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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice
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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA
Anno 23 (Nuova Serie) – n. 8 - Agosto 2015 - € 5,00
LETTERATURA COME VITA,
NEL PENSIERO DI UN GRANDE CRITICO:
CARLO BO (1911-2001)
di Luigi De Rosa
NCHE perché abito in provincia di Genova, a Rapallo, a soli venti Km. da Sestri
Levante, la cittadina che nel 2011 diede i natali a Carlo Bo, ed anche perché mi oc-
cupo da una vita di letteratura, e ogni volta che vengo invitato a tenere una confe-
renza presso la Biblioteca civica di Sestri, e precisamente nella Sala intitolata allo stesso
Carlo Bo, mi riprometto di approfondire ulteriormente la conoscenza di questo grande Criti-
co letterario e studioso che, dedicando la propria vita all'insegnamento universitario e alla
Letteratura, ha saldato in un forte legame culturale la sua Liguria alle “sue” Marche di Urbi-
no.
Non è facile ri-
cordare un gigante
come Bo, dall'im-
ponente bibliogra-
fia, in un breve ar-
ticolo di Rivista.
Mi limiterò quindi
all'essenziale, spe-
rando nella com-
prensione dei letto-
ri.
Innanzitutto al-
cune note biografi-
che; poi alcune
considerazioni sulla
sua opera e sul suo
concetto di Lettera-
tura.
Era nato a Sestri
A
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 2
All’interno:
Giordano Bruno Guerri affronta il fenomeno del brigantaggio, di Ilia Pedrina, pag. 6
Maria Messina, di Giuseppina Bosco, pag. 12
Benito Poggio: 58 canti bilingui, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 16
Eugenio Marino: Andandosene sognando, di Carmine Chiodo, pag. 19
Fulvio Caporale, Trivigno e tutta la Lucania, di Leonardo Selvaggi, pag. 21
XXV Edizione Premio letterario internazionale Città di Pomezia 2015 (risultati e materiali
di: Paola Insola, Elisabetta Di Iaconi, Maria Grazia Ferraris, Maria Coreno, Maria Turiano A-
prile, Fabio Dainotti, Anna Maria Bonomi, Tito Cauchi, Mariagina Bonciani, Nicola Chinaglia,
Claudio Carbone, Angelo Mario Cianfrone, Franco Casadei, Emilia Bisesti, Antonia Izzi Rufo,
Giovanna Li Volti Guzzardi, Anna Trombelli Acquaro, Filomena Iovinella, Anna Vincitorio,
Isabella Michela Affinito, Santo Consoli, Lucia Gaddo Zanovello), pagg. 25-44
Maria Grazia Lenisa scrive a Domenico Defelice, di Ilia Pedrina, pag. 45
Elisa Rampone Chinni, Dialogo con me stessa, di Elio Andriuoli, pag. 49
Domenico Defelice: Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Tito Cauchi, pag. 51
I Poeti e la Natura (Mario Luzi), di Luigi De Rosa, pag. 55
Notizie, pag. 61
Libri ricevuti, pag. 63
RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (Anelito d’infinito, di Santo Consoli, pag. 56); Aldo
Cervo (Lettere, di Maria Grazia Lenisa, pag. 57); Pasquale Montalto (Palcoscenico, di Tito
Cauchi, pag. 57); Nazario Pardini (Il Croconsuelo e altri racconti, di Maria Grazia Ferraris,
pag. 58); Ciro Rossi (Da uno sguardo circostante, di Maria Martignetti, pag. 59).
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Colombo Conti, Domenico Defelice, Themistoklis
Katsaounis, Leonardo Selvaggi
il 25 gennaio 2011. Compiuti gli studi supe-
riori dai Gesuiti dell'Istituto Arecco di Ge-
nova (quindi, ricevuta un'educazione cattoli-
ca) si era laureato in Lettere Moderne a 23
anni, nel 1934, all'Università di Firenze. Ma
tutta la sua carriera universitaria si svolse, a
partire dal 1938, all'Università di Urbino,
prima come docente di Letteratura francese
e spagnola, e poi, addirittura, come Rettore.
Dal 1940 al 1945 (cioè negli anni della Se-
conda Guerra Mondiale) visse tra Sestri Le-
vante, Rivanazzano (Voghera) e Valbrona
(lago di Como). A guerra finita si stabilì a
Milano insieme a Marise Ferro (già moglie
di Guido Piovène) che avrebbe poi sposata
nel 1963. Ma a Sestri, la bellissima cittadi-
na-penisola sulla Baia del Silenzio e sulla
Baia delle Favole, sarebbe poi sempre torna-
to, come in un amato rifugio estivo, a colti-
vare le sue origini, a passeggiare, con il soli-
to sigaro tra le labbra, a nuotare nella Baia
del Silenzio con la sorella, a leggere, a con-
versare sugli accadimenti della vita. Anche
se burbero e riservato (a volte sembrava per-
fino accigliato) era buono, essenziale e con-
creto come sanno esserlo tanti Liguri...
Fu nominato Rettore dell'Università di
Urbino nel 1947 (quindi a soli 36 anni), e
svolse questo prestigioso incarico per ben
cinquantatre anni consecutivi, fino all'anno
2000. Tra i suoi numerosi meriti anche quel-
lo di aver fondato, già nel 1951, la Scuola
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 3
Superiore per interpreti e traduttori di Mila-
no (che avrebbe poi aperto nuove sedi in Ita-
lia).
Il 18 luglio 1984 l'allora Presidente della
Repubblica Sandro Pertini lo nominò Sena-
tore a vita. Militò nei gruppi Democrazia
Cristiana, Partito Popolare, La Margherita.
Carlo Bo non è stato soltanto docente,
scrittore, critico, traduttore, ma anche un
ottimo giornalista, e ha scritto per trentaset-
te anni, dal 1963 al 2001 (anno della sua
morte) sul Corriere della Sera.
È morto a Genova il 21 luglio 2001. Ai
suoi funerali ha partecipato anche il Presi-
dente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi.
Due anni dopo, l'Università di Urbino è
stata intitolata al suo nome.
Anche come traduttore egli ha contribuito
grandemente, con le sue magistrali Tradu-
zioni (nel 1996 l'Università di Verona gli ha
conferito la laurea honoris causa in Lingue e
Letterature straniere) a far conoscere la poe-
sia europea del Novecento, nonostante certe
chiusure nazionalistiche del Fascismo. E
questo non solo approfondendo la cono-
scenza di poeti già noti come Antonio Ma-
chado, Paul Claudel, Clemente Rebora, Eu-
genio Montale, Giuseppe Ungaretti, Camillo
Sbarbaro (che era stato suo docente di latino
e greco al Liceo a Genova). Ma anche, e so-
prattutto, valorizzando poeti nuovi come
Federico Garcia Lorca, Paul Eluard, André
Breton e, nell'ambito dell' Ermetismo italia-
no, Mario Luzi, Carlo Betocchi, Alfonso
Gatto, Salvatore Quasimodo.
Mi limito qui a ricordare che ha tradotto il
San Tommaso d'Aquino di Jacques Maritain
nel 1937, mentre di Lorca ha tradotto sia le
Poesie (Parma 1940 e Milano, Garzanti
1979) che le Prose (Vallecchi 1954). Fra gli
autori tradotti vi sono stati anche Juan Ra-
mon Jimenez, José Ortega Y Gasset, Miguel
de Unamuno, Georges Bernanos, ed altri.
Grande importanza hanno anche rivestito le
Antologie di testi stranieri da lui tradotti,
come Lirici del Cinquecento, Lirici spagno-
li, Narratori spagnoli, Antologia del Surrea-
lismo, Antologia dei poeti negri, Gustave
Flaubert, i capolavori.
In tanto fervore di attività, comunque, non
ha mai trascurato la cultura poetica della sua
regione, la Liguria. Un esempio per tutti:
l'appoggio e il riconoscimento critico per un
nuovo poeta di Sestri Levante, Giovanni
Descalzo (per non parlare del citato Monta-
le, e di Sbarbaro, ed altri). A Descalzo ha
assicurato...un posto nella storia letteraria
inserendolo nella sua importantissima Storia
della Letteratura italiana edita dalla Mon-
dadori.
Tra gli Autori che, a loro volta, si sono oc-
cupati di Bo, occorre almeno ricordare Ma-
rio Apollonio, Oreste Macrì, Silvio Ramat,
Piero Bigongiari, Mario Luzi, Geno Pampa-
loni.
Il significato del titolo di questo mio breve
scritto scaturisce dal concetto di Letteratura
che era proprio di Carlo Bo. Per lui, infatti,
la Letteratura è stata talmente importante da
identificarsi con la Vita stessa: “...la lettera-
tura è stata davvero, per me, da un certo
momento, la vita stessa...” (Diario aperto e
chiuso 1932-1944).
È stato definito l'anti-Croce anche per la
fedeltà al concetto Letteratura uguale vita,
espresso a chiare lettere già nel 1938 nel suo
saggio Letteratura come vita, considerato il
Manifesto non solo dell'Ermetismo ma addi-
rittura della letteratura del secondo Nove-
cento. In tale fondamentale testo, il cui con-
cetto di base, secondo il docente e critico
letterario torinese Giorgio Barberi Squarotti
(1929) è stato enunciato, dapprima, dal criti-
co e scrittore francese Charles Du Bos
(1882-1939) Carlo Bo è arrivato a scrivere,
tra l'altro : “ A questo punto è chiaro come
non possa esistere un'opposizione fra lette-
ratura e vita. Per noi sono tutt'e due, e in
ugual misura, strumenti di ricerca e quindi
di verità...Mezzi per raggiungere l'assoluta
necessità di sapere qualcosa di noi...La let-
teratura è la vita stessa, e cioè la parte mi-
gliore e vera della vita...Non crediamo più
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 4
ai letterati padroni gelosi dei loro li-
bri...Non esiste un mestiere dello spirito...il
valore di un testo dipende dal suo grado di
vita, dal modo in cui è stata rispettata la ve-
ra realtà dei nostri movimenti...”
Da tale concetto di “Letteratura come vi-
ta” scaturisce anche la sua fervida attività in
seno alla rivista Frontespizio (vicina all'er-
metismo di matrice cattolica), la sua colla-
borazione con Mario Luzi, Giovanni Papini,
Vittorio Sereni, Ardengo Soffici, il suo co-
involgimento con gli scrittori francesi, spa-
gnoli e italiani di cuore cattolico o comun-
que di forte sensibilità spirituale, il suo ab-
bracciare e comprendere anche poeti e scrit-
tori provenienti da altre zone geografiche,
spirituali e culturali, come, ad esempio, Ka-
fka ed Eliot.
Di qui, com'è ovvio, la sua lunare distanza
da Autori che propugnano invece una lette-
ratura nutrita di retorica in nome di un' Este-
tica pura e disincarnata dalla vita dei comuni
mortali. (Inevitabilmente si ripensa a D'An-
nunzio e ai suoi epigoni, ma non solo …).
Di qui, pure, la sua preoccupazione perché
non solo il lavoro dello scrittore, ma anche
quello del critico, siano informati al concet-
to di Letteratura come Vita. Il critico deve
essere in sintonia con il testo dello scrittore,
scandagliandone le ragioni spirituali che lo
hanno ispirato e nutrito.
Nel saggio “Riflessioni critiche” del 1953
ebbe a dire, a proposito della forma lettera-
ria del romanzo : “ I veri romanzi si ricono-
scono e dal punto di partenza e dal punto di
arrivo, che lasciano appunto questa sensa-
zione di vita. Quando il lettore è costretto a
dire “Questa è proprio la vita!” è allora che
la funzione del romanziere è definitivamente
riuscita...”
A questo proposito, non sono mancate le
perplessità sul fronte opposto, ma si pensi
addirittura alla disputa radicale sulla “morte
del romanzo”...
L'enorme mole di lavoro svolto fin dagli
anni Trenta come critico letterario e tra-
duttore gli ha assicurato una posizione pre-
dominante anche in un campo, come quello
culturale e letterario, e in un periodo di tem-
po, in cui le leve del potere sono state in
mano alla Sinistra, quantomeno fino alla ca-
duta del Muro di Berlino.
Per capire, comunque, il pensiero di Carlo
Bo, non si può non tenere presente che, al di
sopra dei valori puramente critici e tecnico-
letterari, per lui contano soprattutto i valori
umani e spirituali. Per lui, nonostante il suo
cattolicesimo “...non assestato, non formale,
nemmeno troppo ortodosso e rigoroso...” è,
in ogni caso, di estrema importanza una vi-
sione della vita cristiana, etica, spirituale. Si
veda anche l'opera Siamo ancora cristiani
del 1964, nonché quelle intitolate Don Cal-
zolari ed altri preti, del 1979, Sulle tracce
del Dio nascosto, del 1984, Solitudine e ca-
rità, del 1985.
Particolarmente vicino ai grandi intellet-
tuali cattolici francesi come Mauriac, Clau-
del, Bernanos, Maritain, è arrivato a propu-
gnare un cristianesimo che esprima le ragio-
ni dell'animo umano, che, contro ogni dispe-
razione e crisi di pessimismo, creda profon-
damente in una “speranza scandalosa”,
quella della preghiera...
Bo, oltre ad avere grande rispetto per i Ge-
suiti che lo hanno formato da adolescente,
ha sempre manifestato ammirazione, nella
sua residenza milanese della parrocchia bar-
nabitica di sant'Alessandro, per i Padri Bar-
nabiti e per il loro Ordine.
Bo è arrivato a scrivere, con estrema chia-
rezza, che “ se nella letteratura non c'è, in-
carnato, lo Spirito, la letteratura è secca,
sterile, non vale niente...”
Ma a questo punto mi piace cedere la pa-
rola allo stesso Carlo Bo, che, alle soglie di
questo Ventunesimo Secolo ( 31 dicembre
2000 – 1 gennaio 2001) rispondendo ad un
“questionario” proposto ad alcuni intellet-
tuali dal quotidiano “Avvenire” sulle pro-
blematiche cardine proposte dal nuovo Se-
colo, aveva detto: “La sopravvivenza, fisica
e morale, di ciò che costituisce il fattore
umano. Questa sarà la “magna quaestio”
del prossimo futuro. Il problema drammati-
co della civiltà che si affaccia col nuovo se-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 5
colo sarà il poter ritrovare le ragioni ultime
di quei valori che consentono una vita uma-
namente e umanisticamente motivata, che
tenga conto non solo delle cose visibili, ma
anche – e soprattutto – di quelle invisibili. Il
grande compito dei cristiani e degli uomini
di buona volontà sarà fare un po' di spazio
nel materialismo e nel consumismo globa-
lizzati per ritrovare un'idea condivisibile
delle cose superiori. Bisognerà insomma co-
struire insieme, credenti e no, un'altra civil-
tà, un mondo che sappia finalmente ritrova-
re lo spirito della carità cristiana: cioè sa-
per perdonare e cercare di risolvere pro-
blemi epocali, inevitabili e giganteschi, se-
condo uno spirito di carità...
...Per quanto riguarda la letteratura, essa
è sempre figlia del proprio tempo, e man-
cando oggi valori forti, non vedo all'oriz-
zonte la possibilità di una nuova classicità: i
prossimi decenni saranno ancora tempi di
sperimentalismi.”
Anche queste sagge considerazioni e pre-
visioni (nonostante le aperture a tutti, cre-
denti e no) continueranno ad essere fertili di
discussioni a non finire, di incontri e scontri
quotidiani. A Elio Vittorini che un giorno gli
proponeva un'alleanza contro la disugua-
glianza e l'ingiustizia, Bo aveva risposto che
il male è difficilmente aggredibile, e che,
anzi, il male risiede nel cuore dell'uomo.
E intanto i giornali e le televisioni conti-
nueranno a inondarci, ogni giorno, con le
immagini di falsità e violenza disumana del
“vecchio”mondo...
Luigi De Rosa
IL LIMITE
Frastuono di silenzi
tra il gracidare di rane,
ascolto la tua voce
accarezzando le nuvole,
è un canto felice
che scioglie la brina.
Nostalgico amore
dai bruni capezzoli,
baci frenati da ingenuo pudore.
Perché non osai
oltrepassare il limite,
sarei stato pescatore,
t’avrei presa
nella rete della passione,
t’avrei resa schiava
per un tempo perduto
dove regnano
sussurri di labbra
e ardenti carezze,
dove il tepore mai si spegne
anche quando il gelido vento
l’incomprensione trasporta,
per cercare di dividere
ciò che sempre ci unisce
Colombo Conti Albano Laziale
L’UOMO AUTOMA
Un mondo vasto che si restringe,
lande e steppe cresciute
negli animi incolti.
Confini spinati, rovi intorno
ai luoghi, non fai un passo.
Carni aride che non sanno il tepore,
pelli insozzate, non le senti
morbide vicino.
Facce dure senza sguardo.
Immobili tronchi che non incontri,
occhi smorti che non trovano
la tua vita. Da buchi sovrapposti
topi fugaci per vie traverse
invisibili barbarici. Non c’è nessuno
che prende una parte di te.
Vanno lontano, si vedono circondare
ma non si riconoscono.
Idealità che non si muovono per terra,
aeree si sfaldano. Come nubi sogni
e illusioni si frangono nella mente.
La realtà ha costruito
binari malvagi. Tutto
in linea continua scorre meccanico.
Gli arti smontati, dalle ossa
sono usciti pistoni di ferro.
Leonardo Selvaggi
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 6
‘Il sangue del Sud’:
in modo nuovo, lo storico
GIORDANO BRUNO
GUERRI AFFRONTA IL FEMONENO
DEL BRIGANTAGGIO di Ilia Pedrina
IORDANO Bruno Guerri, storico e
filosofo italiano, docente di Storia
contemporanea all'Università Gu-
glielmo Marconi di Roma, Presidente de 'Il
Vittoriale degli italiani' ed altro ancora, è av-
vezzo a portare fuoco, passione, cambiamen-
to là dove mette le mani e quando decide di
interessarsi a fondo per inoltrarsi in una ricer-
ca su temi e personaggi della storia d'Italia.
Preziose ed insostituibili le sue monografie su
Galeazzo Ciano, Giuseppe Bottai, Gabriele d'
Annunzio.
In questa opera storica 'Il Sangue del Sud
– Antistoria del Risorgimento e del Brigan-
taggio' pubblicata nel 2010 nella Collana 'Le
Scie' della Casa Editrice Mondadori ed ora,
dal 2013, anche nei volumi Oscar Mondadori,
par che venga messa in pratica l'intenzione
del grande filosofo e scrittore tedesco Walter
Benjamin: accarezzare la storia contropelo,
per farne uscire la voce dei vinti. Infatti, già
nella scelta del titolo e poi più precisamente
nel dettaglio del sottotitolo, Giordano Bruno
Guerri si assume tutta la responsabilità del ri-
cercatore sul campo per costruire un lavoro
controcorrente, che vada ad investigare con
chiarezza e con riferimenti documentati ed
inequivocabili come sia stata costituita l'Unità
dell'Italia, a partire dal primo dei diciassette
capitoli che la compongono: 'La vera disunità
d'Italia: il popolo e i patrioti, i guelfi e i ghi-
bellini'.
Chiarire il ruolo dello Stato dei Savoia ri-
spetto al Regno delle due Sicilie, al resto ge-
ografico dell'Italia anche con lo Stato Pontifi-
cio al suo interno e poi al resto dell'Europa e
del mondo; portare alla luce gli intenti del
Cavour che non è mai arrivato oltre Firenze;
dipingere a tratti certi, con grande sensibilità
ed afflato umano il profilo di Francesco II di
Borbone, soprannominato dal popolo ' Fran-
ceschiello', quello che dice di sé 'Io sono Na-
poletano' e che ha a cuore le sorti presenti e
future del suo popolo. Poi verranno avanti al-
tri personaggi, oltre a Papa Pio IX anche i ge-
nerali dell'esercito piemontese Cialdini, La
Marmora, Cadorna ed altri ancora, di fronte
ai 'generali' del popolo minuto, i briganti con
le loro donne, 'Le brigantesse', appunto. L'au-
tore non ha alcun dubbio: si è trattato di una
vera e propria guerra civile, organizzata attra-
verso la prevaricazione ed il sopruso, in nome
di una identità unitaria astratta e nebulosa an-
che nella mente dei suoi ideatori, chi federali-
sta, come il Cattaneo, chi papalista come il
Gioberti, chi fondamentalista repubblicano
come il Mazzini. Giordano Bruno Guerri di-
segna un percorso storico tra uomini, azioni,
territori e mezzi che va a costruire la contro-
storia del Risorgimento, un'architettura d'in-
sieme che poggia le sue solide fondamenta su
quanto è realmente accaduto rispetto a quella
mitostoria che è stata per anni delineata intor-
no a questo periodo, troppo esposto a costru-
zioni frettolose, idealistiche, infarcite di pro-
paganda e ben poco legate, nei fatti, a concet-
ti come 'libertà', 'uguaglianza', 'fraternità', che
pure tenevano tanta compagnia nella mente e
nei progetti degli intellettuali di casa nostra e
d'altrove.
Affronta con maggiore consapevolezza i
pregiudizi contro il popolo del Sud, in vigore
tra i reali, i politici, i maggiorenti, al Nord, al
Centro, e pure al Sud, tra i 'galantuomini',
perché i poveri ed i diseredati, quelli si, sono
G
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 7
uguali ed in uguali condizioni di vita, dalle
Alpi all'Aspromonte, alla Sila, alla Piana di
Catania ed a tutti gli altri impervi territori che
caratterizzano la penisola tra l'Adriatico, il
Tirreno, il Mediterraneo. Il Guerri apre l'In-
troduzione con una citazione tratta dal testo di
Vincenzo Padula 'Cronache del brigantaggio
in Calabria' (1864-65):
“Finora avemmo i briganti. Ora abbiamo il
brigantaggio; e tra l'una e l'altra parola cor-
re grande divario. Vi hanno briganti quando
il popolo non li aiuta, quando si ruba per vi-
vere e morire con la pancia piena; e vi ha il
brigantaggio quando la causa del brigante è
la causa del popolo, allorquando questo lo
aiuta, gli assicura gli assalti, la ritirata, il
furto e ne divide i guadagni. Ora siamo nella
condizione del brigantaggio” (G. B. Guerri,
Introduzione, op. cit. pag. 3). Lo storico
Guerri, poche righe sotto questa citazione, so-
stiene:
“Una parte del nuovo Stato era già
'italiana', l'altra non lo era affatto. Occorreva
dunque educarla ad essere diversa da sé, a
costo di snaturarla. Ai primi segni di insoffe-
renza del Sud, nacque subito una contrappo-
sizione rancorosa: 'noi' contro 'loro'... La ve-
rità su cui al Nord tutti concordavano - gene-
rali e politici, esuli meridionali e piemontesi -
è che, appena nata, l'Italia era già madre di
due figli diversi: uno di cui andare fieri, l'al-
tro bisognoso di severe lezioni.... Si spiegano
così prima la spietatezza della repressione,
poi l'adozione di una politica economica e
sociale del tutto inadeguata ai problemi del
Mezzogiorno; più tardi con la perseveranza
con cui quei problemi vennero liquidati come
sintomi indelebili di arretratezza e di parassi-
tismo. Il brigantaggio rappresentava il se-
gnale d'allarme di un guasto grave, e non so-
lo per l'ordine pubblico. Il modo in cui fu
combattuto sviluppò quella che sarebbe di-
ventata la 'delinquenza organizzata', e ac-
crebbe a dismisura la gravità di una questio-
ne meridionale destinata a incancrenire la vi-
ta politica del Paese perpetuando la contrap-
posizione Nord-Sud... Come ogni guerra civi-
le, anche quella tra piemontesi e briganti è
stata raccontata dal vincitore. Che però, a
differenza del solito, non ha potuto vantarse-
ne: si preferì nascondere o addirittura di-
struggere i documenti, perché non fossero ac-
cessibili neppure agli storici... Gli sconfitti
sono scomparsi nella zona d'ombra in cui li
ha relegati la cattiva coscienza dei padri del-
la patria... Non si tratta di denigrare il Risor-
gimento, bensì di metterlo in una luce obietti-
va, per recuperarlo - vero e intero - nella co-
scienza degli italiani di oggi e di domani... ”
(op. cit. pp. 3-7).
Con questa appassionata apertura l'autore
avvia il lettore ad entrare nel vivo delle pro-
blematiche storiche e concretamente presenti
sul tappeto: un vero e proprio distacco tra la
classe dirigente ed il popolo; mentre la gente
chiede con insistenza il pane, gli intellettuali
colti hanno in mente cambiamenti ed evolu-
zioni legislative, costituzionali; ciò che ac-
comuna veramente il Nord al Sud è la mise-
ria, la fame, le malattie, l'analfabetismo (Cap.
I: 'La vera disunità d'Italia: il popolo e i pa-
trioti, i guelfi e i ghibellini' - pp. 9-26).
Dopo aver visto Mazzini all'opera con Saffi
ed Armellini, attivi nel dar vita alla breve Re-
pubblica Romana, dopo aver messo in fuga il
Papa, il 9 febbraio 1849, l'Autore rende edotti
sul carattere e sulla personalità politica e non
solo del Cavour:
“Sia chiaro che il Cavour non fu mai 'un
patriota', ossia non credette all'Unità d'Italia
e alla sua necessità, almeno finché il sogno
non si impose - per lo svolgersi degli eventi -
come l'unica soluzione possibile. Non ci cre-
deva perché il patriottismo irrazionale e reli-
gioso ripugnava al suo pragmatismo. Si era
spinto al massimo fino a Firenze, mai più a
sud. Non lo interessava affatto conoscere il
Meridione, tanto era pieno di pregiudizi... L'
Italia Unita di Cavour era un progetto politi-
co che rispondeva a finalità esclusivamente
piemontesi, in barba a ogni visione romantica
del Risorgimento. Cavour era un politico ci-
nico, che per i propri fini - cioè quelli del
Piemonte - non esitò mai a utilizzare ogni
mezzo e ogni sentimento, compresi quelli dei
patrioti...” (op. cit. cap. II 'Arriva Cavour',
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 8
pag. 34).
L'indagine storico-economica portata avanti
nel Cap. III 'Un bel boccone' è tra le investi-
gazioni più interessanti del testo perché forse
ignota alla maggior parte di noi e perché il-
luminante sulla modalità della spoliazione
delle risorse, da depredare da parte dell'usur-
patore: l'Autore chiama in campo Francesco
Saverio Nitti ed il suo testo 'Principi di scien-
za delle finanze' del 1903, riportando un effi-
cace confronto delle riserve auree dei diversi
Stati italiani, in milioni di lire, avvertendo che
una lira di allora valeva quanto 4,5 euro di
oggi. Ebbene: il Regno delle Due Sicilie, nel
1860, era in testa a tutti con una riserva aurea
pari a 445,2 milioni di lire, contro i 27 del
Regno del Piemonte e su un totale complessi-
vo di 640,7 milioni di lire. Sostiene il Guerri:
“A conti fatti, il Regno delle Due Sicilie
possedeva oltre due terzi dell'oro di tutti gli
altri Stati della Penisola messi insieme, e
proporzioni analoghe valgono per il denaro
in circolazione nei singoli Stati. Almeno nei
trent'anni successivi all'Unità, l'Italia del Sud
fu come una colonia del Piemonte. E dal
momento dell'unificazione, i meridionali fu-
rono più sfruttati che sfruttatori. In una lette-
ra a Cavour, Liborio Romano - ministro dell'
interno di Francesco II, poi deputato nel pri-
mo parlamento unitario – dimostra come
vennero depredati la Cassa di Sconto e il
Banco Partenopeo, le due banche principali
dell'ex Regno di Napoli. Attraverso un siste-
ma di trucchi finanziari e irregolarità conta-
bili in un solo anno il governo piemontese
'prelevò' 80 milioni di lire, spendendone per il
Meridione meno della metà...”(G. B. Guerri,
op. cit. pp. 38-39).
Tantissime le vicende storiche che vengono
delineate nei capitoli successivi: nel Cap. IV
'Franceschiello e Maria Sofia', l'Autore non
ha dubbi e riporta quanto Francesco II di
Borbone, detto appunto 'Franceschiello', si
sentisse napoletano, veramente dalla parte del
suo popolo, e quanto la sua sposa, tedesca dei
duchi di Baviera, si mantenesse al suo fianco
ben coinvolta, autonoma, bella, indipendente
ed audace in tutto, anche nel rifugio di Gaeta,
assediato dai piemontesi; nel Cap. V 'La con-
quista', viene fatta piena luce su una conqui-
sta, cioè su 'un raggiro ben pensato', affianca-
to da un vero e proprio 'tradimento', vale a di-
re un insieme di eventi che mostrano quanti
limiti, contraddizioni, facili pregiudizi possa-
no prendere il posto di un concreto interesse
per risolvere i problemi del popolo meridio-
nale, fino a programmare senza mezzi termini
una vera e propria guerra civile, a partire dal
massacro dei contadini di Bronte. Quindi, co-
erentemente, nel Cap. VI 'Come nasce una
guerra civile', lo storico apre la sua analisi
con una citazione da Italo Calvino:
“ 'Per molti dei miei coetanei era stato solo
il caso a decidere da che parte dovessero
combattere; per molti le parti tutt'a un tratto
s'invertivano, da repubblichini diventavano
partigiani o viceversa; da una parte o dall'al-
tra sparavano o si facevano sparare; solo la
morte dava alle loro scelte un segno irrevo-
cabile'. Sono parole di Italo Calvino, nella
prefazione a 'Il sentiero dei nidi di ragno', l'
altra guerra civile italiana, all'indomani dell'
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 9
8 settembre 1943; possono valere anche per
molti briganti. Le contrapposizioni di una
guerra civile - benché siano ammantate da
buona fede, passioni, sentimenti e alte visioni
del mondo - nascono spesso da esperienze e
vicende assai più modeste. O forse semplice-
mente più umane. Altre volte la scelta di ade-
rire a uno schieramento è dettata dalla con-
venienza... Fino agli anni Sessanta in Italia e
in Europa, i briganti che pagarono con la vita
e la prigionia la resistenza al dispotismo pa-
palino, erano visti come eroi negli ambienti
intellettuali più sensibili alla giustizia socia-
le...” (G. B. Guerri, op. cit. pp. 69-71).
Nel settembre del 1860 i territori occupati
dalle truppe di Garibaldi vivono nuove ten-
sioni, i contadini si sollevano a fianco dei
soldati guidati da generali e colonnelli borbo-
nici, diffondendo ancor meglio la convinzio-
ne che quella dei Mille fosse una vera e pro-
pria usurpazione. Sostiene il Guerri: “... Il
nuovo presidente del Consiglio dopo la morte
improvvisa di Cavour, il 6 giugno 1861, era
Bettino Ricasoli, soprannominato il Barone
di Ferro... Le campagne erano ormai polve-
riere, pronte a esplodere al segnale di questo
o quel capobanda. Qualcuno provò a censire
briganti e simpatizzanti. Ne uscì un quadro
terrificante. Nel 1861, agivano 39 bande in
Abruzzo, 42 al confine con lo Stato Pontificio,
15 nel Molise e nel Sannio, 33 in Calabria e
6 nella provincia di Napoli...” (G. B. Guerri,
op. cit. pag 90).
Dopo aver sintetizzato alcuni importanti
dati relativi alle condizioni ed alle aspettati-
ve di vita dei popoli di queste terre, con una
vita media, nell'Italia preunitaria e soprattut-
to al Sud, di 17 anni e dopo aver dato rag-
guagli sui briganti ed i loro affiliati, manu-
tengoli, parenti, amici e quant'altro ancora
(Cap. VII 'Si viveva così'), lo storico affronta
il delicato tema del rapporto tra Papato, re-
gnanti e briganti, in quei territori del Sud nei
quali la fede aveva antichissimi legami con
un paganesimo viscerale, atavico, incom-
prensibile alla luce di una riflessione distac-
cata sulla religiosità, i suoi confini, i suoi
strumenti, i suoi effetti. Infatti nel Cap. VIII
'La Chiesa, i Borbone e i briganti', l'Autore
scrive: “... Vescovi e preti continuavano a
sostenere i briganti nei paesi e nelle città
dove il fenomeno era più radicato. Ecco
perché, ancora per tutto il 1863, si inaspri-
rono le misure poliziesche piemontesi contro
presunti o autentici manutengoli ecclesiasti-
ci. In pochi mesi finirono in galera i vescovi
di Foggia e di Muro Lucano, i curati di
Reggio, Sorrento, Rossano e Capaccio, i Vi-
cario della Cattedrale di Napoli; inoltre
vennero espulsi dalle loro diocesi i vescovi
di Lecce, Trani, Avellino... I briganti trova-
vano nell'aperta complicità del clero una
legittimazione nobilitante... Nelle tasche
delle loro giacche non mancavano mai ri-
tratti sacri e santini vari, prove sicure di
una viscerale fede popolare. Come accade
ai mafiosi di oggi - che passano con disin-
voltura dal kalashnikov all'ostia consacrata,
alternando omicidi e preghiere - anche i
briganti non sentivano incoerenti le loro a-
zioni con i precetti evangelici...” (G. B.
Guerri, op. cit. pag. 118). Molti gli articoli
apparsi su 'La Civiltà Cattolica' dell'epoca a
rinforzare questa prospettiva di sopruso for-
zato e violento contro gli uomini di Chiesa e
molto convincenti, per chi ci credeva, gli
anatemi e le scomuniche, talora più a parole
che a fatti.
Come posso fare allora a non soffermarmi
sui Briganti e sulle loro Brigantesse, vere e
proprie giovani donne spregiudicate, forti,
sanguinarie, determinate ed avvezze a segui-
re i loro amati su rupi e nel fitto dei boschi,
alla macchia, con nel sangue l'orgoglio e la
difesa a oltranza della dignità del proprio
nuovo ruolo? Dal Cap. IX 'Chiavone, il bri-
gante che voleva essere Garibaldi e marcia-
re su Torino', la trattazione entra nel vivo
delle vicende legate a questo importantissi-
mo fenomeno storico, con precisazioni sul
ruolo dei Borbone e di Papa Pio IX, e si ap-
profondisce con prove indiscutibili la duris-
sima reazione delle truppe piemontesi alle
provocazioni dei briganti (Cap. X 'Ponte-
landolfo e Casalduni: “Un tremendo castigo
che sia d'esempio alle altre popolazioni del
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 10
Sud'). Il Guerri non dimentica gli altri, quelli
che nelle fila dell'esercito dei Savoia, perdo-
no la vita pensando di fare cosa buona e so-
cialmente giusta nell'uccidere gente conside-
rata alla stregua di criminali (Cap. XI 'Le al-
tre vittime: i soldati “piemontesi” ') e do-
cumenta con fotografie d'epoca i reali di Ca-
sa Savoia, Francesco II di Borbone e Maria
Sofia, papa Pio IX e il Cavour, ma anche i
briganti, questi eroi popolari come Carmine
Crocco Donatelli, definito il re dei briganti,
vero e proprio mito al comando di oltre tre-
mila uomini, che riuscì a dar duro filo da
torcere ai soldati dell'esercito italiano per
ben tre anni. A lato la foto del suo delatore,
al secolo Giuseppe Caruso, poi sotto, nella
medesima pagina la fotografia del cadavere
di Giuseppe Nicola Summa, detto 'Ninco
Nanco', uno dei luogotenenti del Crocco,
mostrato a tutti morto dopo la fucilazione,
per dar prova concreta della vittoria sul ne-
mico, come succederà in tempi recenti con
Mussolini, con il bandito Giuliano, con Che
Guevara e con tanti altri ancora. Ma il testo
riporta anche le fotografie delle Brigantesse:
quelle più famose sono tre: Filomena
'Pennacchio', dal cappello in feltro piumato,
il fucile ben in vista, al fianco di Agostina
Vitale, amante del brigante Sacchetiello e
sotto, semidistesa a terra Maria Giovanna
Tito, brigantessa del Crocco. Tutte armate,
tutte pronte ad uccidere, a sgozzare, a difen-
dere e a difendersi. L'apparato fotografico è
inserito tra pagina 138 e pagina 139. Un ca-
pitolo specifico, il XII 'Le brigantesse' de-
scrive con ricchezza di particolari la perso-
nalità, le scelte, le decisioni drastiche di
queste giovani donne pronte a tutto pur di
cambiare la loro sorte, mentre il XIII 'Ciccil-
la e Pietro: il labile confine fra briganti e
banditi', prende in esame la vita, l'amore, la
lotta di due veri protagonisti storici in questa
sanguinosa guerra civile. Allora vengono
emanate leggi speciali contro 'i selvaggi' e la
più tremenda di tutte è la Legge Pica (Cap.
XIV 'Carmine Crocco, il re dei briganti' e
Cap. XV 'Leggi speciali contro “i selvag-
gi”'). Sostiene il Guerri, dopo aver riportato
alcuni stralci della relazione del Massari che
va a descrivere miseramente e razzistica-
mente i briganti e le loro consuetudini:
“...Quella contro il brigantaggio era dunque
'la peggior sorta di guerra che possa imma-
ginarsi; è la lotta tra la barbarie e la civil-
tà'... Il testo del Massari fu reso pubblico so-
lo in parte e la lettura integrale della rela-
zione avvenne tra il 3 e il 5 maggio 1863 nel
Palazzo Carignano, trasformato in quello
che oggi si definirebbe un bunker. Guai a la-
sciar trapelare all'esterno certe ammissio-
ni... È forse superfluo sottolineare che i do-
cumenti dell'esercito vennero in gran parte
secretati o distrutti subito, tanto che è anco-
ra oggi impossibile stendere una vera storia
documentata del brigantaggio. La censura è
riuscita a operare anche sulla storia, cer-
cando addirittura di cancellarne la memo-
ria. E un popolo senza memoria è un popolo
mutilato della propria integra identità...”
(G. B. Guerri, op. cit. pp. 216-17).
Maria Sofia, la sposa di Francesco II di
Borbone, che morirà nel 1925, fa in tempo a
offrire come un testamento spirituale in un'
intervista rilasciata a Giovanni Ansaldo:
“Che don Giovanni Rossi ch'era impiega-
to della Casa Reale nostra, e che aveva la
custodia del borderò di quattro milioni di
ducati (76 milioni di euro), proprietà priva-
tissima di mio marito, sia andato subito a
presentarlo al Garibaldi, appena costui en-
trò in Napoli, per farsene merito, non mi
meraviglia; che il Garibaldi l'abbia subito
confiscato, insieme al borderò degli altri
principi borbonici, neppure questo mi fa
meraviglia; i rivoluzionari hanno sempre
fatto così con i re caduti. Ma che i Savoia,
dopo che ebbero annesso il regno di Napoli,
non abbiano sentito il bisogno di usare un
po' di riguardo ai Borbone, che erano stati
re legittimissimi, come loro, questo è ciò che
ancora oggi, dopo tanti anni, mi fa meravi-
glia... Ma il modo in cui loro hanno trattato
noi è di brutto augurio. Dio non voglia che
un giorno anch'essi, non abbiano da difen-
dere, dall'esilio, i loro patrimoni persona-
li...” (G. B. Guerri, Cap. XVI 'Fare gli ita-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 11
liani', op. cit. pp. 241-42). Lei, dico io, la
regina Maria Sofia, definita 'la Regina degli
anarchici', sorella di Sissi, la ben più nota
Imperatrice d'Austria, non ha fatto in tempo
a vedere che i Savoia sono andati in esilio e
dall'esilio se ne sono poi tornati in Italia, in
tempi recentissimi, non firmando la lettera
patente di rinuncia al trono, come ben hanno
fatto gli eredi di Casa Imperiale d'Asburgo!
A seguire, il Cap. XVII 'Disperdere gli ita-
liani' con i dati impressionanti sull'emigra-
zione nei decenni successivi all'Unità e le '
Conclusioni'.
A fondamento di questa complessa ricerca
storica del Guerri, c'è una solida, ricchissima
'Bibliografia' (pp. 261-274) seguita da una
opportuna ed aggiornata 'Sitografia' (pp. 275-
279): tra queste indicazioni il lettore potrà
mettersi in viaggio ed arrivare dove vorrà,
guidato dalla curiosità intelligente e dalla pas-
sione, oltre che dal bisogno di sapere meglio
cosa sia veramente accaduto e perché. Tutto il
lavoro si snoda tra una dedica, in apertura, e
dei ringraziamenti, in chiusura:
“A Nicola Giordano Guerri che - nato
sull'Isola Tiberina da una pugliese e da un
toscano - realizza al Vittoriale degli Italiani
sul Lago di Garda, la sua dolcissima Unità
d'Italia”;
“I miei preziosi amici Giuseppe Iannaccone
e Milena Scaramucci hanno sovrainteso alle
fondamenta e all'architettura di questo libro.
Tanti altri mi hanno aiutato, anche solo con
un consiglio, l'indicazione di un volume o ad-
dirittura il dono - straordinario – di inediti,
come Giuseppe Curcio.... Paola Veneto sa-
rebbe stata una brigantessa”. Allora il risul-
tato è un lavoro serio, sciolto, credibile per la
dinamica scelta delle fonti, anche governative
e diplomatiche d'epoca, e la rigorosa ricostru-
zione dei fatti, là dove ciò è stato possibile,
perché non inficiato da documenti secretati o
distrutti. Dal nostro passato al futuro d'Italia e
d'Europa, il testo invita a costruire un presen-
te consapevole e carico di dignitoso, laico, ri-
goroso senso di responsabilità. Da Nord a
Sud.
Ilia Pedrina
SARETE IL MIO FUTURO
Non morirò del tutto.
Vedrò la luce con i vostri occhi,
i colori, le forme,
le tante meraviglie strepitose;
suoni ascolterò, rumori ed armonie
col vostro udito;
organi sparsi sulla vostra pelle
lo stato mi daranno delle cose,
le qualità esteriori,
i polpastrelli delle vostre dita
per me il pentagramma suoneranno
di quel che vi titilla e brama e cuore;
sarà la vostra lingua
le sensazioni a darmi ed i sapori.
Sarete il mio futuro.
Alberi voi sarete
a porgere frescura alle mie ossa,
a coprirmi di odori.
Domenico Defelice Pomezia, 16 dicembre 2014
YOU WILL BE MY FUTURE
I will not die completely.
I’ll see the light through your eyes,
colors, shapes,
the many amazings wonders;
I hear sounds, noises and harmonies
through your ears;
organs scattered on your skin
the state will give me things,
external features,
the pads of your fingers
play the musical score
of what titillates, the longing heart;
It will be your language
and feelings and flavours you give me.
You will be my future.
Trees you will be
to cool my bones,
to cover me in fresh smells.
Domenico Defelice Pomezia, 16 December 2014
Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia
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Una scrittrice dimenticata e da
poco riscoperta:
MARIA MESSINA di Giuseppina Bosco
ARIA Messina è una donna che ha
trovato nella scrittura uno strumen-
to per esprimere la sua arte narrati-
va e la sua grande sensibilità.
Nasce nel 1887 ad Alimena, uno sperduto
paese della Sicilia in provincia di Palermo. Il
padre Gaetano era un maestro elementare, in-
vece la madre Gaetana Valenza Traiana ap-
parteneva ad una famiglia baronale, e come
era consuetudine in quel tempo, ricevette
un’educazione domestica e da autodidatta i-
niziando a formarsi come scrittrice a partire
dalla narrativa moderna leggendo gli scrittori
realisti russi quali Turghenev e Cecov.
Dell’autrice il critico Borgese, in un’opera
dice: “di onesta e modesta fantasia, aliena da
pervertimenti sensuali, da smanie teoriche1..
Esordisce con la raccolta “Piccoli gorghi”
inserendosi in quel filone narrativo verista i-
naugurato da scrittori siciliani quali Capuana,
Verga, De Roberto. Ma di lei nelle antologie
scolastiche non c’è traccia. Un tentativo di ri-
conoscimento sarà l’inserimento negli atti del
convegno “Letteratura siciliana al femminile,
donne scrittrici, donne personaggio” a cura di
Sarah Zappulla Muscarà,-docente dell’ uni-
versità di Magistero di Catania - e la pubbli-
cazione da parte della casa editrice Sellerio di
Palermo di tutti i romanzi e le novelle della
scrittrice, tradotte in diverse lingue e perciò
conosciuta all’estero oltre alle iniziative cul-
turali, che la città di Mistretta le ha tributato.
Diversi sono stati a partire dagli anni Ottanta
gli studi critici su tutta la sua produzione let-
teraria, di cui sono stati approfonditi alcuni
nuclei tematici, soprattutto in un recente stu-
dio di Maria Serena Sapegno, quali il rappor-
to tra società patriarcale e condizione femmi-
nile, coscienza della condizione marginale
della donna e desiderio di libertà, costruzione
di un’identità sociale. 2
L’esordio letterario di Maria Messina è le-
gato ad alcune novelle ambientate a Mistretta,
dove il padre si era trasferito nell’estate del
1903, per cui la scrittrice dovette abbandona-
re la città di Palermo per quel paese di pro-
vincia e nella novelle “L’ideale infranto” e
“Sotto tutela” si può scorgere il disagio della
scrittrice per un ambiente paesano privo di
qualsiasi stimolo culturale: non arrivavano i
giornali, non c’erano biblioteche, teatri, ecc...
quasi a sottolineare la sua insofferenza per
quel mondo popolato oltre che da persone
umili, da figure femminili silenziose e rese
schiave da una cultura maschilista dominante;
nella raccolta di novelle “Pettini fini” (pub-
blicato per la prima volta nel 1909), Maria
Messina ci offre così un affresco del paese di
Mistretta con i suoi umili protagonisti, i loro
vissuti, le vie del paese in cui si rivela l’ at-
taccamento alla scuola verista e il canone
dell’impersonalità difatti Giovanni Verga ne
ricevette una copia dall’autrice in quanto egli
rappresentava per lei una “guida sicura, un
padre da cui ricevere insegnamento e prote-
zione”3 …e da quel momento ha inizio una
corrispondenza col grande scrittore catanese
che durerà una decina d’anni.
Durante i primi anni del Novecento la scrit-
M
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 13
trice si trasferisce ad Ascoli Piceno perché il
padre era stato nominato ispettore scolastico.
Questo è il periodo in cui dalle novelle rusti-
cane la scrittrice passa a quelle di ambienta-
zione borghese. Nelle successive raccolte di
novelle, Le briciole del destino (1918), Il
guinzaglio (1921) e Ragazze siciliane (1921),
il verismo di Maria Messina comincia a spo-
starsi dal mondo rusticano dei "vinti" all’ ana-
lisi della piccola borghesia. Ma i "vinti" sono
per lo più le donne, le quali "non posseggono
la forza di offendere né quella di difendersi":
sia nella condizione di mogli recluse tra le
mura domestiche sia in quella di nubili che
sprecano le loro esistenze sacrificandosi per
gli altri e consumando la propria giovinezza
tra fatiche e lavoro.
Emblematico è il racconto "Casa pater-
na”6, in cui si rivela una struttura compositiva
più matura, in un abile gioco di architettura
letteraria di trama e di intreccio. La protagoni-
sta, Vanna, è una giovane siciliana sposata da
poco tempo ad un avvocato romano, la quale
ritorna alla casa paterna, dopo aver deciso di
lasciare il marito e la città in cui vivono, perché
non sopporta la solitudine e l’ indifferenza sia
della grande città che del marito stesso.
Mentre il viaggio si sta concludendo, la ra-
gazza è sopraffatta dai ricordi della sua infan-
zia e della sua giovinezza, rievoca le speranze
ed i progetti, ritorna a quel nido pensando di
ritrovare la stessa pace e lo stesso amore di
allora: tante cose però sono ormai cambiate, i
fratelli sono sposati, e le cognate non accetta-
no la vergogna che lei porta in famiglia per-
ché ha osato separarsi dal marito, nemmeno il
padre e la madre - ormai succubi delle nuore -
possono più aiutarla e pertanto l’epilogo sarà
tragico.
In questa raccolta è inserita, anche, la no-
vella “L’ora che passa”. La protagonista è
Rosalia, maestra elementare che sacrifica se
stessa per la cura della famiglia, la quale si
trova in condizioni economiche disagiate.
Non riesce ad uscire dal “carcere” del suo
ruolo, dalla non-vita. Questa estraneità a se
stessa rispetto a quella parte di sé che avrebbe
voluto vivere ed amare, invece, di guardarsi
vivere, sembra riecheggiare il personaggio di
Adriano Meis - Pascal, di Luigi Pirandello,
meno giocato però sull’assurdità delle situa-
zione, sul grottesco e sul sottile ragionamento
(che caratterizza le opere pirandelliane) e in
ciò si rivela l’originalità e la linearità dell’arte
narrativa di Maria Messina. Non a caso Leo-
nardo Sciascia, in una nota critica, l’accosta
alla grande scrittrice inglese Katrin Mansfield
definendola una “Mansfield siciliana” forse
perché Maria Messina al pari della Mansfield
riesce a rappresentare con poche immagini un
universo femminile succube dell’egoismo e
del degrado morale di una società maschilista
e sa descrivere con brevi squarci momenti di
vita quotidiana e stati d’animo femminili, resi
dal punto di vista delle tecniche narrative, da
una struttura sintattica semplice e con diversi
ricorsi all’indiretto libero.
Anche la scrittrice Ada Negri dedicò una
prefazione alla raccolta “Le briciole del de-
stino”, cui fa parte la novella “Casa paterna,”
e dell’opera dirà “Tu hai voluto studiare que-
sti cantucci di umanità, che sanno di vecchia
polvere, di vecchi stracci abbandonati, di
vecchie ragnatele, di vecchie lagrime rancide.
Tu vi sei riuscita, piccola sorella Maria”.7
La rassegnazione e l’impossibilità di un ri-
scatto per la condizione femminile sono i
temi dei romanzi, presenti soprattutto in
“Casa del vicolo”. Nei romanzi “Casa del
vicolo”, di cui la Sapegno fornisce chiare
chiavi interpretative e tematiche, e “Amore
negato” si rivela una maggiore maturità
compositiva della scrittrice, difatti in quest’
ultimo romanzo si nota un maggiore scavo
riguardo alle psicologie femminili, e l’ at-
tenzione si sposta verso la città, descriven-
do un ambiente piccolo borghese (il roman-
zo è ambientato ad Ascoli Piceno), in cui si
deve sopravvivere alle difficoltà materiali e
all’estraneità degli affetti. Sembra quasi rie-
cheggiare lo Svevo dei romanzi giovanili, la
cui analisi dell’ inettitudine è più legata all’
inconscio maschile.
È comunque interessante fornire strumenti
interpretativi delle opere di esordio di Maria
Messina, analizzando le cinque novelle che
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 14
la casa editrice Sellerio ha raccolto in un vo-
lume del 1998 dal titolo “Dopo l’inverno”, grazie alle ricerche di Roswita Shoell-
Dombrowsky che le ha raggruppate, poiché
erano state pubblicate in diverse riviste lette-
rarie del primo Novecento.
La novella “Dopo l’inverno” risente della
scuola verista in cui domina la descrizione
dell’ambiente rurale siciliano gravato dalla
miseria, dall’ignoranza degli umili e dal
dramma dell’emigrazione.
Il protagonista, “Ssu Vanni”, un contadino
oppresso dalla povertà, dall’ignoranza tenta,
nonostante gli anni e la salute malferma, di
lavorare in campagna. Ha un solo figlio,
“bello e grande come una bandiera”, il quale
è partito dal paese in primavera con l’ inten-
zione di andare in America.
‘Ssu Vanni, era divenuto per quella solitu-
dine, asprigno ed irascibile,” e se qualcuno
gli si accostava egli se l’aveva a noia”, ave-
va ricevuto, dopo poco tempo dalla partenza
del figlio, alcune lettere. Con l’inizio dell’
inverno quelle lettere non arrivarono più,
quasi a voler simboleggiare la ciclicità delle
stagioni presente nel mito di Persefone e ko-
re. Quando Ade rapisce Core, che stava sot-
toterra, la madre Persefone per la dispera-
zione rende infertile la terra, che non dà più
i suoi frutti (periodo della stagione inverna-
le), e quando Core poteva tornare libera sul-
la terra per sei mesi, la dea la rendeva fertile
e lussureggiante.
A metà inverno, verso l’anno nuovo, dopo
tanto silenzio, arriva una lettera di Turiddu.
E Ssu Vanni, analfabeta, corse dal Rosso, il
falegname, per farsela leggere così seppe
che il figlio era partito dall’America e si tro-
vava a combattere in Turchia, a Bengasi.
La novella, pubblicata nel 1912 nel quin-
dicinale “La Donna”, è ambientata in un
preciso momento storico, quello di Crispi, e
della politica coloniale dell’Italia volta alla
conquista della Libia. Anche il Meridione è
coinvolto in questa propaganda patriottica,
per cui Turiddu combatte per la gloria della
patria. Anche l’atteggiamento dei paesani
cambia nei confronti del contadino che non
sarà più deriso ma rispettato: il figlio è un
eroe, non uno squattrinato in cerca di fortu-
na in America. Quando lo’ Ssu Vanni ap-
prende la notizia che un gruppo di feriti del-
la guerra in Libia erano stati rimpatriati e sa-
rebbero ritornati in paese, inizia a sperare di
poter rivedere Turiddu proprio nel periodo
in cui “il grano accestiva e le rondini torna-
vano a stridere sul cielo luminoso (…) e la
terra sapeva di tanti buoni aromi (ritorna il
mito di Proserpina). Difatti “è festa grande
in paese, in quel pomeriggio odoroso di
primavera per i soldati reduci.” 8 Il conta-
dino che non osava pensare che tra di loro vi
fosse il suo Turiddu, improvvisamente lo
vide tra la folla festante, accolto dalla banda
e dal sindaco del paese che aveva fatto im-
bandire un tavolo nella piazza per onorare i
reduci della guerra “E Ssu Vanni chiedeva
perdono a Dio del corruccio germinato nel
suo cuore di uomo meschino, di uomo che,
roso dalla fatica, non distingue più un bruco
dalla foglia; e ora pensava con gioia che
quel figlio era suo, era sangue suo…”9
La novella “Il violino di Sandro”, pubbli-
cato nel 1913 nello stesso quindicinale, è
centrata sulla psicologia del protagonista, di
nome Sandro, musicista e violoncellista, il
quale, convalescente per una malattia dovuta
a continue febbri debilitati, è costretto alla
quasi inattività.
La sua malinconica quotidianità è interrot-
ta dall’arrivo dei nuovi vicini della casa
gialla: una famiglia che abitava di fronte. La
figlia, era una giovane fanciulla dal viso da
bambina e dai capelli biondi che brillavano
al sole come “pagliuzze d’oro”. Però la se-
parazione tra le due abitazioni era colmata
dalla finestra da cui spesso Sandro si affac-
ciava per osservare le abitudini della fan-
ciulla dirimpettaia. Il giovane, invaso da
mille fantasie ed emozioni verso di lei, cerca
di stabilire un intimo contatto attraverso la
musica “La voce umana del violino si dif-
fondeva nella piazza deserta, saliva verso il
cielo stellato col profumo dei calicanti ,nelle
note lunghe ed appassionate vibrava tutta la
tenerezza contenuta nell’anima romantica
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 15
del convalescente, affinata dalla malattia
…gli occhi di tanto in tanto si levavano a
cercare colei che restava davanti alla fine-
stra aperta”.10
Un giorno mentre il medico parlava som-
messamente con la sorella Clara seppe della
menomazione della ragazza dal viso di
bambina: la sua sordità. La rivelazione lo
fece impallidire e tremare perché aveva cer-
cato di comunicare con lei attraverso l’unica
voce e l’unica parola che potesse esprimere i
suoi nobili sentimenti. Ma lei non aveva po-
tuto sentirli e così, all’improvviso, il ragazzo
decise di uscire dalla stanza. La casa, che
simbolicamente rappresenta la segregazione,
la non vita, l’inazione, la soglia tra ciò che è
conosciuto e” l’altrove” da scoprire e da co-
noscere.
Così Sandro cerca di stabilire un contatto
vero con la fanciulla per manifestarle il suo
amore e lei, se non poté sentire da lontano la
dolcezza di quelle note musicali, poteva ve-
dere ed ascoltare da vicino le parole di San-
dro.
“Vincere” è la più assurda ed anche un po’
grottesca novella di Maria Messina in cui si
avverte il suo pirandellismo. Intanto la storia
ha quasi un impianto teatrale; due spazi in-
terni, i balconi, mettono in relazione due
famiglie nello stesso palazzo baronale. La
moglie del professore di disegno (da poco
trasferitasi in quel luogo) con la signora Pa-
nebianco. La figlia del professore, Carmeli-
na, sarà la novità per il giovane aristocratico
Giorgio, il quale imporrà subito alla ragazza
il suo potere di classe e di maschio “Gioca-
vano a fare il ritratto e le comandava di sta-
re ferma: Carmelina si metteva nella posa
che voleva lui davanti la macchina…, e sul
più bello si allontanava, distratta… Giorgio,
che abituato a essere contentato dalla
mamma, o contrariato dal papà, obbedito
dalla serva, diventava rosso sino alla radice
dei capelli”. 11
Il desiderio adolescenziale di Giorgio di
autonomia dalla famiglia lo portano a fanta-
sticare sul desiderio di sposare Carmelina,
sfidando anche la leggenda di famiglia dello
zio ricco che si suicida perché gli fu impedi-
to di sposare una popolana.
La sottomissione di Carmelina nell’ accet-
tare di sposare Giorgio, spinta da entrambe
le famiglie, la condurrà a recitare il ruolo di
moglie felice ed arrogante - che tutti crede-
vano che fosse, ma che in realtà non lo era.
Giorgio assume il suo ruolo all’intero di una
gerarchia patriarcale e di classe e si occupe-
rà solo delle sue proprietà, trascurando
Carmelina. La donna, cosciente della sua
condizione infelice, girellava attorno alla
vasca del “giardino”. “Certe volte sedeva
sull’orlo. Brutta abitudine quella di sedere
sull’orlo… Andò a finire che un giorno, do-
po averla cercata qua e là nel giardino…
Disgrazia… oppure… ma no! Era stata una
disgrazia! Una donna fortunata come lei! Se
lo dicevano tutti a una voce: le amiche, le
vicine. Che le mancava per essere felice?”12
Un suicidio, una disgrazia, qual è la veri-
tà? Ecco riecheggiare un certo piradellismo,
nel contrasto tra apparenza e verità. Cosa le
mancava per essere felice? Anche Giorgio,
avvisato della disgrazia rispose rinfrancato
“Una casa spezzata… forse non era desti-
no…”
Lo stile e la lingua di queste novelle può
essere definito minimalista, con un ricorso
ad un periodare breve, lontano da complessi
costrutti sintattici. Il linguaggio è colloquia-
le e risente di espressioni del parlato.
Giuseppina Bosco 1 Bartolotta , “ Literary” , studio su Maria Messi-
na.
2 Maria Serena Sapegno, Sulla soglia : la narrativa di Maria Messina, in “altrelettere”, 14-03-2012
3 Bartolotta ibidem
4 Cfr.Palermo, Sandron. 1911. Così scrive al Verga da Ascoli Piceno
5 Bartolotta ibidem
6 M. Messina, Casa paterna. Palermo, Sellerio 1981
7 Bartolotta, ibidem
8 Maria Messina, “Dopo l’inverno”. Sellerio 1998, Palermo, pag 16
9 Maria Messina, ibidem, pag 20
10 Maria Messina, ibidem, pag 25 11 Maria Messina, ibidem, pag 63
12 Maria Messina, ibidem, pag 77
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 16
BENITO POGGIO
58 Canti bilingui di Liliana Porro Andriuoli
SPERTO traduttore dall’inglese di
importanti testi letterari, come dimo-
stra la sua recente versione in lingua
italiana di Spoon River Anthology, accolta
con molto favore dal pubblico e dalla critica,
Benito Poggio si ripresenta ora a noi con un
volume bilingue dal titolo 58 Canti Bilingui
(58 Bilingual Poems), contenente appunto
cinquantotto poesie da lui scritte negli anni,
col testo inglese a fronte. Il volume è suddivi-
so in due parti (Il sapore del tempo / Time’s
Flavour, che è il titolo della Prima parte e In-
capace paguro / Incapable Hermit-Crab,
quello della Seconda).
La prima parte del libro, nella quale si tro-
vano i testi più antichi del Poggio, reca la pre-
fazione di Aldo Capasso, noto critico lettera-
rio, nonché valente poeta, mancato ormai da
parecchi anni (per la precisione, era nato a
Venezia nel 1909 e morì a Cairo Montenotte -
SV - nel 1997). La seconda parte è invece
prefata da Piera Bruno, narratrice, poetessa e
saggista tuttora molto attiva nell’arengo ge-
novese, e contiene le poesie più recenti del
nostro autore.
Nel lodare l’essenzialità delle 21 poesie di
questo primo gruppo Aldo Capasso parlò fra
l’altro, e giustamente, di “poesia dell’ ama-
rezza”; ed infatti l’“amarezza” è un sentimen-
to che subito emerge dai versi de Il sapore del
tempo; e che diviene particolarmente evidente
in poesie quali C’è troppo (There is Too
Much), che inizia: “C’è troppo su cui piange-
re / nel mondo” (“There is too much in the
world / I could cry over”), oppure E l’uomo
invecchia (And Man Grows Old), che ha que-
sto incipit: “E l’uomo invecchia / e ognuno lo
disprezza” (“And man grows old / And ever-
ybody / Him does hate”).
Più acuta si fa poi l’amarezza del poeta al
pensiero degli anni inutilmente “trascorsi”:
“Perché urlate sì forte questa sera / anni tra-
scorsi…”1 (“Why are you shrieking with hor-
ror all night long / O you my past...”2). Ed il
rimpianto per il tempo andato affiora anche
da poesie come E forse un dì (Hopeless Per-
haps, One Day), dove si legge: “… verrò a
cercarti ancora / gioventù spensierata dei
vent’anni” (“I’ll come to look for you / my
youthful years”).
C’è inoltre in questo primo manipolo di po-
esie del Poggio il sentimento incantato dell’
infanzia: “All’improvviso, bimbo, / dalla tua
mano / una nuvola s’è sprigionata / di colori //
Ridevi / dietro la maschera / felice di carne-
vale…”, Le maschere (“At once, my child, /
Out of your hand / Sparks were given off / Of
colours // You, child, were laughing / Your
face behind the mask, Happy…The Carnival /
was at its height in thestreet”, Masks).
Come non mancano in questo primo gruppo
versi intrisi dal sentimento di sofferta solitu-
dine: “Nessuno è solo questa notte ed io / da
1 Da: Perché urlate sì forte questa sera?
2 Da: Why are you shrieking with
horror all night long?
E
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 17
solo veglio”3 (“No man that night alone was
but I / All night I was awake alone”4).
La seconda parte del libro (quella prefata da
Piera Bruno) è di argomento più vario, con-
fluendo in essa anche alcune poesie dedicate
alla donna della sua vita, che è per lui “come
il sole al giorno necessaria / e alla notte la lu-
na”, L’amore per amore dell’amore (“As is
needful the sun to every day serene / and to
every night the silent moon”, Love for Love’s
Sake). Particolarmente significativo è il titolo
di questa poesia (che viene ripreso anche in
un verso del testo) e che, come precisa la
Bruno nella sua Prefazione alla Seconda Parte
della silloge, costituisce davvero “una splen-
dida sintesi” che “dilata i suoi significanti e
coinvolge al di là della vicenda di due perso-
ne amanti”. Un amore rimasto intatto per una
donna che Poggio vede ancora “con gli occhi
dei vent’anni”, De senectute (“With mine
young age’s eyes”, De senectute) e di fronte
alla quale sente destarsi in lui l’antico deside-
rio amoroso (A Luisa … da vecchio / To
Louise … When An Old Man).
Significative sono pure in questa raccolta le
poesie dedicate da Poggio ai figli Federica,
Beatrice e Corrado, ai quali confessa: “Se voi
sapeste / l’ardua, indicibile fatica / d’essere,
per voi, solo padre, / null’altro…”, Ai miei tre
figli (“Oh, if you were acquainted / With the
hard, unutterable exertion / To be, for you,
only father, / Nothing else…”, To my three
Children). Si veda inoltre “Cuore fuggiasco”
(“Fleeing heart”), dedicata alla figlia Bea,
“che viaggia e dipinge” (“Traveller and Pain-
ter”).
Tra le fonti d’ispirazione che Poggio scopre
in questa seconda parte del libro c’è quella
della sua città, Genova, alla quale dedica ver-
si affettuosi e toccanti: “Non più m’ allonta-
nerò da Te, / Genova vecchia e cara!”5 (“No
more, no more from You I’ll go away / Ge-
noa, my old town, my sweet dear home!6);
3 Da: Nessuno è solo questa notte ed io.
4 Da: Not to be a man.
5 Da: Non più.
6 Da: No More.
così come dedica altri versi a Figgino, un pa-
ese dell’entroterra ligure a cui è particolar-
mente legato, poiché in esso può realizzare
appieno la sua comunione con la natura (Quel
rosso sorriso autunnale / That Red Autumnal
Smile).
Tra queste poesie se ne incontra anche una
dedicata a un amico poeta scomparso: Aldo
G.B. Rossi, del quale viene ricordata la sua li-
rica forse più significativa, Émmaus: “La
strada era lunga, ma i Due / trovarono il Ter-
zo Viandante” (Émmaus: “Very long was the
way, but the Two / Met the Third Wayfarer).
Degna di nota è inoltre un’altra breve poesia
dal titolo E se… (And if…), dalla quale affiora
un intimo sentimento religioso “E se… / pro-
fondo il silenzio / nell’animo mio / altro non
fosse / che la presenza di Dio?” (“And if … //
Silence / - So deep in my own soul - /
Weren’t it anything else / But God’s real pre-
sent”), avvalorato anche dalla dedica: “A
Qualcuno” (“To Someone”).
Oltre ad abbracciare gli affetti familiari e il
ricordo di amici scomparsi, la tematica di
questa seconda parte del libro di Benito Pog-
gio abbraccia anche alcuni tragici eventi di
vita contemporanea, come quello di Vittime
astrali (Victims in the Stars), che ha per ar-
gomento il disastro dello Space Shuttle, che si
disintegrò dopo appena un minuto di volo, la
mattina del 28 gennaio 1986; oppure quella
che rievoca la catastrofica eruzione del vul-
cano colombiano Nevado del Ruiz, avvenuta
il 13 novembre 1985: “Assopito da tempo,
s’è svegliato / con fragore improvviso il gran
vulcano / e dovunque fu morte”, Nevado
Ruiz: 13 novembre 1985 (“From time imme-
morial dormant, the great volcano / A lot of
ash threw out with unexpected rumble, /
Spreading death everywhere”, Nevado Ruiz:
November 13th, 1985). Non manca tra queste
pagine nemmeno il ricordo per Martin Luther
King, il grande paladino dell’uguaglianza tra
gli uomini (Ode a Martin Luther King / Ode
to Martin Luther King) e quello per il terribile
attentato alle Torri Gemelle: 11 settembre
2001: Non prevalebunt / 11th, settembre
2001: Non prevalebunt.
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 18
Colpiscono particolarmente in questo libro
le poesie dedicate ad alcuni giovani prematu-
ramente scomparsi, cui Poggio era molto vi-
cino come insegnante. E’ il caso di Alessio,
morto in giovane età, che egli aveva cono-
sciuto quale allievo del Liceo Mazzini di
Sampierdarena: “Tu ci hai lasciati, senza te,
più soli / e in un’angoscia che non avrà fine”,
Al mio allievo Alessio (“You have left us, wi-
thout you, more alone / And in an endless sta-
te of painful anguish”, To Alessio, a Pupil of
Mine). Si leggano anche A Simone: “Simone,
dolce adolescente inquieto, / No non ha retto
il tuo animo puro / Alla falsità e al male del
mondo…” (To Simon: “Simon, sweet-
anxious twink, / No, your poor soul didn’t
stand up / To falsehood and to evil of the
world…”) e A Michele: “Più maturo dei tuoi
quattordici anni, / Sei volato lassù negli alti
cieli / Ove la giovinezza non ha fine” (To Mi-
chael: “As a teenager of a great experience, /
You flew high, in the highest where never
ends / Your neverending, your eternal
youth”).
Da ultimo sono da ricordare le poesie dedi-
cate a Giorgio Caproni e Mario Luzi, due
grandi poeti molto amati da Poggio. La poe-
sia dedicata al primo ha per titolo A Giorgio
Caproni (To Giorgio Caproni) e contiene al-
cuni intensi pensieri sulla poesia: “Non im-
porta che muoiano i poeti: / Ci restano – per
noi – i loro versi / E tu li palpi come palpi i
frutti / Sull’albero e palpi la presenza / D’una
morte che non è morte. // Et Verbum…” (“If
doesn’t matter whether poets die: / Their own
poems still persist for us; / And you feel them
as you touch the fruits / On a tree, and you
feel the presence / Of a quietus that is not a
quietus. // Et Verbum…”). Quella dedicata a
Luzi s’intitola Sapore della mia poesia (Fla-
vour of My Poetry) e costituisce una vera e
propria dichiarazione di poetica: “Poeta è chi
vive le piccole cose; / chi soffre in silenzio e,
sognando, / rimira ogni giorno con occhio ri-
dente / l’inane agitarsi dell’uomo. // Da sem-
pre” (“A poet is he who lives on tiny things; /
He who silently suffers and, on dreaming, /
With smiling eyes every day does gaze / At
man’s useless anxiety. // Always”). Si veda
anche Le mie ricchezze (My Own Riches),
dedicata a Sandro Penna.
A lettura terminata, si ha l’impressione di
aver attraversato quelle che sono le poesie di
una vita, della quale contengono lo slancio e
il ripiegamento interiore, così come il bene ed
il male; ma sempre con quell’aderenza alla
verità umana che è propria di chi desidera pe-
netrare a fondo nei segreti dell’arte dello scri-
vere in versi.
Compiute e fedeli al testo le traduzioni,
come facilmente risulta dagli esempi sopra
riportati.
Liliana Porro Andriuoli BENITO POGGIO: 58 Canti bilingui (AGF Edi-
zioni, Genova, 2015, € 12,00)
LA VENERE DI MILO
Simulacri ritrovano l’aria
dopo secoli di futile oblio.
Plastiche forme sintetizzano il nesso
tra arte e realtà.
Fosti tu a crearla la Venere di Milo
su sembianza di giovane acerba,
amante sensuale al chiarore di luna,
luce che vibra su turgidi seni.
Il chitone drappeggia
le curve linee
sfogo istintivo
di voluttà immaginaria.
Lo scalpello si mosse
sull’onda creativa,
l’occhio fu vigile e sognatore
disegnando a memoria
quel morbido ventre.
Accarezzasti quel marmo
soffiando le mani,
come a portare
desiderio d’amore.
Ti stupisti…
d’innanzi a tanta bellezza
come se degli Dei il frutto
la tua opera fosse.
Colombo Conti Albano Laziale
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 19
EUGENIO MARINO: ANDANDOSENE
SOGNANDO di Carmine Chiodo
UGENIO Marino, responsabile Na-
zionale del Partito Democratico per gli
italiani nel mondo, si occupa anche di
emigrazione: l'autore, laureato in lettere mo-
derne, si è occupato, scrivendo una tesi di
laurea, dei rapporti tra la letteratura e la can-
zone italiana d'autore, concentrando la sua at-
tenzione in particolar modo su Guccini e de
Gregori. Con questo poderoso e ponderoso
libro, che giustamente sta avendo un notevole
successo e nel contempo è stato presentato e
si presenta in varie città italiane ma pure este-
re, Eugenio Marino affronta l'emigrazione
come è stata trattata nella canzone . Ci si tro-
va davanti a un bel libro che presenta sei ca-
pitoli, densi e corposi, e più le conclusioni.
Ne vale veramente la pena leggerlo. Il feno-
meno dell'emigrazione viene dapprima de-
scritto partendo dall'Unità d'Italia alla Repub-
blica, e qui si parla diffusamente dell'emigra-
zione americana e delle canzoni melodram-
matiche; poi si passa ad analizzare il contesto
culturale post-unitario, le traversate fatte con
bastimenti, e ancora le scene della partenza,
scene ovviamente molto malinconiche. Anco-
ra l'emigrazione vista e analizzata nella tradi-
zione napoletana, le "mandulinate e l'emi-
grante", la musica popolare e folck del resto
d'Italia, e poi si passa alla tradizione molisa-
na e qui sono mostrate e analizzate le canzoni
afferenti alla cronaca. Eugenio Marino dei te-
sti delle canzoni non solo studia i temi ma pu-
re le parti più propriamente letterarie, lo stile,
la metrica, e poi ancora il ritmo, le varie te-
matiche. Leggendo il ricco e ben articolato
volume ci imbattiamo in nomi noti della mu-
sica, autori di famose canzoni in cui si parla
di emigranti: ad esempio il celebre artista na-
poletano Renato Carosone. Comunque dai
bastimenti si passa ai "treni del sole". Ecco
ancora un altro grande della canzone italiana:
Domenico Modugno, il celebre Modugno di
"Volare". Ancora ci è dato leggere una fine
analisi che attiene allo stretto legame tra folk,
protesta e politica, il che determina una "can-
zone diversa, alternativa e intellettuale". A
guardar bene il volume ci offre una articolata
storia della canzone italiana, di quella canzo-
ne che parla di emigrazione, di emigranti.
Cosi nel quinto Capitolo "I Cantautori e l'al-
ternativa-politico-morale": si parla degli anni
sessanta e della"Scuola genovese", dei can-
tautori con la solita- canzone amore-cuore; e
anche in queste pagine ci imbattiamo in nomi
arcinoti: Bruno Lauzi, Luigi Tenco di "Ciao,
amore, ciao", e ancora Lucio Battisti, gli anni
Settanta , e ancora Modugno di "Amara terra"
e il calabrese Mino Reitano di "Calabria
mia", e poi ancora l'Equipe84 (con "Casa
mia"), seguono ancora il cantante Rino Gae-
tano, figlio di emigranti e non mancano De
Gregori, Dalla, Edoardo Bennato, Guccini, e
arriviamo agli anni Novanta: Ivan Fossati "tra
emigrazione e viaggio", Edoardo Bennato:
"Ancora treni da Sud a Nord", Mia Martini:
"dal suo Oriente agli immigrati con la faccia
di Dio", e ancora Fabrizio De Andrè. Cosi si
E
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 20
arriva al Duemila e qui ecco Davide Van De
Sfroos e "l'emigrazione attraverso il dialetto
laghèe; Gianmaria Testas: "L'uomo verso,
cantautore impegnato per senso di responsa-
bilità"; Kento: "Sacco e Vanzetti tra rap, emi-
grazione e anarchia"; Brunori Sas: "Dalle
speranze dei bambini anni Ottanta alla crisi
degli adulti del Duemila", e per finire Gual-
tiero Bertelli, veneziano, nato nell'isola della
Giudecca nel 1944, figlio di un operaio e di
una casalinga.
Leggendo il libro si vede pagina dopo pagi-
na come Eugenio Marino con intelligenza e
sensibilità sa leggere e presentare questi testi,
affrontandone le tematiche storico-sociali
connesse alla emigrazione. Insomma storia,
musica, letteratura sono ben fuse tra di loro e
ci danno questo libro che esamina il fenome-
no dell'emigrazione in testi poetici come sono
le canzoni, certe canzoni italiane. Ciò è fatto
per la prima volta, ed è fatto bene, ed è merito
di Eugenio Marino che è stato giustamente
lodato e viene lodato da più parti, da diversi
critici, da storici, giuristi, oratori vari che
hanno presentato questo libro che getta mag-
gior luce sull'emigrazione vista e considerata
in dei testi che sono analizzati da Marino, che
ne mostra le caratteristiche di fondo. Di ogni
artista, di ogni autore e testi son colti la fisio-
nomia, gli elementi importanti ed emergenti,
l'ironia talvolta, l'impegno politico di De
Gregori altre volte e poi ancora quella che
viene chiamata la”Profondità" di De Andrè e
Guccini, ad esempio. Insomma Eugenio Ma-
rino sa penetrare i testi e ci ha dato un libro
esemplare che ci mostra come emigrazione -
e nell'ultima parte del volume - l'immigrazio-
ne sono legate alla canzone. Questo volume
di Eugenio Marino è un testo imprescindibile
nello studio della emigrazione e quindi anche
un contributo nuovo e innovativo. Un libro
che si raccomanda non solo agli specialisti
ma a un più vasto pubblico, a quelli che ama-
no leggere e imparare. Orbene ringraziamo
Eugenio Marino di averci dato un libro im-
portante e di piacevole e utile lettura.
Carmine Chiodo Eugenio Marino, Andandosene sognando: L'emi-
grazione nella canzone italiana. Quaderni sulle e-migrazioni, diretti da Norberto Lombardi, Cosmo
Iannone Editore, Isernia 2014, pp. 389, € 23,00.
ILMIO CUORE SI GONFIA …
Il mio cuore si gonfia se ti penso,
se ricordo la tua figura,
il tuo viso e il tuo sorriso,
se ricordo
la tua dolce voce …
Il mio cuore si gonfia,
e allora
ancora ti sento vivo
nel mio ricordo
e nel mio pensiero.
E allora
ancora vivo con te,
nel tuo ricordo,
nel ricordo di te,
nel pensiero di te,
nel tuo pensiero …
Sei tu che adesso aleggi a me d’intorno
e mi costringi a scrivere ?
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 21
Nella poesia di
FULVIO CAPORALE TRIVIGNO
E TUTTA LA LUCANIA di Leonardo Selvaggi
I
A Lucania tra monti e terre aride con
arcaiche caratteristiche, pare spro-
fondata in tempi che si perdono in
lontananze infinite, tra scoscendimenti e di-
rupi. La troviamo riconoscibile per le sue
asperità, con i calanchi che contrassegnano
le erosioni proprie di terre alluvionali: l’ a-
spetto frustrante di una regione in gran parte
povera, fra anfratti e spaccature uguali a ta-
gli sanguinanti mai rimarginati, voragini a
picco, bocche enormi assetate che paiono di-
laniate, fiumare dai greti pietrosi con acqui-
trini secchi con cortecce di argilla accartoc-
ciate. I versi di Fulvio Caporale con reali-
smo e icasticità, vibranti dal profondo dell’
animo, tra amarezze e scetticismo, fanno
sentire i pensieri tormentati dei grandi meri-
dionalisti, riportano nei contenuti ricordi di
solitudine e di desolazione, stato di abban-
dono e di incomprensione in lunghi periodi
di dominazione che si sono succeduti attra-
verso varie epoche storiche. Il volume “A
Trivigno non nascono bambini” fa notare
che la Lucania è regione depressa non priva
di luoghi ameni e di risorse, di paesaggi di
straordinaria bellezza in azzurri tersi, di
orizzonti incantevoli, soffusi di luce, estesi
all’infinito. Trivigno come tanti paesi e bor-
ghi della Lucania, è semiabbandonata in se-
guito ai massicci esodi verso i grandi centri.
I pochi abitanti rimasti si aggirano fra i vico-
li come ombre di un passato di virtù e labo-
riosità, di grande passione per i mestieri e
nel contempo di fede e di perseveranza. Per
chi vi è nato è un paese tutto vivo nelle an-
sietà e nella speranza di vederlo ritornare at-
tivo come una volta, ci si sente legati con lo
stesso attaccamento di quando con pochi
mezzi si era combattivi tra stenti ed estenua-
zioni continue. Le case, come le vecchie
persone, paiono visi induriti con le rughe,
guardano fisse, da lontano ti riconoscono,
quasi vengono incontro con le braccia tese.
Si ricordano le capacità di industriarsi, il
senso di saggezza e i modi naturali che do-
minavano l’ambiente rurale, ancora oggi
presenti tracce resistenti. Il volume “A Tri-
vigno non nascono bambini” di Fulvio Ca-
porale, poeta e giornalista, ha vastità di sen-
timenti e di memorie storiche: la Lucania tra
personaggi e centri della Magna Grecia e
soprattutto la grandezza di Federico Impera-
tore che ha dato in tempi tenebrosi luce di
vitalità e di progresso. I versi hanno intrecci
di contenuti, fra immagini poetiche in dila-
tazione che prendono realtà, stati psicologici
e impeti di inestricabile amore verso i luoghi
amati. Espressività con solennità ritmica e-
sprimono fremiti e insieme inquietudini.
II
Essenzialità di tempi e di esistenze che ri-
scoprono profondità di energie interiori, figu-
re umane che tengono della primitività e del
magico in una sentimentalità che fa, in un
tutt’uno, vicinanze e pienezza di sé. Vitalità
del passato ritroviamo inestinguibili in fondo
all’animo, nonostante i capovolgimenti di co-
stume che ci travolgono nel nostro tempo.
Storicità e poesia intessuta di principi morali
in Fulvio Caporale, materialità e spirito in un
cerchio unico di intercomunicabilità. La sua
Trivigno, nonostante le fughe verso i centri,
L
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 22
esprime questa specie di monumentalità delle
forme e dei modi di essere che rimangono ra-
dici ramificate inestirpabili: eternità delle tra-
dizioni della vita dell’uomo nella sua fonda
mentalità, genuinità delle affettività in spon-
taneità di legami, “Servi e famigli a riporre i
covoni/sotto tettoie predisposte, donne intente
a governare cucine e lavatoi”. Le pagine del
volume poetico, edito dal Centro Culturale
Studi storici di Eboli nel 2003 in bella veste
tipografica, con illustrazioni fanno evidente la
presenza di coerenti volontà, pronte agli im-
peti generosi in caratteri inflessibili. Il nome
di Lucania nella complessità dei significati
esistenziali, scuote i più latenti moti interiori,
esprime il nostro essere in tutta la sua struttu-
ra, “non evoca foreste, lupi, mostri/...ma lu-
ce...”, una figura di regione esposta a tutti i
cataclismi geologici, con ferite che non si
chiudono e la gente forte nelle tribolazioni e
sempre spinta alle lotte, invincibile e trion-
fante con le più connaturate inclinazioni.
Trivigno, come altri piccoli paesi del Sud,
con i pochi abitanti pare in stretta simbiosi
con i ricordi e quelle costumanze che, nono-
stante la modernità, non si corrompono, l’
intonaco rude è uguale alla semplicità, all’
orgoglio e al senso di dignità. La carne cor-
rosa, macerata dalle angustie, pari alla terra
frantumata dal vento e all’intemperie, come
le pietre radicate, ricoperte di muschio, non
avverte neppure il peso dei malesseri. Per le
persone, testimoni del passato, non è facile
staccarsi dalle matrici che le hanno sostenu-
te e allevate. Fulvio Caporale, direttore della
rivista “La grande Lucania” vede dell’ arca-
no indistruttibile che avvolge Trivigno con i
vicinati, i vicoli e le presenze come mime-
tizzate e stratificate. Un istintivismo tiene in
amalgama, ogni vecchio abitante assomma
tutto quello che è rimasto, incrostato con lo
stesso colore della terra: in altri luoghi ci si
sentirebbe in emanazione, inconsistenti,
tormentati in esilio infinito.
III
Linguaggio incisivo che si esprime in versi
risonanti, levigati e rilucenti, vi si specchia
l’atmosfera fine e assolata delle estati inter-
minabili, con gli spazi ampi in profondità e
in altezza: come estasiati ci eleviamo in pie-
na celestialità e in immensità interminabili,
ci muoviamo “Dove la poiana/cerca cime di
monti a larghi giri”. Gli incanti di notti luna-
ri dentro un cielo in movimento ondeggiante
di armonie, sopra la terra serena e purificata
tra ombre e luci esaltata dallo zirlare con e-
stese sonorità dei grilli. Quadri di universale
mistero che ci hanno inondato nei tempi fe-
lici, facendosi spiritualità diffusa per l’etere.
La Lucania ha tutta una intensità di vita, fra
le più belle regioni del “Sud lontanissimo
d’Italia”, si riconosce subito come geografia
del territorio, frammentata, diversificata, si
avverte una panteistica movimentazione di
presenze inavvertibili, si pensa con la im-
maginazione accesa dei Lucani di incontrare
fauni e ninfe secondo le credenze dell’antica
mitologia. Non manca in Fulvio Caporale
una vena ironica che manifesta una espres-
sività senza retorica, propria di chi, amante
della verità, ha fierezza, indipendenza di spi-
rito. Forza di carattere si rileva fra le perso-
ne che incontriamo a Trivigno e nei borghi
vicini, gente legata a modi di essere del pas-
sato, anche se in una forma poco evidenzia-
ta, ostinazione, senso di sacrificio, di previ-
denza. Le illustrazioni del volume “A Trivi-
gno non nascono bambini” raffigurano le
varie parti dell’abitato e i segni di corri-
spondenza con le persone di altri tempi: la
rusticità significa concretezza, essenzialità
di pensieri e spontaneità, contentezza del
poco. La parsimonia e la moderazione, virtù
diverse da quelle del nostro tempo, tutto im-
prontato al consumismo, all’egoismo esa-
sperato, aberrante, irritante, vanaglorioso.
Le virtù che si leggono sulle pareti, sulle fi-
nestre e sulle porte delle case, un tempo pie-
ne di calore e di senso della famiglia, sono
state proprio dei paesi del passato in ristret-
tezze economiche, in esultanza ed espansivi-
tà, nella vitalità della Natura con le piante e
gli animali, con autosufficienza, con tanta
passione di vivere ed entusiasmo. Oggi la
noia ci rende inetti, non sappiamo che cosa
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 23
vogliamo.
IV
La grande virtù di saper spartire le soffe-
renze, come le sostanze, si può accomunare
con i sentimenti di uguaglianza che abbiamo
tenuto e terremo sempre nei sogni. Le vec-
chie abitanti di Trivigno incartapecorite in
ansia attendono sempre qualche ritorno. La
case paiono vigili come madri che, tutte in-
teriorità e pensieri che non finiscono mai,
sono con le gonne pesanti e calze di lana di
pecora. Tanta collaborazione, ci si sentiva
ravvicinati da una certa sintonia di intenti.
Addosso pesano le instancabili antiche fati-
che. Il focolare ancora è visto come simbolo
di comunanza e di affetti: “...una magia/ ac-
cende mille segni evanescenti,/proiettati sui
muri, a fuoco vivo:/io t’ho già visto,/ cinete-
ca infinita di visioni/e a sonoro/soltanto il
crepitio di brace ardente,/e la voce di non-
na”. Le immagini poetiche di Fulvio Capo-
rale fanno andare a ritroso: tutto un mondo
di illusioni e di vera vita, tanta esuberante
eccitazione. “...il camino d’infanzia era più
grande,/amplificava la mia fantasia”... C’è
dell’antico, ma infiltrazioni di modernità
non mancano. Le terminologie si sovrap-
pongono, quelle odierne sono artificiose, gli
umori e le espressioni che si tengono vive
negli occhi e nei gesti fanno la parte naturale
che non può estirparsi dalla struttura umana.
Quando si ritorna ai propri luoghi si ha la
sensazione che tutto più decrepito si è fatto,
all’intemperie ferrigne le pareti sotto le
piogge scroscianti. Si ritorna con altre espe-
rienze, “... qualche volta quasi inorgogli-
sco/ma a casa mia c’erano i libri”... Nel luo-
go natio persistente è il ritrovarsi in se stes-
si, si risentono le prime forti, dominanti e-
mozioni in pien’aria, in espansione e in esta-
si per tutto quello che si ritrova vicino. Pro-
fondi i segni di esistenza primigenia che
hanno fatto la propria persona. Ci si vede in
un mondo tutto fermo, anche i visi sono
immobili, ti guardano negli occhi. Il primo
vivere forte, tutto penetrato, ci si riveste con
i panni di un tempo, i vecchi legami si ride-
stano in quelli che vengono da lontano: “E
quel dialetto a me ancora più dolce/ora ti ri-
fiorisce sulla bocca,/aulico, antico, a pegno
d’amore!” La lingua del paese, tutta espres-
sività di gesti, di parole a metà, viene da
dentro, quasi con le membra si riversa in
flusso di incontri immediati, spontanei con
l’ambiente. Più dei personaggi, che in Luca-
nia hanno lasciato tracce, forte è la presenza
della gente del passato con la sua storia ve-
ra, autoctona di pazienti attese, di aspirazio-
ni: “...a dimensioni umane:/altri gli eroi ve-
ri:/mamme vestite di nero/come a lutto pe-
renne/e padri sul volto i solchi dei campi,/da
sempre già vecchi, per fatiche,/antica, luca-
na milizia di stenti/a coltivare grano e una
speranza,/senza nemmeno vedere il miraco-
lo”. Nulla si è ottenuto, si comincia di nuovo
a risalire, abbiamo le fatiche di Sisifo per
gran parte dei vecchi poveri paesi.
V
Le identità per tutta una vita integra con
prontezza giorno per giorno ad essere co-
stanti. I racconti nei vicinati, trepidanti e
amorevoli le persone dagli occhi penetranti
che si intenerivano, si stava raggomitolati
sui gradini a raccogliere in grembo tutte le
sensazioni eccitanti, il senso di meraviglia
per fatti strabilianti. Oggi di quelle narrazio-
ni paesane che incutevano timore e nel con-
tempo creavano attrattiva è rimasta “...solo
qualche immagine sbiadita/e vecchie sto-
rie/che nessuno vorrà mai più ascoltare./E
qualcosa si spegne ogni giorno”... I segni di
luce dell’interiorità, fatti di umiltà, di sensi-
bilità fine che va in spiritualità di slanci, di
profondi affanni arrivano dalle figure più
tormentate che danno espressioni di più
stretta appartenenza alla terra d’origine, co-
me fossero i primi virgulti venuti da essa,
dalle parti più sconvolte. Salvatore Scialla-
macante con malformazioni, introspetto,
complessato. “E lui pazzo, almeno questa
volta,/si portava la mano al sopracciglio,/
mimava il gesto di lanciare contro//la tume-
scenza,/che abbruttiva il suo volto”. Le sof-
ferenze, che si sono addensate su certe figu-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 24
re patite, sono le nostre che non avvertiamo
e le deridiamo: trasferite in tanti miseri che
paiono simboli della vita più amara e più ve-
ra. Le poesie in sofferente ebollizione nell’
animo del poeta, fuoriescono denudate con
la semplicità delle case di Trivigno, tutte
avvicinate come in un solo blocco, sono il
paese stesso con i suoi aspetti, senza abbel-
limenti, esprimono quello che si vede, le
crepe come ferite che sanguinano sempre.
Intagliate bene, scandiscono i fremiti, le
passioni, le ansietà dei pochi abitanti che si
sentono come sospesi, fra vicoli gravati di
silenzio e di vuoto. Il volume “A Trivigno
non nascono bambini” di Fulvio Caporale
risveglia le tristizie della mia vita, fatta a
brandelli, esule in altre terre, rimasta sfibrata
anima divisa senza un luogo. Trivigno mi è
nelle profondità del mio essere con le voci
di mia madre che mi accompagnano dovun-
que, ombra e sguardo vivi nelle mie solitu-
dini, nelle mie battagliate ansie di vivere.
Per le strade di Trivigno ossa e polvere di
trapassati, le tracce di mia madre che non si
dileguano mai, ferme nella loro inafferrabile
consistenza. Trivigno più forte dei miei luo-
ghi natii che ho lacerato, tradito, tenuti nella
malinconia della mia assenza, fattesi tetrag-
gini di dissolvimento nei miei arrivi e par-
tenze. Trivigno, paese materno, che risuona
di richiami, la tengo in esilio a macerarsi
poco per volta con le mie membra che non
hanno mai avuto pace.
VI
Per Fulvio Caporale il paese natio è il
grande grembo che è stato il suo nido, dove
si è alimentata la propria persona, attraverso
di esso sono trapassate le storie della gente,
il colore della terra, i fremiti di antichi desi-
deri insoddisfatti. Odio e amore verso i pro-
pri luoghi. I sogni erano diamante, bisogna-
va tenerli nascosti, sono fuggiti dalle mani,
strappati dalla fatalità e dalle negatività che
non hanno saputo capire. Le troppe angustie
hanno fatto nascere spesso la voglia di eva-
dere, di trovare altrove quello che non si è
avuto. Ci si è sentiti barcollare sui ciottoli
messi a caso col muso interrato. Una specie
di agorafobia, non ci si teneva in piedi negli
spazi più aperti, si avvertiva un vuoto che si
faceva stato di ipocondria. Anche gli affetti
irritati dalle fatiche e privazioni. La madre
distratta come la casa scarna e disadorna “di
rado indugiava a sorprendersi/per tenerez-
ze”. Voci stridenti di severo cipiglio, fred-
dezza di modi. Le ristrettezze facevano tene-
re le poche cose con accortezza rigorosa, “la
tua ricchezza/di formica lucana./Io ho attinto
a piene mani:/ma forse volevo/che tu accet-
tassi con un sorriso/qualche mio verso/e la
mia ansia di camminare/anche per strade a
te sconosciute”. Si sentiva il bisogno di
maggiore espansione, di una compenetra-
zione con i propri ferventi moti di un animo
ammorbato. Non si entrava nelle inquietudi-
ni con facilità, arrovellati si era dai pensieri
triti, frammentati che non si aprivano a
maggiori spazi. Tutto questo creava un cir-
colo vizioso, repulsione e attaccamento in-
sieme a persone e luoghi: ci si sentiva inte-
riorizzati e si capiva che le espressività era-
no più volte tacite, che i legami erano me-
scolanze di un insieme. Nella vita del tempo
passato nei paesi depressi del Sud si era ma-
turati tutti, uguali ad ogni età, stesse urgen-
ze, stessi turbamenti. I versi di Fulvio Ca-
porale, oltre le annotate caratterizzazioni,
hanno del drammatico: le immagini si
muovono in recinti chiusi, vanno avanti e
indietro, un senso di libertà freme dentro e
dal tetro si vuole andare verso le “albe
chiare”, che hanno del primigenio, dell’ in-
nocenza, della purezza dei primi anni, su-
scitano risvegli di vita. L’ illusione fa an-
dare sempre lontano, si vede il proprio pae-
se con le sue sotterranee forme sul punto di
scuotersi, le case sentono passi incerti e ra-
ri aggirarsi attorno. Si coglie una visone
d’insieme, come se tutto fosse una figura
animata, una persona che si muove e viene
avanti. Aspetti caratterizzati con intensità,
immobilità che si aprono da un tempo lon-
tano, da un silenzio fatto di impercettibili,
sfuggenti spirituali esistenze.
Leonardo Selvaggi
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 25
XXV EDIZIONE
PREMIO LETTERARIO IN-
TERNAZIONALE
CITTÀ DI POMEZIA 2015 Comunicato Stampa
el ringraziare, per la pubblicità ac-
cordata, le Testate (cartacee e on li-
ne) che hanno pubblicato in tutto o
in parte il Regolamento del Premio, si co-
munica che la Commissione di Lettura del
nostro Periodico, dopo un primo esame delle
opere pervenute, tra il 20 e il 30 giugno 2015
ha selezionato, per le diverse sezioni, i lavo-
ri dei seguenti Autori (ma ricorda che, in ba-
se al regolamento, “Per ogni sezione, qualo-
ra i lavori risultassero scadenti, può decidere
anche la non assegnazione del premio”):
Sezione A (Raccolta inedita, max 500 versi):
Probabilmente sarà poesia, di Isabella Mi-
chela Affinito (Fiuggi Terme, FR); Aurora
di un Giorno Nuovo, di Santo Consoli (Ca-
tania); Odi impetuose, di Filomena Iovinella
(Torino); Donne, di Antonia Izzi Rufo (Ca-
stelnuovo al Volturno, IS); Da Melbourne
con amore, di Giovanna Li Volti Guzzardi
(Australia); Emozioni sparse al vento, di
Anna Trombelli Acquaro (Australia);
Bambini, di Anna Vincitorio (Firenze);
Consapevolvenze, di Lucia Gaddo Zanovel-
lo (Faedo di Cinto Euganeo, PD).
Sezione B (Poesia singola, in lingua, max 35
vv.): “Pensieri negli specchi”, di Emilia Bi-
sesti (Pomezia, RM); “Fanciullino scherzo-
so”, di Mariagina Bonciani (Milano); “Ar-
ruffati pensieri”, di Anna Maria Bonomi
(Roma); “Canto del canarino”, di Claudio
Carbone (Formia, LT); “Mamma, se posso
torno”, di Franco Casadei (Cesena, FC);
“Serena sorge l’alba”, di Tito Cauchi (La-
vinio, RM); “Clochard”, di Nicola China-
glia (Spinimbergo, VR); “...e se non pian-
gi...”, di Angelo Mario Cianfrone (Austra-
lia); “Lamento per la morte di Gina”, di Fa-
bio Dainotti (Cava de’ Tirreni, SA); “In
cerca di pace”, di Maria Turiano Aprile
(Australia).
Sezione C (Poesia singola, in vernacolo,
max 35 vv.): Nessuna poesia selezionata.
Sezione D (Racconto, novella): “La mia
Mamella”, di Maria Coreno (Australia); “Il
viaggio di nozze”, di Elisabetta Di Iaconi
(Roma); “Cassandra”, di Maria Grazia Fer-
raris (Gavirate, VA).
Sezione E (Fiaba): Nessun brano seleziona-
to.
Sezione F (Saggio critico): “Poesia e aspetto
critico”, di Paola Insola (Torino).
Da un successivo esame della Commissio-
ne di Lettura, e a suo insindacabile giudizio,
è scaturita la seguente graduatoria:
Sezione A: 1) Isabella Michela Affinito - la
cui opera verrà pubblicata, gratuitamente,
nei Quaderni Letterari Il Croco (presumi-
bilmente sul supplemento al n. 10 - ottobre
2015 - di Pomezia-Notizie) -; 2, ex aequo)
Filomena Iovinella e Anna Vincitorio; 3, ex
aequo): Sano Consoli e Lucia Gaddo Za-
N
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 26
novello; 4) Anna Trombelli Acquaro; 5°,
ex aequo): Antonia Izzi Rufo e Giovanna Li
Volti Guzzardi.
Sez. B: 1) Fabio Dainotti; 2) Franco Casa-
dei; 3, ex aequo): Nicola Chinaglia, Clau-
dio Carbone, Angelo Mario Cianfrone; 4°
Tito Cauchi; Segnalazione: Mariagina Bon-
ciani.
Sez. C: Non assegnato.
Sez. D: 1) Elisabetta Di Iaconi; 2) Maria
Grazia Ferraris.
Sez. E: Non assegnato.
Sez. F: 1) Paola Insola.
Pomezia, 11 luglio 2015
Domenico Defelice Organizzatore del Premio
e direttore di Pomezia-Notizie Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edi-
zioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Et-
tore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Mara-belli:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Mena-
bò; Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli:
Canti del ritorno; Solange De Bressieux: Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Itinerario
a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di Ar-
thur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde
la memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi;
Giovanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Man-cusi Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che
ho scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni
d’amore; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgi-na Busca Gernetti: L’anima e il lago; Rossano
Onano: Mascara; Fulvio Castellani: Quaderno
sgualcito; Nazario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorello: Voglio silenzio.
POESIA
E ASPETTO CRITICO di Paola Insola
L “DIRE” poetico ha una funzione catar-
tica, sia in relazione al concetto greco di
rito magico della purificazione, sia ri-
guardo all’estetica, facilitando la condizione
interiore che permette il superamento delle
passioni umane.
L’atteggiamento che merita un libro di poe-
sia deve dunque disporre il recensore a “CO-
GLIERE”, oltre al linguaggio, al ritmo, alle
metafore e alla polifonia dei versi, che insie-
me comunicano l’emozione, quel GUAR-
DARE (che sottolinea l’aspetto durativo del
vedere) che gli permette di partecipare al tea-
tro della parola. Se questo avviene, la scena
poetica diventa l’estensione dell’Io, con tutte
le sue possibilità. Provando a codificare la
poliedricità implicita nel linguaggio dell’ au-
tore, il critico si atteggia ad elaborare, in ri-
sposta ad ogni stimolo, caratterizzazioni in-
verse al processo creativo. Credo che l’uomo
creativo, che compendia il suo estro in una
recensione, ri-crei, il messaggio, lasciandosi
afferrare, trascinare nei recessi dell’altro, dal
quale riceve una materia sonora, un corpo e
un’immagine. La parola riemerge dall’ incon-
scio che il poeta ha assorbito nella sua entità
biologica e in quella psichica. Consideriamo
pure che, trovandosi di fronte allo specchio
del proprio immaginario, l’autore abbia pro-
vato a strumentalizzare la parola, inserendo
una cortina di finzione per isolare (o proteg-
gere) la sua essenza interiore. È possibile e
pur vero che, trovandosi ad affrontare il plu-
svalore della significazione, il critico sia im-
pedito a risalire alla trama originaria del pen-
siero, ma seguendo le varie tappe creative
può trovare, col poeta, la sequenza delle e-
mozioni che lo portano a scoprire il senso ce-
lato del (suo) mondo.
La domanda più ovvia di chi si appresta a
vivere il linguaggio della poesia è: “che cos’è
il bello poetico?” Quali sono gli elementi del-
la poesia che ce la fanno considerare bella e
gradevole da leggere e da fruire? Quali ele-
menti sono storicamente determinati univer-
sali?
Sono fattori individuali sui quali ci possia-
mo interrogare oppure sono legati esclusiva-
mente ad un gusto individuale? Entrando nel-
lo specifico il “bello poetico” è legato alla
forma linguistica? Al contenuto, ad entrambi?
Da questi primi, importanti interrogativi, di-
partono altre domande, spesso legate al pro-
blema del contenuto e soprattutto riguardanti
la funzione della poesia. La poesia è o deve
I
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 27
essere “utile”? E utile, in che senso: morale,
universale, individuale?
I veri poeti sanno bene che solo lontano dal
calcolo e dalla fretta è possibile coltivare la
poesia: “Essere artisti - confessa Rainer Ma-
ria Rilke, in un passaggio delle LETTERE A
UN GIOVANE POETA - vuol dire non cal-
colare e contare; maturare come l’albero che
non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle
tempeste di primavera senz’apprensione che
l’estate non possa venire”. I versi non si pie-
gano alla logica della precipitazione e dell’
utile. Anzi, talvolta, come suggerisce il Cira-
no di Edmond Rostand nelle battute finali
delle pièce, l’inutile è necessario per rendere
ogni cosa più bella.
Abbiamo bisogno dell’inutile come abbia-
mo bisogno, per vivere, delle funzioni vitali
essenziali. “La poesia - ci ricorda Ionesco - il
bisogno di immaginare, di creare è fonda-
mentale quanto quello di respirare. Respirare
è vivere e non evadere dalla vita”.
A pensarci bene, però, un’opera d’arte non
chiede di venire al mondo. O meglio, ricor-
rendo ancora ad una splendida riflessione di
Ionesco, l’opera d’arte “chiede di nascere” al-
la stessa maniera di “come il bambino chiede
di nascere; egli nasce per nascere”. Anche l’
opera d’arte (per noi la poesia) nasce per na-
scere, s’impone al suo autore, chiede di esi-
stere senza domandarsi se è richiesta o no,
senza spiegarsi il perché. Questo non toglie
che gli altri possano accoglierla, utilizzarla,
condannarla o distruggerla, che possa adem-
piere o no ad una funzione sociale. Non di-
mentichiamo che la poesia, (in sé) non ha una
funzione sociale, perché è ascritta al suo idea-
tore.
Gli interrogativi ancora incalzano e le ri-
sposte ci arrivano dai poeti: Suggestive le pa-
role pronunciate da Federico Garcia Lorca nel
presentare i versi di Pablo Neruda: “Io vi
consiglio di ascoltare con attenzione questo
gran Poeta e di cercare di commuovervi con
lui; ognuno alla propria maniera”. Ognuno al-
la propria maniera, perché diverse sono le no-
te che fanno vibrare le corde del cuore! E di-
verse sono le corde che ri-suonano nell’altro!
E aggiunge Garcia Lorca: “La poesia richiede
una lunga iniziazione, come qualsiasi sport,
ma c’è nella vera poesia un profumo, un ac-
cento, un tratto luminoso che tutte le creature
possono percepire”. Quindi allenamento, de-
dizione, letture di altri poeti, capacità di sinte-
si e di selezione di ciò che è essenziale, atteg-
giamento critico e ribelle nei confronti di ciò
che fanno tutti, un po’ di sedimentazione per
garantire, nella rilettura, quel ripensamento o
quella conferma, per nutrire “quel granello di
pazzia che tutti portiamo dentro” e senza il
quale sarebbe veramente “imprudente vivere”
(G. Lorca agli studenti, in un’aula dell’ Uni-
versità di Madrid, 1930).
Riguardo l’analisi del linguaggio poetico,
mi pare estremamente utile, quando attuale, la
lettura della prima opera sistematica della
cultura occidentale sulla poesia. “La “Poeti-
ca” di Aristotele ci indica chiaramente la con-
cezione del filosofo greco sulla natura, sulla
funzione e le caratteristiche della poesia. Poe-
sia è per Aristotele imitazione della realtà. Il
poeta imita e rappresenta la realtà con mezzi
che in parte gli sono propri - il verso -, in par-
te sono comuni ad altre arti, come la musica -
il ritmo e l’armonia -. Aristotele distingue poi
la poesia in diversi generi, che permettono di
sviluppare tutti i contenuti possibili e imma-
ginabili.
Di particolare interesse per il nostro di-
scorso è l’analisi che Aristotele fa del lin-
guaggio poetico, che deve essere “chiaro ma
non sciatto” e deve comprendere in giusta
misura vocaboli “ricercati” e non usuali. In
questa classe di vocaboli Aristotele fa rien-
trare anche quelli metaforici. La metafora è
definita come “il trasferimento di un voca-
bolo estraneo, o dal genere alla specie e dal-
la specie al genere, o da una specie ad un’
altra, oppure secondo analogia” (Poetica,
XXI).
Sull’importanza della metafora nel compo-
nimento poetico Aristotele insiste, vedendo,
nella capacità di far metafore, l’elemento che
contraddistingue il buon poeta: “Soltanto ciò
(il saper fare metafore) non si può prendere
da un altro ed è segno di buona predisposi-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 28
zione; il saper fare buone metafore, infatti è
lo stesso che saper vedere il somigliante nelle
cose” (Poetica, XXII).
È pur vero che ci sono poesie che pare elu-
dano le metafore, ma l’atteggiamento che il
critico può disporre è quello di considerare
“altro” il significato suggerito (in modo pro-
blematico, ambiguo) da quel testo. “Quando
una poesia non ha metafore, tutta la poesia è
una metafora” (M. Soreson, poeta rumeno
contemporaneo).
Per De Sanctis il compito del critico non è
quello di valutare l’opera poetica in base alla
sua aderenza a canoni fissi e a regole formali,
e neppure di “spiegarne” il contenuto; invece
di rivivere la vita dell’opera, considerata co-
me un tutto “organico”, “individuale” e “con-
creto”, in cui forma e contenuto sono ideal-
mente inseparabili. Il critico deve “rifare
quello che ha fatto il poeta, rifarlo a suo mo-
do e con altri mezzi” (De Sanctis 1952, vol. 2
p. 90), portare cioè a livello di consapevolez-
za ciò che per il poeta è “opera spontanea del
genio”.
“Ogni opera autentica ha di conseguenza,
quando nasce, l’oscurità disorientante del nu-
vo” (G. Ungaretti, Saggi e scritti vari, 1943 -
1970). Certamente la poesia esprime la natu-
rale verità delle cose, ma si tratta di una verità
artistica, non certo di una passiva imitazione
della realtà. La grandezza dei poeti come
Dante e Leopardi è stata nella loro capacità di
“astrarsi” affermando un’identità assoluta di
forma e contenuto.
Il poeta si identifica con la sua personalità
poetica, cioè del suo approcciarsi alla poesia
che può essere: approssimativa, sommaria,
astrusa o definita. Solo nella poesia definita il
sentimento aderisce al particolare, il limite si
distende nell’infinito. È chiaro che la poesia
deve essere pensata e deve far pensare. “La
poesia vera non è né facile né difficile: è poe-
sia” (G. Ungaretti). È fondamentale la parola,
quando il termine si converte per “quell’alone
d’indeterminatezza che lo circonda, per quel
suo irriducibile margine vago, infinito, anche
se minimo; là è il sogno (...) dove sentimento
e immaginazione possono liberamente spa-
ziare” (G. Ungaretti a proposito di G. Leo-
pardi).
Al critico è concordata l’impressione sog-
gettiva, benché la sua scoperta del testo sia
oggettiva. In questo contesto è chiamato a
“caratterizzare” la poesia, tenendo conto che
il suo giudizio sarà sempre approssimativo
perché la poesia è “ineffabile” e il suo compi-
to è quello di spingere il lettore ad immerger-
si nel nucleo del testo.
Il critico - non asservito alle potenti case e-
ditrici - prende in esame preferibilmente i te-
sti che favoriscono il suo campo d’indagine.
È persona che sa leggere la modernità come
compresenza degli stili, che sa cogliere, nella
poesia, la concatenazione significativa di e-
venti e di azioni. Numerosi, preparati, impe-
gnati, i critici lanciano petali in aria, sperando
non ricadano tutti per terra, che ci sia qualcu-
no che li afferri al volo per far tesoro di quel
velluto, di quei colori, di quel sottile profu-
mo. Vorrei consideraste questa espressione
come un omaggio ad un impegno che si iden-
tifica nella capacità di cogliere i momenti
culminanti dell’intuizione poetica e rende al
poeta il suo contenuto umano.
Paola Insola Torino
1° Premio (Sezione F) alla XXV Edizione del Città di Pomezia 2015.
Paola INSOLA è nata a Livorno Ferraris (VC) nel 1949 e vive a Torino. Ha scritto saggi di letteratu-
ra ed arte e svolto attività critica. Dal 1977 ha par-
tecipato ai concorsi letterari. Premio “Città di Brindisi” (1988); “Rotari, Città di Fucecchio”
(1996); “Formica Nera”, Padova (1998); “Cesare
Pavese”, Grinzane Cavour (2000); “Donne, Eros e altre donne” (2003). È stata finalista, nelle diverse
sezioni del premio “Rhegium Julii” di Reggio Ca-
labria. Ha pubblicato: “Il segreto della crisalide” (1988); “Confluenze” (2000); “Il miele della lu-
na” (2007); “Corimbi” (2007); “Lessico d’amore”
(2012); “Elogio alla mimosa” (2014), opere tutte accolte con entusiasmo dalla critica (solo per “E-
logio alla mimosa”, apparso nei Quaderni Il Cro-
co, ricordiamo gli interventi di: Luigi De Rosa, Innocenza Scerrotta Samà, Tito Cauchi, Roberta
Colazingari, Elisabetta Di Iaconi, Paolangela
Draghetti, Filomena Iovinella, Andrea Pugiotto, Aurora De Luca, Laura Pierdicchi, Maria Anto-
nietta Mòsele eccetera).
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 29
IL VIAGGIO DI NOZZE di Elisabetta Di Iaconi
ER rievocare le care figure dei miei in-
comparabili genitori (scomparsi da ol-
tre un decennio), posso ricorrere, come
accade a tutti, a centinaia di foto, a qualche
lettera, a diversi filmati; o posso ripetere, con
alcuni parenti, fatti e discorsi, il familiare les-
sico che impiegavano, accennando a tratti del
loro carattere e della loro personalità.
Però ciò che mi ha sempre incantata ed e-
mozionata è stato il racconto, più volte ripetu-
to, della gioia che provarono il giorno del loro
matrimonio, dell’entusiasmo con cui partiro-
no per il viaggio di nozze, tanto desiderato e
vagheggiato durante il lungo fidanzamento.
Infatti, solo quando mio padre, continuamen-
te imbarcato come furiere sulle navi, ebbe il
trasferimento a Roma al Ministero della Ma-
rina, si poté fissare la data della cerimonia.
Era il 30 ottobre 1939 e il rito religioso si
svolse in una moderna chiesa del quartiere
Appio.
I miei hanno conservato un’interessante do-
cumentazione dell’evento; ciò mi consente di
stabilire un parallelismo con la realtà odierna.
Sulla partecipazione, accanto alla data, era ri-
portato il numero romano (XVII), anno di-
ciassettesimo dell’era fascista, postilla da
scrivere tassativamente su qualunque attestato
cartaceo.
Erano già forti i venti di guerra, anche se
nessuno sospettava in quei giorni l’arrivo
dell’immane tragedia che stava per sconvol-
gere l’Italia e il mondo intero.
Dopo la messa, fu offerto un rinfresco, fe-
steggiamento nuziale più in voga rispetto al
pranzo con centinaia di invitati. La scelta
cadde su un bel locale (oggi diremmo su una
“location”) di piazza del Popolo: il Caffè Ro-
sati, che esiste ancora.
Il cartoncino del conto ci trasporta in un’
epoca lontana anni-luce dalla nostra . Lo ri-
copio: “F.lli Rosati” (pasticceria, confetteria,
liquori, tea room, sale superiori per rinfreschi,
vini esteri e nazionali, gelati). L’indirizzo è lo
stesso di oggi, mentre il numero di telefono
riporta solo cinque cifre. La somma pagata
per ventisette invitati (£ 12 a persona) fu di £
324. Il servizio era a parte: i due camerieri
ebbero il compenso di £ 46,70, per un totale
di: £ 370,70. Che tempi!
Nell’astuccio di velluto, che protegge questi
amati cimeli, spicca il color rosso mattone del
biglietto ferroviario. Eh sì. Il mezzo di tra-
sporto preferito dagli sposi era il treno.
Le tappe, in genere, erano codificate: sareb-
be stato complicato progettare altri viaggi, sia
per motivi economici che pratici. Le automo-
bili, che tanto facilitano gli spostamenti con i
bambini, in quello scorcio di Novecento era-
no poco diffuse.
Il biglietto speciale Roma-Milano, andata e
ritorno, nominativo e firmato dagli sposi, a-
veva una validità di trenta giorni, e costava £
190. Leggo il timbro di Venezia, stazione di
ritorno, soffermando la mia attenzione sulla
data del 5 novembre 1939. Quel fantastico vi-
aggio, scolpito nell’anima dei due protagoni-
sti, non durò neanche una settimana!
Estraggo dalla custodia tre depliants e tro-
vo: 1° Albergo Ristorante “San Marco”, a 5
metri dalla piazza (Buoni d’Albergo Gruppo
“C”) vicino al ponte dei Dai. Dopo una rapida
P
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 30
ricerca su Internet, scopro che esiste ancora.
E del “Monaco Hotel Meublè” (modernissi-
mo, camere con bagno, acqua corrente calda
e fredda in tutte le camere, raggiungibile con i
tram 4, 17, 25, 26, 27, 38) si troverà una trac-
cia? E l’enorme salone del Grande Ristorante
Toscano “Da Emilio” (via Bossi 5, Milano)
avrà sempre una vetrata al centro del soffitto
e il pavimento a losanghe come nella cartoli-
na? Vengo a sapere, sempre via Internet, che
la stessa cartolina è ancora in vendita presso
una cartolibreria antiquaria e ne deduco che il
ristorante non esiste più.
A questa Italia pacifica, a questi luoghi ove
si soffermarono i miei cari, il conflitto mon-
diale avrebbe arrecato lutti e distruzioni.
Ho ritenuto che fosse il caso di portare alla
luce questi ricordi, perché li considero minu-
scoli tasselli, in parte utili a completare il va-
sto mosaico della storia. Inoltre segnano il
percorso di coloro che mi hanno regalato la
vita.
In questa sorta di museo del cuore mi è dato
di seguire la loro immagine in una dimensio-
ne per me misteriosa: quella che ha preceduto
la mia nascita.
Elisabetta Di Iaconi
1° Premio (Sezione D) al Città di Pomezia 2015.
Elisabetta DI IACONI collabora a riviste (“Sila-
rus”, “Pomezia-Notizie”, “Voce Romana”, “Voci dialettali”, “Romanità”). Frutto di appassionati stu-
di sul dialetto romanesco del Seicento è il libro sul
poeta Giovanni Camillo Peresio (editore Rendina). Ha dato alle stampe le sue poesie, raccolte da de-
cenni (“Quel fremito antico...”) e il romanzo per la
gioventù “Un enigma di quartiere”, oltre alla silloge “Er celo s’arischiara” in dialetto romanesco, non-
ché il quaderno letterario “La chiave ignota”.
CASSANDRA di Maria Grazia Ferraris
ICENE è la città dove si maturerà
il mio destino. L’ho sempre saputo.
Sono arrivata, infine.
Giù, presso la porta dei leoni, sono in attesa
che tutto si compia, trasportata e chiusa in
una cesta di salici, così resistente, come pos-
sono esserlo solo i rami raccolti tanto tempo
fa sulle rive dello Scamandro, il mio fiume, il
fiume amico che non cesso di ricordare.
Guardo con occhi socchiusi, in apparenza
estranea a tutto, questa folla di cittadini greci
che mi osservano incuriositi ed ostili, in un
qualche modo paurosi, quasi la mia fama di
veggente mi avesse preceduta anche tra le
masse della popolazione greca. Vedo irrisione
ed odio nei loro occhi, ma forse è solo timore.
Vedo, vedo, rido, non posso smettere di vede-
re… è questo “il dono”, la maledizione, che
ho avuto da Apollo.
Sono ostili, come è il mio destino di sem-
pre, nei rapporti sociali. Sanno di non poter
controllare i miei pensieri ed il mio riso, che
giudicano un insulto superbo, per questo mi
temono.
Clitennestra, la regina altera, dalle bionde
trecce, osserva dall’alto della terrazza del pa-
lazzo di Micene, con occhi immobili e gelidi,
l’arrivo di Agamennone, il marito bestiale
che, tronfio di successi, sta facendo il suo ri-
torno, immemore dei lutti, delle devastazioni
della guerra di Troia.
Pensa, orgoglioso, solo al suo trionfo in pa-
M
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 31
tria. Il suo successo!
Le è accanto il cupo Egisto, fosco nell’ a-
spetto, trepidante, nero, complice consapevo-
le.
Non sa scegliere gli uomini la regina Cli-
tennestra: questo non è meglio del tozzo ani-
malesco e tronfio marito. Tutto tremore ed
inettitudine.
Una folla di sentimenti tempestosi fanno
rissa dentro di me, che nulla lascio trasparire
pur guardando nel mio sguardo immobile.
Superba e determinata la regina. Neppure un
cenno all’angosciato Egisto. Lo sta misuran-
do con disprezzo, con scherno.
È una donna potente Clitennestra, sicura,
imprendibile. Ha ucciso tenerezza e pietà,
dopo la sconvolgente morte di Ifigenia. La
ammiro. In altre occasioni avremmo potuto
essere amiche.
Orgoglioso e impudico, violento e superfi-
ciale come è sempre stato, il re ritornato infi-
ne, si attende certo grandi festeggiamenti.
Uno stolto toro che non sa di andare al macel-
lo.
Micene si erge alta sulla rupe solitaria, gri-
gia di pietre di contro il cielo smaltato, lucido
di sole. Mezzogiorno senza ombre sul pae-
saggio solitario. Febo saettante immobile nel
cielo.
I papaveri rossi a ciocche tra i sassi annun-
ciano l’estate e nascondono con grazia effi-
mera la violenza nascosta che s’annida nella
vita dell’Acropoli.
Clitennestra non ha dimenticato. Lo vedo,
lo capisco dalla sua postura irrigidita, dal suo
sguardo fulminante eppure lontano, nero.
Quanto nero, nel cielo luminoso di Micene!
Ripensa forse alla sua storia, all’uccisione
del suo primo marito, alle nozze forzate e sa-
crileghe, …al sacrificio, senza neppure il co-
raggio della tragica verità, da vile quale è
sempre stato, della più piccola delle sue fi-
glie, la dolce Ifigenia, indotta a seguire il pa-
dre con la falsa promessa di festosi sponsali
con il fortissimo ed ammirato Achille.
Il passato che non vuol morire. Ifigenia.
Una ferita insanabile tormentosa che non po-
trà mai perdonare.
Agamennone è partito soddisfatto… e pur-
troppo è anche ritornato. Arrogante e vile.
Che cosa si attende da lei? Che abbia di-
menticato? Che lo accetti serena ed ubbidien-
te con la nuova concubina muta e nera che ha
portato con sé orgogliosamente come trofeo
di guerra in quella maledetta cesta di salici?
Il sole di mezzogiorno è infuocato, ferisce
come una lama la pelle nuda: Febo Apollo è
più che mai presente ed immobile sulla rocca.
Regale e gelida, Clitennestra prepara l’ ac-
coglienza fingendo festa e sorpresa.
Ha fatto stendere i tappeti di porpora, degni
degli dei: un vero spreco per un re vigliacco.
Il carro regale si è fermato stridendo alla
porta dei leoni, la porta gira sui cardini ed il
carro sale lentamente seguendo le giravolte
del terreno scosceso.
Clitennestra in piedi, immobile, guarda: non
è altro che uno straniero che avanza, pensa,
un nemico che si crede un padrone atteso con
gioia. Avrà il giusto compimento della sua
sorte.
Febo Apollo saetta il meriggio acceso di
Micene la tragica.
Che dono terribile mi ha fatto il dio! Perché
ho voluto a tutti i costi la preveggenza?
Volevo parlare con la mia voce, senza la me-
diazione maschile. Era il massimo per una
donna, a Troia, anche per una figlia di re. Pu-
ra superbia, la mia.
In fondo, lo so, ho voluto il potere, domi-
nare i sentimenti, non essere schiava delle
emozioni, dell’amore, della paura, della tene-
rezza, della pietà… quello che come donna
non mi sarebbe mai stato concesso…Non sa-
pevo, non valutavo, che questo dono è mor-
tale.
Io vedo: vedo dove gli altri, tutti gli altri,
chiudono gli occhi. Solo in questo sta la mia
preveggenza tanto temuta.
Ho visto Troia e tutto quello che in essa ac-
cadeva e mutava senza che gli uomini, ciechi,
ne avessero consapevolezza. Ho visto il padre
Priamo da re diventare tiranno per maschera-
re la sua debolezza, la sua stanchezza, la sua
incapacità di reggere al dolore.
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 32
Ho visto mia madre Ecuba impazzire di do-
lore dopo la morte di Ettore, il suo preferito.
Vedo il limite tra invisibile e visibile e lo
supero. Non so stare dentro di me, non so sot-
tomettermi al palazzo e alle sue leggi. Io ve-
do.
Il mio ruolo era dire no. No, come il mio ul-
timo inutile dire: -Non allargate le mura,
quello non è un cavallo per Atena, è la nostra
tomba!- dissi.
Risero i miei concittadini, vincitori. Che
temevo? Achille non era più, il campo era de-
serto, i Greci lontani sulle loro navi verso la
casa! Inutile ogni scongiuro, ogni invito, ogni
accento.
Pazza: ero solo una pazza. Ed allora male-
dissi il mio dono, quel velenoso dono di A-
pollo.
Sto, nera e silenziosa, accucciata, seduta
sotto l’arco del grande cortile; sono consape-
vole di essere in un palazzo-sepolcro.
Taccio ormai da tempo, scura, orfana e
schiava, inascoltata. È inutile che palesi le
mie premonizioni, lo so: non saranno ascolta-
te. Neppure da questo popolo che mi guarda,
aspettando.
Se dicessi che cosa li aspetta, mi dilanie-
rebbero subito, ora e qui.
Benché schiava ed esiliata, non maledico né
la causa prima, il ratto di Elena, né la mia sor-
te, né il superbo vincitore, né la mia condi-
zione. E non per orgoglio, ma perché so vede-
re: questo è il mio dono che vorrei non aver
avuto.
Forse è migliore la sorte di Andromaca che,
perso Ettore, si è abbandonata al pianto senza
conforto, alla disperazione inerme, come
qualsiasi donna innamorata e vedova, senza
valutare la sorte della schiava. Solo una don-
na debole ed infelice.
Ho dovuto accettare con disgusto l’ amples-
so del re mortale, proprio io che ho rifiutato
quello col dio…Io che ho amato fin nel pro-
fondo Enea, l’uomo forte, buono, generoso,
tenero e clemente, … l’uomo dal destino se-
gnato e che non poteva condividere con me.
Lo sapevo, come sempre.
Se chiudo gli occhi mi torna alla mente
questo terribile viaggio, questa coabitazione
forzata col toro tracotante, lo stupro, le tem-
peste superate, il mare impazzito, le sue invo-
cazioni tremanti perché intercedessi con Net-
tuno, le sbornie, gli amplessi, il vomito in cui
si trascinava… uno schifo che mi sembrava
non poter sopportare.
Come capisco Clitennestra! Che alleata, che
amica, avrebbe potuto essere!
Anche per me la sorte sta per concludersi.
So che non è colpa dei Greci, neppure del
bestiale Achille, né dell’astuto Ulisse: è anco-
ra la punizione del dio che si abbatte inesora-
bile su di me e su quello che mi sta intorno.
Ah, la mia infanzia protetta dentro le mura
di Troia, l’amore di Priamo, il padre che mi
poneva in cima alle sue figlie predilette, alla
pari coi figli maschi, la severità di Ecuba, che
preoccupata intuiva un destino crudele per
me, orgogliosa ed incapace di obbedire! E
Troilo, il fratello più tenero, ucciso dal vo-
glioso Achille, figlio di dea, e il fantasma di
Elena, la donna più bella del mondo, la causa,
si diceva con risentimento e odio, della guer-
ra…mai davvero giunta entro le mura di Tro-
ia, Elena…, che Paride perse nel viaggio, in
una tappa nel lontano Egitto…, un fantasma
che invano cercai di esorcizzare, ristabilendo
la verità, mai creduta, come è stato sempre il
mio destino.
Il dono di vedere: perché ho voluto conqui-
starlo?
Sento l’urlo bestiale del re che si strozza là
nella stanza del bagno purificatore.
La vendetta di Clitennestra si è consumata.
Ora è arrivato il mio turno.
Mi alzo e mi dirigo sicura verso quelle
stanze fatali, verso quella voce strozzata che
muore.
Nessuna emozione scomposta. Tutto deve
compiersi, come inutilmente ben so, come
sempre inascoltata, muta come se non avessi
voce, come se il mio urlo fosse completamen-
te senza suono.
Ah! Non è la vendetta di Clitennestra, or-
gogliosa figlia di re, sorella di Elena, moglie
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 33
offesa, madre disperata! È la vendetta di A-
pollo che saetta dall’alto dell’Acropoli i suoi
raggi luminosi, splendenti come le lame dei
coltelli che penetrano dentro di me.
I papaveri sono diventati sangue nelle mie
stanche pupille. Tutto è sangue.
Il tramonto rosso declina nel nero, come
l’ultima sera a Troia. Le buie ombre della se-
ra mi raggiungono, mi abitano…
Mi accascio finalmente: definitivamente
arresa, vinta, al dio della luce.
Maria Grazia Ferraris Gavirate (VA)
2° Premio (Sezione D) al Città di Pomezia 2015.
Maria Grazia FERRARIS vive a Gavirate (VA), ha insegnato letteratura italiana e storia nelle scuole
medie superiori, si occupa di critica letteraria ed in
particolare studia il contributo della scrittura fem-minile del Novecento. Ha pubblicato articoli di cri-
tica letteraria sulle riviste del territorio varesino e sul web. È collaboratrice del blog letterario Alla
volta di Lèucade (nazariopardini.blogspot.it) Ha
pubblicato: “”Di Terra e di acque, Aprile di fiori”, poesie (2013), “Lettere mai spedite”, racconti
(2009), “Occhi di donne” racconti (2012), “G. Ro-
dari, un fantastico uomo di lago” (2010). È finalista
in concorsi letterari e poetici. Alcune delle sue poe-
sie e dei suoi racconti sono stati pubblicati in volu-
mi antologici.
LA MIA MAMELLA di Maria Coreno
PESSO andavo da Piedi di Serra a Co-
reno per trovare mamella (nonna) Ma-
ria, di soprannome Ponteleone, la quale
abitava agli Ore.
Trascorrevo con lei anche delle lunghe va-
canze poiché mi piaceva tanto dividere il
tempo con lei e sentivo di volerle molto bene:
mi dava l'affetto e le carezze che in casa mia
mancavano. Forse le nonne ed i nonni esisto-
no proprio per questo motivo, per rimediare
alle dimenticanze dei genitori! In questo sen-
so mamella mi appariva una "fata magica."
Di ricordi ne ho tanti; ma adesso mi preme
raccontare un particolare piccolo evento.
Un giorno, io e mamella Maria, eravamo
nei pressi del pozzo a lavare dei panni spor-
chi.
Veramente, io combinavo poco essendo
piccola, ma pretendevo di essere utile a qual-
cosa. Ad un determinato momento arriva una
donna sconsolata, con le lagrime negli occhi e
con un secchio vuoto. Mia nonna allora subi-
to le chiese: "Cosa ti è successo?" E la donna
(della quale non ricordo il nome e nemmeno
il soprannome) rispose: "Comare Maria, i
pozzi sono tutti chiusi a chiave! Potete darmi
dell'acqua per bere e per cucinare? Fatelo per
l'anima dei morti!"
Al che nonna replicò : "Hanno chiuso i
pozzi?"
La donna: "È la verità, comare Maria! Di-
cono che l'acqua è poca, non ha piovuto da
tanto tempo, come tu sai, e quindi l'acqua la
devono risparmiare per loro stessi!"
Non dimentico mai l'espressione di mamel-
la turbata vistosamente, nell'apprendere la
brutta notizia! Quasi non voleva credere una
cosa del genere...
Intanto, calmandosi disse alla comare (co-
mare per modo di dire!) così: "Il mio pozzo
resterà aperto fino all'ultima goccia d'acqua!
E se resterò senza, farò come stanno ora fa-
cendo gli altri i quali non hanno l'acqua... Io
ho fede, Dio è grande e sicuramente provve-
derà, vedrai comare!"
La donna ancora piangeva, ma stavolta le
sue erano lagrime di consolazione e non più
di disperazione. E così se ne andò via tutta
contenta col secchio pieno d'acqua fresca...
Adesso poteva accudire la sua famiglia, cu-
cinare e lavare i piatti per almeno un altro
giorno! E mentre si allontanava dal pozzo la
comare mormorava con voce gentile: "Che
Dio ti benedica comare Maria; che Dio ti be-
nedica!"
Io avevo appena cinque anni allora, ma
senza meno capivo che nonna aveva fatto
un'opera buona e mi sentivo felice di avere
una nonna così brava, così generosa. Abbrac-
ciai, con tutte le mie forze, le sue gambe e
guardandola dal basso in alto negli occhi le
dissi: "Mamè, io quando mi faccio grande
voglio diventare come te!"
S
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 34
Mi sollevò alla sua altezza, mi fece fare un
giro attorno a se stessa e poi ci lasciammo
andare, contente, in una grande risata! Che
momento magico!
Melbourne, gennaio 2011.
Maria Coreno Selezionato (Sezione D) al Città di Pomezia 2015, ma, poi, in seconda lettura, escluso, perché s’è sco-
perto che lo stesso brano ha partecipato all’edizione
del 2012 e pubblicato sul numero di agosto di P. N. di quello stesso anno.
MARIA CORENO è nata a Coreno Ausonio, Fro-
sinone, il 2 giugno 1941. Dal 1956 si trova in Au-
stralia. E' madre di 4 figli e nonna di 6 nipoti. Vive
a Pascoe Vale, Melbourne. Ama cantare, ballare,
recitare e scrivere. Fa parte del Gruppo Folk Sicilia Bella e della compagnia il PICCOLO TEATRO DI
MELBOURNE. L'anno scorso al concorso
A.L.I.A.S. nella Sezione Narrativa, ha vinto il Pre-mio Speciale Moonee Valley City Council. Ringra-
zia l'A.L.I.A.S. per averle dato l'opportunità di pro-
vare, di allungare i primi passi nel viale misterioso della poesia. Fa parte del coro A.L.I.A.S. e non
manca mai agli incontri in sede.
IN CERCA DI PACE
Fu opera della solitudine
se ho creduto di sognare,
distrugge ogni cosa cara
la voce del mio silenzio.
È ormai un lontano ricordo
l’amore che nasce in famiglia,
immaturi sono nati i genitori
rinchiusi in quel mondo di fiabe,
sono piccoli eterni bambini
i figli di questi signori,
ma che dire sul contesto amicizia
dove esiste soltanto gelosia,
creata dalla perfida cattiveria
a questa triste realtà,
anche il gallo non canta al mattino,
così siamo soli in cerca di pace.
Abbiamo esasperato la natura,
violata e calpestata
e da noi tutti contaminata,
poi le stagioni quasi cancellate,
trema la terra con tanta rabbia,
spezza alberi e distrugge monti
accartocciando ogni cosa al suo passare,
al fine di arrivare al nostro buon senso
per dare un nuovo volto a questo mondo,
fatto d’amore e grande rispetto,
così da unire tutti noi
a una sincera eterna fratellanza.
Maria Turiano Aprile Melbourne – Victoria - Australia
Selezionata (Sezione B) al Città di Pomezia 2015. Maria Turiano Aprile, nata a Francofonte, Siracusa,
il 27 – 11 – 1947. Titolo di studio: Primo Liceo
Classico. Lavoro: Attività propria nel campo dell’abbigliamento al 148 Union RD. Ascot Vale,
Melbourne. Coniugata con un figlio e due nipotini.
Per quattro anni ha partecipato al concorso per poe-ti di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, sempre
classificata fra le sei finaliste. Otto anni fa, al suo
primo concorso A.L.I.A.S. si è guadagnata il Pre-mio Speciale del Comune di Moonee Valley. Sette
anni fa, la Menzione d’Onore. Sei anni fa, la Me-
daglia del CRASES di Palermo. Cinque anni fa, ha vinto il Premio Speciale Medaglia d’Argento del
Papa. Quattro anni fa, tre anni fa, due anni fa e l’
anno scorso Menzione d’Onore poesia e narrativa. Fa parte del Coro A.L.I.A.S. È una grande affezio-
nata sostenitrice dell’A.L.I.A.S. e non manca mai
agli incontri in sede.
LAMENTO PER LA MORTE DI GINA
Mamma? È là, che prepara un po’ di cena
Pascoli
Porque te has muerto para siempre
Lorca
Scomparso già nel teschio
Ungaretti
O immaginata a lungo come un mito
Saba
E di quell’altra volta mi ricordo
Sbarbaro
Ora che stai distesa col bel viso cereo,
che scompare nel teschio,
non ti potrò vedere, né parlare
mai più,
perché sei morta per sempre.
Per me più non c’è la tua casa,
con l’albero piantato dal nonno nel giardino,
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 35
dove potevo arrivare senza preavviso, e a-
vresti
riso di contentezza nel vedermi.
Dove studiavo, dove
scrivevo, sognavo;
dove mi rifugiavo da malato.
Dove mi avresti chiesto le ultime novità,
preparando, in cucina, un po’ di cena,
e avresti rievocato i vecchi tempi.
Ai vecchi tempi ti scrivevo lettere,
come se fossi un’amica lontana,
come se fossi la mia fidanzata,
come se fossi la mia madre buona.
Volevi conversare fino a tardi,
volevi sapere tutto dei miei amori,
volevi raccontare i tuoi problemi
(tua suocera, la madre di lei in casa),
volevi che io ammirassi il tuo benessere
di donna ricca, moglie
del medico condotto del paese.
Però vivevi come una reclusa nella grande
villa,
in un paese che non era il tuo
e ora vivi sotto terra, sola.
Fabio Dainotti Cava de’ Tirreni (SA)
1° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2015. Fabio DAINOTTI vive a Cava de’ Tirreni (Sa),
dove ha insegnato, facendo parte del Comitato
culturale e del Comitato per le onorificenze del Comune. Presidente onorario della Lectura Dantis
Metelliana, che ha diretto a lungo, ha tenuto lettu-
re di canti del “Paradiso”. Condirige l’annuario tematico di poesia e teoria “Il pensiero poetante”.
Sue poesie sono state ospitate in antologie, come
“Il verso all’infinito”, Marsilio Editore, 1999 e “Poesie d’amore”, Demetra, 2000; e su riviste di
settore come “Gradiva”. Ha pubblicato presso
Bulzoni il vol. “Gli ultimi canti del Purgatorio”. Di prossima pubblicazione l’ “Antiparadiso”. Ha
a suo attivo alcuni libri di poesia, tra cui “L’ A-
raldo nello specchio”, prefazione di Francesco D’ Episcopo, Avagliano, 1996; “Sera”, con un dise-
gno di Salvatore Carbone, Pulcinoelefante, 1997.
Articoli di carattere culturale sono apparsi su quo-tidiani come “Cronache del Mezzogiorno” e su ri-
viste, come “Misure critiche” e “Pomezia- Noti-
zie”.
ARRUFFATI PENSIERI
Questo andare e tornare
sempre uguale
nell’ inutile vacuità
di un giorno eterno.
Incerti passi
marcano incessanti
lo stesso cammino.
Fiumi di parole sconnesse
ripetute all’ infinito
senza trovare una conclusione.
Spento e morto il sorriso,
niente dell’ antica persona,
solo scheletri di ombre
si aggirano nell’ aria.
E tu assisti impotente
senza più forza
allo sgretolamento
della sua mente.
Anna Maria Bonomi Roma
Poesia meritevole di premio (Sezione B) al Città di
Pomezia 2015, ma, in seconda lettura, esclusa, per-
ché, per regolamento, l’Autrice non avrebbe potuto
partecipare alla stessa sezione, avendola già vinta
nel 2014.
Anna Maria BONOMI è nata a Roma, dove risiede. Ha vissuto anche ad Artena e a Pisa. Laureata in
Pedagogia e specializzata come Consigliere peda-
gogico. Ha insegnato fino al 2003. Si è interessata di poesia in vari periodi della sua vita. Negli ultimi
anni ha partecipato agli incontri dei “Poeti al Caf-
fè”, Centro letterario romano. Ha pubblicato alcuni saggi critici e poesie su riviste, come Pomezia-
Notizie. Suoi elaborati figurano nelle belle antolo-
gie curate annualmente da “Poeti al Caffè”.
SERENA SORGE L’ALBA
(8 marzo 2015)
Otto marzo: festa della donna.
Ma leggiamo sul viso delle donne
un eterno perché, senza risposta.
Nuda e terrorizzata, è timorosa
oggetto di sacrificio o sacerdotessa
urla accerchiata da uccelli neri
come avvoltoi, d’un destino segnato.
Nebbia che ti toglie il respiro, cielo
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 36
scuro, rischiarato appena dalla luna.
Distesa su un letto di rocce fra detriti
travolti dal fiume, un rifiuto come altri
sguardo stralunato, vittima o
complice di un serpente lascivo.
Non profuma di rosa, non di viola adorna
ma la mantella ne porta il colore
su rocce aguzze e inviolata e fredda neve
una aurora metafisica l’accoglie.
Quale festa celebriamo, quali donne
portano primavera o un ramo di mimosa.
Questi non sono tempi di poesia
ma questo è tempo, è tempo che tu veda
l’alba sorgere serena perché tu lo sei.
Tito Cauchi Lavinio, RM
4° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.
Tito CAUCHI, nato l’ 11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma).
Ha svolto varie attività professionali ed è stato do-
cente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubbli-cazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchi-
glia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003),
“Isola di cielo” (2005), “Calendario dei poeti” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobale-
no” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima”
(2012), Palcoscenico” (2014). Monografia “Miche-le Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (2014).
Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone”
(2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Ange-lone” (2010). Ha inoltre curato la pubblicazione di
alcune opere di altri autori; ha partecipato a presen-
tazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’ aperto. E’ incluso in alcune antologie poetiche, in
antologie critiche, in volumi di “Storia della lettera-
tura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e
2013) ed in altri ancora; collabora con molte riviste
e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ot-tenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero
ed è stato insignito del titolo IWA (International
Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia
Edita Leandro Polverini, giungo alla quarta edizio-
ne (2014).
FANCIULLINO SCHERZOSO …
Fanciullino scherzoso che nel sogno
nel salire le scale verso casa,
impertinente un poco, mi chiedesti,
sorridendo curioso, di mia vita
e degli amori miei …
“Ti parlerò – risposi – giunti in cima
di questa scala” (e intanto
ripercorrendone il corso mi chiedevo
cosa avrei raccontato
e da dove
avrei cominciato…
sempre c’è stato
un amore nella mia vita).
Ma mi sono svegliata.
Forse c’è ancora
molto da vivere e da sognare.
Mariagina Bonciani Milano
Segnalazione (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.
Mariagina BONCIANI vive a Milano dove è nata nell’aprile 1934. Diplomata in Ragioneria nel 1953,
ha sempre prediletto le materie letterarie e le lingue.
Conoscendo il francese e lo spagnolo ed avendo perfezionato soprattutto lo studio dell’ inglese, ha
lavorato, dal 1953 al 1989, come segretaria di dire-
zione, capo ufficio e corrispondente presso tre di-verse ditte nel settore import-export. Ama la lettura,
i viaggi e la musica classica. In pensione dal 1989,
per alcuni anni si è dedicata alla madre inferma, smettendo di viaggiare, ma studiando pianoforte,
russo e greco antico. Non si è mai sposata. Da qual-
che anno ha iniziato a presentare nei concorsi lette-rari le sue poesie, ottenendo sempre riconoscimenti
e premiazioni. Sue poesie sono state pubblicate in
antologie e riviste. Nel 2010 ha pubblicato nei qua-derni “Il Croco” della rivista “Pomezia-Notizie” la
silloge “Campane fiorentine”, accolta con entusia-
smo dalla critica e nel 2011, sempre per “Il Croco”, la silloge “Canti per una mamma”. Nel 2012 è usci-
ta presso le Edizioni Helicon la sua raccolta “Poe-
sie”. Sue poesie vengono regolarmente pubblicate nella suddetta Rivista e su “Silarus”. Vince il primo
premio al concorso “Città di Avellino - Trofeo ver-
so il futuro” 2013 con la silloge “Poesia e musica”. È presente nel volume “Poeti contemporanei -
Forme e tendenze letterarie del XXI Secolo”
(2014), a cura di Giuseppe e Angelo Manitta.
CLOCHARD
Sono un’immagine di luce,
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 37
una goccia d’acqua
un granello di sabbia
un cole che risplende
per poi svanire.
Sono un fragile verso maturato
con le ore e le proprie emozioni,
alla sera risplendo fra le stelle
per poi mescolarmi con polvere
e lacrime di rugiada.
Sono un bambino che sogna
ancora il paradiso perfetto,
una matita che tratteggia sagome d’ombra
una penna pronta a dar voce al silenzio.
Sono il sarto del proprio vestito,
mi confondo tra i passi della folla,
credo ancora nei colori del domani
nel caldo progredire dei pensieri.
Sono un’entità avvolta nel mistero
materia di un attuale presente,
domani sarò solo un’illusione
il mio nome non troverà pace
perché niente è per sempre.
Nicola Chinaglia Verona
3° Premio ex aequo (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.
Ci manca il curriculum di Nicola CHINAGLIA, ma sappiamo che egli scrive non solo in lingua, ma an-
che in dialetto e che ha partecipato a numerosi
premi letterari, piazzandosi sempre a posti di onore.
CANTO DEL CANARINO
Nella stranezza del gelo
la Primavera scompone Dio
in tessere per il tuo mosaico.
Si specchiano nei sogni le preghiere
come ciottoli di fiume
per gli anni che giacciono.
Ecco un richiamo fedele
gorgheggiare a tratti intenso
nella mia prima indifferenza
che vidi nascere con stupore
dai mutamenti del corpo
s’innalza
si proietta fuori
nel silenzio
cullando spazi ridotti.
Claudio Carbone Formia (Lt)
3° Premio ex aequo (Sezione B) al Città di Pomezia
2015. Claudio CARBONE è nato nel 1958 a Gaeta (Lati-
na) e vive a Formia. Poeta e pittore ha pubblicato le
seguenti raccolte di poesie: “O Laureat” (1988), “Al posto delle rose” (2013). Insegnante al Liceo
Scientifico “E. Fermi” di Gaeta ha sempre avuto un
forte interesse per la letteratura e la poesia in parti-colare. Diversi scrittori e poeti hanno mostrato inte-
resse per la sua opera.
“...E SE NON PIANGI...”
(Dante - Inferno - canto 33)
Oh, uomo bianco
nell’Africa Nera!
Aridi seni, straccetti appesi
su manichini d’ossa e pelle nera,
fragili ombre
di pietose madri.
Immensi occhi tristi
e visi spenti
in crani enormi
poco più che teschi.
Rastrelli di costole
su corpi miseri
con arti di ragno
e ventri gonfi
di vecchia fame.
Polvere e mosche
ed avvoltoi pazienti sull’acacia!
Oh, uomo bianco!
“...e se non piangi, di che pianger suoli?”
Angelo Mario Cianfrone Campbelltown, Australia
3° Premio ex aequo (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.
Angelo Mario CIANFRONE, nato nel 1932 in Val di Sangro (Chieti), è emigrato a Torino nel 1952 e
in Australia nel 2012. Medaglia d’Oro come dona-
tore di sangue AVIS nel 1995, ha un totale di 27 mesi (in 4 viaggi) di volontariato in India. Si diletta
a scrivere racconti e poesie dal 2010. Ha vinto al-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 38
cuni premi e ha pubblicato il libro “I racconti del
nonno”.
“MAMMA, SE POSSO TORNO”
(La Grande Guerra sulle Dolomiti)
Nel fienile della vecchia casa, tanti anni fa,
rovistando tra arcolai e rastrelli
coperti dalle ragnatele, trovai un elmo:
un rugginoso elmo della Grande Guerra,
sanguinosamente combattuta fra questi mon-
ti.
Delle trincee delle Tofane
avevo sentito i vecchi più volte raccontare,
ma ciò che mi colpì, di quell’elmo,
fu una scritta, rigata sopra con un coltello:
“Mamma, se posso torno”.
Era la promessa di un soldato,
qualcuno di quella casa, forse già morto.
Compresi l’infinita nostalgia di quei ragazzi
relegati lassù, nel sangue e nella neve.
Ragazzi che, quando taceva il fuoco,
guardavano giù verso la valle.
Cercavano un tetto, il tetto di casa,
dove la madre li aspettava.
“Mamma, se posso torno”.
Quattro parole graffiate sopra un elmo,
come una ferita.
Franco Casadei Cesena (FC)
2° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.
Franco CASADEI, medico, vive e lavora a Cesena.
Ha pubblicato le raccolte di liriche: “I giorni ruvidi
vetri” (2003), “Se non si muore” (2008), “Il bianco
delle vele” (2012). Primo classificato nei premi di poesia: “Ungaretti” (2005), “C. Levi” (2005),
“Giovane Holden” (2008), “Città di Venezia”
(2013), “Calvino” (2013), “C. Pavese” (2013), “G. Gozzano” (di Agliè, 2013), “Città del Tricolore”
(2014). Fra i primi classificati nei premi: “Neruda”
(2006), “D’Annunzio” (2006), “Baudelaire” (2008), “Foscolo” (2009), “D. M. Turoldo” (2011),
“J. Prevert” (2011), “Manzoni” (3011), “Kafla”
(2012), “Ossi di Seppia” (2012), Premio nazionale di “Filosofia”, sez. paradossi (2012), “G. Pascoli”
(di Barga, 2014), “Antonia Pozzi” (2014). Sue poe-
sie sono tradotte in spagnolo e in lingua romena.
Fra gli ideatori de “La poesia nelle case”, proposta
di modalità di divulgazione della poesia in vari luo-ghi della città.
PENSIERI NEGLI SPECCHI
Scivolando per le vie affannanti della città,
rincorsa da molteplici pensieri logoranti,
sono attratta da uno striscione incollato sul
muro
su cui c’è scritto “Ritrova te stesso”.
È un monito che mi entra nell’animo,
è una frase che incute riflessione.
Volti informi dentro specchi infiniti
cercano, scrutano l’appiglio a cui aggrapparsi.
Mattina dopo mattina, il consiglio è sempre là…
Ritrova te stesso.
E allor quando si crede di rotolare
nel baratro della vita,
ed il manifesto è ormai logoro per la pioggia
e per le mani di qualch’uno che non gradisce,
una voce, la voce di un amico poeta,
continua a ripetere di non arrendersi.
Sembra di essere in trincea.
Il freddo nelle ossa
preannuncia l’arrivo di una notte tremenda.
I cecchini sono là e la notte umida è rischiarata
solo dal lumino delle poche cicche
che ci fanno compagnia.
Domani forse molti compagni
cadranno come mosche ai miei piedi,
domani forse non rivedrò mia madre.
Una lettera è tutto ciò che mi distoglie
da questa notte buia.
Tra poco sarà l’alba,
il sibilo della palla di cannone
tornerà a fischiare sulle nostre teste,
amore mio bello spero di tornare,
rigenerata e lontana da questa trincea che è
la vita.
Emilia Bisesti Pomezia (RM)
Poesia meritevole di premio (Sezione B) Al Città di
Pomezia 2015, ma esclusa in seconda lettura perché l’Autrice ha già vinto la stessa Sezione nel 2009.
Emilia BISESTI è nata a Roma il 23 Febbraio
1967. Coniugata è mamma di due ragazzi. Oramai da 25 anni partecipa attivamente alla vita dell’ As-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 39
sociazione Coloni di Pomezia, che si propone di
diffondere la storia e la cultura del territorio. Pre-
senta le tradizionali manifestazioni storico culturali dei Coloni e cura la declamazione delle liriche dei
poeti della Spiga D’Oro, settore artistico della stes-
sa associazione, di cui è coordinatrice dal 1996. Scrive poesie tentando di liberare le più semplici e
segrete emozioni racchiuse nell’intimo; nel prossi-
mo futuro si propone di radunare le poesie “ più si-gnificative ” in una raccolta, la sua prima antologia.
Recentemente ha promosso la mostra d’arte “Ani-
me oltre l’Autismo” , rassegna artistica di proprie poesie e disegni realizzati dal figlio Davide.
ALLA CASTA,
BELLISSIMA MELISENDA
Le ali spiegate sul mare battendo veloci
dal cielo d’oriente i paesi la fama toccò
d’occidente,
il nome e le lodi di Melisenda contessa di
Tripoli
cantando, e nella terra di Francia infin ri-
suonò.
Il cuore di Jaufrè Rudel Eros mirò e d’amore
lo incendiò.
Vuole conoscere Rudello la donna e parte
immantinente.
“Da Cipro avanzando
volteggia la nave latina.
A poppa di febbre anelante
sta il prence di Blaia
e cerca col guardo natante
di Tripoli in alto il castello”.
Nel placido porto arrivati,
“velato di funebre benda
e con sé lo scudo di Blaia”,
così alla contessa Bernardo scudiero:
<<Io vengo messaggio d’amore
io vengo messaggio di morte>>.
Pensosa la donna lo guarda, poi s’alza,
“d’un velo nero s’adombra la faccia” e
<<Andiamo, ov’è che Giaufredo si muore?>>.
Giaceva sotto un bel padiglione Giaufredo
al cospetto del mare
e una dolce canzone cantava.
L’ultima nota ascoltando,
pietosa la donna sostò sull’entrata,
poi di scatto il velo gittando
<<Giaufredo>> ella disse << son qui>>.
“Voltossi, levossi sul petto il morente”,
e gli occhi sull’amato volto fissando,
così mormorò:
<<Contessa, che è mai la vita?
E’ l’ombra d’un sogno fuggente,
il vero immortale è l’amore…
Ed or Melisenda, accomando
a un bacio lo spirto che muor>>.
“La donna sul pallido amante
chinossi recandolo al seno,
tre volte la bocca tremante
col baciò d’amore baciò,
e il sole dal cielo sereno
calando ridente sull’onda
l’effusa di lei chioma bionda
sul morto poeta irraggiò”.
Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno (Is)
Da Donne, 5° Premio (Sezione A) al Città di Po-
mezia 2015.
Antonia Izzi Rufo, definita “ La Poetessa Pentra “ da Mario Di Nezza , “La Ninfa delle Mainarde “ da
Aldo Cervo e “La Saffo italiana” da Luciano Nan-
ni, è un’insegnante in pensione laureata in Pedago-
gia. È nata a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al
Volturno, frazione di Rocchetta (IS). Ha pubblica-
to, finora, oltre sessanta opere (Narrativa, Poesia, Saggistica e altro). Ha ricevuto numerosi ricono-
scimenti letterari. Collabora a note Riviste Cultura-
li. Affermati critici e personalità della cultura na-zionale e internazionale hanno scritto di lei.
COME LA FENICE
Oggi mi afferra la speranza
e cerco di godermi questa stanza,
tanti libri fan bella mostra
e il cuore balla in questa giostra.
La giostra di poeti, scrittori e pittori,
la giostra dell’arte e dei cantori,
la gioia ci prende per mano
e tutti felici in coro cantiamo.
Come la Fenice dalla cenere risorgerò,
mi passeranno gli affanni
e felice in giro me ne andrò,
Osanna al nostro Signore canterò.
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 40
L’A.L.I.A.S. la mia dolce creatura,
sempre bella e grande sarà,
mi riempie il cuore di felicità,
con tutti gli amici di gioia si canterà.
Son triste, ingoio la mia preoccupazione,
son tutta piena di dolori,
non capisco niente,
mi sento sola tra tanta gente.
Mi asciugo gli occhi che mi fanno male,
piangono da soli senza ragione,
scende su di me la disperazione,
ma il mio cuore è stracolmo d’amore!
L’amore per la poesia,
per chi la scrive
e con me corre per tutte le vie!
Giovanna Li Volti Guzzardi Australia, 16 – 9 – 2014
Da Da Melbourne con amore, 5° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2015.
Giovanna LI VOLTI GUZZARDI è nata il 14
febbraio 1943 a Vizzini CT. Nel 1964, insieme al
marito pensò di visitare l’ Australia come secondo
viaggio di nozze e vi rimasero, affascinati da questa
grandiosa isola, che ha alimentato la sua grande passione per lo scrivere. Ha pubblicato i libri di po-
esie: “Il mio mondo” in Italia nel 1983; “Isola az-
zurra” in Australia nel 1990; “VOLERÒ” maggio 2002 – Editrice A.L.I.A. S. Melbourne; “Le mie
due Patrie” (Il Croco/ Pomezia-Notizie, 2012). Nel
2007 “IL GIARDINO DEL CUORE”, Milano. Nel maggio 1992 fonda l’ ACCADEMIA LETTERA-
RIA ITALO AUSTRALIANA SCRITTORI –
“A.L.I.A.S.” Giovanna ha avuto tanti riconosci-menti, tra i più importanti: nel 2003, Medaglia del
Centenario della Federazione Australiana assegnata
dalla Regina Elisabetta II, con gli auguri del Primo Ministro e del Governatore d’ Australia. 2004, invi-
tata in Italia (una settimana a Palermo) per parteci-
pare al Work Shop di Partenariato indetto dal Mini-stero degli Esteri, Roma. Maggio 2005, giorno della
Festa della Repubblica Italiana in Melbourne, il
Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, e controfirmato dal Presidente del Consi-
glio Silvio Berlusconi, le assegna l’alta Onorificen-
za di Cavaliere della Repubblica Italiana OMRI per aver diffuso la lingua italiana in Australia, Italia e
nel mondo, tramite il Concorso Letterario Interna-
zionale A.L.I.A. S. e per aver insegnato la lingua i-
taliana con amore e passione per 25 anni. Sempre
nel 2005 a Palermo le viene consegnato dalla RE-
GIONE SICILIANA l’ importante riconoscimento: SICILIANI NEL MONDO AMBASCIATORI DI
CULTURA, e invitata a ritirarlo di persona con
grandi festeggiamenti. Dicembre 2006 dagli USA: the Board of Directors, Governing Board of Editors
and Publications of the Board American Biograph-
ical Institute do hereby recognize that Giovanna Li Volti Guzzardi Professional Women’s Advisory
Board. Maggio 2007, riconoscimento dal Primo
Ministro d’Australia the Hon. John Howard MP. Settembre 2007, premio “Carretto Siciliano 2007”,
definito l’ Oscar della Sicilianità. Maggio 2008,
The American Biographical Institute, does hereby recognize that Giovanna Li Volti Guzzardi IN-
TERNATIONAL WOMEN’S REVIEW BOARD,
FOUNDING MEMBER. 2008 International Writ-ers and Artists Association, Pres. Teresinka Pereira:
Diploma to certify Giovanna Li Volti Guzzardi is
recognized as THE BEST DAME OF POETS OF AUSTRALIA. 27 Maggio 2009, invitata in Italia
dal CRASES: Centro Regionale Attività Sociocul-turali all’Estero ed in Sicilia. Presidente Gaetano
Beltempo e Vice Presidente Ezio Pagano, in occa-
sione del 40mo Anniversario del CRASES e asse-gnato l’importante riconoscimento, delegata del
CRASES. Ha insegnato italiano ai bambini di ogni
nazionalità, come volontaria per 25 anni. Ma la sua gioia più grande è stare in mezzo a poeti e scrittori,
per questo è riuscita a riunirne tanti, italiani e da
ogni parte del mondo, creando un punto d’incontro nell’Antologia A.L.I.A.S.
VENTO DI PRIMAVERA
Quante volte ho cercato il sole
per riscaldare il mio volto
e la mia anima,
quante volte ho sognato il mio mare
e la vecchia casa natìa
e poi nel buio senza parlare
tenevo i pensieri stretti al cuore,
quante volte mi è venuto il desiderio
di stringerti fra le braccia
lungo il viale sotto gli archi nevosi
dei salici, di quel bosco incantato
che tu amavi e cantavamo
il ritornello di una canzone in voga
da te amata, mamma!
Tu hai amato la vita con gioia
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 41
come i fiori amano la luce del giorno,
amavi l’estate come la terra
ama il calore del sole.
Volevo invecchiare io
per dare a te la giovinezza mia,
ti regalerei tutta l’allegria del cuore
per rivederti sorridere e furtivamente
accarezzo questi pensieri,
come accarezzo in una foto il tuo volto.
Tu sei stata il bene,
la più bella cosa che la vita sa regalare.
Anna Trombelli Acquaro Altona North, Australia
Da Emozioni sparse al vento, 4° Premio (Sezione
A) al Città di Pomezia 2015. Anna TROMBELLI ACQUARO, nata a Bianco -
Reggio Calabria. Emigrò in Australia nel lontano
1958. È molto appassionata a scrivere poesie e rac-conti, ha partecipato a parecchi concorsi letterari ed
ha ricevuto riconoscimenti e premi anche interna-zionali. È stata scoperta dall’A.L.I.A.S. dieci anni
fa, da allora scrive con tanta gioia e partecipa ai
concorsi sia dell’A.L.I.A.S. che internazionali. È una cara collaboratrice e sostenitrice dell’
A.L.I.A.S. Ha pubblicato un libro di poesie nel
1999 con l’A.L.I.A.S. Editrice “Le Mie Poesie”.
Nel 2002 ha pubblicato in Italia un libro di favole
in italiano ed in inglese dal titolo “IL LAGO IN-
CANTATO” ottenendo un lusinghiero successo. Nel 2005 “UN ALITO D’AMORE” poesie, con
A.L.I.A.S. Editrice. Partecipando al concorso
A.L.I.A.S. ha vinto il premio speciale Medaglia d’Argento del Papa Giovanni Paolo II per due volte
e altri primi premi. Nel 2006 ha vinto il Secondo
Premio. Nel 2007 Terzo Premio. nel 2008 Menzio-ne d’Onore. L’anno scorso Premio Speciale Moo-
nee Valley City Council. Nel 2010 Menzione d’
Onore per poesia e narrativa. Nel 2011, Premio Speciale del CRASES – Palermo, per la narrativa e
Menzione d’Onore per la poesia. Nel 2012, Men-
zione d’Onore Poesia, Terzo Premio Narrativa. Nel 2013 Terzo Premio poesia, Secondo Premio Narra-
tiva.
SONO
Mi sono amata per un po’
ammirata tanto a volte
mi sono odiata fino alle stelle
credendo che con loro
sarei rinata
mi sono compatita e ferita
perpetrando nel pensare
che illusione fosse verità
ho gettato le basi per la solitudine
convogliando la mente in un tunnel
lasciando ogni strada
poi di ritorno per un istante
di rientro su quella via
un volto tra i volti mi complimenta
e di quei complimenti mi faccio lustro
elogio degli elogi
in mezzo ad una via
specchio di chi sono
aspettando il sono
che mi manca
da tutta una vita
sentendo che il tempo
non mi cambia
non mitiga
non stravolge.
Filomena Iovinella Torino
Da Odi impetuose, 2° Premio (Sezione A) al Città
di Pomezia 2015. Nata a Frattaminore, in provincia di Napoli, Filo-
mena IOVINELLA vive a Torino. Scrive solo da
pochi anni e l’appassionano i testi di filosofia. Ha pubblicato tre racconti: nel 2012 “Traccia di vita”,
nel 2013 “Il ritorno di Stefano”, nel 2013/2014 “L’
eros e la strada”. Segue sempre il suo blog dal titolo “Gli indistinti confini”. Scrive anche poesie, una
delle quali è stata pubblicata in un volume delle E-
dizioni Aletti. Nel 2013, ha vinto la sezione fiaba al Premio Internazionale Città di Pomezia.
CRONACA
L’azzurrità era lì
nella quiete silente
allo zenit del sole
Frinire di cicale
tra le stoppie
Fuoco che brucia
Nella luce radiante
cala a un tratto l’ombra
Nel blu, impalpabile il mistero
incastonato nella tela del ragno
Voci e, all’improvviso,
due braccia e una morsa
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 42
atroce, innaturale
Nemmeno l’incubo il più oscuro
può immaginarne il compimento
La fiducia violata dall’inganno
Vinta l’antica pietà
per l’innocente inerme
Si spegne la luce d’una estate
l’ultima per quell’esile fiore
L’omertà tribale occulta il lutto
nel precipitare improvviso dell’ombra
Per queste ali d’angelo recise
non basterebbe il mare
Solo pietà rimane
alle sue sponde
Anna Vincitorio Firenze, ottobre 2010
Da Bambini, 2° Premio (Sezione A) al Città di Po-
mezia 2015. Anna VINCITORIO è nata a Napoli, ma è vissuta
quasi sempre a Firenze. Studi classici, laurea in
Giurisprudenza. Ha insegnato materie giuridiche. Dal 1974 si occupa di poesia, critica, letteratura,
collaborando a prestigiose riviste letterarie. Tra i
suoi volumi di poesia: “Nebbie e chiarori” (1982); “Trama verde sull’aria” (1986); “Il canto fermo
della fine” (1988); “L’esilio delle tartarughe”
(1991); “I girasoli” (1992); “Alchimie” (1993); “Dissolvenze/flots” (1995); “L’agguato sommerso”
(1997); “Le nozze di Cana” (1999); “L’ultima iso-
la” (2000); “Filastrocche per l’angelo” (2001, ver-sione francese 2010); “La notte del pane” (2004);
“Sognando Estoril” (2007, versione spagnola
2009); “Il richiamo dell’acqua” (2009); “Sussurri” (2013). Prosa: i racconti “San Saba”, dall’inedito
“Il limo di Eva” (1990); “L’Adelina” (1994); “Let-
tera ad un amico” (1996); “Ermanno” (1996) e poi “Il limo di Eva” (2010); “Per vivere ancora”
(2012). Numerosi saggi critici e traduzioni.
“ Pagine di alberi “.
Bisogna recarsi
là dove essi si esprimono
tra mille specie di uccelli
e tante virgole che sanno
disporre tra una stagione
e un anno che vede crescere
le loro pagine. Differenziati
fogli con la scrittura dai
tanti rotondi, non indicano
la vetustà degli alberi, non è
una simbologia, scrivono
così da millenni in pochi
sanno capire quei discorsi
incerchiati. Diffingo
per sentire la loro voce
che spiega la strana
scrittura, cos’è che hanno
redatto e perché? Non è
vero che non hanno occhi
e non vedono le epoche,
sanno tutto e poi scrivono
solleticati nelle foglie
escono dalla concentrazione,
se ci fosse un fiume
vicino tradurrebbero anche
la sua gorgogliante voce.
Di tutto questo c’è
un libro? No, sta solo
nelle loro pagine intraviste
qua e là sopra cappelli
di funghi e margherite
inclinate, fiori di bosco
e fili d’erba schiacciati, c’è
un albero-padre che corregge
gli errori di tutti raccoglie
le pagine e poi torna sul
posto a fare finta che
nessuno si è mosso.
Isabella Michela Affinito Fiuggi Terme (FR)
Da Probabilmente sarà poesia (Iniziano tutte con la P), 1° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia
2015.
Di origini pugliesi da parte di madre, Isabella Mi-
chela AFFINITO è nata in Ciociaria il 22 novembre
1967 e si sente donna del Sud. Risiede a Fiuggi
Terme. Ha frequentato e completato scuole artisti-che anche a livello universitario, quale l’ Accade-
mia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987
- 1991, al termine della quale si è specializzata in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo con-
to, approfondendo la storia e la critica d’arte, lette-
raria e cinematografica, l’antiquariato, la fotografia, la storia del teatro, la filosofia, l’egittologia, la sto-
ria in generale, la poesia e la saggistica. Nel 1997
ha iniziato a prendere parte ai concorsi artistico-letterari delle varie regioni italiane e in seguito ha
partecipato anche a quelli fuori dei confini d’ Italia,
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 43
tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Lette-
raria Italo-Australiana Scrittori di Melbourne. Pri-
mi Premi vinti alla IV Edizione “San Teodoro” di Nicola Calabria (Messina, 1999), al Concorso dell’
Accademia Universale ‘Neapolis’, sezione saggisti-
ca ((2000), alla V Edizione “Peltuinum” di Poesia (2002), al Concorso “Una poesia per Maribruna
Toni” de “Il Foglio leterario” (Piombino, 2002).
Secondi premi: XXXIIIa edizione “Silarus” Batti-paglia (poesia, 2001), 12° Edizione “Rosario Picco-
lo” (Patti, 2001), 18° Edizione Gran Premio Inter-
nazionale d’Arte e Cultura InterArte (saggistica, 2001) e poi ancora terzi e altri premi. Ha reso edite
quasi 50 raccolte di poesie e un volume di critiche
letterarie, dove ha preso in esame opere di autori del nostro panorama contemporaneo culturale e so-
vente si è soffermata sul tema della donna, del suo
ruolo nella società odierno del passato, delle pro-blematiche legate alla sua travagliata emancipazio-
ne. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripro-
pone le infinite donne da lei ritratte nei versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inseri-
ta in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8
Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Clu-
vium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) ecce-tera. Sempre sul tema della donna ha scritto un sag-
gio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademi-
ca, Senatrice dell’Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte
riviste, è presente in Internet con sue vetrine poeti-
che. Esprime la sua creatività anche in settori come la critica d’arte e letteraria. Scrittrice e collaboratri-
ce di riviste con articoli su cinema, teatrro, astrolo-
gia, arte. Disegna copertine di libri.
LA QUETE DELLA SERA
La sera era quieta
ma ti sentivi dentro al petto
un vento tempestoso.
Temevi di non avere amore
dentro la tua anima,
ma si stava avvicinando,
innamorata,
la Primavera.
Scavalcava le siepi
per giungere a te,
memore di averti un giorno
abbandonato.
Nuove erano
le ore che ti portava in dono,
piene di spighe fiorite.
Nuovi sogni potrai
continuare a sognare.
Tornava per ridonarti
l’amore perduto
e le favole di un tempo.
Santo Consoli Catania
Da Aurora di un Giorno Nuovo, 3° Premio (Sezio-
ne A) al Città di Pomezia 2015 Santo CONSOLI nasce a Misterbianco (CT) nel
1946. Conseguita la Laurea, si trasferisce in Veneto
e inizia la sua carriera di docente, insegnando per quasi un trentennio Lingua e Letteratura Inglese nel
Liceo Scientifico di Dolo e negli Istituti Superiori
di Mestre e Venezia. Dopo il ritorno in Sicilia, ini-zia, dal 2005, la sua attività poetica e la partecipa-
zione ai Concorsi, arrivando a conseguire ben 636
Premi, tra i quali son da menzionare 66 Primi Pre-mi, 66 Secondi Premi, 60 Terzi Premi e 81 Premi
‘Speciali’. Ha, inoltre, ricevuto 27 ‘nomine”, tra le quali, degne di nota: a Reggio Calabria, Premio ‘U-
niversal Victory’ 2012 ed ‘Accademico Leopardia-
no a vita’; a San Cipriano d’Aversa (CE) nominato ‘Cavaliere della Cultura’ 2012; a Gallipoli (Lecce),
nominato Gran Maestro della Poesia e Poeta dell’
anno. Premio Speciale a Lugano (Svizzera) al Pre-mio Internazionale “Europa”, coppa IWA (Interna-
tional Writer Association). Nel 2014, ad Eboli (Sa-
lerno), Premio Speciale U.N.E.S.C.O.. Sue liriche sono pubblicate in varie antologie e riviste lettera-
rie; è presente nel Dizionario di Autori Siciliani nel
Mondo, nella raccolta “Poeti Italiani nel Mondo” e nel Dizionario Bio-bibliografico degli Autori Sici-
liani. Ha pubblicato numerosi libri di poesie e l’
opera omnia “Melodie ed Emozioni”.
IDIOTA DI DIO
Innervosita
non so giocare
a questa vita,
ogni minuto
spalle al muro
mi si impiccia
e si scompiglia il futuro.
Devo darmi una scossa
e indovinare la mossa
senza temere
o non darlo a vedere.
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 44
Non è stare soli mai
quanta brava gente
mi si affolla alla mente.
Non traspare dal nero
cosa conti davvero
non capisco da idiota
come giri la ruota
e non si vede perché
il tempo torni da me.
Acido stabilisce pallido
dell’insopportato
quotidiano viaggio
il mio essere ostaggio.
Lucia Gaddo Zanovello Faedo di Cinto Euganeo (PD)
Da Consapevolvenze, 3° Premio (Sezione A) al Cit-
tà di Pomezia 2015.
Lucia GADDO ZANOVELLO (Padova 1951) scrive dalla prima adolescenza. Dopo un periodo
giovanile dedicato a diverse attività lavorative, ha
poi impegnato la maggior parte del suo percorso professionale come docente di scuola media. Ha
condotto studi, fra gli altri, su Niccolò Tommaseo e
su Pierviviano Zecchini. Per la poesia ha pubblica-to: Porto Antico, Edigam, 1978; Bramiti, La Gine-
stra, 1980; Da serpe amica, Padova Press Edizioni,
1987; Semiminime, Padova Press Edizioni, 1988; Per erbe piú chiare, Edizioni Dei Dioscuri, 1988;
nel 1998, per le Edizioni Cleup, la raccolta retro-
spettiva relativa agli anni ’88 -’98, in cinque volu-mi: Nóstoi (che include Fiordocuore), Fatalgía, In
lúmine, La trilogia del volo, La partitura. Ed anco-
ra Il sonno delle viole, Cleup, 1999; Un parlare d’ acqua, Cleup, 2000; Solargento, Cleup, 2000; Me-
modía, Marsilio, 2003; Silentissime, Imprimenda,
2006; Ad lucem per undas, Joker, 2007; Amare ser-ve, Cleup, 2010; Illuminillime, Cleup, 2011, Rodo-
grafie, Cleup 2012, Buona parte del giorno (Pre-
mio Milo 2012), Incontri 2013 e Disforia del nome, Biblioteca dei Leoni, 2014.
___________________________________
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IL CROCO
Il Quaderno Letterario di
POMEZIA-NOTIZIE
il mezzo più capillare ed economico per di-
vulgare le vostre opere.
Prenotate il vostro numero individuale
rivolgendovi alla Direzione.
MANOLETE
Oggi Manolete è morto.
Ha vinto molti tori
che erano tutti pericolosi,
ma si è presentato davanti a lui il tremendo
Islero.
Grazie alla tua differenziazione sei diventato
eletto
per i tuoi ammiratori,
tra tutti gli altri toreri.
Adesso tutti ricordano
le tue grandi vittorie gloriose.
Tuttavia, la prima e l'ultima volta che hai
lottato,
saranno le lotte più vive della tua arena.
Adesso, alla fine, sei stato giudicato,
e i commenti per te
erano positivi.
L'inizio della tua carriera
è arrivato al punto massimo,
che è anche l'ultimo.
Addio, Re della tua arena,
dove hai lottato tante volte e hai sempre vinto,
perdendo per la prima e ultima volta
come tutti i toreri.
Maledetto Islero!
Tutti sanno che verrai.
Nessuno però ti aspetta.
Mai!
Themistoklis Katsaounis Traduz. dal Greco di Giorgia Chaidemenopoulou
D. Defelice: Angolo di via San Pietro a Mirabello
Sannitico (CB), 1983 - olio su compensato 13 x 18↓
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 45
“... Dalla poetessa più pagana
che esista...”:
MARIA GRAZIA
LENISA SCRIVE A
DOMENICO DEFELICE e lascia tracce di quotidianità
nella poesia di Ilia Pedrina
I lei, di Maria Grazia Lenisa, ricerco
ancora elementi di vita, di pensiero,
di ispirazione. In questo percorso
personale ora si inserisce la raccolta de 'Il
Croco', allegata alla pubblicazione di Pome-
zia Notizie del mese di Luglio. Il Defelice a-
veva avvertito tutti ed ora ha mantenuto la
promessa: rendere pubblica la corrispondenza
della poetessa friulana, dolce ed affascinante
in ogni suo tempo, Musa ispiratrice anche di
Francesco Pedrina, che della corrente del Re-
alismo Lirico è stato il diretto protagonista
critico ed il testimone 'mediatico', al fianco
del Capasso, di Gemma Licini, di Elena Bo-
no, di Fiumi, di Gerini, del De Maria e di tan-
ti, tanti altri.
Marzia Alunni introduce questa preziosa
raccolta con un'osservazione che la rende
acuta interprete del fenomeno artistico del fa-
re 'Poesia', sul quale molti studiosi e filosofi
ancora sondano aspetti e valenze, che vanno
oltre i confini del linguaggio metaforico:
“...Solo chi scrive però testi poetici, dal canto
suo, è in grado di parlarne come se la poesia,
personalizzata con intenzione, fosse un'amica
confidente, una sodale che attende la parola
amata, eletta, sul foglio bianco della lettera.
Maria Grazia Lenisa ha dedicato la sua vita al
dialogo incessante con la poesia, fin da ra-
gazza, quando avvertiva una maturità, supe-
riore ai suoi anni, manifestarsi e, conquistata,
si apriva alle esperienze culturali più signifi-
cative, proprie della rivista Realismo Lirico di
Aldo Capasso...” (da M. G. Lenisa 'Lettere'
(1974-2003), Il Croco, quaderno letterario al-
legato a Pomezia Notizie, luglio 2015, pag.
2). Come la giovane filosofa suggerisce, in-
terrogando ciascuno di noi, per darci tracce
prima di addentraci nella lettura di queste let-
tere, il volto assente al quale la Lenisa si ri-
volge ha sembianze anche di sogno, ha i tratti
che si incarnano “… nel confidente aperto e
vivace, nell'amico fedele, o nel critico parte-
cipe e sensibile...” (op. cit. ibid.).
“… In Sicilia non andai in esilio come Saf-
fo, ma vinsi, prima dei vent'anni, diversi pre-
mi... È magnifico che il mio canto sia sorgen-
te d'altrui, non Le pare? Il libro delle poesie
da me ispirate sarebbe ben folto e non meno
bello dei miei canti, in quanto la poesia vera è
un fiore e un seme. Onde spero di smuovere
con il vento della poesia il Suo giardino ad-
dormentato....” (op. cit. pag 7).
Corre l'anno 1974 ed il poeta greco Febo
Delfi, legato alla Lenisa da profonda stima,
ammirazione, fascinazione, aveva scritto un
D
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 46
libro dedicato proprio '… alla Saffo d'Euro-
pa...' e profili di questo legame si intravvedo-
no di frequente in queste confidenze a distan-
za, all'Amico di Anoia. Si, bisogna ricordarlo:
la Lenisa spesso sottolinea questa origine ca-
labra del Defelice e gli rammenta, in segreto,
tra le righe di poesie inedite che gli invia, di
non trascurarne la matrice. Cito:
“LA PAROLA
La parola per me non è
che quella meravigliosa,
filo d'erba o raggio
mi sfiori la caviglia
o mi colori come fiore sul prato;
non è che astro
cui tende il mio viaggio,
speranza di cui vivo,
alleanza col mondo.
Non si usura una stella,
la fontana ha bocca di ragazza,
la montagna è piena di se stessa,
misteriosa...
Mi son svegliata e un nido
tra le mani vivo cantava
forte inascoltato.
Dietro barriere di dolore
un canto fuori dal tempo,
dove sono un'altra” (op. cit. pag. 9)
In queste lettere che sono traccia di quoti-
dianità impegnata nel dare, sempre e senza
misura, sia negli affetti familiari che nelle co-
se della cultura letteraria e del canto tra i se-
greti silenzi della notte, che la Lenisa spesso
riserva per sé, mondo altro per darsi nella vita
altra, scopro molto dell'Amico incontrato ed
amato in purezza come creatura del suo Sud:
egli talora assume i tratti del giovane poeta
che ricerca contatti importanti e successo per
i suoi lavori, successo che via via non tarderà
ad arrivare, poi i tratti dell'uomo intelligente,
dotto, consapevole che ha impegnato la sua
vita di critico letterario e di poeta nella rivista
Pomezia Notizie: la Lenisa vi collabora con
intensa ed illuminata costanza, allargando di
molto la schiera dei lettori e dei collaboratori
(la Pereira, Allegrini, Selvaggi, Onano, Bàr-
beri Squarotti e tanti altri), nonostante gli o-
nerosi impegni ai quali risponde sempre con
serietà ed alta professionalità. Infatti spesso in
queste missive gli ricorda un dono, quel
'serpentello' intagliato nel legno che la fa sen-
tire davvero una nuova Eva:
'Caro Domenico dell'Eden e delle Fiumare,
ragazzo coi piedi nell'acqua a sollevare
spruzzi come un felice animale, a intagliare
serpentelli di legno, ad amare e amare 'La
bambina di Cristallo' nell'epopea familiare,
Domenico dei 'Dodici mesi con la ragazza',
Domenico di un'eternità con la poesia, amico,
amico nell'amorosa e risentita critica, nella
lode altrettanto accesa... non spegnere ' Po-
mezia'. Ci tiene in vita, è la nostra bandiera
anche se sembra un fazzolettino.... Divenuta
sempre più bella nel vento e pare un Airone,
Domenico di Anoia che faceva l'amore in una
barca... Domenico, Domenico... che non è fe-
lice come tutti noi....' (op. cit. pag. 59- senza
data, ricevuta il 28. 10. 95).
Si è arrivati allora alla confidenza più diret-
ta, nel succedersi degli anni ed allora torno
qualche pagina indietro per cogliere ancor
meglio gli integerrimi aspetti di una persona-
lità forte ed intransigente, che non accetta né
soldi né compromessi. Cito:
“... senza compromessi ho credibilità, si, ma
vita molto difficile... Non ho appoggi politici
ed ho rifiutato (parola sottolineata nel testo –
n. d. r.) la fatidica presentazione nei salotti
romani. Quindi il mio successo è all'opposi-
zione, non a scaldare divani tra coctail e al-
tro. Ritorna quel discorso che il morale ap-
partiene alla vita, al comportamento, non os-
tante ciascuno possa fare i suoi errori....”
(lettera del 1 Gennaio 1990, op. cit. pp. 36-
37).
Rigorosissima e fiera anche nell'affrontare
la via crucis del viaggio con Cancer, l'amante
imprevedibile, imprevisto che ammala e che
la spinge alla lotta, la Lenisa ha sempre paro-
le che orientano e sono testimonianza di
grande generosità ed empatia:
“... Nel processo critico (i due termini sono
sottolineati, n. d. r.) ha più importanza il se-
me da cui nasce il libro che il libro stesso,
perché se ne studia l'allargamento delle te-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 47
matiche. Devi stare in pace, nessuno ti toglie-
rà i meriti che hai come poeta e come opera-
tore culturale...” (lettera del 10. 1. 2004, op.
cit. pag. 85). E poi, poco più avanti, nella let-
tera ricevuta dal Defelice il 22 gennaio 2004,
Maria Grazia gli scrive:
“... Ti confesso che piango di paura e che
scrivo per tenermi su il morale e fare un po' di
confusione come il bimbo al buio...” (ibi-
dem).
Infatti tutto qui è Poesia, in semi di una
quotidianità sublimata, elogio del canto inte-
riore, quando è forte, talora intermittente ma
incessante sempre come linfa interna al corpo
tutto, di ragazza, di donna, di amante nell'a-
more in sé pieno del suo doppio e nei sentieri
della sofferenza contro la quale ella lotta co-
me contro avversari concretissimi.
Voglio concludere queste brevi note alla
pubblicazione del Defelice con alcuni cenni
tratti dallo studio di Aldo Capasso sulla Leni-
sa:
“...
'Dorme la notte immensa sul tuo cuore
che veglia e sulla terra,
Dio.
Certo tu scendi ancora dai tuoi cieli
per parlare con l'uomo;
l'uomo che non t'attende,
non crede a Dio
che passa sulla strada
che conduce alla morte.
E tu non puoi gridare d'esser Dio,
né avere un volto
da scoprire all'uomo.
Ma ogni sera ritorni
sulla terra,
ogni istante t'illudi
che il tuo morire
ci salvi dalla morte.' (Ogni sera ritorni sulla
terra)
Non stiamo a formalizzarci su una parola
isolata (t'illudi), ricordando del resto il pio
Verlaine di Sagesse: 'Eté-vous fous/Père, Fils,
Esprit?' Verlaine, seguace, a sua volta, di
Sant'Agostino... Consideriamo il 'fantasma'
nel suo insieme: ed è una sublime figurazione
d'Amore quel Dio che veglia mentre gli uo-
mini dormono nella notte, quel Dio che desi-
dera parlare con l'uomo chiuso e sordo che
non l'attende, quel Dio che viene ogni sera,
inutilmente ritorna ogni sera, condotto dalla
sua pietà, quel Dio che non può, che non deve
ogni sera rigridare all'uomo la sua rivelazione
e il suo monito e tuttavia lo desidererebbe,
per salvarlo, quel Dio che vuole illudersi di
salvare, con il prezzo della sua passione e
morte l'uomo non salvabile. Un brivido tragi-
co corre questi brevi intensissimi versi ed è la
tragedia dell'amore non degnamente ricam-
biato, l'Amore di quel Dio che soffre e si tor-
menta per pietà dell'uomo...” (tratto dallo stu-
dio critico di A. Capasso sull'opera poetica di
M. G. Lenisa, Il tempo muore con noi, Ligu-
ria Editrice, 1955, ora disponibile in Internet
al sito 'Poesia 2.0'). Il Capasso le è stato men-
tore e padre spirituale, entrando in luce nelle
pieghe più profonde della sua spiritualità. Il
Pedrina le è stato al fianco, nella diffusione
tra gli studenti delle Scuole Superiori Italiane
dei suoi canti giovanili, in ideale simbiosi nel
culto delle terre del Friuli. Il Defelice le è sta-
to Amico sincero ed ha assolto ad un compito
che ognuno di noi apprezza, perché chiaro,
diretto, documentato. E sopra tutti, dopo la
fase del Realismo Lirico, Giorgio Bárberi
Squarotti, dotto e sensibile, acuto interprete
del suo talento, mai dato per prevedibile, ma
sempre orgoglioso, infiammato, provocatorio
e puro.
Ora meglio comprendo il dono che mi è sta-
to fatto, con tutto il cuore, da Marzia Alunni,
ricevuto mentre avevo tutte e due le braccia al
petto, in pezzi, nel dicembre del 2009: si trat-
ta del testo di Maria Grazia Lenisa 'Verso Bi-
sanzio', (Antologia dal 1952 al 1996), con
panoramica critica di Giorgio Bárberi Squa-
rotti ed introduzione di Jean Jacques Méric,
per la casa editrice Bastogi di Torino, ed avrò
maggior determinazione nell'ordinare e cata-
logare le molte lettere della Lenisa a Giusep-
pe Gerini, materiale originale a me gentil-
mente concesso dalla nipote Erica Giaretta
Sartori. Per scoprire tracce di quotidianità
nella Poesia. Per incontrare ancora, nel mio
tempo, Maria Grazia Lenisa oltre i confini, i
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 48
tratti in canto di questa vita altra, che perma-
ne eterna.
Ilia Pedrina
E RICOMINCIA LA BATTAGLIA!
Il dorso d'un "Palazzi" sessantenne
mille e mille volte consultato
impietosamente lacerato
dalle tue dita inquiete;
devastata la pila dei giornali;
i miei poveri versi accartocciati;
matite rotte e penne
sotto la scrivania;
lettere di cari amici
doloranti gettate alla rinfusa...
Metto ordine a sera,
quando con mamma e papà
t'allontani verso casa;
barelliere pietoso,
sopra il campo raccolgo ed accarezzo
libri feriti.
Ho già nostalgia del nemico!
Quando al mattino ritorni
saltellando e, agitando le braccia
mi sorridi, il cuore
dalla gioia si schianta,
risale alle galassie.
E ricomincia la lieta battaglia!
Domenico Defelice Pomezia, 9 agosto 2010
STARTS AND THE BATTLE!
The back of a sixties "Palaces"
looked up thousands of times
mercilessly torn
by your restless fingers;
the stack of newspapers destroyed;
my poor verses crumpled;
broken pencils and pens
under the desk;
letters from dear friends
thrown away carelessly ...
I put everything in order at night,
when mum and dad
take you home far away;
pitiful chaos,
through the fields I collect and caress
the injured books.
I already miss my enemy!
When you return in the morning
jumping up and down, waving your arms
I smile, my heart
full of joy crashes,
reminds me of the galaxies.
And the good fight continues!
Domenico Defelice Pomezia, 9 August 2010
Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia
CANTI DI GRILLI
Grigi i capelli,
grigio il tepore
tra Lande erose dal fiume.
Silenzi, canti di grilli,
sciabordio d’acqua
come le nenie
che addormentano i bimbi.
Sognai cioccolata per anni
mentre il quotidiano
era il pane e lo zucchero.
Ginocchia sbucciate solcavano l’erba,
i pantaloni tagliati da foreste di rovi.
Se l’amore tieni distante
sarai sempre felice…
Diceva mia madre
mentre toglievo le foglie
a vermigli papaveri.
Volevo tatuar nella fronte
una piccola stella
per sentirmi almeno una volta
il signore dei campi.
Colombo Conti Albano Laziale
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 49
ELISA RAMPONE CHINNI DIALOGANDO CON ME STESSA
di Elio Andriuoli
LI aforismi e le poesie che Elisa
Rampone Chinni ha raccolti or non è
molto nel suo libro Dialogando con
me stessa, rivelano in lei una duplicità di ve-
na: quella sapienziale e quella elegiaca, che si
alternano e s’intrecciano in questi suoi testi,
nei quali troviamo racchiusi i tratti principali
della sua personalità di scrittrice.
Ironia e commozione emergono infatti un
po’ dovunque dalle pagine della silloge, che
si avvivano a tratti di una profonda pensosità.
Si prenda ad esempio un passo di Non farti
mai domande: “Non ubriacarti mai / né di feli-
cità, né d’infelicità / mia cara Paola. / Non farti
mai domande / se sei contenta o lo sei stata”.
Qui l’esortazione fatta all’amica sembra avere
le sue radici in un’intima saggezza del vivere
che trova dei riscontri nel “medén ágan” (nulla
di troppo), dell’antica sapienza greca.
Un testo dalle indubbie movenze liriche è
invece E’ notte, nel quale l’atmosfera appare
come sospesa, quasi nell’aspettazione di un
evento misterioso che stia per sopraggiunge-
re: “Il silenzio sembra palpabile,/mentre l’
ombra del nulla/si allunga sul selciato grigio”.
Certe frasi della Rampone hanno sovente l’
incisività dell’aforisma, come: “Dove c’è
scelta, c’è anche libertà” (La libertà); “Essere
vecchi / non è una colpa / è un dono” (I vec-
chi); “Non si può vivere / per interposta per-
sona” (Errare è umano); “Le parole non dette
/ girano a cerchio / senza meta” (Le parole
non dette); “Gli amici veri non / hanno pre-
sente, passato / o futuro: sono solo «gli ami-
ci»” (Gli amici); “E’ importante riscoprire/
ogni tanto il valore/ dell’attesa./E’ nell’ attesa
che ci si/prepara a riconoscere/la verità delle
cose,/a pregustare la gioia” (L’ attesa); ecc.
Espressione di un movimento poetico na-
scente dalla contemplazione della natura, è in-
vece Una triste sera d’inverno, che ha questo
incipit: “Foglie secche spazzate/dal vento si ri-
fugiano / impaurite in un / angolo di strada”,
La chiusa però riporta la poetessa al mondo
degli affetti, dal momento che ella così termina
la sua lirica: “E’ una triste sera/ d’inverno e tu
non/sei più con me,/amore mio”.
Un’altra poesia che costituisce l’espressione
di un intenso sentire è La morte di mia ma-
dre, nella quale questo tristissimo evento è
narrato dalla Rampone in maniera semplice
ed efficace: “La morte l’ho sentita / respirare
nel buio, / l’ho vista in piedi / vicino al letto, /
mentre lottavi in una / battaglia che ti / se-
gnava il viso. / La morte non è / più un miste-
ro / per me, non è più / un fantasma, è / solo
la Morte”.
Altri compiuti movimenti lirici s’incontrano
poi anche altrove in questo libro, come quello
di Senza una parola, dove sommesso è il com-
pianto per una vita troppo presto spezzata: “Sa-
ra, dolce ed esile creatura / sei andata via in si-
lenzio, / con discrezione, senza una parola/
portando con te un poco di noi”; o come quello
de Il colloquio oltre la vita, percorso da un sen-
timento di profondo rimpianto: “Vorrei ascol-
tare ancora/una volta la tua voce,/avvertire il
segno della/tua presenza, sentirti/al mio fianco
per un/muto dialogo tra noi”.
Ma un po’ dovunque troviamo in queste
pagine dei passi degni di citazione, come quel-
lo con il quale si apre Un cielo terso, una poe-
sia dedicata dalla Rmpone all’amica Tina Pa-
lumbo, che così recita: “Un cielo terso, con-
densato / nei tuoi occhi mutevoli, / occhi che
leggono nel cuore”, dove è colto qualcosa della
personalità di colei con la quale a lungo la poe-
tessa si è accompagnata negli anni; ed è qual-
cosa che va ben oltre il solo aspetto esteriore.
G
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 50
Talora la Rampone si ripiega su se stessa,
come in un moto di arreso sconforto: “Non
vedo più il futuro, / perché questo ha senso
solo / se desideriamo qualcosa” (Si può im-
pazzire); più sovente però le sue notazioni
sono improntate ad una visione serena della
vita o quanto meno ad una visione illuminata
da un’intima saggezza del vivere, com’è
quella di Un raggio di luce, che inizia: “ C’è
sempre un raggio di luce / che ti indicherà / la
strada” o com’è quella de Il presente, il testo
con il quale il libro si chiude: “Uno sguardo
al passato / mi rivela che non è / più l’isola da
cui / fuggire, / ma il luogo del ritorno, / per
godermi senza / nostalgia il presente. / Senza
più fuggire”.
Ed è proprio quest’intima saggezza, che of-
fre alla nostra autrice il coraggio per affronta-
re serenamente la sua avventura terrena, quel-
la che noi scopriamo al fondo di questo libro
nel quale la Rampone ha racchiuso tanta parte
di sé, per farne dono agli altri, con un gesto di
semplicità e amicizia: il che è proprio del suo
autentico e caldo sentire.
Elio Andriuoli
D. Defeli-
ce:Avvolto
nel silen-
zio, china, 1965.
LA MIA POESIA
Al mattino, raffinato il corpo nella notte,
escono i pensieri fini e ripuliti,
nell’aria sono frementi, se non li prendi
subito si fanno diafani e si dissolvono.
Sono fili, fatti di sostanza pura, non hanno
crosta di protezione, una sottile epidermide
li avvolge, liberi nell’ora ampia
lunga fino all’orizzonte. Non toccano turpitudini
né le rudezze, vanno dove i contatti
allineati si tengono in forme giuste.
La mia poesia corre, se non le vai dietro
vaga uguale a nubi frastagliate trasmutabili.
Non ha perso la mano dell’intuizione, arriva
erompente come getto di acqua, è rimasta quella
dell’adolescenza, stesse naturalezze piene
di accensioni e di estasi. Non è andata avanti,
la veste uguale, nella sua leggerezza,
i colori vivi non si sono sbiaditi. Non si sono
aggiunti gli anni venuti dopo, li ho visti estranei,
non dovevano essere miei: fatti sovrapposti a caso
con artefatti e calcolati elementi.
C’è dentro l’abile fattura delle parole che
passano
con il lavorio della lima, squadrate, sono
collocate
in modo dovuto. Quello che dentro si muove
è raffinato e sano, sono sostanze vive,
fuori hanno una veste ordinata e linda,
gentilezza di figura e compostezza, stanno
al loro posto con la dignitosa fermezza.
L’amore senza frammentazioni,
con il suo uniforme scorrere alla luce, all’aperto
con i fluenti movimenti dei sentimenti.
La mia poesia allarga i territori della mente,
mi porto in veloce estensione e in viaggi
con l’immaginazione che ha le linee e la linfa
delle illusioni. I miei stati psicologici aprono
profondità e altezze. Entro nel cielo e sono pieno
di terra, con i tormenti interiori e le catene
delle contraddizioni. Nella mia poesia ci sei tu.
Mi passi davanti, figura purificata, genuina struttura
natia, sei un alimento dolce per i miei versi.
Leggera con le ali e dentro il reale e il consistente,
hai il semplice aspetto senza appariscenze,
l’interiore
integro della mia poesia. Come frutto cresciuto
all’aperto con poche irrorazioni, fattosi pie-
no denso,
mantenuto chiuso in coriacea pelle, devi
fare forza per spaccarlo.
Leonardo Selvaggi
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 51
DOMENICO DEFELICE
ELEUTERIO GAZZETTI
CANTORE DELLA
VALPADANA di Tito Cauchi
OMENICO Defelice con la pubbli-
cazione di Eleuterio Gazzetti cantore
della Valpadana (Il Croco/ Pomezia-
Notizie, maggio 2013), si propone di togliere
l’artista, da un “immeritato oblio”, stimolan-
do nel contempo le autorità ecclesiastiche e
comunali modenesi, ove il più anziano amico
ha esercitato il suo ministero sacerdotale, ol-
tre che la Parrocchia e i cittadini di Sozzigalli
(frazione del Comune di Soliera), nonché
quanti l’abbiano conosciuto e gli abbiano
“voluto bene”. La “calda fraterna amicizia”,
come la definiva il religioso, si è cementata
attraverso il telefono, almeno una volta a set-
timana, con la corrispondenza epistolare e
con visite reciproche dal 1964 al 1998; ma il
loro primo incontro è avvenuto il 2 giugno
1969, a Roma, presso un Istituto di Suore,
ove il Nostro si era recato insieme con il
grande amico poeta Geppo Tedeschi.
Il Quaderno si articola in tre parti, illustran-
do rispettivamente il Saggista e Pittore, il Po-
eta e Scrittore, infine le Lettere inviate dal re-
ligioso al Nostro. L’illustrazione in copertina
mostra, nello studio tappezzato di quadri, i
due personaggi in cui sono evidenti la diffe-
renza di un ventennio di età e di stazza fisica
in avanzo del sacerdote. Eleuterio Gazzetti
nacque a Magenta di Formigine, nel Modene-
se, nel 1917, da famiglia operaia, discendente
del venerabile Pietro Gazzetti (1617-1671), le
cui spoglie riposano a Noto, in Sicilia, secon-
dogenito di nove figli, fin da ragazzo amava
dipingere su cartoni ed ogni sorta di superfi-
cie, ispirato dalla ricca natura della Valpada-
na. Egli, appassionato fin dai primi banchi li-
ceali di storia locale, incominciò un lavoro
storico che dopo anni di studio vide la luce
solo all’affacciarsi del nuovo Millennio, a
dimostrazione della sua tenacia, con il titolo
di Cardinali, vescovi e abati nella storia delle
diocesi di Modena e Nonantola (sec. IX – sec.
XX), volume di trecento pagine, di scorrevole
lettura. Prese i voti sacerdotali all’inizio della
Grande Guerra (nel 1944); dieci anni dopo
(nel 1954) diviene parroco della parrocchia di
Sozzigalli di Soliera, terra di lambrusco, fino
alla fine dei suoi giorni. Nella sua vita artisti-
ca ha prodotto oltre duemila dipinti ben ac-
colti dalla critica e da personaggi pubblici no-
tevoli che ne hanno acquistato, i cui guadagni
gli hanno permesso di comperare terreni ed
altro a beneficio dei parrocchiani, come ri-
strutturare la chiesa, mettere su un Asilo, edi-
ficare la nuova Canonica.
Domenico Defelice richiama un’opera del
Canonico, “Proverbi miei e passatempi tuoi”,
D
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 52
che a suo tempo ebbe a rivedere, ma che a
oggi non ha visto la stampa, e che intanto egli
ne pubblicava, sulla propria rivista di Pome-
zia-Notizie, nel 1998, la prefazione appronta-
ta, esortando oggi come allora, che non rima-
nesse nel dimenticatoio. Rileva, nelle opere
del Pittore, chiarezza delle rappresentazioni e
colori accesi, che sembrano trasudare dell’
umore dei soggetti, indicando la presenza di
simbolismo, così ne elenca alcune, e lo anno-
vera fra gli impressionisti. La tematica è varia
risentendo dell’età irruente giovanile, e più
avanti, della posata maturità; così si va dal
“Tramonto sul mare” alla “Desolazione della
terra”, dal sacro della “Flagellazione” san-
guinolenta, alla maternità, alla Madonna. Ma
anche a temi sociali sensibili, oggi più che
mai rilevabili soprattutto nell’elemento dell’
acqua, fluida sì, ma capace di rasserenare l’
animo.
Eleuterio Gazzetti è stato un sacerdote con-
creto come uomo, limitandosi alla pubblica-
zione di quattro sillogi e di quattro saggi, la-
sciando in disparte il poeta in sé e lo studioso
che era; propendeva per la pittura, più che al-
tro, perché gli consentiva delle entrate per vi-
vere e per la parrocchia; sapeva che la poesia
non gli avrebbe permesso di coprire nemme-
no le spese di stampa. Per ognuna delle sillo-
gi, il Nostro in maniera diretta, fa un’analisi
da cui emerge la semplicità d’animo e la ca-
pacità di sorridere ai bambini, come pure temi
in cui dominano la fede, il sociale, il tormento
dell’anima e l’anelito all’eterno, che si riflet-
tono nella natura “specchio del divino”. Nel
contempo le note critiche mettono in eviden-
za l’evoluzione stilistica che va dall’iniziale
metro classico con rima, fino all’abbandono
della stessa, ma sempre coerente con il detta-
to poetico.
Le lettere trascritte, nella loro interezza, ri-
portano l’iniziale recapito postale del Nostro,
di Roma, e a partire dal matrimonio, nell’ ot-
tobre del 1970, con il recapito attuale di Po-
mezia. Sono meno di una cinquantina, com-
presa una sola lettera superstite del Nostro del
1971, riguardante la sua disapprovazione nei
riguardi di un certo dott. Carloya, perché
maldisposto verso i meridionali. La corri-
spondenza risulta conviviale, passa tra il ‘tu’
del più anziano, al ‘don’ del giovane, i cui ar-
gomenti riguardano piani di lavoro, opere pit-
toriche, confidenze sulla ristrutturazione della
vecchia Canonica e cenni sulla precaria con-
dizione economica del Nostro e sulle sue doti
intellettuali che certamente la Provvidenza
avrebbe premiato; ma soprattutto progetti let-
terari, così, incidentalmente, assistiamo alla
nascita della rivista fondata e diretta da Do-
menico Defelice che ha ospitato più volte re-
censioni e poesie del sacerdote (nel 1973).
Gazzetti è riconosciuto, attraverso le biblio-
grafie specializzate, pittore di talento, i cui
quadri vengono quotati sul mercato; il suo
impegno profuso nelle mostre gli ha dato i
meritati frutti. Essere recensito favorevolmen-
te dal celebre scrittore Marino Moretti, è co-
me respirare una boccata d’ossigeno; ma an-
che altri scrittori-critici se ne sono interessati,
come Francesco Fiumara direttore de La
Procellaria, cui Defelice collaborava, Nino
Ferraù direttore di Selezione Poetica, Franco
Saccà, Raffaella Frangipane, Solange de
Bressieux. Le Lettere di don Eleuterio Gaz-
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zetti dirette a Domenico Defelice, ci fanno
entrare nella quotidianità delle loro vite; lo
fanno senza retorica, ci restituiscono la di-
mensione umana concreta dei due uomini, ar-
tisti-scrittori, il sacerdote accompagnato da
una salda fede, e il giovane alla ricerca di una
occupazione professionale più consona da
rassicurargli tranquillità economica.
Don Erio, come qualche volta veniva chia-
mato, lamentava la mancanza di tempo; scri-
veva: “Ogni tanto, vengono alla mia canoni-
ca giovani scrittori e poeti per chiedere aiuto
nella correzione o revisione di opere da
stampare” (27.1.1965), dividendosi fra i vari
impegni personali e l’ufficio pastorale. In
quanto a se stesso, alle sue poesie, assicurava:
“sono pensieri, stati d’animo, conclusioni di
meditazioni, perciò non era tanto da cercare
l’ispirazione poetica, quanto il concetto e lo
stato d’animo nel cammino quotidiano dell’
uomo” (6.6.1968). Sono lettere prive di reto-
rica, ma tanto ricche di insegnamenti, che do-
vremmo tenere sempre presenti; come, per
esempio, in merito alla recensione essa deve
avere i seguenti requisiti: “deve dire qualcosa
di vero (e bisogna leggere il libro), di saggio
(e bisogna assimilarlo, per entrare nell’ ani-
mo e nella mente dell’artista che scrive) e di
utile (e perciò ci vuole riflessione)”
(5.5.1973).
Del Defelice scopriamo la data del matri-
monio (1970), il nome della moglie (Clelia),
assistiamo di striscio alla nascita dei figli.
Percepiamo la sintonia fra i due, che hanno in
comune origini operaie, entrambi cresciuti fra
ristrettezze economiche, accomunati dalla
passione letteraria e da quella pittorica; pas-
sione, quest’ultima, che in parte si evince da
un’opera del Defelice citata nel corso della
corrispondenza, “Andare a quadri”. Le Lette-
re emanano calore, trasudano d’ansia, lascia-
no riflettere noi lettori delle tante aspettative
che in particolare gli artigiani della penna ri-
pongono nelle loro fatiche. Ma rimane anche
il timore che le attese vengano deluse, proprio
da quelli che dovrebbero mantenere un rispet-
toso dovere; la preoccupazione che quello che
viene considerato “balsamo per l’anima”,
venga ignorato; senza con questo volere fare
delle gratuite lusinghe. Ansia che ritrovo in
altre precedenti carteggi di cui si è occupato
Defelice (p.es.: de Bressieux, Paul Courget,
Nicola Napolitano; scomparsi da qualche an-
no; per non citare il suo “Diario di anni torbi-
di”).
Domenico Defelice aveva dedicato spazio
sulla rivista Pomezia-Notizie, ad Eleuterio
Gazzetti cantore della Valpadana, come il ti-
tolo richiama, poeta e pittore, fin quando nel
1998 gli è stato richiesto da Oddo Casalgran-
di, nipote del sacerdote, tutto il materiale di
cui era in possesso; interrogandosi sul perché
sia stato il nipote e non il sacerdote a fargli la
richiesta della restituzione; tuttavia credo che
auspichi che esso non marcisca in qualche
scantinato. Qui il Nostro, sicuramente, pensa,
con gran dolore, ai tanti amici poeti, scrittori,
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artisti, le cui opere inedite o lasciate dopo la
loro dipartita, rimangano nel dimenticatoio, o
peggio, vengano distrutte. Credo che l’intero
materiale del carteggio, costituisca oggetto di
riflessione ed una fucina per molti militanti.
Tito Cauchi
Immagini in sequenza: Eleuterio Gazzetti -
“Studio per nudo” (1967), olio su tela 30 x
40; “Paesaggio” (1965), olio su tela 30 x 40,
proprietà Iannitto Antonio, Campobasso;
“Tramonto sul fiume” (1980), olio su tela 40
x 50, proprietà Dorando Mugnaini, Pomezia
(RM); “Natura morta con cocomeri” (?), o-
lio su tela 30 x 60; “Paesaggio” (?), olio su
tela 40 x 50; “Studio per figura” (?), olio su
faisite 31 x 40,50; qui sotto: “Strada lungo il
fiume” (1963), olio su tela 40 x 50.
INNOCENTI BRAME
Caricati i tizzoni, la fiamma inghiotte
la bracciata di sarmenti,
si amplia il cerchio luminoso
nella cucina acre di fumo.
Una festa: gli steli secchi cadono
sul mucchio di brace, una vampata
in orgasmo attorno alla catena del focolare.
Sulla parete un gioco di figure;
i riflessi agitati fanno ombre
sagomate intorno.
Le prime innocenti brame
si destano dalla membrana tenue dei boccioli;
i rossi petali apparsi subitanei
ai raggi dell’adolescenza in un’accensione
furente sui visi estasiati.
Dall’involucro sfogliato
la crisalide dell’amore balza
dentro il trasparente velo aleggiando.
I sarmenti proiettano le fiammelle
per essere i pronubi felici in questo momento.
Primavera degli anni e dei sensi,
la gioia dei verdi fiori,
labbra pregne di nettare.
In rituale congiunzione
come per trasfondere da un calice all’altro,
le mani vanno sulla pelle
fine del corpo amico.
Miro la corteccia lucida rovente,
le lingue bluastre ribollono,
gli scoppiettii lesionano i ceppi
in frammenti di carbone. Il languore
fisico diventa desiderio, friggono
i pensieri, fiammeggiano gli umori.
Leonardo Selvaggi Torino
SPIRITO GUIDA
Detti le parole,
poesie crescono
come asparagi selvatici,
tra fitte canne
su acquitrinosi suoli.
Riverberi di luce
all’ultimo crepuscolo
intrecciano storie,
illusioni vivono.
Non si può spiegare…
La mente è sgombra
la mano scrive,
un fiume in piena,
non si può arrestare.
Chi sei?
Un presentimento…
Un’ entità che m’ amò
ed io ho amato.
Un tenue sussurrar
che si fa presente
e ancor ci unisce.
Colombo Conti Albano laziale
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I POETI E LA NATURA - 46
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
“NATURA“:
UNA POESIA DI
MARIO LUZI ( 1914-2005)
ià prima di Cristo, e anche prima di
Socrate, nella Fisica dell'antica filo-
sofia greca, si erano individuati ed
evidenziati i Quattro Elementi fondamentali,
e cioè la Terra, l'Acqua, l'Aria e il Fuoco.
Questi erano gli elementi costitutivi di quel-
la complessa realtà materiale rispondente al
concetto di Natura (in greco, Fùsis).
Secoli e secoli dopo, il poeta italiano Mario
Luzi, nato a Castello di Firenze il 20 ottobre
2014 ( e morto a Firenze il 28 febbraio 2005),
ci propone i Quattro Elementi insieme nel
contesto di un'unica poesia, il cui titolo è, ap-
punto, Natura.
La riporto integralmente per gli amici lettori
che, per caso, non l'avessero letta:
“NATURA
La terra e a lei concorde il mare
e sopra ovunque un mare più giocondo
per la veloce fiamma dei passeri
e la via
della riposante luna e del sonno
dei dolci corpi socchiusi alla vita
e alla morte su un campo;
e per quelle voci che scendono
sfuggendo a misteriose porte e balzano
sopra noi come uccelli folli di tornare
sopra le isole originali cantando:
qui si prepara
un giaciglio di porpora e un canto che culla
per chi non ha potuto dormire
sì dura era la pietra,
sì acuminato l'amore.”
Certo, ci troviamo davanti ad un testo al-
quanto difficile da decifrare, che tende fra l'
altro a dimostrare che la Natura è e rimane un
mistero. Terra e mare sono concordi, e sovra-
stati da un altro mare, quello dell'aria, nel
quale navigano i passeri, veloci e guizzanti
come la stessa aria, e come il Fuoco. Un Mi-
stero materiale dove tutto assume una valenza
spirituale, dove si vive l'amore e si vive la Vi-
ta, che in sostanza non si distingue dalla Mor-
te. È una questione di alternanza di momenti
e di situazioni, di veglia e di sonno, di presen-
te e di passato, che vede il tramutarsi di dolci
corpi (la vita materiale, fisica, non manca poi
di attrattive affascinanti!) in voci che scendo-
no, in porte misteriose, in uccelli folli, in gia-
cigli di porpora...
È un linguaggio arcano e misterioso come
la realtà che vuole evocare.
È un linguaggio ermetico, come è ermetica
la poesia di Mario Luzi. Dopo il Liceo classico “Galileo” di Firenze,
Luzi si era laureato all'Università di Firenze
in Letteratura Francese, discutendo una tesi
su Francois Mauriac (e pensare che all'inizio
avrebbe dovuto iscriversi a Giurisprudenza!).
La sua firma era apparsa poi sulle pagine di
Riviste come Paragone, Campo di Marte,
G
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 56
Letteratura, Frontespizio. A Firenze aveva
frequentato autori e studiosi appartenenti all'
area della poesia e della saggistica dell'Erme-
tismo. Ricordiamo Oreste Macrì, Piero Bi-
gongiari, Alessandro Parronchi, Leone Tra-
verso. Senza dimenticare un grande critico li-
gure, Carlo Bo.
Sarebbe estremamente interessante, ma
troppo lungo, esaminare in questa sede la
produzione poetica di Luzi, che si estende dal
1935, con la silloge La barca, fino ad Avven-
to notturno, a Quaderno gotico, e, nel 1978,
ad Al fuoco della controversia, libro vincitore
del Premio Viareggio.
Luigi De Rosa
FACCE RIGIDE METALLICHE
Fuori della casa
che si stringe con peso di monotonia.
Rinserrati in una gabbia, faccia
contro faccia, stridente
l’ingranaggio ha interruzioni.
Per gite e sollazzi in liberi moti,
in individuale staccata posizione.
La casa immota con idee burocratiche
e gli eccitati conteggi di divorzio.
Acrimonia dentro battagliati raffronti.
Tacchi grossi estraniati trascinano
in insolente indipendenza inguine
e pube fervidi di acida lussuria.
Facce rigide metalliche di livore.
Per campi all’aperto si libera
la morsa irritabile.
Il malumore si insacca in ogni vuoto
dell’animo fra le pareti mute ossificate.
Compresso spazio che non si apre
a morbidezze per rompere asprezze
con chiari e dolci eloqui.
Il calore divenuto spine,
isterilita la sentimentale vita,
scomposto il nido domestico
vivo di ansie e di espansione,
di vasi comunicanti
e di linfa di ramo in ramo.
Leonardo Selvaggi
Recensioni
SANTO CONSOLI
ANELITO D’INFINITO Edizioni “Il Saggio”, Eboli (SA) 2015, Pagg. 38
Santo Consoli ha una voce instancabile che alle
falde dell’Etna fa eco dai ventricoli del vulcano (mi
prendo la libertà di una metafora). Il poeta siciliano
(classe 1946) affida a un libro bifronte la raccolta
Anelito d’Infinito, su cui sostiamo, ripromettendoci
di soffermarci in altra occasione, sull’altra faccia (‘Il nostro cammino’). Giuseppe Barra, nella pre-
sentazione alla silloge, assicura della genuinità del nostro Poeta, che provoca al critico stesso nostalgia
per un tempo in cui non seppe pronunciare quelle
stesse parole del poeta, alla persona amata. Noi proviamo a varcare questa soglia di infinito.
In un verseggiare libero da canoni metrici, le pa-
role possono riferirsi tanto all’amata, quanto ad al-tra figura in un sentimento che va oltre l’umano.
Tuttavia sostando sulla prima figura, perché mi
sembra più congeniale, mi pare che il contatto o la
vicinanza dell’amata è, per il Poeta, come un’acqua
sorgiva, fresca e tonificante; entrambi i cuori custo-
discono memorie della bellezza che si perde al loro sguardo. Forse adesso si tengono per mano giun-
gendo al loro nido d’amore; ma in un idillio, che mi
pare incerto. Santo Consoli, per sua natura di poeta, trasfonde i
sentimenti in poesia, dentro se stesso, ed è una e-
mozione che lo fa rinascere. Rivive perciò il fascino di un incontro, immaginando di essere atteso
dall’amata in una terra pronta ad accoglierli ed en-
trambi trasformarsi in farfalle che si posano sui fio-ri. Come amanti sfidano il silenzio della notte, tra-
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sformando tutto in un eden che rappresenta il loro
palcoscenico della vita, un amore variopinto nelle
alterne fasi della quotidianità. Nel componimento eponimo pensiamo che l’ a-
more si sublimi in qualcosa di sacro “Il mio cuore
continua a battere/ nella culla della Tua mano./ È stato chiamato/ sotto le ali dell’Amore,/ e le mie ve-
le vanno, spiegate,/ verso la luce dell’orizzonte,/
nell’anelito dell’Infinito.” In uno scambio osmotico di luci e di colori fra gli amanti, in un divenire che
si rinnova ad ogni alba, le due voci si cercano e si
ritrovano nella certezza che il loro legame vada ol-tre gli orizzonti, nella certezza che la loro unione
sia senza termine: “Noi due,/ cuori tremanti,/ cu-
stodi di eterne memorie,/ negli archi solitari/ del nostro infinito!” (pag. 6 e pag. 26).
La poesia di Santo Consoli è intima, non intimi-
sta, nel suo manifestarsi ha un interlocutore etereo ovvero poliedrico; così nel suo palcoscenico meta-
forico della vita, come mi pare di intendere, non po-
teva mancare il sipario quale tela per il pittore o quale foglio chiaro su cui vergare versi. Il Nostro si
sente come un poeta bambino in attesa di una ca-rezza, in attesa che l’amata si ripresenti nelle sem-
bianze della primavera dove l’amore nelle sue mol-
teplici forme affettive, innalzi un inno alla vita, un inno alla sua musa. In ultima riflessione, mi pare
che Consoli, in Anelito d’Infinito, si identifichi in
un tutt’uno con Poesia, Musa, Amore, forse per-dendo contatto con la realtà.
Tito Cauchi
MARIA GRAZIA LENISA
LETTERE
Il Croco, I quaderni letterari di POMEZIA-
NOTIZIE, luglio 2015.
Il nome di Maria Grazia Lenisa (confesso la mia
ignoranza) era l’unica cosa a me nota della poetessa
friulana. Nome che per anni ho letto a firma di spo-
radiche liriche pubblicate in riviste varie, sbirciate
appena – le liriche - con l’attenzione che ti può in-
sorgere quando sei al cospetto di calderoni cartacei ripieni di insulse stupidità in abbigliamento lettera-
rio. Oggi che in Il Croco ne leggo l’epistolario in-
tercorso col direttore di Pomezia-Notizie, lo scritto-re Domenico Defelice, provo il rammarico di non
avere mai avuto la possibilità di leggere – di Lei
ancora in vita – una raccolta, almeno una, delle tan-te pubblicate e gratificate da premi di dimensione
nazionale, che mi consentisse di approcciarne diret-
tamente la poetica senza la deleteria, fuorviante in-terferenza di oscuri quanto maldestri compagni di
pagina.
L’epistolario (che il Defelice farebbe bene in un
futuro prossimo a ripubblicare corredato delle lette-
re sue alla poetessa) rende testimonianza di un sot-tosuolo culturale ricco di radici classicistiche, dai
lirici greci agli elegiaci latini; di una sensibilità u-
mana viva, profonda, spiritualmente - direi - iperte-sa; di una voglia inesauribile, infine, di partecipare
in pienezza e con gioia alla festa della vita.
E le pagine finali, dove la donna, mortificata nella sua femminilità, fronteggia il male che l’ha prodito-
riamente aggredita espropriandola della bella chio-
ma, così folta un tempo, e bruna, veicolano un sen-timento di religiosità popolare che ne ingentilisce
viepiù la personalità conferendole tratti di france-
scana, fiduciosa letizia ed umiltà.
Aldo Cervo
TITO CAUCHI
PALCOSCENICO
Editrice Totem, Lavinio Lido (RM), 2014, pp 64, € 10,00
Tito Cauchi, nato a Gela nel 1944 e abitante a
Anzio (Roma), continua il suo tracciato in poesia,
raccogliendo in volume tante sue poesie pubblicate negli anni su antologie e riviste, unificandole sotto
il titolo di Palcoscenico, dove, come accade nella
vita, si porta in scena il bello e il brutto del nostro vivere quotidiano e che parla del modo di condurre
e di rapportarci con l’esistenza, a livello personale e
comunitario, sociale e umanitario globale. Una poe-tica di sentimento, di travaglio interiore, ma anche
di coscienza storica e di risveglio della memoria,
che il poeta Cauchi ripercorre con partecipazione e coinvolgimento, apportando il suo contributo tra-
sformativo e creativo, espressivo e artistico. Da ve-
ro protagonista della sua vita “s’alza il sipario e io entro”, egli dice, per svolgere il suo ruolo e la sua
parte, indossando di volta in volta l’elemento tra-
sformativo più idoneo ad entrare nel personaggio
da far giocare, aspettando l’applauso che ultima la
comparsa e richiude il sipario, nella consapevolezza
che quello che si è rappresentato “è tutto vero”. Ecco il messaggio e la verità di questa intensa e
colta silloge poetica, che trova unitarietà nella paro-
la del cuore del poeta: vivere la propria vita con amore e recitandola con sincerità e umiltà, nell’ au-
tenticità dell’espressione relazionale e comunicati-
va, idonea a costruire la felicità e la gioia del vive-re, la bellezza dell’incontro con l’altro, con il crea-
to, come segno tangibile di una vita ben spesa e a-
perta ad aggiungere il suo quantum di luce nel salto evolutivo che l’umanità è indirizzata a percorrere.
“La felicità è proteiforme/ si presenta comunque la
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cerchi/ ma non si lascia addomesticare” dice il po-
eta, diventando il protagonista principale, che rin-
nova fedeltà alla poesia e con amore chiede d’essere guidato e ispirato “con passione e tenerez-
za”.
“Natale sia tutti i giorni/ il pianeta sia casa co-mune”, è questo l’insegnamento del poeta che all’
umanità intera “Ti voglio bene”, dice, “Così senza
aggiungere altro”, nell’impegno di trovare i giusti correttivi ad una pericolosa deriva del progresso in-
controllato che avvelena la terra e infrange i sogni
prima ancora di poter essere espressi (“… Noi scar-ti di cucina e rifiuti vegetali/ nutrivamo la terra che
ci faceva da madre/ adesso imputridiamo e infet-
tiamo l’aria …“ ; “Le foglie vorrebbero prendere le ali/ dal vento per librarsi come gli uccelli/ …
quante foglie rinseccolite di alberi/ giacciono per
terra e quante di virgulte/ pianticelle ancor prima di fiorire/ sono sparse senza volontà ai venti/
strappate al picciuolo ancora tenero …/ Il fruscio
degli alberi … invita ad amare …” (pg 13, 18). E la storia, la nostra storia, come singoli e come
società globale, se una storia la vogliamo ancora, non può che essere questa prefigurata dall’intuito
dell’animo poetico “Una storia d’amore” (cfr la
poesia Storia spuntata, pg 44), dove sì c’è il dolore “Vento pioggia sereno, da passare/ domani domani
domani domani” (cfr la poesia Vita da pendolare,
pg 48) e altro ancora, il bisogno di depredare ad e-sempio “come famelici lupi”; ma anche e soprattut-
to la capacità, tutta umana, della preghiera e del
perdono (“A mani giunte preghiamo/ il perdono per esserci/ dimenticati di loro”, cfr. la poesia Amia-
moci a mani giunte, pg 15), capaci di riscattarci da
ogni male commesso (“Giovanna d’Arco … Accet-ta le mie lacrime per lenire/ le carni che ti avvam-
pano ancora.”, cfr la poesia Jeanne d’Arc pucelle
d’Orléans, 1412-1431, arsa sul rogo il 30 maggio, pg 43) e riprendere a progettare il futuro del nostro
progresso, a sognare il mondo migliore che vo-
gliamo e vederlo realizzare attraverso i colori dell’
immaginazione creativa e gli strumenti dell’arte
poetica (“I poeti parlano al tramonto/ odono le on-
de del mare/ leggono nei petali dei fiori/ vivono l’ armonia del silenzio (…) I poeti parlano alla luna/
alle stelle al sole alle pietre/ e ascoltano tutto viag-
giando/ per infiniti spazi siderali.”, cfr. la poesia Poeti d’oltre, pg 28).
Grazie caro amico Tito, di questo splendido viag-
gio, attraverso la tua poesia, nei complessi meandri dell’animo umano, convinto, come ben tu dici nell’
introduzione del libro, che sul palcoscenico della
vita “c’è chi non ha di che coprirsi”, ed è questo che fa grande la poesia e impareggiabile il talento
del poeta, capaci di “capovolgimento della norma
antropologica”, come auspica Gianfranco Cotronei
in Prefazione, perché i vissuti possano essere riela-
borati, per liberare inediti orizzonti esistenziali.
Pasquale Montalto
MARIA GRAZIA FERRARIS
IL CROCONSUELO E ALTRI RACCONTI
Menta e Rosmarino Editrice. Caldana di Crocquio (VA). 2015. Pg. 164
Scrivere sulla prosa di Maria Grazia Ferraris si-gnifica introdursi in tutto il suo patrimonio ontolo-
gico; forzare la cassaforte del suo animo per sco-
prirne i sogni, le memorie, i propositi culturali e il profondo amore per la letteratura; concretizzarli in
fatti e personaggi che si fanno corpo delle sue co-
spirazioni epigrammatiche; dei suoi intenti emozio-nali: amore, nostalgie, radici, storie, solitudini. Tut-
to viene rielaborato dall’anima dell’Autrice. E tutto
si trasferisce sul foglio dopo una generosa decanta-zione. La cultura stessa, il suo profondo patrimonio
poetico-narrativo, filosofico-cognitivo, è oggetto di meditazione e rievocazione. Il suo bagaglio umano
e umanistico si è fatto immagine; non più semplice
realtà, o momento di abnegazione di un presente circostanziato. Tutto viene filtrato, e dopo lunga
macerazione i singoli elementi escono fasciati da
un sentire nuovo, originale, personale, in cui il dire e il sentire si fanno forma desanctisiana. E questo è
un libro di urgente forza esploratrice, in cui la No-
stra offre un quadro complesso, semplicemente complesso, della sua forza narrativa, e di come rie-
sca a imbrigliare in strutture stilistiche, morfosintat-
tiche e creative il suo pensiero e i suoi impatti emo-tivi. Sedici racconti che diluiti in misure di accatti-
vante compiutezza etimo-fonica, si reggono su una
narratologia ora sobria, ora effusiva; ora ferma e apodittica; ora riflessiva e parènetica; ora nostalgi-
ca ora melanconica; su una narratologia che mai
scade in sentimentalismi di bassa lega, ma che ci
tiene sospesi, incalzandoci alla lettura; a sfogliare le
pagine fino all’ultimo capitolo in cui “gli avvoltoi
pazienti si istallavano sui tetti delle case dove qualcuno sudava l’agonia”; dove “la morte di Le-
clerc portò Paolina alle soglie della demenza”.
Un vero amore, comunque, non solo per la cultu-ra ma per i paesaggi della sua terra. Paesaggi rivis-
suti con una tenera e edenica nostalgia e che si fan-
no alcova rigenerante in cui la Ferraris ritrova se stessa e il suo mondo per fuggire dalle aporie di una
società liquida. Gli ambienti, i fatti, i piccoli gesti
vengono finalizzati a delineare il ruolo analitico-introspettivo degli attori; e la natura stessa con tutta
la sua complessità fa da elemento portante nel rile-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 59
vare la loro interiorità. In certi momenti ci troviamo
di fronte a vere proposte poetiche, a veri melologhi,
o ecfrasi tanta è la musicalità delle parole che, co-me perle, si combinano in collane di preziosa eu-
ritmia; di vasto respiro lirico donato a versi di pro-
fonda e articolata forza strutturale:
Era silenzio intorno, muto non già
incantato, sospeso, respirante nella camera protetta da tende
scure… La casa, quîeta, taceva.
Il viso chino sui fogli, immobile ascoltavo le voci emergenti,
voci mute, eppur presenti, insistite.
Ferma, china sui fogli, silenziosi… Udivo profumi caldi di glicini
arrampicati fuori la casa, silente.
Si fondevano, come de’essere, per chi legge le voci solitarie
che vengono dal di dentro misteriose.
La casa ombrosa taceva trepidante, ricerca di senso nuovo da decifrare,
calma sinestesia di colori e luci, silenzio traboccante dentro e fuori.
La casa aspettava, taceva quieta (Viaggio intorno
alla mia camera). “Io leggo… leggo, studio. Non c’è un confine
preciso tra le due attività, si integrano, si danno for-
za e senso, nel silenzio e nella solitudine della mia camera…”.
D’altronde non si deve dimenticare l’anima poe-
tica della Ferraris; il suo messaggio intimistico che ci riporta a voli di largo lirismo, di ampio fonosim-
bolismo “Parafrasando Jules Renard, possiamo dire
che nella casa della poesia la stanza più grande è la sala d’attesa”, sì, quella sala in cui la Nostra im-
magazzina realtà fenomeniche a cuocere a puntino
per farsi poesia e in questo caso fluente narrazione, dacché le parole "Mostrano il loro legame con la
musica...La parola nasce dal ritmo, come la musica.
La poesia utilizza il ritmo in modo letterale e la fi-
losofia, che non canta, si muove sulle tracce del
ritmo e attraverso di esso vede. Vede il Ritorno.
Vede l'Enigma" (Carlo Sini). Il croconsuelo e altri racconti il titolo dell’opera
divisa in tre nuclei tematici: Memoria, Storia e sto-
rie, Donne. Ed è il primo capitolo che si pone come momento incipitario con valore eponimo. Un rac-
conto di ricordi, di tempi andati riportati a memoria
da un bar provvisto di pochi tavolini dell’amico di studi Gianni: DA GIANNI – PIZZA D’ASPORTO:
pizza margherita, quattro stagioni, quattro formag-
gi… e… CROCONSUELO. Ombre di querce, giochi giovanili; castagni in boschi autunnali, mon-
delle (arrostite); lezioni di Gianni sull’arte culina-
ria; la sua passione per la letteratura: melange di
memorie e natura; di storia e cucina, di affetti e
simpatie. Ed eccoci al titolo del testo: <<Credo pe-rò che Gianni abbia raggiunto l’apice della sua pas-
sione il quinto anno, durante gli esami di maturità.
Intrattenne la Commissione su quel capolavoro che è La Cognizione del dolore del milanese Carlo E-
milio Gadda, indiscusso e iroso lombardo, ma lo
fece in modo molto originale, soffermandosi sul tema culinario stabilendo paragoni con la letteratu-
ra… Il gorgonzola, allora…: formaggio ben cono-
sciuto e diffuso da noi… Gadda non lo cita col suo nome, spiegava compiaciuto (Gianni alla commis-
sione), lo traveste in “croconsulelo”>>.
Ma la vita divide come succede nella storia: Gianni era partito per una esperienza di lavoro in
Inghilterra per poi tornare a fondare il suo negoziet-
to. Fu giusto fargli una visita per parlare delle vi-cende di quegli anni e festeggiarlo con una cena in
suo onore. Poi addii e promesse di ritorni. “Ma non
prima delle sette. Il croconsuelo va consumato subi-to, flagrante di forno, e non ammette di essere ri-
scaldato – rispose ironico ridendo,Gianni”. Memorie che sanno di poesia; amicizie persesi
nel tempo e ritrovate a suggerire emozioni; radici di
verdi primavere; di nature fresche e incontaminate rimaste da tempo a ingrossare nell’animo. <<Se gli
anni fanno macerie, la natura vi semina fiori; se
scoperchiamo una tomba, la natura vi pone il nido di una colomba: incessantemente occupata a rige-
nerare, la natura, circonda la morte delle più dolci
illusioni della vita>>. “Chateaubriand dans le “Ge-nie du Christianisme”.
Nazario Pardini
MARIA MARTIGNETTI
DA UNO SGUARDO CIRCOSTANTE
Aletti, 2013
“Da uno sguardo circostante” è una raccolta di 14
racconti di Maria Martignetti, poetessa e scrittrice,
edito dalla casa Editrice “Aletti Editore” - Villano-
va di Guidonia - (RM), maggio 2013, € 14,00. Sono racconti che, di là dalla fantasia, hanno una
matrice di verità, di vita vissuta e rappresentano, nel
loro insieme, una vera e propria denuncia. Una de-nuncia fatta in modo sottile con parole semplici che
si diramano in vari settori del vivere quotidiano. La
Martignetti non ha peli sulla lingua e va diritta allo scopo dei suoi racconti; racconti che parlano
dell’immondizia ma non in forma generalizzata, più
specificatamente particolareggiata perché più volte, e ne hanno parlato spesso i quotidiani di tutta Italia,
l’immondizia non si accumula mai nelle strade do-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 60
ve vi sono politici o rappresentanti delle istituzioni.
Emblematico il caso di Napoli, sommersa da tantis-
sima immondizia, la strada dell’allora Sindaco Jer-volino era sempre pulita, pulita dai lacchè e dai tan-
ti ruffiani. Infatti, nel racconto “Solo un tratto di
strada”, la scrittrice dice che due ragazzi vanno a veder giocare a tennis per una strada colma di im-
mondizia, però in loro nasce la curiosità e la do-
manda del perché la strada, più avanti, ritorna luci-da e pulita, pulita perché vedono una grande villa
con piscina e campi di tennis, abitata sicuramente
da qualche personaggio di spicco, per cui l’ opera-tore ecologico rivolge, probabilmente, maggiore at-
tenzione a quel posto, mentre gli altri cittadini con-
tinuano a nuotare nell’immondizia. Il racconto “Brevi amori” mette in mostra un a-
more nato con forza, a prima vista, ma per una
sciocchezza, una piccola incomprensione, si sfascia irrimediabilmente. Il detto “chiodo scaccia chiodo”
è un detto brutto, lascia tanto amaro in bocca, ma
soprattutto lascia un immane dolore per l’uno o per l’altra, senza pensare a quelli che ci rimettono di
più: i figli. L’amore vero, duraturo, non esiste più, forse non
è mai esistito. Nel passato c’era, dettato da una
forma di educazione, un diverso modo di vivere, una società più omogenea, coesa, rivolta al bene
comune, al rispetto reciproco, c’era, insomma,
comprensione, e in tantissimi casi il perdono. Ecco, da questo punto di vista, l’amore durava tutta la vita
anche se litigi e riappacificazioni erano all’ordine
del giorno. Oggi c’è l’abitudine a non sopportare un errore dell’uno o dell’altra, a non avere quell’ equi-
librio mentale caratteristico dell’uomo savio, per-
ché il perdono non esiste più, e il divorzio è diven-tato una moda: non si è capito lo spirito del legisla-
tore. Il divorzio doveva avvenire solo per situazioni
complicate e difficili da redimere. No! È diventato solo moda al punto che coppie di fidanzati per anni
si amano e all’indomani del matrimonio, addirittura
in viaggio di nozze, si separano. Dov’era il loro
amore? Ecco perché diciamo, in modo soggettivo,
che il termine “amore” ha perso il suo valore, il suo
significato. Tutto questo si è tramutato in possesso, perché l’uno vuole prevalere sull’altro, nascono co-
sì i contrasti e l’avventura finisce ma, considerando
che la solitudine è una cattiva medicina, per forza di cose bisogna riprovare di nuovo, sperando che
duri a lungo e per tutta la vita ma, purtroppo, c’è
sempre un ma. Il racconto “Uno di alcuni (il bamboccione)” rap-
presenta la denuncia clou di tutta la raccolta. La
mancanza di lavoro per i giovani, aggravata dall’offesa fatta, nei loro confronti, da chi rappre-
senta le Istituzioni e dovrebbe, per dovere, provve-
dere a che i giovani, una volta lasciata la scuola,
abbiano un lavoro per crearsi un’indipendenza e
non gravare sulle spalle di tante famiglie, resta solo un sogno. Al danno anche la beffa. Una piaga che i
governanti fanno finta di non capire e raggirano con
parole di promesse senza una vera e propria realiz-zazione. Nulla fanno per mettere in pratica quella
che dovrebbe essere la cosa primaria per una nazio-
ne, cioè, creare lavoro per tutti, perché solo così l’ Italia o qualsiasi altra nazione possa sollevarsi e da-
re quella vivibilità alle famiglie senza preoccupa-
zione e senza patemi d’animo. Con il lavoro dimi-nuirebbe anche la delinquenza, invece oggi ci tro-
viamo di fronte a tanti farabutti, magari non lo sono
mai stato, ma che per tirare avanti la famiglia ruba-no e, in certi casi, forse senza volerlo, ci fanno
scappare anche il morto.
La Martignetti, nel racconto “La diversità” mette in luce la diversità che la società, non solo italiana
ma anche di altre nazioni, sta vivendo in questi ul-
timi periodi. I contrasti nascono soprattutto nelle scuole dove il colore della pelle crea tante situazio-
ni di invidia e incomprensione tra i bambini, in al-cuni casi fomentati anche da genitori, per fortuna
però c’è sempre qualcuno dal cuore d’oro che dipa-
na ogni matassa e dà la possibilità ai propri figli di frequentare bambini dal colore diverso. In questo
racconto la Martignetti, è un nostro pensiero sog-
gettivo, si è superata, positivamente, nella metafora. Analizzare tutti i racconti non è cosa da una sola
cartella, citiamo solo alcuni titoli: “Non è un so-
gno”; “Un sabato notte”, “Lo scippo di un droga-to”; “La ragazza Fortuna”; “L’uomo antico del
sud”, ecc.
I racconti della Martignetti, scritti con un lin-guaggio semplice, senza paroloni, penetrano nel
cuore del lettore e lo mettono nella condizione di
ben assimilare non solo lo scritto ma soprattutto quello che la scrittrice intende denunciare. Sono
racconti che vanno letti e Maria Martignetti merita,
per la sua bravura, l’attenzione e il plauso dei letto-
ri.
Ciro Rossi
MILLE STELLE
La sera chiudo gli occhi per dormire
e nell’oscurità vedo brillare
un’infinita quantità di stelle.
Penso che in una stella ci sei tu
penso che in ogni stella ci sei tu
e a un certo punto poi tutte le stelle
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 61
si riuniscono in una grande luce
e dalla luce viene la tua voce
e il sonno in paradiso mi conduce.
Mariagina Bonciani Milano
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE IL LEOPARDI DI DI LIETO - Nella nostra nota
all’interessante volume di Carlo Di Lieto su Leo-pardi e il “mal di Napoli” (1833 - 1837) una “nuo-
va” vita in “esilio acerbissimo” , scrivevamo, a
pag. 2 del numero precedente, che l’Autore non cita alcuni saggi, per noi validi, come quello del nostro
amico Angelo Manitta: “Giacomo Leopardi pes-
simista ma non troppo”. Il saggio di Manitta, inve-ce, è citato in ben tre note: alle pagine 601, 797 e
885. Ce ne scusiamo con entrambi: il prof. Di Lieto
e l’amico Manitta; così come citato è anche il cor-poso e bel saggio di Antimo Negri: “Leopardi.
Un’esperienza cristiana”, in una nota a pag.765. Il
carattere minuto, or-mai da qualche tem-
po, gioca brutti
scherzi ai nostri occhi sofferenti.
A proposito del nu-
mero di luglio e della calorosa accoglienza
del ricordo di Leo-
pardi tramite l’opera di Di Lieto, ecco, per
esempio, la testimo-
nianza di Leonardo
Selvaggi, da Torino: “I vent’anni di collaborazione
all’attività di Pomezia-Notizie, mantenuta costan-
temente con inappuntabile precisione dei tempi di pubblicazione, hanno fatto conoscere i cammini di
intenso progresso della qualità letteraria di una rivi-
sta di grande rinomanza nell’ambito del secondo ‘900. Piena ricchezza della varietà dei contenuti,
partecipazione critica all’interpretazione delle pro-
blematicità sociali dei nostri tempi. Enorme la ca-pacità di scelta degli scritti, oltre alla sempre più
vera e concreta sua vitalità acquisita nel seguire le
tradizioni culturali nazionali e internazionali. Em-blematica la presenza nel numero di luglio della fi-
gura del più grande poeta di tutte le letterature Gia-
como Leopardi nel saggio autorevole del direttore Domenico Defelice relativo all’opera di Carlo Di
Lieto sul periodo napoletano vissuto dal sublime
Recanatese. Importante il cammino di Pomezia-Notizie come rivista di grande formazione, oltre
che di guida sempre stata da parte dei suoi tanti
Scrittori di valida capacità critica e di profondità in-tellettiva per acutezza, ampia e riconosciuta profes-
sionalità. Torino, 12 luglio 2015
Leonardo Selvaggi
Nel ringraziare il Dott. Servaggi per la squisita te-stimonianza e tutti gli altri che ci hanno scritto e te-
lefonato, ma che non citiamo, per non ridurre P. N.
a un palcoscenico di elogi, preghiamo i Collabora-tori, che ancora non lo facessero, a inviare, in futu-
ro, i materiali tramite e-mail, perché i nostri occhi
non ci permettono più sforzi per ribatterli al com-puter. Facendolo, si evita il cartaceo, con rispar-
mio di cellulosa e, inoltre - che non è poca cosa -,
della spesa postale, sempre più onerosa, diciamo scandalosa, in rapporto a un servizio tra i più pes-
simi del mondo.
D. Defelice ***
LE LETTERE DELLA LINISA: PERLE DI
RARA BELLEZZA - E-mail del 20 luglio 2015
dalla giovane lettrice laureanda Claudia Trimar-
chi:
Carissimo Domenico, (...) Ho ricevuto le lettere della Lenisa; non sono
ancora riuscita a leggerle tutte! Non si tratta infatti,
come all'apparenza potrebbe sembrare, di una lettu-ra "leggera"...meritano tempo e attenzione, perché
contengono, sparse qua e là, perle di rara bellezza
che assumono maggior valore nella misura in cui sono inserite in una scrittura "privata", non sono
cioè pensate per la pubblicazione ma spontanee, a
ribadire una vocazione autentica della Lenisa (e del suo interlocutore) per la Poesia, necessaria come l'
ossigeno nell'aria per respirare: "poter creare poesi-
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 62
a, non solo scrivendo, ma vivendo, è il massimo
delle nostre aspirazioni. Ci sono anche nella vita
quotidiana momenti di stupore magico, per cui un mondo prima grigio, deserto, profuma di gelsomi-
ni"..."Noi, con la poesia costruiamo il nostro spirito,
senza di essa "moriamo"..."Non ci sono prigioni più vere di quelle dell'anima che non si accetta nella
sua infinità libertà (...) Ama dunque la vita, le crea-
ture, le cose, portale in te, come un tesoro da "can-tare" in quelle ore in cui viaggi nella città di te stes-
so ai confini con l'assoluto"..."La diagnosi della tri-
stezza è fin troppo ovvia: si finisce per perdere la capacità di vivere gli affetti più cari (...) Più ci si e-
stranea dall'armonia, più tutto è assurdo come un
debito che si continua a pagare, in ragione di una gioia dispersa che si fu incapaci a custodire"..."La
mia solitudine è un regno (...) Il mio disco gira stu-
pendamente la Sua musica in una stanza abbando-nata. Qualche volta è udito nelle Sue note più vici-
ne: da qui l'amicizia. Ma l'amore è nell'anelito so-
cratico: ciò che non si ha, non è vero? "Averla quel-la cosa per non amarla più"... "Sono poesia inerme,
che passa attraverso la Storia (...) Io non concilio col potere, sono sempre Antigone contro Ore-
ste"..."la croce del successo è pesante ed io, ad e-
sempio, preferisco un fiore"("essendo l'esser com-presi il premio più ambito!")..."La poesia basta a se
stessa"..."ciò che è valido, parla da sé e il vero suc-
cesso dell'opera è l'opera stessa, la sua vita"..."Non sono io a dirti che vale, ma tu prima devi esserne
convinto. (...) Continua la tua opera di poeta; alcuni
sono troppo pieni di se stessi e le parole vanno a peso...che t'importa? Forse non eri lieto di aver fatto
l'opera? Ricorda la gioia di essere poeta un po’ co-
me gli uccelletti che cinguettano"... "La mia fortuna è proprio la gioia di scrivere che mi ha accompa-
gnata attraverso tanti dolori"..."La poesia è così mi-
steriosa che niente è definitivo, è come un riflesso di paesi nell'acqua (...) Ma quale miglior scrigno
per la perla se non il cuore di un vero amico che si
fa contenitore di poesia o qualcosa che Le somi-
gli?"...
Bellissime... peccato che la tua voce si ascolti solo
"di riflesso" (...); sarebbe stato magnifico il carteg-gio completo, e senz'altro più semplice anche per i
lettori la fruizione... La figlia Marzia, che ha curato
la presentazione, non ha modo di risalire alle tue lettere? Sicuramente, la Lenisa le avrà conservate
da qualche parte... (...)
Scusami per le eccessive citazioni di questa mia...non riuscivo a rinunciare a nessuna!
Un abbraccio,
Claudia Claudia Trimarchi è una giovane che frequenta la
Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Ro-
ma Tor Vergata, in procinto di laurearsi, forse
nell’ottobre prossimo. Da tempo la invitiamo a col-
laborare col nostro mensile, perché abbiamo nota-to, in lei, una rara capacità di leggere e penetrare
opere di poesia e prosa, l’attrazione a far suo il
mondo volta per volta contenuto in un volume, il dono di commuoversi. Speriamo ci dia retta; in lei
vediamo una brava, geniale investigatrice di opere
letterarie. Grazie, Claudia, qualora ti deciderai di far parte della grande famiglia di Pomezia-Notizie.
Ti aspettiamo, dopo la laurea.
Domenico
***
BATTESIMO DI VALERIO - Sabato
27 giugno, alle ore 17, a Pomezia, nella
chiesa di Santo Isidoro Agricoltore, da
poco completamente rifatta - località
Santa Procula -, il piccolo VALERIO
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 63
ha ricevuto il sacramento del Battesimo
dal parroco Don Giuseppe Di Savino.
Madrina e padrino i giovani Rosaria
Costa e Luca Defelice. A far da cornice,
per un momento così solenne e gioioso,
oltre a mamma e papà - Emanuela Vi-
gnaroli e Stefano Defelice -, le due
coppie di nonni e nonne, la bisnonna
della famiglia di Emanuela e una folta
schiera di parenti che, tutti insieme,
hanno poi festeggiato fino a tardi in un
locale sulla spiaggia della vicina Torva-
janica.
Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI GIUSEPPE LEONE - D’in su la vetta della Torre
antica. Giacomo Leopardi e Carmelo Bene so-
spesi fra silenzio e voce - Edizioni Il Menabò, 2015 - Pagg. 142, € 16,00. Dopo il saggio “Silone e
Machiavelli” (2003) e altre composizioni poetico-
musicali scritte in collaborazione con il critico mu-sicale Roberto Zambonini, fra cui: “Leopardi-
Mozart” (2008), “Silone-Puccini” (2009), “Mazzi-
ni-Mozart” (2011), “Gadda-Malher” (2012), Giu-
seppe Leone propone un confronto fra Giacomo
Leopardi e Carmelo Bene. Partendo da un luogo
emblematico come la torre (quella Campanaria di Recanati che rimanda al “Passero solitario” di Leo-
pardi e degli Asinelli di Bologna che evoca la “Lec-
tura Dantis” di Carmelo Bene), Leone legge l’opera dei due grandi attraverso i contrasti “scrittu-
ra/oralità, silenzio/voce, significante/significato”,
che furono alla base delle performance teatrali dell’artista salentino, ma che non sono stati meno
determinanti nello sviluppo dell’opera leopardiana.
Una lettura attenta e puntuale che il critico conduce attraverso un andirivieni di comparazioni fra analisi
testuali e testimonianze biografiche e autobiografi-
che, che rivelano inospettate similitudini fra due geni che perseguirono l’identico fine di orientare la
poesia e il teatro nel segno della voce, nel tentativo
di strapparli al silenzio della scrittura. Giuseppe LEONE si è laureato a Pavia nel 1973 in Lettere
Classiche, ha insegnato letteratura italiana e storia
nelle scuole superiori. Ha pubblicato i saggi: “Igna-zio Silone scrittore dell’intelligenza” (1978), “Silo-
ne e Machiavelli. Una scuola che non crea... princi-pi” (2003), “La poesia di Carlo Del Teglio” (2003),
“L’ottimismo della conchiglia. Il pensiero e l’opera
di Giuditta Podestà fra comparatismo e europei-smo” (2011). Ha curato: “Carlo Del Teglio, Il rica-
mo della Regina” (2012), “Carlo Del Teglio, Tutte
le poesie” (2014). È autore anche di romanzi e ope-re teatrali. Vive e lavora a Lecco, dove collabora
con riviste letterarie nazionali e internazionali e con
il Centro Studi Ignazio Silone di Pescina. È diretto-re artistico dell’associazione culturale “Il Menabò”.
**
SERENA SINISCALCO - Il Poesiario X - Prefa-zione di Sandro Gros-Pietro; in appendice, giudizi
critici di Pasquale Balestriere, Giannicola Cecca-
rossi; Postfazione di Maria Ebe Argenti; in coperti-na, a colori, foto di Elena Siniscalco; in quarta,
sempre a colori, foto dell’Autrice - Genesi Editrice,
2015 - Pagg. 104, € 20,00. Serena SINISCALCO è
nata a Milano. Dopo il Liceo Classico - al G. Car-
ducci di Milano - si è laureata alla Facoltà di Far-
macia a Pavia. Sposata con 4 figli. Vedova dal 1985. Conosce Inglese e francese. Titolare, dal
1972 al 1976, della “Eco” Galleria d’Arte contem-
poranea di Finale Ligure (SV). Dal 1972 fondatrice e presidente del Premio Internazionale di Poesia
“Streghetta”. Ha viaggiato e soggiornato in diverse
nazioni; ha portato la poesia anche sulle navi di crociera. Ha vinto Premi importanti. E’ stata inseri-
ta in numerose antologie e in Storie della Letteratu-
ra Italiana. E’ socia di molti Centri, anche di Centri universitari. Ha pubblicato, uno ogni anno, ben no-
ve volumi de Il Poesiario: 2005, 2006, 2007, 2008,
POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 64
2009, 2010, 2011, 2012, 2013. Si sono interessati di
lei, e della sua opera letteraria, poeti, scrittori e cri-
tici di chiara fama, in Italia e All’Estero. Nell’ am-bito del Premio Stregetta viene assegnato anche la
“Laurea Apollinaris Poetica”, che, con il 2013, è
stata assunta in onere dalla Università Pontificia Sa-lesiana, con la celebrazione presso l’Aula Magna
della stessa Università, all’interno della Facoltà di
Scienze di Comunicazione Sociale, in piazza dell’ Ateneo Salesiano 1, Roma.
**
ANTONIA IZZI RUFO - Raccontarsi - Presenta-zione di Marco Delpino; in copertina, a colori,
“Megaliti (Menorca)”; in quarta, sempre a colori,
foto dell’Autrice - Edizioni Tigulliana, 2015 - Pagg. 52, € 10’00. Antonia IZZI RUFO, insegnante in
pensione, laureata in Pedagogia, è nata a Scapoli
(IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta (IS). Tra le sue tantissime opere (saggi,
poesia, narrativa), ricordiamo: “Piccolo caotico zi-
baldone”, “La nonna racconta”, “Castelnuovo e il brigante Centrino”, Di tutto un po’, streghe, maloc-
chio e fatture”, “Un posto chiamato Scapoli”, “Gira la ruota del tempo”, “Volando... Sognando...”, “Ho
conosciuto Charles Moulin”, “Ricordi d’infanzia,
ricordi di guerra”, “Quando la Musa è con noi”, “Tristia - Ovidio”, “Perdonami, Galdino”, “I colori
dell’anima”, “Le novelle della Pescara”, “Saffo, la
decima Musa”, “Senderos de azul, Sentieri d’azzurro”, “Voli nei sogni”, “Pensieri per te”, “La
Ginestra di Leopardi”, “Riscopriamo Mimnermo e
Solone”, “Continuano a chiamarmi la Maestra”, “Les couleurs de l’âme - I colori dell’anima”, “E-
mozioni”, “Profumi”, “Una rivisitazione di Virgi-
lio”, “Omnia vincit amor L’amore vince ogni co-sa”, “Intus”, “Meraviglioso mare”, “Passi leggeri”,
“La Vita Nuova di Dante”, “Enrico Marco Cipollini
e le sue opere”, “La mia vita con te”, “Pasquale Vecchione e la Capitale della zampogna”, “Lamen-
to dell’animo”, “Ritorno alla terra”, “Ricondurre ad
unità”, ”Donna”, “Catullo”, “Io, natura e amore”,
“Azzurro”, “De Profundis”, “Ti cerco”, “29 raccon-
ti”, “Miraggio”, “Aldo Cervo e gli odori della ter-
ra”, “Il poeta e l’emozione”, “Stralci di vita”, “Dol-ce sostare”, “Dilemma”, “Flusso di coscienza”,
“Desideri”, “Mi manchi”, “Perché tu non ci sei
più”, “Felicità era...”, “Scapoli e il suo dialetto”, “Paese”, “Castelnuovo, paese di canti e di suoni, di
miti”, “Voci del passato”. Lavori e saggi critici
sull’Autrice: “Antonia Izzi nella Critica” (Volume I), “Antonia Izzi Rufo nella Critica” (Volume II),
Enrico Marco Cipollini, “Invito alla lettura
dell’opera di Antonia Izzi Rufo”, Leonardo Selvag-gi, “Nelle opere di Antonia Izzi Rufo Poesia e Tra-
dizioni”, Aldo Cervo, “Antonia Izzi Rufo tra sog-
gettivismo lirico e neorealismo”.
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
30 righe per 60 battute per riga, per un totale di
1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito
www.issuu.com al link:
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