all’esposizione cronica alla morfina, questo effetto inibitore viene perso in molte aree cerebrali e vi può essere un’upregulation del pathway del cAMP almeno in alcuni neuroni (Cao et al., 2010; Nestler et al., 2001).

84 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 84 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 85

L’upregulation della via del cAMP può avere un ruolo importante nell’astinenza da oppioidi. Una volta cessato il trattamento con morfina, può verificarsi un’attività di rebound nella via cAMP. L’attività di rebound può essere correlata ad aumento dei livelli extracellulari dei neurotrasmettitori eccitatori glutammato e aspartato durante l’astinenza da oppioidi (Aghajanian et al., 1994). L’aumento dell’attività della via del cAMP può determinare una maggiore fosforilazione della proteina legante l’elemento di risposta al cAMP (CREB), che altera la trascrizione di alcuni geni nelle regioni del cervello associate all’astinenza (Delfs et al., 2000; Shaw-Lutchman et al., 2002). I sintomi di asti-nenza fisica che seguono la somministrazione di morfina sono ridotti in topi mutati per produrre solo livelli residui di CREB (Maldonado et al., 1996).

Eziologia della dipendenza da oppioidiÈ difficile delineare, anche per uno specifico individuo, l’esatta eziologia della dipen-denza. Ciascuno dei fattori eziologici di cui discuteremo in questo paragrafo può avere ruoli diversi nell’inizio e nel mantenimento dell’uso, nella ricaduta e nella guarigione.

Gli oppioidi possono avere un effetto rinforzante inducendo direttamente effetti piacevoli (rinforzo positivo) o riducendo gli effetti avversi o la sperimentazione degli stimoli fastidiosi (rinforzo negativo). Essi sono in grado di ridurre il dolore o l’ansia e, in alcuni casi, la depressione o la noia, alleviare l’aggressività intensa e aumentare l’auto-stima. L’approvazione sociale tra i pari può essere un fattore che induce a iniziare l’uso di oppioidi. Il solo rituale dell’iniettarsi la sostanza spesso si associa a una sensazione posi-tiva e, pertanto, anche un’iniezione occasionale di placebo può produrre effetti piacevoli. Anche una volta che si è sviluppata tolleranza ad alcuni degli effetti degli oppioidi, il rush può comunque presentarsi poco dopo un’iniezione endovenosa. Studi su animali indicano che basse dosi di oppioidi abbassano la soglia oltre la quale si producono effetti rinforzanti (piacevoli) attraverso l’autosomministrazione di corrente elettrica ad alcune regioni del cervello (Kornetsky, 2004). A questo effetto non sembra verificarsi tolle-ranza. Anche la sperimentazione di sollievo dall’astinenza contribuisce all’uso ripetuto di oppioidi. A causa della breve durata d’azione dell’eroina, l’astinenza si verifica più volte al giorno e il sollievo da essa porta a comportamenti fortemente rinforzati.

Gli strumenti e l’ambiente associati all’uso di sostanze possono diventare stimoli, il che indica che è possibile un “high” o un sollievo dal disagio. Il craving, ossia il desi-derio di fare uso della sostanza, è aumentato in presenza di tali stimoli. Perfino i sintomi da astinenza possono venire condizionati da questi stimoli. La persona dipendente può sperimentare quest’astinenza indotta come un aumento del craving o desiderio di fare uso di oppioidi (McLellan et al., 1986; Meyer e Mirin, 1979; Wikler, 1980). Il craving più intenso sembra essere suscitato da condizioni associate all’uso di oppioidi piuttosto che a quelle associate all’astinenza. Il ruolo che questi fenomeni giocano nella ricaduta e nella perpetuazione dell’uso è attualmente sconosciuto. I risultati della ricerca suggeriscono che questi fenomeni possono essere clinicamente importanti e che la loro eradicazione può essere utile nel trattamento (Childress et al., 1988).

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 85 11/09/14 11:14

I fattori psicosociali e ambientali rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo della dipendenza da oppioidi e nella guarigione da essa; tuttavia, una discussione detta-gliata va oltre l’intento di questo capitolo. L’utilizzo di sostanze lecite quali la nicotina e l’alcol solitamente precede l’uso di oppioidi (Clayton e Voss, 1981; Kandel e Yamaguchi, 1993). Nonostante non si possa prevedere con sicurezza quali utilizzatori passeranno all’uso di oppioidi, quelli che lo fanno hanno in genere una bassa autostima, famiglie disgregate e rapporti difficoltosi con i genitori (Farrel e White, 1998). L’aumentata dispo-nibilità di oppioidi nei centri cittadini e nelle metropoli induce a cominciare a farne uso e, per quanti ne fanno già uso, a ricadervi. È particolarmente difficile evitare l’uso e le ricadute in aree con un’elevata disoccupazione, un sistema scolastico insufficiente ed elevati tassi di criminalità. Vivere in tali aree può contribuire allo sviluppo di sensazioni negative che l’uso di oppioidi temporaneamente allevia.

La breve sperimentazione di oppioidi illeciti raramente porta alla dipendenza, ma gli individui che fanno uso di oppioidi almeno una volta al mese, anche per un breve periodo, solitamente passano a un uso giornaliero. Studi epidemiologici e strutture tera-peutiche riportano un’elevata prevalenza di ansia, disturbi dell’umore, disturbo bipolare e alcolismo, oltre che personalità antisociale, tra gli individui con dipendenza da oppioidi (Cacciola et al., 2001; Callaly et al., 2001; Hien et al., 2000; Krausz et al., 1998, 1999; Mardsen et al., 2000; Milby et al., 1996; Regier et al., 1990; Roozen et al., 2003).

Dole e Nyswander (1967) hanno postulato un’eziologia biologica per la dipendenza da oppioidi, suggerendo che una deficienza metabolica preesistente possa portare a dipendenza o che i cambiamenti indotti dall’uso di oppioidi possano perpetuare la dipen-denza. Successivamente, Dole (1988) ha ipotizzato che la disfunzione dei recettori per gli oppioidi è un fattore eziologico primario. Le recenti ricerche si sono focalizzate sull’i-potesi che i soggetti con una vulnerabilità genetica all’abuso di oppioidi abbiano difetti nei geni per i peptidi e i recettori degli oppioidi. Varianti dei recettori µ e δ sono state associate a dipendenza da oppioidi e/o da alcol. Tuttavia, le associazioni sono deboli, suggerendo che il sistema degli oppioidi abbia un ruolo relativamente esiguo nella genesi di questi disturbi o che, per mostrare una relazione, debbano essere necessarie combi-nazioni di polimorfismi del sistema degli oppioidi (Mayer e Höllt, 2001). Negli utilizza-tori di oppioidi sono comuni la personalità antisociale e l’alcolismo. Dal momento che entrambi questi disturbi sembrano essere influenzati da fattori genetici, forse un giorno si identificherà una correlazione significativa tra fattori genetici e abuso di oppioidi.

Fenomenologia dell’astinenza da oppioidi

TolleranzaI soggetti dipendenti possono sviluppare un certo grado di tolleranza agli effetti euforiz-zanti dell’eroina in 1-2 settimane (Cami e Farre, 2003). Pertanto, per ottenere un rush o un high, l’individuo dipendente aumenta progressivamente la dose. Nonostante alcuni

86 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 86 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 87

individui raggiungano dosi straordinariamente elevate, c’è sempre un dosaggio in grado di determinare la morte per depressione respiratoria. La dipendenza fisica e la tolleranza si verificano più rapidamente in quanti erano precedentemente dipendenti; i soggetti dipendenti da morfina possono raggiungere una dose giornaliera di 500 mg entro 10 giorni dalla ripresa dell’uso. La tolleranza scompare largamente dopo l’astinenza; dopo la disintossicazione le persone dipendenti hanno involontariamente assunto dosi fatali perché tornavano ad assumere le dosi precedenti. Con la somministrazione cronica di antagonisti degli oppioidi può verificarsi un’upregulation dei recettori che può rendere i pazienti che assumono questi agenti più sensibili agli oppioidi una volta che smettono di prendere gli antagonisti.

AstinenzaLa somministrazione di dosi sufficienti di un antagonista degli oppioidi, dopo anche una singola dose terapeutica di morfina, dà luogo a fenomeni di astinenza (Bickel et al., 1987; Heishman et al., 1989; Jones, 1979). Nei soggetti a cui vengono somministrati regolar-mente oppioidi per più di alcuni giorni si sviluppa un certo grado di dipendenza fisica clinicamente individuabile. Tuttavia, relativamente pochi di essi diventano utilizzatori cronici. La dipendenza fisica e la presenza di tolleranza e di sintomi di astinenza, quindi, non possono essere considerate le uniche cause di uso continuato e di ricaduta. Tuttavia, la presenza di dipendenza fisica chiaramente contribuisce ai problemi dell’astinenza o al timore di essa e alla tendenza a ricadere.

L’intensità dell’astinenza dipende dai seguenti fattori: 1) la dose dell’oppioide assunta (anche se il superare i 500 mg/die di morfina non aumenta in maniera signi-ficativa la gravità); 2) la durata dell’uso; 3) il tasso di rimozione degli oppioidi dai recettori; 4) l’entità dell’uso continuato. In genere, il carattere dei segni e dei sintomi è opposto a quello degli effetti acuti degli agonisti. Per esempio, durante il tratta-mento acuto si verifica costipazione e con l’astinenza si ha un’ipermotilità intestinale. Anche la sensibilità soggettiva può incidere sulla natura della sindrome da astinenza. In genere, quanto più breve è la durata d’azione della sostanza tanto più grave è la sindrome di astinenza, tanto più rapido è l’esordio dei sintomi e tanto più breve è la durata degli stessi. Con sostanze a breve durata d’azione come l’eroina e la morfina, i primi sintomi possono comparire dopo 8-12 ore dall’ultima dose. Le sindromi gravi hanno un picco dopo 48-72 ore dall’ultima dose. In alcuni individui i sintomi sogget-tivi prevalgono sui segni oggettivi. La fase acuta dell’astinenza da morfina o eroina, se non trattata, può durare 7-10 giorni. In genere, l’astinenza da agonisti κ (per esempio, nalorfina) è lieve e qualitativamente diversa. L’esordio dell’astinenza con farmaci a più lunga durata d’azione, come il metadone o la buprenorfina, può essere ritardato fino a 1-3 giorni dall’ultima dose. I sintomi di picco spesso non si manifestano fino al terzo o quinto giorno. L’astinenza da metadone include lamentele di dolore, che il paziente afferma originare dai muscoli o dalle ossa. L’astinenza da meperidina si sviluppa entro 3 ore dall’ultima dose, ha un picco in 5-12 ore e, generalmente, scompare in 4-5 giorni.

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 87 11/09/14 11:14

Con la meperidina, sintomi soggettivi quali craving e irrequietezza possono essere molto più gravi delle modificazioni autonomiche. L’astinenza da codeina è meno grave rispetto a quella causata da agonisti degli oppioidi più potenti.

La sindrome da astinenza acuta da oppioidi può essere seguita da una sindrome da astinenza protratta che può durare diverse settimane (Martin et al., 1973). In uno studio su pazienti dipendenti da eroina disintossicati con metadone, il disagio causato dall’asti-nenza ha raggiunto il picco al giorno 20, l’ultimo giorno di disintossicazione con meta-done, e i punteggi dei sintomi hanno raggiunto livelli normali non prima del giorno 40 (Gossop et al., 1987). Durante questa fase vi possono essere preoccupazioni somatiche eccessive, ridotta tolleranza allo stress, scarsa immagine di sé e disturbi del sonno. Gli effetti degli oppioidi sono particolarmente rinforzanti in questo momento, il che forse spiega le precoci ricadute (Cushman e Dole, 1973; Martin et al., 1973).

In passato, le valutazioni sulla gravità dell’astinenza da sostanze quali l’eroina, la morfina e il metadone venivano effettuate utilizzando la Himmelsbach scale (Himmelsbach, 1941), che evidenziava i segni “oggettivi” o misurabili rispetto alle mani-festazioni soggettive. Con tale sistema, la sequenza dei segni osservati era quella ripor-tata nella Tabella 3.1. Tuttavia, un lavoro più recente, che ha dato maggior peso agli aspetti soggettivi del disturbo da astinenza, ha dimostrato che gli utilizzatori di sostanze sperimentano alterazioni dell’umore, affaticamento, disforia e disagio non meglio preci-sati molte ore prima che si manifestino segni quali lacrimazione o sbadigli. Una scala molto utile, che combina sia le valutazioni oggettive sia quelle soggettive, è la Clinical Opiate Withdrawal Scale (COWS; Wesson e Ling, 2003). Questo strumento è partico-

TABELLA 3.1 Segni e sintomi dell’astinenza da oppioidi

Primi sintomi Sintomi intermedi Sintomi tardivi

Lacrimazione Sonno irrequieto Aumento della gravità dei primi sintomi

Sbadigli Pupille dilatate Tachicardia

Rinorrea Anoressia Nausea

Sudorazione Pelle d’oca Vomito

Irrequietezza Diarrea

Irritabilità Crampi addominali

Tremore Aumento della pressione sanguigna

Labilità dell’umore

Depressione

Spasmi muscolari

Debolezza

Dolore osseo

Fonte. Modificata da Ciraulo e Ciraulo, 1988.

88 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 88 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 89

larmente utile per valutare i pazienti per l’induzione alla buprenorfina (vedi la discus-sione sulla buprenorfina nel paragrafo “Prevenzione delle ricadute” più avanti in questo capitolo).

Le variabili correlate alla personalità, allo stato mentale al momento dell’astinenza e all’aspettativa circa la gravità dei sintomi possono incidere sulla gravità dell’astinenza (Kleber, 1981). Uno studio ha evidenziato che il fornire semplicemente informazioni relative alla sindrome da astinenza ai soggetti dipendenti ha determinato livelli più bassi di sintomi da astinenza (Green e Gossop, 1988).

Trattamento farmacologico

Dipendenza da oppioidiGli approcci terapeutici includono: 1) disintossicazione a breve termine, solitamente con metadone, buprenorfina o clonidina; 2) terapia sostitutiva degli oppioidi, che consiste in un trattamento di mantenimento con metadone o buprenorfina; 3) trattamento anta-gonista con naltrexone. Un soggetto dipendente spesso sperimenta più di una modalità di trattamento nella vita. Spesso è difficile individuare quale sia l’elemento chiave per ottenere la guarigione di questi individui.

Astinenza da oppioidiDisintossicazione da oppioidiMetadone. Negli Stati Uniti il metadone è stato tradizionalmente il farmaco standard per trattare i sintomi dell’astinenza. La disintossicazione può essere effettuata per un periodo che può durare anche 6 mesi in un programma ambulatoriale di mantenimento o di alcuni giorni in regime di ricovero ospedaliero. L’obiettivo della disintossicazione breve consiste nel rendere tale esperienza meno disagevole, anche se non ci si dovrebbe attendere la soppressione di tutti i sintomi dell’astinenza. Se si conosce la dose giorna-liera di oppioidi, è possibile somministrare una dose di metadone farmacologicamente equivalente. L’inconveniente di questo approccio consiste nel fatto che le equivalenze del metadone orale pubblicate variano considerevolmente. Per esempio, una fonte ripor-tava che le equivalenze tra morfina e metadone somministrati oralmente variassero da 4:1 a 14:1 (Gordon et al., 1999) nonostante l’equivalenza possa essere ben più bassa, come di 2,5:1 (Ripamonti et al., 1998). Pertanto, quando si determina il dosaggio utiliz-zando le tabelle di equivalenza è necessario prestare attenzione. A causa della più lunga durata d’azione e dell’efficacia orale del metadone, l’astinenza può essere risolta con dosi di metadone orale più basse rispetto a quelle calcolate secondo i rapporti di equivalenza degli analgesici pubblicati.

Per i pazienti che assumono eroina da strada, la dose iniziale di metadone è, in genere, pari a 15-20 mg per via orale. Se i sintomi o i segni dell’astinenza persistono, è possi-bile ripetere la dose dopo poche ore. Nonostante alcuni soggetti dipendenti che hanno

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 89 11/09/14 11:14

accesso a droghe pure (il che non è raro in alcune città americane) possano necessitare di dosi più elevate, solitamente un dosaggio di 40 mg/die di metadone risulta adeguato. Una volta individuata la dose stabilizzante, il dosaggio di metadone può essere ridotto di circa 5 mg/die per raggiungere la disintossicazione completa entro 5-8 giorni (American Psychiatric Association, 2006). Se si utilizza la clonidina, il tasso di riduzione può essere più rapido (si veda la seguente sottosezione sulla clonidina). Per facilitare la compliance nella disintossicazione ambulatoriale, potrebbe essere necessario prolungare il periodo di trattamento. Uno schema di tapering adeguato è: 10% alla settimana con dosi elevate e 3% alla settimana per dosaggi inferiori a 20 mg/die (Senay et al., 1977).

I tassi di ricaduta dopo la disintossicazione sono molto elevati e, pertanto, sono necessari grandi sforzi per coinvolgere il paziente in ulteriori trattamenti. Nonostante il prolungamento del periodo di astinenza fino a 6 mesi non sembri determinare un miglio-ramento del risultato (Sees et al., 2000), i pazienti sottoposti a mantenimento con meta-done e che hanno un buon rapporto terapeutico hanno risultati migliori.

Clonidina. La clonidina, un agonista α2 utilizzato principalmente come anti-iperten-sivo, è un’altra sostanza comunemente utilizzata per la disintossicazione. È stato dimo-strato che essa sopprime molti dei sintomi autonomici della sindrome da astinenza (Gold et al., 1978; Kleber et al., 1985). I pazienti che assumono oppioidi possono essere fatti passare a clonidina orale a un dosaggio inizialmente di 0,1-0,2 mg tre volte al giorno (fino a 0,6 mg/die in regime di ricovero). La clonidina dovrebbe essere somministrata per circa 10 giorni per la disintossicazione da eroina e per 14 giorni nei soggetti che stanno smettendo di assumere metadone. L’uso ambulatoriale della clonidina è limitato da due importanti effetti collaterali: l’ipotensione, che può essere anche marcata, e la sedazione. Per questo motivo, in ambienti extraospedalieri viene sconsigliato l’utilizzo di dosi supe-riori a 1 mg/die. Un altro importante limite della clonidina consiste nel fatto che, sebbene sopprima i segni autonomici dell’astinenza, i sintomi riferiti dal soggetto quali letargia, irrequietezza, insonnia e craving non sono adeguatamente alleviati (Charney et al., 1981; Jasinski et al., 1985). L’ansia può essere alleviata dalle benzodiazepine e alcuni dati suggeriscono che il propranololo a basse dosi può ridurre l’irrequietezza (Roerich e Gold, 1987). Nonostante non sia attualmente approvata dalla FDA, la lofexidina, un altro agonista α2, è stata ampiamente utilizzata in Europa per la disintossicazione. Rispetto alla clonidina, presenta minore probabilità di provocare ipotensione o sedazione (Strang et al., 1999).

La disintossicazione ha maggiore successo se il paziente viene fatto passare da una dose stabile di metadone con il supporto di terapia continua rispetto a quando viene “direttamente dalla strada” per essere sottoposto a disintossicazione da eroina. La cloni-dina è stata utilizzata in associazione al naltrexone per facilitare l’astinenza rapida e favorire un rapido passaggio al trattamento con l’antagonista. Solitamente i pazienti cominciano con l’assunzione di clonidina associata a una dose molto bassa di naltrexone al giorno 1. La clonidina viene somministrata in dosi suddivise, aggiustate in base alla gravità dell’astinenza, fino a un dosaggio massimo di 2,5 mg/die. Il dosaggio del

90 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 90 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 91

naltrexone viene gradualmente aumentato a 50-150 mg/die entro il giorno 5-6; l’80-90% dei pazienti riesce a completare il passaggio al naltrexone in meno di 1 settimana (Charney et al., 1986; Kleber et al., 1987; Vining et al., 1988). In uno dei pochi studi randomizzati che hanno confrontato alcuni dei nuovi protocolli di disintossicazione, O’Connor et al. (1997) hanno riferito che i pazienti disintossicati con una combinazione di clonidina e naltrexone, o con buprenorfina da sola, avevano maggiori probabilità di completare la disintossicazione rispetto a coloro che assumevano solo clonidina. I soggetti assegnati al gruppo della buprenorfina riferivano sintomi di astinenza meno gravi rispetto a quanti erano inclusi negli altri due gruppi.

Buprenorfina. A partire dalla fine degli anni Novanta la buprenorfina è stata riconosciuta come un agente efficace per la disintossicazione dagli oppioidi. La buprenorfina sommini-strata per via sublinguale, disponibile per il trattamento ambulatoriale della dipendenza da oppioidi, è diventata una delle opzioni standard per il trattamento di disintossicazione. Tuttavia, il protocollo ottimale dell’astinenza è ancora in fase di studio. Attualmente, la maggior parte dei medici segue le linee-guida per l’induzione con buprenorfina indicate nella Tabella 3.2 (descritte nella discussione sulle terapie di mantenimento con bupre-norfina nel paragrafo “Prevenzione delle ricadute”), seguita dal tapering in 2-5 giorni (Cheskin et al., 1994; Horspool et al., 2008). Molti pazienti dipendenti preferiscono di gran lunga la buprenorfina come farmaco per la disintossicazione. In uno studio, la bupre-norfina somministrata per via sublinguale sembrava essere efficace quanto il metadone in una disintossicazione di 7 settimane (Bickel et al., 1987). La sindrome da astinenza da

TABELLA 3.2 Progamma di induzione con buprenorfina

Buprenorfina sublinguale/naloxone pastigliea

Tipo di paziente Giorno 1 Giorno 2

Prima dose Dose supplementare

Non attualmente dipendente

2/0,5 mg 4/1 mg

Dipendente da eroina o da analgesici

2/0,5-4/1 mgb Risomministrare ogni 1-2 ore, se l’astinenza continua, fino a un totale di 8/2 mg

Se il paziente è ancora in astinenza, somministrare il dosaggio del primo giorno più 2/0,5-4/1 mg

Dipendente da metadone (≤30 mg/die)

2/0,5 mgb Risomministrare ogni 1-2 ore, se l’astinenza continua, fino a un totale di 8/2 mg

Se il paziente è ancora in astinenza, somministrare il dosaggio del primo giorno più 2/0,5-4/1 mg; se è eccessivamente sedato, somministrare <8/2 mg

aDose di buprenorfina (numero prima della barra) e dose di naloxone (numero dopo la barra).bNon cominciare la somministrazione di buprenorfina finché il paziente mostra segni di astinenza da oppioidi.Fonte. Modificata da McNicholas e Howell, 2000.

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 91 11/09/14 11:14

buprenorfina è stata descritta come relativamente lieve (Fudala et al., 1990; Jasinski et al., 1978; Kosten e Kleber, 1988; Mello e Mendelson, 1980). Tuttavia, l’esperienza clinica con i pazienti che hanno seguito una prolungata terapia di sostituzione ha individuato un’ampia gamma di sintomi. Alcuni pazienti riferivano uno stato di astinenza da oppioidi prolungato e significativo. Dopo 6 settimane di trattamento con 8 mg/die di buprenor-fina sublinguale, l’astinenza veniva valutata mediante una checklist di sintomi e sembrava raggiungere il picco dopo circa 72 ore dall’ultima dose. Con la Himmelsbach scale, che evidenzia i segni e i sintomi fisiologici, non si è osservato un incremento dei sintomi dell’a-stinenza (Fudala et al., 1990). La bassa gravità dell’astinenza da buprenorfina sembra faci-litare la rapida induzione del naltrexone dopo la cessazione della somministrazione di buprenorfina (Kosten e Kleber, 1988). Contrariamente a quanto indicato da questi studi, alcuni pazienti sottoposti a disintossicazione graduale da un trattamento con buprenor-fina a lungo termine hanno riferito sintomi da astinenza significativi. I protocolli per la gestione di questi sintomi sono ancora in corso di studio (Ling et al., 2009).

Per ottenere l’astinenza più rapidamente e con meno disagio, la disintossicazione ultrarapida utilizza l’anestesia generale e gli antagonisti degli oppioidi (Brewe e Maksoud, 1997; Kleber, 1998; Rabinowitz et al., 1998). Tuttavia, l’efficacia e la sicurezza di tale metodica sono state messe in discussione (Brewe et al., 1998; O’Connor e Kosten, 1998; San e Arranz, 1999; Shreeram et al., 2001; Stephenson, 1997). Durante le 16-40 ore successive alla disintossicazione ultrarapida sono stati riportati diversi casi di decesso (Kleber, 2007).

Prevenzione delle ricadute

Terapia di sostituzione con agonisti/ Terapia di sostituzione degli oppioidiL’efficacia del mantenimento con metadone e di altri tipi di terapie di sostituzione degli oppioidi è stata ben documentata (Ball e Ross, 1991; Ling et al., 1998). Ogni potenziale paziente candidato per la terapia di mantenimento con metadone deve essere valu-tato in maniera completa ponendo attenzione a diversi fattori tra cui: 1) motivazione per un particolare tipo di trattamento; 2) presenza di psicopatologia in comorbilità; 3) presenza di abuso di altre sostanze; 4) disponibilità e fattibilità dei vari tipi di trat-tamento; 5) successo o fallimento di precedenti trattamenti. La ricerca sull’efficacia del mantenimento con metadone suggerisce che il counseling e/o la psicoterapia giocano un ruolo importante nel successo della terapia di sostituzione degli oppioidi (Ball e Ross, 1991; O’Brien et al., 1995; Woody et al., 1995). Due recenti valutazioni dell’ef-ficacia di un trattamento ambulatoriale con buprenorfina non hanno supportato tale ipotesi (Fiellin et al., 2006; Weiss et al., 2010). In entrambi questi studi, i soggetti sono stati sottoposti a stretto follow-up da personale medico (gestione medica stan-dard con breve counseling basato sull’utilizzo di un manuale); l’aggiunta di altre forme di counseling più intense non migliorava il risultato del trattamento. Sembra che lo

92 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 92 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 93

stretto monitoraggio medico sia adeguato per garantire l’efficacia di questa forma di trattamento, anche se sono necessarie ricerche più specifiche per stabilire la significa-tività di questa osservazione.

Mantenimento con metadone. Il mantenimento con metadone è stato introdotto per la prima volta nel 1964 da Dole e Nyswander (1965). Elevate dosi di metadone alleviano il craving e inducono una tolleranza crociata ad altri oppioidi in modo da bloccare l’eu-foria indotta dall’eroina. I risultati con pazienti psicologicamente più disturbati e meno motivati di quelli di Dole e Nyswander erano tuttavia meno drastici di quelli che origi-nariamente costoro hanno riportato (Sells, 1979). Tuttavia, il mantenimento con meta-done riduce l’uso di eroina, l’uso di sostanze non oppioidi, i problemi di salute (comprese le valutazioni sull’HIV) e la criminalità (per esempio, Ball e Ross, 1991; Ball et al., 1988a; Gerstein e Harwood, 1990; Sees et al., 2000; Senay, 1985; Sullivan et al., 2005). Nono-stante questi benefici, alcuni pazienti dipendenti hanno un atteggiamento negativo verso questo approccio terapeutico. Tali pazienti si oppongono ai controlli previsti nelle cliniche dove si effettua il trattamento con metadone e spesso sono male informati sul metadone stesso, fattori che li rendono riluttanti a entrare in questa forma di tratta-mento (Hunt et al., 1985-1986). Inoltre, alcuni professionisti sanitari e parte della popo-lazione lo considerano un trattamento controverso. Nonostante la vasta ricerca esistente che documenta l’efficacia del mantenimento con metadone, alcuni ritengono che il suo obiettivo primario sia la riduzione della criminalità; altri confondono la dipendenza fisiologica dal metadone con una tossicodipendenza e lo considerano semplicemente la sostituzione di una dipendenza con un’altra. Nonostante queste riserve, il trattamento di mantenimento con oppioidi è stato adottato indipendentemente in almeno 35 paesi.

Il metadone è un agonista del recettore µ degli oppioidi con particolari proprietà che lo rendono particolarmente utile come agente di mantenimento. Esso viene assor-bito oralmente, non raggiunge una concentrazione di picco prima delle 4 ore dopo la somministrazione e mantiene un’ampia riserva extravascolare (Kreek, 1979). Simili proprietà riducono al minimo gli effetti euforici acuti. La riserva determina un’emivita plasmatica di 1-2 giorni e, pertanto, non vi sono rapide diminuzioni dei livelli ematici che possano portare allo sviluppo di sindromi da astinenza nei periodi che intercorrono tra le varie somministrazioni giornaliere. Efficaci livelli ematici rientrano nel range di 200-500 ng/mL. Livelli entro i 400 ng/mL sono considerati ottimali (Payte e Khouri, 1993). C’è un’ampia variabilità dei livelli ematici a parità di dose (Kreek, 1979) e alcuni soggetti hanno livelli inadeguati anche a un dosaggio di 200 mg/die (Tennant, 1987; Tenore, 2003).

Il metadone viene metabolizzato dagli enzimi nel sistema del CYP, principalmente attraverso il CYP3A4 (Shinderman et al., 2003). I farmaci che inducono gli enzimi epatici quali fenobarbital, fenitoina, carbamazepina, isoniazide, rifampin, nevirapina e vitamina C a dosi elevate riducono notevolmente le concentrazioni sieriche di metadone (Bell et al., 1988; Kreek, 1979). Tra i farmaci che determinano un aumento dei livelli di metadone vi sono il ketoconazolo, il fluconazolo, la sertralina, l’amitriptilina, la paroxetina, la fluvoxa-

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 93 11/09/14 11:14

mina, la fluoxetina, il diazepam, l’alprazolam e la zidovudina, il che implica che gli enzimi CYP2D6, CYP2C9 e CYP2C19, che metabolizzano questi farmaci, e il CYP3A4 possono contribuire al metabolismo del metadone. Anche con adeguati livelli plasmatici di meta-done, alcuni pazienti continuano ad abusare di farmaci quali i sedativi, probabilmente alla ricerca di una forma di intossicazione piuttosto che dell’alleviamento dal craving per gli oppioidi (Bell et al., 1990). La ricaduta nell’uso di sostanze illecite è frequente anche nei periodi di stress elevato, pur se in pazienti con adeguati livelli plasmatici. Affinché il trattamento risulti efficace, è necessario che i pazienti apprendano nuove tecniche di adattamento psicologico per gestire questi periodi di stress.

Nonostante si possa sviluppare tolleranza al metadone, come a tutti gli oppioidi, alcuni dei suoi effetti farmacologici possono persistere (Kreek, 1983; vedi anche la discussione nel paragrafo precedente “Farmacologia clinica”). Nelle prime settimane di trattamento solita-mente l’euforia e la sonnolenza sono più pronunciate. Nei pazienti stabilizzati con metadone in concomitanza con i livelli plasmatici di picco si verifica un leggero ma misurabile aumento dell’umore e questo può essere uno dei motivi per i quali alcuni pazienti rimangono in trat-tamento (McCaul et al., 1982). La tolleranza completa può anche non portare allo sviluppo di costipazione, aumento della sudorazione, riduzione della libido e disfunzioni sessuali. (Gli effetti endocrini indotti dagli oppioidi solitamente si risolvono dopo alcuni mesi, ma l’uso cronico di oppioidi può abbassare i livelli di testosterone e di ormone follicolo-stimo-lante. Tuttavia, non esiste una forte correlazione tra questi livelli e la disfunzione sessuale). Durante i primi mesi di trattamento i pazienti possono mostrare pattern del sonno alterati all’elettroencefalogramma e insonnia. Sebbene i risultati elettroencefalografici tendano poi a normalizzarsi, i disturbi del sonno possono persistere. Non vi è evidenza di danno d’organo a lungo termine con il metadone. A dosi più elevate (in genere >100 mg), il metadone può indurre un prolungamento clinicamente significativo dell’intervallo QTc e torsioni di punta (Kornick et al., 2003; Krantz et al., 2002, 2003). Nei pazienti a rischio possono rendersi necessari una riduzione della dose e uno stretto monitoraggio elettrocardiografico.

I programmi di mantenimento con metadone sono basati, negli USA, su regolamenti federali, statali e, talvolta, locali. Esistono standard federali per l’ammissione, la frequenza con cui vengono effettuati gli esami delle urine, il dosaggio del metadone, la quantità di farmaco da assumere a casa e il trattamento della dipendenza nelle donne in gravidanza. Secondo le regolamentazioni statunitensi i clienti devono avere almeno 18 anni (tranne alcune eccezioni), devono essere stati dipendenti per la maggior parte dell’anno precedente e avere almeno 1 anno di “dipendenza fisiologica”. Questi requisiti non sono cambiati con l’introduzione del DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013), anche se una termino-logia equivalente per la dipendenza da oppioidi è ora “Disturbo da uso di oppioidi grave”. La dipendenza fisiologica non è un requisito per persone recentemente rilasciate dal carcere o da istituti di cura cronica, a condizione che essi fossero adatti al trattamento di mante-nimento con metadone prima di essere incarcerati o posti in un istituto, o per pazienti selezionati che hanno precedentemente ricevuto il mantenimento con metadone.

La dose massima per il primo giorno è di 30 mg, ma è consentita l’aggiunta di altri 10 mg se i sintomi di astinenza persistono. I pazienti inizialmente si presentano ogni giorno

94 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 94 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 95

per ricevere la dose quotidiana di metadone. Dal momento che i pazienti dipendenti da oppioidi spesso non rivelano la vera entità del loro abuso (Magura et al., 1987), vengono effettuati esami delle urine senza preavviso. Dopo 90 giorni di trattamento con meta-done, i pazienti che sono stati liberi dalla sostanza per i 30 giorni precedenti sono candi-dati ad assumere la dose a casa durante il fine settimana. I pazienti liberi da sostanze nei 9 mesi precedenti possono ottenere fino a 6 dosi alla settimana da assumere a casa. Dopo 2 anni di trattamento, i pazienti che sono rimasti liberi dalla sostanza possono ottenere fino a 30 dosi giornaliere da gestire autonomamente.

Le ragioni per allontanare i pazienti dal programma sono l’uso continuato di oppioidi o di altre sostanze, l’adesione sporadica al programma e un comportamento aggressivo quando sono presso la clinica. Nonostante i pazienti che si comportano in questo modo abbiano prognosi sfavorevole per la riuscita del trattamento, alcuni medici sono rilut-tanti ad allontanarli in quanto temono che si comporterebbero peggio se non ricevessero alcun trattamento.

Nonostante le regolamentazioni standard e una comune filosofia di base generino parecchie somiglianze tra i vari programmi di mantenimento con metadone, molte sono le differenze. I programmi basati sul modello originario di Dole e Nyswander (1965) tendono a utilizzare un dosaggio di metadone elevato (80-120 mg/die) o dosi più flessibili per garantire una tolleranza crociata e la soppressione del craving. Poiché in questo modello l’uso illecito di oppioidi viene visto come una risposta a una defi-cienza metabolica, la continuazione a tempo indefinito del trattamento con metadone sembra essere l’unico modo per impedire le ricadute. Un gruppo ha ottenuto buoni risul-tati con il “mantenimento medico” ambulatoriale (Novick et al., 1988). Pazienti sele-zionati che avevano avuto grande successo nel programma di mantenimento con meta-done sono stati visitati in ambulatorio ogni 28 giorni e a loro sono state date pastiglie di metadone a un dosaggio fino a 100 mg/die. La percentuale di pazienti che ricadeva, andando incontro a problemi legali, o che usciva dal trattamento era molto bassa. Un altro studio ha assegnato in maniera randomizzata 73 pazienti significativamente stabili nel mantenimento a un trattamento con metadone di routine, al mantenimento medico in ambiente clinico o al mantenimento ambulatoriale (King et al., 2002). Nonostante i pazienti avessero buoni risultati in tutti e tre i setting, i due gruppi in mantenimento medico erano più soddisfatti e avevano trovato, in numero maggiore, un nuovo impiego o iniziato attività familiari/sociali. Nonostante questi risultati positivi, il mantenimento medico presenta alcuni limiti importanti. I clinici hanno riferito preoccupazione circa il potenziale di deviazione e overdose nei programmi di mantenimento medico (Wesson, 1988). Inoltre, questo tipo di mantenimento medico non si è dimostrato efficace per popolazioni non selezionate di soggetti dipendenti che stavano attendendo di essere ammessi a programmi standard di mantenimento con metadone.

Altri programmi utilizzano dosi di metadone nel range di 20-60 mg/die e dosaggi meno flessibili. I clienti vengono considerati non come affetti da una patologia biolo-gica ma, piuttosto, come persone responsabili che otterranno il meglio se fatti passare gradualmente dal mantenimento alla disintossicazione. Questi programmi sono pertanto

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 95 11/09/14 11:14

meno tolleranti per quanto riguarda un uso continuato della sostanza e, se i parteci-panti manifestano problemi comportamentali, vengono allontani con maggiore facilità. I dosaggi di metadone utilizzati in questi programmi spesso non sono abbastanza elevati per evitare l’euforia indotta dall’eroina. Questi programmi, in genere, hanno tassi più bassi di adesione continuativa al trattamento (Brown et al., 1982-1983). In uno studio condotto su sei cliniche in cui si effettua il trattamento con metadone, che si ritiene operino in modo efficace, la percentuale dei pazienti che aveva fatto uso di sostanze illecite tramite iniezione durante il mese precedente al controllo variava dal 9% al 57% (Ball e Ross, 1991; Ball et al., 1988a, 1988b). Anche dopo gli aggiustamenti effettuati per le differenze esistenti tra i pazienti, i fattori associati a un minore uso di sostanze per iniezione (in aggiunta a un dosaggio di metadone più elevato) erano la qualità della leadership del programma e i servizi forniti. Un altro importante fattore è la variabilità all’interno dei programmi; alcuni counselor sono più efficaci di altri e ciò è dimostrabile.

Vi sono anche dei fattori demografici e psicologici correlati all’adesione. Quest’ul-tima risulta migliore per i pazienti che hanno un impiego, sono sposati, di razza nera e più anziani. I soggetti che hanno compiuto crimini e con una psicopatologia più grave tendono ad abbandonare prima il trattamento. Tuttavia, i pazienti che ricevono un case management e servizi psichiatrici mostrano un miglioramento significativo e un’a-desione al trattamento paragonabile a quella dei pazienti che non sono affetti da una comorbilità psichiatrica significativa (Cacciola et al., 2001; Grella et al., 1997). La gravità e la durata dell’uso di oppioidi di per sé non sembrano essere correlate all’adesione.

Il risultato del trattamento è, naturalmente, determinato da più fattori. La durata e la gravità dell’uso di oppioidi non sono correlate al risultato. Molti dei fattori che influenzano le percentuali di adesione incidono anche sul risultato del trattamento. Per esempio, i pazienti con una grave psicopatologia o un background criminale hanno risul-tati meno buoni. Ciò non significa, tuttavia, che tali pazienti non miglioreranno mai. In uno studio di follow-up a 2,5 anni, i pazienti con un passato criminale mostravano un miglioramento significativo nell’abuso di sostanze e nei problemi familiari, legali e psico-logici (Kosten et al., 1987b). Per i pazienti con una grave psicopatologia i programmi di mantenimento sembrano essere più utili delle comunità terapeutiche (McLellan, 1986). Gli utilizzatori di oppioidi con una più importante storia criminale e una psicopato-logia minore sembrano preferire la disintossicazione a breve termine al mantenimento (Kosten et al., 1986).

Buprenorfina. Nel 1978 Jasinski et al. suggerirono il potenziale valore della buprenor-fina per il trattamento della dipendenza da oppioidi. La loro idea si realizzò due decenni più tardi, nel 2002, quando la FDA approvò la buprenorfina sublinguale e un’associazione sublinguale di buprenorfina/naloxone per il trattamento ambulatoriale della dipendenza da oppioidi. Nel 2010 è stata approvata una formulazione simile di 2/0,5 mg e 8/2 mg di buprenorfina/naloxone in forma di compressa rivestita. La buprenorfina è un agonista parziale dei recettori µ degli oppioidi, con molte della proprietà della morfina. È anche un forte antagonista del recettore κ degli oppioidi. Somministrata a dosi di 4-24 mg/die

96 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 96 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 97

per via sublinguale, essa attenua o blocca l’euforia indotta da oppioidi. Non è chiaro se questo effetto sia un risultato della tolleranza crociata o di qualche altra azione a livello del recettore. La buprenorfina ha un’affinità molto elevata per il recettore µ e può risol-vere l’astinenza sostituendosi agli altri oppioidi sul recettore. Tuttavia, essa si dissocia anche molto lentamente dal recettore, il che probabilmente spiega sia la sua lunga durata d’azione (24-48 ore) sia la minore gravità dei sintomi di astinenza.

L’efficacia della buprenorfina per il trattamento di mantenimento della dipendenza da oppioidi è stata stabilita in un ampio trial clinico multicentrico randomizzato (Ling et al., 1998). In un altro trial di mantenimento randomizzato, la buprenorfina (16-24 mg sublinguali tre volte alla settimana), il metadone a dosaggio elevato (60-100 mg/die) e l’L-α-acetilmetadolo (LAAM; 75-115 mg tre volte alla settimana) si sono mostrati tutti efficaci nel trattare la dipendenza da oppioidi e migliori rispetto al metadone a basso dosaggio (20 mg/die) nel favorire l’adesione al trattamento e nel sopprimere l’uso di oppioidi (Johnson et al., 2000). Un beneficio aggiuntivo della buprenorfina consiste nel fatto che il rischio di overdose è basso. Come agonista parziale la buprenorfina ha un effetto soglia sulla depressione respiratoria con l’aumentare della dose (Ciraulo et al., 2006; Walsh et al., 1994).

Per evitare di precipitare l’astinenza grave, i pazienti dovrebbero mostrare chiara evidenza di astinenza da oppioidi (valutata in base a scale quali la COWS; Wesson e Ling, 2003) prima di ricevere la dose iniziale di buprenorfina. La dose iniziale di buprenorfina dovrebbe essere somministrata almeno 12-24 ore dopo l’ultima dose di eroina e 36 ore dopo l’ultima dose di metadone (Gunderson et al., 2010; McNicholas e Howell, 2000). Il dosaggio di mantenimento di metadone dovrebbe essere ridotto a 30 mg/die e il paziente dovrebbe essere stabilizzato a quel dosaggio per almeno 1-2 settimane prima di tentare il passaggio alla buprenorfina. Per il primo giorno si può somministrare una dose sublin-guale di buprenorfina/naloxone di 2/0,5-4/1 mg ogni 2-4 ore, fino a un massimo totale giornaliero di 8/2 mg. I giorni successivi la dose può essere aumentata di 2/0,5-4/1 mg al giorno fino al raggiungimento dell’iniziale dosaggio target di mantenimento di 12/3-16/4 mg/die (si veda Tabella 3.2). La maggior parte dei pazienti si stabilizza a un dosaggio di 16/4 mg/die o meno. La combinazione buprenorfina/naloxone o l’analoga formulazione in compressa rivestita dovrebbero essere utilizzate sia per l’inizio sia per il mantenimento; la pastiglia di sola buprenorfina dovrebbe essere riservata al trattamento della dipendenza nelle donne in stato di gravidanza.

L’uso della buprenorfina per il trattamento ambulatoriale della dipendenza da oppioidi rappresenta un’importante deviazione dal sistema fortemente regolato delle cliniche per il trattamento con metadone. I medici specialisti in dipendenze o coloro che hanno completato un training di 8 ore possono ricevere una deroga dalla Drug Enfor-cement Administration per trattare fino a 30 pazienti nei loro studi privati. I medici possono richiedere di poter trattare fino a 100 pazienti dopo 1 anno di esperienza nel prescrivere buprenorfina. Ai pazienti stabili si possono dare prescrizioni fino a 1 mese di trattamento. La pastiglia combinata buprenorfina/naloxone è stata sviluppata per ridurre il rischio di abbandono del trattamento in queste circostanze. Se assunto per via

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 97 11/09/14 11:14

sublinguale seguendo le prescrizioni, il naloxone ha un’attività biologica minima e non interferisce con la dose di buprenorfina. Tuttavia, se si cerca di iniettare la sostanza, il soggetto fisicamente dipendente sperimenterà il pieno effetto antagonista del naloxone. Ciononostante, l’uso per iniezione e l’abbandono del trattamento sono una reale possibi-lità anche con le pastiglie combinate.

È stato dimostrato che la buprenorfina è un trattamento accettabile per un’ampia gamma di soggetti dipendenti, soprattutto gli individui più giovani e quelli con storie di dipendenza più brevi, permettendo così un intervento tempestivo nel corso della dipendenza. La buprenorfina offre inoltre vantaggi significativi per i pazienti che assu-mono la terapia antiretrovirale. Sia il metadone sia la buprenorfina vengono meta-bolizzati dagli isoenzimi CYP. Anche se la maggior parte degli antiretrovirali può sia ridurre sia aumentare i livelli di metadone, essi non sembrano incidere sulle proprietà farmacodinamiche della buprenorfina, nonostante ne alterino i livelli. Fanno eccezione l’atazanavir e il ritonavir, che elevano i livelli di buprenorfina e ne alterano la farma-codinamica. Tuttavia, essa può essere prescritta senza rischi con l’osservazione appro-priata (Gruber e McCance-Katz, 2010). L’esperienza clinica suggerisce che la buprenor-fina può essere meno efficace per i soggetti con dipendenza da oppioidi più grave o per quelli che necessitano di oppioidi per il dolore cronico. Ciononostate, alcuni individui con dipendenza da oppioidi e moderati livelli di dolore cronico sono stati trattati effi-cacemente con la buprenorfina. Il metadone rimane il farmaco preferito per questi pazienti.

Disintossicazione dal trattamento di mantenimentoI fattori correlati al successo del trattamento non sono inevitabilmente associati al successo dopo la disintossicazione dal trattamento di mantenimento. I fattori corre-lati al successo della disintossicazione includono: 1) minore comportamento criminale; 2) una famiglia più stabile; 3) un impiego più stabile; 4) una storia di uso di sostanze più breve; 5) un lungo periodo di mantenimento con un dosaggio più basso; 6) consenso alla dimissione sia da parte del paziente sia da parte del personale, il che è un fattore più favorevole rispetto all’assenso unilaterale (Dole e Joseph, 1978). In uno studio, soggetti dipendenti sono stati seguiti per circa 2 anni dopo la disintossicazione (Stimmel et al., 1977). Nonostante solo il 28% del campione totale avesse osservato l’astinenza per tutto questo periodo, l’83% di coloro che avevano completato il trattamento si era mantenuto astinente. Un altro studio su 105 pazienti disintossicati dopo il trattamento di mante-nimento con metadone aveva documentato un tasso di ricaduta dell’82% entro 12 mesi (Ball e Ross, 1991). Questi studi suggeriscono che i clinici dovrebbero fare attenzione quando consigliano la disintossicazione, anche per i pazienti in mantenimento che ottengono buoni risultati. La ricerca più recente non ha individuato le caratteristiche dei pazienti o gli approcci clinici associati all’astinenza a lungo termine dopo la fine del trattamento di mantenimento (Calsyn et al., 2006). Sui pazienti mantenuti con bupre-norfina non vi sono studi comparabili.

98 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 98 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 99

Quando i pazienti scelgono di essere disintossicati dopo il mantenimento, si preferisce una riduzione molto graduale del dosaggio nel corso di 3-6 mesi, con un attento monito-raggio del craving e dei sintomi di astinenza. I pazienti che hanno bisogno di rientrare in trattamento in un momento successivo spesso si comportano molto meglio di quanto hanno fatto durante il trattamento originario, mostrando minore dipendenza, crimina-lità e disabilità fisica (Kosten et al., 1986). Simili risultati suggeriscono che il trattamento intermittente sembra produrre dei benefici. Pertanto, il rientro non indica necessaria-mente un fallimento ma può, anzi, essere un passo verso la guarigione. D’altra parte vi è un’alta probabilità che chi cessa la terapia di sostituzione degli oppioidi riprenda l’uso della sostanza per iniezione, con rischi di epatite e infezione da HIV (Ball et al., 1988a, 1988b).

Antagonisti degli oppioidiOriginariamente, alla base dell’utilizzo degli antagonisti degli oppioidi nel trattamento della dipendenza vi erano i principi comportamentali. In teoria, l’uso della sostanza, che una volta era fortemente associato all’euforia, non risulta più così correlato a essa se al paziente viene dato un dosaggio di mantenimento abbastanza alto di un antagonista degli oppioidi. Inoltre, senza un uso di oppioidi regolare, l’associazione tra sintomi di astinenza e l’ambiente in cui la persona dipendente vive si estinguerebbe (Wikler, 1980). Studi sulla ciclazocina, il naloxone e il naltrexone hanno dimostrato che questi farmaci sono tutti efficaci nel bloccare gli effetti degli oppioidi, ma i pazienti dipendenti in genere stavano in trattamento per una media di sole 6-8 settimane (Capone et al., 1986; Frame et al., 1989; Resnick et al., 1980).

Il naltrexone orale e il naltrexone depot sono i soli antagonisti degli oppioidi attual-mente approvati per il trattamento della dipendenza. Il naloxone viene utilizzato per trattare l’overdose da oppioidi e testare la dipendenza da oppioidi, ma ha una breve emivita ed è relativamente inefficace se somministrato oralmente. Se somministrato per trattare un’overdose da oppioidi, il naloxone induce rapidamente una grave sindrome di astinenza, che ha un picco entro 30 minuti e poi declina rapidamente. Fino a quando l’antagonista non viene eliminato è possibile solo la parziale soppressione della sindrome di astinenza, utilizzando solamente dosi di oppioidi molto elevate, il che può causare depressione respiratoria quando il naloxone viene metabolizzato.

I pazienti che hanno probabilità di continuare a usare naltrexone e a beneficiare del trattamento sono quelli che hanno carriere stabili (per esempio, professionisti della salute), supporto familiare e che sono molto motivati e strettamente monitorati. Il 70% di questi pazienti osserva l’astinenza al follow-up a 1 anno (Washton et al., 1984). I programmi che usano servizi riabilitativi aggiuntivi hanno risultati migliori rispetto a quelli che forniscono servizi minimi. Uno studio multicentrico in doppio cieco sul naltrexone, che ha coinvolto soprattutto pazienti dipendenti da eroina, ha avuto un tasso di drop-out così elevato che non è stato possibile trarre delle conclusioni (National Research Council, 1978). Uno studio più recente ha confrontato l’effetto del solo naltrexone con quello del naltrexone associato a controlli ambulatoriali periodici o

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 99 11/09/14 11:14

counseling familiare (Carrol et al., 2001). Entrambe le condizioni miglioravano l’ade-sione e la compliance al farmaco e l’effetto più significativo si è osservato nel sottogruppo che partecipava al counseling familiare.

Il naltrexone orale è un farmaco a lunga durata d’azione che può essere sommi-nistrato a un dosaggio di 50 mg/die o tre volte alla settimana, a un dosaggio di 100 mg/die durante la settimana e 150 mg/die nel fine settimana. Alcuni autori raccoman-dano di iniziare la somministrazione di naltrexone lentamente e solo dopo un periodo di attesa (per esempio, un dosaggio massimo di inizio di 50 mg/die solo dopo che il paziente è libero da eroina da 7 giorni o da metadone da 10 giorni, confermato da un challenge con naloxone negativo) (Ginzburg, 1984). Purtroppo, i pazienti corrono un grande rischio di ricaduta durante tale periodo di attesa. Con la rapida induzione del naltrexone durante la disintossicazione da oppioidi con clonidina si è osservato qualche successo (si veda il sottoparagrafo “Disintossicazione da oppioidi” in questo capitolo). I pazienti che cominciano il naltrexone subito dopo la disintossicazione spesso lamentano insonnia, problemi gastrointestinali, iperalgesia, anergia, ansia e disforia (l’“influenza da naltrexone”). Un trattamento aggiuntivo con inibitori selet-tivi del reuptake della serotonina può migliorare l’adesione. Solitamente i sintomi scompaiono in 2-4 settimane ma il tasso di drop-out durante questo periodo è elevato. Il naltrexone orale dovrebbe portare a un’adesione del 20-30% dei pazienti a 6 mesi.

Nel 2010, una formulazione depot iniettabile di naltrexone (380 mg somministrati per via intramuscolare ogni mese) è stata approvata per il trattamento della dipendenza da oppioidi. L’efficacia è stata confermata in un ampio studio condotto in Russia (Krupitsky et al., 2011), anche se sono state avanzate riserve sull’applicabilità di questi risultati alla popolazione americana dipendente. Le strategie di terapia comportamentale possono migliorare l’adesione con naltrexone sia orale sia depot (Rothenberg et al., 2002; Sullivan, 2011); tassi di ritenzione a 6 mesi vicini al 30% sono stati descritti per la formulazione depot, avvicinandosi a quelli del mantenimento con buprenorfina (Sullivan, 2011).

Ai dosaggi di naltrexone utilizzati, gli effetti di una dose pari a 25 mg di eroina iniettata vengono bloccati. Nonostante la tossicità del naltrexone nei soggetti dipendenti da eroina sia bassa, sono stati riportati effetti avversi impercettibili, come una ridotta energia (Holli-ster et al., 1981). È noto che i soggetti obesi non dipendenti sviluppano livelli di transami-nasi molto elevati a un dosaggio di 300 mg/die (Mitchell et al., 1987). È stato dedotto che elevate dosi del farmaco sono potenzialmente epatotossiche (Pfohl et al., 1986), pertanto il naltrexone è controindicato nei pazienti con insufficienza epatica o epatite acuta.

ConclusioneLa dipendenza da oppioidi è stata riconosciuta come un problema negli Stati Uniti a partire dalla fine del XIX secolo. L’introduzione del trattamento di mantenimento con metadone, nel 1964, ha mostrato che i pazienti la cui dipendenza era trattata potevano riprendere vite produttive e ha aperto la strada a una nuova era di interesse scienti-fico e medico per la dipendenza da oppioidi. Nella nostra conoscenza delle azioni degli

100 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 100 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 101

oppioidi e dei fattori di rischio associati alla dipendenza sono stati compiuti conside-revoli progressi. Gli ultimi 50 anni hanno visto lo sviluppo di una serie di opzioni tera-peutiche tra cui la disintossicazione, solitamente seguita da un counseling ambulato-riale drug-free, la terapia di sostituzione degli oppioidi con metadone o buprenorfina, la terapia antagonista con formulazioni sia orali sia a lunga durata d’azione, le comunità terapeutiche e i programmi in 12 fasi. Il successo della terapia di sostituzione con meta-done è associato a un dosaggio adeguato (80-120 mg/die), a un tempo prolungato in trattamento e alla fornitura di servizi di counseling professionali.

L’approvazione della buprenorfina per l’impiego in ambito ambulatoriale rappresenta un cambiamento significativo nella politica pubblica per la gestione della dipendenza da oppioidi. Questa opzione ha aumentato significativamente il numero dei pazienti in trat-tamento e ha attratto molti individui che si trovavano nei primi stadi della malattia ed evitavano il trattamento con metadone. Inoltre, la recente approvazione del naltrexone depot mitiga il problema della compliance con il naltrexone orale e aggiunge un’altra opzione terapeutica potenzialmente utile. Queste nuove opzioni terapeutiche, associate al riconoscimento della necessità di trattare le condizioni psichiatriche in comorbilità nei pazienti dipendenti da oppioidi, offrono grandi promesse per lo sviluppo di un sistema di trattamento più efficace per questo grave problema di sanità pubblica.

Bibliografia

Aghajanian GK, Kogan JH, Moghaddam B: Opiate withdrawal increases glutamate and aspartate efflux in the locus coeruleus: an in vivo microdialysis study. Brain Res 636:126–130, 1994

American Psychiatric Association: American Psychiatric Association Practice Guidelines for the Treatment of Psychiatric Disorders: Compendium 2006. Washington, DC, American Psychi-atric Association, 2006

American Psychiatric Association: Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition. Arlington, VA, American Psychiatric Association, 2013

Ball JC, Ross A: The Effectiveness of Methadone Maintenance Treatment. New York, Springer-Verlag, 1991

Ball J, Corty E, Bond H, et al: The reduction of intravenous heroin use, non-opiate use and crime during methadone maintenance treatment: further findings. NIDA Res Monogr 81:224–230, 1988a

Ball JC, Lange WR, Myers CP, et al: Reducing the risk of AIDS through methadone maintenance treatment. J Health Soc Behav 29:214–226, 1988b

Bekkering GE, Soares-Weiser K, Reid K, et al: Can morphine still be considered to be the standard for treating chronic pain? A systematic review including pair-wise and network meta-anal-ysis. Curr Med Res Opin 27:1477–1499, 2011

Bell J, Seres V, Bowron P, et al: The use of serum methadone levels in patients receiving methadone maintenance. Clin Pharmacol Ther 43:623–629, 1988

Bell J, Bowron P, Lewis J, et al: Serum levels of methadone in maintenance clients who persist in illicit drug use. Br J Addict 85:1599–1602, 1990

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 101 11/09/14 11:14

Bickel WK, Johnson RE, Stitzer ML, et al: A clinical trial of buprenorphine, I: comparison with methadone in the detoxification of heroin addicts, II: examination of its opioid blocking prop-erties. NIDA Res Monogr 76:182–188, 1987

Bohn LM, Gainetdinov RR, Lin FT, et al: Mu-opioid receptor desensitization by betaarrestin-2 determines morphine tolerance but not dependence. Nature 408:720–723, 2000

Brewer C, Maksoud NA: Opiate detoxification under anesthesia. JAMA 278:1318–1319, 1997Brewer C, Williams J, Rendueles EC, et al: Unethical promotion of rapid opiate detoxification

under anaesthesia (RODA) (letter). Lancet 351:218, 1998Brown BS, Watters JK, Iglehart AS: Methadone maintenance dosage levels and program reten-

tion. Am J Drug Alcohol Abuse 9:129–139, 1982–1983Cacciola JS, Alterman AI, Rutherford MJ, et al: The relationship of psychiatric comorbidity to

treatment outcomes in methadone maintained patients. Drug Alcohol Depend 61:271–280, 2001

Callaly T, Trauer T, Munro L, et al: Prevalence of psychiatric disorder in a methadone maintenance population. Aust NZJ Psychiatry 35:601–605, 2001

Calsyn DA, Malcy JA, Saxon AJ: Slow tapering from methadone maintenance in a program encouraging indefinite maintenance. J Subst Abuse Treat 30:159–163, 2006

Cami J, Farre M: Drug addiction. N Engl J Med 349:975–986, 2003Cao JL, Vialou VF, Lobo MK, et al: Essential role of the cAMP-cAMP response-element binding

protein pathway in opiate-induced homeostatic adaptations of locus coeruleus neurons. Proc Natl Acad Sci USA 107:17011–17016, 2010

Capone T, Brahen L, Condren R, et al: Retention and outcome in a narcotic antagonist treatment program. J Clin Psychol 42:825–833, 1986

Carroll KM, Ball SA, Nich C, et al: Targeting behavioral therapies to enhance naltrexone treatment of opioid dependence. Arch Gen Psychiatry 58:755–761, 2001

Charney DS, Steinberg DE, Kleber HD, et al: The clinical use of clonidine in abrupt withdrawal from methadone. Arch Gen Psychiatry 38:1273–1277, 1981

Charney DS, Heninger OR, Kleber HD: The combined use of clonidine and naltrexone as a rapid, safe, and effective treatment of abrupt withdrawal from methadone. Am J Psychiatry 143:831–837, 1986

Cheatle MD, O’Brien CP: Opioid therapy in patients with chronic noncancer pain: diagnostic and clinical challenges. Adv Psychosom Med 30:61–91, 2011

Cheskin LJ, Fudala PJ, Johnson RE: A controlled comparison of buprenorphine and clonidine for acute detoxification from opioids. Drug Alcohol Depend 36:115–121, 1994

Childress AR, McLellan AT, Ehrman R, et al: Classically conditioned responses in opioid and cocaine dependence: a role in relapse? NIDA Res Monogr 84:25–43, 1988

Christie MJ: Cellular neuroadaptations to chronic opioids: tolerance, withdrawal and addiction. Br J Pharmacol 154:384–396, 2008

Ciraulo DA, Ciraulo AN: Substance abuse, in Handbook of Clinical Psychopharmacology. Edited by Tupin JP, Shader RI, Harnett DS. Northvale, NJ, Jason Aronson, 1988, p 143

Ciraulo DA, Hitzemann RJ, Somoza E, et al: Pharmacokinetics and pharmacolodynamics of multiple sublingual buprenorphine tablets in dose-escalation trials. J Clin Pharmacol 46:179–192, 2006

Clayton RR, Voss HL: Young men and drugs in Manhattan: a causal analysis. NIDA Res Monogr 39:1–187, 1981

Cushman P, Dole VP: Detoxification of rehabilitated methadone-maintained patients. JAMA 226:747–752, 1973

Dang VC, Christie MJ: Mechanisms of rapid opioid receptor desensitization, resensitization and tolerance in brain neurons. Br J Pharmacol 165:1704–1716, 2012

Delfs JM, Zhu Y, Druhan JP, et al: Noradrenaline in the ventral forebrain is critical for opiate withdrawal-induced aversion. Nature 403:430–434, 2000

102 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 102 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 103

Dietis N, Rowbotham DJ, Lambert DG: Opioid receptor subtypes: fact or artifact? Br J Anaesth 107:8–18, 2011

Dole VP: Implications of methadone maintenance for theories of narcotic addiction. JAMA 260:3025–3029, 1988

Dole VP, Joseph H: Long-term outcome of patients treated with methadone. Ann NY Acad Sci 311:181–189, 1978

Dole VP, Nyswander MN: A medical treatment for diacetylmorphine (heroin) addiction. JAMA 193:646–650, 1965

Dole VP, Nyswander MN: Heroin addiction: a metabolic disease. Arch Intern Med 120:19–24, 1967Dupont RL, McLellan AT, Carr G, et al: How are addicted physicians treated? A national survey of

physician health programs, J Subst Abuse Treat 37:1–7, 2009Farrell AD, White KS: Peer influences and drug use among urban adolescents: family structure

and parent-adolescent relationship as protective factors. J Consult Clin Psychol 66:248–258, 1998

Fiellin DA, Pantalon MV, Chawarski MC, et al: Counseling plus buprenorphine-naloxone mainte-nance therapy for opioid dependence. N Engl J Med 355:365–374, 2006

Fram DH, Marmo J, Holden R: Naltrexone treatment: the problem of patient acceptance. J Subst Abuse Treat 6:119–122, 1989

Fudala PJ, Jaffe JH, Dax EM, et al: Use of buprenorphine in the treatment of opioid addiction, II: physiologic and behavioral effects of daily and alternate-day administration and abrupt withdrawal. Clin Pharmacol Ther 47:525–534, 1990

Gerstein DR, Harwood HJ (eds): Treating Drug Problems, Vol 1: A Study of the Evolution, Effec-tiveness, and Financing of Public and Private Drug Treatment Systems. Washington, DC, National Academy Press, 1990

Ginzburg HM: Naltrexone: its clinical utility (NIDA Treatment Research Report ADM-84-1358). Washington, DC, U.S. Government Printing Office, 1984

Gold MS, Redmond DE, Kleber HD: Clonidine in opiate withdrawal. Lancet 1:929–930, 1978Gordon DB, Stevenson KK, Griffie J, et al: Opioid equianalgesic calculations. J Palliat Med 2:209–

218, 1999Gossop M, Bradley B, Phillips GT: An investigation of withdrawal symptoms shown by opiate

addicts during and subsequent to a 21-day in-patient methadone detoxification procedure. Addict Behav 12:1–6, 1987

Green L, Gossop M: Effects of information on the opiate withdrawal syndrome. Br J Addict 83:305–309, 1988

Grella CE, Wugalter SE, Anglin MD: Predictors of treatment retention in enhanced and standard methadone maintenance treatment for HIV risk reduction. J Drug Issues 27:203–224, 1997

Groer CE, Schmid CL, Jaeger AM, et al: Agonist-directed interactions with specific beta-arrestins determine mu-opioid receptor trafficking, ubiquitination, and dephosphorylation. J Biol Chem 286:31731–31741, 2011

Gruber VA, McCance-Katz EF: Methadone, buprenorphine, and street drug interactions with anti-retroviral medications. Curr HIV/AIDS Rep 7:152–160, 2010

Gunderson EW, Levin FR, Rombone MM, et al: Improving temporal efficiency of outpatient buprenorphine induction. Am J Addict 20:397–404, 2010

Gutstein HB, Akil H: Opioid analgesics, in Goodman and Gilman’s The Pharmacological Basis of Therapeutics, 10th Edition. Edited by Hardman JG, Limbird LE, Gilman AG. New York, McGraw-Hill, 2001, pp 569–619

Heishman SJ, Stitzer ML, Bigelow GE, et al: Acute opioid physical dependence in postad-dict humans: naloxone dose effects after brief morphine exposure. J Pharmacol Exp Ther 248:127–134, 1989

Hien DA, Nunes E, Levin FR, et al: Posttraumatic stress disorder and short-term outcome in early methadone treatment. J Subst Abuse Treat 19:31–37, 2000

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 103 11/09/14 11:14

Himmelsbach CK: The morphine abstinence syndrome, its nature and treatment. Ann Intern Med 15:829–839, 1941

Hollister LE, Johnson K, Bowkhabza, et al: Aversive effects of naltrexone in subjects not depen-dent on opiates. Drug Alcohol Depend 8:37–41, 1981

Horspool MJ, Seivewright N, Armitage CJ, et al: Post-treatment outcomes of buprenorphine detoxification in community settings: a systematic review. Eur Addict Res 14:179–185, 2008

Hser YI, Hoffman V, Grella CE, et al: A 33-year follow-up of narcotic addicts. Arch Gen Psychiatry 58:503–508, 2001

Hubbard RL, Marsden ME, Rachal JV, et al: Drug Abuse Treatment: A National Study of Effective-ness. Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1989

Hunt DE, Lipton DS, Goldsmith DS, et al: “It takes your heart”: the image of methadone mainte-nance in the addict world and its effect on recruitment into treatment. Int J Addict 20:1751–1771, 1985–1986

Institute of Medicine: Relieving Pain in America: A Blueprint for Transforming Prevention, Care, Education, and Research. June 29, 2011. Available at: http://www.iom.edu/Reports/2011/Relieving-Pain-in-America-A-Blueprint-fortransforming-Prevention-Care-Education-Research.aspx. Accessed November 19, 2012.

Jaffe J, Knapp CM, Ciraulo DA: Opiates: clinical aspects, in Substance Abuse: A Comprehensive Textbook. Edited by Lowinson JH, Ruiz P, Millman RB, et al. New York, Lippincott Williams & Wilkins, 2004, pp 158–165

Jasinski DR, Pevnick JS, Griffith JD: Human pharmacology and abuse potential of the anal-gesic buprenorphine: a potential agent for treating narcotic addiction. Arch Gen Psychiatry 35:501–516, 1978

Jasinski DR, Johnson RE, Kocher TR: Clonidine in morphine withdrawal: differential effects on signs and symptoms. Arch Gen Psychiatry 42:1063–1066, 1985

Johnson RE, Chutuape MA, Strain EC, et al: A comparison of levomethadyl acetate, buprenor-phine, and methadone for opioid dependence. N Engl J Med 343:1290–1297, 2000

Jones RT: Dependence in non-addict humans after a single dose of morphine, in Endogenous and Exogenous Opiate Agonists and Antagonists. Edited by Way EL. New York, Pergamon, 1979, pp 557–560

Kakko J, Svanborg KD, Kreek MJ, et al: 1-Year retention and social functioning after buprenor-phine-assisted relapse prevention treatment for heroin dependence in Sweden: a random-ized, placebo-controlled trial. Lancet 361:662–668, 2003

Kandel D, Yamaguchi K: From beer to crack: developmental patterns of drug involvement. Am J Public Health 83:851–855, 1993

King VL, Stoller KB, Hayes M, et al: A multicenter randomized evaluation of methadone medical maintenance. Drug Alcohol Depend 65:137–148, 2002

Kleber HD: Detoxification from narcotics, in Substance Abuse: Clinical Problems and Perspectives. Edited by Lowinson J, Ruiz P. Baltimore, MD, Williams & Wilkins, 1981, pp 317–338

Kleber HD: Ultrarapid opiate detoxification. Addiction 93:1629–1633, 1998Kleber HD: Pharmacologic treatments for opioid dependence: detoxification and maintenance

options. Dialogues Clin Neurosci December 9:455–470, 2007Kleber HD, Riordan CE, Rounsaville BJ, et al: Clonidine in outpatient detoxification from metha-

done maintenance. Arch Gen Psychiatry 42:391–394, 1985Kleber HD, Topazian M, Gaspari J, et al: Clonidine and naltrexone in the outpatient treatment of

heroin withdrawal. Am J Drug Alcohol Abuse 13:1–17, 1987Kornetsky C: Brain stimulation reward, morphine-induced stereotypy, and sensitization: implica-

tions for abuse. Neurosci Biobehav Rev 27:777–786, 2004Kornick CA, Kilborn MJ, Santiago-Palma J, et al: QTc interval prolongation associated with intra-

venous methadone. Pain 105:499–506, 2003

104 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 104 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 105

Kosten TR, Kleber HD: Buprenorphine detoxification from opioid dependence: a pilot study. Life Sci 42:635–641, 1988

Kosten TR, Rounsaville BJ, Kleber HD: A 2.5 year follow-up of treatment retention and reentry among opioid addicts. J Subst Abuse Treat 3:181–189, 1986

Kosten TR, Rounsaville BJ, Kleber HD: Multidimensionality and prediction of treatment outcome in opioid addicts: 2.5-year follow-up. Compr Psychiatry 28:3–13, 1987a

Kosten TR, Rounsaville BJ, Kleber HD: Predictors of 2.5-year outcome in opioid addicts: pretreat-ment source of income. Am J Drug Alcohol Abuse 13:19–32, 1987b

Krantz MJ, Lewkowiez L, Hays H, et al: Torsade de pointes associated with very-highdose metha-done. Ann Intern Med 137:501–504, 2002

Krantz MJ, Kutinsky IB, Robertson AD, et al: Dose-related effects of methadone on QT prolonga-tion in a series of patients with torsade de pointes. Pharmacotherapy 23:802–805, 2003

Krausz M, Degkwitz P, Kuhne A, et al: Comorbidity of opiate dependence and mental disorders. Addict Behav 23:767–783, 1998

Krausz M, Verthein U, Degkwitz P: Psychiatric comorbidity in opiate addicts. Eur Addict Res 5:55–62, 1999

Kreek MJ: Methadone in treatment: physiological and pharmacological issues, in Handbook on Drug Abuse. Edited by Dupont RL, Goldstein A, O’Donnell J. Washington, DC, U.S. Govern-ment Printing Office, 1979, pp 57–86

Kreek MJ: Health consequences associated with the use of methadone, in Research on the Treat-ment of Narcotic Addiction: State of the Art (NIDA Research Monograph ADM-83-1281). Edited by Cooper JR, Altman R, Brown BS, et al. Washington, DC, U.S. Government Printing Office, 1983, pp 456–482

Kroslak T, Laforge KS, Gianotti RJ, et al: The single nucleotide polymorphism A118G alters func-tional properties of the human mu opioid receptor. J Neurochem 103:77–87, 2007

Krupitsky E, Nunes E, Ling W, et al: Injectable extended-release naltrexone for opioid dependence: a double-blind, placebo-controlled, multicentre randomised trial. Lancet 377:1506–1513, 2011

La Vincente SF, White JM, Somogyi AA, et al: Enhanced buprenorphine analgesia with the addi-tion of ultra-low-dose naloxone in healthy subjects. Clin Pharmacol Ther 83:144–152, 2008

Ling W, Charuvastra C, Collins JF, et al: Buprenorphine maintenance treatment of opiate depen-dence: a multi-center, randomized clinical trial. Addiction 93:475–486, 1998

Ling W, Hillhouse M, Domier C, et al: Buprenorphine tapering schedule and illicit opioid use. Addiction 104:256–265, 2009

Magura S, Goldsmith D, Casriel C, et al: The validity of methadone clients’ selfreported drug use. Int J Addict 22:727–749, 1987

Maldonado R, Blendy JA, Tzavara E, et al: Reduction of morphine abstinence in mice with a muta-tion in the gene encoding CREB. Science 273:657–659, 1996

Malinoff HL, Barkini RL, Wilson G: Sublingual buprenorphine is effective in the treatment of chronic pain syndrome. Am J Ther 12:379–384, 2005

Marsden J, Gossop M, Stewart D, et al: Psychiatric symptoms among clients seeking treatment for drug dependence: intake data from the National Treatment Outcome Research Study. Br J Psychiatry 176:285–289, 2000

Martin WR, Jasinski DR, Haertzen CA, et al: Methadone: a reevaluation. Arch Gen Psychiatry 28:286–295, 1973

Mayer P, Höllt V: Allelic and somatic variations in the endogenous opioid system of humans. Phar-macol Ther 91:167–177, 2001

McCaul ME, Bigelow GE, Stitzer ML, et al: Short-term effects of oral methadone in methadone maintenance subjects. Clin Pharmacol Ther 31:753–761, 1982

McLellan AT: “Psychiatric severity” as a predictor of outcome from substance abuse treatments, in Psychopathology and Addictive Disorders. Edited by Meyer RE. New York, Guilford, 1986, pp 97–139

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 105 11/09/14 11:14

McLellan AT, Childress AR, Ehrman R, et al: Extinguishing conditioned responses during opiate dependence treatment: turning laboratory findings into clinical procedures. J Subst Abuse Treat 3:33–40, 1986

McLellan AT, Skipper GS, Campbell M, et al: Five year outcomes in a cohort study of physicians treated for substance use disorders in the United States. BMJ 337:a2038, 2008

McNicholas L, Howell EF: Buprenorphine Clinical Practice Guidelines, Field Review Draft November 17, 2000. Rockville, MD, U.S. Department of Health and Human Services, Substance Abuse and Mental Health Services Administration, Center for Substance Abuse Treatment, Office of Pharmacologic and Alternative Therapies, 2000

Mello NK, Mendelson JH: Buprenorphine suppresses heroin use by heroin addicts. Science 207:657–659, 1980

Meyer RE, Mirin SM: The Heroin Stimulus: Implication for a Theory of Addiction. New York, Plenum, 1979

Milby JB, Sims MK, Khuder S, et al: Psychiatric comorbidity: prevalence in methadone mainte-nance treatment. Am J Drug Alcohol Abuse 22:95–107, 1996

Mitchell JE, Morley JE, Levine AS, et al: High dose naltrexone therapy and dietary counseling for obesity. Biol Psychiatry 22:35–42, 1987

Morgan MM, Christie MJ: Analysis of opioid efficacy, tolerance, addiction and dependence from cell culture to human. Br J Pharmacol 164:1322–1334, 2011

National Research Council: Clinical evaluation of naltrexone treatment of opiatedependent indi-viduals: report of the National Research Council Committee on Clinical Evaluation of Narcotic Antagonists. Arch Gen Psychiatry 35:335–340, 1978

Nestler EJ, Hyman SE, Malenka RC: Molecular Neuropharmacology: A Foundation for Clinical Neuroscience. New York, McGraw-Hill, 2001

Novick DM, Pascarelli EF, Joseph H, et al: Methadone maintenance patients in general medical practice: a preliminary report. JAMA 259:3299–3302, 1988

O’Brien CP, Woody GE, McLellan AT: Enhancing the effectiveness of methadone using psycho-therapeutic interventions. NIDA Res Monogr 150:5–8, 1995

O’Connor PG, Carroll KM, Shi JM, et al: Three methods of opioid detoxification in a primary care setting: a randomized trial. Ann Intern Med 127:526–530, 1997

O’Connor PG, Kosten TR: Rapid and ultrarapid opioid detoxification techniques. JAMA 279:229–234, 1998

Payte J, Khouri E: Principles of methadone dose determination, in State Methadone Treatment Guidelines. Treatment Improvement Protocol (TIP) Series 1 (DHHS Publ No SMA-93-1991). Edited by Parrino MW. Rockville, MD, U.S. Department of Health and Human Services, Center for Substance Abuse Treatment, 1993

Pergolizzi J, Aloisi AM, Dahan A, et al: Current knowledge of buprenorphine and its unique phar-macological profile. Pain Pract 10:428–450, 2010

Pfohl DN, Allen JI, Atkinson RL, et al: Naltrexone hydrochloride (Trexan): a review of serum transaminase elevations at high dosage. NIDA Res Monogr 67:66–72, 1986

Portenoy PM, Foley KM: Chronic use of opioid analgesics in non-malignant pain: report of 38 cases. Pain 25:171–186, 1986

Rabinowitz J, Cohen H, Kotler M: Outcomes of ultrarapid opiate detoxification combined with naltrexone maintenance and counseling. Psychiatr Serv 49:831–833, 1998

Regier DA, Farmer ME, Rae DS, et al: Comorbidity of mental disorders with alcohol and other drug abuse. JAMA 264:2511–2518, 1990

Resnick RB, Schuyten-Resnick E, Washton AM: Assessment of narcotic antagonists in the treat-ment of opioid dependence. Annu Rev Pharmacol Toxicol 20:463–474, 1980

Ripamonti C, Groff L, Brunelli C, et al: Switching from morphine to oral methadone in treating cancer pain: what is the equianalgesic dose ratio? J Clin Oncol 16:3216–3221, 1998

106 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 106 11/09/14 11:14

Capitolo 3 • oppioidi 107

Roehrich H, Gold MS: Propranolol as adjunct to clonidine in opiate detoxification. Am J Psychiatry 144:1099–1100, 1987

Roozen HG, Kerhof AJ, van den Brink W: Experiences with an outpatient relapse program (community reinforcement approach) combined with naltrexone in the treatment of opioid-dependence: effect on addictive behaviors and the predictive value of psychiatric comorbidity. Eur Addict Res 9:53–58, 2003

Rothenberg JL, Sullivan MA, Church SH, et al: Behavioral naltrexone therapy: an integrated treat-ment for opiate dependence. J Subst Abuse Treat 23:351–360, 2002

Rounsaville BJ, Kleber HD: Untreated opiate addicts. Arch Gen Psychiatry 42:1072–1077, 1985Rounsaville BJ, Kosten TR, Kleber HD: The antecedents and benefits of achieving abstinence in

opioid addicts: a 2.5-year follow-up study. Am J Drug Alcohol Abuse 13:213–229, 1987San L, Arranz B: Pros and cons of ultrarapid opiate detoxification. Addiction 94:1240–1241, 1999Schulz S, Mayer D, Pfeiffer M, et al: Morphine induces terminal mu-opioid receptor desensitiza-

tion by sustained phosphorylation of serine-375. The EMBO Journal 23:3282–3289, 2004Seecof R, Tennant FS: Subjective perceptions to the intravenous “rush” of heroin and cocaine in

opioid addicts. Am J Drug Alcohol Abuse 12:79–87, 1987Sees KL, Delucci KL, Masson C, et al: Methadone maintenance vs. 180-day psychosocially enriched

detoxification for treatment of opioid dependence: a randomized controlled trial. JAMA 283:1303–1310, 2000

Selley DE, Liu Q, Childers SR: Signal transduction correlates of mu opioid agonist intrinsic effi-cacy: receptor-stimulated [35S]GTP gamma S binding in mMORCHO cells and rat thalamus. J Pharmacol Exp Ther 285:496–505, 1998

Selley DE, Herbert JT, Morgan D, et al: Effect of strain and sex on mu opioid receptormediated G-protein activation in rat brain. Brain Res Bull 60:201–208, 2003

Sells SB: Treatment effectiveness, in Handbook on Drug Abuse. Edited by Dupont RE, Goldstein A, O’Donnell J. Washington, DC, U.S. Government Printing Office, 1979, pp 105–118

Senay EC: Methadone maintenance treatment. Int J Addict 20:803–821, 1985Senay EC, Dorus W, Goldberg F, et al: Withdrawal from methadone maintenance: rate of with-

drawal and expectation. Arch Gen Psychiatry 34:361–367, 1977Shaw-Lutchman TZ, Barrot M, Wallace T, et al: Regional and cellular mapping of cAMP response

element-mediated transcription during naltrexone-precipitated morphine withdrawal. J Neurosci 22:3663–3672, 2002

Shinderman M, Maxwell S, Brawand-Arney M, et al: Cytochrome P4503A4 metabolic activity, methadone blood concentrations, and methadone doses. Drug Alcohol Depend 69:205–211, 2003

Shreeram SS, McDonald T, Dennison S: Psychosis after ultrarapid opiate detoxification (letter). Am J Psychiatry 158:970, 2001

Simpson DD, Marsh KL: Relapse and recovery among opioid addicts 12 years after treatment. NIDA Res Monogr 72:86–103, 1986

Simpson DD, Joe GW, Bracy SA: Six-year follow-up of opioid addicts after admission to treatment. Arch Gen Psychiatry 39:1318–1323, 1982

Smith B, Hoffman V, Fan J, et al: Years of potential life lost among heroin addicts 33 years after treatment. Prev Med 44:369–374, 2007

Stephenson J: Experts debate merits of 1-day opiate detoxification under anesthesia. JAMA 277:363–364, 1997

Stimmel B, Goldberg J, Rotkopf E, et al: Ability to remain abstinent after methadone detoxifica-tion: a six year study. JAMA 237:1216–1220, 1977

Strang J, Bearn J, Gossop M: Lofexidine for opiate detoxification: review of recent randomized and open controlled trials. Am J Addict 8:337–348, 1999

Substance Abuse and Mental Health Services Administration: Overview of Findings From the 2002 National Survey on Drug Use and Health: National Findings (Office of Applied Sciences,

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 107 11/09/14 11:14

NHSDA Series H-22, DHHS Publ No SMA-03-3863). Rockville, MD, Substance Abuse and Mental Health Services Administration, 2003

Substance Abuse and Mental Health Services Administration: Results from the 2010 National Survey on Drug Use and Health: Summary of National Findings (NSDUH Series H-41, HHS Publ No SMA-11-4658. Rockville, MD, Substance Abuse and Mental Health Services Administra-tion, 2011a. Available at: http://www.samhsa.gov/data/NSDUH/2k10NSDUH/2k10Results.htm#Fig5.2. Accessed November 19, 2012.

Substance Abuse and Mental Health Services Administration: Results from the 2010 National Survey on Drug Use and Health: Summary of National Findings (NSDUH Series H-41, HHS Publ No SMA-11-4658). (Table 1.1A) Rockville, MD, Substance Abuse and Mental Health Services Administration, 2011b. Available at: http://oas.samhsa.gov/NSDUH/2k10NSDUH/2k10/tabs/Sect1peTabs1to46.htm. Accessed November 19, 2012.

Substance Abuse and Mental Health Services Administration: Results from the 2010 National Survey on Drug Use and Health: Summary of National Findings (NSDUH Series H-41, HHS Publ No SMA-11-4658). Rockville, MD, Substance Abuse and Mental Health Services Administra-tion, 2011c. Available at: http://www.samhsa.gov/data/NSDUH/2k10NSDUH/2k10Results.htm#Fig2-4. Accessed November 19, 2012.

Substance Abuse and Mental Health Services Administration, Results from the 2011 National Survey on Drug Use and Health: Summary of National Findings, NSDUH Series H-44, HHS Publ No SMA 12-4713. (Figure 5.2) Rockville, MD, Substance Abuse and Mental Health Services Administration, 2012. Available at: http://www.samhsa.gov.data/NSDUH/2k11Results/NSDUHresults2011.htm#fig5-2. Accessed June 27, 2013.

Sullivan LE, Metzger DS, Fudala PJ, et al: Decreasing international HIV transmission: the role of expanding access to opioid agonist therapies for injection drug users. Addiction 100:150–158, 2005

Sullivan MA: Antagonist maintenance for opioid dependence: the naltrexone story. Presented at the 22nd Annual Meeting of the American Academy of Addiction Psychiatry, Scottsdale, AZ, December 10, 2011

Tennant FS: Inadequate plasma concentrations in some high-dose methadone maintenance patients. Am J Psychiatry 144:1349–1350, 1987

Tenore PL: Guidance on optimal methadone dosing. Addiction Treatment Forum 12:3, 2003Vining E, Kosten TR, Kleber H: Clinical utility of rapid clonidine-naltrexone detoxification for

opioid abusers. Br J Addict 83:567–575, 1988Walsh SL, Preston KL, Stitzer ML, et al: Clinical pharmacology of buprenorphine: ceiling effects at

high doses. Clin Pharmacol Ther 55:569–580, 1994Washton AM, Pottash AC, Gold MS: Naltrexone in addicted business executives and physicians.

J Clin Psychiatry 45:39–41, 1984Weiss RD, Potter JS, Fiellin DA, et al: Adjunctive counseling during brief and extended buprenor-

phine-naloxone treatment of prescription opioid dependence: a 2-phase randomized controlled trial. Arch Gen Psychiatry 68:1238–1246, 2011

Wesson DR: Revival of medical maintenance in the treatment of heroin dependence (editorial). JAMA 259:3314–3315, 1988

Wesson DR, Ling W: The Clinical Opiate Withdrawal Scale (COWS). J Psychoactive Drugs 35:253–259, 2003

Wikler A: Opioid Dependence: Mechanisms and Treatment. New York, Plenum, 1980Williams JT, Christie MJ, Manzoni O: Cellular and synaptic adaptations mediating opioid depen-

dence. Physiol Rev 81:299–343, 2001Woody GE, McLellan AT, Liborsky L, et al: Psychotherapy in community methadone programs: a

validation study. Am J Psychiatry 152:1302–1308, 1995Zhang J, Ferguson SS, Barak LS, et al: Role for G protein-coupled receptor kinase in agonist-

specific regulation of mu-opioid receptor responsiveness. Proc Natl Acad Sci USA 95:7157–7162, 1998

108 Capitolo 3 • oppioidi

03_KRANZLER_Ch03_077_108.indd 108 11/09/14 11:14