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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene- merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte . Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 23 (Nuova Serie) n. 8 - Agosto 2015 - € 5,00 LETTERATURA COME VITA, NEL PENSIERO DI UN GRANDE CRITICO: CARLO BO (1911-2001) di Luigi De Rosa NCHE perché abito in provincia di Genova, a Rapallo, a soli venti Km. da Sestri Levante, la cittadina che nel 2011 diede i natali a Carlo Bo, ed anche perché mi oc- cupo da una vita di letteratura, e ogni volta che vengo invitato a tenere una confe- renza presso la Biblioteca civica di Sestri, e precisamente nella Sala intitolata allo stesso Carlo Bo, mi riprometto di approfondire ulteriormente la conoscenza di questo grande Criti- co letterario e studioso che, dedicando la propria vita all'insegnamento universitario e alla Letteratura, ha saldato in un forte legame culturale la sua Liguria alle “sue” Marche di Urbi- no. Non è facile ri- cordare un gigante come Bo, dall'im- ponente bibliogra- fia, in un breve ar- ticolo di Rivista. Mi limiterò quindi all'essenziale, spe- rando nella com- prensione dei letto- ri. Innanzitutto al- cune note biografi- che; poi alcune considerazioni sulla sua opera e sul suo concetto di Lettera- tura. Era nato a Sestri A

Pomezia Notizie 2015_8

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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Page 1: Pomezia Notizie 2015_8

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA

Anno 23 (Nuova Serie) – n. 8 - Agosto 2015 - € 5,00

LETTERATURA COME VITA,

NEL PENSIERO DI UN GRANDE CRITICO:

CARLO BO (1911-2001)

di Luigi De Rosa

NCHE perché abito in provincia di Genova, a Rapallo, a soli venti Km. da Sestri

Levante, la cittadina che nel 2011 diede i natali a Carlo Bo, ed anche perché mi oc-

cupo da una vita di letteratura, e ogni volta che vengo invitato a tenere una confe-

renza presso la Biblioteca civica di Sestri, e precisamente nella Sala intitolata allo stesso

Carlo Bo, mi riprometto di approfondire ulteriormente la conoscenza di questo grande Criti-

co letterario e studioso che, dedicando la propria vita all'insegnamento universitario e alla

Letteratura, ha saldato in un forte legame culturale la sua Liguria alle “sue” Marche di Urbi-

no.

Non è facile ri-

cordare un gigante

come Bo, dall'im-

ponente bibliogra-

fia, in un breve ar-

ticolo di Rivista.

Mi limiterò quindi

all'essenziale, spe-

rando nella com-

prensione dei letto-

ri.

Innanzitutto al-

cune note biografi-

che; poi alcune

considerazioni sulla

sua opera e sul suo

concetto di Lettera-

tura.

Era nato a Sestri

A

Page 2: Pomezia Notizie 2015_8

POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 2

All’interno:

Giordano Bruno Guerri affronta il fenomeno del brigantaggio, di Ilia Pedrina, pag. 6

Maria Messina, di Giuseppina Bosco, pag. 12

Benito Poggio: 58 canti bilingui, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 16

Eugenio Marino: Andandosene sognando, di Carmine Chiodo, pag. 19

Fulvio Caporale, Trivigno e tutta la Lucania, di Leonardo Selvaggi, pag. 21

XXV Edizione Premio letterario internazionale Città di Pomezia 2015 (risultati e materiali

di: Paola Insola, Elisabetta Di Iaconi, Maria Grazia Ferraris, Maria Coreno, Maria Turiano A-

prile, Fabio Dainotti, Anna Maria Bonomi, Tito Cauchi, Mariagina Bonciani, Nicola Chinaglia,

Claudio Carbone, Angelo Mario Cianfrone, Franco Casadei, Emilia Bisesti, Antonia Izzi Rufo,

Giovanna Li Volti Guzzardi, Anna Trombelli Acquaro, Filomena Iovinella, Anna Vincitorio,

Isabella Michela Affinito, Santo Consoli, Lucia Gaddo Zanovello), pagg. 25-44

Maria Grazia Lenisa scrive a Domenico Defelice, di Ilia Pedrina, pag. 45

Elisa Rampone Chinni, Dialogo con me stessa, di Elio Andriuoli, pag. 49

Domenico Defelice: Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Tito Cauchi, pag. 51

I Poeti e la Natura (Mario Luzi), di Luigi De Rosa, pag. 55

Notizie, pag. 61

Libri ricevuti, pag. 63

RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (Anelito d’infinito, di Santo Consoli, pag. 56); Aldo

Cervo (Lettere, di Maria Grazia Lenisa, pag. 57); Pasquale Montalto (Palcoscenico, di Tito

Cauchi, pag. 57); Nazario Pardini (Il Croconsuelo e altri racconti, di Maria Grazia Ferraris,

pag. 58); Ciro Rossi (Da uno sguardo circostante, di Maria Martignetti, pag. 59).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Colombo Conti, Domenico Defelice, Themistoklis

Katsaounis, Leonardo Selvaggi

il 25 gennaio 2011. Compiuti gli studi supe-

riori dai Gesuiti dell'Istituto Arecco di Ge-

nova (quindi, ricevuta un'educazione cattoli-

ca) si era laureato in Lettere Moderne a 23

anni, nel 1934, all'Università di Firenze. Ma

tutta la sua carriera universitaria si svolse, a

partire dal 1938, all'Università di Urbino,

prima come docente di Letteratura francese

e spagnola, e poi, addirittura, come Rettore.

Dal 1940 al 1945 (cioè negli anni della Se-

conda Guerra Mondiale) visse tra Sestri Le-

vante, Rivanazzano (Voghera) e Valbrona

(lago di Como). A guerra finita si stabilì a

Milano insieme a Marise Ferro (già moglie

di Guido Piovène) che avrebbe poi sposata

nel 1963. Ma a Sestri, la bellissima cittadi-

na-penisola sulla Baia del Silenzio e sulla

Baia delle Favole, sarebbe poi sempre torna-

to, come in un amato rifugio estivo, a colti-

vare le sue origini, a passeggiare, con il soli-

to sigaro tra le labbra, a nuotare nella Baia

del Silenzio con la sorella, a leggere, a con-

versare sugli accadimenti della vita. Anche

se burbero e riservato (a volte sembrava per-

fino accigliato) era buono, essenziale e con-

creto come sanno esserlo tanti Liguri...

Fu nominato Rettore dell'Università di

Urbino nel 1947 (quindi a soli 36 anni), e

svolse questo prestigioso incarico per ben

cinquantatre anni consecutivi, fino all'anno

2000. Tra i suoi numerosi meriti anche quel-

lo di aver fondato, già nel 1951, la Scuola

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 3

Superiore per interpreti e traduttori di Mila-

no (che avrebbe poi aperto nuove sedi in Ita-

lia).

Il 18 luglio 1984 l'allora Presidente della

Repubblica Sandro Pertini lo nominò Sena-

tore a vita. Militò nei gruppi Democrazia

Cristiana, Partito Popolare, La Margherita.

Carlo Bo non è stato soltanto docente,

scrittore, critico, traduttore, ma anche un

ottimo giornalista, e ha scritto per trentaset-

te anni, dal 1963 al 2001 (anno della sua

morte) sul Corriere della Sera.

È morto a Genova il 21 luglio 2001. Ai

suoi funerali ha partecipato anche il Presi-

dente della Repubblica Carlo Azeglio

Ciampi.

Due anni dopo, l'Università di Urbino è

stata intitolata al suo nome.

Anche come traduttore egli ha contribuito

grandemente, con le sue magistrali Tradu-

zioni (nel 1996 l'Università di Verona gli ha

conferito la laurea honoris causa in Lingue e

Letterature straniere) a far conoscere la poe-

sia europea del Novecento, nonostante certe

chiusure nazionalistiche del Fascismo. E

questo non solo approfondendo la cono-

scenza di poeti già noti come Antonio Ma-

chado, Paul Claudel, Clemente Rebora, Eu-

genio Montale, Giuseppe Ungaretti, Camillo

Sbarbaro (che era stato suo docente di latino

e greco al Liceo a Genova). Ma anche, e so-

prattutto, valorizzando poeti nuovi come

Federico Garcia Lorca, Paul Eluard, André

Breton e, nell'ambito dell' Ermetismo italia-

no, Mario Luzi, Carlo Betocchi, Alfonso

Gatto, Salvatore Quasimodo.

Mi limito qui a ricordare che ha tradotto il

San Tommaso d'Aquino di Jacques Maritain

nel 1937, mentre di Lorca ha tradotto sia le

Poesie (Parma 1940 e Milano, Garzanti

1979) che le Prose (Vallecchi 1954). Fra gli

autori tradotti vi sono stati anche Juan Ra-

mon Jimenez, José Ortega Y Gasset, Miguel

de Unamuno, Georges Bernanos, ed altri.

Grande importanza hanno anche rivestito le

Antologie di testi stranieri da lui tradotti,

come Lirici del Cinquecento, Lirici spagno-

li, Narratori spagnoli, Antologia del Surrea-

lismo, Antologia dei poeti negri, Gustave

Flaubert, i capolavori.

In tanto fervore di attività, comunque, non

ha mai trascurato la cultura poetica della sua

regione, la Liguria. Un esempio per tutti:

l'appoggio e il riconoscimento critico per un

nuovo poeta di Sestri Levante, Giovanni

Descalzo (per non parlare del citato Monta-

le, e di Sbarbaro, ed altri). A Descalzo ha

assicurato...un posto nella storia letteraria

inserendolo nella sua importantissima Storia

della Letteratura italiana edita dalla Mon-

dadori.

Tra gli Autori che, a loro volta, si sono oc-

cupati di Bo, occorre almeno ricordare Ma-

rio Apollonio, Oreste Macrì, Silvio Ramat,

Piero Bigongiari, Mario Luzi, Geno Pampa-

loni.

Il significato del titolo di questo mio breve

scritto scaturisce dal concetto di Letteratura

che era proprio di Carlo Bo. Per lui, infatti,

la Letteratura è stata talmente importante da

identificarsi con la Vita stessa: “...la lettera-

tura è stata davvero, per me, da un certo

momento, la vita stessa...” (Diario aperto e

chiuso 1932-1944).

È stato definito l'anti-Croce anche per la

fedeltà al concetto Letteratura uguale vita,

espresso a chiare lettere già nel 1938 nel suo

saggio Letteratura come vita, considerato il

Manifesto non solo dell'Ermetismo ma addi-

rittura della letteratura del secondo Nove-

cento. In tale fondamentale testo, il cui con-

cetto di base, secondo il docente e critico

letterario torinese Giorgio Barberi Squarotti

(1929) è stato enunciato, dapprima, dal criti-

co e scrittore francese Charles Du Bos

(1882-1939) Carlo Bo è arrivato a scrivere,

tra l'altro : “ A questo punto è chiaro come

non possa esistere un'opposizione fra lette-

ratura e vita. Per noi sono tutt'e due, e in

ugual misura, strumenti di ricerca e quindi

di verità...Mezzi per raggiungere l'assoluta

necessità di sapere qualcosa di noi...La let-

teratura è la vita stessa, e cioè la parte mi-

gliore e vera della vita...Non crediamo più

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 4

ai letterati padroni gelosi dei loro li-

bri...Non esiste un mestiere dello spirito...il

valore di un testo dipende dal suo grado di

vita, dal modo in cui è stata rispettata la ve-

ra realtà dei nostri movimenti...”

Da tale concetto di “Letteratura come vi-

ta” scaturisce anche la sua fervida attività in

seno alla rivista Frontespizio (vicina all'er-

metismo di matrice cattolica), la sua colla-

borazione con Mario Luzi, Giovanni Papini,

Vittorio Sereni, Ardengo Soffici, il suo co-

involgimento con gli scrittori francesi, spa-

gnoli e italiani di cuore cattolico o comun-

que di forte sensibilità spirituale, il suo ab-

bracciare e comprendere anche poeti e scrit-

tori provenienti da altre zone geografiche,

spirituali e culturali, come, ad esempio, Ka-

fka ed Eliot.

Di qui, com'è ovvio, la sua lunare distanza

da Autori che propugnano invece una lette-

ratura nutrita di retorica in nome di un' Este-

tica pura e disincarnata dalla vita dei comuni

mortali. (Inevitabilmente si ripensa a D'An-

nunzio e ai suoi epigoni, ma non solo …).

Di qui, pure, la sua preoccupazione perché

non solo il lavoro dello scrittore, ma anche

quello del critico, siano informati al concet-

to di Letteratura come Vita. Il critico deve

essere in sintonia con il testo dello scrittore,

scandagliandone le ragioni spirituali che lo

hanno ispirato e nutrito.

Nel saggio “Riflessioni critiche” del 1953

ebbe a dire, a proposito della forma lettera-

ria del romanzo : “ I veri romanzi si ricono-

scono e dal punto di partenza e dal punto di

arrivo, che lasciano appunto questa sensa-

zione di vita. Quando il lettore è costretto a

dire “Questa è proprio la vita!” è allora che

la funzione del romanziere è definitivamente

riuscita...”

A questo proposito, non sono mancate le

perplessità sul fronte opposto, ma si pensi

addirittura alla disputa radicale sulla “morte

del romanzo”...

L'enorme mole di lavoro svolto fin dagli

anni Trenta come critico letterario e tra-

duttore gli ha assicurato una posizione pre-

dominante anche in un campo, come quello

culturale e letterario, e in un periodo di tem-

po, in cui le leve del potere sono state in

mano alla Sinistra, quantomeno fino alla ca-

duta del Muro di Berlino.

Per capire, comunque, il pensiero di Carlo

Bo, non si può non tenere presente che, al di

sopra dei valori puramente critici e tecnico-

letterari, per lui contano soprattutto i valori

umani e spirituali. Per lui, nonostante il suo

cattolicesimo “...non assestato, non formale,

nemmeno troppo ortodosso e rigoroso...” è,

in ogni caso, di estrema importanza una vi-

sione della vita cristiana, etica, spirituale. Si

veda anche l'opera Siamo ancora cristiani

del 1964, nonché quelle intitolate Don Cal-

zolari ed altri preti, del 1979, Sulle tracce

del Dio nascosto, del 1984, Solitudine e ca-

rità, del 1985.

Particolarmente vicino ai grandi intellet-

tuali cattolici francesi come Mauriac, Clau-

del, Bernanos, Maritain, è arrivato a propu-

gnare un cristianesimo che esprima le ragio-

ni dell'animo umano, che, contro ogni dispe-

razione e crisi di pessimismo, creda profon-

damente in una “speranza scandalosa”,

quella della preghiera...

Bo, oltre ad avere grande rispetto per i Ge-

suiti che lo hanno formato da adolescente,

ha sempre manifestato ammirazione, nella

sua residenza milanese della parrocchia bar-

nabitica di sant'Alessandro, per i Padri Bar-

nabiti e per il loro Ordine.

Bo è arrivato a scrivere, con estrema chia-

rezza, che “ se nella letteratura non c'è, in-

carnato, lo Spirito, la letteratura è secca,

sterile, non vale niente...”

Ma a questo punto mi piace cedere la pa-

rola allo stesso Carlo Bo, che, alle soglie di

questo Ventunesimo Secolo ( 31 dicembre

2000 – 1 gennaio 2001) rispondendo ad un

“questionario” proposto ad alcuni intellet-

tuali dal quotidiano “Avvenire” sulle pro-

blematiche cardine proposte dal nuovo Se-

colo, aveva detto: “La sopravvivenza, fisica

e morale, di ciò che costituisce il fattore

umano. Questa sarà la “magna quaestio”

del prossimo futuro. Il problema drammati-

co della civiltà che si affaccia col nuovo se-

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 5

colo sarà il poter ritrovare le ragioni ultime

di quei valori che consentono una vita uma-

namente e umanisticamente motivata, che

tenga conto non solo delle cose visibili, ma

anche – e soprattutto – di quelle invisibili. Il

grande compito dei cristiani e degli uomini

di buona volontà sarà fare un po' di spazio

nel materialismo e nel consumismo globa-

lizzati per ritrovare un'idea condivisibile

delle cose superiori. Bisognerà insomma co-

struire insieme, credenti e no, un'altra civil-

tà, un mondo che sappia finalmente ritrova-

re lo spirito della carità cristiana: cioè sa-

per perdonare e cercare di risolvere pro-

blemi epocali, inevitabili e giganteschi, se-

condo uno spirito di carità...

...Per quanto riguarda la letteratura, essa

è sempre figlia del proprio tempo, e man-

cando oggi valori forti, non vedo all'oriz-

zonte la possibilità di una nuova classicità: i

prossimi decenni saranno ancora tempi di

sperimentalismi.”

Anche queste sagge considerazioni e pre-

visioni (nonostante le aperture a tutti, cre-

denti e no) continueranno ad essere fertili di

discussioni a non finire, di incontri e scontri

quotidiani. A Elio Vittorini che un giorno gli

proponeva un'alleanza contro la disugua-

glianza e l'ingiustizia, Bo aveva risposto che

il male è difficilmente aggredibile, e che,

anzi, il male risiede nel cuore dell'uomo.

E intanto i giornali e le televisioni conti-

nueranno a inondarci, ogni giorno, con le

immagini di falsità e violenza disumana del

“vecchio”mondo...

Luigi De Rosa

IL LIMITE

Frastuono di silenzi

tra il gracidare di rane,

ascolto la tua voce

accarezzando le nuvole,

è un canto felice

che scioglie la brina.

Nostalgico amore

dai bruni capezzoli,

baci frenati da ingenuo pudore.

Perché non osai

oltrepassare il limite,

sarei stato pescatore,

t’avrei presa

nella rete della passione,

t’avrei resa schiava

per un tempo perduto

dove regnano

sussurri di labbra

e ardenti carezze,

dove il tepore mai si spegne

anche quando il gelido vento

l’incomprensione trasporta,

per cercare di dividere

ciò che sempre ci unisce

Colombo Conti Albano Laziale

L’UOMO AUTOMA

Un mondo vasto che si restringe,

lande e steppe cresciute

negli animi incolti.

Confini spinati, rovi intorno

ai luoghi, non fai un passo.

Carni aride che non sanno il tepore,

pelli insozzate, non le senti

morbide vicino.

Facce dure senza sguardo.

Immobili tronchi che non incontri,

occhi smorti che non trovano

la tua vita. Da buchi sovrapposti

topi fugaci per vie traverse

invisibili barbarici. Non c’è nessuno

che prende una parte di te.

Vanno lontano, si vedono circondare

ma non si riconoscono.

Idealità che non si muovono per terra,

aeree si sfaldano. Come nubi sogni

e illusioni si frangono nella mente.

La realtà ha costruito

binari malvagi. Tutto

in linea continua scorre meccanico.

Gli arti smontati, dalle ossa

sono usciti pistoni di ferro.

Leonardo Selvaggi

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 6

‘Il sangue del Sud’:

in modo nuovo, lo storico

GIORDANO BRUNO

GUERRI AFFRONTA IL FEMONENO

DEL BRIGANTAGGIO di Ilia Pedrina

IORDANO Bruno Guerri, storico e

filosofo italiano, docente di Storia

contemporanea all'Università Gu-

glielmo Marconi di Roma, Presidente de 'Il

Vittoriale degli italiani' ed altro ancora, è av-

vezzo a portare fuoco, passione, cambiamen-

to là dove mette le mani e quando decide di

interessarsi a fondo per inoltrarsi in una ricer-

ca su temi e personaggi della storia d'Italia.

Preziose ed insostituibili le sue monografie su

Galeazzo Ciano, Giuseppe Bottai, Gabriele d'

Annunzio.

In questa opera storica 'Il Sangue del Sud

– Antistoria del Risorgimento e del Brigan-

taggio' pubblicata nel 2010 nella Collana 'Le

Scie' della Casa Editrice Mondadori ed ora,

dal 2013, anche nei volumi Oscar Mondadori,

par che venga messa in pratica l'intenzione

del grande filosofo e scrittore tedesco Walter

Benjamin: accarezzare la storia contropelo,

per farne uscire la voce dei vinti. Infatti, già

nella scelta del titolo e poi più precisamente

nel dettaglio del sottotitolo, Giordano Bruno

Guerri si assume tutta la responsabilità del ri-

cercatore sul campo per costruire un lavoro

controcorrente, che vada ad investigare con

chiarezza e con riferimenti documentati ed

inequivocabili come sia stata costituita l'Unità

dell'Italia, a partire dal primo dei diciassette

capitoli che la compongono: 'La vera disunità

d'Italia: il popolo e i patrioti, i guelfi e i ghi-

bellini'.

Chiarire il ruolo dello Stato dei Savoia ri-

spetto al Regno delle due Sicilie, al resto ge-

ografico dell'Italia anche con lo Stato Pontifi-

cio al suo interno e poi al resto dell'Europa e

del mondo; portare alla luce gli intenti del

Cavour che non è mai arrivato oltre Firenze;

dipingere a tratti certi, con grande sensibilità

ed afflato umano il profilo di Francesco II di

Borbone, soprannominato dal popolo ' Fran-

ceschiello', quello che dice di sé 'Io sono Na-

poletano' e che ha a cuore le sorti presenti e

future del suo popolo. Poi verranno avanti al-

tri personaggi, oltre a Papa Pio IX anche i ge-

nerali dell'esercito piemontese Cialdini, La

Marmora, Cadorna ed altri ancora, di fronte

ai 'generali' del popolo minuto, i briganti con

le loro donne, 'Le brigantesse', appunto. L'au-

tore non ha alcun dubbio: si è trattato di una

vera e propria guerra civile, organizzata attra-

verso la prevaricazione ed il sopruso, in nome

di una identità unitaria astratta e nebulosa an-

che nella mente dei suoi ideatori, chi federali-

sta, come il Cattaneo, chi papalista come il

Gioberti, chi fondamentalista repubblicano

come il Mazzini. Giordano Bruno Guerri di-

segna un percorso storico tra uomini, azioni,

territori e mezzi che va a costruire la contro-

storia del Risorgimento, un'architettura d'in-

sieme che poggia le sue solide fondamenta su

quanto è realmente accaduto rispetto a quella

mitostoria che è stata per anni delineata intor-

no a questo periodo, troppo esposto a costru-

zioni frettolose, idealistiche, infarcite di pro-

paganda e ben poco legate, nei fatti, a concet-

ti come 'libertà', 'uguaglianza', 'fraternità', che

pure tenevano tanta compagnia nella mente e

nei progetti degli intellettuali di casa nostra e

d'altrove.

Affronta con maggiore consapevolezza i

pregiudizi contro il popolo del Sud, in vigore

tra i reali, i politici, i maggiorenti, al Nord, al

Centro, e pure al Sud, tra i 'galantuomini',

perché i poveri ed i diseredati, quelli si, sono

G

Page 7: Pomezia Notizie 2015_8

POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 7

uguali ed in uguali condizioni di vita, dalle

Alpi all'Aspromonte, alla Sila, alla Piana di

Catania ed a tutti gli altri impervi territori che

caratterizzano la penisola tra l'Adriatico, il

Tirreno, il Mediterraneo. Il Guerri apre l'In-

troduzione con una citazione tratta dal testo di

Vincenzo Padula 'Cronache del brigantaggio

in Calabria' (1864-65):

“Finora avemmo i briganti. Ora abbiamo il

brigantaggio; e tra l'una e l'altra parola cor-

re grande divario. Vi hanno briganti quando

il popolo non li aiuta, quando si ruba per vi-

vere e morire con la pancia piena; e vi ha il

brigantaggio quando la causa del brigante è

la causa del popolo, allorquando questo lo

aiuta, gli assicura gli assalti, la ritirata, il

furto e ne divide i guadagni. Ora siamo nella

condizione del brigantaggio” (G. B. Guerri,

Introduzione, op. cit. pag. 3). Lo storico

Guerri, poche righe sotto questa citazione, so-

stiene:

“Una parte del nuovo Stato era già

'italiana', l'altra non lo era affatto. Occorreva

dunque educarla ad essere diversa da sé, a

costo di snaturarla. Ai primi segni di insoffe-

renza del Sud, nacque subito una contrappo-

sizione rancorosa: 'noi' contro 'loro'... La ve-

rità su cui al Nord tutti concordavano - gene-

rali e politici, esuli meridionali e piemontesi -

è che, appena nata, l'Italia era già madre di

due figli diversi: uno di cui andare fieri, l'al-

tro bisognoso di severe lezioni.... Si spiegano

così prima la spietatezza della repressione,

poi l'adozione di una politica economica e

sociale del tutto inadeguata ai problemi del

Mezzogiorno; più tardi con la perseveranza

con cui quei problemi vennero liquidati come

sintomi indelebili di arretratezza e di parassi-

tismo. Il brigantaggio rappresentava il se-

gnale d'allarme di un guasto grave, e non so-

lo per l'ordine pubblico. Il modo in cui fu

combattuto sviluppò quella che sarebbe di-

ventata la 'delinquenza organizzata', e ac-

crebbe a dismisura la gravità di una questio-

ne meridionale destinata a incancrenire la vi-

ta politica del Paese perpetuando la contrap-

posizione Nord-Sud... Come ogni guerra civi-

le, anche quella tra piemontesi e briganti è

stata raccontata dal vincitore. Che però, a

differenza del solito, non ha potuto vantarse-

ne: si preferì nascondere o addirittura di-

struggere i documenti, perché non fossero ac-

cessibili neppure agli storici... Gli sconfitti

sono scomparsi nella zona d'ombra in cui li

ha relegati la cattiva coscienza dei padri del-

la patria... Non si tratta di denigrare il Risor-

gimento, bensì di metterlo in una luce obietti-

va, per recuperarlo - vero e intero - nella co-

scienza degli italiani di oggi e di domani... ”

(op. cit. pp. 3-7).

Con questa appassionata apertura l'autore

avvia il lettore ad entrare nel vivo delle pro-

blematiche storiche e concretamente presenti

sul tappeto: un vero e proprio distacco tra la

classe dirigente ed il popolo; mentre la gente

chiede con insistenza il pane, gli intellettuali

colti hanno in mente cambiamenti ed evolu-

zioni legislative, costituzionali; ciò che ac-

comuna veramente il Nord al Sud è la mise-

ria, la fame, le malattie, l'analfabetismo (Cap.

I: 'La vera disunità d'Italia: il popolo e i pa-

trioti, i guelfi e i ghibellini' - pp. 9-26).

Dopo aver visto Mazzini all'opera con Saffi

ed Armellini, attivi nel dar vita alla breve Re-

pubblica Romana, dopo aver messo in fuga il

Papa, il 9 febbraio 1849, l'Autore rende edotti

sul carattere e sulla personalità politica e non

solo del Cavour:

“Sia chiaro che il Cavour non fu mai 'un

patriota', ossia non credette all'Unità d'Italia

e alla sua necessità, almeno finché il sogno

non si impose - per lo svolgersi degli eventi -

come l'unica soluzione possibile. Non ci cre-

deva perché il patriottismo irrazionale e reli-

gioso ripugnava al suo pragmatismo. Si era

spinto al massimo fino a Firenze, mai più a

sud. Non lo interessava affatto conoscere il

Meridione, tanto era pieno di pregiudizi... L'

Italia Unita di Cavour era un progetto politi-

co che rispondeva a finalità esclusivamente

piemontesi, in barba a ogni visione romantica

del Risorgimento. Cavour era un politico ci-

nico, che per i propri fini - cioè quelli del

Piemonte - non esitò mai a utilizzare ogni

mezzo e ogni sentimento, compresi quelli dei

patrioti...” (op. cit. cap. II 'Arriva Cavour',

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 8

pag. 34).

L'indagine storico-economica portata avanti

nel Cap. III 'Un bel boccone' è tra le investi-

gazioni più interessanti del testo perché forse

ignota alla maggior parte di noi e perché il-

luminante sulla modalità della spoliazione

delle risorse, da depredare da parte dell'usur-

patore: l'Autore chiama in campo Francesco

Saverio Nitti ed il suo testo 'Principi di scien-

za delle finanze' del 1903, riportando un effi-

cace confronto delle riserve auree dei diversi

Stati italiani, in milioni di lire, avvertendo che

una lira di allora valeva quanto 4,5 euro di

oggi. Ebbene: il Regno delle Due Sicilie, nel

1860, era in testa a tutti con una riserva aurea

pari a 445,2 milioni di lire, contro i 27 del

Regno del Piemonte e su un totale complessi-

vo di 640,7 milioni di lire. Sostiene il Guerri:

“A conti fatti, il Regno delle Due Sicilie

possedeva oltre due terzi dell'oro di tutti gli

altri Stati della Penisola messi insieme, e

proporzioni analoghe valgono per il denaro

in circolazione nei singoli Stati. Almeno nei

trent'anni successivi all'Unità, l'Italia del Sud

fu come una colonia del Piemonte. E dal

momento dell'unificazione, i meridionali fu-

rono più sfruttati che sfruttatori. In una lette-

ra a Cavour, Liborio Romano - ministro dell'

interno di Francesco II, poi deputato nel pri-

mo parlamento unitario – dimostra come

vennero depredati la Cassa di Sconto e il

Banco Partenopeo, le due banche principali

dell'ex Regno di Napoli. Attraverso un siste-

ma di trucchi finanziari e irregolarità conta-

bili in un solo anno il governo piemontese

'prelevò' 80 milioni di lire, spendendone per il

Meridione meno della metà...”(G. B. Guerri,

op. cit. pp. 38-39).

Tantissime le vicende storiche che vengono

delineate nei capitoli successivi: nel Cap. IV

'Franceschiello e Maria Sofia', l'Autore non

ha dubbi e riporta quanto Francesco II di

Borbone, detto appunto 'Franceschiello', si

sentisse napoletano, veramente dalla parte del

suo popolo, e quanto la sua sposa, tedesca dei

duchi di Baviera, si mantenesse al suo fianco

ben coinvolta, autonoma, bella, indipendente

ed audace in tutto, anche nel rifugio di Gaeta,

assediato dai piemontesi; nel Cap. V 'La con-

quista', viene fatta piena luce su una conqui-

sta, cioè su 'un raggiro ben pensato', affianca-

to da un vero e proprio 'tradimento', vale a di-

re un insieme di eventi che mostrano quanti

limiti, contraddizioni, facili pregiudizi possa-

no prendere il posto di un concreto interesse

per risolvere i problemi del popolo meridio-

nale, fino a programmare senza mezzi termini

una vera e propria guerra civile, a partire dal

massacro dei contadini di Bronte. Quindi, co-

erentemente, nel Cap. VI 'Come nasce una

guerra civile', lo storico apre la sua analisi

con una citazione da Italo Calvino:

“ 'Per molti dei miei coetanei era stato solo

il caso a decidere da che parte dovessero

combattere; per molti le parti tutt'a un tratto

s'invertivano, da repubblichini diventavano

partigiani o viceversa; da una parte o dall'al-

tra sparavano o si facevano sparare; solo la

morte dava alle loro scelte un segno irrevo-

cabile'. Sono parole di Italo Calvino, nella

prefazione a 'Il sentiero dei nidi di ragno', l'

altra guerra civile italiana, all'indomani dell'

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 9

8 settembre 1943; possono valere anche per

molti briganti. Le contrapposizioni di una

guerra civile - benché siano ammantate da

buona fede, passioni, sentimenti e alte visioni

del mondo - nascono spesso da esperienze e

vicende assai più modeste. O forse semplice-

mente più umane. Altre volte la scelta di ade-

rire a uno schieramento è dettata dalla con-

venienza... Fino agli anni Sessanta in Italia e

in Europa, i briganti che pagarono con la vita

e la prigionia la resistenza al dispotismo pa-

palino, erano visti come eroi negli ambienti

intellettuali più sensibili alla giustizia socia-

le...” (G. B. Guerri, op. cit. pp. 69-71).

Nel settembre del 1860 i territori occupati

dalle truppe di Garibaldi vivono nuove ten-

sioni, i contadini si sollevano a fianco dei

soldati guidati da generali e colonnelli borbo-

nici, diffondendo ancor meglio la convinzio-

ne che quella dei Mille fosse una vera e pro-

pria usurpazione. Sostiene il Guerri: “... Il

nuovo presidente del Consiglio dopo la morte

improvvisa di Cavour, il 6 giugno 1861, era

Bettino Ricasoli, soprannominato il Barone

di Ferro... Le campagne erano ormai polve-

riere, pronte a esplodere al segnale di questo

o quel capobanda. Qualcuno provò a censire

briganti e simpatizzanti. Ne uscì un quadro

terrificante. Nel 1861, agivano 39 bande in

Abruzzo, 42 al confine con lo Stato Pontificio,

15 nel Molise e nel Sannio, 33 in Calabria e

6 nella provincia di Napoli...” (G. B. Guerri,

op. cit. pag 90).

Dopo aver sintetizzato alcuni importanti

dati relativi alle condizioni ed alle aspettati-

ve di vita dei popoli di queste terre, con una

vita media, nell'Italia preunitaria e soprattut-

to al Sud, di 17 anni e dopo aver dato rag-

guagli sui briganti ed i loro affiliati, manu-

tengoli, parenti, amici e quant'altro ancora

(Cap. VII 'Si viveva così'), lo storico affronta

il delicato tema del rapporto tra Papato, re-

gnanti e briganti, in quei territori del Sud nei

quali la fede aveva antichissimi legami con

un paganesimo viscerale, atavico, incom-

prensibile alla luce di una riflessione distac-

cata sulla religiosità, i suoi confini, i suoi

strumenti, i suoi effetti. Infatti nel Cap. VIII

'La Chiesa, i Borbone e i briganti', l'Autore

scrive: “... Vescovi e preti continuavano a

sostenere i briganti nei paesi e nelle città

dove il fenomeno era più radicato. Ecco

perché, ancora per tutto il 1863, si inaspri-

rono le misure poliziesche piemontesi contro

presunti o autentici manutengoli ecclesiasti-

ci. In pochi mesi finirono in galera i vescovi

di Foggia e di Muro Lucano, i curati di

Reggio, Sorrento, Rossano e Capaccio, i Vi-

cario della Cattedrale di Napoli; inoltre

vennero espulsi dalle loro diocesi i vescovi

di Lecce, Trani, Avellino... I briganti trova-

vano nell'aperta complicità del clero una

legittimazione nobilitante... Nelle tasche

delle loro giacche non mancavano mai ri-

tratti sacri e santini vari, prove sicure di

una viscerale fede popolare. Come accade

ai mafiosi di oggi - che passano con disin-

voltura dal kalashnikov all'ostia consacrata,

alternando omicidi e preghiere - anche i

briganti non sentivano incoerenti le loro a-

zioni con i precetti evangelici...” (G. B.

Guerri, op. cit. pag. 118). Molti gli articoli

apparsi su 'La Civiltà Cattolica' dell'epoca a

rinforzare questa prospettiva di sopruso for-

zato e violento contro gli uomini di Chiesa e

molto convincenti, per chi ci credeva, gli

anatemi e le scomuniche, talora più a parole

che a fatti.

Come posso fare allora a non soffermarmi

sui Briganti e sulle loro Brigantesse, vere e

proprie giovani donne spregiudicate, forti,

sanguinarie, determinate ed avvezze a segui-

re i loro amati su rupi e nel fitto dei boschi,

alla macchia, con nel sangue l'orgoglio e la

difesa a oltranza della dignità del proprio

nuovo ruolo? Dal Cap. IX 'Chiavone, il bri-

gante che voleva essere Garibaldi e marcia-

re su Torino', la trattazione entra nel vivo

delle vicende legate a questo importantissi-

mo fenomeno storico, con precisazioni sul

ruolo dei Borbone e di Papa Pio IX, e si ap-

profondisce con prove indiscutibili la duris-

sima reazione delle truppe piemontesi alle

provocazioni dei briganti (Cap. X 'Ponte-

landolfo e Casalduni: “Un tremendo castigo

che sia d'esempio alle altre popolazioni del

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 10

Sud'). Il Guerri non dimentica gli altri, quelli

che nelle fila dell'esercito dei Savoia, perdo-

no la vita pensando di fare cosa buona e so-

cialmente giusta nell'uccidere gente conside-

rata alla stregua di criminali (Cap. XI 'Le al-

tre vittime: i soldati “piemontesi” ') e do-

cumenta con fotografie d'epoca i reali di Ca-

sa Savoia, Francesco II di Borbone e Maria

Sofia, papa Pio IX e il Cavour, ma anche i

briganti, questi eroi popolari come Carmine

Crocco Donatelli, definito il re dei briganti,

vero e proprio mito al comando di oltre tre-

mila uomini, che riuscì a dar duro filo da

torcere ai soldati dell'esercito italiano per

ben tre anni. A lato la foto del suo delatore,

al secolo Giuseppe Caruso, poi sotto, nella

medesima pagina la fotografia del cadavere

di Giuseppe Nicola Summa, detto 'Ninco

Nanco', uno dei luogotenenti del Crocco,

mostrato a tutti morto dopo la fucilazione,

per dar prova concreta della vittoria sul ne-

mico, come succederà in tempi recenti con

Mussolini, con il bandito Giuliano, con Che

Guevara e con tanti altri ancora. Ma il testo

riporta anche le fotografie delle Brigantesse:

quelle più famose sono tre: Filomena

'Pennacchio', dal cappello in feltro piumato,

il fucile ben in vista, al fianco di Agostina

Vitale, amante del brigante Sacchetiello e

sotto, semidistesa a terra Maria Giovanna

Tito, brigantessa del Crocco. Tutte armate,

tutte pronte ad uccidere, a sgozzare, a difen-

dere e a difendersi. L'apparato fotografico è

inserito tra pagina 138 e pagina 139. Un ca-

pitolo specifico, il XII 'Le brigantesse' de-

scrive con ricchezza di particolari la perso-

nalità, le scelte, le decisioni drastiche di

queste giovani donne pronte a tutto pur di

cambiare la loro sorte, mentre il XIII 'Ciccil-

la e Pietro: il labile confine fra briganti e

banditi', prende in esame la vita, l'amore, la

lotta di due veri protagonisti storici in questa

sanguinosa guerra civile. Allora vengono

emanate leggi speciali contro 'i selvaggi' e la

più tremenda di tutte è la Legge Pica (Cap.

XIV 'Carmine Crocco, il re dei briganti' e

Cap. XV 'Leggi speciali contro “i selvag-

gi”'). Sostiene il Guerri, dopo aver riportato

alcuni stralci della relazione del Massari che

va a descrivere miseramente e razzistica-

mente i briganti e le loro consuetudini:

“...Quella contro il brigantaggio era dunque

'la peggior sorta di guerra che possa imma-

ginarsi; è la lotta tra la barbarie e la civil-

tà'... Il testo del Massari fu reso pubblico so-

lo in parte e la lettura integrale della rela-

zione avvenne tra il 3 e il 5 maggio 1863 nel

Palazzo Carignano, trasformato in quello

che oggi si definirebbe un bunker. Guai a la-

sciar trapelare all'esterno certe ammissio-

ni... È forse superfluo sottolineare che i do-

cumenti dell'esercito vennero in gran parte

secretati o distrutti subito, tanto che è anco-

ra oggi impossibile stendere una vera storia

documentata del brigantaggio. La censura è

riuscita a operare anche sulla storia, cer-

cando addirittura di cancellarne la memo-

ria. E un popolo senza memoria è un popolo

mutilato della propria integra identità...”

(G. B. Guerri, op. cit. pp. 216-17).

Maria Sofia, la sposa di Francesco II di

Borbone, che morirà nel 1925, fa in tempo a

offrire come un testamento spirituale in un'

intervista rilasciata a Giovanni Ansaldo:

“Che don Giovanni Rossi ch'era impiega-

to della Casa Reale nostra, e che aveva la

custodia del borderò di quattro milioni di

ducati (76 milioni di euro), proprietà priva-

tissima di mio marito, sia andato subito a

presentarlo al Garibaldi, appena costui en-

trò in Napoli, per farsene merito, non mi

meraviglia; che il Garibaldi l'abbia subito

confiscato, insieme al borderò degli altri

principi borbonici, neppure questo mi fa

meraviglia; i rivoluzionari hanno sempre

fatto così con i re caduti. Ma che i Savoia,

dopo che ebbero annesso il regno di Napoli,

non abbiano sentito il bisogno di usare un

po' di riguardo ai Borbone, che erano stati

re legittimissimi, come loro, questo è ciò che

ancora oggi, dopo tanti anni, mi fa meravi-

glia... Ma il modo in cui loro hanno trattato

noi è di brutto augurio. Dio non voglia che

un giorno anch'essi, non abbiano da difen-

dere, dall'esilio, i loro patrimoni persona-

li...” (G. B. Guerri, Cap. XVI 'Fare gli ita-

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liani', op. cit. pp. 241-42). Lei, dico io, la

regina Maria Sofia, definita 'la Regina degli

anarchici', sorella di Sissi, la ben più nota

Imperatrice d'Austria, non ha fatto in tempo

a vedere che i Savoia sono andati in esilio e

dall'esilio se ne sono poi tornati in Italia, in

tempi recentissimi, non firmando la lettera

patente di rinuncia al trono, come ben hanno

fatto gli eredi di Casa Imperiale d'Asburgo!

A seguire, il Cap. XVII 'Disperdere gli ita-

liani' con i dati impressionanti sull'emigra-

zione nei decenni successivi all'Unità e le '

Conclusioni'.

A fondamento di questa complessa ricerca

storica del Guerri, c'è una solida, ricchissima

'Bibliografia' (pp. 261-274) seguita da una

opportuna ed aggiornata 'Sitografia' (pp. 275-

279): tra queste indicazioni il lettore potrà

mettersi in viaggio ed arrivare dove vorrà,

guidato dalla curiosità intelligente e dalla pas-

sione, oltre che dal bisogno di sapere meglio

cosa sia veramente accaduto e perché. Tutto il

lavoro si snoda tra una dedica, in apertura, e

dei ringraziamenti, in chiusura:

“A Nicola Giordano Guerri che - nato

sull'Isola Tiberina da una pugliese e da un

toscano - realizza al Vittoriale degli Italiani

sul Lago di Garda, la sua dolcissima Unità

d'Italia”;

“I miei preziosi amici Giuseppe Iannaccone

e Milena Scaramucci hanno sovrainteso alle

fondamenta e all'architettura di questo libro.

Tanti altri mi hanno aiutato, anche solo con

un consiglio, l'indicazione di un volume o ad-

dirittura il dono - straordinario – di inediti,

come Giuseppe Curcio.... Paola Veneto sa-

rebbe stata una brigantessa”. Allora il risul-

tato è un lavoro serio, sciolto, credibile per la

dinamica scelta delle fonti, anche governative

e diplomatiche d'epoca, e la rigorosa ricostru-

zione dei fatti, là dove ciò è stato possibile,

perché non inficiato da documenti secretati o

distrutti. Dal nostro passato al futuro d'Italia e

d'Europa, il testo invita a costruire un presen-

te consapevole e carico di dignitoso, laico, ri-

goroso senso di responsabilità. Da Nord a

Sud.

Ilia Pedrina

SARETE IL MIO FUTURO

Non morirò del tutto.

Vedrò la luce con i vostri occhi,

i colori, le forme,

le tante meraviglie strepitose;

suoni ascolterò, rumori ed armonie

col vostro udito;

organi sparsi sulla vostra pelle

lo stato mi daranno delle cose,

le qualità esteriori,

i polpastrelli delle vostre dita

per me il pentagramma suoneranno

di quel che vi titilla e brama e cuore;

sarà la vostra lingua

le sensazioni a darmi ed i sapori.

Sarete il mio futuro.

Alberi voi sarete

a porgere frescura alle mie ossa,

a coprirmi di odori.

Domenico Defelice Pomezia, 16 dicembre 2014

YOU WILL BE MY FUTURE

I will not die completely.

I’ll see the light through your eyes,

colors, shapes,

the many amazings wonders;

I hear sounds, noises and harmonies

through your ears;

organs scattered on your skin

the state will give me things,

external features,

the pads of your fingers

play the musical score

of what titillates, the longing heart;

It will be your language

and feelings and flavours you give me.

You will be my future.

Trees you will be

to cool my bones,

to cover me in fresh smells.

Domenico Defelice Pomezia, 16 December 2014

Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 12

Una scrittrice dimenticata e da

poco riscoperta:

MARIA MESSINA di Giuseppina Bosco

ARIA Messina è una donna che ha

trovato nella scrittura uno strumen-

to per esprimere la sua arte narrati-

va e la sua grande sensibilità.

Nasce nel 1887 ad Alimena, uno sperduto

paese della Sicilia in provincia di Palermo. Il

padre Gaetano era un maestro elementare, in-

vece la madre Gaetana Valenza Traiana ap-

parteneva ad una famiglia baronale, e come

era consuetudine in quel tempo, ricevette

un’educazione domestica e da autodidatta i-

niziando a formarsi come scrittrice a partire

dalla narrativa moderna leggendo gli scrittori

realisti russi quali Turghenev e Cecov.

Dell’autrice il critico Borgese, in un’opera

dice: “di onesta e modesta fantasia, aliena da

pervertimenti sensuali, da smanie teoriche1..

Esordisce con la raccolta “Piccoli gorghi”

inserendosi in quel filone narrativo verista i-

naugurato da scrittori siciliani quali Capuana,

Verga, De Roberto. Ma di lei nelle antologie

scolastiche non c’è traccia. Un tentativo di ri-

conoscimento sarà l’inserimento negli atti del

convegno “Letteratura siciliana al femminile,

donne scrittrici, donne personaggio” a cura di

Sarah Zappulla Muscarà,-docente dell’ uni-

versità di Magistero di Catania - e la pubbli-

cazione da parte della casa editrice Sellerio di

Palermo di tutti i romanzi e le novelle della

scrittrice, tradotte in diverse lingue e perciò

conosciuta all’estero oltre alle iniziative cul-

turali, che la città di Mistretta le ha tributato.

Diversi sono stati a partire dagli anni Ottanta

gli studi critici su tutta la sua produzione let-

teraria, di cui sono stati approfonditi alcuni

nuclei tematici, soprattutto in un recente stu-

dio di Maria Serena Sapegno, quali il rappor-

to tra società patriarcale e condizione femmi-

nile, coscienza della condizione marginale

della donna e desiderio di libertà, costruzione

di un’identità sociale. 2

L’esordio letterario di Maria Messina è le-

gato ad alcune novelle ambientate a Mistretta,

dove il padre si era trasferito nell’estate del

1903, per cui la scrittrice dovette abbandona-

re la città di Palermo per quel paese di pro-

vincia e nella novelle “L’ideale infranto” e

“Sotto tutela” si può scorgere il disagio della

scrittrice per un ambiente paesano privo di

qualsiasi stimolo culturale: non arrivavano i

giornali, non c’erano biblioteche, teatri, ecc...

quasi a sottolineare la sua insofferenza per

quel mondo popolato oltre che da persone

umili, da figure femminili silenziose e rese

schiave da una cultura maschilista dominante;

nella raccolta di novelle “Pettini fini” (pub-

blicato per la prima volta nel 1909), Maria

Messina ci offre così un affresco del paese di

Mistretta con i suoi umili protagonisti, i loro

vissuti, le vie del paese in cui si rivela l’ at-

taccamento alla scuola verista e il canone

dell’impersonalità difatti Giovanni Verga ne

ricevette una copia dall’autrice in quanto egli

rappresentava per lei una “guida sicura, un

padre da cui ricevere insegnamento e prote-

zione”3 …e da quel momento ha inizio una

corrispondenza col grande scrittore catanese

che durerà una decina d’anni.

Durante i primi anni del Novecento la scrit-

M

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 13

trice si trasferisce ad Ascoli Piceno perché il

padre era stato nominato ispettore scolastico.

Questo è il periodo in cui dalle novelle rusti-

cane la scrittrice passa a quelle di ambienta-

zione borghese. Nelle successive raccolte di

novelle, Le briciole del destino (1918), Il

guinzaglio (1921) e Ragazze siciliane (1921),

il verismo di Maria Messina comincia a spo-

starsi dal mondo rusticano dei "vinti" all’ ana-

lisi della piccola borghesia. Ma i "vinti" sono

per lo più le donne, le quali "non posseggono

la forza di offendere né quella di difendersi":

sia nella condizione di mogli recluse tra le

mura domestiche sia in quella di nubili che

sprecano le loro esistenze sacrificandosi per

gli altri e consumando la propria giovinezza

tra fatiche e lavoro.

Emblematico è il racconto "Casa pater-

na”6, in cui si rivela una struttura compositiva

più matura, in un abile gioco di architettura

letteraria di trama e di intreccio. La protagoni-

sta, Vanna, è una giovane siciliana sposata da

poco tempo ad un avvocato romano, la quale

ritorna alla casa paterna, dopo aver deciso di

lasciare il marito e la città in cui vivono, perché

non sopporta la solitudine e l’ indifferenza sia

della grande città che del marito stesso.

Mentre il viaggio si sta concludendo, la ra-

gazza è sopraffatta dai ricordi della sua infan-

zia e della sua giovinezza, rievoca le speranze

ed i progetti, ritorna a quel nido pensando di

ritrovare la stessa pace e lo stesso amore di

allora: tante cose però sono ormai cambiate, i

fratelli sono sposati, e le cognate non accetta-

no la vergogna che lei porta in famiglia per-

ché ha osato separarsi dal marito, nemmeno il

padre e la madre - ormai succubi delle nuore -

possono più aiutarla e pertanto l’epilogo sarà

tragico.

In questa raccolta è inserita, anche, la no-

vella “L’ora che passa”. La protagonista è

Rosalia, maestra elementare che sacrifica se

stessa per la cura della famiglia, la quale si

trova in condizioni economiche disagiate.

Non riesce ad uscire dal “carcere” del suo

ruolo, dalla non-vita. Questa estraneità a se

stessa rispetto a quella parte di sé che avrebbe

voluto vivere ed amare, invece, di guardarsi

vivere, sembra riecheggiare il personaggio di

Adriano Meis - Pascal, di Luigi Pirandello,

meno giocato però sull’assurdità delle situa-

zione, sul grottesco e sul sottile ragionamento

(che caratterizza le opere pirandelliane) e in

ciò si rivela l’originalità e la linearità dell’arte

narrativa di Maria Messina. Non a caso Leo-

nardo Sciascia, in una nota critica, l’accosta

alla grande scrittrice inglese Katrin Mansfield

definendola una “Mansfield siciliana” forse

perché Maria Messina al pari della Mansfield

riesce a rappresentare con poche immagini un

universo femminile succube dell’egoismo e

del degrado morale di una società maschilista

e sa descrivere con brevi squarci momenti di

vita quotidiana e stati d’animo femminili, resi

dal punto di vista delle tecniche narrative, da

una struttura sintattica semplice e con diversi

ricorsi all’indiretto libero.

Anche la scrittrice Ada Negri dedicò una

prefazione alla raccolta “Le briciole del de-

stino”, cui fa parte la novella “Casa paterna,”

e dell’opera dirà “Tu hai voluto studiare que-

sti cantucci di umanità, che sanno di vecchia

polvere, di vecchi stracci abbandonati, di

vecchie ragnatele, di vecchie lagrime rancide.

Tu vi sei riuscita, piccola sorella Maria”.7

La rassegnazione e l’impossibilità di un ri-

scatto per la condizione femminile sono i

temi dei romanzi, presenti soprattutto in

“Casa del vicolo”. Nei romanzi “Casa del

vicolo”, di cui la Sapegno fornisce chiare

chiavi interpretative e tematiche, e “Amore

negato” si rivela una maggiore maturità

compositiva della scrittrice, difatti in quest’

ultimo romanzo si nota un maggiore scavo

riguardo alle psicologie femminili, e l’ at-

tenzione si sposta verso la città, descriven-

do un ambiente piccolo borghese (il roman-

zo è ambientato ad Ascoli Piceno), in cui si

deve sopravvivere alle difficoltà materiali e

all’estraneità degli affetti. Sembra quasi rie-

cheggiare lo Svevo dei romanzi giovanili, la

cui analisi dell’ inettitudine è più legata all’

inconscio maschile.

È comunque interessante fornire strumenti

interpretativi delle opere di esordio di Maria

Messina, analizzando le cinque novelle che

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 14

la casa editrice Sellerio ha raccolto in un vo-

lume del 1998 dal titolo “Dopo l’inverno”, grazie alle ricerche di Roswita Shoell-

Dombrowsky che le ha raggruppate, poiché

erano state pubblicate in diverse riviste lette-

rarie del primo Novecento.

La novella “Dopo l’inverno” risente della

scuola verista in cui domina la descrizione

dell’ambiente rurale siciliano gravato dalla

miseria, dall’ignoranza degli umili e dal

dramma dell’emigrazione.

Il protagonista, “Ssu Vanni”, un contadino

oppresso dalla povertà, dall’ignoranza tenta,

nonostante gli anni e la salute malferma, di

lavorare in campagna. Ha un solo figlio,

“bello e grande come una bandiera”, il quale

è partito dal paese in primavera con l’ inten-

zione di andare in America.

‘Ssu Vanni, era divenuto per quella solitu-

dine, asprigno ed irascibile,” e se qualcuno

gli si accostava egli se l’aveva a noia”, ave-

va ricevuto, dopo poco tempo dalla partenza

del figlio, alcune lettere. Con l’inizio dell’

inverno quelle lettere non arrivarono più,

quasi a voler simboleggiare la ciclicità delle

stagioni presente nel mito di Persefone e ko-

re. Quando Ade rapisce Core, che stava sot-

toterra, la madre Persefone per la dispera-

zione rende infertile la terra, che non dà più

i suoi frutti (periodo della stagione inverna-

le), e quando Core poteva tornare libera sul-

la terra per sei mesi, la dea la rendeva fertile

e lussureggiante.

A metà inverno, verso l’anno nuovo, dopo

tanto silenzio, arriva una lettera di Turiddu.

E Ssu Vanni, analfabeta, corse dal Rosso, il

falegname, per farsela leggere così seppe

che il figlio era partito dall’America e si tro-

vava a combattere in Turchia, a Bengasi.

La novella, pubblicata nel 1912 nel quin-

dicinale “La Donna”, è ambientata in un

preciso momento storico, quello di Crispi, e

della politica coloniale dell’Italia volta alla

conquista della Libia. Anche il Meridione è

coinvolto in questa propaganda patriottica,

per cui Turiddu combatte per la gloria della

patria. Anche l’atteggiamento dei paesani

cambia nei confronti del contadino che non

sarà più deriso ma rispettato: il figlio è un

eroe, non uno squattrinato in cerca di fortu-

na in America. Quando lo’ Ssu Vanni ap-

prende la notizia che un gruppo di feriti del-

la guerra in Libia erano stati rimpatriati e sa-

rebbero ritornati in paese, inizia a sperare di

poter rivedere Turiddu proprio nel periodo

in cui “il grano accestiva e le rondini torna-

vano a stridere sul cielo luminoso (…) e la

terra sapeva di tanti buoni aromi (ritorna il

mito di Proserpina). Difatti “è festa grande

in paese, in quel pomeriggio odoroso di

primavera per i soldati reduci.” 8 Il conta-

dino che non osava pensare che tra di loro vi

fosse il suo Turiddu, improvvisamente lo

vide tra la folla festante, accolto dalla banda

e dal sindaco del paese che aveva fatto im-

bandire un tavolo nella piazza per onorare i

reduci della guerra “E Ssu Vanni chiedeva

perdono a Dio del corruccio germinato nel

suo cuore di uomo meschino, di uomo che,

roso dalla fatica, non distingue più un bruco

dalla foglia; e ora pensava con gioia che

quel figlio era suo, era sangue suo…”9

La novella “Il violino di Sandro”, pubbli-

cato nel 1913 nello stesso quindicinale, è

centrata sulla psicologia del protagonista, di

nome Sandro, musicista e violoncellista, il

quale, convalescente per una malattia dovuta

a continue febbri debilitati, è costretto alla

quasi inattività.

La sua malinconica quotidianità è interrot-

ta dall’arrivo dei nuovi vicini della casa

gialla: una famiglia che abitava di fronte. La

figlia, era una giovane fanciulla dal viso da

bambina e dai capelli biondi che brillavano

al sole come “pagliuzze d’oro”. Però la se-

parazione tra le due abitazioni era colmata

dalla finestra da cui spesso Sandro si affac-

ciava per osservare le abitudini della fan-

ciulla dirimpettaia. Il giovane, invaso da

mille fantasie ed emozioni verso di lei, cerca

di stabilire un intimo contatto attraverso la

musica “La voce umana del violino si dif-

fondeva nella piazza deserta, saliva verso il

cielo stellato col profumo dei calicanti ,nelle

note lunghe ed appassionate vibrava tutta la

tenerezza contenuta nell’anima romantica

Page 15: Pomezia Notizie 2015_8

POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 15

del convalescente, affinata dalla malattia

…gli occhi di tanto in tanto si levavano a

cercare colei che restava davanti alla fine-

stra aperta”.10

Un giorno mentre il medico parlava som-

messamente con la sorella Clara seppe della

menomazione della ragazza dal viso di

bambina: la sua sordità. La rivelazione lo

fece impallidire e tremare perché aveva cer-

cato di comunicare con lei attraverso l’unica

voce e l’unica parola che potesse esprimere i

suoi nobili sentimenti. Ma lei non aveva po-

tuto sentirli e così, all’improvviso, il ragazzo

decise di uscire dalla stanza. La casa, che

simbolicamente rappresenta la segregazione,

la non vita, l’inazione, la soglia tra ciò che è

conosciuto e” l’altrove” da scoprire e da co-

noscere.

Così Sandro cerca di stabilire un contatto

vero con la fanciulla per manifestarle il suo

amore e lei, se non poté sentire da lontano la

dolcezza di quelle note musicali, poteva ve-

dere ed ascoltare da vicino le parole di San-

dro.

“Vincere” è la più assurda ed anche un po’

grottesca novella di Maria Messina in cui si

avverte il suo pirandellismo. Intanto la storia

ha quasi un impianto teatrale; due spazi in-

terni, i balconi, mettono in relazione due

famiglie nello stesso palazzo baronale. La

moglie del professore di disegno (da poco

trasferitasi in quel luogo) con la signora Pa-

nebianco. La figlia del professore, Carmeli-

na, sarà la novità per il giovane aristocratico

Giorgio, il quale imporrà subito alla ragazza

il suo potere di classe e di maschio “Gioca-

vano a fare il ritratto e le comandava di sta-

re ferma: Carmelina si metteva nella posa

che voleva lui davanti la macchina…, e sul

più bello si allontanava, distratta… Giorgio,

che abituato a essere contentato dalla

mamma, o contrariato dal papà, obbedito

dalla serva, diventava rosso sino alla radice

dei capelli”. 11

Il desiderio adolescenziale di Giorgio di

autonomia dalla famiglia lo portano a fanta-

sticare sul desiderio di sposare Carmelina,

sfidando anche la leggenda di famiglia dello

zio ricco che si suicida perché gli fu impedi-

to di sposare una popolana.

La sottomissione di Carmelina nell’ accet-

tare di sposare Giorgio, spinta da entrambe

le famiglie, la condurrà a recitare il ruolo di

moglie felice ed arrogante - che tutti crede-

vano che fosse, ma che in realtà non lo era.

Giorgio assume il suo ruolo all’intero di una

gerarchia patriarcale e di classe e si occupe-

rà solo delle sue proprietà, trascurando

Carmelina. La donna, cosciente della sua

condizione infelice, girellava attorno alla

vasca del “giardino”. “Certe volte sedeva

sull’orlo. Brutta abitudine quella di sedere

sull’orlo… Andò a finire che un giorno, do-

po averla cercata qua e là nel giardino…

Disgrazia… oppure… ma no! Era stata una

disgrazia! Una donna fortunata come lei! Se

lo dicevano tutti a una voce: le amiche, le

vicine. Che le mancava per essere felice?”12

Un suicidio, una disgrazia, qual è la veri-

tà? Ecco riecheggiare un certo piradellismo,

nel contrasto tra apparenza e verità. Cosa le

mancava per essere felice? Anche Giorgio,

avvisato della disgrazia rispose rinfrancato

“Una casa spezzata… forse non era desti-

no…”

Lo stile e la lingua di queste novelle può

essere definito minimalista, con un ricorso

ad un periodare breve, lontano da complessi

costrutti sintattici. Il linguaggio è colloquia-

le e risente di espressioni del parlato.

Giuseppina Bosco 1 Bartolotta , “ Literary” , studio su Maria Messi-

na.

2 Maria Serena Sapegno, Sulla soglia : la narrativa di Maria Messina, in “altrelettere”, 14-03-2012

3 Bartolotta ibidem

4 Cfr.Palermo, Sandron. 1911. Così scrive al Verga da Ascoli Piceno

5 Bartolotta ibidem

6 M. Messina, Casa paterna. Palermo, Sellerio 1981

7 Bartolotta, ibidem

8 Maria Messina, “Dopo l’inverno”. Sellerio 1998, Palermo, pag 16

9 Maria Messina, ibidem, pag 20

10 Maria Messina, ibidem, pag 25 11 Maria Messina, ibidem, pag 63

12 Maria Messina, ibidem, pag 77

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 16

BENITO POGGIO

58 Canti bilingui di Liliana Porro Andriuoli

SPERTO traduttore dall’inglese di

importanti testi letterari, come dimo-

stra la sua recente versione in lingua

italiana di Spoon River Anthology, accolta

con molto favore dal pubblico e dalla critica,

Benito Poggio si ripresenta ora a noi con un

volume bilingue dal titolo 58 Canti Bilingui

(58 Bilingual Poems), contenente appunto

cinquantotto poesie da lui scritte negli anni,

col testo inglese a fronte. Il volume è suddivi-

so in due parti (Il sapore del tempo / Time’s

Flavour, che è il titolo della Prima parte e In-

capace paguro / Incapable Hermit-Crab,

quello della Seconda).

La prima parte del libro, nella quale si tro-

vano i testi più antichi del Poggio, reca la pre-

fazione di Aldo Capasso, noto critico lettera-

rio, nonché valente poeta, mancato ormai da

parecchi anni (per la precisione, era nato a

Venezia nel 1909 e morì a Cairo Montenotte -

SV - nel 1997). La seconda parte è invece

prefata da Piera Bruno, narratrice, poetessa e

saggista tuttora molto attiva nell’arengo ge-

novese, e contiene le poesie più recenti del

nostro autore.

Nel lodare l’essenzialità delle 21 poesie di

questo primo gruppo Aldo Capasso parlò fra

l’altro, e giustamente, di “poesia dell’ ama-

rezza”; ed infatti l’“amarezza” è un sentimen-

to che subito emerge dai versi de Il sapore del

tempo; e che diviene particolarmente evidente

in poesie quali C’è troppo (There is Too

Much), che inizia: “C’è troppo su cui piange-

re / nel mondo” (“There is too much in the

world / I could cry over”), oppure E l’uomo

invecchia (And Man Grows Old), che ha que-

sto incipit: “E l’uomo invecchia / e ognuno lo

disprezza” (“And man grows old / And ever-

ybody / Him does hate”).

Più acuta si fa poi l’amarezza del poeta al

pensiero degli anni inutilmente “trascorsi”:

“Perché urlate sì forte questa sera / anni tra-

scorsi…”1 (“Why are you shrieking with hor-

ror all night long / O you my past...”2). Ed il

rimpianto per il tempo andato affiora anche

da poesie come E forse un dì (Hopeless Per-

haps, One Day), dove si legge: “… verrò a

cercarti ancora / gioventù spensierata dei

vent’anni” (“I’ll come to look for you / my

youthful years”).

C’è inoltre in questo primo manipolo di po-

esie del Poggio il sentimento incantato dell’

infanzia: “All’improvviso, bimbo, / dalla tua

mano / una nuvola s’è sprigionata / di colori //

Ridevi / dietro la maschera / felice di carne-

vale…”, Le maschere (“At once, my child, /

Out of your hand / Sparks were given off / Of

colours // You, child, were laughing / Your

face behind the mask, Happy…The Carnival /

was at its height in thestreet”, Masks).

Come non mancano in questo primo gruppo

versi intrisi dal sentimento di sofferta solitu-

dine: “Nessuno è solo questa notte ed io / da

1 Da: Perché urlate sì forte questa sera?

2 Da: Why are you shrieking with

horror all night long?

E

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 17

solo veglio”3 (“No man that night alone was

but I / All night I was awake alone”4).

La seconda parte del libro (quella prefata da

Piera Bruno) è di argomento più vario, con-

fluendo in essa anche alcune poesie dedicate

alla donna della sua vita, che è per lui “come

il sole al giorno necessaria / e alla notte la lu-

na”, L’amore per amore dell’amore (“As is

needful the sun to every day serene / and to

every night the silent moon”, Love for Love’s

Sake). Particolarmente significativo è il titolo

di questa poesia (che viene ripreso anche in

un verso del testo) e che, come precisa la

Bruno nella sua Prefazione alla Seconda Parte

della silloge, costituisce davvero “una splen-

dida sintesi” che “dilata i suoi significanti e

coinvolge al di là della vicenda di due perso-

ne amanti”. Un amore rimasto intatto per una

donna che Poggio vede ancora “con gli occhi

dei vent’anni”, De senectute (“With mine

young age’s eyes”, De senectute) e di fronte

alla quale sente destarsi in lui l’antico deside-

rio amoroso (A Luisa … da vecchio / To

Louise … When An Old Man).

Significative sono pure in questa raccolta le

poesie dedicate da Poggio ai figli Federica,

Beatrice e Corrado, ai quali confessa: “Se voi

sapeste / l’ardua, indicibile fatica / d’essere,

per voi, solo padre, / null’altro…”, Ai miei tre

figli (“Oh, if you were acquainted / With the

hard, unutterable exertion / To be, for you,

only father, / Nothing else…”, To my three

Children). Si veda inoltre “Cuore fuggiasco”

(“Fleeing heart”), dedicata alla figlia Bea,

“che viaggia e dipinge” (“Traveller and Pain-

ter”).

Tra le fonti d’ispirazione che Poggio scopre

in questa seconda parte del libro c’è quella

della sua città, Genova, alla quale dedica ver-

si affettuosi e toccanti: “Non più m’ allonta-

nerò da Te, / Genova vecchia e cara!”5 (“No

more, no more from You I’ll go away / Ge-

noa, my old town, my sweet dear home!6);

3 Da: Nessuno è solo questa notte ed io.

4 Da: Not to be a man.

5 Da: Non più.

6 Da: No More.

così come dedica altri versi a Figgino, un pa-

ese dell’entroterra ligure a cui è particolar-

mente legato, poiché in esso può realizzare

appieno la sua comunione con la natura (Quel

rosso sorriso autunnale / That Red Autumnal

Smile).

Tra queste poesie se ne incontra anche una

dedicata a un amico poeta scomparso: Aldo

G.B. Rossi, del quale viene ricordata la sua li-

rica forse più significativa, Émmaus: “La

strada era lunga, ma i Due / trovarono il Ter-

zo Viandante” (Émmaus: “Very long was the

way, but the Two / Met the Third Wayfarer).

Degna di nota è inoltre un’altra breve poesia

dal titolo E se… (And if…), dalla quale affiora

un intimo sentimento religioso “E se… / pro-

fondo il silenzio / nell’animo mio / altro non

fosse / che la presenza di Dio?” (“And if … //

Silence / - So deep in my own soul - /

Weren’t it anything else / But God’s real pre-

sent”), avvalorato anche dalla dedica: “A

Qualcuno” (“To Someone”).

Oltre ad abbracciare gli affetti familiari e il

ricordo di amici scomparsi, la tematica di

questa seconda parte del libro di Benito Pog-

gio abbraccia anche alcuni tragici eventi di

vita contemporanea, come quello di Vittime

astrali (Victims in the Stars), che ha per ar-

gomento il disastro dello Space Shuttle, che si

disintegrò dopo appena un minuto di volo, la

mattina del 28 gennaio 1986; oppure quella

che rievoca la catastrofica eruzione del vul-

cano colombiano Nevado del Ruiz, avvenuta

il 13 novembre 1985: “Assopito da tempo,

s’è svegliato / con fragore improvviso il gran

vulcano / e dovunque fu morte”, Nevado

Ruiz: 13 novembre 1985 (“From time imme-

morial dormant, the great volcano / A lot of

ash threw out with unexpected rumble, /

Spreading death everywhere”, Nevado Ruiz:

November 13th, 1985). Non manca tra queste

pagine nemmeno il ricordo per Martin Luther

King, il grande paladino dell’uguaglianza tra

gli uomini (Ode a Martin Luther King / Ode

to Martin Luther King) e quello per il terribile

attentato alle Torri Gemelle: 11 settembre

2001: Non prevalebunt / 11th, settembre

2001: Non prevalebunt.

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 18

Colpiscono particolarmente in questo libro

le poesie dedicate ad alcuni giovani prematu-

ramente scomparsi, cui Poggio era molto vi-

cino come insegnante. E’ il caso di Alessio,

morto in giovane età, che egli aveva cono-

sciuto quale allievo del Liceo Mazzini di

Sampierdarena: “Tu ci hai lasciati, senza te,

più soli / e in un’angoscia che non avrà fine”,

Al mio allievo Alessio (“You have left us, wi-

thout you, more alone / And in an endless sta-

te of painful anguish”, To Alessio, a Pupil of

Mine). Si leggano anche A Simone: “Simone,

dolce adolescente inquieto, / No non ha retto

il tuo animo puro / Alla falsità e al male del

mondo…” (To Simon: “Simon, sweet-

anxious twink, / No, your poor soul didn’t

stand up / To falsehood and to evil of the

world…”) e A Michele: “Più maturo dei tuoi

quattordici anni, / Sei volato lassù negli alti

cieli / Ove la giovinezza non ha fine” (To Mi-

chael: “As a teenager of a great experience, /

You flew high, in the highest where never

ends / Your neverending, your eternal

youth”).

Da ultimo sono da ricordare le poesie dedi-

cate a Giorgio Caproni e Mario Luzi, due

grandi poeti molto amati da Poggio. La poe-

sia dedicata al primo ha per titolo A Giorgio

Caproni (To Giorgio Caproni) e contiene al-

cuni intensi pensieri sulla poesia: “Non im-

porta che muoiano i poeti: / Ci restano – per

noi – i loro versi / E tu li palpi come palpi i

frutti / Sull’albero e palpi la presenza / D’una

morte che non è morte. // Et Verbum…” (“If

doesn’t matter whether poets die: / Their own

poems still persist for us; / And you feel them

as you touch the fruits / On a tree, and you

feel the presence / Of a quietus that is not a

quietus. // Et Verbum…”). Quella dedicata a

Luzi s’intitola Sapore della mia poesia (Fla-

vour of My Poetry) e costituisce una vera e

propria dichiarazione di poetica: “Poeta è chi

vive le piccole cose; / chi soffre in silenzio e,

sognando, / rimira ogni giorno con occhio ri-

dente / l’inane agitarsi dell’uomo. // Da sem-

pre” (“A poet is he who lives on tiny things; /

He who silently suffers and, on dreaming, /

With smiling eyes every day does gaze / At

man’s useless anxiety. // Always”). Si veda

anche Le mie ricchezze (My Own Riches),

dedicata a Sandro Penna.

A lettura terminata, si ha l’impressione di

aver attraversato quelle che sono le poesie di

una vita, della quale contengono lo slancio e

il ripiegamento interiore, così come il bene ed

il male; ma sempre con quell’aderenza alla

verità umana che è propria di chi desidera pe-

netrare a fondo nei segreti dell’arte dello scri-

vere in versi.

Compiute e fedeli al testo le traduzioni,

come facilmente risulta dagli esempi sopra

riportati.

Liliana Porro Andriuoli BENITO POGGIO: 58 Canti bilingui (AGF Edi-

zioni, Genova, 2015, € 12,00)

LA VENERE DI MILO

Simulacri ritrovano l’aria

dopo secoli di futile oblio.

Plastiche forme sintetizzano il nesso

tra arte e realtà.

Fosti tu a crearla la Venere di Milo

su sembianza di giovane acerba,

amante sensuale al chiarore di luna,

luce che vibra su turgidi seni.

Il chitone drappeggia

le curve linee

sfogo istintivo

di voluttà immaginaria.

Lo scalpello si mosse

sull’onda creativa,

l’occhio fu vigile e sognatore

disegnando a memoria

quel morbido ventre.

Accarezzasti quel marmo

soffiando le mani,

come a portare

desiderio d’amore.

Ti stupisti…

d’innanzi a tanta bellezza

come se degli Dei il frutto

la tua opera fosse.

Colombo Conti Albano Laziale

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 19

EUGENIO MARINO: ANDANDOSENE

SOGNANDO di Carmine Chiodo

UGENIO Marino, responsabile Na-

zionale del Partito Democratico per gli

italiani nel mondo, si occupa anche di

emigrazione: l'autore, laureato in lettere mo-

derne, si è occupato, scrivendo una tesi di

laurea, dei rapporti tra la letteratura e la can-

zone italiana d'autore, concentrando la sua at-

tenzione in particolar modo su Guccini e de

Gregori. Con questo poderoso e ponderoso

libro, che giustamente sta avendo un notevole

successo e nel contempo è stato presentato e

si presenta in varie città italiane ma pure este-

re, Eugenio Marino affronta l'emigrazione

come è stata trattata nella canzone . Ci si tro-

va davanti a un bel libro che presenta sei ca-

pitoli, densi e corposi, e più le conclusioni.

Ne vale veramente la pena leggerlo. Il feno-

meno dell'emigrazione viene dapprima de-

scritto partendo dall'Unità d'Italia alla Repub-

blica, e qui si parla diffusamente dell'emigra-

zione americana e delle canzoni melodram-

matiche; poi si passa ad analizzare il contesto

culturale post-unitario, le traversate fatte con

bastimenti, e ancora le scene della partenza,

scene ovviamente molto malinconiche. Anco-

ra l'emigrazione vista e analizzata nella tradi-

zione napoletana, le "mandulinate e l'emi-

grante", la musica popolare e folck del resto

d'Italia, e poi si passa alla tradizione molisa-

na e qui sono mostrate e analizzate le canzoni

afferenti alla cronaca. Eugenio Marino dei te-

sti delle canzoni non solo studia i temi ma pu-

re le parti più propriamente letterarie, lo stile,

la metrica, e poi ancora il ritmo, le varie te-

matiche. Leggendo il ricco e ben articolato

volume ci imbattiamo in nomi noti della mu-

sica, autori di famose canzoni in cui si parla

di emigranti: ad esempio il celebre artista na-

poletano Renato Carosone. Comunque dai

bastimenti si passa ai "treni del sole". Ecco

ancora un altro grande della canzone italiana:

Domenico Modugno, il celebre Modugno di

"Volare". Ancora ci è dato leggere una fine

analisi che attiene allo stretto legame tra folk,

protesta e politica, il che determina una "can-

zone diversa, alternativa e intellettuale". A

guardar bene il volume ci offre una articolata

storia della canzone italiana, di quella canzo-

ne che parla di emigrazione, di emigranti.

Cosi nel quinto Capitolo "I Cantautori e l'al-

ternativa-politico-morale": si parla degli anni

sessanta e della"Scuola genovese", dei can-

tautori con la solita- canzone amore-cuore; e

anche in queste pagine ci imbattiamo in nomi

arcinoti: Bruno Lauzi, Luigi Tenco di "Ciao,

amore, ciao", e ancora Lucio Battisti, gli anni

Settanta , e ancora Modugno di "Amara terra"

e il calabrese Mino Reitano di "Calabria

mia", e poi ancora l'Equipe84 (con "Casa

mia"), seguono ancora il cantante Rino Gae-

tano, figlio di emigranti e non mancano De

Gregori, Dalla, Edoardo Bennato, Guccini, e

arriviamo agli anni Novanta: Ivan Fossati "tra

emigrazione e viaggio", Edoardo Bennato:

"Ancora treni da Sud a Nord", Mia Martini:

"dal suo Oriente agli immigrati con la faccia

di Dio", e ancora Fabrizio De Andrè. Cosi si

E

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 20

arriva al Duemila e qui ecco Davide Van De

Sfroos e "l'emigrazione attraverso il dialetto

laghèe; Gianmaria Testas: "L'uomo verso,

cantautore impegnato per senso di responsa-

bilità"; Kento: "Sacco e Vanzetti tra rap, emi-

grazione e anarchia"; Brunori Sas: "Dalle

speranze dei bambini anni Ottanta alla crisi

degli adulti del Duemila", e per finire Gual-

tiero Bertelli, veneziano, nato nell'isola della

Giudecca nel 1944, figlio di un operaio e di

una casalinga.

Leggendo il libro si vede pagina dopo pagi-

na come Eugenio Marino con intelligenza e

sensibilità sa leggere e presentare questi testi,

affrontandone le tematiche storico-sociali

connesse alla emigrazione. Insomma storia,

musica, letteratura sono ben fuse tra di loro e

ci danno questo libro che esamina il fenome-

no dell'emigrazione in testi poetici come sono

le canzoni, certe canzoni italiane. Ciò è fatto

per la prima volta, ed è fatto bene, ed è merito

di Eugenio Marino che è stato giustamente

lodato e viene lodato da più parti, da diversi

critici, da storici, giuristi, oratori vari che

hanno presentato questo libro che getta mag-

gior luce sull'emigrazione vista e considerata

in dei testi che sono analizzati da Marino, che

ne mostra le caratteristiche di fondo. Di ogni

artista, di ogni autore e testi son colti la fisio-

nomia, gli elementi importanti ed emergenti,

l'ironia talvolta, l'impegno politico di De

Gregori altre volte e poi ancora quella che

viene chiamata la”Profondità" di De Andrè e

Guccini, ad esempio. Insomma Eugenio Ma-

rino sa penetrare i testi e ci ha dato un libro

esemplare che ci mostra come emigrazione -

e nell'ultima parte del volume - l'immigrazio-

ne sono legate alla canzone. Questo volume

di Eugenio Marino è un testo imprescindibile

nello studio della emigrazione e quindi anche

un contributo nuovo e innovativo. Un libro

che si raccomanda non solo agli specialisti

ma a un più vasto pubblico, a quelli che ama-

no leggere e imparare. Orbene ringraziamo

Eugenio Marino di averci dato un libro im-

portante e di piacevole e utile lettura.

Carmine Chiodo Eugenio Marino, Andandosene sognando: L'emi-

grazione nella canzone italiana. Quaderni sulle e-migrazioni, diretti da Norberto Lombardi, Cosmo

Iannone Editore, Isernia 2014, pp. 389, € 23,00.

ILMIO CUORE SI GONFIA …

Il mio cuore si gonfia se ti penso,

se ricordo la tua figura,

il tuo viso e il tuo sorriso,

se ricordo

la tua dolce voce …

Il mio cuore si gonfia,

e allora

ancora ti sento vivo

nel mio ricordo

e nel mio pensiero.

E allora

ancora vivo con te,

nel tuo ricordo,

nel ricordo di te,

nel pensiero di te,

nel tuo pensiero …

Sei tu che adesso aleggi a me d’intorno

e mi costringi a scrivere ?

Mariagina Bonciani Milano

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 21

Nella poesia di

FULVIO CAPORALE TRIVIGNO

E TUTTA LA LUCANIA di Leonardo Selvaggi

I

A Lucania tra monti e terre aride con

arcaiche caratteristiche, pare spro-

fondata in tempi che si perdono in

lontananze infinite, tra scoscendimenti e di-

rupi. La troviamo riconoscibile per le sue

asperità, con i calanchi che contrassegnano

le erosioni proprie di terre alluvionali: l’ a-

spetto frustrante di una regione in gran parte

povera, fra anfratti e spaccature uguali a ta-

gli sanguinanti mai rimarginati, voragini a

picco, bocche enormi assetate che paiono di-

laniate, fiumare dai greti pietrosi con acqui-

trini secchi con cortecce di argilla accartoc-

ciate. I versi di Fulvio Caporale con reali-

smo e icasticità, vibranti dal profondo dell’

animo, tra amarezze e scetticismo, fanno

sentire i pensieri tormentati dei grandi meri-

dionalisti, riportano nei contenuti ricordi di

solitudine e di desolazione, stato di abban-

dono e di incomprensione in lunghi periodi

di dominazione che si sono succeduti attra-

verso varie epoche storiche. Il volume “A

Trivigno non nascono bambini” fa notare

che la Lucania è regione depressa non priva

di luoghi ameni e di risorse, di paesaggi di

straordinaria bellezza in azzurri tersi, di

orizzonti incantevoli, soffusi di luce, estesi

all’infinito. Trivigno come tanti paesi e bor-

ghi della Lucania, è semiabbandonata in se-

guito ai massicci esodi verso i grandi centri.

I pochi abitanti rimasti si aggirano fra i vico-

li come ombre di un passato di virtù e labo-

riosità, di grande passione per i mestieri e

nel contempo di fede e di perseveranza. Per

chi vi è nato è un paese tutto vivo nelle an-

sietà e nella speranza di vederlo ritornare at-

tivo come una volta, ci si sente legati con lo

stesso attaccamento di quando con pochi

mezzi si era combattivi tra stenti ed estenua-

zioni continue. Le case, come le vecchie

persone, paiono visi induriti con le rughe,

guardano fisse, da lontano ti riconoscono,

quasi vengono incontro con le braccia tese.

Si ricordano le capacità di industriarsi, il

senso di saggezza e i modi naturali che do-

minavano l’ambiente rurale, ancora oggi

presenti tracce resistenti. Il volume “A Tri-

vigno non nascono bambini” di Fulvio Ca-

porale, poeta e giornalista, ha vastità di sen-

timenti e di memorie storiche: la Lucania tra

personaggi e centri della Magna Grecia e

soprattutto la grandezza di Federico Impera-

tore che ha dato in tempi tenebrosi luce di

vitalità e di progresso. I versi hanno intrecci

di contenuti, fra immagini poetiche in dila-

tazione che prendono realtà, stati psicologici

e impeti di inestricabile amore verso i luoghi

amati. Espressività con solennità ritmica e-

sprimono fremiti e insieme inquietudini.

II

Essenzialità di tempi e di esistenze che ri-

scoprono profondità di energie interiori, figu-

re umane che tengono della primitività e del

magico in una sentimentalità che fa, in un

tutt’uno, vicinanze e pienezza di sé. Vitalità

del passato ritroviamo inestinguibili in fondo

all’animo, nonostante i capovolgimenti di co-

stume che ci travolgono nel nostro tempo.

Storicità e poesia intessuta di principi morali

in Fulvio Caporale, materialità e spirito in un

cerchio unico di intercomunicabilità. La sua

Trivigno, nonostante le fughe verso i centri,

L

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 22

esprime questa specie di monumentalità delle

forme e dei modi di essere che rimangono ra-

dici ramificate inestirpabili: eternità delle tra-

dizioni della vita dell’uomo nella sua fonda

mentalità, genuinità delle affettività in spon-

taneità di legami, “Servi e famigli a riporre i

covoni/sotto tettoie predisposte, donne intente

a governare cucine e lavatoi”. Le pagine del

volume poetico, edito dal Centro Culturale

Studi storici di Eboli nel 2003 in bella veste

tipografica, con illustrazioni fanno evidente la

presenza di coerenti volontà, pronte agli im-

peti generosi in caratteri inflessibili. Il nome

di Lucania nella complessità dei significati

esistenziali, scuote i più latenti moti interiori,

esprime il nostro essere in tutta la sua struttu-

ra, “non evoca foreste, lupi, mostri/...ma lu-

ce...”, una figura di regione esposta a tutti i

cataclismi geologici, con ferite che non si

chiudono e la gente forte nelle tribolazioni e

sempre spinta alle lotte, invincibile e trion-

fante con le più connaturate inclinazioni.

Trivigno, come altri piccoli paesi del Sud,

con i pochi abitanti pare in stretta simbiosi

con i ricordi e quelle costumanze che, nono-

stante la modernità, non si corrompono, l’

intonaco rude è uguale alla semplicità, all’

orgoglio e al senso di dignità. La carne cor-

rosa, macerata dalle angustie, pari alla terra

frantumata dal vento e all’intemperie, come

le pietre radicate, ricoperte di muschio, non

avverte neppure il peso dei malesseri. Per le

persone, testimoni del passato, non è facile

staccarsi dalle matrici che le hanno sostenu-

te e allevate. Fulvio Caporale, direttore della

rivista “La grande Lucania” vede dell’ arca-

no indistruttibile che avvolge Trivigno con i

vicinati, i vicoli e le presenze come mime-

tizzate e stratificate. Un istintivismo tiene in

amalgama, ogni vecchio abitante assomma

tutto quello che è rimasto, incrostato con lo

stesso colore della terra: in altri luoghi ci si

sentirebbe in emanazione, inconsistenti,

tormentati in esilio infinito.

III

Linguaggio incisivo che si esprime in versi

risonanti, levigati e rilucenti, vi si specchia

l’atmosfera fine e assolata delle estati inter-

minabili, con gli spazi ampi in profondità e

in altezza: come estasiati ci eleviamo in pie-

na celestialità e in immensità interminabili,

ci muoviamo “Dove la poiana/cerca cime di

monti a larghi giri”. Gli incanti di notti luna-

ri dentro un cielo in movimento ondeggiante

di armonie, sopra la terra serena e purificata

tra ombre e luci esaltata dallo zirlare con e-

stese sonorità dei grilli. Quadri di universale

mistero che ci hanno inondato nei tempi fe-

lici, facendosi spiritualità diffusa per l’etere.

La Lucania ha tutta una intensità di vita, fra

le più belle regioni del “Sud lontanissimo

d’Italia”, si riconosce subito come geografia

del territorio, frammentata, diversificata, si

avverte una panteistica movimentazione di

presenze inavvertibili, si pensa con la im-

maginazione accesa dei Lucani di incontrare

fauni e ninfe secondo le credenze dell’antica

mitologia. Non manca in Fulvio Caporale

una vena ironica che manifesta una espres-

sività senza retorica, propria di chi, amante

della verità, ha fierezza, indipendenza di spi-

rito. Forza di carattere si rileva fra le perso-

ne che incontriamo a Trivigno e nei borghi

vicini, gente legata a modi di essere del pas-

sato, anche se in una forma poco evidenzia-

ta, ostinazione, senso di sacrificio, di previ-

denza. Le illustrazioni del volume “A Trivi-

gno non nascono bambini” raffigurano le

varie parti dell’abitato e i segni di corri-

spondenza con le persone di altri tempi: la

rusticità significa concretezza, essenzialità

di pensieri e spontaneità, contentezza del

poco. La parsimonia e la moderazione, virtù

diverse da quelle del nostro tempo, tutto im-

prontato al consumismo, all’egoismo esa-

sperato, aberrante, irritante, vanaglorioso.

Le virtù che si leggono sulle pareti, sulle fi-

nestre e sulle porte delle case, un tempo pie-

ne di calore e di senso della famiglia, sono

state proprio dei paesi del passato in ristret-

tezze economiche, in esultanza ed espansivi-

tà, nella vitalità della Natura con le piante e

gli animali, con autosufficienza, con tanta

passione di vivere ed entusiasmo. Oggi la

noia ci rende inetti, non sappiamo che cosa

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 23

vogliamo.

IV

La grande virtù di saper spartire le soffe-

renze, come le sostanze, si può accomunare

con i sentimenti di uguaglianza che abbiamo

tenuto e terremo sempre nei sogni. Le vec-

chie abitanti di Trivigno incartapecorite in

ansia attendono sempre qualche ritorno. La

case paiono vigili come madri che, tutte in-

teriorità e pensieri che non finiscono mai,

sono con le gonne pesanti e calze di lana di

pecora. Tanta collaborazione, ci si sentiva

ravvicinati da una certa sintonia di intenti.

Addosso pesano le instancabili antiche fati-

che. Il focolare ancora è visto come simbolo

di comunanza e di affetti: “...una magia/ ac-

cende mille segni evanescenti,/proiettati sui

muri, a fuoco vivo:/io t’ho già visto,/ cinete-

ca infinita di visioni/e a sonoro/soltanto il

crepitio di brace ardente,/e la voce di non-

na”. Le immagini poetiche di Fulvio Capo-

rale fanno andare a ritroso: tutto un mondo

di illusioni e di vera vita, tanta esuberante

eccitazione. “...il camino d’infanzia era più

grande,/amplificava la mia fantasia”... C’è

dell’antico, ma infiltrazioni di modernità

non mancano. Le terminologie si sovrap-

pongono, quelle odierne sono artificiose, gli

umori e le espressioni che si tengono vive

negli occhi e nei gesti fanno la parte naturale

che non può estirparsi dalla struttura umana.

Quando si ritorna ai propri luoghi si ha la

sensazione che tutto più decrepito si è fatto,

all’intemperie ferrigne le pareti sotto le

piogge scroscianti. Si ritorna con altre espe-

rienze, “... qualche volta quasi inorgogli-

sco/ma a casa mia c’erano i libri”... Nel luo-

go natio persistente è il ritrovarsi in se stes-

si, si risentono le prime forti, dominanti e-

mozioni in pien’aria, in espansione e in esta-

si per tutto quello che si ritrova vicino. Pro-

fondi i segni di esistenza primigenia che

hanno fatto la propria persona. Ci si vede in

un mondo tutto fermo, anche i visi sono

immobili, ti guardano negli occhi. Il primo

vivere forte, tutto penetrato, ci si riveste con

i panni di un tempo, i vecchi legami si ride-

stano in quelli che vengono da lontano: “E

quel dialetto a me ancora più dolce/ora ti ri-

fiorisce sulla bocca,/aulico, antico, a pegno

d’amore!” La lingua del paese, tutta espres-

sività di gesti, di parole a metà, viene da

dentro, quasi con le membra si riversa in

flusso di incontri immediati, spontanei con

l’ambiente. Più dei personaggi, che in Luca-

nia hanno lasciato tracce, forte è la presenza

della gente del passato con la sua storia ve-

ra, autoctona di pazienti attese, di aspirazio-

ni: “...a dimensioni umane:/altri gli eroi ve-

ri:/mamme vestite di nero/come a lutto pe-

renne/e padri sul volto i solchi dei campi,/da

sempre già vecchi, per fatiche,/antica, luca-

na milizia di stenti/a coltivare grano e una

speranza,/senza nemmeno vedere il miraco-

lo”. Nulla si è ottenuto, si comincia di nuovo

a risalire, abbiamo le fatiche di Sisifo per

gran parte dei vecchi poveri paesi.

V

Le identità per tutta una vita integra con

prontezza giorno per giorno ad essere co-

stanti. I racconti nei vicinati, trepidanti e

amorevoli le persone dagli occhi penetranti

che si intenerivano, si stava raggomitolati

sui gradini a raccogliere in grembo tutte le

sensazioni eccitanti, il senso di meraviglia

per fatti strabilianti. Oggi di quelle narrazio-

ni paesane che incutevano timore e nel con-

tempo creavano attrattiva è rimasta “...solo

qualche immagine sbiadita/e vecchie sto-

rie/che nessuno vorrà mai più ascoltare./E

qualcosa si spegne ogni giorno”... I segni di

luce dell’interiorità, fatti di umiltà, di sensi-

bilità fine che va in spiritualità di slanci, di

profondi affanni arrivano dalle figure più

tormentate che danno espressioni di più

stretta appartenenza alla terra d’origine, co-

me fossero i primi virgulti venuti da essa,

dalle parti più sconvolte. Salvatore Scialla-

macante con malformazioni, introspetto,

complessato. “E lui pazzo, almeno questa

volta,/si portava la mano al sopracciglio,/

mimava il gesto di lanciare contro//la tume-

scenza,/che abbruttiva il suo volto”. Le sof-

ferenze, che si sono addensate su certe figu-

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 24

re patite, sono le nostre che non avvertiamo

e le deridiamo: trasferite in tanti miseri che

paiono simboli della vita più amara e più ve-

ra. Le poesie in sofferente ebollizione nell’

animo del poeta, fuoriescono denudate con

la semplicità delle case di Trivigno, tutte

avvicinate come in un solo blocco, sono il

paese stesso con i suoi aspetti, senza abbel-

limenti, esprimono quello che si vede, le

crepe come ferite che sanguinano sempre.

Intagliate bene, scandiscono i fremiti, le

passioni, le ansietà dei pochi abitanti che si

sentono come sospesi, fra vicoli gravati di

silenzio e di vuoto. Il volume “A Trivigno

non nascono bambini” di Fulvio Caporale

risveglia le tristizie della mia vita, fatta a

brandelli, esule in altre terre, rimasta sfibrata

anima divisa senza un luogo. Trivigno mi è

nelle profondità del mio essere con le voci

di mia madre che mi accompagnano dovun-

que, ombra e sguardo vivi nelle mie solitu-

dini, nelle mie battagliate ansie di vivere.

Per le strade di Trivigno ossa e polvere di

trapassati, le tracce di mia madre che non si

dileguano mai, ferme nella loro inafferrabile

consistenza. Trivigno più forte dei miei luo-

ghi natii che ho lacerato, tradito, tenuti nella

malinconia della mia assenza, fattesi tetrag-

gini di dissolvimento nei miei arrivi e par-

tenze. Trivigno, paese materno, che risuona

di richiami, la tengo in esilio a macerarsi

poco per volta con le mie membra che non

hanno mai avuto pace.

VI

Per Fulvio Caporale il paese natio è il

grande grembo che è stato il suo nido, dove

si è alimentata la propria persona, attraverso

di esso sono trapassate le storie della gente,

il colore della terra, i fremiti di antichi desi-

deri insoddisfatti. Odio e amore verso i pro-

pri luoghi. I sogni erano diamante, bisogna-

va tenerli nascosti, sono fuggiti dalle mani,

strappati dalla fatalità e dalle negatività che

non hanno saputo capire. Le troppe angustie

hanno fatto nascere spesso la voglia di eva-

dere, di trovare altrove quello che non si è

avuto. Ci si è sentiti barcollare sui ciottoli

messi a caso col muso interrato. Una specie

di agorafobia, non ci si teneva in piedi negli

spazi più aperti, si avvertiva un vuoto che si

faceva stato di ipocondria. Anche gli affetti

irritati dalle fatiche e privazioni. La madre

distratta come la casa scarna e disadorna “di

rado indugiava a sorprendersi/per tenerez-

ze”. Voci stridenti di severo cipiglio, fred-

dezza di modi. Le ristrettezze facevano tene-

re le poche cose con accortezza rigorosa, “la

tua ricchezza/di formica lucana./Io ho attinto

a piene mani:/ma forse volevo/che tu accet-

tassi con un sorriso/qualche mio verso/e la

mia ansia di camminare/anche per strade a

te sconosciute”. Si sentiva il bisogno di

maggiore espansione, di una compenetra-

zione con i propri ferventi moti di un animo

ammorbato. Non si entrava nelle inquietudi-

ni con facilità, arrovellati si era dai pensieri

triti, frammentati che non si aprivano a

maggiori spazi. Tutto questo creava un cir-

colo vizioso, repulsione e attaccamento in-

sieme a persone e luoghi: ci si sentiva inte-

riorizzati e si capiva che le espressività era-

no più volte tacite, che i legami erano me-

scolanze di un insieme. Nella vita del tempo

passato nei paesi depressi del Sud si era ma-

turati tutti, uguali ad ogni età, stesse urgen-

ze, stessi turbamenti. I versi di Fulvio Ca-

porale, oltre le annotate caratterizzazioni,

hanno del drammatico: le immagini si

muovono in recinti chiusi, vanno avanti e

indietro, un senso di libertà freme dentro e

dal tetro si vuole andare verso le “albe

chiare”, che hanno del primigenio, dell’ in-

nocenza, della purezza dei primi anni, su-

scitano risvegli di vita. L’ illusione fa an-

dare sempre lontano, si vede il proprio pae-

se con le sue sotterranee forme sul punto di

scuotersi, le case sentono passi incerti e ra-

ri aggirarsi attorno. Si coglie una visone

d’insieme, come se tutto fosse una figura

animata, una persona che si muove e viene

avanti. Aspetti caratterizzati con intensità,

immobilità che si aprono da un tempo lon-

tano, da un silenzio fatto di impercettibili,

sfuggenti spirituali esistenze.

Leonardo Selvaggi

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 25

XXV EDIZIONE

PREMIO LETTERARIO IN-

TERNAZIONALE

CITTÀ DI POMEZIA 2015 Comunicato Stampa

el ringraziare, per la pubblicità ac-

cordata, le Testate (cartacee e on li-

ne) che hanno pubblicato in tutto o

in parte il Regolamento del Premio, si co-

munica che la Commissione di Lettura del

nostro Periodico, dopo un primo esame delle

opere pervenute, tra il 20 e il 30 giugno 2015

ha selezionato, per le diverse sezioni, i lavo-

ri dei seguenti Autori (ma ricorda che, in ba-

se al regolamento, “Per ogni sezione, qualo-

ra i lavori risultassero scadenti, può decidere

anche la non assegnazione del premio”):

Sezione A (Raccolta inedita, max 500 versi):

Probabilmente sarà poesia, di Isabella Mi-

chela Affinito (Fiuggi Terme, FR); Aurora

di un Giorno Nuovo, di Santo Consoli (Ca-

tania); Odi impetuose, di Filomena Iovinella

(Torino); Donne, di Antonia Izzi Rufo (Ca-

stelnuovo al Volturno, IS); Da Melbourne

con amore, di Giovanna Li Volti Guzzardi

(Australia); Emozioni sparse al vento, di

Anna Trombelli Acquaro (Australia);

Bambini, di Anna Vincitorio (Firenze);

Consapevolvenze, di Lucia Gaddo Zanovel-

lo (Faedo di Cinto Euganeo, PD).

Sezione B (Poesia singola, in lingua, max 35

vv.): “Pensieri negli specchi”, di Emilia Bi-

sesti (Pomezia, RM); “Fanciullino scherzo-

so”, di Mariagina Bonciani (Milano); “Ar-

ruffati pensieri”, di Anna Maria Bonomi

(Roma); “Canto del canarino”, di Claudio

Carbone (Formia, LT); “Mamma, se posso

torno”, di Franco Casadei (Cesena, FC);

“Serena sorge l’alba”, di Tito Cauchi (La-

vinio, RM); “Clochard”, di Nicola China-

glia (Spinimbergo, VR); “...e se non pian-

gi...”, di Angelo Mario Cianfrone (Austra-

lia); “Lamento per la morte di Gina”, di Fa-

bio Dainotti (Cava de’ Tirreni, SA); “In

cerca di pace”, di Maria Turiano Aprile

(Australia).

Sezione C (Poesia singola, in vernacolo,

max 35 vv.): Nessuna poesia selezionata.

Sezione D (Racconto, novella): “La mia

Mamella”, di Maria Coreno (Australia); “Il

viaggio di nozze”, di Elisabetta Di Iaconi

(Roma); “Cassandra”, di Maria Grazia Fer-

raris (Gavirate, VA).

Sezione E (Fiaba): Nessun brano seleziona-

to.

Sezione F (Saggio critico): “Poesia e aspetto

critico”, di Paola Insola (Torino).

Da un successivo esame della Commissio-

ne di Lettura, e a suo insindacabile giudizio,

è scaturita la seguente graduatoria:

Sezione A: 1) Isabella Michela Affinito - la

cui opera verrà pubblicata, gratuitamente,

nei Quaderni Letterari Il Croco (presumi-

bilmente sul supplemento al n. 10 - ottobre

2015 - di Pomezia-Notizie) -; 2, ex aequo)

Filomena Iovinella e Anna Vincitorio; 3, ex

aequo): Sano Consoli e Lucia Gaddo Za-

N

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 26

novello; 4) Anna Trombelli Acquaro; 5°,

ex aequo): Antonia Izzi Rufo e Giovanna Li

Volti Guzzardi.

Sez. B: 1) Fabio Dainotti; 2) Franco Casa-

dei; 3, ex aequo): Nicola Chinaglia, Clau-

dio Carbone, Angelo Mario Cianfrone; 4°

Tito Cauchi; Segnalazione: Mariagina Bon-

ciani.

Sez. C: Non assegnato.

Sez. D: 1) Elisabetta Di Iaconi; 2) Maria

Grazia Ferraris.

Sez. E: Non assegnato.

Sez. F: 1) Paola Insola.

Pomezia, 11 luglio 2015

Domenico Defelice Organizzatore del Premio

e direttore di Pomezia-Notizie Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edi-

zioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Et-

tore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Mara-belli:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Mena-

bò; Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli:

Canti del ritorno; Solange De Bressieux: Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Itinerario

a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di Ar-

thur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde

la memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi;

Giovanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Man-cusi Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che

ho scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni

d’amore; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgi-na Busca Gernetti: L’anima e il lago; Rossano

Onano: Mascara; Fulvio Castellani: Quaderno

sgualcito; Nazario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorello: Voglio silenzio.

POESIA

E ASPETTO CRITICO di Paola Insola

L “DIRE” poetico ha una funzione catar-

tica, sia in relazione al concetto greco di

rito magico della purificazione, sia ri-

guardo all’estetica, facilitando la condizione

interiore che permette il superamento delle

passioni umane.

L’atteggiamento che merita un libro di poe-

sia deve dunque disporre il recensore a “CO-

GLIERE”, oltre al linguaggio, al ritmo, alle

metafore e alla polifonia dei versi, che insie-

me comunicano l’emozione, quel GUAR-

DARE (che sottolinea l’aspetto durativo del

vedere) che gli permette di partecipare al tea-

tro della parola. Se questo avviene, la scena

poetica diventa l’estensione dell’Io, con tutte

le sue possibilità. Provando a codificare la

poliedricità implicita nel linguaggio dell’ au-

tore, il critico si atteggia ad elaborare, in ri-

sposta ad ogni stimolo, caratterizzazioni in-

verse al processo creativo. Credo che l’uomo

creativo, che compendia il suo estro in una

recensione, ri-crei, il messaggio, lasciandosi

afferrare, trascinare nei recessi dell’altro, dal

quale riceve una materia sonora, un corpo e

un’immagine. La parola riemerge dall’ incon-

scio che il poeta ha assorbito nella sua entità

biologica e in quella psichica. Consideriamo

pure che, trovandosi di fronte allo specchio

del proprio immaginario, l’autore abbia pro-

vato a strumentalizzare la parola, inserendo

una cortina di finzione per isolare (o proteg-

gere) la sua essenza interiore. È possibile e

pur vero che, trovandosi ad affrontare il plu-

svalore della significazione, il critico sia im-

pedito a risalire alla trama originaria del pen-

siero, ma seguendo le varie tappe creative

può trovare, col poeta, la sequenza delle e-

mozioni che lo portano a scoprire il senso ce-

lato del (suo) mondo.

La domanda più ovvia di chi si appresta a

vivere il linguaggio della poesia è: “che cos’è

il bello poetico?” Quali sono gli elementi del-

la poesia che ce la fanno considerare bella e

gradevole da leggere e da fruire? Quali ele-

menti sono storicamente determinati univer-

sali?

Sono fattori individuali sui quali ci possia-

mo interrogare oppure sono legati esclusiva-

mente ad un gusto individuale? Entrando nel-

lo specifico il “bello poetico” è legato alla

forma linguistica? Al contenuto, ad entrambi?

Da questi primi, importanti interrogativi, di-

partono altre domande, spesso legate al pro-

blema del contenuto e soprattutto riguardanti

la funzione della poesia. La poesia è o deve

I

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 27

essere “utile”? E utile, in che senso: morale,

universale, individuale?

I veri poeti sanno bene che solo lontano dal

calcolo e dalla fretta è possibile coltivare la

poesia: “Essere artisti - confessa Rainer Ma-

ria Rilke, in un passaggio delle LETTERE A

UN GIOVANE POETA - vuol dire non cal-

colare e contare; maturare come l’albero che

non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle

tempeste di primavera senz’apprensione che

l’estate non possa venire”. I versi non si pie-

gano alla logica della precipitazione e dell’

utile. Anzi, talvolta, come suggerisce il Cira-

no di Edmond Rostand nelle battute finali

delle pièce, l’inutile è necessario per rendere

ogni cosa più bella.

Abbiamo bisogno dell’inutile come abbia-

mo bisogno, per vivere, delle funzioni vitali

essenziali. “La poesia - ci ricorda Ionesco - il

bisogno di immaginare, di creare è fonda-

mentale quanto quello di respirare. Respirare

è vivere e non evadere dalla vita”.

A pensarci bene, però, un’opera d’arte non

chiede di venire al mondo. O meglio, ricor-

rendo ancora ad una splendida riflessione di

Ionesco, l’opera d’arte “chiede di nascere” al-

la stessa maniera di “come il bambino chiede

di nascere; egli nasce per nascere”. Anche l’

opera d’arte (per noi la poesia) nasce per na-

scere, s’impone al suo autore, chiede di esi-

stere senza domandarsi se è richiesta o no,

senza spiegarsi il perché. Questo non toglie

che gli altri possano accoglierla, utilizzarla,

condannarla o distruggerla, che possa adem-

piere o no ad una funzione sociale. Non di-

mentichiamo che la poesia, (in sé) non ha una

funzione sociale, perché è ascritta al suo idea-

tore.

Gli interrogativi ancora incalzano e le ri-

sposte ci arrivano dai poeti: Suggestive le pa-

role pronunciate da Federico Garcia Lorca nel

presentare i versi di Pablo Neruda: “Io vi

consiglio di ascoltare con attenzione questo

gran Poeta e di cercare di commuovervi con

lui; ognuno alla propria maniera”. Ognuno al-

la propria maniera, perché diverse sono le no-

te che fanno vibrare le corde del cuore! E di-

verse sono le corde che ri-suonano nell’altro!

E aggiunge Garcia Lorca: “La poesia richiede

una lunga iniziazione, come qualsiasi sport,

ma c’è nella vera poesia un profumo, un ac-

cento, un tratto luminoso che tutte le creature

possono percepire”. Quindi allenamento, de-

dizione, letture di altri poeti, capacità di sinte-

si e di selezione di ciò che è essenziale, atteg-

giamento critico e ribelle nei confronti di ciò

che fanno tutti, un po’ di sedimentazione per

garantire, nella rilettura, quel ripensamento o

quella conferma, per nutrire “quel granello di

pazzia che tutti portiamo dentro” e senza il

quale sarebbe veramente “imprudente vivere”

(G. Lorca agli studenti, in un’aula dell’ Uni-

versità di Madrid, 1930).

Riguardo l’analisi del linguaggio poetico,

mi pare estremamente utile, quando attuale, la

lettura della prima opera sistematica della

cultura occidentale sulla poesia. “La “Poeti-

ca” di Aristotele ci indica chiaramente la con-

cezione del filosofo greco sulla natura, sulla

funzione e le caratteristiche della poesia. Poe-

sia è per Aristotele imitazione della realtà. Il

poeta imita e rappresenta la realtà con mezzi

che in parte gli sono propri - il verso -, in par-

te sono comuni ad altre arti, come la musica -

il ritmo e l’armonia -. Aristotele distingue poi

la poesia in diversi generi, che permettono di

sviluppare tutti i contenuti possibili e imma-

ginabili.

Di particolare interesse per il nostro di-

scorso è l’analisi che Aristotele fa del lin-

guaggio poetico, che deve essere “chiaro ma

non sciatto” e deve comprendere in giusta

misura vocaboli “ricercati” e non usuali. In

questa classe di vocaboli Aristotele fa rien-

trare anche quelli metaforici. La metafora è

definita come “il trasferimento di un voca-

bolo estraneo, o dal genere alla specie e dal-

la specie al genere, o da una specie ad un’

altra, oppure secondo analogia” (Poetica,

XXI).

Sull’importanza della metafora nel compo-

nimento poetico Aristotele insiste, vedendo,

nella capacità di far metafore, l’elemento che

contraddistingue il buon poeta: “Soltanto ciò

(il saper fare metafore) non si può prendere

da un altro ed è segno di buona predisposi-

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 28

zione; il saper fare buone metafore, infatti è

lo stesso che saper vedere il somigliante nelle

cose” (Poetica, XXII).

È pur vero che ci sono poesie che pare elu-

dano le metafore, ma l’atteggiamento che il

critico può disporre è quello di considerare

“altro” il significato suggerito (in modo pro-

blematico, ambiguo) da quel testo. “Quando

una poesia non ha metafore, tutta la poesia è

una metafora” (M. Soreson, poeta rumeno

contemporaneo).

Per De Sanctis il compito del critico non è

quello di valutare l’opera poetica in base alla

sua aderenza a canoni fissi e a regole formali,

e neppure di “spiegarne” il contenuto; invece

di rivivere la vita dell’opera, considerata co-

me un tutto “organico”, “individuale” e “con-

creto”, in cui forma e contenuto sono ideal-

mente inseparabili. Il critico deve “rifare

quello che ha fatto il poeta, rifarlo a suo mo-

do e con altri mezzi” (De Sanctis 1952, vol. 2

p. 90), portare cioè a livello di consapevolez-

za ciò che per il poeta è “opera spontanea del

genio”.

“Ogni opera autentica ha di conseguenza,

quando nasce, l’oscurità disorientante del nu-

vo” (G. Ungaretti, Saggi e scritti vari, 1943 -

1970). Certamente la poesia esprime la natu-

rale verità delle cose, ma si tratta di una verità

artistica, non certo di una passiva imitazione

della realtà. La grandezza dei poeti come

Dante e Leopardi è stata nella loro capacità di

“astrarsi” affermando un’identità assoluta di

forma e contenuto.

Il poeta si identifica con la sua personalità

poetica, cioè del suo approcciarsi alla poesia

che può essere: approssimativa, sommaria,

astrusa o definita. Solo nella poesia definita il

sentimento aderisce al particolare, il limite si

distende nell’infinito. È chiaro che la poesia

deve essere pensata e deve far pensare. “La

poesia vera non è né facile né difficile: è poe-

sia” (G. Ungaretti). È fondamentale la parola,

quando il termine si converte per “quell’alone

d’indeterminatezza che lo circonda, per quel

suo irriducibile margine vago, infinito, anche

se minimo; là è il sogno (...) dove sentimento

e immaginazione possono liberamente spa-

ziare” (G. Ungaretti a proposito di G. Leo-

pardi).

Al critico è concordata l’impressione sog-

gettiva, benché la sua scoperta del testo sia

oggettiva. In questo contesto è chiamato a

“caratterizzare” la poesia, tenendo conto che

il suo giudizio sarà sempre approssimativo

perché la poesia è “ineffabile” e il suo compi-

to è quello di spingere il lettore ad immerger-

si nel nucleo del testo.

Il critico - non asservito alle potenti case e-

ditrici - prende in esame preferibilmente i te-

sti che favoriscono il suo campo d’indagine.

È persona che sa leggere la modernità come

compresenza degli stili, che sa cogliere, nella

poesia, la concatenazione significativa di e-

venti e di azioni. Numerosi, preparati, impe-

gnati, i critici lanciano petali in aria, sperando

non ricadano tutti per terra, che ci sia qualcu-

no che li afferri al volo per far tesoro di quel

velluto, di quei colori, di quel sottile profu-

mo. Vorrei consideraste questa espressione

come un omaggio ad un impegno che si iden-

tifica nella capacità di cogliere i momenti

culminanti dell’intuizione poetica e rende al

poeta il suo contenuto umano.

Paola Insola Torino

1° Premio (Sezione F) alla XXV Edizione del Città di Pomezia 2015.

Paola INSOLA è nata a Livorno Ferraris (VC) nel 1949 e vive a Torino. Ha scritto saggi di letteratu-

ra ed arte e svolto attività critica. Dal 1977 ha par-

tecipato ai concorsi letterari. Premio “Città di Brindisi” (1988); “Rotari, Città di Fucecchio”

(1996); “Formica Nera”, Padova (1998); “Cesare

Pavese”, Grinzane Cavour (2000); “Donne, Eros e altre donne” (2003). È stata finalista, nelle diverse

sezioni del premio “Rhegium Julii” di Reggio Ca-

labria. Ha pubblicato: “Il segreto della crisalide” (1988); “Confluenze” (2000); “Il miele della lu-

na” (2007); “Corimbi” (2007); “Lessico d’amore”

(2012); “Elogio alla mimosa” (2014), opere tutte accolte con entusiasmo dalla critica (solo per “E-

logio alla mimosa”, apparso nei Quaderni Il Cro-

co, ricordiamo gli interventi di: Luigi De Rosa, Innocenza Scerrotta Samà, Tito Cauchi, Roberta

Colazingari, Elisabetta Di Iaconi, Paolangela

Draghetti, Filomena Iovinella, Andrea Pugiotto, Aurora De Luca, Laura Pierdicchi, Maria Anto-

nietta Mòsele eccetera).

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 29

IL VIAGGIO DI NOZZE di Elisabetta Di Iaconi

ER rievocare le care figure dei miei in-

comparabili genitori (scomparsi da ol-

tre un decennio), posso ricorrere, come

accade a tutti, a centinaia di foto, a qualche

lettera, a diversi filmati; o posso ripetere, con

alcuni parenti, fatti e discorsi, il familiare les-

sico che impiegavano, accennando a tratti del

loro carattere e della loro personalità.

Però ciò che mi ha sempre incantata ed e-

mozionata è stato il racconto, più volte ripetu-

to, della gioia che provarono il giorno del loro

matrimonio, dell’entusiasmo con cui partiro-

no per il viaggio di nozze, tanto desiderato e

vagheggiato durante il lungo fidanzamento.

Infatti, solo quando mio padre, continuamen-

te imbarcato come furiere sulle navi, ebbe il

trasferimento a Roma al Ministero della Ma-

rina, si poté fissare la data della cerimonia.

Era il 30 ottobre 1939 e il rito religioso si

svolse in una moderna chiesa del quartiere

Appio.

I miei hanno conservato un’interessante do-

cumentazione dell’evento; ciò mi consente di

stabilire un parallelismo con la realtà odierna.

Sulla partecipazione, accanto alla data, era ri-

portato il numero romano (XVII), anno di-

ciassettesimo dell’era fascista, postilla da

scrivere tassativamente su qualunque attestato

cartaceo.

Erano già forti i venti di guerra, anche se

nessuno sospettava in quei giorni l’arrivo

dell’immane tragedia che stava per sconvol-

gere l’Italia e il mondo intero.

Dopo la messa, fu offerto un rinfresco, fe-

steggiamento nuziale più in voga rispetto al

pranzo con centinaia di invitati. La scelta

cadde su un bel locale (oggi diremmo su una

“location”) di piazza del Popolo: il Caffè Ro-

sati, che esiste ancora.

Il cartoncino del conto ci trasporta in un’

epoca lontana anni-luce dalla nostra . Lo ri-

copio: “F.lli Rosati” (pasticceria, confetteria,

liquori, tea room, sale superiori per rinfreschi,

vini esteri e nazionali, gelati). L’indirizzo è lo

stesso di oggi, mentre il numero di telefono

riporta solo cinque cifre. La somma pagata

per ventisette invitati (£ 12 a persona) fu di £

324. Il servizio era a parte: i due camerieri

ebbero il compenso di £ 46,70, per un totale

di: £ 370,70. Che tempi!

Nell’astuccio di velluto, che protegge questi

amati cimeli, spicca il color rosso mattone del

biglietto ferroviario. Eh sì. Il mezzo di tra-

sporto preferito dagli sposi era il treno.

Le tappe, in genere, erano codificate: sareb-

be stato complicato progettare altri viaggi, sia

per motivi economici che pratici. Le automo-

bili, che tanto facilitano gli spostamenti con i

bambini, in quello scorcio di Novecento era-

no poco diffuse.

Il biglietto speciale Roma-Milano, andata e

ritorno, nominativo e firmato dagli sposi, a-

veva una validità di trenta giorni, e costava £

190. Leggo il timbro di Venezia, stazione di

ritorno, soffermando la mia attenzione sulla

data del 5 novembre 1939. Quel fantastico vi-

aggio, scolpito nell’anima dei due protagoni-

sti, non durò neanche una settimana!

Estraggo dalla custodia tre depliants e tro-

vo: 1° Albergo Ristorante “San Marco”, a 5

metri dalla piazza (Buoni d’Albergo Gruppo

“C”) vicino al ponte dei Dai. Dopo una rapida

P

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 30

ricerca su Internet, scopro che esiste ancora.

E del “Monaco Hotel Meublè” (modernissi-

mo, camere con bagno, acqua corrente calda

e fredda in tutte le camere, raggiungibile con i

tram 4, 17, 25, 26, 27, 38) si troverà una trac-

cia? E l’enorme salone del Grande Ristorante

Toscano “Da Emilio” (via Bossi 5, Milano)

avrà sempre una vetrata al centro del soffitto

e il pavimento a losanghe come nella cartoli-

na? Vengo a sapere, sempre via Internet, che

la stessa cartolina è ancora in vendita presso

una cartolibreria antiquaria e ne deduco che il

ristorante non esiste più.

A questa Italia pacifica, a questi luoghi ove

si soffermarono i miei cari, il conflitto mon-

diale avrebbe arrecato lutti e distruzioni.

Ho ritenuto che fosse il caso di portare alla

luce questi ricordi, perché li considero minu-

scoli tasselli, in parte utili a completare il va-

sto mosaico della storia. Inoltre segnano il

percorso di coloro che mi hanno regalato la

vita.

In questa sorta di museo del cuore mi è dato

di seguire la loro immagine in una dimensio-

ne per me misteriosa: quella che ha preceduto

la mia nascita.

Elisabetta Di Iaconi

1° Premio (Sezione D) al Città di Pomezia 2015.

Elisabetta DI IACONI collabora a riviste (“Sila-

rus”, “Pomezia-Notizie”, “Voce Romana”, “Voci dialettali”, “Romanità”). Frutto di appassionati stu-

di sul dialetto romanesco del Seicento è il libro sul

poeta Giovanni Camillo Peresio (editore Rendina). Ha dato alle stampe le sue poesie, raccolte da de-

cenni (“Quel fremito antico...”) e il romanzo per la

gioventù “Un enigma di quartiere”, oltre alla silloge “Er celo s’arischiara” in dialetto romanesco, non-

ché il quaderno letterario “La chiave ignota”.

CASSANDRA di Maria Grazia Ferraris

ICENE è la città dove si maturerà

il mio destino. L’ho sempre saputo.

Sono arrivata, infine.

Giù, presso la porta dei leoni, sono in attesa

che tutto si compia, trasportata e chiusa in

una cesta di salici, così resistente, come pos-

sono esserlo solo i rami raccolti tanto tempo

fa sulle rive dello Scamandro, il mio fiume, il

fiume amico che non cesso di ricordare.

Guardo con occhi socchiusi, in apparenza

estranea a tutto, questa folla di cittadini greci

che mi osservano incuriositi ed ostili, in un

qualche modo paurosi, quasi la mia fama di

veggente mi avesse preceduta anche tra le

masse della popolazione greca. Vedo irrisione

ed odio nei loro occhi, ma forse è solo timore.

Vedo, vedo, rido, non posso smettere di vede-

re… è questo “il dono”, la maledizione, che

ho avuto da Apollo.

Sono ostili, come è il mio destino di sem-

pre, nei rapporti sociali. Sanno di non poter

controllare i miei pensieri ed il mio riso, che

giudicano un insulto superbo, per questo mi

temono.

Clitennestra, la regina altera, dalle bionde

trecce, osserva dall’alto della terrazza del pa-

lazzo di Micene, con occhi immobili e gelidi,

l’arrivo di Agamennone, il marito bestiale

che, tronfio di successi, sta facendo il suo ri-

torno, immemore dei lutti, delle devastazioni

della guerra di Troia.

Pensa, orgoglioso, solo al suo trionfo in pa-

M

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 31

tria. Il suo successo!

Le è accanto il cupo Egisto, fosco nell’ a-

spetto, trepidante, nero, complice consapevo-

le.

Non sa scegliere gli uomini la regina Cli-

tennestra: questo non è meglio del tozzo ani-

malesco e tronfio marito. Tutto tremore ed

inettitudine.

Una folla di sentimenti tempestosi fanno

rissa dentro di me, che nulla lascio trasparire

pur guardando nel mio sguardo immobile.

Superba e determinata la regina. Neppure un

cenno all’angosciato Egisto. Lo sta misuran-

do con disprezzo, con scherno.

È una donna potente Clitennestra, sicura,

imprendibile. Ha ucciso tenerezza e pietà,

dopo la sconvolgente morte di Ifigenia. La

ammiro. In altre occasioni avremmo potuto

essere amiche.

Orgoglioso e impudico, violento e superfi-

ciale come è sempre stato, il re ritornato infi-

ne, si attende certo grandi festeggiamenti.

Uno stolto toro che non sa di andare al macel-

lo.

Micene si erge alta sulla rupe solitaria, gri-

gia di pietre di contro il cielo smaltato, lucido

di sole. Mezzogiorno senza ombre sul pae-

saggio solitario. Febo saettante immobile nel

cielo.

I papaveri rossi a ciocche tra i sassi annun-

ciano l’estate e nascondono con grazia effi-

mera la violenza nascosta che s’annida nella

vita dell’Acropoli.

Clitennestra non ha dimenticato. Lo vedo,

lo capisco dalla sua postura irrigidita, dal suo

sguardo fulminante eppure lontano, nero.

Quanto nero, nel cielo luminoso di Micene!

Ripensa forse alla sua storia, all’uccisione

del suo primo marito, alle nozze forzate e sa-

crileghe, …al sacrificio, senza neppure il co-

raggio della tragica verità, da vile quale è

sempre stato, della più piccola delle sue fi-

glie, la dolce Ifigenia, indotta a seguire il pa-

dre con la falsa promessa di festosi sponsali

con il fortissimo ed ammirato Achille.

Il passato che non vuol morire. Ifigenia.

Una ferita insanabile tormentosa che non po-

trà mai perdonare.

Agamennone è partito soddisfatto… e pur-

troppo è anche ritornato. Arrogante e vile.

Che cosa si attende da lei? Che abbia di-

menticato? Che lo accetti serena ed ubbidien-

te con la nuova concubina muta e nera che ha

portato con sé orgogliosamente come trofeo

di guerra in quella maledetta cesta di salici?

Il sole di mezzogiorno è infuocato, ferisce

come una lama la pelle nuda: Febo Apollo è

più che mai presente ed immobile sulla rocca.

Regale e gelida, Clitennestra prepara l’ ac-

coglienza fingendo festa e sorpresa.

Ha fatto stendere i tappeti di porpora, degni

degli dei: un vero spreco per un re vigliacco.

Il carro regale si è fermato stridendo alla

porta dei leoni, la porta gira sui cardini ed il

carro sale lentamente seguendo le giravolte

del terreno scosceso.

Clitennestra in piedi, immobile, guarda: non

è altro che uno straniero che avanza, pensa,

un nemico che si crede un padrone atteso con

gioia. Avrà il giusto compimento della sua

sorte.

Febo Apollo saetta il meriggio acceso di

Micene la tragica.

Che dono terribile mi ha fatto il dio! Perché

ho voluto a tutti i costi la preveggenza?

Volevo parlare con la mia voce, senza la me-

diazione maschile. Era il massimo per una

donna, a Troia, anche per una figlia di re. Pu-

ra superbia, la mia.

In fondo, lo so, ho voluto il potere, domi-

nare i sentimenti, non essere schiava delle

emozioni, dell’amore, della paura, della tene-

rezza, della pietà… quello che come donna

non mi sarebbe mai stato concesso…Non sa-

pevo, non valutavo, che questo dono è mor-

tale.

Io vedo: vedo dove gli altri, tutti gli altri,

chiudono gli occhi. Solo in questo sta la mia

preveggenza tanto temuta.

Ho visto Troia e tutto quello che in essa ac-

cadeva e mutava senza che gli uomini, ciechi,

ne avessero consapevolezza. Ho visto il padre

Priamo da re diventare tiranno per maschera-

re la sua debolezza, la sua stanchezza, la sua

incapacità di reggere al dolore.

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 32

Ho visto mia madre Ecuba impazzire di do-

lore dopo la morte di Ettore, il suo preferito.

Vedo il limite tra invisibile e visibile e lo

supero. Non so stare dentro di me, non so sot-

tomettermi al palazzo e alle sue leggi. Io ve-

do.

Il mio ruolo era dire no. No, come il mio ul-

timo inutile dire: -Non allargate le mura,

quello non è un cavallo per Atena, è la nostra

tomba!- dissi.

Risero i miei concittadini, vincitori. Che

temevo? Achille non era più, il campo era de-

serto, i Greci lontani sulle loro navi verso la

casa! Inutile ogni scongiuro, ogni invito, ogni

accento.

Pazza: ero solo una pazza. Ed allora male-

dissi il mio dono, quel velenoso dono di A-

pollo.

Sto, nera e silenziosa, accucciata, seduta

sotto l’arco del grande cortile; sono consape-

vole di essere in un palazzo-sepolcro.

Taccio ormai da tempo, scura, orfana e

schiava, inascoltata. È inutile che palesi le

mie premonizioni, lo so: non saranno ascolta-

te. Neppure da questo popolo che mi guarda,

aspettando.

Se dicessi che cosa li aspetta, mi dilanie-

rebbero subito, ora e qui.

Benché schiava ed esiliata, non maledico né

la causa prima, il ratto di Elena, né la mia sor-

te, né il superbo vincitore, né la mia condi-

zione. E non per orgoglio, ma perché so vede-

re: questo è il mio dono che vorrei non aver

avuto.

Forse è migliore la sorte di Andromaca che,

perso Ettore, si è abbandonata al pianto senza

conforto, alla disperazione inerme, come

qualsiasi donna innamorata e vedova, senza

valutare la sorte della schiava. Solo una don-

na debole ed infelice.

Ho dovuto accettare con disgusto l’ amples-

so del re mortale, proprio io che ho rifiutato

quello col dio…Io che ho amato fin nel pro-

fondo Enea, l’uomo forte, buono, generoso,

tenero e clemente, … l’uomo dal destino se-

gnato e che non poteva condividere con me.

Lo sapevo, come sempre.

Se chiudo gli occhi mi torna alla mente

questo terribile viaggio, questa coabitazione

forzata col toro tracotante, lo stupro, le tem-

peste superate, il mare impazzito, le sue invo-

cazioni tremanti perché intercedessi con Net-

tuno, le sbornie, gli amplessi, il vomito in cui

si trascinava… uno schifo che mi sembrava

non poter sopportare.

Come capisco Clitennestra! Che alleata, che

amica, avrebbe potuto essere!

Anche per me la sorte sta per concludersi.

So che non è colpa dei Greci, neppure del

bestiale Achille, né dell’astuto Ulisse: è anco-

ra la punizione del dio che si abbatte inesora-

bile su di me e su quello che mi sta intorno.

Ah, la mia infanzia protetta dentro le mura

di Troia, l’amore di Priamo, il padre che mi

poneva in cima alle sue figlie predilette, alla

pari coi figli maschi, la severità di Ecuba, che

preoccupata intuiva un destino crudele per

me, orgogliosa ed incapace di obbedire! E

Troilo, il fratello più tenero, ucciso dal vo-

glioso Achille, figlio di dea, e il fantasma di

Elena, la donna più bella del mondo, la causa,

si diceva con risentimento e odio, della guer-

ra…mai davvero giunta entro le mura di Tro-

ia, Elena…, che Paride perse nel viaggio, in

una tappa nel lontano Egitto…, un fantasma

che invano cercai di esorcizzare, ristabilendo

la verità, mai creduta, come è stato sempre il

mio destino.

Il dono di vedere: perché ho voluto conqui-

starlo?

Sento l’urlo bestiale del re che si strozza là

nella stanza del bagno purificatore.

La vendetta di Clitennestra si è consumata.

Ora è arrivato il mio turno.

Mi alzo e mi dirigo sicura verso quelle

stanze fatali, verso quella voce strozzata che

muore.

Nessuna emozione scomposta. Tutto deve

compiersi, come inutilmente ben so, come

sempre inascoltata, muta come se non avessi

voce, come se il mio urlo fosse completamen-

te senza suono.

Ah! Non è la vendetta di Clitennestra, or-

gogliosa figlia di re, sorella di Elena, moglie

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 33

offesa, madre disperata! È la vendetta di A-

pollo che saetta dall’alto dell’Acropoli i suoi

raggi luminosi, splendenti come le lame dei

coltelli che penetrano dentro di me.

I papaveri sono diventati sangue nelle mie

stanche pupille. Tutto è sangue.

Il tramonto rosso declina nel nero, come

l’ultima sera a Troia. Le buie ombre della se-

ra mi raggiungono, mi abitano…

Mi accascio finalmente: definitivamente

arresa, vinta, al dio della luce.

Maria Grazia Ferraris Gavirate (VA)

2° Premio (Sezione D) al Città di Pomezia 2015.

Maria Grazia FERRARIS vive a Gavirate (VA), ha insegnato letteratura italiana e storia nelle scuole

medie superiori, si occupa di critica letteraria ed in

particolare studia il contributo della scrittura fem-minile del Novecento. Ha pubblicato articoli di cri-

tica letteraria sulle riviste del territorio varesino e sul web. È collaboratrice del blog letterario Alla

volta di Lèucade (nazariopardini.blogspot.it) Ha

pubblicato: “”Di Terra e di acque, Aprile di fiori”, poesie (2013), “Lettere mai spedite”, racconti

(2009), “Occhi di donne” racconti (2012), “G. Ro-

dari, un fantastico uomo di lago” (2010). È finalista

in concorsi letterari e poetici. Alcune delle sue poe-

sie e dei suoi racconti sono stati pubblicati in volu-

mi antologici.

LA MIA MAMELLA di Maria Coreno

PESSO andavo da Piedi di Serra a Co-

reno per trovare mamella (nonna) Ma-

ria, di soprannome Ponteleone, la quale

abitava agli Ore.

Trascorrevo con lei anche delle lunghe va-

canze poiché mi piaceva tanto dividere il

tempo con lei e sentivo di volerle molto bene:

mi dava l'affetto e le carezze che in casa mia

mancavano. Forse le nonne ed i nonni esisto-

no proprio per questo motivo, per rimediare

alle dimenticanze dei genitori! In questo sen-

so mamella mi appariva una "fata magica."

Di ricordi ne ho tanti; ma adesso mi preme

raccontare un particolare piccolo evento.

Un giorno, io e mamella Maria, eravamo

nei pressi del pozzo a lavare dei panni spor-

chi.

Veramente, io combinavo poco essendo

piccola, ma pretendevo di essere utile a qual-

cosa. Ad un determinato momento arriva una

donna sconsolata, con le lagrime negli occhi e

con un secchio vuoto. Mia nonna allora subi-

to le chiese: "Cosa ti è successo?" E la donna

(della quale non ricordo il nome e nemmeno

il soprannome) rispose: "Comare Maria, i

pozzi sono tutti chiusi a chiave! Potete darmi

dell'acqua per bere e per cucinare? Fatelo per

l'anima dei morti!"

Al che nonna replicò : "Hanno chiuso i

pozzi?"

La donna: "È la verità, comare Maria! Di-

cono che l'acqua è poca, non ha piovuto da

tanto tempo, come tu sai, e quindi l'acqua la

devono risparmiare per loro stessi!"

Non dimentico mai l'espressione di mamel-

la turbata vistosamente, nell'apprendere la

brutta notizia! Quasi non voleva credere una

cosa del genere...

Intanto, calmandosi disse alla comare (co-

mare per modo di dire!) così: "Il mio pozzo

resterà aperto fino all'ultima goccia d'acqua!

E se resterò senza, farò come stanno ora fa-

cendo gli altri i quali non hanno l'acqua... Io

ho fede, Dio è grande e sicuramente provve-

derà, vedrai comare!"

La donna ancora piangeva, ma stavolta le

sue erano lagrime di consolazione e non più

di disperazione. E così se ne andò via tutta

contenta col secchio pieno d'acqua fresca...

Adesso poteva accudire la sua famiglia, cu-

cinare e lavare i piatti per almeno un altro

giorno! E mentre si allontanava dal pozzo la

comare mormorava con voce gentile: "Che

Dio ti benedica comare Maria; che Dio ti be-

nedica!"

Io avevo appena cinque anni allora, ma

senza meno capivo che nonna aveva fatto

un'opera buona e mi sentivo felice di avere

una nonna così brava, così generosa. Abbrac-

ciai, con tutte le mie forze, le sue gambe e

guardandola dal basso in alto negli occhi le

dissi: "Mamè, io quando mi faccio grande

voglio diventare come te!"

S

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 34

Mi sollevò alla sua altezza, mi fece fare un

giro attorno a se stessa e poi ci lasciammo

andare, contente, in una grande risata! Che

momento magico!

Melbourne, gennaio 2011.

Maria Coreno Selezionato (Sezione D) al Città di Pomezia 2015, ma, poi, in seconda lettura, escluso, perché s’è sco-

perto che lo stesso brano ha partecipato all’edizione

del 2012 e pubblicato sul numero di agosto di P. N. di quello stesso anno.

MARIA CORENO è nata a Coreno Ausonio, Fro-

sinone, il 2 giugno 1941. Dal 1956 si trova in Au-

stralia. E' madre di 4 figli e nonna di 6 nipoti. Vive

a Pascoe Vale, Melbourne. Ama cantare, ballare,

recitare e scrivere. Fa parte del Gruppo Folk Sicilia Bella e della compagnia il PICCOLO TEATRO DI

MELBOURNE. L'anno scorso al concorso

A.L.I.A.S. nella Sezione Narrativa, ha vinto il Pre-mio Speciale Moonee Valley City Council. Ringra-

zia l'A.L.I.A.S. per averle dato l'opportunità di pro-

vare, di allungare i primi passi nel viale misterioso della poesia. Fa parte del coro A.L.I.A.S. e non

manca mai agli incontri in sede.

IN CERCA DI PACE

Fu opera della solitudine

se ho creduto di sognare,

distrugge ogni cosa cara

la voce del mio silenzio.

È ormai un lontano ricordo

l’amore che nasce in famiglia,

immaturi sono nati i genitori

rinchiusi in quel mondo di fiabe,

sono piccoli eterni bambini

i figli di questi signori,

ma che dire sul contesto amicizia

dove esiste soltanto gelosia,

creata dalla perfida cattiveria

a questa triste realtà,

anche il gallo non canta al mattino,

così siamo soli in cerca di pace.

Abbiamo esasperato la natura,

violata e calpestata

e da noi tutti contaminata,

poi le stagioni quasi cancellate,

trema la terra con tanta rabbia,

spezza alberi e distrugge monti

accartocciando ogni cosa al suo passare,

al fine di arrivare al nostro buon senso

per dare un nuovo volto a questo mondo,

fatto d’amore e grande rispetto,

così da unire tutti noi

a una sincera eterna fratellanza.

Maria Turiano Aprile Melbourne – Victoria - Australia

Selezionata (Sezione B) al Città di Pomezia 2015. Maria Turiano Aprile, nata a Francofonte, Siracusa,

il 27 – 11 – 1947. Titolo di studio: Primo Liceo

Classico. Lavoro: Attività propria nel campo dell’abbigliamento al 148 Union RD. Ascot Vale,

Melbourne. Coniugata con un figlio e due nipotini.

Per quattro anni ha partecipato al concorso per poe-ti di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, sempre

classificata fra le sei finaliste. Otto anni fa, al suo

primo concorso A.L.I.A.S. si è guadagnata il Pre-mio Speciale del Comune di Moonee Valley. Sette

anni fa, la Menzione d’Onore. Sei anni fa, la Me-

daglia del CRASES di Palermo. Cinque anni fa, ha vinto il Premio Speciale Medaglia d’Argento del

Papa. Quattro anni fa, tre anni fa, due anni fa e l’

anno scorso Menzione d’Onore poesia e narrativa. Fa parte del Coro A.L.I.A.S. È una grande affezio-

nata sostenitrice dell’A.L.I.A.S. e non manca mai

agli incontri in sede.

LAMENTO PER LA MORTE DI GINA

Mamma? È là, che prepara un po’ di cena

Pascoli

Porque te has muerto para siempre

Lorca

Scomparso già nel teschio

Ungaretti

O immaginata a lungo come un mito

Saba

E di quell’altra volta mi ricordo

Sbarbaro

Ora che stai distesa col bel viso cereo,

che scompare nel teschio,

non ti potrò vedere, né parlare

mai più,

perché sei morta per sempre.

Per me più non c’è la tua casa,

con l’albero piantato dal nonno nel giardino,

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 35

dove potevo arrivare senza preavviso, e a-

vresti

riso di contentezza nel vedermi.

Dove studiavo, dove

scrivevo, sognavo;

dove mi rifugiavo da malato.

Dove mi avresti chiesto le ultime novità,

preparando, in cucina, un po’ di cena,

e avresti rievocato i vecchi tempi.

Ai vecchi tempi ti scrivevo lettere,

come se fossi un’amica lontana,

come se fossi la mia fidanzata,

come se fossi la mia madre buona.

Volevi conversare fino a tardi,

volevi sapere tutto dei miei amori,

volevi raccontare i tuoi problemi

(tua suocera, la madre di lei in casa),

volevi che io ammirassi il tuo benessere

di donna ricca, moglie

del medico condotto del paese.

Però vivevi come una reclusa nella grande

villa,

in un paese che non era il tuo

e ora vivi sotto terra, sola.

Fabio Dainotti Cava de’ Tirreni (SA)

1° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2015. Fabio DAINOTTI vive a Cava de’ Tirreni (Sa),

dove ha insegnato, facendo parte del Comitato

culturale e del Comitato per le onorificenze del Comune. Presidente onorario della Lectura Dantis

Metelliana, che ha diretto a lungo, ha tenuto lettu-

re di canti del “Paradiso”. Condirige l’annuario tematico di poesia e teoria “Il pensiero poetante”.

Sue poesie sono state ospitate in antologie, come

“Il verso all’infinito”, Marsilio Editore, 1999 e “Poesie d’amore”, Demetra, 2000; e su riviste di

settore come “Gradiva”. Ha pubblicato presso

Bulzoni il vol. “Gli ultimi canti del Purgatorio”. Di prossima pubblicazione l’ “Antiparadiso”. Ha

a suo attivo alcuni libri di poesia, tra cui “L’ A-

raldo nello specchio”, prefazione di Francesco D’ Episcopo, Avagliano, 1996; “Sera”, con un dise-

gno di Salvatore Carbone, Pulcinoelefante, 1997.

Articoli di carattere culturale sono apparsi su quo-tidiani come “Cronache del Mezzogiorno” e su ri-

viste, come “Misure critiche” e “Pomezia- Noti-

zie”.

ARRUFFATI PENSIERI

Questo andare e tornare

sempre uguale

nell’ inutile vacuità

di un giorno eterno.

Incerti passi

marcano incessanti

lo stesso cammino.

Fiumi di parole sconnesse

ripetute all’ infinito

senza trovare una conclusione.

Spento e morto il sorriso,

niente dell’ antica persona,

solo scheletri di ombre

si aggirano nell’ aria.

E tu assisti impotente

senza più forza

allo sgretolamento

della sua mente.

Anna Maria Bonomi Roma

Poesia meritevole di premio (Sezione B) al Città di

Pomezia 2015, ma, in seconda lettura, esclusa, per-

ché, per regolamento, l’Autrice non avrebbe potuto

partecipare alla stessa sezione, avendola già vinta

nel 2014.

Anna Maria BONOMI è nata a Roma, dove risiede. Ha vissuto anche ad Artena e a Pisa. Laureata in

Pedagogia e specializzata come Consigliere peda-

gogico. Ha insegnato fino al 2003. Si è interessata di poesia in vari periodi della sua vita. Negli ultimi

anni ha partecipato agli incontri dei “Poeti al Caf-

fè”, Centro letterario romano. Ha pubblicato alcuni saggi critici e poesie su riviste, come Pomezia-

Notizie. Suoi elaborati figurano nelle belle antolo-

gie curate annualmente da “Poeti al Caffè”.

SERENA SORGE L’ALBA

(8 marzo 2015)

Otto marzo: festa della donna.

Ma leggiamo sul viso delle donne

un eterno perché, senza risposta.

Nuda e terrorizzata, è timorosa

oggetto di sacrificio o sacerdotessa

urla accerchiata da uccelli neri

come avvoltoi, d’un destino segnato.

Nebbia che ti toglie il respiro, cielo

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 36

scuro, rischiarato appena dalla luna.

Distesa su un letto di rocce fra detriti

travolti dal fiume, un rifiuto come altri

sguardo stralunato, vittima o

complice di un serpente lascivo.

Non profuma di rosa, non di viola adorna

ma la mantella ne porta il colore

su rocce aguzze e inviolata e fredda neve

una aurora metafisica l’accoglie.

Quale festa celebriamo, quali donne

portano primavera o un ramo di mimosa.

Questi non sono tempi di poesia

ma questo è tempo, è tempo che tu veda

l’alba sorgere serena perché tu lo sei.

Tito Cauchi Lavinio, RM

4° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.

Tito CAUCHI, nato l’ 11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma).

Ha svolto varie attività professionali ed è stato do-

cente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubbli-cazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchi-

glia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003),

“Isola di cielo” (2005), “Calendario dei poeti” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobale-

no” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima”

(2012), Palcoscenico” (2014). Monografia “Miche-le Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (2014).

Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone”

(2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Ange-lone” (2010). Ha inoltre curato la pubblicazione di

alcune opere di altri autori; ha partecipato a presen-

tazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’ aperto. E’ incluso in alcune antologie poetiche, in

antologie critiche, in volumi di “Storia della lettera-

tura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e

2013) ed in altri ancora; collabora con molte riviste

e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ot-tenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero

ed è stato insignito del titolo IWA (International

Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia

Edita Leandro Polverini, giungo alla quarta edizio-

ne (2014).

FANCIULLINO SCHERZOSO …

Fanciullino scherzoso che nel sogno

nel salire le scale verso casa,

impertinente un poco, mi chiedesti,

sorridendo curioso, di mia vita

e degli amori miei …

“Ti parlerò – risposi – giunti in cima

di questa scala” (e intanto

ripercorrendone il corso mi chiedevo

cosa avrei raccontato

e da dove

avrei cominciato…

sempre c’è stato

un amore nella mia vita).

Ma mi sono svegliata.

Forse c’è ancora

molto da vivere e da sognare.

Mariagina Bonciani Milano

Segnalazione (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.

Mariagina BONCIANI vive a Milano dove è nata nell’aprile 1934. Diplomata in Ragioneria nel 1953,

ha sempre prediletto le materie letterarie e le lingue.

Conoscendo il francese e lo spagnolo ed avendo perfezionato soprattutto lo studio dell’ inglese, ha

lavorato, dal 1953 al 1989, come segretaria di dire-

zione, capo ufficio e corrispondente presso tre di-verse ditte nel settore import-export. Ama la lettura,

i viaggi e la musica classica. In pensione dal 1989,

per alcuni anni si è dedicata alla madre inferma, smettendo di viaggiare, ma studiando pianoforte,

russo e greco antico. Non si è mai sposata. Da qual-

che anno ha iniziato a presentare nei concorsi lette-rari le sue poesie, ottenendo sempre riconoscimenti

e premiazioni. Sue poesie sono state pubblicate in

antologie e riviste. Nel 2010 ha pubblicato nei qua-derni “Il Croco” della rivista “Pomezia-Notizie” la

silloge “Campane fiorentine”, accolta con entusia-

smo dalla critica e nel 2011, sempre per “Il Croco”, la silloge “Canti per una mamma”. Nel 2012 è usci-

ta presso le Edizioni Helicon la sua raccolta “Poe-

sie”. Sue poesie vengono regolarmente pubblicate nella suddetta Rivista e su “Silarus”. Vince il primo

premio al concorso “Città di Avellino - Trofeo ver-

so il futuro” 2013 con la silloge “Poesia e musica”. È presente nel volume “Poeti contemporanei -

Forme e tendenze letterarie del XXI Secolo”

(2014), a cura di Giuseppe e Angelo Manitta.

CLOCHARD

Sono un’immagine di luce,

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 37

una goccia d’acqua

un granello di sabbia

un cole che risplende

per poi svanire.

Sono un fragile verso maturato

con le ore e le proprie emozioni,

alla sera risplendo fra le stelle

per poi mescolarmi con polvere

e lacrime di rugiada.

Sono un bambino che sogna

ancora il paradiso perfetto,

una matita che tratteggia sagome d’ombra

una penna pronta a dar voce al silenzio.

Sono il sarto del proprio vestito,

mi confondo tra i passi della folla,

credo ancora nei colori del domani

nel caldo progredire dei pensieri.

Sono un’entità avvolta nel mistero

materia di un attuale presente,

domani sarò solo un’illusione

il mio nome non troverà pace

perché niente è per sempre.

Nicola Chinaglia Verona

3° Premio ex aequo (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.

Ci manca il curriculum di Nicola CHINAGLIA, ma sappiamo che egli scrive non solo in lingua, ma an-

che in dialetto e che ha partecipato a numerosi

premi letterari, piazzandosi sempre a posti di onore.

CANTO DEL CANARINO

Nella stranezza del gelo

la Primavera scompone Dio

in tessere per il tuo mosaico.

Si specchiano nei sogni le preghiere

come ciottoli di fiume

per gli anni che giacciono.

Ecco un richiamo fedele

gorgheggiare a tratti intenso

nella mia prima indifferenza

che vidi nascere con stupore

dai mutamenti del corpo

s’innalza

si proietta fuori

nel silenzio

cullando spazi ridotti.

Claudio Carbone Formia (Lt)

3° Premio ex aequo (Sezione B) al Città di Pomezia

2015. Claudio CARBONE è nato nel 1958 a Gaeta (Lati-

na) e vive a Formia. Poeta e pittore ha pubblicato le

seguenti raccolte di poesie: “O Laureat” (1988), “Al posto delle rose” (2013). Insegnante al Liceo

Scientifico “E. Fermi” di Gaeta ha sempre avuto un

forte interesse per la letteratura e la poesia in parti-colare. Diversi scrittori e poeti hanno mostrato inte-

resse per la sua opera.

“...E SE NON PIANGI...”

(Dante - Inferno - canto 33)

Oh, uomo bianco

nell’Africa Nera!

Aridi seni, straccetti appesi

su manichini d’ossa e pelle nera,

fragili ombre

di pietose madri.

Immensi occhi tristi

e visi spenti

in crani enormi

poco più che teschi.

Rastrelli di costole

su corpi miseri

con arti di ragno

e ventri gonfi

di vecchia fame.

Polvere e mosche

ed avvoltoi pazienti sull’acacia!

Oh, uomo bianco!

“...e se non piangi, di che pianger suoli?”

Angelo Mario Cianfrone Campbelltown, Australia

3° Premio ex aequo (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.

Angelo Mario CIANFRONE, nato nel 1932 in Val di Sangro (Chieti), è emigrato a Torino nel 1952 e

in Australia nel 2012. Medaglia d’Oro come dona-

tore di sangue AVIS nel 1995, ha un totale di 27 mesi (in 4 viaggi) di volontariato in India. Si diletta

a scrivere racconti e poesie dal 2010. Ha vinto al-

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 38

cuni premi e ha pubblicato il libro “I racconti del

nonno”.

“MAMMA, SE POSSO TORNO”

(La Grande Guerra sulle Dolomiti)

Nel fienile della vecchia casa, tanti anni fa,

rovistando tra arcolai e rastrelli

coperti dalle ragnatele, trovai un elmo:

un rugginoso elmo della Grande Guerra,

sanguinosamente combattuta fra questi mon-

ti.

Delle trincee delle Tofane

avevo sentito i vecchi più volte raccontare,

ma ciò che mi colpì, di quell’elmo,

fu una scritta, rigata sopra con un coltello:

“Mamma, se posso torno”.

Era la promessa di un soldato,

qualcuno di quella casa, forse già morto.

Compresi l’infinita nostalgia di quei ragazzi

relegati lassù, nel sangue e nella neve.

Ragazzi che, quando taceva il fuoco,

guardavano giù verso la valle.

Cercavano un tetto, il tetto di casa,

dove la madre li aspettava.

“Mamma, se posso torno”.

Quattro parole graffiate sopra un elmo,

come una ferita.

Franco Casadei Cesena (FC)

2° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2015.

Franco CASADEI, medico, vive e lavora a Cesena.

Ha pubblicato le raccolte di liriche: “I giorni ruvidi

vetri” (2003), “Se non si muore” (2008), “Il bianco

delle vele” (2012). Primo classificato nei premi di poesia: “Ungaretti” (2005), “C. Levi” (2005),

“Giovane Holden” (2008), “Città di Venezia”

(2013), “Calvino” (2013), “C. Pavese” (2013), “G. Gozzano” (di Agliè, 2013), “Città del Tricolore”

(2014). Fra i primi classificati nei premi: “Neruda”

(2006), “D’Annunzio” (2006), “Baudelaire” (2008), “Foscolo” (2009), “D. M. Turoldo” (2011),

“J. Prevert” (2011), “Manzoni” (3011), “Kafla”

(2012), “Ossi di Seppia” (2012), Premio nazionale di “Filosofia”, sez. paradossi (2012), “G. Pascoli”

(di Barga, 2014), “Antonia Pozzi” (2014). Sue poe-

sie sono tradotte in spagnolo e in lingua romena.

Fra gli ideatori de “La poesia nelle case”, proposta

di modalità di divulgazione della poesia in vari luo-ghi della città.

PENSIERI NEGLI SPECCHI

Scivolando per le vie affannanti della città,

rincorsa da molteplici pensieri logoranti,

sono attratta da uno striscione incollato sul

muro

su cui c’è scritto “Ritrova te stesso”.

È un monito che mi entra nell’animo,

è una frase che incute riflessione.

Volti informi dentro specchi infiniti

cercano, scrutano l’appiglio a cui aggrapparsi.

Mattina dopo mattina, il consiglio è sempre là…

Ritrova te stesso.

E allor quando si crede di rotolare

nel baratro della vita,

ed il manifesto è ormai logoro per la pioggia

e per le mani di qualch’uno che non gradisce,

una voce, la voce di un amico poeta,

continua a ripetere di non arrendersi.

Sembra di essere in trincea.

Il freddo nelle ossa

preannuncia l’arrivo di una notte tremenda.

I cecchini sono là e la notte umida è rischiarata

solo dal lumino delle poche cicche

che ci fanno compagnia.

Domani forse molti compagni

cadranno come mosche ai miei piedi,

domani forse non rivedrò mia madre.

Una lettera è tutto ciò che mi distoglie

da questa notte buia.

Tra poco sarà l’alba,

il sibilo della palla di cannone

tornerà a fischiare sulle nostre teste,

amore mio bello spero di tornare,

rigenerata e lontana da questa trincea che è

la vita.

Emilia Bisesti Pomezia (RM)

Poesia meritevole di premio (Sezione B) Al Città di

Pomezia 2015, ma esclusa in seconda lettura perché l’Autrice ha già vinto la stessa Sezione nel 2009.

Emilia BISESTI è nata a Roma il 23 Febbraio

1967. Coniugata è mamma di due ragazzi. Oramai da 25 anni partecipa attivamente alla vita dell’ As-

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 39

sociazione Coloni di Pomezia, che si propone di

diffondere la storia e la cultura del territorio. Pre-

senta le tradizionali manifestazioni storico culturali dei Coloni e cura la declamazione delle liriche dei

poeti della Spiga D’Oro, settore artistico della stes-

sa associazione, di cui è coordinatrice dal 1996. Scrive poesie tentando di liberare le più semplici e

segrete emozioni racchiuse nell’intimo; nel prossi-

mo futuro si propone di radunare le poesie “ più si-gnificative ” in una raccolta, la sua prima antologia.

Recentemente ha promosso la mostra d’arte “Ani-

me oltre l’Autismo” , rassegna artistica di proprie poesie e disegni realizzati dal figlio Davide.

ALLA CASTA,

BELLISSIMA MELISENDA

Le ali spiegate sul mare battendo veloci

dal cielo d’oriente i paesi la fama toccò

d’occidente,

il nome e le lodi di Melisenda contessa di

Tripoli

cantando, e nella terra di Francia infin ri-

suonò.

Il cuore di Jaufrè Rudel Eros mirò e d’amore

lo incendiò.

Vuole conoscere Rudello la donna e parte

immantinente.

“Da Cipro avanzando

volteggia la nave latina.

A poppa di febbre anelante

sta il prence di Blaia

e cerca col guardo natante

di Tripoli in alto il castello”.

Nel placido porto arrivati,

“velato di funebre benda

e con sé lo scudo di Blaia”,

così alla contessa Bernardo scudiero:

<<Io vengo messaggio d’amore

io vengo messaggio di morte>>.

Pensosa la donna lo guarda, poi s’alza,

“d’un velo nero s’adombra la faccia” e

<<Andiamo, ov’è che Giaufredo si muore?>>.

Giaceva sotto un bel padiglione Giaufredo

al cospetto del mare

e una dolce canzone cantava.

L’ultima nota ascoltando,

pietosa la donna sostò sull’entrata,

poi di scatto il velo gittando

<<Giaufredo>> ella disse << son qui>>.

“Voltossi, levossi sul petto il morente”,

e gli occhi sull’amato volto fissando,

così mormorò:

<<Contessa, che è mai la vita?

E’ l’ombra d’un sogno fuggente,

il vero immortale è l’amore…

Ed or Melisenda, accomando

a un bacio lo spirto che muor>>.

“La donna sul pallido amante

chinossi recandolo al seno,

tre volte la bocca tremante

col baciò d’amore baciò,

e il sole dal cielo sereno

calando ridente sull’onda

l’effusa di lei chioma bionda

sul morto poeta irraggiò”.

Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno (Is)

Da Donne, 5° Premio (Sezione A) al Città di Po-

mezia 2015.

Antonia Izzi Rufo, definita “ La Poetessa Pentra “ da Mario Di Nezza , “La Ninfa delle Mainarde “ da

Aldo Cervo e “La Saffo italiana” da Luciano Nan-

ni, è un’insegnante in pensione laureata in Pedago-

gia. È nata a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al

Volturno, frazione di Rocchetta (IS). Ha pubblica-

to, finora, oltre sessanta opere (Narrativa, Poesia, Saggistica e altro). Ha ricevuto numerosi ricono-

scimenti letterari. Collabora a note Riviste Cultura-

li. Affermati critici e personalità della cultura na-zionale e internazionale hanno scritto di lei.

COME LA FENICE

Oggi mi afferra la speranza

e cerco di godermi questa stanza,

tanti libri fan bella mostra

e il cuore balla in questa giostra.

La giostra di poeti, scrittori e pittori,

la giostra dell’arte e dei cantori,

la gioia ci prende per mano

e tutti felici in coro cantiamo.

Come la Fenice dalla cenere risorgerò,

mi passeranno gli affanni

e felice in giro me ne andrò,

Osanna al nostro Signore canterò.

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 40

L’A.L.I.A.S. la mia dolce creatura,

sempre bella e grande sarà,

mi riempie il cuore di felicità,

con tutti gli amici di gioia si canterà.

Son triste, ingoio la mia preoccupazione,

son tutta piena di dolori,

non capisco niente,

mi sento sola tra tanta gente.

Mi asciugo gli occhi che mi fanno male,

piangono da soli senza ragione,

scende su di me la disperazione,

ma il mio cuore è stracolmo d’amore!

L’amore per la poesia,

per chi la scrive

e con me corre per tutte le vie!

Giovanna Li Volti Guzzardi Australia, 16 – 9 – 2014

Da Da Melbourne con amore, 5° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2015.

Giovanna LI VOLTI GUZZARDI è nata il 14

febbraio 1943 a Vizzini CT. Nel 1964, insieme al

marito pensò di visitare l’ Australia come secondo

viaggio di nozze e vi rimasero, affascinati da questa

grandiosa isola, che ha alimentato la sua grande passione per lo scrivere. Ha pubblicato i libri di po-

esie: “Il mio mondo” in Italia nel 1983; “Isola az-

zurra” in Australia nel 1990; “VOLERÒ” maggio 2002 – Editrice A.L.I.A. S. Melbourne; “Le mie

due Patrie” (Il Croco/ Pomezia-Notizie, 2012). Nel

2007 “IL GIARDINO DEL CUORE”, Milano. Nel maggio 1992 fonda l’ ACCADEMIA LETTERA-

RIA ITALO AUSTRALIANA SCRITTORI –

“A.L.I.A.S.” Giovanna ha avuto tanti riconosci-menti, tra i più importanti: nel 2003, Medaglia del

Centenario della Federazione Australiana assegnata

dalla Regina Elisabetta II, con gli auguri del Primo Ministro e del Governatore d’ Australia. 2004, invi-

tata in Italia (una settimana a Palermo) per parteci-

pare al Work Shop di Partenariato indetto dal Mini-stero degli Esteri, Roma. Maggio 2005, giorno della

Festa della Repubblica Italiana in Melbourne, il

Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, e controfirmato dal Presidente del Consi-

glio Silvio Berlusconi, le assegna l’alta Onorificen-

za di Cavaliere della Repubblica Italiana OMRI per aver diffuso la lingua italiana in Australia, Italia e

nel mondo, tramite il Concorso Letterario Interna-

zionale A.L.I.A. S. e per aver insegnato la lingua i-

taliana con amore e passione per 25 anni. Sempre

nel 2005 a Palermo le viene consegnato dalla RE-

GIONE SICILIANA l’ importante riconoscimento: SICILIANI NEL MONDO AMBASCIATORI DI

CULTURA, e invitata a ritirarlo di persona con

grandi festeggiamenti. Dicembre 2006 dagli USA: the Board of Directors, Governing Board of Editors

and Publications of the Board American Biograph-

ical Institute do hereby recognize that Giovanna Li Volti Guzzardi Professional Women’s Advisory

Board. Maggio 2007, riconoscimento dal Primo

Ministro d’Australia the Hon. John Howard MP. Settembre 2007, premio “Carretto Siciliano 2007”,

definito l’ Oscar della Sicilianità. Maggio 2008,

The American Biographical Institute, does hereby recognize that Giovanna Li Volti Guzzardi IN-

TERNATIONAL WOMEN’S REVIEW BOARD,

FOUNDING MEMBER. 2008 International Writ-ers and Artists Association, Pres. Teresinka Pereira:

Diploma to certify Giovanna Li Volti Guzzardi is

recognized as THE BEST DAME OF POETS OF AUSTRALIA. 27 Maggio 2009, invitata in Italia

dal CRASES: Centro Regionale Attività Sociocul-turali all’Estero ed in Sicilia. Presidente Gaetano

Beltempo e Vice Presidente Ezio Pagano, in occa-

sione del 40mo Anniversario del CRASES e asse-gnato l’importante riconoscimento, delegata del

CRASES. Ha insegnato italiano ai bambini di ogni

nazionalità, come volontaria per 25 anni. Ma la sua gioia più grande è stare in mezzo a poeti e scrittori,

per questo è riuscita a riunirne tanti, italiani e da

ogni parte del mondo, creando un punto d’incontro nell’Antologia A.L.I.A.S.

VENTO DI PRIMAVERA

Quante volte ho cercato il sole

per riscaldare il mio volto

e la mia anima,

quante volte ho sognato il mio mare

e la vecchia casa natìa

e poi nel buio senza parlare

tenevo i pensieri stretti al cuore,

quante volte mi è venuto il desiderio

di stringerti fra le braccia

lungo il viale sotto gli archi nevosi

dei salici, di quel bosco incantato

che tu amavi e cantavamo

il ritornello di una canzone in voga

da te amata, mamma!

Tu hai amato la vita con gioia

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 41

come i fiori amano la luce del giorno,

amavi l’estate come la terra

ama il calore del sole.

Volevo invecchiare io

per dare a te la giovinezza mia,

ti regalerei tutta l’allegria del cuore

per rivederti sorridere e furtivamente

accarezzo questi pensieri,

come accarezzo in una foto il tuo volto.

Tu sei stata il bene,

la più bella cosa che la vita sa regalare.

Anna Trombelli Acquaro Altona North, Australia

Da Emozioni sparse al vento, 4° Premio (Sezione

A) al Città di Pomezia 2015. Anna TROMBELLI ACQUARO, nata a Bianco -

Reggio Calabria. Emigrò in Australia nel lontano

1958. È molto appassionata a scrivere poesie e rac-conti, ha partecipato a parecchi concorsi letterari ed

ha ricevuto riconoscimenti e premi anche interna-zionali. È stata scoperta dall’A.L.I.A.S. dieci anni

fa, da allora scrive con tanta gioia e partecipa ai

concorsi sia dell’A.L.I.A.S. che internazionali. È una cara collaboratrice e sostenitrice dell’

A.L.I.A.S. Ha pubblicato un libro di poesie nel

1999 con l’A.L.I.A.S. Editrice “Le Mie Poesie”.

Nel 2002 ha pubblicato in Italia un libro di favole

in italiano ed in inglese dal titolo “IL LAGO IN-

CANTATO” ottenendo un lusinghiero successo. Nel 2005 “UN ALITO D’AMORE” poesie, con

A.L.I.A.S. Editrice. Partecipando al concorso

A.L.I.A.S. ha vinto il premio speciale Medaglia d’Argento del Papa Giovanni Paolo II per due volte

e altri primi premi. Nel 2006 ha vinto il Secondo

Premio. Nel 2007 Terzo Premio. nel 2008 Menzio-ne d’Onore. L’anno scorso Premio Speciale Moo-

nee Valley City Council. Nel 2010 Menzione d’

Onore per poesia e narrativa. Nel 2011, Premio Speciale del CRASES – Palermo, per la narrativa e

Menzione d’Onore per la poesia. Nel 2012, Men-

zione d’Onore Poesia, Terzo Premio Narrativa. Nel 2013 Terzo Premio poesia, Secondo Premio Narra-

tiva.

SONO

Mi sono amata per un po’

ammirata tanto a volte

mi sono odiata fino alle stelle

credendo che con loro

sarei rinata

mi sono compatita e ferita

perpetrando nel pensare

che illusione fosse verità

ho gettato le basi per la solitudine

convogliando la mente in un tunnel

lasciando ogni strada

poi di ritorno per un istante

di rientro su quella via

un volto tra i volti mi complimenta

e di quei complimenti mi faccio lustro

elogio degli elogi

in mezzo ad una via

specchio di chi sono

aspettando il sono

che mi manca

da tutta una vita

sentendo che il tempo

non mi cambia

non mitiga

non stravolge.

Filomena Iovinella Torino

Da Odi impetuose, 2° Premio (Sezione A) al Città

di Pomezia 2015. Nata a Frattaminore, in provincia di Napoli, Filo-

mena IOVINELLA vive a Torino. Scrive solo da

pochi anni e l’appassionano i testi di filosofia. Ha pubblicato tre racconti: nel 2012 “Traccia di vita”,

nel 2013 “Il ritorno di Stefano”, nel 2013/2014 “L’

eros e la strada”. Segue sempre il suo blog dal titolo “Gli indistinti confini”. Scrive anche poesie, una

delle quali è stata pubblicata in un volume delle E-

dizioni Aletti. Nel 2013, ha vinto la sezione fiaba al Premio Internazionale Città di Pomezia.

CRONACA

L’azzurrità era lì

nella quiete silente

allo zenit del sole

Frinire di cicale

tra le stoppie

Fuoco che brucia

Nella luce radiante

cala a un tratto l’ombra

Nel blu, impalpabile il mistero

incastonato nella tela del ragno

Voci e, all’improvviso,

due braccia e una morsa

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 42

atroce, innaturale

Nemmeno l’incubo il più oscuro

può immaginarne il compimento

La fiducia violata dall’inganno

Vinta l’antica pietà

per l’innocente inerme

Si spegne la luce d’una estate

l’ultima per quell’esile fiore

L’omertà tribale occulta il lutto

nel precipitare improvviso dell’ombra

Per queste ali d’angelo recise

non basterebbe il mare

Solo pietà rimane

alle sue sponde

Anna Vincitorio Firenze, ottobre 2010

Da Bambini, 2° Premio (Sezione A) al Città di Po-

mezia 2015. Anna VINCITORIO è nata a Napoli, ma è vissuta

quasi sempre a Firenze. Studi classici, laurea in

Giurisprudenza. Ha insegnato materie giuridiche. Dal 1974 si occupa di poesia, critica, letteratura,

collaborando a prestigiose riviste letterarie. Tra i

suoi volumi di poesia: “Nebbie e chiarori” (1982); “Trama verde sull’aria” (1986); “Il canto fermo

della fine” (1988); “L’esilio delle tartarughe”

(1991); “I girasoli” (1992); “Alchimie” (1993); “Dissolvenze/flots” (1995); “L’agguato sommerso”

(1997); “Le nozze di Cana” (1999); “L’ultima iso-

la” (2000); “Filastrocche per l’angelo” (2001, ver-sione francese 2010); “La notte del pane” (2004);

“Sognando Estoril” (2007, versione spagnola

2009); “Il richiamo dell’acqua” (2009); “Sussurri” (2013). Prosa: i racconti “San Saba”, dall’inedito

“Il limo di Eva” (1990); “L’Adelina” (1994); “Let-

tera ad un amico” (1996); “Ermanno” (1996) e poi “Il limo di Eva” (2010); “Per vivere ancora”

(2012). Numerosi saggi critici e traduzioni.

“ Pagine di alberi “.

Bisogna recarsi

là dove essi si esprimono

tra mille specie di uccelli

e tante virgole che sanno

disporre tra una stagione

e un anno che vede crescere

le loro pagine. Differenziati

fogli con la scrittura dai

tanti rotondi, non indicano

la vetustà degli alberi, non è

una simbologia, scrivono

così da millenni in pochi

sanno capire quei discorsi

incerchiati. Diffingo

per sentire la loro voce

che spiega la strana

scrittura, cos’è che hanno

redatto e perché? Non è

vero che non hanno occhi

e non vedono le epoche,

sanno tutto e poi scrivono

solleticati nelle foglie

escono dalla concentrazione,

se ci fosse un fiume

vicino tradurrebbero anche

la sua gorgogliante voce.

Di tutto questo c’è

un libro? No, sta solo

nelle loro pagine intraviste

qua e là sopra cappelli

di funghi e margherite

inclinate, fiori di bosco

e fili d’erba schiacciati, c’è

un albero-padre che corregge

gli errori di tutti raccoglie

le pagine e poi torna sul

posto a fare finta che

nessuno si è mosso.

Isabella Michela Affinito Fiuggi Terme (FR)

Da Probabilmente sarà poesia (Iniziano tutte con la P), 1° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia

2015.

Di origini pugliesi da parte di madre, Isabella Mi-

chela AFFINITO è nata in Ciociaria il 22 novembre

1967 e si sente donna del Sud. Risiede a Fiuggi

Terme. Ha frequentato e completato scuole artisti-che anche a livello universitario, quale l’ Accade-

mia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987

- 1991, al termine della quale si è specializzata in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo con-

to, approfondendo la storia e la critica d’arte, lette-

raria e cinematografica, l’antiquariato, la fotografia, la storia del teatro, la filosofia, l’egittologia, la sto-

ria in generale, la poesia e la saggistica. Nel 1997

ha iniziato a prendere parte ai concorsi artistico-letterari delle varie regioni italiane e in seguito ha

partecipato anche a quelli fuori dei confini d’ Italia,

Page 43: Pomezia Notizie 2015_8

POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 43

tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Lette-

raria Italo-Australiana Scrittori di Melbourne. Pri-

mi Premi vinti alla IV Edizione “San Teodoro” di Nicola Calabria (Messina, 1999), al Concorso dell’

Accademia Universale ‘Neapolis’, sezione saggisti-

ca ((2000), alla V Edizione “Peltuinum” di Poesia (2002), al Concorso “Una poesia per Maribruna

Toni” de “Il Foglio leterario” (Piombino, 2002).

Secondi premi: XXXIIIa edizione “Silarus” Batti-paglia (poesia, 2001), 12° Edizione “Rosario Picco-

lo” (Patti, 2001), 18° Edizione Gran Premio Inter-

nazionale d’Arte e Cultura InterArte (saggistica, 2001) e poi ancora terzi e altri premi. Ha reso edite

quasi 50 raccolte di poesie e un volume di critiche

letterarie, dove ha preso in esame opere di autori del nostro panorama contemporaneo culturale e so-

vente si è soffermata sul tema della donna, del suo

ruolo nella società odierno del passato, delle pro-blematiche legate alla sua travagliata emancipazio-

ne. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripro-

pone le infinite donne da lei ritratte nei versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inseri-

ta in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8

Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Clu-

vium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) ecce-tera. Sempre sul tema della donna ha scritto un sag-

gio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademi-

ca, Senatrice dell’Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte

riviste, è presente in Internet con sue vetrine poeti-

che. Esprime la sua creatività anche in settori come la critica d’arte e letteraria. Scrittrice e collaboratri-

ce di riviste con articoli su cinema, teatrro, astrolo-

gia, arte. Disegna copertine di libri.

LA QUETE DELLA SERA

La sera era quieta

ma ti sentivi dentro al petto

un vento tempestoso.

Temevi di non avere amore

dentro la tua anima,

ma si stava avvicinando,

innamorata,

la Primavera.

Scavalcava le siepi

per giungere a te,

memore di averti un giorno

abbandonato.

Nuove erano

le ore che ti portava in dono,

piene di spighe fiorite.

Nuovi sogni potrai

continuare a sognare.

Tornava per ridonarti

l’amore perduto

e le favole di un tempo.

Santo Consoli Catania

Da Aurora di un Giorno Nuovo, 3° Premio (Sezio-

ne A) al Città di Pomezia 2015 Santo CONSOLI nasce a Misterbianco (CT) nel

1946. Conseguita la Laurea, si trasferisce in Veneto

e inizia la sua carriera di docente, insegnando per quasi un trentennio Lingua e Letteratura Inglese nel

Liceo Scientifico di Dolo e negli Istituti Superiori

di Mestre e Venezia. Dopo il ritorno in Sicilia, ini-zia, dal 2005, la sua attività poetica e la partecipa-

zione ai Concorsi, arrivando a conseguire ben 636

Premi, tra i quali son da menzionare 66 Primi Pre-mi, 66 Secondi Premi, 60 Terzi Premi e 81 Premi

‘Speciali’. Ha, inoltre, ricevuto 27 ‘nomine”, tra le quali, degne di nota: a Reggio Calabria, Premio ‘U-

niversal Victory’ 2012 ed ‘Accademico Leopardia-

no a vita’; a San Cipriano d’Aversa (CE) nominato ‘Cavaliere della Cultura’ 2012; a Gallipoli (Lecce),

nominato Gran Maestro della Poesia e Poeta dell’

anno. Premio Speciale a Lugano (Svizzera) al Pre-mio Internazionale “Europa”, coppa IWA (Interna-

tional Writer Association). Nel 2014, ad Eboli (Sa-

lerno), Premio Speciale U.N.E.S.C.O.. Sue liriche sono pubblicate in varie antologie e riviste lettera-

rie; è presente nel Dizionario di Autori Siciliani nel

Mondo, nella raccolta “Poeti Italiani nel Mondo” e nel Dizionario Bio-bibliografico degli Autori Sici-

liani. Ha pubblicato numerosi libri di poesie e l’

opera omnia “Melodie ed Emozioni”.

IDIOTA DI DIO

Innervosita

non so giocare

a questa vita,

ogni minuto

spalle al muro

mi si impiccia

e si scompiglia il futuro.

Devo darmi una scossa

e indovinare la mossa

senza temere

o non darlo a vedere.

Page 44: Pomezia Notizie 2015_8

POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 44

Non è stare soli mai

quanta brava gente

mi si affolla alla mente.

Non traspare dal nero

cosa conti davvero

non capisco da idiota

come giri la ruota

e non si vede perché

il tempo torni da me.

Acido stabilisce pallido

dell’insopportato

quotidiano viaggio

il mio essere ostaggio.

Lucia Gaddo Zanovello Faedo di Cinto Euganeo (PD)

Da Consapevolvenze, 3° Premio (Sezione A) al Cit-

tà di Pomezia 2015.

Lucia GADDO ZANOVELLO (Padova 1951) scrive dalla prima adolescenza. Dopo un periodo

giovanile dedicato a diverse attività lavorative, ha

poi impegnato la maggior parte del suo percorso professionale come docente di scuola media. Ha

condotto studi, fra gli altri, su Niccolò Tommaseo e

su Pierviviano Zecchini. Per la poesia ha pubblica-to: Porto Antico, Edigam, 1978; Bramiti, La Gine-

stra, 1980; Da serpe amica, Padova Press Edizioni,

1987; Semiminime, Padova Press Edizioni, 1988; Per erbe piú chiare, Edizioni Dei Dioscuri, 1988;

nel 1998, per le Edizioni Cleup, la raccolta retro-

spettiva relativa agli anni ’88 -’98, in cinque volu-mi: Nóstoi (che include Fiordocuore), Fatalgía, In

lúmine, La trilogia del volo, La partitura. Ed anco-

ra Il sonno delle viole, Cleup, 1999; Un parlare d’ acqua, Cleup, 2000; Solargento, Cleup, 2000; Me-

modía, Marsilio, 2003; Silentissime, Imprimenda,

2006; Ad lucem per undas, Joker, 2007; Amare ser-ve, Cleup, 2010; Illuminillime, Cleup, 2011, Rodo-

grafie, Cleup 2012, Buona parte del giorno (Pre-

mio Milo 2012), Incontri 2013 e Disforia del nome, Biblioteca dei Leoni, 2014.

___________________________________

____________________________

IL CROCO

Il Quaderno Letterario di

POMEZIA-NOTIZIE

il mezzo più capillare ed economico per di-

vulgare le vostre opere.

Prenotate il vostro numero individuale

rivolgendovi alla Direzione.

MANOLETE

Oggi Manolete è morto.

Ha vinto molti tori

che erano tutti pericolosi,

ma si è presentato davanti a lui il tremendo

Islero.

Grazie alla tua differenziazione sei diventato

eletto

per i tuoi ammiratori,

tra tutti gli altri toreri.

Adesso tutti ricordano

le tue grandi vittorie gloriose.

Tuttavia, la prima e l'ultima volta che hai

lottato,

saranno le lotte più vive della tua arena.

Adesso, alla fine, sei stato giudicato,

e i commenti per te

erano positivi.

L'inizio della tua carriera

è arrivato al punto massimo,

che è anche l'ultimo.

Addio, Re della tua arena,

dove hai lottato tante volte e hai sempre vinto,

perdendo per la prima e ultima volta

come tutti i toreri.

Maledetto Islero!

Tutti sanno che verrai.

Nessuno però ti aspetta.

Mai!

Themistoklis Katsaounis Traduz. dal Greco di Giorgia Chaidemenopoulou

D. Defelice: Angolo di via San Pietro a Mirabello

Sannitico (CB), 1983 - olio su compensato 13 x 18↓

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 45

“... Dalla poetessa più pagana

che esista...”:

MARIA GRAZIA

LENISA SCRIVE A

DOMENICO DEFELICE e lascia tracce di quotidianità

nella poesia di Ilia Pedrina

I lei, di Maria Grazia Lenisa, ricerco

ancora elementi di vita, di pensiero,

di ispirazione. In questo percorso

personale ora si inserisce la raccolta de 'Il

Croco', allegata alla pubblicazione di Pome-

zia Notizie del mese di Luglio. Il Defelice a-

veva avvertito tutti ed ora ha mantenuto la

promessa: rendere pubblica la corrispondenza

della poetessa friulana, dolce ed affascinante

in ogni suo tempo, Musa ispiratrice anche di

Francesco Pedrina, che della corrente del Re-

alismo Lirico è stato il diretto protagonista

critico ed il testimone 'mediatico', al fianco

del Capasso, di Gemma Licini, di Elena Bo-

no, di Fiumi, di Gerini, del De Maria e di tan-

ti, tanti altri.

Marzia Alunni introduce questa preziosa

raccolta con un'osservazione che la rende

acuta interprete del fenomeno artistico del fa-

re 'Poesia', sul quale molti studiosi e filosofi

ancora sondano aspetti e valenze, che vanno

oltre i confini del linguaggio metaforico:

“...Solo chi scrive però testi poetici, dal canto

suo, è in grado di parlarne come se la poesia,

personalizzata con intenzione, fosse un'amica

confidente, una sodale che attende la parola

amata, eletta, sul foglio bianco della lettera.

Maria Grazia Lenisa ha dedicato la sua vita al

dialogo incessante con la poesia, fin da ra-

gazza, quando avvertiva una maturità, supe-

riore ai suoi anni, manifestarsi e, conquistata,

si apriva alle esperienze culturali più signifi-

cative, proprie della rivista Realismo Lirico di

Aldo Capasso...” (da M. G. Lenisa 'Lettere'

(1974-2003), Il Croco, quaderno letterario al-

legato a Pomezia Notizie, luglio 2015, pag.

2). Come la giovane filosofa suggerisce, in-

terrogando ciascuno di noi, per darci tracce

prima di addentraci nella lettura di queste let-

tere, il volto assente al quale la Lenisa si ri-

volge ha sembianze anche di sogno, ha i tratti

che si incarnano “… nel confidente aperto e

vivace, nell'amico fedele, o nel critico parte-

cipe e sensibile...” (op. cit. ibid.).

“… In Sicilia non andai in esilio come Saf-

fo, ma vinsi, prima dei vent'anni, diversi pre-

mi... È magnifico che il mio canto sia sorgen-

te d'altrui, non Le pare? Il libro delle poesie

da me ispirate sarebbe ben folto e non meno

bello dei miei canti, in quanto la poesia vera è

un fiore e un seme. Onde spero di smuovere

con il vento della poesia il Suo giardino ad-

dormentato....” (op. cit. pag 7).

Corre l'anno 1974 ed il poeta greco Febo

Delfi, legato alla Lenisa da profonda stima,

ammirazione, fascinazione, aveva scritto un

D

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 46

libro dedicato proprio '… alla Saffo d'Euro-

pa...' e profili di questo legame si intravvedo-

no di frequente in queste confidenze a distan-

za, all'Amico di Anoia. Si, bisogna ricordarlo:

la Lenisa spesso sottolinea questa origine ca-

labra del Defelice e gli rammenta, in segreto,

tra le righe di poesie inedite che gli invia, di

non trascurarne la matrice. Cito:

“LA PAROLA

La parola per me non è

che quella meravigliosa,

filo d'erba o raggio

mi sfiori la caviglia

o mi colori come fiore sul prato;

non è che astro

cui tende il mio viaggio,

speranza di cui vivo,

alleanza col mondo.

Non si usura una stella,

la fontana ha bocca di ragazza,

la montagna è piena di se stessa,

misteriosa...

Mi son svegliata e un nido

tra le mani vivo cantava

forte inascoltato.

Dietro barriere di dolore

un canto fuori dal tempo,

dove sono un'altra” (op. cit. pag. 9)

In queste lettere che sono traccia di quoti-

dianità impegnata nel dare, sempre e senza

misura, sia negli affetti familiari che nelle co-

se della cultura letteraria e del canto tra i se-

greti silenzi della notte, che la Lenisa spesso

riserva per sé, mondo altro per darsi nella vita

altra, scopro molto dell'Amico incontrato ed

amato in purezza come creatura del suo Sud:

egli talora assume i tratti del giovane poeta

che ricerca contatti importanti e successo per

i suoi lavori, successo che via via non tarderà

ad arrivare, poi i tratti dell'uomo intelligente,

dotto, consapevole che ha impegnato la sua

vita di critico letterario e di poeta nella rivista

Pomezia Notizie: la Lenisa vi collabora con

intensa ed illuminata costanza, allargando di

molto la schiera dei lettori e dei collaboratori

(la Pereira, Allegrini, Selvaggi, Onano, Bàr-

beri Squarotti e tanti altri), nonostante gli o-

nerosi impegni ai quali risponde sempre con

serietà ed alta professionalità. Infatti spesso in

queste missive gli ricorda un dono, quel

'serpentello' intagliato nel legno che la fa sen-

tire davvero una nuova Eva:

'Caro Domenico dell'Eden e delle Fiumare,

ragazzo coi piedi nell'acqua a sollevare

spruzzi come un felice animale, a intagliare

serpentelli di legno, ad amare e amare 'La

bambina di Cristallo' nell'epopea familiare,

Domenico dei 'Dodici mesi con la ragazza',

Domenico di un'eternità con la poesia, amico,

amico nell'amorosa e risentita critica, nella

lode altrettanto accesa... non spegnere ' Po-

mezia'. Ci tiene in vita, è la nostra bandiera

anche se sembra un fazzolettino.... Divenuta

sempre più bella nel vento e pare un Airone,

Domenico di Anoia che faceva l'amore in una

barca... Domenico, Domenico... che non è fe-

lice come tutti noi....' (op. cit. pag. 59- senza

data, ricevuta il 28. 10. 95).

Si è arrivati allora alla confidenza più diret-

ta, nel succedersi degli anni ed allora torno

qualche pagina indietro per cogliere ancor

meglio gli integerrimi aspetti di una persona-

lità forte ed intransigente, che non accetta né

soldi né compromessi. Cito:

“... senza compromessi ho credibilità, si, ma

vita molto difficile... Non ho appoggi politici

ed ho rifiutato (parola sottolineata nel testo –

n. d. r.) la fatidica presentazione nei salotti

romani. Quindi il mio successo è all'opposi-

zione, non a scaldare divani tra coctail e al-

tro. Ritorna quel discorso che il morale ap-

partiene alla vita, al comportamento, non os-

tante ciascuno possa fare i suoi errori....”

(lettera del 1 Gennaio 1990, op. cit. pp. 36-

37).

Rigorosissima e fiera anche nell'affrontare

la via crucis del viaggio con Cancer, l'amante

imprevedibile, imprevisto che ammala e che

la spinge alla lotta, la Lenisa ha sempre paro-

le che orientano e sono testimonianza di

grande generosità ed empatia:

“... Nel processo critico (i due termini sono

sottolineati, n. d. r.) ha più importanza il se-

me da cui nasce il libro che il libro stesso,

perché se ne studia l'allargamento delle te-

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 47

matiche. Devi stare in pace, nessuno ti toglie-

rà i meriti che hai come poeta e come opera-

tore culturale...” (lettera del 10. 1. 2004, op.

cit. pag. 85). E poi, poco più avanti, nella let-

tera ricevuta dal Defelice il 22 gennaio 2004,

Maria Grazia gli scrive:

“... Ti confesso che piango di paura e che

scrivo per tenermi su il morale e fare un po' di

confusione come il bimbo al buio...” (ibi-

dem).

Infatti tutto qui è Poesia, in semi di una

quotidianità sublimata, elogio del canto inte-

riore, quando è forte, talora intermittente ma

incessante sempre come linfa interna al corpo

tutto, di ragazza, di donna, di amante nell'a-

more in sé pieno del suo doppio e nei sentieri

della sofferenza contro la quale ella lotta co-

me contro avversari concretissimi.

Voglio concludere queste brevi note alla

pubblicazione del Defelice con alcuni cenni

tratti dallo studio di Aldo Capasso sulla Leni-

sa:

“...

'Dorme la notte immensa sul tuo cuore

che veglia e sulla terra,

Dio.

Certo tu scendi ancora dai tuoi cieli

per parlare con l'uomo;

l'uomo che non t'attende,

non crede a Dio

che passa sulla strada

che conduce alla morte.

E tu non puoi gridare d'esser Dio,

né avere un volto

da scoprire all'uomo.

Ma ogni sera ritorni

sulla terra,

ogni istante t'illudi

che il tuo morire

ci salvi dalla morte.' (Ogni sera ritorni sulla

terra)

Non stiamo a formalizzarci su una parola

isolata (t'illudi), ricordando del resto il pio

Verlaine di Sagesse: 'Eté-vous fous/Père, Fils,

Esprit?' Verlaine, seguace, a sua volta, di

Sant'Agostino... Consideriamo il 'fantasma'

nel suo insieme: ed è una sublime figurazione

d'Amore quel Dio che veglia mentre gli uo-

mini dormono nella notte, quel Dio che desi-

dera parlare con l'uomo chiuso e sordo che

non l'attende, quel Dio che viene ogni sera,

inutilmente ritorna ogni sera, condotto dalla

sua pietà, quel Dio che non può, che non deve

ogni sera rigridare all'uomo la sua rivelazione

e il suo monito e tuttavia lo desidererebbe,

per salvarlo, quel Dio che vuole illudersi di

salvare, con il prezzo della sua passione e

morte l'uomo non salvabile. Un brivido tragi-

co corre questi brevi intensissimi versi ed è la

tragedia dell'amore non degnamente ricam-

biato, l'Amore di quel Dio che soffre e si tor-

menta per pietà dell'uomo...” (tratto dallo stu-

dio critico di A. Capasso sull'opera poetica di

M. G. Lenisa, Il tempo muore con noi, Ligu-

ria Editrice, 1955, ora disponibile in Internet

al sito 'Poesia 2.0'). Il Capasso le è stato men-

tore e padre spirituale, entrando in luce nelle

pieghe più profonde della sua spiritualità. Il

Pedrina le è stato al fianco, nella diffusione

tra gli studenti delle Scuole Superiori Italiane

dei suoi canti giovanili, in ideale simbiosi nel

culto delle terre del Friuli. Il Defelice le è sta-

to Amico sincero ed ha assolto ad un compito

che ognuno di noi apprezza, perché chiaro,

diretto, documentato. E sopra tutti, dopo la

fase del Realismo Lirico, Giorgio Bárberi

Squarotti, dotto e sensibile, acuto interprete

del suo talento, mai dato per prevedibile, ma

sempre orgoglioso, infiammato, provocatorio

e puro.

Ora meglio comprendo il dono che mi è sta-

to fatto, con tutto il cuore, da Marzia Alunni,

ricevuto mentre avevo tutte e due le braccia al

petto, in pezzi, nel dicembre del 2009: si trat-

ta del testo di Maria Grazia Lenisa 'Verso Bi-

sanzio', (Antologia dal 1952 al 1996), con

panoramica critica di Giorgio Bárberi Squa-

rotti ed introduzione di Jean Jacques Méric,

per la casa editrice Bastogi di Torino, ed avrò

maggior determinazione nell'ordinare e cata-

logare le molte lettere della Lenisa a Giusep-

pe Gerini, materiale originale a me gentil-

mente concesso dalla nipote Erica Giaretta

Sartori. Per scoprire tracce di quotidianità

nella Poesia. Per incontrare ancora, nel mio

tempo, Maria Grazia Lenisa oltre i confini, i

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 48

tratti in canto di questa vita altra, che perma-

ne eterna.

Ilia Pedrina

E RICOMINCIA LA BATTAGLIA!

Il dorso d'un "Palazzi" sessantenne

mille e mille volte consultato

impietosamente lacerato

dalle tue dita inquiete;

devastata la pila dei giornali;

i miei poveri versi accartocciati;

matite rotte e penne

sotto la scrivania;

lettere di cari amici

doloranti gettate alla rinfusa...

Metto ordine a sera,

quando con mamma e papà

t'allontani verso casa;

barelliere pietoso,

sopra il campo raccolgo ed accarezzo

libri feriti.

Ho già nostalgia del nemico!

Quando al mattino ritorni

saltellando e, agitando le braccia

mi sorridi, il cuore

dalla gioia si schianta,

risale alle galassie.

E ricomincia la lieta battaglia!

Domenico Defelice Pomezia, 9 agosto 2010

STARTS AND THE BATTLE!

The back of a sixties "Palaces"

looked up thousands of times

mercilessly torn

by your restless fingers;

the stack of newspapers destroyed;

my poor verses crumpled;

broken pencils and pens

under the desk;

letters from dear friends

thrown away carelessly ...

I put everything in order at night,

when mum and dad

take you home far away;

pitiful chaos,

through the fields I collect and caress

the injured books.

I already miss my enemy!

When you return in the morning

jumping up and down, waving your arms

I smile, my heart

full of joy crashes,

reminds me of the galaxies.

And the good fight continues!

Domenico Defelice Pomezia, 9 August 2010

Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia

CANTI DI GRILLI

Grigi i capelli,

grigio il tepore

tra Lande erose dal fiume.

Silenzi, canti di grilli,

sciabordio d’acqua

come le nenie

che addormentano i bimbi.

Sognai cioccolata per anni

mentre il quotidiano

era il pane e lo zucchero.

Ginocchia sbucciate solcavano l’erba,

i pantaloni tagliati da foreste di rovi.

Se l’amore tieni distante

sarai sempre felice…

Diceva mia madre

mentre toglievo le foglie

a vermigli papaveri.

Volevo tatuar nella fronte

una piccola stella

per sentirmi almeno una volta

il signore dei campi.

Colombo Conti Albano Laziale

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 49

ELISA RAMPONE CHINNI DIALOGANDO CON ME STESSA

di Elio Andriuoli

LI aforismi e le poesie che Elisa

Rampone Chinni ha raccolti or non è

molto nel suo libro Dialogando con

me stessa, rivelano in lei una duplicità di ve-

na: quella sapienziale e quella elegiaca, che si

alternano e s’intrecciano in questi suoi testi,

nei quali troviamo racchiusi i tratti principali

della sua personalità di scrittrice.

Ironia e commozione emergono infatti un

po’ dovunque dalle pagine della silloge, che

si avvivano a tratti di una profonda pensosità.

Si prenda ad esempio un passo di Non farti

mai domande: “Non ubriacarti mai / né di feli-

cità, né d’infelicità / mia cara Paola. / Non farti

mai domande / se sei contenta o lo sei stata”.

Qui l’esortazione fatta all’amica sembra avere

le sue radici in un’intima saggezza del vivere

che trova dei riscontri nel “medén ágan” (nulla

di troppo), dell’antica sapienza greca.

Un testo dalle indubbie movenze liriche è

invece E’ notte, nel quale l’atmosfera appare

come sospesa, quasi nell’aspettazione di un

evento misterioso che stia per sopraggiunge-

re: “Il silenzio sembra palpabile,/mentre l’

ombra del nulla/si allunga sul selciato grigio”.

Certe frasi della Rampone hanno sovente l’

incisività dell’aforisma, come: “Dove c’è

scelta, c’è anche libertà” (La libertà); “Essere

vecchi / non è una colpa / è un dono” (I vec-

chi); “Non si può vivere / per interposta per-

sona” (Errare è umano); “Le parole non dette

/ girano a cerchio / senza meta” (Le parole

non dette); “Gli amici veri non / hanno pre-

sente, passato / o futuro: sono solo «gli ami-

ci»” (Gli amici); “E’ importante riscoprire/

ogni tanto il valore/ dell’attesa./E’ nell’ attesa

che ci si/prepara a riconoscere/la verità delle

cose,/a pregustare la gioia” (L’ attesa); ecc.

Espressione di un movimento poetico na-

scente dalla contemplazione della natura, è in-

vece Una triste sera d’inverno, che ha questo

incipit: “Foglie secche spazzate/dal vento si ri-

fugiano / impaurite in un / angolo di strada”,

La chiusa però riporta la poetessa al mondo

degli affetti, dal momento che ella così termina

la sua lirica: “E’ una triste sera/ d’inverno e tu

non/sei più con me,/amore mio”.

Un’altra poesia che costituisce l’espressione

di un intenso sentire è La morte di mia ma-

dre, nella quale questo tristissimo evento è

narrato dalla Rampone in maniera semplice

ed efficace: “La morte l’ho sentita / respirare

nel buio, / l’ho vista in piedi / vicino al letto, /

mentre lottavi in una / battaglia che ti / se-

gnava il viso. / La morte non è / più un miste-

ro / per me, non è più / un fantasma, è / solo

la Morte”.

Altri compiuti movimenti lirici s’incontrano

poi anche altrove in questo libro, come quello

di Senza una parola, dove sommesso è il com-

pianto per una vita troppo presto spezzata: “Sa-

ra, dolce ed esile creatura / sei andata via in si-

lenzio, / con discrezione, senza una parola/

portando con te un poco di noi”; o come quello

de Il colloquio oltre la vita, percorso da un sen-

timento di profondo rimpianto: “Vorrei ascol-

tare ancora/una volta la tua voce,/avvertire il

segno della/tua presenza, sentirti/al mio fianco

per un/muto dialogo tra noi”.

Ma un po’ dovunque troviamo in queste

pagine dei passi degni di citazione, come quel-

lo con il quale si apre Un cielo terso, una poe-

sia dedicata dalla Rmpone all’amica Tina Pa-

lumbo, che così recita: “Un cielo terso, con-

densato / nei tuoi occhi mutevoli, / occhi che

leggono nel cuore”, dove è colto qualcosa della

personalità di colei con la quale a lungo la poe-

tessa si è accompagnata negli anni; ed è qual-

cosa che va ben oltre il solo aspetto esteriore.

G

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 50

Talora la Rampone si ripiega su se stessa,

come in un moto di arreso sconforto: “Non

vedo più il futuro, / perché questo ha senso

solo / se desideriamo qualcosa” (Si può im-

pazzire); più sovente però le sue notazioni

sono improntate ad una visione serena della

vita o quanto meno ad una visione illuminata

da un’intima saggezza del vivere, com’è

quella di Un raggio di luce, che inizia: “ C’è

sempre un raggio di luce / che ti indicherà / la

strada” o com’è quella de Il presente, il testo

con il quale il libro si chiude: “Uno sguardo

al passato / mi rivela che non è / più l’isola da

cui / fuggire, / ma il luogo del ritorno, / per

godermi senza / nostalgia il presente. / Senza

più fuggire”.

Ed è proprio quest’intima saggezza, che of-

fre alla nostra autrice il coraggio per affronta-

re serenamente la sua avventura terrena, quel-

la che noi scopriamo al fondo di questo libro

nel quale la Rampone ha racchiuso tanta parte

di sé, per farne dono agli altri, con un gesto di

semplicità e amicizia: il che è proprio del suo

autentico e caldo sentire.

Elio Andriuoli

D. Defeli-

ce:Avvolto

nel silen-

zio, china, 1965.

LA MIA POESIA

Al mattino, raffinato il corpo nella notte,

escono i pensieri fini e ripuliti,

nell’aria sono frementi, se non li prendi

subito si fanno diafani e si dissolvono.

Sono fili, fatti di sostanza pura, non hanno

crosta di protezione, una sottile epidermide

li avvolge, liberi nell’ora ampia

lunga fino all’orizzonte. Non toccano turpitudini

né le rudezze, vanno dove i contatti

allineati si tengono in forme giuste.

La mia poesia corre, se non le vai dietro

vaga uguale a nubi frastagliate trasmutabili.

Non ha perso la mano dell’intuizione, arriva

erompente come getto di acqua, è rimasta quella

dell’adolescenza, stesse naturalezze piene

di accensioni e di estasi. Non è andata avanti,

la veste uguale, nella sua leggerezza,

i colori vivi non si sono sbiaditi. Non si sono

aggiunti gli anni venuti dopo, li ho visti estranei,

non dovevano essere miei: fatti sovrapposti a caso

con artefatti e calcolati elementi.

C’è dentro l’abile fattura delle parole che

passano

con il lavorio della lima, squadrate, sono

collocate

in modo dovuto. Quello che dentro si muove

è raffinato e sano, sono sostanze vive,

fuori hanno una veste ordinata e linda,

gentilezza di figura e compostezza, stanno

al loro posto con la dignitosa fermezza.

L’amore senza frammentazioni,

con il suo uniforme scorrere alla luce, all’aperto

con i fluenti movimenti dei sentimenti.

La mia poesia allarga i territori della mente,

mi porto in veloce estensione e in viaggi

con l’immaginazione che ha le linee e la linfa

delle illusioni. I miei stati psicologici aprono

profondità e altezze. Entro nel cielo e sono pieno

di terra, con i tormenti interiori e le catene

delle contraddizioni. Nella mia poesia ci sei tu.

Mi passi davanti, figura purificata, genuina struttura

natia, sei un alimento dolce per i miei versi.

Leggera con le ali e dentro il reale e il consistente,

hai il semplice aspetto senza appariscenze,

l’interiore

integro della mia poesia. Come frutto cresciuto

all’aperto con poche irrorazioni, fattosi pie-

no denso,

mantenuto chiuso in coriacea pelle, devi

fare forza per spaccarlo.

Leonardo Selvaggi

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 51

DOMENICO DEFELICE

ELEUTERIO GAZZETTI

CANTORE DELLA

VALPADANA di Tito Cauchi

OMENICO Defelice con la pubbli-

cazione di Eleuterio Gazzetti cantore

della Valpadana (Il Croco/ Pomezia-

Notizie, maggio 2013), si propone di togliere

l’artista, da un “immeritato oblio”, stimolan-

do nel contempo le autorità ecclesiastiche e

comunali modenesi, ove il più anziano amico

ha esercitato il suo ministero sacerdotale, ol-

tre che la Parrocchia e i cittadini di Sozzigalli

(frazione del Comune di Soliera), nonché

quanti l’abbiano conosciuto e gli abbiano

“voluto bene”. La “calda fraterna amicizia”,

come la definiva il religioso, si è cementata

attraverso il telefono, almeno una volta a set-

timana, con la corrispondenza epistolare e

con visite reciproche dal 1964 al 1998; ma il

loro primo incontro è avvenuto il 2 giugno

1969, a Roma, presso un Istituto di Suore,

ove il Nostro si era recato insieme con il

grande amico poeta Geppo Tedeschi.

Il Quaderno si articola in tre parti, illustran-

do rispettivamente il Saggista e Pittore, il Po-

eta e Scrittore, infine le Lettere inviate dal re-

ligioso al Nostro. L’illustrazione in copertina

mostra, nello studio tappezzato di quadri, i

due personaggi in cui sono evidenti la diffe-

renza di un ventennio di età e di stazza fisica

in avanzo del sacerdote. Eleuterio Gazzetti

nacque a Magenta di Formigine, nel Modene-

se, nel 1917, da famiglia operaia, discendente

del venerabile Pietro Gazzetti (1617-1671), le

cui spoglie riposano a Noto, in Sicilia, secon-

dogenito di nove figli, fin da ragazzo amava

dipingere su cartoni ed ogni sorta di superfi-

cie, ispirato dalla ricca natura della Valpada-

na. Egli, appassionato fin dai primi banchi li-

ceali di storia locale, incominciò un lavoro

storico che dopo anni di studio vide la luce

solo all’affacciarsi del nuovo Millennio, a

dimostrazione della sua tenacia, con il titolo

di Cardinali, vescovi e abati nella storia delle

diocesi di Modena e Nonantola (sec. IX – sec.

XX), volume di trecento pagine, di scorrevole

lettura. Prese i voti sacerdotali all’inizio della

Grande Guerra (nel 1944); dieci anni dopo

(nel 1954) diviene parroco della parrocchia di

Sozzigalli di Soliera, terra di lambrusco, fino

alla fine dei suoi giorni. Nella sua vita artisti-

ca ha prodotto oltre duemila dipinti ben ac-

colti dalla critica e da personaggi pubblici no-

tevoli che ne hanno acquistato, i cui guadagni

gli hanno permesso di comperare terreni ed

altro a beneficio dei parrocchiani, come ri-

strutturare la chiesa, mettere su un Asilo, edi-

ficare la nuova Canonica.

Domenico Defelice richiama un’opera del

Canonico, “Proverbi miei e passatempi tuoi”,

D

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 52

che a suo tempo ebbe a rivedere, ma che a

oggi non ha visto la stampa, e che intanto egli

ne pubblicava, sulla propria rivista di Pome-

zia-Notizie, nel 1998, la prefazione appronta-

ta, esortando oggi come allora, che non rima-

nesse nel dimenticatoio. Rileva, nelle opere

del Pittore, chiarezza delle rappresentazioni e

colori accesi, che sembrano trasudare dell’

umore dei soggetti, indicando la presenza di

simbolismo, così ne elenca alcune, e lo anno-

vera fra gli impressionisti. La tematica è varia

risentendo dell’età irruente giovanile, e più

avanti, della posata maturità; così si va dal

“Tramonto sul mare” alla “Desolazione della

terra”, dal sacro della “Flagellazione” san-

guinolenta, alla maternità, alla Madonna. Ma

anche a temi sociali sensibili, oggi più che

mai rilevabili soprattutto nell’elemento dell’

acqua, fluida sì, ma capace di rasserenare l’

animo.

Eleuterio Gazzetti è stato un sacerdote con-

creto come uomo, limitandosi alla pubblica-

zione di quattro sillogi e di quattro saggi, la-

sciando in disparte il poeta in sé e lo studioso

che era; propendeva per la pittura, più che al-

tro, perché gli consentiva delle entrate per vi-

vere e per la parrocchia; sapeva che la poesia

non gli avrebbe permesso di coprire nemme-

no le spese di stampa. Per ognuna delle sillo-

gi, il Nostro in maniera diretta, fa un’analisi

da cui emerge la semplicità d’animo e la ca-

pacità di sorridere ai bambini, come pure temi

in cui dominano la fede, il sociale, il tormento

dell’anima e l’anelito all’eterno, che si riflet-

tono nella natura “specchio del divino”. Nel

contempo le note critiche mettono in eviden-

za l’evoluzione stilistica che va dall’iniziale

metro classico con rima, fino all’abbandono

della stessa, ma sempre coerente con il detta-

to poetico.

Le lettere trascritte, nella loro interezza, ri-

portano l’iniziale recapito postale del Nostro,

di Roma, e a partire dal matrimonio, nell’ ot-

tobre del 1970, con il recapito attuale di Po-

mezia. Sono meno di una cinquantina, com-

presa una sola lettera superstite del Nostro del

1971, riguardante la sua disapprovazione nei

riguardi di un certo dott. Carloya, perché

maldisposto verso i meridionali. La corri-

spondenza risulta conviviale, passa tra il ‘tu’

del più anziano, al ‘don’ del giovane, i cui ar-

gomenti riguardano piani di lavoro, opere pit-

toriche, confidenze sulla ristrutturazione della

vecchia Canonica e cenni sulla precaria con-

dizione economica del Nostro e sulle sue doti

intellettuali che certamente la Provvidenza

avrebbe premiato; ma soprattutto progetti let-

terari, così, incidentalmente, assistiamo alla

nascita della rivista fondata e diretta da Do-

menico Defelice che ha ospitato più volte re-

censioni e poesie del sacerdote (nel 1973).

Gazzetti è riconosciuto, attraverso le biblio-

grafie specializzate, pittore di talento, i cui

quadri vengono quotati sul mercato; il suo

impegno profuso nelle mostre gli ha dato i

meritati frutti. Essere recensito favorevolmen-

te dal celebre scrittore Marino Moretti, è co-

me respirare una boccata d’ossigeno; ma an-

che altri scrittori-critici se ne sono interessati,

come Francesco Fiumara direttore de La

Procellaria, cui Defelice collaborava, Nino

Ferraù direttore di Selezione Poetica, Franco

Saccà, Raffaella Frangipane, Solange de

Bressieux. Le Lettere di don Eleuterio Gaz-

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zetti dirette a Domenico Defelice, ci fanno

entrare nella quotidianità delle loro vite; lo

fanno senza retorica, ci restituiscono la di-

mensione umana concreta dei due uomini, ar-

tisti-scrittori, il sacerdote accompagnato da

una salda fede, e il giovane alla ricerca di una

occupazione professionale più consona da

rassicurargli tranquillità economica.

Don Erio, come qualche volta veniva chia-

mato, lamentava la mancanza di tempo; scri-

veva: “Ogni tanto, vengono alla mia canoni-

ca giovani scrittori e poeti per chiedere aiuto

nella correzione o revisione di opere da

stampare” (27.1.1965), dividendosi fra i vari

impegni personali e l’ufficio pastorale. In

quanto a se stesso, alle sue poesie, assicurava:

“sono pensieri, stati d’animo, conclusioni di

meditazioni, perciò non era tanto da cercare

l’ispirazione poetica, quanto il concetto e lo

stato d’animo nel cammino quotidiano dell’

uomo” (6.6.1968). Sono lettere prive di reto-

rica, ma tanto ricche di insegnamenti, che do-

vremmo tenere sempre presenti; come, per

esempio, in merito alla recensione essa deve

avere i seguenti requisiti: “deve dire qualcosa

di vero (e bisogna leggere il libro), di saggio

(e bisogna assimilarlo, per entrare nell’ ani-

mo e nella mente dell’artista che scrive) e di

utile (e perciò ci vuole riflessione)”

(5.5.1973).

Del Defelice scopriamo la data del matri-

monio (1970), il nome della moglie (Clelia),

assistiamo di striscio alla nascita dei figli.

Percepiamo la sintonia fra i due, che hanno in

comune origini operaie, entrambi cresciuti fra

ristrettezze economiche, accomunati dalla

passione letteraria e da quella pittorica; pas-

sione, quest’ultima, che in parte si evince da

un’opera del Defelice citata nel corso della

corrispondenza, “Andare a quadri”. Le Lette-

re emanano calore, trasudano d’ansia, lascia-

no riflettere noi lettori delle tante aspettative

che in particolare gli artigiani della penna ri-

pongono nelle loro fatiche. Ma rimane anche

il timore che le attese vengano deluse, proprio

da quelli che dovrebbero mantenere un rispet-

toso dovere; la preoccupazione che quello che

viene considerato “balsamo per l’anima”,

venga ignorato; senza con questo volere fare

delle gratuite lusinghe. Ansia che ritrovo in

altre precedenti carteggi di cui si è occupato

Defelice (p.es.: de Bressieux, Paul Courget,

Nicola Napolitano; scomparsi da qualche an-

no; per non citare il suo “Diario di anni torbi-

di”).

Domenico Defelice aveva dedicato spazio

sulla rivista Pomezia-Notizie, ad Eleuterio

Gazzetti cantore della Valpadana, come il ti-

tolo richiama, poeta e pittore, fin quando nel

1998 gli è stato richiesto da Oddo Casalgran-

di, nipote del sacerdote, tutto il materiale di

cui era in possesso; interrogandosi sul perché

sia stato il nipote e non il sacerdote a fargli la

richiesta della restituzione; tuttavia credo che

auspichi che esso non marcisca in qualche

scantinato. Qui il Nostro, sicuramente, pensa,

con gran dolore, ai tanti amici poeti, scrittori,

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 54

artisti, le cui opere inedite o lasciate dopo la

loro dipartita, rimangano nel dimenticatoio, o

peggio, vengano distrutte. Credo che l’intero

materiale del carteggio, costituisca oggetto di

riflessione ed una fucina per molti militanti.

Tito Cauchi

Immagini in sequenza: Eleuterio Gazzetti -

“Studio per nudo” (1967), olio su tela 30 x

40; “Paesaggio” (1965), olio su tela 30 x 40,

proprietà Iannitto Antonio, Campobasso;

“Tramonto sul fiume” (1980), olio su tela 40

x 50, proprietà Dorando Mugnaini, Pomezia

(RM); “Natura morta con cocomeri” (?), o-

lio su tela 30 x 60; “Paesaggio” (?), olio su

tela 40 x 50; “Studio per figura” (?), olio su

faisite 31 x 40,50; qui sotto: “Strada lungo il

fiume” (1963), olio su tela 40 x 50.

INNOCENTI BRAME

Caricati i tizzoni, la fiamma inghiotte

la bracciata di sarmenti,

si amplia il cerchio luminoso

nella cucina acre di fumo.

Una festa: gli steli secchi cadono

sul mucchio di brace, una vampata

in orgasmo attorno alla catena del focolare.

Sulla parete un gioco di figure;

i riflessi agitati fanno ombre

sagomate intorno.

Le prime innocenti brame

si destano dalla membrana tenue dei boccioli;

i rossi petali apparsi subitanei

ai raggi dell’adolescenza in un’accensione

furente sui visi estasiati.

Dall’involucro sfogliato

la crisalide dell’amore balza

dentro il trasparente velo aleggiando.

I sarmenti proiettano le fiammelle

per essere i pronubi felici in questo momento.

Primavera degli anni e dei sensi,

la gioia dei verdi fiori,

labbra pregne di nettare.

In rituale congiunzione

come per trasfondere da un calice all’altro,

le mani vanno sulla pelle

fine del corpo amico.

Miro la corteccia lucida rovente,

le lingue bluastre ribollono,

gli scoppiettii lesionano i ceppi

in frammenti di carbone. Il languore

fisico diventa desiderio, friggono

i pensieri, fiammeggiano gli umori.

Leonardo Selvaggi Torino

SPIRITO GUIDA

Detti le parole,

poesie crescono

come asparagi selvatici,

tra fitte canne

su acquitrinosi suoli.

Riverberi di luce

all’ultimo crepuscolo

intrecciano storie,

illusioni vivono.

Non si può spiegare…

La mente è sgombra

la mano scrive,

un fiume in piena,

non si può arrestare.

Chi sei?

Un presentimento…

Un’ entità che m’ amò

ed io ho amato.

Un tenue sussurrar

che si fa presente

e ancor ci unisce.

Colombo Conti Albano laziale

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 55

I POETI E LA NATURA - 46

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

“NATURA“:

UNA POESIA DI

MARIO LUZI ( 1914-2005)

ià prima di Cristo, e anche prima di

Socrate, nella Fisica dell'antica filo-

sofia greca, si erano individuati ed

evidenziati i Quattro Elementi fondamentali,

e cioè la Terra, l'Acqua, l'Aria e il Fuoco.

Questi erano gli elementi costitutivi di quel-

la complessa realtà materiale rispondente al

concetto di Natura (in greco, Fùsis).

Secoli e secoli dopo, il poeta italiano Mario

Luzi, nato a Castello di Firenze il 20 ottobre

2014 ( e morto a Firenze il 28 febbraio 2005),

ci propone i Quattro Elementi insieme nel

contesto di un'unica poesia, il cui titolo è, ap-

punto, Natura.

La riporto integralmente per gli amici lettori

che, per caso, non l'avessero letta:

“NATURA

La terra e a lei concorde il mare

e sopra ovunque un mare più giocondo

per la veloce fiamma dei passeri

e la via

della riposante luna e del sonno

dei dolci corpi socchiusi alla vita

e alla morte su un campo;

e per quelle voci che scendono

sfuggendo a misteriose porte e balzano

sopra noi come uccelli folli di tornare

sopra le isole originali cantando:

qui si prepara

un giaciglio di porpora e un canto che culla

per chi non ha potuto dormire

sì dura era la pietra,

sì acuminato l'amore.”

Certo, ci troviamo davanti ad un testo al-

quanto difficile da decifrare, che tende fra l'

altro a dimostrare che la Natura è e rimane un

mistero. Terra e mare sono concordi, e sovra-

stati da un altro mare, quello dell'aria, nel

quale navigano i passeri, veloci e guizzanti

come la stessa aria, e come il Fuoco. Un Mi-

stero materiale dove tutto assume una valenza

spirituale, dove si vive l'amore e si vive la Vi-

ta, che in sostanza non si distingue dalla Mor-

te. È una questione di alternanza di momenti

e di situazioni, di veglia e di sonno, di presen-

te e di passato, che vede il tramutarsi di dolci

corpi (la vita materiale, fisica, non manca poi

di attrattive affascinanti!) in voci che scendo-

no, in porte misteriose, in uccelli folli, in gia-

cigli di porpora...

È un linguaggio arcano e misterioso come

la realtà che vuole evocare.

È un linguaggio ermetico, come è ermetica

la poesia di Mario Luzi. Dopo il Liceo classico “Galileo” di Firenze,

Luzi si era laureato all'Università di Firenze

in Letteratura Francese, discutendo una tesi

su Francois Mauriac (e pensare che all'inizio

avrebbe dovuto iscriversi a Giurisprudenza!).

La sua firma era apparsa poi sulle pagine di

Riviste come Paragone, Campo di Marte,

G

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 56

Letteratura, Frontespizio. A Firenze aveva

frequentato autori e studiosi appartenenti all'

area della poesia e della saggistica dell'Erme-

tismo. Ricordiamo Oreste Macrì, Piero Bi-

gongiari, Alessandro Parronchi, Leone Tra-

verso. Senza dimenticare un grande critico li-

gure, Carlo Bo.

Sarebbe estremamente interessante, ma

troppo lungo, esaminare in questa sede la

produzione poetica di Luzi, che si estende dal

1935, con la silloge La barca, fino ad Avven-

to notturno, a Quaderno gotico, e, nel 1978,

ad Al fuoco della controversia, libro vincitore

del Premio Viareggio.

Luigi De Rosa

FACCE RIGIDE METALLICHE

Fuori della casa

che si stringe con peso di monotonia.

Rinserrati in una gabbia, faccia

contro faccia, stridente

l’ingranaggio ha interruzioni.

Per gite e sollazzi in liberi moti,

in individuale staccata posizione.

La casa immota con idee burocratiche

e gli eccitati conteggi di divorzio.

Acrimonia dentro battagliati raffronti.

Tacchi grossi estraniati trascinano

in insolente indipendenza inguine

e pube fervidi di acida lussuria.

Facce rigide metalliche di livore.

Per campi all’aperto si libera

la morsa irritabile.

Il malumore si insacca in ogni vuoto

dell’animo fra le pareti mute ossificate.

Compresso spazio che non si apre

a morbidezze per rompere asprezze

con chiari e dolci eloqui.

Il calore divenuto spine,

isterilita la sentimentale vita,

scomposto il nido domestico

vivo di ansie e di espansione,

di vasi comunicanti

e di linfa di ramo in ramo.

Leonardo Selvaggi

Recensioni

SANTO CONSOLI

ANELITO D’INFINITO Edizioni “Il Saggio”, Eboli (SA) 2015, Pagg. 38

Santo Consoli ha una voce instancabile che alle

falde dell’Etna fa eco dai ventricoli del vulcano (mi

prendo la libertà di una metafora). Il poeta siciliano

(classe 1946) affida a un libro bifronte la raccolta

Anelito d’Infinito, su cui sostiamo, ripromettendoci

di soffermarci in altra occasione, sull’altra faccia (‘Il nostro cammino’). Giuseppe Barra, nella pre-

sentazione alla silloge, assicura della genuinità del nostro Poeta, che provoca al critico stesso nostalgia

per un tempo in cui non seppe pronunciare quelle

stesse parole del poeta, alla persona amata. Noi proviamo a varcare questa soglia di infinito.

In un verseggiare libero da canoni metrici, le pa-

role possono riferirsi tanto all’amata, quanto ad al-tra figura in un sentimento che va oltre l’umano.

Tuttavia sostando sulla prima figura, perché mi

sembra più congeniale, mi pare che il contatto o la

vicinanza dell’amata è, per il Poeta, come un’acqua

sorgiva, fresca e tonificante; entrambi i cuori custo-

discono memorie della bellezza che si perde al loro sguardo. Forse adesso si tengono per mano giun-

gendo al loro nido d’amore; ma in un idillio, che mi

pare incerto. Santo Consoli, per sua natura di poeta, trasfonde i

sentimenti in poesia, dentro se stesso, ed è una e-

mozione che lo fa rinascere. Rivive perciò il fascino di un incontro, immaginando di essere atteso

dall’amata in una terra pronta ad accoglierli ed en-

trambi trasformarsi in farfalle che si posano sui fio-ri. Come amanti sfidano il silenzio della notte, tra-

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sformando tutto in un eden che rappresenta il loro

palcoscenico della vita, un amore variopinto nelle

alterne fasi della quotidianità. Nel componimento eponimo pensiamo che l’ a-

more si sublimi in qualcosa di sacro “Il mio cuore

continua a battere/ nella culla della Tua mano./ È stato chiamato/ sotto le ali dell’Amore,/ e le mie ve-

le vanno, spiegate,/ verso la luce dell’orizzonte,/

nell’anelito dell’Infinito.” In uno scambio osmotico di luci e di colori fra gli amanti, in un divenire che

si rinnova ad ogni alba, le due voci si cercano e si

ritrovano nella certezza che il loro legame vada ol-tre gli orizzonti, nella certezza che la loro unione

sia senza termine: “Noi due,/ cuori tremanti,/ cu-

stodi di eterne memorie,/ negli archi solitari/ del nostro infinito!” (pag. 6 e pag. 26).

La poesia di Santo Consoli è intima, non intimi-

sta, nel suo manifestarsi ha un interlocutore etereo ovvero poliedrico; così nel suo palcoscenico meta-

forico della vita, come mi pare di intendere, non po-

teva mancare il sipario quale tela per il pittore o quale foglio chiaro su cui vergare versi. Il Nostro si

sente come un poeta bambino in attesa di una ca-rezza, in attesa che l’amata si ripresenti nelle sem-

bianze della primavera dove l’amore nelle sue mol-

teplici forme affettive, innalzi un inno alla vita, un inno alla sua musa. In ultima riflessione, mi pare

che Consoli, in Anelito d’Infinito, si identifichi in

un tutt’uno con Poesia, Musa, Amore, forse per-dendo contatto con la realtà.

Tito Cauchi

MARIA GRAZIA LENISA

LETTERE

Il Croco, I quaderni letterari di POMEZIA-

NOTIZIE, luglio 2015.

Il nome di Maria Grazia Lenisa (confesso la mia

ignoranza) era l’unica cosa a me nota della poetessa

friulana. Nome che per anni ho letto a firma di spo-

radiche liriche pubblicate in riviste varie, sbirciate

appena – le liriche - con l’attenzione che ti può in-

sorgere quando sei al cospetto di calderoni cartacei ripieni di insulse stupidità in abbigliamento lettera-

rio. Oggi che in Il Croco ne leggo l’epistolario in-

tercorso col direttore di Pomezia-Notizie, lo scritto-re Domenico Defelice, provo il rammarico di non

avere mai avuto la possibilità di leggere – di Lei

ancora in vita – una raccolta, almeno una, delle tan-te pubblicate e gratificate da premi di dimensione

nazionale, che mi consentisse di approcciarne diret-

tamente la poetica senza la deleteria, fuorviante in-terferenza di oscuri quanto maldestri compagni di

pagina.

L’epistolario (che il Defelice farebbe bene in un

futuro prossimo a ripubblicare corredato delle lette-

re sue alla poetessa) rende testimonianza di un sot-tosuolo culturale ricco di radici classicistiche, dai

lirici greci agli elegiaci latini; di una sensibilità u-

mana viva, profonda, spiritualmente - direi - iperte-sa; di una voglia inesauribile, infine, di partecipare

in pienezza e con gioia alla festa della vita.

E le pagine finali, dove la donna, mortificata nella sua femminilità, fronteggia il male che l’ha prodito-

riamente aggredita espropriandola della bella chio-

ma, così folta un tempo, e bruna, veicolano un sen-timento di religiosità popolare che ne ingentilisce

viepiù la personalità conferendole tratti di france-

scana, fiduciosa letizia ed umiltà.

Aldo Cervo

TITO CAUCHI

PALCOSCENICO

Editrice Totem, Lavinio Lido (RM), 2014, pp 64, € 10,00

Tito Cauchi, nato a Gela nel 1944 e abitante a

Anzio (Roma), continua il suo tracciato in poesia,

raccogliendo in volume tante sue poesie pubblicate negli anni su antologie e riviste, unificandole sotto

il titolo di Palcoscenico, dove, come accade nella

vita, si porta in scena il bello e il brutto del nostro vivere quotidiano e che parla del modo di condurre

e di rapportarci con l’esistenza, a livello personale e

comunitario, sociale e umanitario globale. Una poe-tica di sentimento, di travaglio interiore, ma anche

di coscienza storica e di risveglio della memoria,

che il poeta Cauchi ripercorre con partecipazione e coinvolgimento, apportando il suo contributo tra-

sformativo e creativo, espressivo e artistico. Da ve-

ro protagonista della sua vita “s’alza il sipario e io entro”, egli dice, per svolgere il suo ruolo e la sua

parte, indossando di volta in volta l’elemento tra-

sformativo più idoneo ad entrare nel personaggio

da far giocare, aspettando l’applauso che ultima la

comparsa e richiude il sipario, nella consapevolezza

che quello che si è rappresentato “è tutto vero”. Ecco il messaggio e la verità di questa intensa e

colta silloge poetica, che trova unitarietà nella paro-

la del cuore del poeta: vivere la propria vita con amore e recitandola con sincerità e umiltà, nell’ au-

tenticità dell’espressione relazionale e comunicati-

va, idonea a costruire la felicità e la gioia del vive-re, la bellezza dell’incontro con l’altro, con il crea-

to, come segno tangibile di una vita ben spesa e a-

perta ad aggiungere il suo quantum di luce nel salto evolutivo che l’umanità è indirizzata a percorrere.

“La felicità è proteiforme/ si presenta comunque la

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cerchi/ ma non si lascia addomesticare” dice il po-

eta, diventando il protagonista principale, che rin-

nova fedeltà alla poesia e con amore chiede d’essere guidato e ispirato “con passione e tenerez-

za”.

“Natale sia tutti i giorni/ il pianeta sia casa co-mune”, è questo l’insegnamento del poeta che all’

umanità intera “Ti voglio bene”, dice, “Così senza

aggiungere altro”, nell’impegno di trovare i giusti correttivi ad una pericolosa deriva del progresso in-

controllato che avvelena la terra e infrange i sogni

prima ancora di poter essere espressi (“… Noi scar-ti di cucina e rifiuti vegetali/ nutrivamo la terra che

ci faceva da madre/ adesso imputridiamo e infet-

tiamo l’aria …“ ; “Le foglie vorrebbero prendere le ali/ dal vento per librarsi come gli uccelli/ …

quante foglie rinseccolite di alberi/ giacciono per

terra e quante di virgulte/ pianticelle ancor prima di fiorire/ sono sparse senza volontà ai venti/

strappate al picciuolo ancora tenero …/ Il fruscio

degli alberi … invita ad amare …” (pg 13, 18). E la storia, la nostra storia, come singoli e come

società globale, se una storia la vogliamo ancora, non può che essere questa prefigurata dall’intuito

dell’animo poetico “Una storia d’amore” (cfr la

poesia Storia spuntata, pg 44), dove sì c’è il dolore “Vento pioggia sereno, da passare/ domani domani

domani domani” (cfr la poesia Vita da pendolare,

pg 48) e altro ancora, il bisogno di depredare ad e-sempio “come famelici lupi”; ma anche e soprattut-

to la capacità, tutta umana, della preghiera e del

perdono (“A mani giunte preghiamo/ il perdono per esserci/ dimenticati di loro”, cfr. la poesia Amia-

moci a mani giunte, pg 15), capaci di riscattarci da

ogni male commesso (“Giovanna d’Arco … Accet-ta le mie lacrime per lenire/ le carni che ti avvam-

pano ancora.”, cfr la poesia Jeanne d’Arc pucelle

d’Orléans, 1412-1431, arsa sul rogo il 30 maggio, pg 43) e riprendere a progettare il futuro del nostro

progresso, a sognare il mondo migliore che vo-

gliamo e vederlo realizzare attraverso i colori dell’

immaginazione creativa e gli strumenti dell’arte

poetica (“I poeti parlano al tramonto/ odono le on-

de del mare/ leggono nei petali dei fiori/ vivono l’ armonia del silenzio (…) I poeti parlano alla luna/

alle stelle al sole alle pietre/ e ascoltano tutto viag-

giando/ per infiniti spazi siderali.”, cfr. la poesia Poeti d’oltre, pg 28).

Grazie caro amico Tito, di questo splendido viag-

gio, attraverso la tua poesia, nei complessi meandri dell’animo umano, convinto, come ben tu dici nell’

introduzione del libro, che sul palcoscenico della

vita “c’è chi non ha di che coprirsi”, ed è questo che fa grande la poesia e impareggiabile il talento

del poeta, capaci di “capovolgimento della norma

antropologica”, come auspica Gianfranco Cotronei

in Prefazione, perché i vissuti possano essere riela-

borati, per liberare inediti orizzonti esistenziali.

Pasquale Montalto

MARIA GRAZIA FERRARIS

IL CROCONSUELO E ALTRI RACCONTI

Menta e Rosmarino Editrice. Caldana di Crocquio (VA). 2015. Pg. 164

Scrivere sulla prosa di Maria Grazia Ferraris si-gnifica introdursi in tutto il suo patrimonio ontolo-

gico; forzare la cassaforte del suo animo per sco-

prirne i sogni, le memorie, i propositi culturali e il profondo amore per la letteratura; concretizzarli in

fatti e personaggi che si fanno corpo delle sue co-

spirazioni epigrammatiche; dei suoi intenti emozio-nali: amore, nostalgie, radici, storie, solitudini. Tut-

to viene rielaborato dall’anima dell’Autrice. E tutto

si trasferisce sul foglio dopo una generosa decanta-zione. La cultura stessa, il suo profondo patrimonio

poetico-narrativo, filosofico-cognitivo, è oggetto di meditazione e rievocazione. Il suo bagaglio umano

e umanistico si è fatto immagine; non più semplice

realtà, o momento di abnegazione di un presente circostanziato. Tutto viene filtrato, e dopo lunga

macerazione i singoli elementi escono fasciati da

un sentire nuovo, originale, personale, in cui il dire e il sentire si fanno forma desanctisiana. E questo è

un libro di urgente forza esploratrice, in cui la No-

stra offre un quadro complesso, semplicemente complesso, della sua forza narrativa, e di come rie-

sca a imbrigliare in strutture stilistiche, morfosintat-

tiche e creative il suo pensiero e i suoi impatti emo-tivi. Sedici racconti che diluiti in misure di accatti-

vante compiutezza etimo-fonica, si reggono su una

narratologia ora sobria, ora effusiva; ora ferma e apodittica; ora riflessiva e parènetica; ora nostalgi-

ca ora melanconica; su una narratologia che mai

scade in sentimentalismi di bassa lega, ma che ci

tiene sospesi, incalzandoci alla lettura; a sfogliare le

pagine fino all’ultimo capitolo in cui “gli avvoltoi

pazienti si istallavano sui tetti delle case dove qualcuno sudava l’agonia”; dove “la morte di Le-

clerc portò Paolina alle soglie della demenza”.

Un vero amore, comunque, non solo per la cultu-ra ma per i paesaggi della sua terra. Paesaggi rivis-

suti con una tenera e edenica nostalgia e che si fan-

no alcova rigenerante in cui la Ferraris ritrova se stessa e il suo mondo per fuggire dalle aporie di una

società liquida. Gli ambienti, i fatti, i piccoli gesti

vengono finalizzati a delineare il ruolo analitico-introspettivo degli attori; e la natura stessa con tutta

la sua complessità fa da elemento portante nel rile-

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vare la loro interiorità. In certi momenti ci troviamo

di fronte a vere proposte poetiche, a veri melologhi,

o ecfrasi tanta è la musicalità delle parole che, co-me perle, si combinano in collane di preziosa eu-

ritmia; di vasto respiro lirico donato a versi di pro-

fonda e articolata forza strutturale:

Era silenzio intorno, muto non già

incantato, sospeso, respirante nella camera protetta da tende

scure… La casa, quîeta, taceva.

Il viso chino sui fogli, immobile ascoltavo le voci emergenti,

voci mute, eppur presenti, insistite.

Ferma, china sui fogli, silenziosi… Udivo profumi caldi di glicini

arrampicati fuori la casa, silente.

Si fondevano, come de’essere, per chi legge le voci solitarie

che vengono dal di dentro misteriose.

La casa ombrosa taceva trepidante, ricerca di senso nuovo da decifrare,

calma sinestesia di colori e luci, silenzio traboccante dentro e fuori.

La casa aspettava, taceva quieta (Viaggio intorno

alla mia camera). “Io leggo… leggo, studio. Non c’è un confine

preciso tra le due attività, si integrano, si danno for-

za e senso, nel silenzio e nella solitudine della mia camera…”.

D’altronde non si deve dimenticare l’anima poe-

tica della Ferraris; il suo messaggio intimistico che ci riporta a voli di largo lirismo, di ampio fonosim-

bolismo “Parafrasando Jules Renard, possiamo dire

che nella casa della poesia la stanza più grande è la sala d’attesa”, sì, quella sala in cui la Nostra im-

magazzina realtà fenomeniche a cuocere a puntino

per farsi poesia e in questo caso fluente narrazione, dacché le parole "Mostrano il loro legame con la

musica...La parola nasce dal ritmo, come la musica.

La poesia utilizza il ritmo in modo letterale e la fi-

losofia, che non canta, si muove sulle tracce del

ritmo e attraverso di esso vede. Vede il Ritorno.

Vede l'Enigma" (Carlo Sini). Il croconsuelo e altri racconti il titolo dell’opera

divisa in tre nuclei tematici: Memoria, Storia e sto-

rie, Donne. Ed è il primo capitolo che si pone come momento incipitario con valore eponimo. Un rac-

conto di ricordi, di tempi andati riportati a memoria

da un bar provvisto di pochi tavolini dell’amico di studi Gianni: DA GIANNI – PIZZA D’ASPORTO:

pizza margherita, quattro stagioni, quattro formag-

gi… e… CROCONSUELO. Ombre di querce, giochi giovanili; castagni in boschi autunnali, mon-

delle (arrostite); lezioni di Gianni sull’arte culina-

ria; la sua passione per la letteratura: melange di

memorie e natura; di storia e cucina, di affetti e

simpatie. Ed eccoci al titolo del testo: <<Credo pe-rò che Gianni abbia raggiunto l’apice della sua pas-

sione il quinto anno, durante gli esami di maturità.

Intrattenne la Commissione su quel capolavoro che è La Cognizione del dolore del milanese Carlo E-

milio Gadda, indiscusso e iroso lombardo, ma lo

fece in modo molto originale, soffermandosi sul tema culinario stabilendo paragoni con la letteratu-

ra… Il gorgonzola, allora…: formaggio ben cono-

sciuto e diffuso da noi… Gadda non lo cita col suo nome, spiegava compiaciuto (Gianni alla commis-

sione), lo traveste in “croconsulelo”>>.

Ma la vita divide come succede nella storia: Gianni era partito per una esperienza di lavoro in

Inghilterra per poi tornare a fondare il suo negoziet-

to. Fu giusto fargli una visita per parlare delle vi-cende di quegli anni e festeggiarlo con una cena in

suo onore. Poi addii e promesse di ritorni. “Ma non

prima delle sette. Il croconsuelo va consumato subi-to, flagrante di forno, e non ammette di essere ri-

scaldato – rispose ironico ridendo,Gianni”. Memorie che sanno di poesia; amicizie persesi

nel tempo e ritrovate a suggerire emozioni; radici di

verdi primavere; di nature fresche e incontaminate rimaste da tempo a ingrossare nell’animo. <<Se gli

anni fanno macerie, la natura vi semina fiori; se

scoperchiamo una tomba, la natura vi pone il nido di una colomba: incessantemente occupata a rige-

nerare, la natura, circonda la morte delle più dolci

illusioni della vita>>. “Chateaubriand dans le “Ge-nie du Christianisme”.

Nazario Pardini

MARIA MARTIGNETTI

DA UNO SGUARDO CIRCOSTANTE

Aletti, 2013

“Da uno sguardo circostante” è una raccolta di 14

racconti di Maria Martignetti, poetessa e scrittrice,

edito dalla casa Editrice “Aletti Editore” - Villano-

va di Guidonia - (RM), maggio 2013, € 14,00. Sono racconti che, di là dalla fantasia, hanno una

matrice di verità, di vita vissuta e rappresentano, nel

loro insieme, una vera e propria denuncia. Una de-nuncia fatta in modo sottile con parole semplici che

si diramano in vari settori del vivere quotidiano. La

Martignetti non ha peli sulla lingua e va diritta allo scopo dei suoi racconti; racconti che parlano

dell’immondizia ma non in forma generalizzata, più

specificatamente particolareggiata perché più volte, e ne hanno parlato spesso i quotidiani di tutta Italia,

l’immondizia non si accumula mai nelle strade do-

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ve vi sono politici o rappresentanti delle istituzioni.

Emblematico il caso di Napoli, sommersa da tantis-

sima immondizia, la strada dell’allora Sindaco Jer-volino era sempre pulita, pulita dai lacchè e dai tan-

ti ruffiani. Infatti, nel racconto “Solo un tratto di

strada”, la scrittrice dice che due ragazzi vanno a veder giocare a tennis per una strada colma di im-

mondizia, però in loro nasce la curiosità e la do-

manda del perché la strada, più avanti, ritorna luci-da e pulita, pulita perché vedono una grande villa

con piscina e campi di tennis, abitata sicuramente

da qualche personaggio di spicco, per cui l’ opera-tore ecologico rivolge, probabilmente, maggiore at-

tenzione a quel posto, mentre gli altri cittadini con-

tinuano a nuotare nell’immondizia. Il racconto “Brevi amori” mette in mostra un a-

more nato con forza, a prima vista, ma per una

sciocchezza, una piccola incomprensione, si sfascia irrimediabilmente. Il detto “chiodo scaccia chiodo”

è un detto brutto, lascia tanto amaro in bocca, ma

soprattutto lascia un immane dolore per l’uno o per l’altra, senza pensare a quelli che ci rimettono di

più: i figli. L’amore vero, duraturo, non esiste più, forse non

è mai esistito. Nel passato c’era, dettato da una

forma di educazione, un diverso modo di vivere, una società più omogenea, coesa, rivolta al bene

comune, al rispetto reciproco, c’era, insomma,

comprensione, e in tantissimi casi il perdono. Ecco, da questo punto di vista, l’amore durava tutta la vita

anche se litigi e riappacificazioni erano all’ordine

del giorno. Oggi c’è l’abitudine a non sopportare un errore dell’uno o dell’altra, a non avere quell’ equi-

librio mentale caratteristico dell’uomo savio, per-

ché il perdono non esiste più, e il divorzio è diven-tato una moda: non si è capito lo spirito del legisla-

tore. Il divorzio doveva avvenire solo per situazioni

complicate e difficili da redimere. No! È diventato solo moda al punto che coppie di fidanzati per anni

si amano e all’indomani del matrimonio, addirittura

in viaggio di nozze, si separano. Dov’era il loro

amore? Ecco perché diciamo, in modo soggettivo,

che il termine “amore” ha perso il suo valore, il suo

significato. Tutto questo si è tramutato in possesso, perché l’uno vuole prevalere sull’altro, nascono co-

sì i contrasti e l’avventura finisce ma, considerando

che la solitudine è una cattiva medicina, per forza di cose bisogna riprovare di nuovo, sperando che

duri a lungo e per tutta la vita ma, purtroppo, c’è

sempre un ma. Il racconto “Uno di alcuni (il bamboccione)” rap-

presenta la denuncia clou di tutta la raccolta. La

mancanza di lavoro per i giovani, aggravata dall’offesa fatta, nei loro confronti, da chi rappre-

senta le Istituzioni e dovrebbe, per dovere, provve-

dere a che i giovani, una volta lasciata la scuola,

abbiano un lavoro per crearsi un’indipendenza e

non gravare sulle spalle di tante famiglie, resta solo un sogno. Al danno anche la beffa. Una piaga che i

governanti fanno finta di non capire e raggirano con

parole di promesse senza una vera e propria realiz-zazione. Nulla fanno per mettere in pratica quella

che dovrebbe essere la cosa primaria per una nazio-

ne, cioè, creare lavoro per tutti, perché solo così l’ Italia o qualsiasi altra nazione possa sollevarsi e da-

re quella vivibilità alle famiglie senza preoccupa-

zione e senza patemi d’animo. Con il lavoro dimi-nuirebbe anche la delinquenza, invece oggi ci tro-

viamo di fronte a tanti farabutti, magari non lo sono

mai stato, ma che per tirare avanti la famiglia ruba-no e, in certi casi, forse senza volerlo, ci fanno

scappare anche il morto.

La Martignetti, nel racconto “La diversità” mette in luce la diversità che la società, non solo italiana

ma anche di altre nazioni, sta vivendo in questi ul-

timi periodi. I contrasti nascono soprattutto nelle scuole dove il colore della pelle crea tante situazio-

ni di invidia e incomprensione tra i bambini, in al-cuni casi fomentati anche da genitori, per fortuna

però c’è sempre qualcuno dal cuore d’oro che dipa-

na ogni matassa e dà la possibilità ai propri figli di frequentare bambini dal colore diverso. In questo

racconto la Martignetti, è un nostro pensiero sog-

gettivo, si è superata, positivamente, nella metafora. Analizzare tutti i racconti non è cosa da una sola

cartella, citiamo solo alcuni titoli: “Non è un so-

gno”; “Un sabato notte”, “Lo scippo di un droga-to”; “La ragazza Fortuna”; “L’uomo antico del

sud”, ecc.

I racconti della Martignetti, scritti con un lin-guaggio semplice, senza paroloni, penetrano nel

cuore del lettore e lo mettono nella condizione di

ben assimilare non solo lo scritto ma soprattutto quello che la scrittrice intende denunciare. Sono

racconti che vanno letti e Maria Martignetti merita,

per la sua bravura, l’attenzione e il plauso dei letto-

ri.

Ciro Rossi

MILLE STELLE

La sera chiudo gli occhi per dormire

e nell’oscurità vedo brillare

un’infinita quantità di stelle.

Penso che in una stella ci sei tu

penso che in ogni stella ci sei tu

e a un certo punto poi tutte le stelle

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si riuniscono in una grande luce

e dalla luce viene la tua voce

e il sonno in paradiso mi conduce.

Mariagina Bonciani Milano

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE IL LEOPARDI DI DI LIETO - Nella nostra nota

all’interessante volume di Carlo Di Lieto su Leo-pardi e il “mal di Napoli” (1833 - 1837) una “nuo-

va” vita in “esilio acerbissimo” , scrivevamo, a

pag. 2 del numero precedente, che l’Autore non cita alcuni saggi, per noi validi, come quello del nostro

amico Angelo Manitta: “Giacomo Leopardi pes-

simista ma non troppo”. Il saggio di Manitta, inve-ce, è citato in ben tre note: alle pagine 601, 797 e

885. Ce ne scusiamo con entrambi: il prof. Di Lieto

e l’amico Manitta; così come citato è anche il cor-poso e bel saggio di Antimo Negri: “Leopardi.

Un’esperienza cristiana”, in una nota a pag.765. Il

carattere minuto, or-mai da qualche tem-

po, gioca brutti

scherzi ai nostri occhi sofferenti.

A proposito del nu-

mero di luglio e della calorosa accoglienza

del ricordo di Leo-

pardi tramite l’opera di Di Lieto, ecco, per

esempio, la testimo-

nianza di Leonardo

Selvaggi, da Torino: “I vent’anni di collaborazione

all’attività di Pomezia-Notizie, mantenuta costan-

temente con inappuntabile precisione dei tempi di pubblicazione, hanno fatto conoscere i cammini di

intenso progresso della qualità letteraria di una rivi-

sta di grande rinomanza nell’ambito del secondo ‘900. Piena ricchezza della varietà dei contenuti,

partecipazione critica all’interpretazione delle pro-

blematicità sociali dei nostri tempi. Enorme la ca-pacità di scelta degli scritti, oltre alla sempre più

vera e concreta sua vitalità acquisita nel seguire le

tradizioni culturali nazionali e internazionali. Em-blematica la presenza nel numero di luglio della fi-

gura del più grande poeta di tutte le letterature Gia-

como Leopardi nel saggio autorevole del direttore Domenico Defelice relativo all’opera di Carlo Di

Lieto sul periodo napoletano vissuto dal sublime

Recanatese. Importante il cammino di Pomezia-Notizie come rivista di grande formazione, oltre

che di guida sempre stata da parte dei suoi tanti

Scrittori di valida capacità critica e di profondità in-tellettiva per acutezza, ampia e riconosciuta profes-

sionalità. Torino, 12 luglio 2015

Leonardo Selvaggi

Nel ringraziare il Dott. Servaggi per la squisita te-stimonianza e tutti gli altri che ci hanno scritto e te-

lefonato, ma che non citiamo, per non ridurre P. N.

a un palcoscenico di elogi, preghiamo i Collabora-tori, che ancora non lo facessero, a inviare, in futu-

ro, i materiali tramite e-mail, perché i nostri occhi

non ci permettono più sforzi per ribatterli al com-puter. Facendolo, si evita il cartaceo, con rispar-

mio di cellulosa e, inoltre - che non è poca cosa -,

della spesa postale, sempre più onerosa, diciamo scandalosa, in rapporto a un servizio tra i più pes-

simi del mondo.

D. Defelice ***

LE LETTERE DELLA LINISA: PERLE DI

RARA BELLEZZA - E-mail del 20 luglio 2015

dalla giovane lettrice laureanda Claudia Trimar-

chi:

Carissimo Domenico, (...) Ho ricevuto le lettere della Lenisa; non sono

ancora riuscita a leggerle tutte! Non si tratta infatti,

come all'apparenza potrebbe sembrare, di una lettu-ra "leggera"...meritano tempo e attenzione, perché

contengono, sparse qua e là, perle di rara bellezza

che assumono maggior valore nella misura in cui sono inserite in una scrittura "privata", non sono

cioè pensate per la pubblicazione ma spontanee, a

ribadire una vocazione autentica della Lenisa (e del suo interlocutore) per la Poesia, necessaria come l'

ossigeno nell'aria per respirare: "poter creare poesi-

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a, non solo scrivendo, ma vivendo, è il massimo

delle nostre aspirazioni. Ci sono anche nella vita

quotidiana momenti di stupore magico, per cui un mondo prima grigio, deserto, profuma di gelsomi-

ni"..."Noi, con la poesia costruiamo il nostro spirito,

senza di essa "moriamo"..."Non ci sono prigioni più vere di quelle dell'anima che non si accetta nella

sua infinità libertà (...) Ama dunque la vita, le crea-

ture, le cose, portale in te, come un tesoro da "can-tare" in quelle ore in cui viaggi nella città di te stes-

so ai confini con l'assoluto"..."La diagnosi della tri-

stezza è fin troppo ovvia: si finisce per perdere la capacità di vivere gli affetti più cari (...) Più ci si e-

stranea dall'armonia, più tutto è assurdo come un

debito che si continua a pagare, in ragione di una gioia dispersa che si fu incapaci a custodire"..."La

mia solitudine è un regno (...) Il mio disco gira stu-

pendamente la Sua musica in una stanza abbando-nata. Qualche volta è udito nelle Sue note più vici-

ne: da qui l'amicizia. Ma l'amore è nell'anelito so-

cratico: ciò che non si ha, non è vero? "Averla quel-la cosa per non amarla più"... "Sono poesia inerme,

che passa attraverso la Storia (...) Io non concilio col potere, sono sempre Antigone contro Ore-

ste"..."la croce del successo è pesante ed io, ad e-

sempio, preferisco un fiore"("essendo l'esser com-presi il premio più ambito!")..."La poesia basta a se

stessa"..."ciò che è valido, parla da sé e il vero suc-

cesso dell'opera è l'opera stessa, la sua vita"..."Non sono io a dirti che vale, ma tu prima devi esserne

convinto. (...) Continua la tua opera di poeta; alcuni

sono troppo pieni di se stessi e le parole vanno a peso...che t'importa? Forse non eri lieto di aver fatto

l'opera? Ricorda la gioia di essere poeta un po’ co-

me gli uccelletti che cinguettano"... "La mia fortuna è proprio la gioia di scrivere che mi ha accompa-

gnata attraverso tanti dolori"..."La poesia è così mi-

steriosa che niente è definitivo, è come un riflesso di paesi nell'acqua (...) Ma quale miglior scrigno

per la perla se non il cuore di un vero amico che si

fa contenitore di poesia o qualcosa che Le somi-

gli?"...

Bellissime... peccato che la tua voce si ascolti solo

"di riflesso" (...); sarebbe stato magnifico il carteg-gio completo, e senz'altro più semplice anche per i

lettori la fruizione... La figlia Marzia, che ha curato

la presentazione, non ha modo di risalire alle tue lettere? Sicuramente, la Lenisa le avrà conservate

da qualche parte... (...)

Scusami per le eccessive citazioni di questa mia...non riuscivo a rinunciare a nessuna!

Un abbraccio,

Claudia Claudia Trimarchi è una giovane che frequenta la

Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Ro-

ma Tor Vergata, in procinto di laurearsi, forse

nell’ottobre prossimo. Da tempo la invitiamo a col-

laborare col nostro mensile, perché abbiamo nota-to, in lei, una rara capacità di leggere e penetrare

opere di poesia e prosa, l’attrazione a far suo il

mondo volta per volta contenuto in un volume, il dono di commuoversi. Speriamo ci dia retta; in lei

vediamo una brava, geniale investigatrice di opere

letterarie. Grazie, Claudia, qualora ti deciderai di far parte della grande famiglia di Pomezia-Notizie.

Ti aspettiamo, dopo la laurea.

Domenico

***

BATTESIMO DI VALERIO - Sabato

27 giugno, alle ore 17, a Pomezia, nella

chiesa di Santo Isidoro Agricoltore, da

poco completamente rifatta - località

Santa Procula -, il piccolo VALERIO

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ha ricevuto il sacramento del Battesimo

dal parroco Don Giuseppe Di Savino.

Madrina e padrino i giovani Rosaria

Costa e Luca Defelice. A far da cornice,

per un momento così solenne e gioioso,

oltre a mamma e papà - Emanuela Vi-

gnaroli e Stefano Defelice -, le due

coppie di nonni e nonne, la bisnonna

della famiglia di Emanuela e una folta

schiera di parenti che, tutti insieme,

hanno poi festeggiato fino a tardi in un

locale sulla spiaggia della vicina Torva-

janica.

Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI GIUSEPPE LEONE - D’in su la vetta della Torre

antica. Giacomo Leopardi e Carmelo Bene so-

spesi fra silenzio e voce - Edizioni Il Menabò, 2015 - Pagg. 142, € 16,00. Dopo il saggio “Silone e

Machiavelli” (2003) e altre composizioni poetico-

musicali scritte in collaborazione con il critico mu-sicale Roberto Zambonini, fra cui: “Leopardi-

Mozart” (2008), “Silone-Puccini” (2009), “Mazzi-

ni-Mozart” (2011), “Gadda-Malher” (2012), Giu-

seppe Leone propone un confronto fra Giacomo

Leopardi e Carmelo Bene. Partendo da un luogo

emblematico come la torre (quella Campanaria di Recanati che rimanda al “Passero solitario” di Leo-

pardi e degli Asinelli di Bologna che evoca la “Lec-

tura Dantis” di Carmelo Bene), Leone legge l’opera dei due grandi attraverso i contrasti “scrittu-

ra/oralità, silenzio/voce, significante/significato”,

che furono alla base delle performance teatrali dell’artista salentino, ma che non sono stati meno

determinanti nello sviluppo dell’opera leopardiana.

Una lettura attenta e puntuale che il critico conduce attraverso un andirivieni di comparazioni fra analisi

testuali e testimonianze biografiche e autobiografi-

che, che rivelano inospettate similitudini fra due geni che perseguirono l’identico fine di orientare la

poesia e il teatro nel segno della voce, nel tentativo

di strapparli al silenzio della scrittura. Giuseppe LEONE si è laureato a Pavia nel 1973 in Lettere

Classiche, ha insegnato letteratura italiana e storia

nelle scuole superiori. Ha pubblicato i saggi: “Igna-zio Silone scrittore dell’intelligenza” (1978), “Silo-

ne e Machiavelli. Una scuola che non crea... princi-pi” (2003), “La poesia di Carlo Del Teglio” (2003),

“L’ottimismo della conchiglia. Il pensiero e l’opera

di Giuditta Podestà fra comparatismo e europei-smo” (2011). Ha curato: “Carlo Del Teglio, Il rica-

mo della Regina” (2012), “Carlo Del Teglio, Tutte

le poesie” (2014). È autore anche di romanzi e ope-re teatrali. Vive e lavora a Lecco, dove collabora

con riviste letterarie nazionali e internazionali e con

il Centro Studi Ignazio Silone di Pescina. È diretto-re artistico dell’associazione culturale “Il Menabò”.

**

SERENA SINISCALCO - Il Poesiario X - Prefa-zione di Sandro Gros-Pietro; in appendice, giudizi

critici di Pasquale Balestriere, Giannicola Cecca-

rossi; Postfazione di Maria Ebe Argenti; in coperti-na, a colori, foto di Elena Siniscalco; in quarta,

sempre a colori, foto dell’Autrice - Genesi Editrice,

2015 - Pagg. 104, € 20,00. Serena SINISCALCO è

nata a Milano. Dopo il Liceo Classico - al G. Car-

ducci di Milano - si è laureata alla Facoltà di Far-

macia a Pavia. Sposata con 4 figli. Vedova dal 1985. Conosce Inglese e francese. Titolare, dal

1972 al 1976, della “Eco” Galleria d’Arte contem-

poranea di Finale Ligure (SV). Dal 1972 fondatrice e presidente del Premio Internazionale di Poesia

“Streghetta”. Ha viaggiato e soggiornato in diverse

nazioni; ha portato la poesia anche sulle navi di crociera. Ha vinto Premi importanti. E’ stata inseri-

ta in numerose antologie e in Storie della Letteratu-

ra Italiana. E’ socia di molti Centri, anche di Centri universitari. Ha pubblicato, uno ogni anno, ben no-

ve volumi de Il Poesiario: 2005, 2006, 2007, 2008,

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POMEZIA-NOTIZIE Agosto 2015 Pag. 64

2009, 2010, 2011, 2012, 2013. Si sono interessati di

lei, e della sua opera letteraria, poeti, scrittori e cri-

tici di chiara fama, in Italia e All’Estero. Nell’ am-bito del Premio Stregetta viene assegnato anche la

“Laurea Apollinaris Poetica”, che, con il 2013, è

stata assunta in onere dalla Università Pontificia Sa-lesiana, con la celebrazione presso l’Aula Magna

della stessa Università, all’interno della Facoltà di

Scienze di Comunicazione Sociale, in piazza dell’ Ateneo Salesiano 1, Roma.

**

ANTONIA IZZI RUFO - Raccontarsi - Presenta-zione di Marco Delpino; in copertina, a colori,

“Megaliti (Menorca)”; in quarta, sempre a colori,

foto dell’Autrice - Edizioni Tigulliana, 2015 - Pagg. 52, € 10’00. Antonia IZZI RUFO, insegnante in

pensione, laureata in Pedagogia, è nata a Scapoli

(IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta (IS). Tra le sue tantissime opere (saggi,

poesia, narrativa), ricordiamo: “Piccolo caotico zi-

baldone”, “La nonna racconta”, “Castelnuovo e il brigante Centrino”, Di tutto un po’, streghe, maloc-

chio e fatture”, “Un posto chiamato Scapoli”, “Gira la ruota del tempo”, “Volando... Sognando...”, “Ho

conosciuto Charles Moulin”, “Ricordi d’infanzia,

ricordi di guerra”, “Quando la Musa è con noi”, “Tristia - Ovidio”, “Perdonami, Galdino”, “I colori

dell’anima”, “Le novelle della Pescara”, “Saffo, la

decima Musa”, “Senderos de azul, Sentieri d’azzurro”, “Voli nei sogni”, “Pensieri per te”, “La

Ginestra di Leopardi”, “Riscopriamo Mimnermo e

Solone”, “Continuano a chiamarmi la Maestra”, “Les couleurs de l’âme - I colori dell’anima”, “E-

mozioni”, “Profumi”, “Una rivisitazione di Virgi-

lio”, “Omnia vincit amor L’amore vince ogni co-sa”, “Intus”, “Meraviglioso mare”, “Passi leggeri”,

“La Vita Nuova di Dante”, “Enrico Marco Cipollini

e le sue opere”, “La mia vita con te”, “Pasquale Vecchione e la Capitale della zampogna”, “Lamen-

to dell’animo”, “Ritorno alla terra”, “Ricondurre ad

unità”, ”Donna”, “Catullo”, “Io, natura e amore”,

“Azzurro”, “De Profundis”, “Ti cerco”, “29 raccon-

ti”, “Miraggio”, “Aldo Cervo e gli odori della ter-

ra”, “Il poeta e l’emozione”, “Stralci di vita”, “Dol-ce sostare”, “Dilemma”, “Flusso di coscienza”,

“Desideri”, “Mi manchi”, “Perché tu non ci sei

più”, “Felicità era...”, “Scapoli e il suo dialetto”, “Paese”, “Castelnuovo, paese di canti e di suoni, di

miti”, “Voci del passato”. Lavori e saggi critici

sull’Autrice: “Antonia Izzi nella Critica” (Volume I), “Antonia Izzi Rufo nella Critica” (Volume II),

Enrico Marco Cipollini, “Invito alla lettura

dell’opera di Antonia Izzi Rufo”, Leonardo Selvag-gi, “Nelle opere di Antonia Izzi Rufo Poesia e Tra-

dizioni”, Aldo Cervo, “Antonia Izzi Rufo tra sog-

gettivismo lirico e neorealismo”.

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione), composti

con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,

attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-

nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-

tella si intende un foglio battuto a macchina da

30 righe per 60 battute per riga, per un totale di

1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-

to è necessario un contributo volontario. Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I libri, per recensione, vanno inviati in

duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito

www.issuu.com al link:

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