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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene- merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 24 (Nuova Serie) n. 4 - Aprile 2016 - € 5,00 ADRIANA ASSINI UN CAFFÈ CON ROBESPIERRE di Marina Caracciolo DRIANA Assini è una delle più note scrittrici italiane che si siano specializzate nel genere del romanzo sto- rico. Conosciuta anche all’ estero, soprattutto in Spa- gna dove il suo romanzo Le rose di Cordova (2007) è stato tradotto in castiglia- no da Mercedes González de Sande, docente di Filo- logia Romanza e Filologia Italiana nelle Università di Salamanca, Murcia e Ovie- do (presso quest’ultima, il libro è stato inserito fra le letture obbligatorie dei cor- si di Filologia Italiana) ha al suo attivo più di una dozzina di titoli, fra i quali possiamo ricordare i più recenti: Un sorso di arseni- co, Il mercante di zucchero e La Riva Verde, tutti editi da Scrittura & Scritture di Napoli. Nel caso di questo roman- zo appena uscito, Un A

Pomezia Notizie 2016_4

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA

Anno 24 (Nuova Serie) – n. 4 - Aprile 2016 - € 5,00

ADRIANA ASSINI UN CAFFÈ CON ROBESPIERRE

di Marina Caracciolo

DRIANA Assini è

una delle più note

scrittrici italiane

che si siano specializzate

nel genere del romanzo sto-

rico. Conosciuta anche all’

estero, soprattutto in Spa-

gna – dove il suo romanzo

Le rose di Cordova (2007)

è stato tradotto in castiglia-

no da Mercedes González

de Sande, docente di Filo-

logia Romanza e Filologia

Italiana nelle Università di

Salamanca, Murcia e Ovie-

do (presso quest’ultima, il

libro è stato inserito fra le

letture obbligatorie dei cor-

si di Filologia Italiana) – ha

al suo attivo più di una

dozzina di titoli, fra i quali

possiamo ricordare i più

recenti: Un sorso di arseni-

co, Il mercante di zucchero

e La Riva Verde, tutti editi

da Scrittura & Scritture di

Napoli.

Nel caso di questo roman-

zo appena uscito, Un →

A

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.2

All’interno:

Roma nel primo dopoguerra, di Emerico Giachery, pag. 5

Erri De Luca: parole in preghiera, di Ilia Pedrina, pag. 8

Dalla Cina mondo inquinato e Litchi in fiore, di Domenico Defelice, pag. 11

Uno scintillio di percorsi lontani, di Marina Caracciolo, pag. 14

Anche ai “Ragazzi di zinco” il Premio Nobel, di Luigi De Rosa, pag. 16

Francesco De Sanctis e la scuola, di Antonia Izzi Rufo, pag. 18

Giuseppe Leone e un’analisi intensa e magistrale, di Aida Isotta Pedrina, pag. 21

Gabriele D’Annunzio nella prima guerra mondiale, di Marina Caracciolo, pag. 24

Sabato Racioppi, di Leonardo Selvaggi, pag. 26

La mia Lèucade, di Nazario Pardini, pag. 31

Laura Pierdicchi: Oltre, di Tito Cauchi, pag. 35

Sull’irriducibilità del poetico, di Susanna Pelizza, pag. 37

Premio Città di Pomezia 2016 (regolamento), pag. 38

I Poeti e la Natura (Federico García Lorca), di Luigi De Rosa, pag. 39

Notizie, pag. 53

Libri ricevuti, pag. 55

Tra le riviste, pag. 57

RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (L’altro Regno, di Bozzetti Maria Rita, pag. 40); Tito

Cauchi (Odi impetuose, di Filomena Iovinella, pag. 41); Tito Cauchi (Bambini, di Anna Vin-

citorio, pag. 42); Tito Cauchi (World Poetry, di Zhang Zhi & Lai Tingjie, pag. 42); Tito Cau-

chi (Pagine erranti, di Emilia Bisesti, pag. 43); Tito Cauchi (Poeti italiani del nostro tempo, di

AA. VV., pag. 43); Tito Cauchi (Storia Postale Italiana, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 44);

Domenico Defelice (Oltre, di Laura Pierdicchi, pag. 44); Domenico Defelice (Matteo e il tap-

po, di Caterina Felici, pag. 46); Aurora De Luca (Bambini, di Anna Vincitorio, pag. 46); Eli-

sabetta Di Iaconi (Odi impetuose, di Filomena Iovinella, pag. 47); Paolangela Draghetti

(Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affinito, pag. 48); Paolangela Draghetti

(Bambini, di Anna Vincitorio, pag. 48); Paolangela Draghetti (Emozioni sparse al vento, di

Anna Trombelli Acquaro, pag. 49); Filomena Iovinella (È Oriente, di Paolo Rumiz, pag. 49);

Francesca Maiuri (Dignità e condizione della donna, di Adalpina Fabra Bignardelli, pag. 50);

Susanna Pelizza (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 50); Liliana Porro Andriuoli (La donna

di picche, di Rachele Zaza Padula, pag. 51); Francesca Tedeschi (Il dialetto della vita e Il so-

gno la vita la bellezza, di Pasquale Montalto e Domenico Tucci, pag. 52).

Lettere in Direzione (Emerico Giachery, Ilia Pedrina, Giuseppe Leone), pag. 57

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Rocco Cambareri, Colombo Conti,

Domenico Defelice, Luigi De Rosa, Elisabetta Di Iaconi, Nino Ferraù, Filomena Iovinella,

Giovanna Li Volti Guzzardi, Leonardo Selvaggi, Carlo Trimarchi

caffè con Robespierre, non ci troviamo nell’

epoca che l’Autrice ha sempre prediletto, in

bilico fra il basso Medioevo e il Rinascimen-

to, poiché qui la storia si snoda evidentemen-

te nella Parigi della Rivoluzione, e in partico-

lare tra il 1793 e il 1794, in pieno periodo det-

to del «Terrore».

Il Robespierre presente nel titolo, nella vi-

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.3

cenda compare soltanto in modo sfumato, ap-

pena di scorcio: di lui, capo carismatico del

governo rivoluzionario, si parla spesso, è ov-

vio, ma egli non è un personaggio che inter-

viene attivamente nella trama: poter sorseg-

giare un caffè, seduta in poltrona nel salotto

della sua casa, al 366 di rue Saint-Honoré,

ascoltarlo parlare dei suoi progetti di radicale

rinnovamento dell’amata Francia, è il sogno

forse impossibile della graziosa e rinomata

modista Manon Liotard, protagonista del ro-

manzo insieme a suo marito, Bertrand Blon-

del, il miglior cuoco in servizio alla reggia di

Versailles.

Con il ben noto talento rappresentativo e

scenografico di Adriana Assini, il romanzo

prende le mosse proprio attraverso gli occhi

di questa coppia di «umili». Sono loro due,

poi scortati da una manciata di personaggi se-

condari, lo specchio dei terribili avvenimenti

che la Francia sta vivendo, in uno storico

spartiacque dove il popolo e i potenti scrivo-

no una pagina che costituirà una pietra milia-

re, di cui, in seguito, dentro e fuori della

Francia, tutti, e in qualunque condizione poli-

tica, dovranno tenere conto.

La scena si apre il mercoledì 16 ottobre

1793, quando Maria Antonietta, l’odiata «au-

striaca», come la chiamavano i Francesi a cui

era invisa, o più semplicemente, per il Tribu-

nale della Rivoluzione, la vedova del già giu-

stiziato citoyen Capet, lascia la testa sotto la

lama della ghigliottina. È Bertrand che lo rac-

conta, tornando a casa da Piazza della Rivo-

luzione, stravolto e bianco come la cera. La

moglie Manon, donna eccentrica e un po’ in-

quieta, non condivide quella sua incondizio-

nata adorazione per una sovrana non solo

straniera, ma soprattutto superficiale, frivola,

politicamente insignificante come il suo inet-

to consorte, e del tutto indifferente ai proble-

mi dei suoi sudditi. Lei è stata invece rapita

dalla grande svolta, dalla fede giacobina, da

un mondo nuovo che si profila ormai eviden-

te, seppure ancora tutto da costruire: una so-

cietà più giusta e anche più felice, dove la

gente non dovrà soltanto curvare la schiena

sotto il peso di pesanti doveri, ma avrà diritti

fondamentali incontestabili e rispettati da tut-

ti.

Così, fin dalle prime pagine, si profila la

divergenza ideologica tra i due giovani pro-

tagonisti, una differenza di visuale che fini-

sce per contribuire ad allontanarli anche sen-

timentalmente, in un ménage coniugale piut-

tosto stanco, provato dalla noia di una vita

senza passione. Manon, che si consola di

nascosto con il giovane e affascinante poeta

rivoluzionario Jérôme, è ancora però molto

amata dal marito, anche se lei crede che la

sua principale, anzi esclusiva passione siano

le prelibate leccornie che sa preparare e di

cui conosce a menadito l’origine, i segreti,

le varianti, con risultati così eccellenti, dagli

antipasti ai dessert, da togliergli di mezzo –

diversamente dalla sua vita di coppia – qual-

siasi rivale.

Bertrand conoscerà il tradimento della mo-

glie quando il bel Jérôme avrà ormai offerto

anche lui la testa al boia; ma la delusione co-

cente, ingoiata e tenuta segreta, lo incoragge-

rà tuttavia a cercare fortuna in Italia, nel re-

gno dei Borboni di Napoli, dove accanto a un

re svogliato e istrione come Ferdinando, siede

Maria Carolina, figlia pure lei di Maria Tere-

sa d’Austria, di certo più fortunata ma non

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.4

molto diversa dall’infelice sorella Maria An-

tonietta nel darsi allo sperpero e ai trastulli.

Dopo un viaggio di quasi duemila miglia, il

malinconico Bertrand scopre la bellezza in-

comparabile del mare e il profilo imponente

del Vesuvio; ammira stupito il fasto degli edi-

fici barocchi; conosce il vociare frenetico e

allegro dei vicoli e dei mercati, è attratto

sempre di più da una gente esuberante, piena

di cuore, attaccabrighe ma sinceramente af-

fettuosa; e sopra tutto si impadronisce giorno

per giorno dei segreti della stuzzicante cucina

mediterranea, riconoscendo che nella sua in-

credibile varietà e fantasia nulla ha da invi-

diare alla squisita raffinatezza dei francesi.

Oltre all’amore segreto di Manon, e alla sua

fatale conclusione, e al viaggio in Italia di

Bertrand, non ci sono molte altre vicende

movimentate in questo romanzo: come si ad-

dice perfettamente ai gravi casi dell’ultimo

scorcio del secolo dei Lumi, qui soprattutto si

parla molto, si dialoga vivacemente al Caffè

Zoppi o al Cafè de Chartres, al Cafè des

Aveugles oppure al ristorante dei Frères Pro-

vençeaux. Si sfogliano i giornali commentan-

do le pagine di politica, si nominano Rous-

seau e Voltaire, si legge Chenier; si discutono

le idee dei girondini e dei sanculotti, si inter-

pretano i discorsi di Danton, di Hébert o di

Saint-Just; si deplora con rammarico l’atroce

e ingiusta condanna di Lavoisier, l’eminente

scienziato fondatore della chimica moder-

na…

E così la grande Storia, quella che un gior-

no sarebbe finita sui libri, prende vita e rile-

vanza sul fondale di un palcoscenico animato

in primo piano da umili e borghesi.

Da Napoli Bertrand invia lunghe ed entu-

siastiche missive all’ancora amatissima mo-

glie, e lei risponde confessandogli che sente

la sua mancanza ogni giorno di più. Lui con-

tinua a sperare che quella separazione, se non

li divide per sempre, li riunirà una volta per

tutte, e più saldamente di prima.

Nel penultimo capitolo è proprio Robe-

spierre, il grande assente di cui però si parla

quasi ad ogni pagina, a tornare alla ribalta con

la sua tragica fine. Quell’ambìto caffè, seduta

in poltrona a casa sua, faccia a faccia con il

suo idolo, Manon non potrà berlo mai. È lei

che scrive a Bertrand: «Tutto è compiuto. L’

uomo che non aveva mai visto il mare, che

combatteva contro un’idra dalle cento teste

per difendere i più deboli è stato giustiziato

come l’ultimo degli infami». E invero a Ro-

bespierre furono attribuiti dai suoi nemici mi-

sfatti che non aveva sottoscritto né tanto me-

no compiuto. Purtroppo il ritratto di lui con-

segnato ai posteri fu tratteggiato in parte pro-

prio da quella ligue des méchants, come egli

stesso la definì prima di morire, che l’aveva

condannato. E così ancor oggi non sono po-

chi a ritenere che Maximilien de Robespierre

(il quale – come puntualmente sottolinea l’

Autrice – in un rapporto alla Convenzione

aveva ribadito: «Vogliamo sostituire la mora-

le all’egoismo, il dovere alla convenienza, la

fierezza all’insolenza, la grandeur dell’animo

alla vanità») sia stato uno dei più temibili

criminali che la Francia abbia mai conosciu-

to. Se così fosse stato, non avrebbe mai avuto,

tra l’altro, l’incrollabile appoggio di un leale,

devoto sostenitore come il giovane, irrepren-

sibile idealista Louis-Antoine de Saint-Just,

decapitato insieme a lui.

Il romanzo di Adriana Assini – tanto sorretto

da un’accurata documentazione quanto per-

meato da una caleidoscopica inventiva – è

avvolto nelle ultime pagine da grandi delu-

sioni colme di speranze: Manon e Bertrand

forse si ritroveranno, in Italia o in Francia, in

un mondo di certo molto diverso dal prece-

dente. Un’intera epoca è ormai tramontata.

Per il momento la Rivoluzione sembra aver

mancato i suoi obiettivi, perdendosi negli ste-

rili conflitti delle opposte fazioni, nei perso-

nali interessi di potere, negli intrighi dei cor-

rotti, e mandando al patibolo proprio alcuni

dei suoi migliori esponenti. Ma in ogni caso

ha saputo condurre per mano la Storia

all’alba di una nuova era. I semi non sono sta-

ti gettati sulla roccia; e nulla, nei successivi

eventi, sarà mai più come prima.

Marina Caracciolo UN CAFFÈ CON ROBESPIERRE. Romanzo di Adria-

na Assini.(Scrittura & Scritture Editore. Napoli, marzo

2016; pp.184, € 13,50).

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.5

ROMA NEL PRIMO

DOPOGUERRA E UN

POETA CALABRESE

DIMENTICATO di Emerico Giachery

ON siamo in molti ormai a ricordare

il tempo, per noi straordinario, segui-

to alla liberazione di Roma e poi alla

fine della seconda guerra mondiale. Nel "pre-

ludio" di uno tra i miei libri più cari, Nostro

Ungaretti, con l'intento di dar testimonianza,

sopratutto ai giovani, su ciò che rappresentò

per la mia generazione un'opera come Il Do-

lore di Ungaretti, anche in virtù delle evoca-

zioni romane della centrale sezione Roma oc-

cupata, ho cercato di evocare lo stato d'animo

di un tempo, personale e storico, vissuto con

particolare emozione e intensità. Era un tem-

po in cui "l'etica (e il mito) della ricostruzione

univa e animava. Il recupero di valori a lungo

oscurati, l'ansia di risanare lacerazioni e frat-

ture col sentimento di una consolante conti-

nuità storica interrotta da tanto cataclisma:

tutto ciò risuonava nelle parole di molti che ci

parlavano e riconoscevamo maestri, e conso-

nava nei nostri cuori. A non pochi di noi, me-

no propensi di altri, per formazione e tempe-

ramento, alle passioni più pugnaci dell'azione

rinnovatrice, pareva (intanto) impegno quasi

religioso ritrovare il senso dell'antico umane-

simo europeo che si riproponeva in tutto il

suo prestigio. Tra le restrizioni di un'esistenza

davvero non consumistica, non poche furono

le notti liceali trascorse (raro dono, in quell'

immediato dopoguerra, la corrente elettrica)

al tremolio di candele e lumini a petrolio, a

scoprire momenti, sensi e messaggi dell'Eu-

ropa classica e cristiana. Quel tremulo lume,

lucula noctis, che accendevamo nelle tenebre,

ci dava la sensazione di lavorare nella dire-

zione dell'uomo, dell'uomo perenne. Un sen-

so vivo dell'uomo, soprattutto, chiedevamo

alla voce dei poeti d'ogni paese, a quell'ideale

Internazionale della Poesia che ci pareva il

fiore d'una civiltà". Nel primo dei Quaderni

internazionali di "Poesia" - di solito non ab-

bastanza ricordati - Enrico Falqui, che con

sagace autorevolezza li diresse tra il 1945 e il

1948, annunciò: "Sarà la voce dei poeti a soc-

correrci, quale concreta manifestazione di fra-

tellanza tra uomini di buona volontà". Poesia,

dunque, bellezza, cultura, umanesimo. Nel ri-

cordato preludio a Nostro Ungaretti aggiun-

gevo: "Gioia della scoperta di un monumento

di bellezza e di armonia, fosse quadro o piaz-

za o cattedrale, che arricchiva le nostre vite e

ci ridava il senso di una pienezza dell'essere

dopo tanta mutilazione e devastazione. Gioia

della scoperta personale di un libro, adocchia-

to e subito sfogliato in libreria, acquistato

quando si poteva: gioia che ci si comunicava

tra amici e sodali con una sorta di complicità

iniziatica. L'arca del libro sopravviveva al di-

luvio. L'arcobaleno della bellezza annunciava

l'illimpidirsi -finalmente -del cielo”.

Ragazzo innamorato di poesia, incontrai in

quegli anni magici persone disposte a riunirsi

e a mettere insieme una rivista, intitolata “Il

Cenacolo”, animata e diretta dal gentile e pu-

gnace Carlo Cassia, poeta, polemista in cam-

po artistico contro l’astrattismo che in quegli

anni dominava il campo. Tra interruzioni di-

verse, la rivista resisté qualche anno, e accol-

N

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.6

se le mie prime scritture stampate. Intorno al

"Cenacolo" si raccolsero giovani concertisti e

cantanti lirici (che si esibivano nei concerti

organizzati con frequenza dal nostro sodali-

zio)e artisti figurativi anche noti. Per esempio

i pittori Andrea Alfano, con la sua nostalgia

del Rembrandt degli autoritratti, presente an-

che come poeta, e Giuseppe Armocida, che

già aveva esposto sia alla Biennale di Vene-

zia sia alla Quadriennale romana, lo scultore

Alessandro Monteleone. Se ben ricordo, tutti

e tre questi artisti erano calabresi, come lo era

Giuseppe Selvaggi, scomparso di recente, che

era anche critico d'arte, amico e studioso del

corregionale Andrea Alfano, e che sarebbe

divenuto stimato giornalista parlamentare, te-

nendo anche desta in anni tardi un'antica vo-

cazione alla poesia.

Tra quanti frequentavano il “Cenacolo”,

una cordiale amicizia nacque con Mattia Sas-

sanelli, che aveva parecchi anni più di me, e

perciò non è possibile che abiti ancora questo

mondo. L’ultima volta che lo vidi, passeg-

giando e conversando insieme per le strade

dell’Esquilino, risale a non meno di trenta

anni fa. Mi scriveva ogni tanto dalla Riviera

di Ponente, in cui, con la gentile consorte Te-

resa Sala, sua ex allieva, si era ritirato, già

molto avanti negli anni, ma sempre giovane

d'animo e assetato di vita e di bellezza. Non è

facile tracciarne un ritratto. Appassionato,

candido, della natia Calabria aveva serbato il

poetico ricordo, ma non certo l'accento: non

per nulla era stato insegnante di dizione e di

ortoepia. Molto legato alla vita musicale, ri-

cordava con piacere di essere stato discepolo

al conservatorio nientemeno che di Francesco

Cilea, e di aver avuto cordiale amicizia con

quel grande e quasi dimenticato direttore

d'orchestra che fu Antonio Guarnieri, padre

della nota attrice Anna Maria. Fu anche basso

lirico (ebbi occasione di ascoltarlo al Teatro

dell'Opera di Roma nella parte di Maurizio

nei Quattro rusteghi di Ermanno Wolf-

Ferrari), ma la sua attività principale fu quella

di docente di letteratura drammatica e poetica

nei conservatori di Stato. Svolgeva anche,

con libero estro, attività di musicologo. Ma

non meno che alla musica era legato alla poe-

sia, congiungendo a volte le due arti nel “me-

lologo”, la cui natura ("un recitare parafrasato

musicalmente") e storia aveva sintetizzato in

una breve nota apparsa sul “Cenacolo”. Con

particolare slancio si dedicava a diffondere la

poesia contemporanea italiana con recitals

poetici sapientemente orchestrati ed eseguiti,

che andava presentando in tournées in Italia e

all'estero, tanto da meritare l'appellativo di

"ammirevole araldo di poesia", formulato da

Giorgio Vigolo. Aveva conosciuto non pochi

poeti: dall'abruzzese e dannunziano Ettore

Moschino, di cui a volte mi parlava e che

considerava tra i suoi maestri, a Paolo Buzzi,

di cui fu amico, da Piero Jahier a Corrado

Govoni, al quale dedicò una poesia per il fi-

glio Aladino ucciso alle Fosse Ardeatine, da

Diego Valeri a Salvatore Quasimodo a Carlo

Betocchi, da Giuseppe Villaroel a Renzo

Laurano. Fu lui a mettermi in contatto col

poeta e narratore modenese Guido Cavani,

suo buon amico, che aveva appena ripubbli-

cato per i tipi di Feltrinelli il bel romanzo

"appenninico" Zebio Còtal, al quale dedicai

un articolo-saggio, scritto in una lontana pri-

mavera sul Pratomagno e pubblicato su "Bel-

fagor".

Questo snello e fervido gentiluomo all'anti-

ca, apparteneva allo stampo raro e meravi-

glioso dei puri di cuore: fedele ai valori cri-

stiani e anche a certe sofferte memorie (tra-

smessegli dalla generazione dei padri) della

Grande Guerra. Di lui ricordo anzitutto i

grandi occhi chiari, spesso sgranati a stupore,

di irriducibile fanciullo. "Occhi spazzaturai",

come li definì egli stesso in una poesia, così

poi postillando: "occhi fermissimamente pro-

tesi nella cerca della bellezza e pertanto

(=spazzaturai) fermi eliminatori di tutto ciò

che è brutto e volgare". Nel volume Tempo di

giostra, edito da Rebellato nel 1974, Sassa-

nelli raccolse un'esperienza ventennale (1954-

1974) di assiduo lavorio sulla parola poetica.

Ricca di motivi e di movimento, la sua poesia

fu spigliatamente linguaiola e immaginifica, a

volte spavaldamente preziosa, non immune

da suggestioni futuristiche e govoniane (la

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.7

frequentazione di Buzzi e Govoni aveva la-

sciato in lui qualche traccia), in un impasto,

comunque, molto personale, di cui l'accesa

destrezza del dicitore sapeva mettere in valo-

re effetti e riflessi. Chi mai avrebbe scritto,

negli anni Settanta, in uno stile e in un lin-

guaggio come quello del commiato al suo li-

bro di versi? Ecco la conclusione:

“Nel mio immaginifico tragetto io trèpido ora per

voi che svirgolate voli sbussolati e ribelli al delirio delle risonanze, al levigato concertismo della paro-

la, al bisbigliare agro-dolce della tematica allusiva,

al futile telaio di sentimenti a prestito, alla rumina-zione, infine, dei cerebrali a vita. Io so questo, miei

versi, e vi precedo nella cieca caduta delle vanità,

presso il frantoio infrenabile del tempo. Pure ho fe-de ancora bastevole a suggerirvi: non ripetete più di

quanto il respiro non riveli l'ansia; sappiate l'umiltà

di ciò che sopravvive a voi stessi e a me; non de-gradate, con la dolce follìa dei segni, il sofferto e il

goduto insieme, nel rotare vario dei fantasmi in ga-

ra con la vita maestra. E perdonate le mani, queste

mie mani (forse ancora inesperte) che vi hanno trat-

to a deriva di un sogno, inventandovi un volto che rincorro a fatica, come la foglia che scalando il ven-

to cancella perfino il suo saluto”.

Almeno un piccolo specimen della sua poesia

vorrei qui trascriverlo. Sceglierò (scelta non

del tutto facile) la prima parte di Vidi le viole,

in cui rende visita alla salma del suo amico

Alfredo Casella, l’insigne musicista appena

deceduto:

Vidi le viole con la testina versa

sulle severe in croce mani del morto

forse sognanti tastiere celestiali:

E un lenzolaccio giallo dilavato là

fin sotto al collo del mio amico vidi

stiracchiato alla meglio!

Nella penombra inginocchiate ombre

delle suore monfortane sfiatano preci

affumicate dal nerume dei ceri

stracotti di calore: oh dove affonda

il nostro e l'altrui massimo dolore!

Io fantasticavo biasciando un requie

mentre il mio morto fingeva di ascoltarmi

e lui invece mi zittiva col silenzio ...

Emerico Giachery A pag. 5, foto di Emerico Giachery

Case di Anoia (Reggio Calabria) in due chi-

ne di Domenico Defelice del 1961

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.8

ERRI DE LUCA: PAROLE IN PREGHIERA

AL VITTORIALE

DEGLI ITALIANI di Ilia Pedrina

L teatro è quello interno a Villa Mirabella,

al Vittoriale degli Italiani. L'occasione è

data da un intento reso progetto reale e

chiamato 'LE SORTI DELLA BELLEZZA',

ideato e portato a compimento in sinergia,

con alla guida Giordano Bruno Guerri. Erri

De Luca e il Canzoniere Grecanico Fiorenti-

no trovano spazio ed accoglienza empatica

sul palcoscenico dell'Auditorium: Mauro Du-

rante, voce-percussioni-violino, scandisce il

percorso dei suoi musici, Emanuele Licci,

voce-chitarra-bouzouki, Maria Mazzotta, vo-

ce-percussioni, Giancarlo Paglialuga, voce-

tamburello, Massimiliano Morabito, organet-

to, Giulio Bianco, zampogna-armonica-flauti-

fiati popolari. Al poeta basta una semplice

seggiolina, che si apre e chiude, perché quan-

do lui non è lì, al suo posto c'è Silvia Perrone,

danzatrice scalza. A ridosso di due canti in-

troduttivi lui si offre con la semplicità che lo

incarna da sempre, perché è impastata con la

condivisione della fraternità, nella gioia come

nella sofferenza. Dice che le parole hanno

nella musica un potente mezzo di trasporto:

se lui avesse 'cantato' il suo convincimento

dalla parte dei NOTAV, non sarebbe stato ac-

cusato di 'istigazione a commettere reati', fino

a finire in tribunale. '...La musica riesce a

prendere le parole e a renderle intoccabili, il-

lese, non attaccabili dal codice penale. Anche

questo può fare la musica...'. Ribadisce con

determinazione che Napoli non è una città del

Sud, Napoli, città di tufo posta tra due vuoti,

sopra e sotto, ha duemila e cinquecento anni

di storia, che essa dipende dall'Est, perché è

stata fondata dai Greci, poi occupata dagli

Spagnoli, venuti dall'Ovest, da altre genti, ve-

nute dal Nord '...Napoli è un concentrato di

punti cardinali...'. Ma il suo centro è il Medi-

terraneo: Erri De Luca sostiene che deve tutto

al Mediterraneo: 'Io mi riconosco debitore di

tutto al Mediterraneo, tutto quello che ho e so

proviene dal Mediterraneo, tutta la mia civil-

tà, la civiltà alla quale sento di appartenere.

Le architetture, le astronomie, le filosofie, i

teatri, perfino le religioni, anche quella ulti-

ma, monoteista, definitiva, proviene dal Me-

diterraneo...'.

L'emozione sale quando Erri ci legge di sé

bambino e della sua esperienza con la bimba

oltre il vuoto pieno d'aria e di polvere, al di là

della strada, in via Monte di Dio a Napoli,

mentre stanno demolendo a colpi di picconi,

dall'alto verso il basso, il palazzo vecchio di

fronte: se i 'munacielli' sono gli spiriti dei

morti in generale, la lingua napoletana ha un

termine preciso per i morti bambini, 'pacchia-

nelle', gli dice la sua nonna, che sull'argomen-

to è esperta come un'antropologa delle cose

misteriose: lui riesce ad intercettare lo sguar-

do della bambina portando il riflesso del sole

nel frammento di specchio che tiene tra le

piccole mani fino colpire i propri occhi, acce-

candosi per un istante. Quando il palazzo sarà

I

Page 9: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.9

demolito completamente, la bambina non ap-

parirà più: verrà sostituita dalle lettere, d'una

o di tante lingue non importa, basta che le pa-

role con esse formate arrivino al cuore come

calore di vita e ci facciano ciechi, per un

istante, in luce piena.

L'alternarsi dei canti, della musica danzata

in ritmi arrotati e vitalissimi, delle sonorità

che si espandono nello spazio circostante, alla

voce di Erri De Luca, che legge ancora dal

suo libro 'Solo andata', e che si dona a tutti in

una semplicità, per narrare del mondo e dei

suoi soprusi attraverso le parole, che sono la

sua vita e il suo respiro rende questa espe-

rienza carica di forza, d'arte, di valore. Il tem-

po si ferma in questo moto ondulante e sono

solo loro, le parole, dette o in canto che siano,

a darne la scansione. Non c'è tempo altro che

si possa esperire. Allora, quando la carica

emotiva di chi ascolta arriva alla giusta tem-

peratura, il poeta dona a memoria la sua pre-

ghiera laica, in piedi, come un segno rituale

di rispetto di fronte al sacrificio:

“Mare nostro che non sei nei cieli

e abbracci i confini dell'isola e del mondo,

sia benedetto il tuo sale,

sia benedetto il tuo fondale,

accogli le gremite imbarcazioni

senza una strada sopra le tue onde,

i pescatori usciti nella notte,

le loro reti tra le tue creature,

che tornano al mattino con la pesca

dei naufraghi salvati.

Mare nostro, che non sei nei cieli,

all'alba sei colore del frumento,

al tramonto dell'uva di vendemmia,

ti abbiamo seminato di annegati

più di qualunque età delle tempeste.

Mare nostro che non sei nei cieli,

tu sei più giusto della terraferma

pure quando sollevi onde a muraglia

poi le abbassi a tappeto.

Custodisci le vite, le visite cadute

come foglie sul viale,

fai da autunno per loro,

da carezza, d'abbraccio, bacio in fronte,

di padre e madre prima di partire.”

Erri De Luca va dentro nelle cose con tutto

se stesso ed anima il mondo con il suo respi-

ro: si porta addosso la poesia come una luce

fatta di segni che danno immagini, fatta di

energia che dà calore, fatta di vento che dà vi-

ta. L'indifferenza è il peggior sopruso che

possa essere fatto alla sua parola. Ma ognuno

ha il suo tempo, per nascere un'altra volta alla

vita. Quando lo incontrerò, gli chiederò anche

del GiGi veneziano: mi regalerà parole d'e-

sperienza ed il suo volto in storie vere.

Tornata a casa, ricerco e trovo senza diffi-

coltà il suo piccolo libro 'In nome della ma-

dre', non soffocato tra i mastodonti della Col-

lana Bompiani sul pensiero occidentale: ha

sempre preteso spazio, poco ma teso a farsi

leggere. E così è stato, il 9 marzo, perché la

donna in festa non dura un giorno solo. Entro,

lo attraverso e mi commuovo ad ogni stanza

perché Erri si fa qui Myriam/Maria, che di-

venta la sua prima persona. Segno gli endeca-

sillabi che nella sua prosa si fanno riconosce-

re come ritmo privilegiato. Nel risvolto di co-

pertina lui dice: 'L'adolescenza di My-

riam/Maria smette da un'ora all'altra. Un an-

nuncio le mette il figlio in grembo. Qui c'è la

storia di una ragazza, operaia della divinità,

narrata da lei stessa...' (Erri De Luce, 'In no-

me della Madre', ed. Giang. Feltrinelli, 2008).

In nome di quella Madre, portandola senza

sforzo nella sua stessa carne, egli eleva un

'Canto di Myriam/Maria

Di chi è questo figlio perfetto,

chiederanno frugandolo in viso,

di chi è questo seme sospetto,

la paternità del suo sorriso?

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.10

È solamente mio, è solamente mio,

di nessun'altra carne, è solamente mio.

È solamente mio, è solamente mio.

È solamente mio, è solamente mio,

finché dura la notte è solamente mio.

Chi è questo figlio cometa?

Chi è questo mio clandestino?

Spillato da fonte segreta,

venuto al travaso del vino?

È Solamente Mio, è Solamente Mio,

il suo nome stanotte è Solamente Mio,

È Solamente Mio, è Solamente Mio.

Domani avrà altro nome, adesso è Solamente

mio.'

(Erri De Luca, op. cit. pag. 78)

Allora ascolterò spesso, da sola, nella regi-

strazione che ho fatto, anche la sua voce, nel

nome del padre, della madre, del mare nostro,

che non sta nei cieli. Una memoria orgogliosa

del suo farsi sentire: la sua voce mi caricherà

di dignità, mi vincolerà al Meridione con lac-

ci ancor più saldi, mi permetterà di entrare nel

ritmo dei millenni, nei passi delle danze a

piedi nudi, nei timbri e nelle voci che riem-

piono di sole ogni notte.

Ilia Pedrina Le foto sono di Augusto Rizza

COSÌ LA VECCHIETTA

DALL’ “ALTO”

Vidi il mio viso solcato

da una prima ruga,

una seconda, una terza,

un intreccio di scavi

che l’immagine alteravano;

colorarsi i capelli di “cacio e pepe”

e coprirsi infine

d’un candido manto di raso.

E non era ancora vecchiaia!

La mia voce decisa, argentina,

si fece d’un tratto stridula,

inceppante;

col pungolo i miei passi

si alternavano:

dovetti appoggiarmi al bastone;

gli occhi vedevano a stento,

debolissimo era l’udito;

puntuale arrivò anche l’incontinenza.

E non era ancora vecchiaia!

Cominciò la memoria a vacillare:

dimenticavo, confondevo,

stentavo a ricordare,

a trovare i termini propri.

Era già vecchiaia?

Ed ecco l’immobilità,

il pianto e rimpianto della vita

che s’andava stancando di me,

la mente che s’annebbiava,

la ragione che in demenza (Ahimè!)

s’andava cangiando.

Era arrivata, trionfante, la vecchiaia!

Ma io non me n’ avvidi:

ero immersa nei sogni,

già volavo verso l’IGNOTO,

nel mio viaggio senza ritorno.

Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno (IS)

VARUNA

Solo le mani parlano

in questo luogo di silenzio

in cui ricerco lo spirito.

Brezza fresca non alita il vento

ma vibrazioni sublimi.

È l’essenza del nettare

che mi nutrirà oltre i confini del razionale.

Dalle ginestre scomparirà l’amaro,

dalle rose toglierò le spine.

Fragranza su fragranza

accenderà i tramonti,

mentre il sentiero dell’abbondanza

il discernimento indicherà.

Svanirà così il turbamento del possesso,

la materia si farà luce.

Camminerò a piedi scalzi

lungo i confini dell’oceano

ove Varuna regna con i suoi figli.

Infinite goccioline d’acqua,

il senso dell’unione…

Tra nuove vite che nascono.

Colombo Conti Albano Laziale

Page 11: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.11

DALLA CINA

MONDO INQUINATO

E LITCHI IN FIORE di Domenico Defelice

ORLD Poetry Yearbook 2014 è

una grossa antologia (26,5 x 17)

curata da Zhang Zhi (in arte Dia-

blo) e da Lai Tingjie, che contiene 263 poeti

di ogni parte del mondo.

I gruppi più numerosi sono quelli della Cina

(15 autori), degli USA e dell’India (13), della

Bulgaria (10), dell’Italia (9) e della Grecia e

dell’Ucraina (7).

Fuori testo, ben 12 pagine a colori dedicate

al pittore cinese Tan Jun, la cui arte magmati-

ca, dalle figure e dai paesaggi che sembrano

decomporsi, ha un particolare fascino. Tan

Jun ha fatto molti studi e ha esposto in diver-

se città della Cina, a Chonqing-Sichuan,

Hong Kong, Singapore, in Europa, nel Nord

America (San Francisco) eccetera.

Delle sue opere qui riprodotte colpiscono,

in particolare, le figure: un corpo femminile

visto di spalle, semisvestito, e una coppia di

ballerini, che si confondono con l’ambiente,

anzi, che nell’ambiente sembrano sciogliersi;

e poi i fiori e i paesaggi tormentati, dei quali,

il meno drammatico è quello riprodotto in

prima di copertina.

Ma Tan Jun è anche poeta; ha pubblicato

The Body Forward (Cinese-Inglese) e in que-

sta antologia è presente con tre liriche: “A

Few Fingers to Close”, “Joy at Midnight” e

“Lie” (Bugia), nella quale ultima scrive, fra l’

altro, che “La verità non ha bisogno di essere

confezionata/La bugia/in abbagliante aurea

rende vuote le promesse/di essere onesti”...

Del principale organizzatore e curatore

dell’antologia: Zhang Zhi, vogliamo eviden-

ziare la sua lunga poesia “Il mondo è ondeg-

giante in un binocolo” (The World Is Swaying

in a Binoculars), nella quale, in otto brevi

lasse, scrive, anche con un pizzico di ironia,

della nostra terra fortemente inquinata di

“sperma, scorie nucleari, eroina, sangue e

AIDS”; un mondo a tratti personificato, che è

“come un agnellino smarrito/in piedi a un bi-

vio” e che, “Affilando il coltello” sgorbia “la

sua propria carne/giorno e note”.

1.

Il mondo, sporcato

da spazzatura, sperma, scorie nucleari, eroi-

na, il sangue, l’AIDS,

non potrà mai essere pulito.

2.

Guarda! Il mondo è entrato in KTV camera

noleggiata

Chissà che bella bestia

deliziosamente gemere

di nuovo sotto i suoi fianchi

questa notte, mondo dannato sarà sicuramen-

te giocar duro

- È anche OK

se si immagina la scena

di essere la Terza Guerra Mondiale.

3.

I fiumi corrono a est

per andare a ovest

Il mondo è come un agnellino smarrito

in piedi a un angolo

chiedendo robot in direzione nord sud

W

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.12

“A chi ci si inginocchia, signore?”

4.

Il mondo applaude per i politici con i piedi

I politici bagnano il mondo di sangue.

5.

Il mondo non può vedere chiaramente le no-

stre facce

forse non ce l’abbiamo il viso

“Possiamo essere spudorati dal momento che

siamo senza volto”

così ha detto un determinato maledetto artista.

6.

Il mondo sta agitando il suo pene

urlando sulla sommità dell’edificio delle Na-

zioni Unite

“Ecco, è grande”

In realtà, la scorsa notte

costui mi sussurrò nel sogno

“Signore, il mio pene è di qualche utilità”

7.

Il mondo non ha fretta

Il mondo non ha paura

Il mondo è andato sotto la ruota della storia

ma il sangue non è gorgogliato

Chi ha visto il sangue vero

8.

Affilando il coltello, il mondo

ha fatto scempio della propria carne

giorno e notte. Scarsità

canta una canzone eterna in una goccia di

sangue

“Crema del seno-grasso ingrassa il seno, non

la cintola”

Diablo è nato a Phoenix Town nella contea

di Baxian, Sichuan, nel 1965 ed è un impor-

tante poeta e critico della Cina contempora-

nea. Il suo nome originale è Zhang Zhi e il

suo nome inglese è Arthur Zhang. Laureato in

letteratura e in diverse altre professioni, è pre-

sidente dell’International Poetry Translation

and Research Centre, editore della rivista The

World Poets Quarterly (multilingual). Nume-

rose le sue opere ed i premi conseguiti, come

le onorificenze e gli incarichi di prestigio.

Il secondo curatore, editore in-chef: Lai

Tingjie è un poeta più intimista e discorsivo.

Ha versi brevi e lunghissimi, irregolari, nei

quali canta l’amore. Il gruppo di poesie qui

ospitate (“Events in Land of Litchi”, “My

Love in the Land of Litchi”, “In the Litchi

Garden of Han People Slope”, “The Real

Charm of a Village Girl” “Litchi Flowers

Dancing and Falling”), ha per protagonista un

ciliegio della famiglia Sapidaceae, unica nel

suo genere, pianta tropicale e subtropicale, il

cui frutto fresco ha una polpa bianca, delicata

e profumata. Il rapporto Litchi-ciliegia-

ragazza è spontaneo e gli suggerisce molte

immagini ad effetto, evocatrici.

Vi manca la primavera. Il fiori del litchi sono

bianchi

Nessuno può bloccare la fragranza nel mi-

dollo

Nessuno può ostacolare il vostro cuore, con

l’oscurità della vita

Scorrendo i campi della terra dei litchi

I fiori già fioriti, si sforzano per rifiorire

L’amore che ha amato, si sforza per amare di

nuovo

Amici cari, vi prego di credere

nel calore della vita

È bene che sia rosso. Gli agricoltori Litchi

dicono

Di questa molla nella vita

Di tal raggio di luce, che può maturare

Chi può costringerci a indietreggiare, con un

fulmine

L’affascinante sorriso sulle labbra?

Chi può con amarezza, influenzarti

La dolcezza persistente sulla labbra?

Accogliendo sotto il sole, accogliendo

nel favo dolce delle api

I fiori litchi, tu conosci i venti e le nuvole scu-

re dietro il tempo

Sai meglio, al di sopra della tomba fiorita

Qual è il vero fascino di una ragazza del vil-

laggio.

(The Real Charm of a Village Girl)

Lai Tingjie è nato nel 1970 a Maoming,

provincia di Guangdong ed è un famoso poe-

ta, scrittore calligrafo e musicista contempo-

raneo cinese, premiato. Membro dell’ Asso-

ciazione Scrittori Cinesi, ha pubblicato lavori

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.13

a partire dal 1982.

Non è possibile interessarci di tutti i poeti

antologizzati (i cui nomi, però, vengono dili-

gentemente riportati nella rubrica “Libri rice-

vuti” in questo stesso numero), ma è dovero-

so segnalare coloro che sono stati o sono tut-

tora nostri valenti collaboratori, come Tere-

sinka Pereira, Nadia-Cella Pop, Adolf P.

Shvedchikov eccetera e gli italiani amici Cor-

rado Calabrò, Elio Andriuoli, Tito Cauchi.

Domenico Defelice Zhang Zhi & Lai Tingjie - World Poetry - Year-

book 2014 - 263 Poets 100 Countries and Areas -

The Earth Culture Press, 2015 - Pagg. 428, USD 60,00 Euro 50,00

COME UN FIORE

Quando il vento soffia su di me,

mi porta il polline tra i capelli

che s’infiorano di colori

e svolazzano morbidi nel sole,

che spunta all’improvviso

cacciando via le nuvole.

Come un fiore mi vesto di profumi

e corro spensierata verso i campi,

che di fiori multicolori son dipinti,

per regalare a tutti la voglia

di giocare all’aria pura,

con il vento che accarezza la natura.

Con il cuore che sobbalza

per l’incanto che l’avvolge,

vado cercando il rosa dell’alba

e non sento più il soffio del vento,

l’alba ha colorato il firmamento

e dalla gioia è scappato via il vento.

Il sole dolcemente mi accarezza,

il vento si è trasformato in lieve brezza,

le rondini arrivano cinguettando,

è la primavera che gioiosa sta cantando,

la natura insieme a me è in festa

ed io volo con le rondini senza sosta.

Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori

(A.L.I.A.S.)

NUBI ARDENTI

Nubi ardenti

impalcano il cielo.

Radenti sibili,

brilla la morte,

lava di fuoco

sotto oscuro manto.

Fertile vita

dopo distruzione.

Rinnegato sono

da questa terra

che accolse e svanì

transumanti genti,

retaggio di antichi peccati

che il bene mai curò

tra granelli di deserto.

E manna al vento

lì…

Per nutrire lo spirito

tra arsure di bocche

in cerca di pace.

Colombo Conti Albano Laziale

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.14

UNO SCINTILLIO

DI PERCORSI LONTANI di Marina Caracciolo

ITTORIO Alfieri – grande e irrequie-

to viaggiatore, e in ciò ben diverso,

per es., da Giacomo Leopardi, che

invece fu piuttosto un promeneur spirituale e

fantastico – ebbe a dire che il viaggio è gio-

vevole sopra tutto «a conoscer se stessi e gli

altri in parte».

Ebbene, il significato del verso alfieriano si

rispecchia perfettamente in questo recente li-

bro della poetessa Imperia Tognacci. Suddi-

viso in sette episodi, è un lungo viaggio in

Medio Oriente che si spinge dalla Giordania

fino al lontano porto di Aqaba. Un itinerario

che passo a passo si imbeve di tutta la gran-

diosa bellezza del deserto – simbolo, come il

mare, della vita e dell’infinito – e nel con-

tempo filtra, assimilandola, un’esperienza

inestimabile, intimamente umana, che collega

il Sé individuale all’Uomo («siamo parte di

un progetto /nascosto tra gli spazi degli even-

ti») e alla Storia.

Scrive nella prefazione Andrea Battistini:

«Non a tutti è dato di essere stati “Là, dove

pioveva la manna“, ma l’obiettivo della rac-

colta è di consentire che attraverso l’ espe-

rienza singola della viaggiatrice i lettori rive-

dano se stessi, si guardino con sguardi diversi

e inattesi. In altri termini bisogna che, con l’

aiuto della poesia, si arrivi a scorgere le cose

con occhi nuovi […] attraverso una prospetti-

va che ottativamente aspira all’eterno, ovvero

all’«irrisolto mistero dell’altrove».

Entrata a passi lievi, come pia e antica pel-

legrina, in questo mistero, l’autrice annoda

una delicatissima trama di immagini, sugge-

stioni, consapevolezze, memorie, speranze.

Intanto, il viaggio verso luoghi mitici e lonta-

ni, fra sabbie infuocate e gelidi cieli stellati,

acquista il volto del divenire del Tempo che

non ha pace e non può dar pace, mentre si

converte in trasparenza nel senso del dolore e

dell’umana fragilità, nel lento volgere della

vita e della morte.

Ma ciò che sembra prevalere nei versi di

questo poemetto, costituendone senza dubbio

uno degli aspetti più attraenti, è il fascino del-

la Storia, delle sue meravigliose impronte,

sempre vive ed eloquenti, da tempi immemo-

rabili, allo sguardo dell’Uomo di oggi («ba-

luginare di un passato/che riemerge, mentre

il tempo/corre e discorre come il vento»): non

è Storia degli altri, appartenente ad un tempo

estraneo e concluso che ci lascia indifferenti;

è proprio nostra, poiché dilaga nel nostro es-

sere come una linfa invisibile e perenne, e ci

annoda alle orme solenni e misteriose di civil-

tà primordiali…

Tutti e sette gli episodi di questa trama poe-

tica sono costantemente investiti da un vento

avvolgente e turbinoso, che spira in realtà dal

deserto, ma che di continuo si muta, come per

incanto, in soffi di vaghi e mutevoli pensieri,

nell’incessante procedere dei passi:

Tra fragili pendii di dune,

nell’oblio del tramonto,

le preghiere di antichi pellegrini

rinascono nell’anima ad arginare

l’umana inquietudine.

Intrecciano le loro dita alle nostre

arcaici popoli presenti nei graffiti,

nelle petrose tombe, nelle antiche

impronte, fra torce riaccese

per il nostro pellegrinare.

Nel variare del vento, che sibila

tra gole di rocce, consumiamo

passi risalendo erte petraie.

In trasparenze d’aria, lunghe file

verso l’irrisolto mistero dell’altrove.

Nel difficile peregrinare su primitivi sentie-

ri, il piede stanco e l’anima assetata anelano

alle oasi, ai pozzi d’acqua, alla quiete che ri-

stora dal lungo cammino.

Ed ecco che, analogamente, nella stessa se-

duzione dell’esodo, in quella volontà mede-

sima di uscire dal labirinto delle consuetudini

(«…volare oltre l’orizzonte /dei quotidiani

limiti») e di fuggire lo squallore dell’

Alltäglichkeit (Heidegger) per riscoprire e ri-

conquistare una terra promessa che sembrava

ormai perduta, si insinua ora la spina pungen-

te della nostalgia, l’ansia febbrile del ritorno

V

Page 15: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.15

(νόστος). Il viaggio è «spogliazione di ritmi /è

avanzare, sostare e ripartire», scrive l’ Au-

trice. Come il mitico Ulisse ritorna alla sua

Itaca dopo lungo errare; come, avvolta nel

suo manto di mistero, la regina di Saba ritor-

na con le sue carovane, più ricca di doni e di

saggezza, da Gerusalemme al suo lontano re-

gno, così la poetessa ritorna alle sue radici, al-

le sue stanze, alla sua vita di sempre. I viaggi

finiscono, come finiscono anche i sogni; ma,

a differenza di questi, essi incidono in noi dei

solchi assai più profondi. Non sono effimere

le riflessioni, gli incontri, le visioni, i fruttiferi

germogli di sapienza che un viaggio ha potu-

to suscitare. Rinunciare, sarebbe stato come

voler «passare accanto /ad un pozzo e non

bere». La poetessa ha voluto udire di persona

la voce dei saggi, ha annusato curiosa spezie

e profumi d’Oriente; ha voluto «su venature

di rocce /léggere lo scorrere dei millenni».

L’esperienza rivissuta nella rifrazione cri-

stallina della parola poetica arricchisce di un

nuovo e più ampio orizzonte la sua visione

del mondo. Essa è consapevole che nulla sarà

perso o dimenticato mentre, ancora «vestite di

sole», si dileguano le rive da cui infine si al-

lontana; quando ormai «batte alla porta del

cielo una nuova alba», forse portatrice di al-

tre affascinanti avventure.

Marina Caracciolo Là, dove pioveva la manna. Poesie di Imperia To-

gnacci. (Prefazione di A. Battistini. Postfazione di

A. Manitta. Ed. G. Laterza, Bari, 2015; pp. 80, €

12,00. In copertina, acquerello dell’Autrice: Il de-serto giordano Valle della Luna).

LUCE

C’è un dono, normalità

che non si nota

negli scaffali del mondo

viene riposta e spolverata

viene guardata e riguardata

viene persino annoverata.

C’è un dono, abitudine

che non si nota

solo essenza di genuinità, sei

che non può che restare ferma

perché voce

perché senso di regolarità, sei

a cui il mondo oggi

non può guardare

rispecchiarsi è chiedere troppo

luce, troppa luce dalla finestra.

Filomena Iovinella Torino

MATTINATA SUL MARE

S'è levata dal mare una colomba

in un cielo incolore.

All'orizzonte una nave bianca,

delicata come un'ave.

L'acqua tremula fra le mie palme

riflette il sole nascente.

L'anima corre, inebriata,

ed il mare, rosso

rumoroso fanciullo,

vuole ghermirla.

Natura e mondo umano, un miracolo

precario di armonia...

Si levano stormi di gabbiani

e fiochi gridi per l'infinito

azzurro.

Luigi De Rosa ↓Una china di Domenico Defelice (1973)

Page 16: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.16

ANCHE AI

“RAGAZZI DI ZINCO”

DELLA BIELORUSSA

SVETLANA ALEKSIEVICH

IL PREMIO NOBEL

2015/2016 Il lavoro della “giornalista” inte-

grato da quello della “scrittrice”

(Ma la stampa russa contesta il

Premio...) di Luigi De Rosa

EL numero di gennaio 2016 di “Po-

mezia Notizie” ho parlato del nuovo

Premio Nobel per la Letteratura

2015-2016. In particolare ho posto l'accento

sul suo libro “Preghiera per Cernobyl”, che

rievoca il noto disastro nucleare di Cernobyl

del 1986.

Questo mese desidero ricordare un altro dei

cinque libri fondamentali che hanno permes-

so alla giornalista-scrittrice bielorussa Svetla-

na Aleksievich di vincere il Premio Nobel, e

cioè “Ragazzi di zinco”, edito dalla E/O di

Roma.

La Aleksievich è nata in Ucraina nel 1948

ma è bielorussa e scrive in lingua russa.

Ha studiato all'Università di Minsk e si è

laureata in giornalismo. Prima ha lavorato

come insegnante (seguendo l'esempio dei

propri genitori, insegnanti nelle scuole rurali)

poi si è tuffata nel giornalismo. Ha lasciato la

Bielorussia nel 2000 perché il regime l'accu-

sava di essere una spia della C.I.A. in inco-

gnito. Fino al 2011 ha vissuto in Europa, tra

Parigi, Gotheburg in Svezia e Berlino. I primi

tempi, dal 2000 al 2002, anche in Italia, a

Pontedera (Pisa) come “intellettuale rifugiata

politica”.

E' conosciuta a livello internazionale per i

suoi libri-reportage che, con indubitabile co-

raggio, hanno indagato su “aspetti oscuri e

ambigui” della Russia nel trapasso dal Co-

munismo al Post-Comunismo.

Il libro Ragazzi di zinco si occupa delle vi-

cende di migliaia di giovani (e giovanissimi)

soldati sovietici restituiti alle rispettive fami-

glie mutilati o distesi in casse di zinco, a causa

della decennale e disastrosa guerra in Afgani-

stan degli anni Ottanta, combattuta ( e persa) “

per difendere le frontiere meridionali dell'U-

nione”. Guerra prodromica allo sfascio, de iu-

re, dell'Unione Sovietica, che ha lasciato il po-

sto alla C.S.I., Comunità Stati Indipendenti.

Da conversazioni in attesa dell'aereo per

Kabul o in volo sulla città: “Prima spari e poi

ti rendi conto se era una donna o un bambi-

no...A ciascuno il suo incubo...” “ Cosa potrei

fare in Russia ? La prostituta ? Ormai lo sap-

piamo. Se almeno riuscissi a mettere via abba-

stanza soldi da prendermi un appartamento in

cooperativa. Gli uomini ? Lasciamo perdere.

Sono capaci solo di bere...” “ Il generale ci ha

parlato del dovere internazionalista, della di-

fesa delle frontiere meridionali: si è perfino

commosso: portate loro delle caramelle. Sono

come dei bambini. Non c'è miglior regalo delle

caramelle...” (Dostoevskij ha scritto che i mi-

litari sono le persone al mondo meno interes-

sate a porsi dei problemi...).

“Quando prendono dei prigionieri tagliano

loro le braccia e le gambe e le stringono con

dei lacci, perché non muoiano dissanguati. E

li abbandonano sul posto in quello stato, e i

nostri raccattano questi tronconi: loro vo-

gliono solo morire e invece vengono cura-

ti...” (“Si parla molto delle atrocità compiute

dai mujahiddin afgani sui nostri prigionieri” -

chiosa la Aleksievich - “qualcosa che ci ripor-

ta al Medioevo. E in effetti qui ci troviamo in

un'altra epoca, i calendari indicano il XIV se-

colo”). “Gli ho sparato a bruciapelo e ho vi-

sto il suo cranio volare in pezzi. Ho pensato:

il primo ! Dopo il combattimento, morti e fe-

N

Page 17: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.17

riti...tacciono tutti...Mi capita di sognare il

tram. Mi vedo sul tram verso casa... Il mio più

bel ricordo è mia madre che cuoce i biscot-

ti...l'odore di pasta dolce per tutta la casa...”

“Socialismo di guerra, militarismo, ma non

volevamo diventare uomini nuovi ?”

Tutte queste affermazioni non sono frutto

della Aleksievich. Ma ella ha pazientemente

raccolto, come giornalista-saggista, impres-

sioni e racconti con migliaia di interviste ai

singoli interessati, con rapporti, relazioni,

narrando sostanzialmente i drammi personali

dei singoli inquadrandoli in una guerra com-

pletamente diversa dalla seconda guerra

mondiale. In quella degli Anni Quaranta la

Russia era stata invasa dalle divisioni tede-

sche, e la guerra era poi stata vissuta dal po-

polo come una “ guerra patriottica di libera-

zione”. Questa degli Anni Ottanta in Afgani-

stan, invece, viene inquadrata nell'ambito

della dissoluzione progressiva del mondo so-

vietico, un processo che la Aleksievich ritiene

tuttora in corso. Fa le domande e poi ascolta

in silenzio, prendendo appunti, registrando,

magari commentando. E soprattutto conser-

vando (e a volte pubblicando) i nomi e co-

gnomi dei suoi intervistati. “ Ho conservato

nei miei appunti i loro nomi – ha scritto - Può

essere che un giorno i miei eroi vorranno es-

sere riconosciuti per quello che mi hanno

raccontato”.

Ai lettori viene dunque presentato quello

che è stato detto alla giornalista-scrittrice da

una madre (o un padre) di un soldato sempli-

ce morto in guerra, un'impiegata, un tenente

comandante di una sezione di mortaisti, una

sottufficiale dei servizi segreti, un marescial-

lo istruttore, un soldato addetto ai lancia-

bombe, un fuciliere della fanteria motorizza-

ta, un capitano, un istruttore sanitario di una

compagnia di esploratori, un tenente coman-

dante di un reparto del Genio, una moglie di

un sergente maggiore, un'infermiera, un me-

dico batteriologo, un maggiore, propagandi-

sta in un reggimento di artiglieria, e così via,

in un panorama umano di indubbio valore,

anche storico.

Il racconto di un dramma-tragedia corale

fatto attraverso le parole delle “piccole perso-

ne” che ne sono state protagoniste.

Il libro “Ragazzi di zinco” è stato proibito

per dieci anni.

E l'assegnazione del Nobel alla Aleksievich

è stata contestata polemicamente dalla stampa

russa . Già l'8 dicembre 2015 il giornale eco-

nomico “Lo sguardo” scriveva, tra l'altro, che

“...se per narrativa intendiamo un qualsiasi

testo scritto in russo, sì, “La guerra non ha il

volto di una donna” (altro libro della Aleksie-

vich) è, ovviamente, letteratura. Se conside-

riamo, invece, che il metodo letterario consi-

ste nel creare un mondo artistico convincente

per mezzo della lingua, allora qualunque te-

sto di Aleksievich non è più letterario di

quanto lo siano le istruzioni per l'uso di un

ferro da stiro. Per questo le è stato assegnato

il Premio Nobel ?”

E a sua volta, la “ Literaturnaja Gazeta” ha

affondato il colpo: “ Scrittrice mediocre.

Si è fatta conoscere perché va contro il suo

Paese. Per questo è stata premiata, come

Brodsky e gli altri prima di lui.”

Luigi De Rosa

Domenico Defelice : Testimoni di un

dramma (schizzo, 1962)

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.18

FRANCESCO DE SANCTIS E LA SUA “PRIMA SCUOLA”

di Antonia Izzi Rufo

RANCESCO De Sanctis è stato uno

dei maggiori critici italiani.

Nato nel 1817 a Morra Irpina (Avel-

lino), oggi Morra De Sanctis, in una terra che

era stata feudale e in cui il potere era gestito

dalla chiesa e dai piccoli e medi proletari, tra-

scorse i primi anni nel luogo di nascita che

ebbe sempre come punto di riferimento.

Nel 1826 fu mandato a Napoli come allievo

dello zio Carlo, titolare d’una scuola di lette-

re. Nel saggio “La giovinezza” si leggono, fra

i tanti ricordi, notazioni sul metodo d’ inse-

gnamento tutt’altro che critico e innovativo:

si dava importanza agli esercizi di memoria e

si trascurava quella che era la vera formazio-

ne educativa.

Avrebbe dovuto fare l’avvocato, ma la mor-

te dello zio lo indusse a sostituirlo ed a sce-

gliere l’insegnamento. Già prima di tale av-

venimento, però, era entrato nella scuola di

lingua italiana del marchese Basilio Puoti,

compiendo sotto di lui un importantissimo ti-

rocinio di letture e preparazione retorica. Fu

proprio con l’aiuto del Puoti che aprì la sua

“prima scuola”, quella di “Vico Bisi”. I

“Quaderni di scuola” li dettò ai suoi alunni.

Essi attestano il suo evolversi progressivo dal

Purismo e dall’Illuminismo moderato fino

all’Hegelismo. I “Quaderni” sono divisi per

materie d’insegnamento. I più antichi tra essi

sono i Quaderni di “Lingua e Stile” dove è

tracciata la prima sintesi di “Storia della let-

teratura”. E’ questa la maggiore delle opere

e di essa tutte le altre sono complemento. E’,

tale Storia, <<la più complessa e profonda in-

dagine sui legami tra la società fiacca e cor-

rotta e i conseguenti vizi letterari della retori-

ca e dell’accademia>> (A. Piromalli). Nella

prima edizione aveva carattere scolastico per-

ché composta per gli studenti. Riuscì invece

opera fondamentale della storiografia roman-

tica italiana, non solo letteraria. E’ divisa in

tre epoche: il Medioevo, che culmina nell’

opera di Dante; il Rinascimento, che da Pe-

trarca giunge all’età barocca; il rinnovamento

operato dall’Illuminismo e dal Romantici-

smo. <<E’ la sola storia intima d’Italia che

finora si abbia>> (F. Pedrina).

Composta dopo l’unificazione, abbraccia

anche la storia del Risorgimento. Vi è rappre-

sentata tutta la vita italiana, religiosa politica

morale, dal Duecento all’Ottocento. De Sanc-

tis s’interessò di letteratura e di politica. Fu

governatore di Avellino, deputato, più volte

ministro della Pubblica Istruzione. Combatté

l’analfabetismo, introdusse nella scuola l’ in-

segnamento della religione e dell’educazione

fisica. Nel 1871 gli fu assegnata la cattedra di

letteratura comparata all’università di Napoli

(la sua seconda scuola).

La sua scuola di lettere mirava a formare

“tutto l’uomo”. Contenuto e forma non pos-

sono essere scissi, s’identificano. La vita mo-

rale non s’insegna con le massime, si accen-

de con l’ esempio. Quando manca la vita in-

teriore, mancano insieme la morale e l’arte.

Modello di scrittore per lui era Manzoni, di

poeta Leopardi. Negli ultimi anni della sua

vita fu colpito da una malattia agli occhi.

Dettava le sue “Memorie” alla nipote Agne-

se. Morì a Napoli il 29 dicembre del 1883.

Prima di iniziare la lettura de “L’ultimo

dei puristi” , saggio molto interessante, un

accenno a Basilio Puoti, che del movimento

purista fu rappresentante. Per Puoti il perio-

do aureo, accanto al Trecento, fu il Cinque-

F

Page 19: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.19

cento. Il Marchese accolse nel suo palazzo i

giovani più colti di Napoli e li educò allo stu-

dio dei classici italiani precedenti il sedicesi-

mo secolo. Egli escludeva tutti gli autori mo-

derni e quelli stranieri e bandiva i termini

francesi. Questi dovevano essere sostituiti da

vocaboli del Trecento. Giudicava ridicoli, pe-

rò, e quindi erano da eliminare, quei termini

trecenteschi che erano andati in disuso. Mo-

dello da imitare, per lui, era il Boccaccio.

Ed ora entriamo nel vivo del saggio nel

quale De Sanctis si racconta: mentre parla

delle sue esperienze, illustra un quadro chiaro

ed esauriente della cultura del suo tempo, del-

la scuola e della personalità del Puoti, educa-

tore modello e guida encomiabile per il modo

di avvicinarsi ai giovani, di comunicare con

essi e di portarli alla conquista del sapere e

alla formazione della personalità con l’amore,

l’umiltà, il rispetto, il buonsenso.

Siamo nel 1868. Nelle mani di Francesco

De Sanctis capita un’opera “ponderosa”

stampata l’anno innanzi a Pisa: “Lezioni di

storia” di Ferdinando Ranalli. E’ un’opera

fuori stagione, con un ritardo di almeno un

trentennio durante il quale è avvenuto il Ri-

sorgimento della patria e tante cose sono

cambiate. La lettura di quei due volumi ripor-

tano nella mente del nostro Critico l’ imma-

gine dei suoi primi anni di studi.

Quei tempi sembrano distanti due secoli,

ma il libro di Ranalli glieli riconduce davanti

vivi e presenti e gli dice: <<Ricordati! Come

allora così ora così sempre si ha a scrivere e a

pensare>>. E’ un libro giudicato noioso, oltre

che superato, ma egli lo trova piacevolissimo

perché gli fa rivedere, con l’immaginazione,

il signor Ranalli insieme a lui, alla scuola del

marchese Puoti, mentre s’impegnavano a

<<riempire i quaderni di belle frasi e parole, a

studiare grammatiche e rettoriche, trecentisti

e cinquecentisti, pieni di orrore per il forestie-

rume e risoluti a rimanere italiani di lingua di

stile di pensiero, ignorando gli sciocchi che li

chiamavano puristi>>.

Questo ritorno alla giovinezza gli addolci-

sce l’animo. Lo stile del libro, la lingua, il pen-

siero lo riportano ai vecchi tempi… Mentre

legge le <<dotte elucubrazioni ed investiga-

zioni (che rigetta), s’interrompe spesso e corre

con la mente alla scuola del Puoti, ai compa-

gni, ne ricorda i tanti fatterelli e non riesce a

prestare attenzione al testo. Smette così di leg-

gere, <<manda via il libro e corre liberamente

verso l’ombra di Puoti, verso i ricordi >>...

A sedici anni fu mandato a Napoli, sotto la

guida dello zio Carlo che dirigeva una scuola

di lettere latine (Era una scuola tenuta in buona

considerazione, ma, in realtà, era tutta <<un

vecchiume retorico, con metodi mnemonici e

arbitrari, e le notizie storiche e letterarie vi era-

no impartite e apprese senza principio o siste-

ma alcuno>>). Compiuti gli studi ginnasiali,

passò a quelli liceali tenuti dall’ abate Fazzini

(Questi lasciava molto a desiderare e per le sue

idee e per il suo metodo). Leggeva molto, ma

in modo disordinato, <<come portava il caso,

senza disegno né ordine>>.

Lo chiamavano “penna d’oro” ed egli si ri-

teneva l’uomo più istruito di Napoli (beffeggia

se stesso, proprio come l’Alfieri di “Vita scritta

da esso”: “Ero un asino tra asini”- Viva la sin-

cerità! - ). Fu Francesco Constabile, discepolo

e bibliotecario del Puoti, a proporgli di entrare

in quella che egli chiamò la sua prima scuola.

La chiamavano la scuola del perfezionamento.

Le lezioni si tenevano in un “palazzo magnati-

zio” (quello di Puoti), signorile, con servitori in

guanti e in una sala tappezzata di libri. Il Puoti

volle essere informato dal De Sanctis nei det-

tagli sul suo curriculum scolastico.

Era, il marchese, un uomo <<amabilissimo,

vivissimo ma… in quell’ambiente non c’era

aria né di scuola né di maestro: pareva piutto-

sto un convegno di amici, un’accademia sen-

za regole né formalità>> (Primo impatto di

stupore, positivo, per il giovane Francesco)

Puoti reagiva quando lo chiamavano maestro,

voleva essere chiamato marchese. Non accet-

tava che gli si baciasse la mano (non era il

papa!). Il suo era uno studio, non una scuola,

e le lezioni erano esercitazioni. Ci si esercita-

va nell’arte dello scrivere, si facevano tradu-

zioni, si raccontavano aneddoti. Non c’erano

panche, ma sedie nello studio. Più che mae-

stro, Puoti era un amico, una guida. Ascoltava

Page 20: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.20

il parere di ognuno, diceva il suo, riconosceva

i propri errori. La libertà di discussione non

generava anarchia. Voleva bene ai suoi gio-

vani (non studenti) ed era ricambiato. Era

come un padre. Quando si ascoltavano i “Ve-

terani”, c’era silenzio intorno. Gli “Eletti”,

che occupavano un posto distinto, erano colo-

ro che facevano un lavoro “indovinato”. Il

marchese soleva dire che le lettere “raggenti-

livano e nobilitavano” l’animo.

Dopo pochi mesi di frequenza, De Sanctis

si sentì un altro uomo (La scuola del Puoti

portava ad un rinnovamento interiore). Il

marchese non faceva lezioni o discorsi, non

insegnava grammatica o retorica, parlava alla

buona, per esempi. Il lavoro era tutto degli

studenti. Si andava a scuola tre volte la setti-

mana. Un giorno era “consacrato” alla lettura

e all’esame dei componimenti, alla discussio-

ne. Chiudevano il discorso gli Eletti e gli An-

ziani. Il marchese riassumeva il tutto. Le di-

scussioni erano brillanti. Gli altri due giorni

erano dedicati alla traduzione e alla lettura dei

classici. Il marchese metteva tanta diligenza

in queste traduzioni, <<…stava mezz’ora ad

acchiappare una parola o una frase e se non

veniva diceva “non è poi il Vangelo” >>.

Si leggevano brani classici trecentisti e cin-

quecentisti. Il marchese voleva che si studias-

se pure a casa. Questo assiduo lavoro di leg-

gere, tradurre e commentare era più utile che

imparare a memoria. Citando un detto di So-

crate, Puoti diceva che il maestro dev’essere

come la levatrice, che aiuta a partorire (La

maieutica!). Altra sua massima: <<Il miglior

maestro è colui che pensi meno a comparir lui

e che lasci fare ai giovani>>. Ciò che egli in-

segnava non era <<tutt’oro di coppella>>

(sua espressione), ma strumento efficacissimo

di educazione e progresso. Amava, ricambia-

to, i suoi allievi, pardon, collaboratori. <<L’

amore è il primo segreto del buon insegna-

mento, “Non basta il metodo di Puoti, ci vuo-

le il cuore di Puoti” >> commenta De Sanctis.

L’italiano si doveva imparare con lo studio

degli scrittori classici, gli scrittori del secolo

d’oro e del dotto Cinquecento con appena

qualcuno del Seicento, secondo i decreti della

Crusca. La parola era per il marchese qualco-

sa di luccicante come l’oro; <<parole di buo-

na o falsa lega>> soleva dire, <<parola di fi-

nissima lega>>, <<oro purissimo>>, <<oro di

coppella>>. Facevano tutti a gara per scaccia-

re le parole sospette di falsa lega, soprattutto i

francesismi. Il Marchese aveva giurato, come

Annibale, odio implacabile ai francesismi o

gallismi. <<Purgar la lingua delle brutture>>.

Fra tanti pregi, conclude il De Sanctis, la sua

scuola aveva un difetto: <<Vi si dava troppa

importanza alla parola e alla parte meccanica

dello scrivere come formazione del periodo.

Né questo studio poteva riuscire bene, segre-

gato dal presente e dal vivo, e fondato sugli

scrittori di parecchi secoli addietro, come si fa

di una lingua morta…Lo scrivere non era più

una produzione ma una imitazione>>.

Lo stesso marchese confessava che una cer-

ta esagerazione c’era e si scusava dicendo

<<chi ama esagera>>. Comunque, bisogna ri-

conoscere che la sua scuola operò una “com-

piuta” trasformazione nella cultura nazionale.

Si cominciò a studiare un po’ meglio il latino e

il greco; anche nei seminari ci si interessò alle

cose italiane; si diffusero i classici pure nelle

più isolate province; sorsero qua e là scuole

simili a quella di Puoti; non ci fu scienziato che

non avesse cercato di scrivere più “pulitamen-

te”. Il maestro poté notare tali effetti positivi

nel giro di pochi anni, compiacersene e avere

la soddisfazione di vedere insegnare a giova-

netti, come materia elementare, quello che egli

insegnava a giovani già molto innanzi negli

anni e negli studi. E quando De Sanctis disse in

pubblica Accademia che il purismo non aveva

più ragione d’essere perché aveva già vinto, e

che la questione non era più di lingua ma di sti-

le, il brav’uomo (Puoti) se ne compiacque e

accettò la teoria per buona. Ma quando De

Sanctis iniziò a trarne le conseguenze, egli

reagì e lo chiamò ribelle. Nondimeno, presso

al letto di morte, al suo ex allievo che era an-

dato a fargli visita disse: <<Tu sai che io ti ho

sempre voluto bene>>.

(Ri-costruisco la scena nell’immaginazione

e mi commuovo).

Antonia Izzi Rufo

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.21

GIUSEPPE LEONE “D’IN SU LA VETTA

DELLA TORRE ANTICA”

UN’ANALISI INTENSA

E MAGISTRALE di Aida Isotta Pedrina

ENENDO per la prima volta “D’in su

la vetta ….” fra le mani, l’indovinato

titolo provoca subito un moto di cu-

riosità e un pensiero: ”Ma cosa potrà acco-

munare Leopardi, uno dei più grandi e famosi

poeti italiani, nato duecent’anni fa, e Carmelo

Bene, attore e scrittore ultra moderno, genio

controverso e stravagante, la cui fama era co-

stantemente offuscata dal suo biasimevole

comportamento e dal suo penchant per lo

scandalo? Risulta che questo bel saggio è in-

teressantissimo e coinvolgente appunto per-

ché mette in netta evidenza le non poche ca-

ratteristiche condivise da questi due perso-

naggi, tormentati da profondi conflitti e tra-

vagli interiori, di salute precaria, insofferenti

delle convenzioni e limitazioni sociali, in ri-

volta contro le tradizioni sorpassate, e ancor

più contro l’incomprensione della critica e dei

loro stessi genitori. Attraverso questo origina-

le confronto, Giuseppe Leone è riuscito a

connettere mirabilmente queste due straordi-

narie personalità non solo affermando la pie-

nezza artistica e l’innegabile impatto culturale

di entrambi, ma anche dando un nuovo signi-

ficato alle intime emozioni, alle sofferenze,

all’intolleranza e le polemiche di Leopardi e

Carmelo Bene. “D’in su la vetta…” è un’

opera particolarmente comprensiva e impe-

gnativa che fra l’altro, fa emergere Leopardi

quasi come genio contemporaneo di Carmelo

Bene, annullando così la grande distanza di

tempo fra i due artisti, e

conferendo a questa ana-

lisi un interesse ancor più

vivo e attuale. Giuseppe

Leone dimostra di aver

fatto – e con grande entu-

siasmo e maestria — un

lungo e intenso lavoro di

ricerca, arricchito da un’ampia e accurata se-

lezione d’ interpretazioni e citazioni di Leo-

pardi, di Bene e di tanti altri studiosi e critici

illustri.

In “D’in su la vetta..”, Leopardi e Bene so-

no presentati principalmente come i geni

creatori di una “ cultura nuova” e alcune del-

le loro opere come ispirazioni necessarie per

risollevare il prestigio della cultura italiana.

A questo fine, entrambi affrontarono fra l’ al-

tro il tema della “voce” verso il “silenzio”

della scrittura; Leopardi nelle sue “Operette

morali”, e Carmelo Bene nel suo “Sono ap-

parso alla Madonna,” misero in grande rilievo

il vantaggio della “voce”, proponendo il

mondo del suono e l’immediatezza del sono-

ro come più avvincente della scrittura, e spes-

so più adatto a risvegliare e a coinvolgere le

emozioni e a rendere comprensibili opera d’

arte a un più vasto numero di persone. Inoltre

per Carmelo Bene, la voce, o il suono, ascol-

tato mentre si perde nel silenzio, era la su-

prema realtà che annulla l’io convenzionale,

come del resto, lo era per Leopardi quando

ascoltando la voce del vento, il canto degli

uccelli, il sonoro quotidiano, sentiva il suo io

perdersi in questi e nel silenzio dello spazio

infinito. Per entrambi, il sonoro era anche

fonte d’oblio: ascoltare per dimenticare soffe-

renze e delusioni: il canto come conforto. E

qui, Giuseppe Leone osserva che Leopardi e

Carmelo Bene ebbero entrambi aspirazioni al

di là dei confini umani, al di là della realtà, al

di là dell’ essere convenzionale; avevano per-

cepito l’irrealtà che circonda la vita pro-

grammata e condizionata dalle tradizioni so-

ciali.

Fra le al-

tre molte-

plici carat-

teristiche

condivise,

le seguenti

potrebbero

essere le più

dense di si-

gnificato:

Leopardi e

T

Page 22: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.22

Bene vissero la loro infanzia in un’ambiente

altamente religioso; entrambi erano molto

devoti e servivano spesso la messa da fanciul-

li; Carmelo Bene persino quattro volte al

giorno, giocando poi in Chiesa con le statue

dei santi. Di Leopardi il padre scriveva: “….

Sommamente inclinato alla divozione…..

Giocava agli altarini: serviva volentieri mes-

sa…. Voleva diventare Santo….” (Giuseppe

Leone, “D’in su la vetta della torre antica”.

Giacomo Leopardi e Carmelo Bene sospesi

fra silenzio e voce. Ed. Il Melabò, 2015, pg.

68)

Tutta questa religiosità sarà, più tardi, causa

di profonde riflessioni filosofiche, di travagli

interiori, di amarezze e delusioni, risultando

nella perdita della fede di entrambi. Leopardi

e Bene erano anche accomunati dal grande

desiderio di rimanere fanciulli, di godere le

gioie dell’infanzia e i privilegi della “vita

bambina”. Il rifiuto di crescere e la nostalgia

della fanciullezza, sono chiaramente dimo-

strati da entrambi: nello “Zibaldone”, Leo-

pardi scriveva: “….Dato l’andamento e le

usanze e gli avvenimenti e i luoghi di questa

mia vita sono ancora infantili; io tengo affer-

rati con ambe le mani questi ultimi avanzi e

queste ombre di quel benedetto e beato tem-

po, dov’io sperava e sognava la felicità, e

sperando e sognando la godeva….” E ancora:

“…. La massima parte delle immagini e sen-

sazioni indefinite che noi proviamo pure dopo

la fanciullezza e nel resto della vita, non sono

che una rimenbranza della fanciullezza, si ri-

feriscono a lei…..” (Op. Cit., pg. 80) E nel

suo “Pinocchio”, Bene dichiara: “….. L’ es-

sermi come Pinocchio rifiutato alla crescita, è

se si vuole la chiave del mio smarrimento get-

tata in mare una volta per tutte….” (Op. Cit.,

pg. 80). Nell’analisi di questo “rifiuto di cre-

scere” dei due artisti, Giuseppe Leone sembra

immedesimarsi con grande sensibilità artisti-

ca, nel contenuto umano di questo confronto,

nei sentimenti e il pathos di questi due geni e

anche nella loro infinita nostalgia della fan-

ciullezza, quando scrive, per esempio, di

Carmelo Bene: “ Nel suo “Pinocchio, ulterio-

re alter ego della sua biografia, attraverso il

quale può rappresentare metaforicamente, il

suo rifiuto di crescere, poiché individua nel

rimanere bambino il concentrarsi di tutto il

potenziale dell’esistente non ancora realizzato

ma sospeso nel possibile…..” (Op. Cit., pg.

79-80).

Significativa in questo brillante saggio è

anche l’analisi degli innumerevoli scontri e

polemiche che Leopardi e Bene ebbero con la

società, con la famiglia, e particolarmente,

con la critica; essendo entrambi profonda-

mente consapevoli del valore delle loro idee e

delle loro opere, rifiutarono di essere invi-

schiati nell’ intrattenimento e la socievolezza,

lottando accanitamente contro l’implacabile

animosità della critica, nonostante le loro

gravi e continue sofferenze fisiche. Nel capi-

tolo: “Leopardi e Bene geni ma senza premi”,

troviamo che le approfondite osservazioni di

Giuseppe Leone fanno particolare riferimento

ai giudizi negativi della critica “…che non ha

mai perso l’occasione di scrivere e parlar ma-

le della loro opera…”. Significativi sono fra

l’altro, il giudizio “stroncatorio” di Giuseppe

Mazzini (Op. Cit., pg. 86), e la sconfitta e di-

sperazione di Leopardi quando partecipò a un

premio letterario nel 1830 con le sue “Operet-

te Morali” che furono nominate al terzo po-

sto. (Op. Cit., pgg.90-92). Naturalmente, que-

sto smacco provocò Leopardi a inveire contro

il vero proposito di questi premi; polemica

condivisa anche da Carmelo Bene. (Op. Cit.,

pg. 94). Di rilevante interesse sono anche le

pertinenti osservazioni dell’autore sull’odio

reciproco fra Carmelo Bene e la critica (Op.

Cit., pgg. 96-104). Chiudendo questo capito-

lo, Giuseppe Leone sottolinea la tensione

emotiva dei due artisti riguardo l’ incompren-

sione dei critici: “….Tuttavia Leopardi ne era

cosciente e aveva anche scritto un aforisma

che Carmelo Bene, guarda caso, aveva scelto

come esergo per uno dei suoi tanti scritti:

“….Tanto è l’egoismo e tanta l’invidia e l’

odio che gli uomini portano gli uni agli altri,

che volendo acquistar nome, non basta fare

cose lodevoli, bisogna lodarle, o trovare, che

torna lo stesso, alcuno che in tua vece le pre-

dichi e le magnifichi di continuo……. Spon-

Page 23: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.23

taneamente non isperare che faccian motto

per grandezza di valore che tu dimostri, per

bellezza d’opere che tu facci…..” (Op. Cit.,

pg. 102)

Un breve saggio non è sufficiente per de-

scrivere l’interessantissimo e originale conte-

nuto di questo volume; “D’in su la vetta….” è

opera agile e precisa, sostanziosa e penetran-

te, che tiene ferma l’attenzione del lettore; è

anche un profondo studio del pensiero, delle

emozioni di Leopardi e di Carmelo Bene;

Giuseppe Leone dimostra di aver compreso

mirabilmente la grandezza e la disperazione

di questi due geni trasformandole in emozioni

attuali e concrete per il lettore; “D’in su la

vetta ….” rimarrà unico nel tener vivo e pre-

sente questo originalissimo confronto; un’

idea geniale, una stimolante lettura che senza

dubbio, aprirà nuovi orizzonti al pensiero.

Aida Isotta Pedrina USA

BEI SOGNI AZZURRI

DEI VENT’ANNI

Bei sogni azzurri dei vent'anni

quando ci bastava un sorriso

visto e non visto tra un mare di volti

a lievitare il cuore di vane speranze...

Speranze labili come gocce sui vetri

fragili come bolle iridescenti

che una lama di vento mette in fuga.

Accendevamo fuochi in riva al mare...

Cenere resta delle nostre bugie

cenere calda che un soffio disperde...

Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)

MUSICHE SENZA ETÀ

Ora il ricordo delle nostre gioie

che giunsero invocate

e fuggirono, invano trattenute,

rimanga intatto almeno

come latte di luna ad abbracciare

cimiteri di tristezza.

Il sole di quel giorno sembrava

non volesse tramontare

senza darci un saluto, e là ci attese

sospeso all’orizzonte in un regale

spreco d’oro e di porpora.

La sabbia porta ancora

la forma del tuo corpo

e il desiderio dolce e feroce

ora mi scioglie in miele

ora mi ritempra in pietra.

Non incontrerai così vicini

mai dolcezza e forza,

conquista e offerta, libertà e catena.

Io t’ho portata in chiuso abbraccio

come un vaso greco

per ricolmarti a vergini sorgenti

e sentirti salir fin sulla gola

musiche senza età...

Nino Feraù da: Pietre di fiume, Edizioni GBM, 1998.

“La sabbia porta ancora/la forma del tuo

corpo” - Acquerello di Domenico Defelice,

1982.

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.24

GABRIELE D’ANNUNZIO

NELLA PRIMA

GUERRA MONDIALE Cento anni dal Notturno

di Marina Caracciolo

IFUGIATOSI in Francia in un «vo-

lontario esilio» nel 1910, assillato dai

debiti e inseguito da una frotta di cre-

ditori insoddisfatti, a cui già aveva ceduto la

sua villa toscana della Capponcina, Gabriele

D’Annunzio fa ritorno in Italia nel 1915, an-

no in cui, a Quarto, è invitato a tenere il di-

scorso celebrativo della spedizione dei Mille,

in occasione dell’inaugurazione del monu-

mento all’impresa di Garibaldi.

Fin dall’inizio della prima guerra mondiale

egli si schiera dalla parte degli interventisti, e

l’occasione è subito còlta come efficace mez-

zo di propaganda bellica. Da tribuno, lo scrit-

tore si trasforma ben presto in combattente.

Durante il conflitto è sempre in prima linea,

anche se è vero che alla vita pericolosa e du-

rissima della trincea preferisce quella eroica e

spettacolare dei grandi gesti.

Al suo nome rimangono legati i voli su

Trieste e su Trento, nel 1915, e su tutta l’area

di operazione bellica italiana negli anni suc-

cessivi. Nel 1916 per un incidente aereo per-

de un occhio. Del 1918 è la cosiddetta Beffa

di Bùccari1, e il volo su Vienna per gettarvi

volantini tricolori. Tutte queste imprese gli

valsero la medaglia d’oro e la fama di soldato

impavido e ardito.

A guerra finita, nel 1919, alla testa di un

gruppo di volontari, D’Annunzio si impadro-

1 Bùccari è una cittadina della Croazia, in una pro-

fonda baia sul Carnaro. La notte del 10 febbraio

1918, 3 mas italiani, comandati da Costanzo Ciano,

penetrarono audacemente nella baia lanciando siluri

contro quattro piroscafi austriaci che vi stavano an-

corati e riprendendo con sicurezza il mare. A bordo di uno dei mas era D’Annunzio, che lanciò agli Au-

striaci un ironico messaggio rinchiuso in galleg-

gianti, per cui la spedizione prese poi il nome di Beffa di Bùccari. Sotto questo titolo lo scrittore

pubblicò (1918) il racconto dell’impresa.

nisce di Fiume (12.IX.1919, marcia di Ron-

chi), poiché le clausole del trattato di pace la

negavano all’Italia; obbliga le truppe di occu-

pazione a ritirarsi e costituisce la Reggenza

italiana del Carnaro, con poteri civili e milita-

ri. Ma in seguito, il Trattato di Rapallo fra Ita-

lia e Jugoslavia (12.XI.1920) dichiara Fiume

uno stato indipendente: il 31.XII dello stesso

anno D’Annunzio deve abbandonare la città.

(Ridivenuta italiana per un accordo del gen-

naio 1924, Fiume ritornerà definitivamente

jugoslava dopo la seconda guerra mondiale,

nel 1947).

Di questo periodo del governo fiumano, al

di là dell’esperimento politico in sé, è rilevan-

te, piuttosto, tutto l’apparato esibizionistico

che venne instaurato, tra coreografiche sfilate

e saluti romani, pose artefatte e arringhe diret-

te alla folla, che avrebbero in seguito ispirato

l’Italia fascista di Mussolini (come la mede-

sima impresa di Fiume, con l’intervento diret-

to e spontaneo di un manipolo di privati che

si sostituisce allo Stato, è indubbiamente da

considerare un anteprima del futuro squadri-

smo fascista).

Sul piano letterario, d’altro canto, di questi

anni di guerra ci rimane come testimonianza

R

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.25

una delle più valide prose autobiografiche

dell’ultima stagione creativa dello scrittore

abruzzese: il Notturno. Questo testo, poi pub-

blicato nel 1921, ebbe origine a lato di un’

esperienza eccezionale. Durante un volo di

guerra, il 16.I.1916, D’Annunzio fu costretto

a un atterraggio di emergenza. In quel fran-

gente, rimase ferito all’occhio destro, che poi

perse. Per evitare la completa cecità, dovette

restare supino per settimane, con gli occhi

bendati.

Scrisse il poeta nell’Annotazione al libro:

«Per più settimane, mentre stavo supino in

veglia, mentre soffrivo senza tregua l’ in-

sonnia, io ebbi dentro l’occhio leso una fu-

cina di sogni che la volontà non poteva né

condurre né rompere. Il nervo ottico attin-

geva a tutti gli strati della mia cultura e

della mia vita anteriore, proiettando nella

mia visione figure innumerevoli con una

rapidità di trapassi ignota al mio più ardi-

mentoso lirismo. Il passato diveniva pre-

sente, con un rilievo di forme e un’acredine

di particolari che ne aumentavano a dismi-

sura l’intensità patetica».

Il Notturno intende appunto raffigurare

questa sotterranea e ininterrotta vita della co-

scienza, questo spontaneo riaffiorare di im-

magini e di ricordi – e, più spesso, di sensa-

zioni – còlto proprio nel suo sbocciare dalle

profondità dell’inconscio. Non avendo la pos-

sibilità di parlare né di dettare, il poeta fu ob-

bligato a scrivere su sottili strisce di carta, te-

nute fra le ginocchia, con uno stile rapido, in-

tenso, evocativo, e compose il libro come un

insieme di versetti brevi, ciascuno generato

da una suggestiva illuminazione. In bilico fra

una prosa di memorie e una prosa lirica,

pronta a rilevare le vibrazioni più segrete di

una sensibilità resa ancor più affilata dalla

malattia, i racconti non si svolgono secondo

un avvicendamento logico e temporale, ma

sono immersi in un presente senza tempo,

mentre sorgono da una libera aggregazione di

particolari che dall’oscuro impulso dei sensi

si tramutano in immaginose figure.

Proprio per questa via, D’Annunzio rispec-

chia un aspetto fondamentale della poetica

del Decadentismo: quella tendenza, cioè, a

trasfigurare la realtà in un simbolo della vita

misteriosa dell’inconscio, e a identificare in

essa, fuori da ogni razionalità, una rivelazione

pura, essenziale, quasi esoterica, facendo in

tal modo della poesia il tramite più sublime

della conoscenza.

Il tema dell’eroismo e del superuomo, che

aveva certo appesantito i suoi romanzi, in

questo caso passa decisamente in secondo

piano: escludendo qui le costruzioni più sofi-

sticate della sua cultura estetizzante, lo scrit-

tore, nelle parti più riuscite, aderisce intima-

mente a quell’autentica ispirazione naturali-

stica e mistico-sensuale che aleggia nelle No-

velle della Pescara e nei capolavori della sua

poesia. Questo spiega, a cento anni di distan-

za, il valore ancora attuale del Notturno – for-

se il miglior testo del D’Annunzio prosatore –

e il fascino che ha continuato a esercitare su-

gli scrittori contemporanei.

Marina Caracciolo

LIBELLULE

Dalle verdi acque

sbocciavan libellule.

Cerchi concentrici,

anelli dinamici

disegnavano voli.

Picchiate fugaci

dispensavano morte.

Su canne palustri

si schiudevano ali

coi colori dell’iride.

Beltà su beltà

mi sfiorava il volto.

Sentivo in me

tanta smania di vivere,

di saltare nell’erba

a pestare rugiada,

mentre il sole maculava

i colori dei rami.

Colombo Conti Albano Laziale

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.26

SABATO RACIOPPI ORRORI E SPLENDORI

DEL MONDO D’OGGI di Leonardo Selvaggi

I

’OPERA storica” Orrori e splendori

del mondo d’oggi” di Sabato Racioppi

costituisce un trattato di grande inte-

resse per acutezza di riflessione, valutazione

critica e articolata analisi su ideologie, avve-

nimenti, trasformazioni profonde nei costumi

e nelle strutture tecniche-economiche del no-

stro tempo. Una pubblicazione di grande mo-

le che va ad aggiungersi ad una produzione

già di considerevole dimensione, fatta, oltre

che di numerose opere storiche, da importanti

scritti filosofici, sociologici, di etica e sulla

letteratura del ‘900.Un’opera complessa che

si offre alla meditazione di quanti sono vigili

sulle problematicità contemporanee che inve-

stono popoli e territori di tanta parte del no-

stro pianeta. Sabato Racioppi è un osservato-

re perspicace: i suoi scritti hanno carattere di

notevole scientificità per vastità di contenuti,

frutto di ricerche appassionate e di esperienze

di studioso specializzato di problemi sociali.

Ci illumina sulle cause e sui futuri sviluppi

degli avvenimenti che per estensione hanno

riflessi su tutti gli apparati organizzativi

mondiali, non esistono isole che rimangono

escluse. Ambienti e strutture in un intreccio

di coinvolgimento che non ha arresti in un’

epoca di per sé frenetica e caotica, insoddi-

sfatta e di continuo presa da sete di novità.

II

La storia dell’Umanità vista come eterna

lotta, condotta in scontri che non si potranno

mai dichiarare definitivi fra gruppi di spadro-

neggiatori e popoli in miseria. L’Umanità in

tutti i secoli vissuta in continua fermentazione

tra ansie, aspettative, sofferenze, idealità, vio-

lenze, predomini. Dopo pause di splendori,

nuove lotte, stragi, dominazioni, martiri, in-

nalzamenti di principi ideali. In un dualismo

di attacchi contrapposti: il male e il bene, spi-

ritualità emergenti e violenze distruttrici fan-

no un eterno movimento dinamico tra razio-

nalità e istintivismi belluini. Sempre ascese

metafisiche e stati tenebrosi lungo le acciden-

talità del cammino della storia. Aneliti di be-

nessere e cadute nei marasmi e nelle crisi. L’

opera storica di Sabato Racioppi “Orrori e

splendori del mondo d’oggi” ampiamente va

diffusa, portata all’attenzione di menti ansio-

se di approfondimenti e di chiarificazioni che

in questo trattato abbondano, condotti con

spirito spregiudicato, avulso da ogni formali-

smo, con animo aperto e spassionato. Un’

opera colossale: va considerata fonte per ulte-

riori studi, ogni suddivisione costituisce una

trattazione specifica, sufficiente per essere un

volume a sé. E’ una miniera inesauribile con

dati, raffronti, citazioni, ogni pagina ha una

vastità di contenuti da offrire al lettore mate-

ria sufficiente per molteplici riflessioni. L’

opera oltre che storica, è di alta moralità. An-

che dal punto di vista editoriale dobbiamo di-

re che la fatica nel realizzare questo capola-

voro non è stata lieve. Pagine dense, massicce

con illustrazioni che commentano eloquen-

temente gli avvenimenti che si scontrano e si

intrecciano attorno al grande protagonista che

è l’umanità e in special modo ai gruppi socia-

li compressi, meno fortunati che si muovono

con passione di vivere, con instancabile vo-

lontà di lotta lungo le accidentalità dei giorni,

sempre tormentati: sono loro i veri creatori di

storia contro i predomini famelici soggiogato-

ri. L’opera nella sua notevole consistenza si

rende maneggevole, gli argomenti risaltano

facendosi luce l’un l’altro nella loro varietà di

aspetti. Illuminato è il lettore dal metodo di

sintesi che qualifica l’opera di Racioppi, con-

sistente nel vedere la storia del nostro tempo

intensificata da tutte le ripercussioni dei seco-

li passati, rimaste ineliminabili retaggi. Tipo-

graficamente in veste chiara, trasparente, la

pagina ha caratteri nitidi: abbondante dovizia

di concetti, espressi con facilità di linguaggio.

Questo sempre per quella potenza espressiva

fatta di immediatezza che viene da un grande

storico che rende la materia trattata strumen-

L

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.27

to di insegnamento. Ogni pagina prende il tut-

to, è un’opera, si può dire, spiritualizzata per

la sua organicità, e il compito dell’Autore è

stato svolto appieno, c’è un ininterrotto svol-

gimento di legami fra le varie posizioni socia-

li, la politica e l’economia. Non è una caotica

successione di fatti esposti aridamente e in

superficie, gli argomenti storici sono vivi,

animati, connessi nei loro momenti di esplici-

tazione. Il nostro tempo si conosce per la sua

problematicità amplificata di concezioni e di

movimento di tutta l’esistenzialità. Risaltano

essenzialità e moventi significativi.

III

I secoli passati, le conoscenze della sapien-

za del tempo antico fanno da sfondo alla trat-

tazione. La storia si ripete e si arricchisce nel

contempo, fattasi complessa ed esplodente di-

fatti e di situazioni in continua evoluzione:

sconvolgimenti, orrori, grandiosità di conqui-

ste, punti di arrivo dopo esperienze maturate.

L’opera “ Orrori e splendori del mondo d’

oggi” di Sabato Racioppi ci pone davanti a

più allargate prospettive con responsabilità e

impegnati, siamo di fronte a un futuro che si

aspetta dalla dignità di uomini di civiltà supe-

riori raggiungimenti conclusivi con decise e

definitive determinazioni. Per presentare la

grande opera di Sabato Racioppi si rende ne-

cessario e doveroso ripercorrere le tappe più

significative che la compongono. Andare at-

traverso avvenimenti e situazioni in fermento

è riconoscersi vicino al tempo d’oggi che non

può non risentire i grandi sommovimenti avu-

tisi con le rivoluzioni francese e bolscevica.

E’ sentirsi in più ampia esistenzialità, riempiti

di realtà e di testimonianze fra le più signifi-

cative. Le pagine ribollono di personaggi, di

condizioni sociali insostenibili, popoli repres-

si che si infiammano di speranze, di fremiti,

di contraddizioni che fanno esasperare. Dalla

grande rivoluzione del ’79 divampata dalla

immensa miseria del popolo, dall’opera dei

filosofi e scrittori dell’Illuminismo, a quella

Bolscevica del 1917, nata dalla predicazione

del socialismo. Con Marx ci si incammina

verso una nuova società, al di fuori delle clas-

si e delle sperequazioni economiche.

IV

Moti propulsivi di progresso e decadenza

di costumi nella storia vanno insieme, si

creano disorientamenti, incertezze. C’è uno

scuotimento della mente umana che si sente

annichilita, le aspettative fanno vivere illusio-

ni vane, non sono più fomentatrici di speran-

ze. La scienza, le teorie sociali disturbano

sentimenti e virtù interiori. Augusto Comte e

Spenser, maestri del positivismo credono alle

realtà concrete e distruggono la spiritualità. Si

annienta un padronato e si creano nuove bor-

ghesie. Ebollizioni a catena che attizzano

conflitti, accensioni distruttive in ogni angolo

della terra nei primi anni del secolo (1900-

1920). La seconda guerra mondiale (1939-

1945) con 30 milioni di morti. L’opera “ Or-

rori e splendori del mondo d’oggi” mette in

evidenza le tappe storiche più caratterizzanti.

Sempre lotte tra energie contrastanti. Fotogra-

fie drammatiche dei campi di concentramento

nazisti, orrori, malvagità demoniaca che sem-

pre affiora dal fondo dell’animo umano in

opposizione con lacrime e morte, travolti si è

dalla tempesta delle armi omicide. Nell’opera

di Sabato Racioppi le verità risaltano come

fiammate dalle tenebre da cui viene il mondo

umano di tanto in tanto avvolto. Spesso si ri-

corre alle figurazioni mitologiche per far luce

su situazioni che travolgono lo spirito dell’

uomo. Circoli viziosi che determinano auto-

distruzioni. C’è sempre un vaso di Pandora da

cui tutti i mali escono portando infestazioni

orribili. Continuano nel Terzo Millennio vio-

lenze, guerre, poteri, miserie. La pace e l’

uguaglianza, le attenuazioni delle sofferenze,

il sostentamento degli inermi si potranno ave-

re quando gli uomini diverranno umili, spogli

di ogni pensiero malvagio. L’opera di Sabato

Racioppi costituisce un abbondante nutrimen-

to che corrobora con molta efficacia chi ama

conoscere gli intrecci degli avvenimenti stori-

ci, la loro evoluzione, gli aspetti nuovi che

sopravvengono. L’intelligenza dei grandi spi-

riti non riesce mai a creare domini di bene e

di luce, ma solo spinte più furenti nelle lotte.

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.28

Pregiudizi e violenze razziali un’altra piaga

che fa piangere l’Umanità. Questo male dila-

ga da sempre, dal Medio Evo ad oggi, è una

cancrena che rode anima e corpo, le volontà

di uomini schietti e semplici che non conce-

piscono l’odio fra simili. Razze dominatrici e

razze serve, tutto un campo disseminato di

morti e di tremende pene, di pianto e di bar-

barie. Sette segrete diaboliche che non vo-

gliono il riconoscimento dei diritti civili ai

Neri portano segregazioni e stragi negli Stati

Uniti

V

Le pagine sempre traboccanti dell’opera

storica di Racioppi esprimono obbiettività,

pensiero acceso e schietto. Eroismi fatti di

predicazione di amore per il prossimo. Il mo-

vimento della Non Violenza capeggiata da

Martin Luther King. Le teorie razziste in con-

trasto con i messaggi evangelici. Il mondo

contemporaneo è sconvolto: violenze sempre

riaccese, solitudine, alienazione, l’uomo di-

sumanizzato, caduto nell’irretismo dall’ au-

tomazione. Il volume “ Orrori e splendori del

mondo d’oggi” diviso per sezioni si legge con

avidità, tanta storia messa insieme in connes-

sioni ideologiche: fatti, filosofi, scrittori,

scienziati, autori di teorie e di principi che

annodate svolte e Autodistruzione, l’ intelli-

genza umana trapassa in strumenti bellici au-

tomatizzati che generano il finimondo tra po-

poli ancora in stato di primitività, stremati

dalla fame e dalle epidemie. Il mondo con-

temporaneo con le sue trasformazioni, con l’

espansione dei mezzi di ricerca, con le strut-

ture tecnologiche si fa erompente e dilagante

per tutte le parti della terra. Attraverso l’

esame del nostro tempo con i suoi peccati e

gli splendori si rilevano le significazioni di

una storia umana sempre più intricata, confu-

sa: un condensato in fermentazione tra males-

sere, corruzione, malcostume. Grandi attori

gli uomini: fanno la storia con la nobiltà d’

animo, con l’odio, con i domini, con le mise-

rie, le sofferenze: macchine di civiltà, forma-

no in un tutto insieme un micro-cosmo che

mette in moto con reazioni a catena, con reci-

proche influenzazioni ambienti, contesti so-

ciali, costumi, vitalità, morte, distruzioni,

eroismi, idealità, principi supremi di religiosi-

tà, di morale, di giustizia: archetipi incrollabi-

li nella mente umana, in lotta con se stessa tra

materialità e certezze metafisiche. La ramifi-

cazione di collettività, di idee, di progressi, di

guerre, di aspettative, di mutamenti, tutta pro-

tesa sempre verso l’avvenire, punto di attra-

zione che fa muovere la storia lungo il cam-

mino di ogni giorno.

VI

Orribili misfatti tramati dal male, silenziosi

tormenti di volontà dirette al bene, richiami

del senso di giustizia, involuzioni, umiltà,

atrocità, amore per il prossimo in pagine sti-

molatrici di arricchimento di sapere, estese,

chiarificatrici. Il movimento della storia su

tutti i luoghi della terra che nel nostro tempo

si trovano ravvicinati da un diffuso senso di

cosmopolitismo e da sempre più vasto ecu-

menismo. L’opera di Sabato Racioppi, un la-

voro di grande perizia che si svolge con pro-

fondità e acutezza di pensiero. Realizzata dal-

la Editrice “Nuova Impronta” di Filippo Chil-

lemi. Un’opera storica vista nella sua autenti-

cità di catena di avvenimenti che si condizio-

nano fra di loro e si irradiano in un divenire

che sempre si polarizza su estremi contrastan-

ti lungo cammini di progresso, di decadenza,

di crisi, di riprese rinnovatrici. Albert Camus

in tempi in cui si sono smarriti i valori con

realismo pessimistico vede gli uomini chiusi

in egocentrismi, nemici l’un verso l’altro, in

una vita di assurdità. Gli anni dal ’50 diven-

tano materialisti, senza religione, con super-

bia e arroganza. Gli uomini consumisti, privi

di senso della unitarietà, individualisti, si ve-

dono fuori da ogni contesto sociale. Il pro-

gresso tecnologico ha distrutto le norme eti-

che, si è arrivisti, presi da ingordigia, da un

fremente desiderio di novità, insoddisfatti,

svuotati di sentimenti, si vive attruppati, ele-

menti della massa anonima in città che si fan-

no agglomerati di solitudine. Mafia e crimi-

nalità organizzata, corruzione a tutti i livelli.

Le virtù antiche smantellate. La famiglia è in

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.29

crisi, non costituisce più l’ambito dove si vive

insieme, disorganicità, gli affetti perdono la

loro attrattiva, si è influenzati dal mondo

esterno, l’autorità della famiglia viene ad es-

sere soggiogata dai poteri collettivi.

VII

Si impone la dottrina del liberismo che vuo-

le rivendicare la libertà d’azione degli indivi-

dui. Per questa via si dà modo di avviare l’ ar-

ricchimento di gruppi potenti, detentori di ca-

pitali e di macchine. Il libero mercato non ha

influssi positivi per tutti, mancando la rela-

zione tra proprietà privata e le regole della

giustizia sociale. L’opera “Orrori e splendori

del mondo d’oggi” di Sabato Racioppi mette

ancora una volta in risalto lo sfruttamento dei

miseri, costretti a lavori deprimenti in am-

bienti malsani privi di ogni tutela. Tutto il

pianeta diviso secondo le condizioni econo-

miche in tre grandi blocchi. Primo Mondo

capitalistico, Secondo Mondo socialista, Ter-

zo Mondo, liberato dal dominio coloniale,

travagliato da problemi sociali, politici e di

sopravvivenza. Paesi sottosviluppati in piena

povertà di mezzi. Oggi almeno un miliardo di

persone vive senza alloggi, senza servizi igie-

nici. Popoli tormentati da malattie e morte. L’

industrializzazione, il progresso tecnologico

determinano mali gravi che mettono in crisi

lo stesso pianeta con l’inquinamento atmosfe-

rico e le deforestazioni. Il mondo contempo-

raneo in pieno stravolgimento, contrasti sem-

pre più profondi fra capitalismo e miserie. At-

tecchisce sempre più la criminalità, si inse-

guono finalità perverse, ricorrendo alla vio-

lenza e alle attività illecite. L’opera “Orrori e

splendori del mondo d’oggi” ha pagine che

richiamano tristezza e senso di insicurezza.

La violenza senza dubbio rappresenta il male

atroce del nostro tempo. E’ indicazione di

condizione di debolezza, mancanza di dialogo

e di forza morale. Episodi di criminalità aber-

rante erompono in ogni parte della terra. Non

può restare per tempi indeterminati, va ag-

gredita e sconfitta da tutti i popoli. Ancora

continua l’elenco delle turpitudini in voga nel

nostro tempo. La prostituzione diffusa in tutte

le forme. L’aborto che genera vittime, è

espressione di malvagità, di mancanza assolu-

ta di eticità, divenuto un fenomeno di massa.

Le guerre di religione dell’Età moderna ripe-

tono fenomeni avutesi nel Medio Evo. Fon-

damentalismi contro ogni libertà di credenza.

Altre cancrene, che rodono gli ambienti so-

ciali e che sembrano assommare tutte le for-

me di malcostume verificatesi nei secoli, il

traffico delle armi e delle droghe. L’O.N.U.

non riesce ad arginare i fenomeni distruttivi

per le sue insufficienze e incapacità di inter-

vento.

VIII

Al trionfo di tanti mali che attanagliano l’

Umanità lo storico Sabato Racioppi contrap-

pone le espressioni di splendore che fanno

pensare ai futuri assestamenti della società

sulla base di rinnovellati modi di concepire i

rapporti tra i popoli: si spera in riordinamenti

di strutture che garantiscano in certo qual

modo pace e giustizia. La caduta delle dittatu-

re, la decolonizzazione del Continente Nero,

dell’Asia Meridionale, a cominciare dalla Ri-

voluzione delle colonie inglesi del Nord

America. Si instaurano le nuove concezioni

del lavoro con prospettive di diffuso benesse-

re. L’uomo di oggi in tanta parte del mondo

trova nel lavoro le vie per affermare la sua

identità. Si divulgano i sistemi organizzativi

che comportano progressi nell’ambito dell’

alimentazione e della sanità pubblica. La tec-

nologia è in uno sviluppo continuo, a comin-

ciare dalla conquista dell’orbita terrestre negli

anni ’50 e ’60 del Novecento. Conquiste di

grande portata, trasformano il mondo intero

in tutti i settori, dalla chimica alla biologia,

alla medicina. Due grandi scienziati hanno ri-

vitalizzato l’Umanità Albert Sabin e Alexan-

der Fleming. Esempio straordinario di dedi-

zione per il bene dei sofferenti il volontariato

della Carità che inizia con Madre Teresa di

Calcutta. Inoltre vanno sottolineati: lo svilup-

po della scuola che ha avuto dimensioni in-

calcolabili; i movimenti del femminismo, al-

tro aspetto di grande evoluzione; il ritorno al

sacro che si fa molto sentito con l’ Ecumeni-

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.30

smo cristiano; altro fenomeno sociale che

contribuisce ad avvicinare i popoli è dato dal-

la mondializzazione dell’informazione.

IX

Non potevamo non soffermarci sulle varie

argomentazioni trattate nell’opera storica di

Sabato Racioppi per poter rilevare la comple-

tezza e lo svolgimento metodico delle sue

parti in luce di sintesi e con acume intelletti-

vo. Ogni pagina rappresenta una sua ricchez-

za espositiva. Di capitolo in capitolo, dell’

opera si riconosce l’importanza che la rende

utile e valida come testo di studio ad alto li-

vello. La pubblicazione di Sabato Racioppi di

elevata grandezza per i profitti che si possono

trarre come strumento di apprendimento e di

informazione, per i suoi caratteri didascalici,

ma soprattutto come risultato di un lavoro

poderoso, condotto con perseverante impegno

di studioso sempre dedito a ricercare verità,

per l’entusiasmo che via ha profuso e per la

sentita doverosità di dare al pubblico dei let-

tori consapevolezze sui fatti sconvolgenti che

viviamo, rendendolo partecipe attento del no-

stro tempo.

Leonardo Selvaggi

SPICCHI DI SOLE

Spicchi di sole,

arance carnose

nelle tue gote.

Timidezza si libera,

palloncini ondeggiano

rincorrendo innocenza.

Papaveri sbocciano

tra aliti di vento

su mari di grano

cullati dal sole.

Luce negli occhi

m’infonde calore.

Sbocciano gioie

appena abbozzate.

Sorride la vita,

chiaroscuri cancella

mentre il cuculo

in solitudine canta

amori svaniti.

Colombo Conti Albano Laziale

L’ORA DEI SOGNI

Con un finale “Amen” si concludono

le preghiere della sera.

Spengo la luce e mi abbandono

all’abbraccio del cuscino

e delle coperte. E’ giunta

l’ora dei sogni.

Mariagina Bonciani Milano

PAS MÊME LA VIE

SI ELLE N’EST PARTAGEE

C’est le mien!

Tu l’affirmes avec force,

presque d’un air renfrogné.

De la possession tu as une conception absolue.

Tien le jouet de qui est à côté de toi,

qui joue avec toi et les autres enfants;

tiennes aussi les routes, les maisons;

tien le petit cheval dans le parc

sur lequel tu te balances;

tien l’entier manège public.

Tiens, naturellement, maman et papa,

la grand-mère et le grand-père;

si tu es avec l’un, tu chasses les autres, tu les

exclues.

Comment te faire comprendre que le mien

est bien avec le tien

le sien le nôtre le leur?

Joie pleine, la richesse?

Aucune chose n’est belle dans la vie,

pas même la vie si elle n’est partagée.

Domenico Defelice Pomezia, 27 Juillet 2012

in A RICCARDO (e agli altri che verranno) -

Traduction de Béatrice GAUDY

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.31

LA MIA LÈUCADE (Il viaggio tormentato di una

memoria che dal ventre della

terra cerca di proiettarsi in

mondi di onirica bellezza) di Nazario Pardini

O sempre in memoria le parole che

un poeta semisconosciuto francese

mi rivolse alla fiera del libro di Fran-

coforte nel lontano 1997 (Maurice Degas):

“Le poète c’est la mer et le fleuve”, il poeta è

mare e fiume. Mare perché vede in quell’

orizzonte lontano la possibilità di completare

la sua insufficienza. Fiume in quanto si sente

rappresentato in toto da quelle acque che

scorrono veloci verso un’immensità che

completa o annulla (contemplazione). Una vi-

sione eraclitea della vita e del tempo. In effet-

ti tutti e due si fanno simbologia dell’anima

poetica: il senso alfieriano (vedi “La vita”) di

una libertà che mai si concretizza in politica,

e il cui simbolo più aderente è quel piano az-

zurro (per Alfieri le ampie distese nordiche di

neve) nel quale i Romantici vedevano concre-

tizzate le loro aspirazioni vaghe e indetermi-

nate (vedi le pitture di Delacroix). E Lèucade

è l’isola che non è, e mai sarà. Rappresenta l’

aspirazione dell’uomo, la sua spinta verso il

plurale, la totalità; la sua attrazione naturale

verso il Cielo, in quanto essere mortale, im-

perfetto e miope, con una vista che mai potrà

appagare il suo desiderio di vedere lontano.

Quindi sta in questa spinta verso l’alto il cuo-

re della Poesia. La ricerca continua del Bello

assoluto; ciò che si fa e si sfa in continuazio-

ne. Niente c’è di compiuto, niente di perfetto,

tantomeno l’idea del Bello che l’uomo-poeta

ha: un divenire di contrapposizioni che gene-

rano verità relative. E tutto è relativo, ed è

proprio ciò a determinare spleen, inquietudi-

ne, saudade, nostos. È proprio nella sua natu-

ra questo miscuglio di terra e cielo. Il fatto sta

che il terreno tiene vincolato l’uomo alle sue

braccia. Mentre egli dovrebbe ambire alla

Natura. A quella pura, incontaminata, spec-

chio del supremo. Tutto è in fieri, in divenire,

e l’Arte in genere è alimentata da questo im-

pulso a superare la realtà cruda, anch’essa

imperfetta, e deficitaria, che ci dà la continua

conferma della nostra pochezza. Mi piace de-

finirla - la Poesia - quella parte di noi che più

si avvicina all’inarrivabile. Sì, all’ inarrivabi-

le; e finché avvertiremo questa voglia, questo

impulso, questa necessità di elevarsi, esisterà

anche il serbatoio della Poesia. Un traguardo

quindi inarrivabile anche perché non esiste

linguismo sufficiente a concretizzare questi

input emotivi che l’anima genera. Questa è

soprannaturale, venuta dall’alto e destinata

all’alto; il verbo è mortale, una semplice,

seppur complessa, creazione umana, e, come

tale, imperfetta; mai sufficiente a configurare

quegli slanci. Un tempo misi come sottotitolo

a Lèucade: “Il viaggio tormentato di una

memoria che dal ventre della terra cerca di

proiettarsi in mondi di onirica bellezza”. Poe-

sia è vita; il poeta è un uomo vivente in tutto

il corso del tempo (passato, presente e futu-

ro). E che cosa è la vita se non che la memo-

ria e il sogno. La memoria, dacché essa con-

serva le cose importanti, quelle che stanno a

cuore nel bene o nel male, e degne di restare;

la vera vita. Il sogno, perché è là che si rifugia

il poeta per ovviare alle sottrazioni del quoti-

diano. Ed è nel sogno che vede le realizza-

zioni della sua impotenza. Höldernin nove

anni prima di essere ricoverato in una clinica

per alienati mentali, chiede nella lirica Ipe-

rione o l’Eremita della Grecia, al “canto” che

sia per lui “rifugio amichevole”, affinché la

sua “anima, raminga e senza radici/ non sma-

nî di oltrepassare la vita” e divenga “luogo di

felicità (…) giardino curato con premuroso

amore,/ ove aggirandomi tra fiori in perenne

fioritura,/ in sicura semplicità io abbia dimo-

ra,/ mentre di fuori con tutto il suo ondeggia-

re/ il tempo possente, il tempo mutevole ru-

moreggia lontano”; e nell’elegia Pane e vino

invita tutti i poeti a unirsi in un’universale

fratellanza: “… e molto (buono) ascoltare dei

giorni d’amore,/ dei fatti che accaddero un

tempo/… Sono i poeti, a fondare quel che ri-

mane (Was bleibt aber stinte die Dichter)”.

H

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.32

Trovare la serenità là da dove siamo partiti è

forse il sistema migliore per calmare il disa-

gio che incontriamo misurandoci con il tem-

po e la morte, se non si vuole impazzire. E là

è il “giardino curato” di Höldernin. Che cosa

sia la poesia, poi, è certamente uno degli in-

terrogativi più annosi della storia dell’uomo.

La sola certezza comunque è che necessita,

volenti o nolenti, di realtà individuali, di sin-

gole esperienze, di vicissitudini ed emozioni

personali, per aprirsi dal memoriale all’im-

maginario, dalla vita al gran senso. Si fanno

avanti il sogno, la fantasia, la realtà che non

riescono comunque mai a liberarsi del tutto

dal bagaglio del memoriale che ci portiamo

dietro sempre più vago e nostalgico, vita

scampata all’oblio e per questo degna di esi-

stere. E quello che ci tormenta è proprio il

pensiero del suo destino. Chi lo affida ad una

fede religiosa, chi al puro sogno, chi ad una

fede poetica, e chi, laicamente, ad un’isola

quale potrebbe essere quella di Lèucade, ten-

tativo foscoliano come terapia al morbo del

dubbio.

E Lèucade rappresenta la purezza laica, la

bellezza, l’isola del- l’equilibrio classico, del-

la realizzazione del supremo su questa nostra

problematica terra; il tentativo di elevarci lai-

camente al sapore del durevole. Excursus

verso un mito futuro rappresentato già da

Ulisse che riprende la sua navigazione. Non è

soddisfatto di chiudere i suoi giorni nella sta-

ticità di un tramonto insulare. Riam- maina le

vele, impugna la scotta verso la demarcazione

delle colonne. Impennata laica in un contesto

medievale in cui primeggia la supremazia di

un Divino intoccabile e imperscrutabile per

chi tenta l’avventura umana.

Ed è qui che si raggiunge dopo il percorso

di una realtà settembrinamente idealizzata, e

melanconicamente vissuta, l’incontro con

l’apparizione metaforica delle Eumenidi nella

collocazione geografica del fiume paesano

trasferito nell’isola di Lèucade. Si chiede aiu-

to perfino a figure più o meno grandi che già

si sono imbattute colla visione infernale delle

tre donne, o col mito di Venere cipride o cite-

rea. Incontri laici, comunque, sia coll’epicu-

reismo di Lucrezio, sia col panteismo di Vir-

gilio che nel VII dell’Eneide incontra le Erin-

ni, sia con l’Ulisse di Dante, sia con le Grazie

del Foscolo che con l’Edipo del Niccolini:

Il ritorno di Ulisse

Qui tutto è sapido. Lo so! I profumi

dell’isola, il ginepro, la lavanda,

e tu che ho ritrovato. Ho sempre in mente

il volo urlato della procellaria.

Mi strappava la carne. Le sirene

misteriose e adescanti e io che immobile

all’albero maestro volli fendere

i nascondigli fitti del sapere,

i più vogliosi. È questa la mia isola.

Qui alla sera torna a dilatarsi

l’idea dei meriggi e il lungo andare.

E ancora estendo sguardi in lontananze

sperdute. Mi lasciarono nell’anima

crepata di salsedine le note

che tornano insolute. È sempre aperta

la sfida tra l’eterno e me che cerco

con gli occhi indolenziti quella luce

che mi soverchia. Ma stasera il mare

riporta chiare voci di Calipso

e di Circe. E il canto di una vergine

intenta al suo corredo.

Sento ancora la sua candida pelle

su me adusto di sale. Ritornare

era il mio sogno. Eppure condannati

siamo sempre dai gorghi della vita

che le spoglie depongono. Nell’anima

germinano e si fanno giganti al

calare. Ognuno tiene di Nausicaa

chiusa con sé nel fondo una sembianza

mai defilata. Ed ora salta fuori

e porta dietro ogni contorno d’anni

e di stagioni che non solo amore

significa, ma voglie e nostalgie

che trovano le vie le più nascoste

e avanti a noi si levano. La ciurma

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.33

è lì che attende. Ancora salperemo

oltre colonne, questa volta, mitiche

d’impedimento ai sogni. L’ora è giunta.

Se il mio destino vuole che ritorni

ai familiari usi ed ai barlumi

dell’isola agognata, porterò

con me più luminoso il cielo. Se

perire vorrà ch’io debba in mare

straboccante d’immenso sopra i limiti

del mio essere umano, perirà

assieme a me l’eterna primavera

di chi non sentì mai sopita in anima

la voglia del viaggio. Poi tornare

nuovi. O superbi spegnerci per via.

Il linguaggio stesso subisce un’evoluzione

di adeguatezza diacronica. Si insaporisce di

termini arcaici, tende sempre più alla plastici-

tà del distacco marmoreo. Ed è sullo scoglio

di Lèucade che si raggiunge il colmo di una

scalata lirica che permette sia la dimenticanza

degli affanni esistenziali, la ripulitura per così

dire del vissuto, che l’amore del tutto, ora

veduto con altra dimensione umana, direi

quasi ebrietudine dell’immagine che si fa

poesia. La circolarità si compie nei canti ar-

caici. Dove tutto un mondo amato, in cui, se-

condo me, immensi erano i presupposti im-

maginativi e creativi, irripetibili per liricità

poetica, dipana una visione superlativa di

amor vitae che si fa plenitudine di canto e di

filosofia laica dell’esistenza. Un’isola mitica

e magica, irrealmente reale; un’isola a cui tut-

ti i poeti sentono il bisogno di approdare; e

non mi prendete per narciso se vi propongo

un pezzo nato proprio dalla voglia di appro-

dare a Lèucade:

Fuga da settembre

E furono le Eumenidi a portarmi

dove non vi è stagione. Ventilava

zefiro eterno l’isola di Lèucade

eternamente dolce nel respiro

di lavanda e di timo. “Dallo scoglio”

mi dissero “Ove siedi ad osservare

gli ampi spazi del mare ricamato

da sciami di gabbiani, si gettavano

gli sfortunati umani per disperdere

reminiscenze estreme. Ed anche Venere

restò meravigliata nel sentirsi

serena dopo il volo. Gli infelici

a Lèucade accorrevano

dai più lontani luoghi. Preparavano

con offerte ad Apollo e sacrifici

la loro prova. Ed erano sicuri

coll’aiuto del dio di sopravvivere

all’eccelsa caduta. Proprio qui,

dove tu siedi, stette il piede tenero

dell’infelice Saffo che Faone

abbandonò. Nel cielo di quest’isola,

lucido ed armonioso, riscontrava

solo dolore; andava su altre sponde

dove il mare violento tormentava

gli scogli dissestati per rivivere

il suo triste destino. Dalla cima,

sfiorata dalle mani

della dimenticanza, si gettò

in quest’onde fatali. Ed Artemisia

regina della Caria ed altre ancora

raggiunsero la meta, ma scambiando

la vita con la morte.” “Mi sovviene

il mio settembre tanto logorante

nei palpiti di umana inconsistenza,

nei flebili lamenti di esistenza,

nei pallidi scolori di tristezza

di un borbottio leggero di rumori

quasi alla fine. Ma non so se vale

di più restare immoti nella stasi

di un eterno sereno che provare

il dolce senso del dolore umano.”

“Proprio il poeta, diciamo di Nicostrato,

gettandosi dall’alto della rupe

non lasciò col patire

il respiro di vita. Forse il dio

volle che poesia perpetrasse, dopo il salto,

il suo divino suono. Ci chiediamo

se più grande pacato che in tormento

come da scoglio umano.” Ed io fuggii

scabro settembre, mese addolorato,

dal sangue che si sperde in ogni dove

dell’ultimo respiro della vita.

Io ti lasciai e un salto nelle oniriche

acque di Lèucade non mi concesse

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.34

morte né oblio, ma solo la ricchezza

d’immagini feconde rivissute

da un’anima al di sopra delle povere

storie del giorno. E ti rivissi, vita,

con un sentire lieve e tanto amato

che in ogni fatto lieto o meno lieto,

ma scampato, vidi un superbo dono.

Nazario Pardini

SUONI ATTUTITI

Ballata cittadina:

suoni attutiti dietro imposte chiuse;

con note in disaccordo

che aggregano il rombare di motori

al pianto di un neonato,

a frasi pronunciate dai passanti.

Accordi abituali,

talvolta uniti al canto degli uccelli,

diretti ai loro nidi

costruiti sugli alberi dei viali.

Sonoro sottofondo

che si alterna al silenzio nelle case

e colma i nostri giorni.

Elisabetta Di Iaconi Roma

FARFALLA NELL’ARIA

La faccia adolescente genuina

ha le lentiggini sulla delicata pelle.

Tutta la primavera si diffonde,

tutto l’azzurro è trapuntato

dal giro delle farfalle.

L’eterna fidanzata nel silenzio

sopra le brame del cuore.

La sua persona

s’estende per la piccola stanza,

le vesti sono un velo

sul calore del corpo vaporoso.

La raccolta delle delizie nel canestro felice.

Nel nido di piume

il flessibile groppo di carne si prende.

Scoperto l’ovale candido:

la profondità delle curve

la purezza lineare di un giunco,

il fiore dei ricordi.

I petali aperti, assaporati entro il calice,

sugli steli gocce di latte, braccia verdi.

Sei rimasta lì, ferma

con presenza ossificata,

oltre gli anni e i luoghi diversi

nell’aria del paese

nell’ardore drammatico della giovinezza.

Ti ho voluto lasciare intatta

figura nella gloria del sogno

e delle illusioni, al crepuscolo

nei rintocchi delle campane,

quando l’aria si oscura lentamente

e ci si sgretola con le cose.

Leonardo Selvaggi Torino

CIELO CELESTE

ATTRAVERSO I VETRI

Cielo celeste attraverso i vetri

e trasognate grida di gallo

in lontananza; un autocarro

romba nel polverone.

Ogni mattino è un sole di speranza

Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)

È in uscita

CLAUDIA TRIMARCHI

LA FUNZIONE

CATARTICA

E RIGENERATRICE

DELLA POESIA

IN DOMENICO DEFELICE

Il Convivio Editore

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.35

LAURA PIRDICCHI

OLTRE di Tito Cauchi

AURA Pierdicchi è nata a Venezia e

vive a Mestre, ha al suo attivo un’ in-

tensa partecipazione a eventi culturali;

è presente in molte riviste letterarie come

saggista e oggetto di recensione; ha pubblica-

to tredici libri, tra cui Oltre, di cui ci occupe-

remo.

Sandro Gros-Pietro, l’editore, nella prefa-

zione indica due fili rossi uno riguarda “la

nozione inafferrabile del tempo” o il “non

tempo”, in cui i ricordi sono in continua me-

scolanza perché la Poetessa riesca a leggersi

diversificandosi; così che l’oltre del titolo

debba essere interpretato come modo nuovo

di leggere la realtà secondo la fantasia e non

secondo la materia. L’altro filo rosso riguarda

l’amore verso il marito pittore Franco Rosset-

to, con il quale ha condiviso un’intesa cultu-

rale durata cinquant’anni. Altresì avverte che

l’elemento autobiografico non è invasivo, né

egotico “ma piuttosto propositivo di temati-

che che investono l’universalità dei fenomeni

e delle persone.”; la Poetessa con onestà alza

un canto d’amore all’uomo eletto compagno

della sua vita, e in questo si annovera tra le

migliori poetesse italiane contemporanee.

La raccolta non poteva che essere dedicata

al marito, Franco, del quale cita un pensiero

del 1962, “Amo il mondo più del mondo per-

ché è un’amara gioia”. Le pagine non ripor-

tano titoli; i versi vergati possono essere inte-

si come frammenti di un discorso unico, sen-

za costruzione prefabbricata, diciamo un mo-

nologo o una lunga confidenza. Le riprodu-

zioni artistiche sono di K. B. Rossetto; tre ci-

tazioni di Emily Dickinson aprono, chiudono

e costituiscono il corpo della silloge.

Un brano d’apertura cita “Ora accompagno

la tua solitudine/ per riempire il baratro che

incombe.” I pensieri della Donna sono rivolti

al marito assente, al quale descrive i suoi stati

d’animo; non c’è né un prima, né un dopo.

Gli parla delle emozioni, delle percezioni che

ha del mondo esterno, interiorizzate: tutte le

cose le parlano di lui. Alterna ricordi, evoca i

momenti più delicati, più belli, la loro com-

plicità. Sono attimi fermati ed eterni nel con-

tempo, oltre la dimensione temporale, ma an-

che i più tristi di cui non riesce scrollarsi: “Ti

hanno messo il vestito migliore/ per sposarti

con fuoco-/ le fiamme hanno danzato/ sulla

tua carne fredda” (pag. 24).

Momenti di vita vissuti insieme a contem-

plare le bellezze del mondo, come un campa-

nile, la luna, il mare. Comprende da se stessa

di avere tanti pensieri che si intrecciano ma

non in un ingarbuglio; anzi si intrecciano in

una storia d’amore, ricca che non sai da dove

cominciare a raccontare; ti rimane il sogno

della notte per goderne della bellezza, per vi-

verne gli istanti, tutti. Adesso cancellati. Si

sveglia la donna che è in lei, la sua umanità, il

suo bisogno di sentire la presenza di lui. Il

suo spirito invoca lo spirito dell’altro, ne av-

verte l’alito, il calore; in uno sforzo oltre i li-

miti umani fisici, sente materializzarsi i due

spiriti, sino ad avvertirne il contatto.

L

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.36

Laura Pierdicchi è consapevole che si tratta

di mera illusione, perciò rimane con un tonfo

dentro allo stomaco: “Lo so che non paga/

sposare il martirio-/ che tutto e niente tra-

scorre./ (…)/ Lo so/ ma ignoro l’antidoto.”

(pag. 45). La Poetessa, nel palcoscenico della

vita immaginato, assume una finzione per ce-

lare il dolore che ha dentro, costruisce un

“non tempo”. Ho apprezzato la semplicità

espressiva di una storia d’amore, qui racchiu-

sa: “Eravamo sconosciuti/ quando incontrai

il tuo occhio/ fisso sul mio/ nel consueto bus

giornaliero// Non ero ancora maggiorenne/

ma già ti attendevo/ per un vuoto da colma-

re// Sceso alla mia fermata/ mi hai fermato/ e

per mezzo secolo/ sei stato lo scopo del risve-

glio.” (pag. 58).

Ho sorvolato sui versi più dolci, preferendo

quelli meno aulici come ‘groviglio, catene in-

crociate, catena di cause e di effetti’, che re-

stituiscono una dimensione umana. Non in-

dugio sul l’accostamento alle grandi poetesse

contemporanee, in quanto mi dà l’ impressio-

ne di una poesia cosiddetta al femminile. Io

penso che la poesia di Laura Pierdicchi vada

oltre tale cesellatura, la sua è poesia che può

essere coniugata tanto al maschile, tanto

come poesia degli affetti verso i genitori o af-

fetti filiali, se non addirittura Poesia d’ Amo-

re, sic et simpliciter. Preferisco concludere

con la chiusa della raccolta: “Quando la sete/

trova l’acqua nel deserto// è copula astrale.”,

che mi richiama i quattro elementi della vita

(acqua, terra, aria, e il fuoco d’amore).

Tito Cauchi LAURA PIRDICCHI, OLTRE, Genesi Editrice, Torino 2016, Pagg. 88, € 14,00

AL CIELO

Mi tieni per mano

levità, cielo;

m’inazzurri gli occhi

e germogli sul capo.

Cielo, riva sterminata

del cielo che s’incrina,

di spazi che adombrano.

Innanzi a te

tutto rimpicciolisce

e quasi muore.

Cielo, vertice

del murato carcere,

la vita.

Rocco Cambareri Da Da lontano, ed. Le Petit Moineau, 1970

FARFALLA ODISSEA

S’adagia sulla luna

una farfalla odissea:

si dilunga la Terra.

E un soffice altalenare

rapisce a celesti continenti,

alba d’un nuovo fuggire.

Saremo tatuati d’azzurro,

il nostro petto

recherà stemmi solari

e luci astrali attingeremo.

Ma il guscio della sfera

gravita sul cuore.

Quale nocchiero tesserà

corone di mani intrecciate?

Rocco Cambareri Da Da Lontano, ed. Le Petit Moineau, 1970

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.37

Sull’IRRIDUCIBILITÀ

DEL POETICO di Susanna Pelizza

A Poesia può di nuovo intervenire

nell’uniformità mediatica, separando i

vari saperi. Per cui se tutto fa parte di

un sapere collettivo è pur tuttavia giusto, dif-

ferenziarne le varie attività dello spirito, come

la filosofia, la prosa, la cronaca, il teatro, la

musica, e in ultimo la Poesia.

In che cosa si differenzia la Poesia dalle al-

tre arti? La Poesia è un processo culturale nel

senso che la sua struttura trasmette “rimandi”

che la rendono “irriducibile” a qualsiasi omo-

logazione. Il suo senso non può essere “spet-

tacolarizzato”, manifesta una sua irriducibilità

e particolarità, nel suo essere conforme a un

principio di cultura. La Poesia non ci aiuta a

vedere meglio la realtà: c’è per questo la Fi-

losofia e la Psicanalisi. La lirica, invece, ci

aiuta a vedere meglio la cultura. Ci educa e ci

istruisce su un “senso” che diventa il Senso

Universale di un sapere comune e condiviso

per cui se nella mia poesia rivisito il “tanto

caro mi fu questo ermo colle”, la “spazialità

del rimando”, il senhal arricchisce il mio sa-

pere, con la ripresa non spettacolarizzata e

non soggetta alla trasfusione mediatica, quin-

di con il “risveglio di un luogo letterario as-

sopito”.

La poesia esistenziale si differenzia dalla

poesia culturale: la prima produce sensazioni,

come una “melodiosa canzonetta cabarettisti-

ca”, l’altra spazia il nostro intelletto come un

enigma del cruciverba. La poesia esistenziale

può imperniarsi di contenuti cabarettistici può

produrre una fusione tra psicanalisi e filoso-

fia, spettacolo, musica, può essere malleabile

come creta e riducibile a qualsiasi procedi-

mento di omologazione in corso, può essere

colloquiale e vicina alla prosa, soggetta a

qualsiasi trasformazione. Molta poesia esi-

stenziale non si distingue dal puro fatto di

cronaca, dal linguaggio comune e occasionale

del quotidiano. La poesia culturale manifesta

una sua particolare irriducibilità che sta nel

“trasmettere cultura”, si distingue, quindi, con

l’imprescindibilità di un senso che sta al di là

delle nostri più comuni ed equivoche opinio-

ni.

Susanna Pelizza

D. Defelice: Tre vasi (biro e pastello, 1981)

In fase di stampa presso le Edizioni EVA:

AURORA DE LUCA

ASPRA TERRA E

CREAZIONE FERTILE

NELL’OPERA DI

DOMENICO DEFELICE

L

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.38

Comunicato STAMPA

XXVI Edizione

CITTÀ DI POMEZIA

L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fra-

telli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM) - Tel.

06 9112113 – E-Mail: defelice. [email protected] - internet: http://issuu.com/domenicoww/docs/

- organizza, per l’anno 2016, la XXVI Edi-

zione del Premio Letterario Internazionale

CITTÀ DI POMEZIA, suddiviso nelle se-

guenti sezioni :

A - Raccolta di poesie (max 500 vv.), da in-

viare fascicolata e con titolo, pena esclusione.

Se è possibile, inviare, assieme alla copia car-

tacea, anche il CD;

B - Poesia singola (max 35 vv.) ;

C – Poesia in vernacolo (max 35 vv.), con al-

legata versione in lingua;

D - Racconto, o novella (max 6 cartelle. Per

cartella si intende un foglio battuto a macchi-

na – o computer - da 30 righe per 60 battute

per riga, per un totale di 1800 battute. Se è

possibile, inviare, accanto alla copia cartacea,

anche il CD);

E – Fiaba (max 6 cartelle, c. s., lettera D);

F – Saggio critico (max 6 cartelle, c. s.).

Non possono partecipare alla stessa sezione

i vincitori (i Primi classificati) delle trascorse

Edizioni.

Le opere (non manoscritte, pena l’ esclu-

sione), inedite e mai premiate, con firma, in-

dirizzo chiaro dell’autore e dichiarazione di

autenticità, devono pervenire a Domenico

Defelice – via Fratelli Bandiera 6 - 00040

POMEZIA (RM) - e in unica copia - entro e

non oltre il 31 maggio 2016.

Le opere straniere devono essere accompa-

gnate da una traduzione in lingua italiana.

Ad ogni autore, che può partecipare a una

sola sezione e allegare un breve curriculum di

non oltre dieci righe, è richiesto un contributo

di 20 Euro per la sezione A e 10 Euro per le

altre sezioni, in contanti assieme agli elabora-

ti (ma non si risponde di eventuali disguidi) o

da versare sul c. c. p. N° 43585009 intestato

a :Domenico Defelice - via Fratelli Bandie-

ra 6 - 00040 Pomezia (RM). Le quote sono in

euro anche per gli autori stranieri. Sono

esclusi dal contributo i minori di anni 18 (au-

tocertificazione secondo Legge Bassanini).

Non è prevista cerimonia di premiazione e

l’operato della Commissione di Lettura della

Rivista è insindacabile. I Premi consistono

nella sola pubblicazione dei lavori.

All’unico vincitore della Sezione A verran-

no consegnate 20 copie del Quaderno Lettera-

rio Il Croco (supplemento di Pomezia- Noti-

zie), sul quale sarà pubblicata gratuitamente

la sua opera. Tutte le altre copie verranno di-

stribuite gratuitamente, a lettori e collaborato-

ri, allegando il fascicolo al numero della Ri-

vista (presumibilmente quello di ottobre

2016). Sui successivi numeri (che l’autore ri-

ceverà solo se abbonato) saranno ospitate le

eventuali note critiche e le recensioni.

Ai vincitori delle sezioni B, C, D, E, F e ai

secondi classificati per ciascuna sezione, verrà

inviata copia della Rivista - o del Quaderno

Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro.

Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero

scadenti, la Commissione di Lettura può deci-

dere anche la non assegnazione del premio.

La mancata osservazione, anche parziale,

del presente regolamento comporta l’ auto-

matica esclusione. Foro competente è quello

di Roma.

Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di P. -N.

Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edi-

zioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Et-

tore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabel-li:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò;

Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli (USA):

Canti del ritorno; Solange De Bressieux (Francia): Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Iti-

nerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di

Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la

memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Gio-

vanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi

Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho

scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amo-re; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca

Gernetti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Ma-

scara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Na-zario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorel-

lo: Voglio silenzio; Isabella Michela Affinito: Pro-

babilmente sarà poesia.

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.39

I POETI E LA NATURA - 54

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

“La chitarra” di

Federico Garcia Lorca

(1898-1936)

Con Garcia Lorca ci affacciamo (anche se so-

lo per un attimo) sul fiorito mondo della Poe-

sia Spagnola.

Il nome completo del poeta spagnolo era

Federico del Sagrado Corazòn de Jesus Gar-

cia Lorca. Ma qui lo chiameremo solo col co-

gnome. E ricorderemo che era non solo poeta

ma anche scrittore, intellettuale, drammatur-

go; anzi, era anche pianista, libero pensatore e

disegnatore, con spiccato interesse, oltre che

per la poesia, per la pittura e per il cinema.

Sono infatti noti i suoi rapporti con Salvador

Dalì, Juan Ramòn Jimènez, Pablo Neruda,

Luis Bunuel. Nonché la sua appartenenza al

Gruppo Generazione del '27. La sua eclettici-

tà e poliedricità fa sì che le sue opere rappre-

sentino punti d'arrivo importanti non solo per

la letteratura spagnola, ma anche per quella

mondiale.

Tra le sue opere sono molto note Romance-

ro Gitano, Yerma, Nozze di sangue, Mariana

Pineda, La casa di Bernarda Alba. Forse il

suo capolavoro è Poeta en Nueva York, scrit-

to dopo un soggiorno alla Columbia Univer-

sity, negli Stati Uniti.

Garcia Lorca ha cantato con inesausta pas-

sione la vita, l'amore, la morte, le piante, gli

agenti atmosferici, il Paesaggio esteriore e in-

teriore, pescando a piene mani nella Natura le

sue immagini originali e affascinanti sui fiori,

la terra e la sabbia, il mare, la felicità e il san-

gue, il cuore paragonato ad un'isola nel mare

della solitudine, il cielo infinito a coprire pie-

tosamente la grande tragedia della vita uma-

na. Dopo una vita infelice a causa di una for-

tissima depressione che lo aveva colpito per

la sua omosessualità, ebbe una morte violenta

e prematura, a soli 38 anni. Perché si era

schierato a favore della Spagna repubblicana.

Ed in quanto “ di sinistra, omosessuale e

massone” fu, infatti, assassinato da apparte-

nenti allo schieramento vicino al futuro Ditta-

tore della Spagna Francisco Franco, subito

dopo il golpe e la presa del potere. Aveva

quasi prevista una propria morte imminente e

“pubblica”, quando aveva scritto:

“...Cuando yo me muera

enterradme bajo la rena

en una veleta...”

Naturalmente, da buon poeta, e per giunta

spagnolo, non avrebbe potuto non amare la

musica dello strumento nazionale, la chitarra.

E proprio alla chitarra aveva dedicato una

delle sue liriche, condensando voci della Na-

tura e voci di un cuore desolato:

“ Incomincia il pianto

della chitarra.

Si rompono le coppe

dell'alba.

Incomincia il pianto

della chitarra.

E' inutile

farla tacere.

E' impossibile

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.40

farla tacere.

Piange monotona

come piange l'acqua

come piange il vento

sulla neve.

E' impossibile

farla tacere.

Piange per cose lontane.

Arena del caldo Meridione

che chiede camelie bianche.

Piange freccia senza bersaglio

la sera senza domani

e il primo uccello morto

sul ramo.

Oh, chitarra,

cuore trafitto

da cinque spade.”

Luigi De Rosa

VAGHE FIGURE

Come folgorazioni,

che all’improvviso brillano nel cielo,

vaghe figure vanno

a rifugiarsi in attimi di tempo.

Volti dimenticati?

Fisionomie riemerse dall’inconscio?

O sogni frantumati?

Rimaste nei circuiti della mente,

affiorano ogni tanto

e accrescono il mistero della vita.

Elisabetta Di Iaconi Roma

DISPERSO

Lo sguardo alzò dall’orizzonte lo sperduto,

come se chiedesse aiuto,

come se fosse muto.

Lo sperduto correva, camminava, strisciava,

scappava da qualcosa,

qualcosa d’arrabbiato,

nella sua mente costipato:

ritrovarsi all’orizzonte immobile, svuotato.

Carlo Trimarchi Frascati (RM)

Recensioni

BOZZETTI MARIA RITA

L’ALTRO REGNO

Edizioni Polistampa, Firenze, 2015, € 7,00

Un profondo amore per gli animali, da lei sentiti

come esseri a noi vicini nel comune destino del na-

scere e del morire e capaci come noi di sofferenza, è ciò che ha mosso Maria Rita Bozzetti a scrivere

le poesie de L’altro regno, da poco apparse presso

le Edizioni Polistampa di Firenze. In particolare questa poetessa ama i gatti, per i

quali prova una forte attrazione, come avvenne per

Caterina, “una gatta senza particolari pretese di bel-lezza”, una randagia, che però sapeva comprendere

“quanto di falso e di duro / si nasconda nel cuore

umano” e leggervi anche quanto vi sia di oscuro. Scappava a volte, allontanandosi su vie misteriose,

“come un figlio che tenta l’avventura”; ma poi fa-

ceva ritorno e accorreva al richiamo della sua ami-ca, incrociando fidente il suo sguardo.

Difficile era addomesticarla, trasformandola “da

randagia a gatta con padrone”, abituarla ad avere una stabile dimora. Aveva un sonno agitato, anima-

to da “miagolii muti” e “moti involontari”. Talora

sonnecchiava “vigile, in attesa”; ma alla sua amica il guardarla dava come un senso di tranquillità;

quasi l’emozione di sentirsi “in rocciosa apparte-

nenza al mare della vita”. Oltre a Caterina però la Bozzetti ama anche altri

animali, come le rondini, di cui avverte la presenza

allorché “Sfreccia un garrito / e poi si apre a corolla / in voli e canti divisi”; così come ama una picciona

che cova e sembra indifferente a ogni richiamo,

“immolata / ad un destino più grande, / quello di

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.41

dare vita ai suoi figli” o come ama i gabbiani, il cui

volare è “ forza che trasforma l’inerte azzurro / in

acrobatica pista per supreme picchiate” e persino lo scarafaggio, “brutto magari buono”.

E poi c’è Car, il trovatello che ha fatto compagnia

alla sua padrona per otto lunghi anni, fedele come sanno esserlo i cani, sempre in attesa di un suo

sguardo o di una sua carezza.

Ciò che meglio la Bozzetti coglie negli animali è la sofferenza nella lotta per la vita; una sofferenza

che ella cerca di alleviare offrendo ai suoi amici ci-

bo e affettuosa simpatia: “Ho visto la rossa coda / dietro una pallina bianca / in fuga dentro un tubo di

fognatura: / ho conosciuto il tuo lamento” (Gatti-

no); “Il mio richiamo, / un verso delicato sussurrato / quasi una carezza trascinata dalla voce, / ti ha in-

cantato oltre lo steccato della paura” (Il mio ri-

chiamo); “Tardi sono venuta / per sfamarti: / già la sera imbrigliava la vista / … / ho incrociato il tuo

cucciolo sguardo” (Tardi).

La parola della Bozzetti è sempre limpida e netta; procede con naturalezza, ma ha accensioni improv-

vise se più intensa è l’emozione che la muove:

“Anche oggi mi hai aspettato. / E’ consueta la sera /

e su sponde diverse fissa l’incontro” (Sempre …

micino); “Quegli occhi piccoli che grande / vedono il futuro nel mio sguardo” (Il musetto); “Forse oggi

prenderà il volo / il piccolo colombo nato sul mio

balcone” (Piccolo colombo). Racconta l’autrice in alcune pagine poste a con-

clusione della raccolta che l’ha spinta a scrivere

queste poesie “un desiderio sempre più forte di sta-re vicino a questi inquilini del mondo, di sentirne il

respiro, cercare di capire il (loro) modo di essere”.

E a sua volta Franco Manescalchi nella sua puntua-

le presentazione del libro osserva che “Qui sono re-

gistrati attimi di vita che, concatenati, danno luogo

allo svolgersi della vita sotto lo sguardo attento del-la poetessa che si immedesima in quel mondo fino

alla ricomposizione creaturale”.

Invero ciò che maggiormente s’avverte in queste pagine è il grande amore per la vita, che le pervade

e che trova la sua più compiuta espressione spe-

cialmente in alcune poesie poste verso la fine della raccolta, come Avanza la vita, che ha questo incipit:

“Avanza la vita e sfonda / perimetri tranquilli e li-

miti precisi, / e nel caos riprende spazio e tempo”;

Parlare nel silenzio, che termina con un verso al-

tamente positivo e vitale: “di un segno forte di vi-

ta”; L’amore per un diverso, l’ultima poesia della silloge, dove si parla di “provvidenza di vita” e che

così si conclude: “Amore è la tua presenza / che è

logos del mio tempo / come artefice di pensieri / in slancio di vetta infinita”.

E’ questo il messaggio che Maria Rita Bozzetti ci

manda; un messaggio nobile e schietto; certamente

degno di trovare l’ascolto e il consenso dei suoi let-

tori.

Elio Andriuoli

FILOMENA IOVINELLA

ODI IMPETUOSE Il Croco/ Pomezia-Notizie, Febbraio 2016

Filomena Iovinella nativa di Frattamaggiore

(Napoli, 1969), risiede a Torino sposa e madre. Di formazione tecnico-commerciale, svolge l’attività

professionale amministrativo-contabile; si dedica

agli studi filosofici e alle sue passioni artistiche (musica e cinema). In particolare la sua passione

più intima è la poesia, con la quale ha conseguito

buoni risultati come dimostra la raccolta Odi im-petuose, vincitrice del 2° Premio Città di Pomezia

2015.

Su questa silloge Domenico Defelice evidenzia “Un io sdoppiato che duella con se stesso” già fin

dal titolo che si lascia modellare in “odi impietuo-

se” senza con ciò alterarne il contenuto; un conte-

nuto, si badi, dalle mutevoli sfaccettature poiché

solletica in modi diversi la sensibilità dei lettori. La stessa Poetessa nella prefazione chiarisce che le sue

Odi sono come l’aria che respiriamo e che ci parla-

no da un “palcoscenico”. La silloge apre con l’eponima che mi sembra un

concentrato di sensi e controsensi, fantasia e con-

sapevolezza; qui come altrove, procede in stato di ansia e di attesa ed è presente il refrain dove l’ ar-

gomento viene ripreso e variamente modulato tra

sogno e realtà: “Le porterò con me queste fiamme,

universo/ (…)/ muovermi mi fai sulle tavole da

palcoscenico/ (…)/ recito, sento, affogo la voce/

lascio triplicare nell’aria l’alone misterioso/ delle deliziose e impetuose odi di cuore, il mio/ Le por-

terò con me queste fiamme, universo.”

La ode occupa tutti i pensieri di Filomena Iovi-nella, segnandone la vita, la gioia e il tormento. In

altre parole la Poetessa leva un’ode all’ode stessa,

si apre e si chiude ad essa, si apre e si chiude al mondo; credo che nel suo mondo immaginifico si

confondano sentimenti dell’essere e del non esse-

re, superando la materia e divenendo solo spirito,

forse anche alla ricerca di un chiarimento. Con un

pizzico di compiacimento si abbandona al senti-

mento che la pervade: “sono stata felice di averti incontrata, ode/ si muove il mondo tra la gente

che non sa di me/ si ferma la mente nel mio micro

mondo/ tra la gente che sa di me.” (pag. 11). Ed è così che preferisco immaginarla.

Tito Cauchi

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.42

ANNAVINCITORIO

BAMBINI 2° Premio Città di Pomezia 2015 - Ediz. Il Croco/ Pomezia-Notizie Gennaio 2016

Bambini è raccolta pubblicata nell’agile quader-no di sedici pagine, risultata vincitrice del 2°

Premio Città di Pomezia 2015. Autrice ne è Anna

Vincitorio, poetessa napoletana vissuta quasi sempre a Firenze che per formazione di studi ha

insegnato materie giuridiche; vanta la pubblica-

zione di una ventina di volumi poetici, oltre che di saggi critici e traduzioni.

Domenico Defelice nella presentazione, riferi-

sce dell’immagine del piccolo naufrago trasporta-to a riva “con maglietta rossa e jeans” che ha fatto

il giro del mondo, giorni e giorni, commentando

che è “Un autentico sfacelo umano, al quale la Vincitorio impronta anche lo stile, con versi brevi

e lacerati, spesso atoni, una punteggiatura volu-

tamente scarsa, asfittica, dove a mancare è spe-cialmente il punto fermo per dare il senso del sof-

focamento”.

Bambini è chiaramente ispirata alle giovanis-

sime vittime soprattutto dei nostri tempi: uccisi,

brutalizzati, commercializzati; o che imbraccia-no armi pesanti o schiavizzati nei campi di lavo-

ro, anche in Italia. Nella loro vita non c’è alcun

peluche, non una festa, nessun gioco fra i prati fioriti, nessuno spettacolo goduto della natura,

nessun abbraccio: vita e morte sono fuse. La

Poetessa rivolta al ‘Bambino in guerra’ com-menta: “Non vi stringono al seno,/ orfano il

corpo,/ conche vuote le mani”. Contrastano i re-

portage che spesso portano lustro e denaro solo

agli autori.

Anna Vincitorio ha attinto nelle cronache, pur-

troppo divenute giornaliere, facendo rivivere le tragedie di cui s’è detto sopra. Il premio assegnato

ha scorto pregi nascosti confermando la presenza

di coscienze dormienti; tuttavia credo che rischi di porsi tra cronaca e retorica, poiché i notiziari ne

sono pieni. Nondimeno merita di essere ricordato

il piccolo siriano di tre anni Aylan Kurdi, portato alla deriva sulla costa turca il 3 settembre 2015,

come un minuto relitto che solo la pietà del solda-

to che lo ha preso in braccio, lo ha consegnato alla

dimensione umana; né va dimenticato il fratellino

Galp Kurdi di cinque anni, che lo ha seguito nella

tragedia. Ulteriori commenti rischierebbero di farci avvitare inutilmente. Conclude bene la rac-

colta: “Per queste ali d’angelo recise/ non baste-

rebbe il mare/ Solo pietà rimane/ alle sue spon-de”.

Tito Cauchi

ZHANG ZHI & LAI TINGJIE

WORLD POETRY Yearbook 2014 (263 Poets, 100 Countries and Areas)

Editors in chief Zhang Zhi & Lai Tingjie, P. R.

China 2015, Pagg. 430, USD 60.00, € 50.00

Da qualche anno vede la luce l’Annuario Mon-

diale della Poesia (l’antologia World Poetry) stampato in Cina per iniziativa di Zhang Zhi e Lai

Tingjie, importanti poeti e critici cinesi, presenti

entrambi in questo Yearbook 2014, ottimamente strutturato. Essi hanno un curriculum di tutto ri-

spetto, con numerose opere e la presenza in molte

antologie; accademici di istituzioni letterarie e scientifiche internazionali; sono tradotti in varie

lingue e presenti in molte antologie.

Precisamente Zhang Zhi è nato nel 1965, in Phoenix Town of Baxian County, Sichuan, ha as-

sunto il nome in inglese di Arthur Zhang e per le

sue composizioni usa lo pseudonimo di Diablo; laureato in Lettere ha svolto varie professioni; è

presidente della International Poetry Translation and Research Centre (IPTRC); editore di The

World Poets Quartely (multilingua). Lai Tingjie è

nato nel 1970 in Maoming, Guangdong Province, “calligrapher and musician in contemporary Chi-

na”.

Fra i membri della redazione riconosco i se-guenti autori-poeti, noti ai lettori di Pomezia-

Notizie, come: Adolf P. Shvedchikov (Russia),

Giovanni Campisi (Italia), Nadia-Cella Pop (Ro-mania), R. K. Singh (India), Teresinka Pereira

(brasiliana residente negli USA), Zacharoula Gai-

tanaki (Grecia).

I poeti antologizzati sono presenti con una foto,

un breve curriculum e alcuni componimenti. Gli

italiani inseriti sono: Alberto Rizzi, Anna Maria Bracale Ceruti, Corrado Calabrò, Domenico Defe-

lice, Elio Andriuoli, Francesco Manna, Lidia

Chiarelli, Raffaele Ragone, Tito Cauchi. Le antologie hanno il merito di disporre di un

ventaglio di autori che si mettono a confronto,

ciascuno nella sua dimensione poetica, offrendo così il panorama culturale e il fermento spirituale

di un gruppo variamente identificato per apparte-

nenza ad un’epoca o ad un’area geografica. A

maggior ragione la World Poetry Yearbook 2014

riunisce sotto lo stesso cielo tutti i poeti del mon-

do, facendoci sentire cittadini cosmopoliti e rea-lizzando l’ambizioso progetto di fare sentire fra

gli uomini la fratellanza e la pace. Zhang Zhi e

Lai Tingjie sono encomiabili divulgatori che me-ritano tutto il sostegno.

Tito Cauchi

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.43

EMILIA BISESTI

PAGINE ERRANTI Genesi Editrice, Torino 2015, Pagg. 64, € 10,50

Emilia Bisesti originaria di Roma (nata nel 1967),

è sposa e madre di due figli, è innamorata della vi-cina città di Pomezia, sì da essere presenza attiva da

venticinque anni, nella Associazione Coloni di Po-

mezia; in questa, promuove la mostra d’arte “Ani-me oltre l’Autismo” in collaborazione con il figlio

Davide, autore dell’immagine di copertina. L’ Au-

trice spiega che le sue Pagine erranti risentono del-la “effimera esistenza marcata da malanni, turba-

menti e speranze stroncate a metà”.

Sandro Gros-Pietro, l’editore, giudica multiforme la poesia della Nostra, il cui viaggio interiore com-

prende gli affetti familiari entro la cornice della na-

tura nel segno di una devozione al Creatore e del culto della città di Pomezia, ricordando le fatiche

dei coloni fondatori (nel 1938).

Domenico Defelice, nella prefazione, evidenzia nella Poetessa “intima vena di dolore e pessimi-

smo” che non riesce a superare avendone realisti-

camente motivo, richiamando la piccola Klara co-

stretta a vivere sulla sedia a rotelle, del celebre ro-

manzo di Johanna Spyri, vicenda resa più nota dalla serie televisiva Heidi dove viene detto che la Fede

può smuovere gli ostacoli.

Emilia Bisesti è sfiduciata, nondimeno le sue evocazioni della natura riflettono religiosità, così

riversa il suo amore nella famiglia e nell’umanità

intera. Ella ha molto da dire, sì che le poesie scor-rono lunghe e polisillabe, come un fiume dalle am-

pie anse. Significativa mi sembra la poesia d’ aper-

tura; le due strofe di inizio e di chiusura, ci dicono:

“Le prime brezze di Novembre/ son tornate un’altra

vota/ ed il vuoto nell’anima/ mi consuma a poco a

poco./ (…)/ Il vento mi liscia il volto,/ l’aroma dei cornetti caldi mi consuma,/ il mio passo è veloce e

corre/ al ritmo del battito del cuore,/ che rimbomba

tutto intorno.” Osserviamo un alternarsi di stati d’ animo, che vanno dalla afflizione al benessere; la

strofa di apertura contiene immagini meteorologi-

che e allusive (mese freddo e dedicato ai morti), nel ritmo unico per mancanza delle pause (o delle vir-

gole); mentre all’opposto si presenta l’ultima strofa

in cui la voce è costretta a zoppicare, come un sin-

gulto.

La Poetessa si rivolge a suo figlio con tono collo-

quiale ed esortativo, infondendogli coraggio e ane-lando ella stessa una pace che non trova; preoccu-

pata ne vede il volto “ragazzo, quasi uomo” il cui

sorriso è rimasto immutato. La vita si colora dei fe-stoni natalizi, eppure questo le raggela le aspettative

sul futuro, non risparmiandole le spine nel cuore. Il

suo è un dialogo interiore i cui destinatari sono

soggetti diversi ma riconducibili ad un solo motore:

l’amore, soprattutto verso il figlio; e che riversa at-traverso una micia, che sembra solidarizzare con

lei. Tutta la vita è come una preghiera; nostalgia di

un tempo che non torna. Un motivo ripetuto come una preghiera è la voce rivolta a un grande amore

“Sei tormento ed estasi,/ amore mio!” (pag. 20).

Presta la voce a Er regazzino, che mi pare riveli tanta umanità e verità: “Eh… mi fratello, furbo,/

quanno non c’à voja de studià,/ subbito dice a mi

madre/ che vò giocà co me,/ (…)/ Guardami nell’occhi/ e dimme: Nonno, mio, bello,/ e ancora

come te chiami?/ Io quarche vorta je risponno/ E

lui come mi madre, mi padre e tutti l’antri/ fanno l’ occhi lucidi;” (pag. 25). In queste condizioni di

mille emozioni, di pathos, si impone riconoscere

una dimensione alle cose che ci circondano; si aspi-ra ardentemente una sosta che dia serenità. Nella vi-

ta di molti di noi esiste una sorta di finzione in cui

ciascuno svolge un ruolo suo malgrado: “Noi due sempre sul filo di lana…/ noi due, maschere di una

società scellerata,/ noi due onesti fino all’osso/ alla ricerca del meritato riscatto./ Noi due sognatori fi-

no in fondo,/ anche quando il sonno ci ruba il re-

spiro;” (pag. 30) Alla ricerca della Musa ispiratrice, la trova nell’

immagine esotica delle donne vestite di bianco per

le vie di Algeri, ma anche fra le terre rese fertili dell’agro pontino, e dagli affetti dei suoi avi. Ed

oggi riversa il suo affetto alla sorellina, al nonno

Luigino; senza dimenticare di celebrare nei memo-rial, Mario D’Ottavi e Maria Versari. Il tempo è

scandito dalle stagioni che la Poetessa sente su di

sé; ma soprattutto mi sembra che viva la stagione

dei lavori sui campi, dove si raccolgono i covoni,

simbolo di fatica e di attaccamento alla terra ponti-

na. Ha tanta bellezza dentro, ma la sua gioia si strozza in gola. In chiusura dopo la tempesta, gli ul-

timi versi lasciano sperare:“Un sorriso improvviso/

placa lo scontro furibondo,/ gentile, malizioso e di-spettoso/ quello di mio figlio.”

Tito Cauchi

ACCADEMIA COLLEGIO DE’ NOBILI

POETI ITALIANI DEL NOSTRO TEMPO Anscarichae Domus, Scandicci (FI) 2015,

Pagg.166, € 10,00

Poeti italiani del nostro tempo è antologia del

biennale Premio Internazionale “Danilo Masini”

(1905-1995), avente per tema “Poesia e Vita”, giunto alla 10a Edizione 2014, organizzato con la

collaborazione di altre strutture di Montevarchi

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.44

(Arezzo), associazioni culturali, musicali e sportive,

in omaggio al poeta che vi ebbe i natali; quindi nel

ventennale della sua scomparsa. Nutrito e qualifica-to è il numero dei giurati.

La prefazione è a cura del Presidente dell’ Acca-

demia, Marcello Falletti di Villafalletto, il quale spiega che il tema proposto poesia e vita, è stato

ampiamente condiviso dai partecipanti. Diffusa-

mente descritta è la cerimonia che ha visto molti protagonisti, nell’articolo ripreso dalla rivista L’

Eracliano, organo ufficiale dell’Accademia, nuova

serie anno XVIII, N. 201-202-203, X. XI. XII. MMXIV.

L’Antologia comprende 124 autori raggruppati in

tre sezioni: poesia inedita con 76 poeti (36 donne, 40 uomini); poesia libro edito con 38 poeti (20

e18); poesia inedita giovani con prevalenza di 9

poetesse e 1 solo giovanotto. I poeti sono antolo-gizzati secondo questo criterio: in ordine progressi-

vo i classificati fino al 10° premio; in ordine alfabe-

tico a seguire gli altri. Generalmente i poeti sono presenti con un solo componimento; alcuni anche

con breve scheda biografica. Da quest’ultima, per

quanto è dato espresso, deduciamo la variegata

provenienza geografica nazionale e l’attività svolta

dai partecipanti. Molti sono i nomi noti che si ritro-vano in altre antologie e riviste, che tralascio di

scrivere; sono un campione rappresentativo dei

fermenti culturali e poetici che si diffondono nel nostro Bel Paese.

Tito Cauchi

SALVATORE D’AMBROSIO

STORIA POSTALE ITALIANA Annullamenti di Terra di Lavoro (1863-1889) con

valutazioni, Pesole, Napoli senza data, Pagg. 80

Salvatore D’Ambrosio è uno scrittore di spicco

che figura su varie testate letterarie, occupandosi di

poesia e saggistica letteraria. Adesso lo scopro in veste di storico, appassionato ricercatore di vicende

amministrative investigate con acribia e puntualità

normativa. Lo fa con Storia Postale Italiana, la cui fatica si restringe ad un’area geografica in Campa-

nia, la denominata Provincia Terra di Lavoro, che

era composta da 238 comuni (la futura Provincia di

Caserta). Prende le mosse dai timbri di annullo del-

le affrancature postali entro l’arco temporale del

1863-1889, rispettivamente inizio del servizio delle “collettorie rurali” (uffici postali periferici) e fine

dell’uso dei “numerali a sbarre” (particolari timbri).

Il Nostro apre la premessa al volumetto con la se-guente affermazione: “La storia postale italiana

può essere scritta solo passando attraverso la sto-

ria delle singole regioni.” Aggiungo che non sola-

mente la Storia Postale, ma tutte le storie, sotto i

molteplici aspetti, andrebbero rivisitate consideran-do le singole storie regionali e locali, antecedenti la

nascita dello Stato d’Italia; vedi per esempio l’ eco-

nomia, la politica agraria e produttiva più in genera-le, i costumi stessi, il noto debito pubblico. L’ Au-

tore spiega che “la circoscrizione amministrativa di

Terra di Lavoro” è derivazione di Terra Laboris a sua volta derivata dall’antica parola Liburia, che

comprendeva l’intera Campania, istituita da Rugge-

ro II (XII sec.); l’assetto delle circoscrizioni borbo-niche è stato mantenuto anche successivamente all’

Unità d’Italia (1861).

D’Ambrosio riporta il testo di alcune normative legislative antecedenti l’Unità, iniziando dalla Leg-

ge 1806 n. 272 (Governi compresi nei distretti di

Terra di Lavoro): 1° Distretto di S. Maria, 2° Di-stretto di Gaeta, 3° Distretto di Sora. Dopo l’Unità,

la circoscrizione territoriale dal 1868 al 1896, subi-

sce alcune variazioni alle denominazioni dei comu-ni e il passaggio di alcune parti da una provincia

all’altra. La bibliografia riportata in chiusura, utile

per chi volesse saperne di più, avvalora l’interesse

del Nostro sull’argomento.

L’opera è ricca di documentazione fotografica degli annulli nell’area interessata, dell’elenco dei

Comuni nell’avvicendarsi dei periodi storici dal re-

gno borbonico a quello dello Stato d’Italia; interes-sante per ricercatori e curiosi filatelici. In particola-

re si sofferma sul servizio postale, degli annulli, en-

tro il periodo in esame 1863-1889, nell’ambito dei cinque Circondari, che nell’ordine sono di Caserta

con 14 mandamenti - 72 comuni; di Gaeta e Formia

con 9 mandamenti - 39 comuni; di Nola con 6

mandamenti - 23 comuni; di Piedimonte d’Alife

con 3 mandamenti - 23 comuni; di Sora con 9 man-

damenti - 44 comuni. Con il nuovo ordinamento amministrativo la Pro-

vincia di Terra di Lavoro ha preso la denominazio-

ne di Provincia di Caserta. In seguito, con la Re-pubblica, questa Provincia nel 1948, comprende

100 Comuni. Non posso fare a meno di dire che,

per associazione di termini, mi sovviene la denomi-nazione di Terra dei Fuochi, in provincia di Salerno

che si è guadagnata una cattiva fama.

Tito Cauchi

LAURA PIERDICCHI

OLTRE

Prefazione di Sandro Gros-Pietro - Genesi Editrice,

2016 - Pagg. 88, € 14,00.

È soltanto da qualche anno che è morto Franco

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.45

Rossetto, pittore residente a Mestre, ma nativo di

Tarvisio, città nella quale è stato anche animatore

brillante; negli ultimi mesi del 2013 gli avevano diagnosticato un brutto male, che in breve tempo

l’ha spento.

Franco Rossetto era sposato con Laura Pierdic-chi, poetessa e scrittrice veneziana, con all’attivo,

finora, di almeno dodici sillogi di versi e un vo-

lume di racconti. Ed è al compagno - che per tanti anni l’ha so-

stenuta con il suo braccio e le ha acceso il pensie-

ro con “il timbro amato”, col quale il suo “esse-re/era in pienezza” - che Laura Pierdicchi ha vo-

luto dedicare Oltre, pubblicato nel febbraio 2016

dalla Genesi Editrice di Torino. Il volume reca, a colori, in copertina e all’interno, opere pittoriche

di Rossetto, dalle quali si può rilevare come le

due arti si somiglino: entrambi - poesia e pittura - essenziali; entrambi, per certi aspetti, grovigli non

facilmente decifrabili, per altri, bei tocchi colori-

stici e d’ immagini. Si vedano, per la pittura, i la-vori riprodotti alle pagine 30 e 48 e, per la poesia,

i versi di pagina 31, i quali, pur imbevuti di tri-

stezza, non riescono ad ottundere, ad oscurare una

bellezza plastica:

Dietro il campanile

del nostro paese-presepio

la luna rischiara ancora

la prima stella si accende

tutte le sere

l’acqua del mare

gorgoglia sotto la chiglia.

Manchiamo solo noi

nella nostra cabina a rimirare dal vetro

l’ultimo paradiso.

A flash, a fotogrammi mentali, la poetessa ci dà

tutto il mosaico della sua dolorosissima vicenda,

partendo dall’orrido delle fiamme che divorano le carni dell’amato nel rito della cremazione e risa-

lendo ai giorni felici, allorché - ricorda -

...bruciavamo

di una forza stupenda.

Prigionieri felici

eravamo figli eletti del cielo.

Ella ancora non riesce del tutto a capacitarsi di

come un uragano improvviso abbia potuto di-

struggere tutto e, andando alla ricerca di una ra-

gione, vive il “succedersi dei momenti/nel nuovo

non senso/nella separatezza dello spazio”. Da ciò, l’ alternarsi di tratti nebulosi a chiarezze.

Bene e male, gioie e pene di una vita trascorsa

insieme, tempo e spazio, nel suo incessante sca-vare acquistano nuove sfaccettature come nel

taglio di un diamante, divengono ora più leggi-

bili ed ora più impenetrabili; man mano che in lei avviene la metabolizzazione del dramma, gli

avvenimenti, allora vissuti come quotidianità,

acquistano altro spessore, altri contorni: “la vera Realtà” - afferma - “Si comprende solo/dopo il

soffio d’addio”.

Ci vorranno anni ancora perché in lei tutto si chiarisca e almeno in parte si acquieti; per adesso,

non riesce più a vedere lo splendore del cielo se

non a tratti, negli sprazzi dei ricordi. È calata la sera, che ha il colore della sua veste e del mistero;

ora, il nero è l’unico, vero colore, quello che con-

ta; gli altri, l’ azzurro, il rosato, non hanno più senso:

Del cielo il colore non è mio -

la luce si è spenta di questo cielo

Mi resta solo la sera che si confonde in contorni di mistero

La sera porta il colore che mi veste.

La ricerca spasmodica di azioni e sensazioni,

che hanno costituito il terreno cammino di due anime, che hanno “disegnato una storia/ indivi-

sibile”, porta in superficie brandelli la cui bel-

lezza non si percepiva all’atto del vissuto, allor-ché era “il destino astrazione” e non si aveva

netta la cognizione che quel che si viveva “era il

tempo della fiaba”. Oggi, la consapevolezza provoca

un buco nel cuore

un pugno allo stomaco

un grido lacerante una cascata di pianto.

Basterà la fede a darle certezze e un qualche

briciolo di serenità? Non basterà, almeno nel bre-ve periodo. Millenni di filosofia non sono stati

sufficienti a squarciare il mistero di come sia - e

se ci sia - lo stato dell’ “oltre il soffio” e, tuttavia, la poetessa anela “di unirsi al cosmo/e captare il

vibrare/della (...) energia” dell’amato.

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.46

CATERINA FELICI

MATTEO E IL TAPPO

Ed. Italic Pequod, 2016 - Pagg. 118, € 15,00

La brava scrittrice ci perdonerà se, trattando del

suo affascinante libro, rinunciamo a scrivere del protagonista Matteo - ch’è il principale - e dell’altro

protagonista il Tappo; diciamo solamente ch’è pia-

cevole vederli agire e altrettanto sentirli parlare. La favola avvince e non è solo per adulti, visto

che, per le generazioni post Porci con le ali, favole,

al tradizionale, non se ne scrivono quasi più, perché più non si leggono. Non le leggono gli adolescenti,

attirati dalle magie e anche dagli inferni della scien-

za in genere e dell’informatica; non le leggono i gradi - genitori e i nonni in particolare -, impegnati

in tutt’altre faccende, in parte sempre legate alle

tecnologie della modernità: “oggi, accanto al cami-no, più non nascono fiori di pace e il nonno, per il

televisore, ha smarrito lo scrigno di fiabe”, scrive-

vamo su La Procellaria nell’ormai lontano 1973. E c’è di più; c’è che le riflessioni, alle quali Cate-

rina Felici ci conduce, investono sì, gli adulti, ma

alla rovescia, e, in modo più diretto, i giovani. Vo-

gliamo dire che il gap tra le condizioni materiali ed

esistenziali dell’anziano moderno e i giovani s’è ri-stretto di molto e che tutti ci stiamo infilando in una

dimensione da non poterci più definire schiavi del

lavoro, perché il lavoro manca in ogni settore e a qualunque livello; che, chi ne soffre, sono per lo più

i giovani e che, per una sua giusta ridistribuzione, o

prima o poi scoppierà l’incendio. E, allora, se non intendiamo trattare né di Matteo,

né del Tappo e se non vogliamo svelare come fini-

sce la favola, perché è giusto che ogni lettore arrivi

ingolosito fino all’ultima pagina, di cos’altro pos-

siamo scrivere?

“Salendo sulla collina, contemplava da questa il verde di varie gradazioni, chiazzato dal giallo delle

ginestre e dalle rosse distese di papaveri splendenti

al sole”. “Rimase a guardare le stelle; da moltissimo tem-

po non le contemplava. Osservò la luna, che era in

parte velata da una nuvola”. “S’impose al suo sguardo il cielo in un fulgore di

colori, tinteggiato di rosso fuoco, d’arancione e di

giallo dal tramonto”.

“...il tappo piroettò nell’aria facendo udire il suo

riso argentino, si diresse verso l’alto e sparì, come

inghiottito dall’argento ossidato della sera”. “...il giardino silenzioso, il quale pareva illangui-

dito nelle sue lunghe ombre, nei colori sbiaditi del-

le piante e dei muri, emanava un senso di pace”. “contemplava i balenii d’oro del grano luccicante

di sole e ondulato dal vento; nel campo oscillavano

anche, sparsi in quel mare di spighe, l’azzurro dei

fiordalisi, il rosso fiammeggiante dei papaveri”.

“Gli sembravano tetre gramaglie attorno a sé le ombre degli alberi; poi, fra i loro rami, cominciò a

guardare le stelle, scintillanti lontananze incasto-

nate nel cielo...”. Vogliamo dire, cioè, della poesia che circola in

abbondanza fra queste pagine; della natura nella

quale Matteo e il Tappo si muovono; della scorre-volezza del dettato, perché senza enfasi, senza for-

zature. Il libro varrebbe la pena leggerlo solo per

questo, oltre che per le pacate e acute meditazioni sulle condizioni umane della vita. Un libro appena

apparso e che già ha suscitato tanti apprezzamenti,

come quello di Giorgio Bárberi Squarotti, che scri-ve di aver “letto con grande piacere e ammirazione

il romanzo, tanto avventuroso e giocoso ed elegan-

te”; o come quello di Paolo Ruffilli: “Ho letto tutto d’un fiato “Matteo e il tappo”, favola coinvolgente

e incisiva, di ottima scrittura...”; o quello, infine, di

Roberto Pazzi: “Della favola “Matteo e il tappo”, della sua leggerezza e vivacità sto godendo tutto il

profumo mentre mi inoltro senza alcuna fatica nel-la lettura del libro”. Un’opera, insomma, alla quale,

assieme a Squarotti, intendiamo augurare “molti e

attenti lettori”, adulti o meno non importa.

Domenico Defelice

ANNA VINCITORIO

BAMBINI

2° Premio Città di Pomezia 2015 - Ed. Il Cro-co/Pomezia-Notizie, Gennaio 2016

Solo nella memoria degli umili/ sopravvive primor-

diale innocenza

Che potere, che possibilità, che senso, che mis-sione, che forma, che significato può avere la poe-

sia, la parola poetica, di contro a tanta disumana

cattiveria? La cronaca odierna, come anche quella passata, in

un circolo infinito di dolore perfetto, non fa che

‘portare a galla’ morti e stragi, bambini spezzati, uomini spezzati, donne spezzate.

Un’umanità che muore nell’uomo. È l’idolo de-

naro, l’idolo della sopraffazione, a guidare il mon-

do, ma in nome di cosa, quando tutto è devastazio-

ne fisica e morale?

La poesia cosa può aggiungere a così grandi be-stemmie verso la vita?

Può farsi piccola e insinuarsi dove c’è fango e dolo-

re e perdita, perdere i luoghi alti e farsi sbrindellata, vestirsi di pezze, indossare occhi di pulce e pratica-

re la notte.

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.47

La poesia non può altro che essere, dare l’ essen-

za, non deve né far piangere, né rallegrare, essa pe-

rò può aggiungere all’animo e al corpo biologico di chi la legge un’essenza primizia che cambia il pas-

so.

Può stare al fianco, camminarti vicino, e farsi in-dice che punta l’attenzione su ciò che non si è abi-

tuati a vedere.

Anna Vincitorio con il suo Bambini, ha fatto la sua poesia sfilacciata e sincopata, dice Defelice in

prefazione un autentico sfacelo umano, al quale la

Vincitorio impronta anche lo stile, con versi brevi e lacerati, spesso atoni, una punteggiatura voluta-

mente scarsa, asfittica, dove a mancare è special-

mente il punto fermo […]. L’ha fatta tale per farla discendere nel fango, per

farla stare sui barconi degli emigranti in fuga dalla

guerra e della paura e che finiscono in bocca al nul-la, l’ha fatta finire negli occhi vuoti e allucinati dei

bambini soldato, dei bambini usati e sfruttati e ven-

duti, che non hanno fili d’aquiloni colorati tra le mani: Bambino dov’è il tuo aquilone/ Il filo rosso/

lo ha portato via/ tra nuvole ingorde/ Tu, senza guardare, avanzi/ Tu, senza ancora saperlo, / ti

prepari a morire […] – da Bambino in guerra.

Risulta essere poesia-lamento, il lamento di un uomo o di una donna ormai folle, perché per la

prima volta pienamente cosciente di atrocità troppo

grandi, tanto che le sue parole non possono risultare eufoniche e musicali; è una poesia-lamento di velo-

ci immagini, tute mimetiche, elmetti, kalashnikov,

piccole mani, fragore, sibili di vento, acerbi fiori, inerme giovinezza, soffici capelli neri, bocche a

cuore, lacrime, madri morte, invocazioni d’aiuto,

un futuro senza nome, occhi vuoti…

Lo sguardo del ‘folle’ salta rapidamente da una

cosa all’altra, da un pensiero all’altro, da una visione

all’altra, si pone domande, va indietro nella memoria, scatta avanti nel futuro, torna indietro, va in Africa,

va in Russia, va a Coccaglio, in Niger, nel Mali, nella

Mauritania, incontra bambole rotte e primavere che non portano speranza: Quello che resta/ è luccicore

d’armi/ Piccole schiere/ presto ombre di fanciulli

alteri/ nudi d’inerme giovinezza […]. È poesia-cantilena da ripetersi come un disco rot-

to, come un vecchio vinile incastrato spasmodica-

mente sulle stesse note; Dormi fanciullo sembra es-

sere proprio una nenia, una profezia come canto

monotono del folle che tutto ha visto, Dormi fan-

ciullo/ nell’anfora fiorita/ come il ventre di tua ma-dre/ Il pianto insegue le stelle/ e vara spazi verdi/

nell’azzurrità di cieli/ mai conquistati/ Tu sorridi,

forse/ nel tuo sonno / di tempi lunghi/ come i silenzi Cosa può la poesia di fronte a chi vuol mettere un

prezzo di vendita alla vita di innocenti, o con le ar-

mi o con la legge?

Se tutto può valutarsi a peso d’oro, cosa può la

poesia? Essere un pezzo di carta, tenuto nella tasca da un

prigioniero, capace, nella sua finitezza, di renderlo

libero.

Aurora De Luca

FILOMENA IOVINELLA

ODI IMPETUOSE

2° Premio Città di Pomezia 2015 – Il Croco, I qua-derni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2016

Filomena Iovinella, scrittrice campana trapiantata a Torino, aggiunge ai suoi più recenti successi nel

campo della narrativa e della poesia questa silloge,

meritevole del 2° premio Città di Pomezia 2015. Domenico Defelice in prefazione insiste sull’ “io

sdoppiato” dell’autrice e sulla sua tendenza per

“ogni nichilismo reale o mascherato”. Esploriamo le quindici liriche, illuminate da

“fiamme di complicato fuoco”, “dove la dolce ed

estenuante attesa/ ha costruito in silenzio e in tor-

mento”. Il vento, i paesaggi notturni, l’amore si ri-

velano solo una trama, un brogliaccio per scavare dentro di sé.

Emergono paure nella natura, tra la folla e nella

sua psiche: “mi sono compatita e ferita/ perpetran-do nel pensare/ che illusione fosse verità/ ho gettato

le basi per la solitudine”. Poi un lampo di felicità,

per aver trovato la soluzione nella poesia: “e sono tra le mie odi/ sopra la nuvola/ dell’ode più bella/

avvolta nel prodigio”. E continua, sentendosi nella

lirica “Il nichilista”, “un’ombra di riscossa”, mentre

nella poesia di chiusura, intitolata “Felicità” sottoli-

nea l’importanza delle suo odi, “fatte di parole

semplici, odori delicati/ visioni celestiali e tormenti illuminanti”.

La rarissima punteggiatura conferisce allo stile

della Iovinella un suono di spezzatura voluta, di in-finito nei pensieri che si accavallano. Come la scrit-

trice afferma in prefazione, nelle sue odi c’è la de-

cisione “di volare, nell’incantato mistero esistenzia-le dell’anima”.

Elisabetta Di Iaconi

ANNA VINCITORIO

BAMBINI

2° Premio Città di Pomezia 2015 – Il Croco, I qua-

derni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2016

La silloge di Anna Vincitorio ci presenta rifles-

sioni in chiave poetica su un argomento che tocca il

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.48

cuore di tutti: la sorte spesso tragica dei bambini, in

questo mondo quasi sempre indifferente al proble-

ma. L’autrice vanta un ampio curriculum che la vede,

prima impegnata come docente di materie giuridi-

che e poi come apprezzata scrittrice. Le sue poesie ci trasportano tra le betulle e i girasoli delle pianure

russe ove si esercita la “baby armata” dei bambini

in guerra. Stringe il kalashnikov tra le mani la crea-tura “non ancora soldato/ ma con negli occhi/ viva

fame di guerra”, che non possiede più un aquilone

con cui sognare. Cambia lo scenario: l’Africa, dove “non fa più

notizia/ morire di Aids”, dove “corpi sempre più

piccoli” si spengono “nello squallore di un letto/ ospedaliero”.

Poi l’autrice posa il suo sguardo sul mondo cru-

dele che ovunque abbandona neonati, ovunque violenta, ovunque si disinteressa dei piccoli senza

famiglia, senza casa, preda della paura.

La Vincitorio impiega versi franti, incisivi e si pone domande: “dove la tua innocenza?”; “cosa

porti negli occhi, bambino?”; “alberga ancora/ in

alcuno pietà?”. La commozione è la chiave di let-

tura di questi componimenti, anche dell’ultimo,

ove si augura quella parvenza di pace che solo il sonno può donare. “Dormi fanciullo/ nell’anfora

fiorita/ come il ventre di tua madre”.

Elisabetta Di Iaconi

ISABELLA MICHELA AFFINITO

PROBABILMENTE SARÀ POESIA

Primo Premio Città di Pomezia 2015 - Ed. Il Cro-

co/Pomezia-Notizie, 2015

Per una come me che è abituata alla metrica, al

ritmo e alla sonorità di una poesia, leggere qualun-que poesia moderna priva di tutto questo mi mette

sempre in grave difficoltà, non sapendo come arti-

colare i discorsi. Lo confesso: io ritengo che i punti e le virgole siano indispensabili anche in poesia,

non solo nella narrativa, per far comprendere me-

glio al lettore l’intento di chi scrive. Nonostante ciò, nelle poesie (tutte che iniziano

con la P) della poetessa Isabella Michela Affinito

ho trovato una freschezza nei versi, anche se non

sono stati vergati dalla punteggiatura. Essi sono sta-

ti scritti di getto, come lo scorrere di un fiume che

talvolta è costretto a deviare anche di poco il suo corso per evitare i ciottoli o altro.

Ne sono esempio quei versi volutamente termi-

nanti con un articolo “il” o “i”, o con una preposi-zione “in” “sul”, che lasciano in sospeso il discorso,

come talvolta accade ai bambini. Ed è proprio con

l’ingenuità e spontaneità di un bambino che la poe-

tessa dipinge gli elementi della terra, sia quelli ani-

mati (gli alberi, le foglie, i petali) che quelli inani-mati (l’anfora, le bottiglie, le pietre), conferendo ai

suoi versi quella gioiosa vivacità propria dei fan-

ciulli. Ogni “P” è un quadretto dipinto con poche ma

sapienti pennellate e, a mio avviso, “Piccolo

mondo lunare” è il quadretto più riuscito, in quan-to in esso il romanticismo ha ceduto il passo alla

fiaba.

Paolangela Draghetti

ANNA VINCITORIO

BAMBINI

2° Premio Città di Pomezia 2015 - Ed. Il Cro-

co/Pomezia-Notizie, 2016

Sono rimasta affascinata, anzi, che dico!, travol-

ta dalla semplicità quasi cronistica, dalla schiet-tezza e dal puro lirismo delle poesie di Anna Vin-

citorio, che ha ben meritato un 2° premio al ‘Città

di Pomezia 2015’.

Ella ha saputo toccare con delicatezza, ma con

realistico sdegno, tutti i tasti dolenti degli abusi compiuti sui minori: dalle guerre alla fame, dalla

prostituzione infantile al commercio degli organi

fino allo sfruttamento dei bambini sul lavoro. Bambini ai quali è stata rubata l’innocenza e il di-

ritto di vivere un’infanzia serena. Queste sono le

maggiori violenze che si possono attuare sulle lo-ro misere pelli. Facendo leva sulla loro ingenuità,

quegli adulti ingigantiscono le loro “azioni”, im-

bonendoli con doni fittizzi come fossero premi

per cose da “grandi” e illudendoli di essere martiri

e meglio dei loro coetanei.

Benché io non abbia avuto figli e non abbia quindi provato fisicamente il significato di essere

madre, di fronte a questi abusi inorridisco e mi

metto nei panni dei genitori di quei bambini, i quali soffriranno pene d’inferno sapendo ciò che i

loro figli sono costretti a subire.

Mi piace inventare favole e scrivere filastrocche per tutti i bambini del mondo, e sono alquanto

amareggiata per coloro che non hanno avuto e

non avranno mai la possibilità di sognare una vita

fantastica e piena di magia, come solo le fiabe

sanno fare. Le illusioni, le speranze, le fantasti-

cherie di quelle piccole vittime, sono cadute giù amaramente come castelli di carte per un soffio di

vento. Allora... “dormi fanciullo nell’anfora fiori-

ta come il ventre di tua madre...”, così come con-clude la poetessa.

Paolangela Draghetti

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.49

ANNA TROMBELLI ACQUARO

EMOZIONI SPARSE AL VENTO

Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2015

Titolo davvero indovinato per questa silloge di

Anna Trombelli Acquaro. Ogni sua poesia rappre-senta una sua emozione, ma soprattutto in ciascuna

traspare quel profondo sentimento che la lega alla

madre, perno della sua esistenza, la quale come un albero si spoglia di tutta se stessa per lei. Ma la ma-

dre impersona anche la sua terra natia (la Calabria)

dalla quale è partita, fanciulla, per l’Australia. E lo struggente ricordo della sua Calabria, con i suoi co-

lori e con i suoi profumi, offusca o quasi cancella l’

azzurro mare dell’Australia. Nei suoi versi, ella manifesta una grande nostal-

gia per la sua casa, il suo giardino ed i suoi fiori

quasi unici, affidando poi le pagine al vento (vento di Primavera) affinché le porti in Italia per mante-

nere vitale quel filo dei ricordi, così come ella scri-

ve: “per riscaldarmi lì/dove c’è il sole, al mio paese natale,/dove l’alba splendida sorge/e illumina e ri-

scalda la mia anima/con devozione e amore.”

In lei c’è anche la speranza di ritornare “laggiù

dove c’è casa mia...” dove “le emozioni che mi hai

regalato (dice riferendosi alla madre) rivivono con nostalgia nell’anima...”

La madre, la terra natìa e la casa sono per Anna

Trombelli Acquaro la medesima cosa, un tutt’uno che ella mischia e impasta come i colori per com-

porre una tavolozza piena di immagini, di profumi

e di sensazioni da portare sempre con sé.

Paolangela Draghetti

PAOLO RUMIZ

È ORIENTE

Universale Economica Feltrinelli, 11a edizione lu-glio 2015 - Pagg. 198, € 8,00

E’ forte la sensazione nel pensare e soffermarsi al peso del mondo, mentre si leggono pagine narranti

fughe di interi popoli, desertificazioni e nuovi as-

setti geopolitici, come la caduta del muro di Berli-no, che spostano l’equilibro alimentando divisioni

ideologiche ed antropologiche.

La dicotomia del bene e del male anima dibattiti

senza generare risposte concrete, cosa fare e cosa

non fare, cosa è giusto cosa non lo è, e intanto parti

del mondo restano sole. Se debbo dare un mio personale titolo al libro di

Paolo Rumiz è questo: Il mondo che non conosce i

suoi confini. Cosa c’è ad Est di noi? La mitteleuropa descritta

in viaggi a tappe con vari mezzi di trasporto dal

giornalista di Repubblica, con la sana curiosità di

osservare e poi descrivere, come afferma nella fra-

se: “mi chiedo se il narrare non nasce dall’andare”. Mix di racconti e viaggi “ in libertà” alcuni di essi

già pubblicati su riviste e giornali.

Il primo dal titolo “dove andiamo stando?” pub-blicato sul settimanale “Diario” nell’autunno 1998

ci narra di un viaggio percorso in bicicletta lungo il

confine italiano partendo da Trieste fino ad arrivare a Vienna -“rallentiamo lungo il Nashmarkt, il mer-

cato dove comincia l’Oriente. La sera dopo lo stru-

del, discussione sulla vita, sul fare e sull’essere”-. “L’uomo davanti a me è un ruteno” viaggio in

vagone diretto per Budapest, nell’inverno del 1999

- “ore 12,40 stazione di Villa Opicina, sosta per la frontiera…….nessuno direbbe che per questa fron-

tiera deserta passano settantamila clandestini l’ an-

no, il doppio di quelli strombazzati sulle coste pu-gliesi” - in questo punto ti soffermi e respiri il senso

di paesi bloccati al dopo regime: contadine croate,

calzamaglia di lana, costumi, tradizioni, lingue lon-tane dall’Europa che non si avverte.

“ Chiamalo Oriente” pubblicato su Repubblica

insieme a “ljubo è un battelliere” il mio riporto dei

titoli parte dalla considerazione che sono espressio-

ni linguistiche molto significative, anche perché restano nella memoria del lettore. In questi due rac-

conti sento la sottolineatura fatta, persino con natu-

ralezza, della visione sconvolgente di un’Europa che dovrebbe essere unità al di là delle frontiere,

che risulta assente da terre cosi vicine e così etni-

camente rappresentanti di solo loro stessi, l’ incom-pletezza del progetto “comunità europea” - “ Oltre

i finestrini, scorre un mondo dove tutto sembra ac-

caduto l’altroieri, dove la storia ha l’impronta inde-

lebile dei cingoli di un panzer, dove i treni merci

hanno ancora l’odore di bestiame umano… Noi

europei d’Occidente non possiamo immaginare che nel centro Europa le memorie brucino anche per

mezzo millennio”-.

Vorrei chiudere con un ultimo passaggio che mi lascia a ricordare la cronaca di quel di ieri, fotogra-

fia di ciò che è oggi in un altro angolo di Italia: -“la

radio dice che anche stanotte, tra il faro di Sant’Andrea e quello di Otranto, sono arrivati sca-

fisti con i clandestini dell’altro mondo. Ottanta, for-

se cento”-

Questo reportage di Paolo Rumiz, viandante erra-

bondo, ci lascia notizie profonde che cambiano l’ in-

timo del lettore, rincorrendo la determinazione di non dimenticare, per ritrovarsi poi nella condizione di

avere coscienza critica nel valutare gli eventi che

spostano il peso del mondo, sulle coste e nell’ entro-terra, di viandanti stanchi e soli lungo la strada .

Filomena Iovinella

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.50

ADALPINA FABRA BIGNARDELLI

DIGNITÀ E CONDIZIONE DELLA DONNA

Un cammino dalla dote ai diritti

Fondazione Thule Cultura – 2015

Adalpina Fabra Bignardelli con questo interessan-te saggio ci riporta a quando il Pater familias sotto-

poneva le donne all’autorità del nonno, del padre,

dei fratelli. Esse non avevano alcun diritto giuridi-co. Erano tenute lontano da scuole, uffici pubblici o

privati, non potevano promuovere processi né per

sé, né in nome di altri. Era stabilito che la donna vi-vesse in famiglia e che in questa trovasse il segno

della sua dignità. Gli stessi S. Paolo e S. Agostino,

nonostante la predicazione cristiana portasse nei cuori la speranza di un mondo migliore, dove uo-

mini e donne avessero pari dignità, e la loro anima

fosse considerata uguale e destinata all’immortalità, proponevano l’idea che la donna doveva servire l’

uomo in quanto egli era il capo ad immagine di

Dio. Costretta dunque a rintanarsi tra le mura do-mestiche, in una vita di soli affetti familiari, la don-

na, curava in maniera quasi ossessiva il corredo, l’

unica cosa ad appartenerle veramente. L’Autrice ci

racconta di quando, prima del Concilio di Trento,

grande importanza aveva la promessa, un’usanza che la Chiesa non accettò mai. Ci ricorda anche che

le leggi riguardanti il matrimonio in Sicilia, per

quanto la regione fosse culturalmente elevata, rima-sero più a lungo legate al mondo medievale. Ci par-

la della dote, quel complesso di beni che la moglie

portava al marito per sostenere le esigenze matri-moniali.

Il corredo era diverso per le donne e per gli uomi-

ni: per il figlio, anche nell’ambiente popolare, i ge-

nitori preparavano una serie di attrezzi da lavoro

nei campi, calze, scarpe e berretti con la coppola di

velluto per le feste. Mentre la sposa, completava il suo corredo durante il fidanzamento con la bian-

cheria personale, secondo la moda di quel determi-

nato periodo. Mentre il corredo riguardante la bian-cheria della casa, già preparato da tempo, veniva ri-

camato con le iniziali del casato del marito e suc-

cessivamente esposto per essere valutato e ammira-to nelle stanze della futura sposa. L’Autrice ci in-

forma sugli usi nuziali degli Arabi e degli Ebrei,

per poi concludere, riflettendo sulle motivazioni

che l’hanno portata alla scrittura di questo libro, la

frequenza dei femminicidi, di cui le cronache attua-

li sono piene. Parla di ‘prepotenza’, di ‘superiorità virtuale’ maschile che perdura nonostante il passare

dei secoli e il cambiamento della società in cui vi-

viamo. Ci lascia con un pensiero, che vuole essere anche d’auspicio, dopo ‘un cammino lungo e fati-

coso, fatto di ribellioni e mai completamente risol-

to’.

“Dio ha creato la donna da una costola d’Adamo,

se avesse voluto l’avrebbe creata da un piede. Indi-cando la volontà di calpestarla. Se l’avesse creata

dalla testa, avrebbe indicato di dominarla; L’ha

creata dalla costola, per indicare un cammino ugualitario.” Fianco a fianco.

Francesca Maiuri

TITO CAUCHI

PALCOSCENICO Editrice Totem, Lavinio Lido (Roma) 2014, Pagg.

64, € 10,00

Oltre il Post-Ermetismo - “L’inquietudine è l’

anima della poesia. Lo aveva proclamato Petrarca,

sulla scia di Sant’Agostino. Il Poeta, purtroppo, non ha certezze e questa paradossale condizione di pri-

vilegio gli consente di sperimentare una straordina-

ria confidenza e complicità con il mistero, il quale non gli si svela mai totalmente ma lancia messaggi

cifrati, che la poesia raccoglie e trasmette a chi è di-

sposto a indovinarli, a interpretarli” (Francesco D’

Episcopio su “Renzo Ricchi: l’inquietudine di un

poeta” in “La Nuova Tribuna Letteraria” Gennaio 2016).

Così il noto professore universitario partenopeo

commentando il Poeta, rivela la matrice evidente di queste ultime poetiche che si muovono all’interno

di un “post-ermetismo” la cui base evidente è di

stampo luziano (in particolare il Luzi di “Sub-specie umana”) orfica, ermetica e complessa. Tito

Cauchi, invece, con quest’opera Palcoscenico cerca

di muoversi “oltre la ripresa”, di superare l’ epigo-

nismo (di molta parte della nostra attuale produzio-

ne) affrontando il verso nella linearità di uno stile

che cerca di sfuggire all’orfismo di maniera. Come molti poeti di oggi, anche la sua poesia, è carica di

mistero: ma saremmo, ancora, nell’ambito ermetico

se ci limitassimo solo a questo. L’originalità, o me-glio la particolarità della sua lirica, sta nell’incontro

tra classico e colloquiale, tra stilema e chiarezza, tra

rime dilettevoli e trattazione gnomica: un connubio che non corrode “sperimentalmente” il tessuto lin-

guistico ma lo rafforza con una “sottile armonia”.

Tito non cerca note dissonanti, convinto che il

nuovo o meglio il “senso originale” vada ricercato

in una “pacata quanto asciutta impostazione lirica”,

nata dalla rimembranza degli accordi ritmati giocati su aperture mentali (senhal o luoghi letterari) più

che sulle comuni sensazioni emotive. “Ora piana

sdrucciola tronca è la rima/ ti riveli desiderosa d’ essere baciata/ bella sei alternata incrociata inca-

tenata/ interna, pensierosa ti nascondi in stanze./

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.51

(…)/ Concedimi il dono della freschezza/ ispirami

con passione e tenerezza/ fammi sentire l’amore

con una carezza” (da Poesia o vetrina, op. cit. pag. 22). E qui l’apertura, di cui parlavamo, va verso i

Grandi Rimatori del Settecento che “alleggerivano”

per trattare, va verso una poesia con intenti educati-vi e dilettevoli che cerca un colloquio con il “piace-

re stilistico”. Una poesia che esorbita dagli schemi

puramente critici, per cui non è né orfica, né erme-tica, né simbolista, né minimalista, con l’evidente

padronanza di una cultura che s’impone oltre lo

schema, facendo interagire “Intellettivamente” il lettore, è la “Nuova poesia di oggi”, quella che

scongiura l’anatema dell’intimismo e delle vuote e

quanto mai precarie, effimere emozioni.

Susanna Pelizza

RACHELE ZAZA PADULA

LA DONNA DI PICCHE

Osanna Edizioni, Venosa, 2016, € 10,00

Dopo In dimensione acronica (Edizioni Levante

Bari, 1979), Il seme del tempo (Edizioni B M G

Matera, 1984), Dissolvenze (Rocco Fontana editore

in Matera, 1989) e Disincantesimo (Edizioni Ermes Potenza, 1999), Rachele Zaza Padula ha recente-

mente (Gennaio 2016) pubblicato un nuovo libro di

versi intitolato La donna di picche; un titolo di cui ella subito ci spiega il significato: “Non voglio /

scoprire la donna di picche / che mi sottrarrà al so-

le” leggiamo infatti nella chiusa della prima poesia della raccolta e deduciamo immediatamente che la

donna di picche è qui una metafora della morte.

Un libro della contemplazione della fine, dunque,

e di un pensoso ripiegamento interiore è questo che

la Padula ci offre, in una stagione della sua vita che

è quella dei consuntivi e dei rendiconti. Un libro nel quale il passato si fa avanti imperioso e il vissuto l’

assedia con le sue immagini e con i suoi richiami.

Ecco allora l’affacciarsi dei ricordi della casa na-tale, che ritornano con prepotenza alla sua mente:

“Odore di legumi sul fuoco / sapore d’inverno / di

neve / di affetti perduti” (Le lenticchie); ecco la vi-sione di giorni lieti, vissuti accanto all’uomo che

amava: “E’ scolpita nella memoria / una gioia lon-

tana. / Aspettavo un bambino / e nei tuoi occhi vidi

/ un’intensa dolce tenerezza” (Una gioia lontana);

ecco le immagini che vengono da altre età e le fan-

no tornare presente ciò che pareva ormai sepolto: “Aprire quel cassetto / è stato riscoprire / un mondo

perduto: / le vecchie foto / degli anni belli quando /

bastava una carezza dei miei / a rendermi felice” (E poi).

Si fanno avanti però in questo libro anche i ricor-

di dei giorni più dolorosi e più tristi, quale quello

della perdita dello sposo: “Come forte è stato il mio

dolore / quando sul punto di perderti / ti ho chiesto di vincere la morte: / di non lasciarmi sola nella

grande casa” (L’allodola).

Ma in questa variegata raccolta di versi ben radi-cato è anche il presente, che la Padula vive inten-

samente, quantunque molta sia la sofferenza e la

pena che ella deve sopportare. “Le gambe sono malferme e le mani / nodose prima lunghe e affuso-

late / … / Gli occhi prima neri e vivaci / … / si sco-

lorano opachi” (Le campanelle). E la sua pena non è causata soltanto dalle sofferenze personali, ma

anche da quelle altrui, come appare dalla poesia Ad

un’amica: “Mi sono legata al tuo destino / per ami-cizia, quella vera che gli antichi / credevano fosse

un dono degli dei. / Non sopporto che rifiuti la lotta

/ e ti rassegni al gioco della vita”. Lo stesso può dirsi per una poesia come A Roma,

dove la pietà nasce in lei per la vista di una creatura

cenciosa, ravvolta nei suoi stracci (“… I capelli erano radi / la pelle invisibile sotto la sporcizia, /

solo negli occhi neri, dilatati, / in un lampo di luce

un che di umano”) o per una poesia come 24 marzo

1980, dove compiange la morte del vescovo Rome-

ro, ucciso dai sicari sull’altare, per aver difeso i più poveri (“Hanno ucciso il vescovo Romero / in chie-

sa sull’altare mentre / levava in alto il calice intar-

siato. / Il sangue ha macchiato l’abito talare”) o an-cora per una poesia come Maledetto l’alzaimer,

dove è partecipe delle sofferenze di Anna, colpita

da questa terribile malattia (“Le tue parole slegate dal presente / si rifugiavano in visioni lontane / alla

ricerca di persone amate / che non ci sono più. So-

no morte. / Una tristezza amara m’ha preso”). Si-

gnificativa è pure una poesia come Olga, nella qua-

le una ragazza che si accompagna ad un soldato

americano nel dopoguerra è vista in tutta la sua de-solata e desolante fragilità (“Rientrava furtiva

nell’ombra del portone / e ancheggiando proterva /

salutava il suo accompagnatore, / un soldato ameri-cano…”).

È però soprattutto di sé che ci parla Zaza Padula,

della sua sofferta condizione esistenziale di donna sulla via del declino, che tuttavia ha ancora i sensi

vigili e una intatta lucidità intellettuale. Così se può

dirci: “Sono un annoso tronco d’albero / alla base

segato di netto” (Il tronco) e “Ognuno ha la sua

stagione di pianto” (Sincerità), può anche dirci:

“Mi presto al gioco delle nuvole” (Le nuvole) e “Lasciatemi al ricordo dei Natali antichi, ai pastori

di cartapesta del padre di mio padre // …// Lascia-

temi al profumo delle ginestre in fiore, / che a mag-gio coprono di giallo le colline” (Le ginestre). Si

vedano anche: “L’inverno è la mia stagione. //… //

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.52

…nel buio che mi opprime / talvolta brillano

schegge di luce” (I fiori di montagna) e “Morire

lentamente / come il sole al tramonto /…/ O conti-nuare il mio cammino / privo ormai di armonia. //

Non ho ancora il coraggio / di perdere di vista la

mia vita” (La scelta). Ciò che soprattutto la conforta è però la sua capa-

cità di espressione poetica, che le offre la sua luce e

il suo bene. “La poesia ritorna / prepotente e violen-ta. / Le parole irrompono / armoniose sconfinate /

luminose intriganti” (La poesia ritorna); “Scopro

che in me c’è un’epifania di parole” (Resurrezio-ne); “E’ un lampo / che illumina sottili tracce / qua-

si linee perdute / negli spazi dell’animo” (La poe-

sia). E’ nella poesia, dunque, che Rachele Zaza Padula

trova il suo riscatto; e lo fa con un andamento di-

scorsivo e affabile, altamente comunicativo, ma sempre dotato di un suo ritmo che conferisce al te-

sto forza e vigore; un andamento ben pausato e ar-

monioso, con il quale ella riesce con semplicità a dire tutto di sé: delle sue gioie e delle sue tristezze;

dei suoi tuffi nel passato e dei suoi risvegli nel pre-

sente; e lo fa sempre con sincerità e schiettezza e

con quella autenticità del sentire che è propria della

vera poesia. Il tassello che ora aggiunge al suo lungo lavoro

compiuto negli anni è una nuova prova della neces-

sità e della coerenza della sua scrittura, capace di esiti validissimi anche nel campo della narrativa

come emerge dal suo romanzo Donna Isabella

Glinni (2006) e dell’espressione teatrale, come ap-pare specie dai suoi testi più recenti: il dramma sa-

cro in tre atti Sancta Teresia Benedicta a Cruce

(2011) e Oscar Arnulfo Romero, una tragedia in tre

atti e un epilogo, incentrata sulla figura del santo

martire sudamericano (2014).

Liliana Porro Andriuoli

PASQUALE MONTALTO DOMENICO TUCCI

IL DIALETTO DELLA VITA

IL SOGNO LA VITA LA BELLEZZA

Apollo ed.ni, Cosenza, 2015

Ho conosciuto il poeta Pasquale Montalto nel

modo più bello e più nobile: leggendo le sue poesie.

Confesso che non è stato facile trovare la chiave

per aprire il forziere in cui erano custoditi i suoi versi.

Versi che ci evocano grandi temi: la Natura, il

Dolore, l’Amore, la Vita. Il poeta con questa raccolta di poesie invita il let-

tore ad entrare nel suo mondo interiore e chiede in

maniera velata di comprenderlo e di sostenerlo.

Le poesie, se pur incentrate sulla ricerca interiore

del poeta, su un costante dialogo tra l’uomo e la sua anima, esortano alla lettura, donando la possibilità

di condividere passioni, conflitti e l’intimo sentire.

Le liriche, intrise di slanci e di sentimenti celati, conducono il lettore verso orizzonti più soddisfa-

centi.

La Natura è un tema ricorrente nelle poesie di Montalto “il fogliame geme, a primavera, Mosso

dal vento rubilante, che scuote le esili gemme; ...

buio e acqua d’uragano si rovescia addosso, con pena, ai teneri fiorellini”.

Lo stato d’animo del poeta, inquieto e tormentato,

è sottolineato dall’improvviso temporale. Lo scri-gno si apre ed i suoni fuoriescono impetuosi e col-

piscono senza tregua: “Ascolta, una brezza è in ar-

rivo, e asciuga le lacrime, superba ondeggia la ro-sa”.

Anche se fa paura, la natura, per il poeta, non è

mai matrigna e crudele bensì profondissima quiete e bellezza: “Con la pioggia o con il sole, al buio o

nella luce, con la tramontana o il libeccio, la natu-ra ti è sempre compagna …”.

La natura viene intesa come un rifugio, uno spa-

zio dove approdare felici. La musicalità dei versi è evocata dall’uso raffinato delle parole che hanno la

capacità di riprodurre, con ricchezza d’immagine,

un’immensa varietà di suoni ed è proprio il suono, elemento principe dei suoi versi, che rapisce e ac-

compagna il lettore in un viaggio misterioso e affa-

scinante. E’ abile, il poeta, nel gioco di parole onomatopei-

che. La perfetta organizzazione dei suoni, infatti, è

una peculiarità dei suoi versi che rendono l’ imma-

gine più intensa e suggestiva: “Lo scroscio

dell’acqua sulla roccia ai piedi della sequoia, rie-

cheggia limpide trasparenze …”. Una raccolta di poesie, queste di Pasquale Mon-

talto, che si compone piano come un puzzle che,

senza mai risultare banale, porta il lettore in un uni-verso fatto di sensazioni e atmosfere di forte inten-

sità emotiva.

Versi nei quali ci si può rispecchiare e da cui si deve imparare.

Francesca Tedeschi

Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più difficile farlo vivere: composizione, bozze, carta,

stampa, buste, francobolli… se non volete che

POMEZIA-NOTIZIE

muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti vo-

lontari. C/c. p. n. 43585009 intestato al Direttore

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.53

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE LINGUAGGI DI POESIA ESISTENZIALE E

BELLEZZA DELLA VITA - Sabato 5 marzo

2016, alle ore 18,00, nella Libreria Ubik - via Gal-liano 4, Cosenza, Pasquale Montalto e Domenico

Tucci hanno presentato “Il dialetto della vita/Il so-

gno, la vita, la bellezza”, in ricordo di Angelo Fog-

gia ad un anno dalla morte. Sono intervenuti: An-

tonio Rizzo, antropologo; Gianfranco Pinto, psi-

cologo, psicoterapeuta; Francesco Fucile, critico letterario, scrittore; Francesca Tedeschi, professo-

ressa di Catanzaro. Hanno letto le poesie: Alice

Pinto, Caterina Barbuto e Sonia Vivona. ***

LE SORTI DELLA BELLEZZA - La Bellezza va

salvata guardandola crescere. È accaduto qui, al Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, in ore

serrate cariche di emozioni, il 4 e il 5 marzo 2016,

dal tramonto luminoso, passando attraverso la not-te, fino ad arrivare alla piena pioggia del giorno do-

po, quando il Lago di Garda ha dovuto cambiar co-

lore, per assecondare il cielo. 'Le sorti della Bel-

lezza' è il nome dato a questo evento importantis-

simo dal Presidente G. B. Guerri, tutto avvitato in-

torno alla data di nascita di Gabriele d'Annunzio, il 12 marzo del 1863: “ 'La fortuna d'Italia è insepara-

bile dalle sorti della Bellezza, di cui ella è madre.'

Così ha scritto più volte Gabriele d'Annunzio, an-che nel Fuoco. Le sue parole sono un'indicazione

per noi, tanto più oggi. La bellezza viene attaccata e

distrutta da chi, negando la storia, assalta presente e futuro. Per questo il Vittoriale aumenta il suo impe-

gno civile tanto nella conservazione della storia

quanto nella crescita della bellezza. Riapriremo an-

cora una parte delle Vallette, ammireremo i lussu-

reggianti dipinti di Antonio Saliola e l'opera di Gian

Marco Montesano, ascolteremo nel canzoniere gre-canico salentino di Erri De Luca un'antica unione

fra culture, che si arricchiscono a vicenda. Perché la

bellezza arricchisce se stessa, oltre a tutti noi. Ne è prova ulteriore la donazione di 3000 carte dannun-

ziane fatta da Martino Zanetti - che festeggeremo –

e che ha portato a nuove acquisizioni. Ne è prova anche la crescita di GardaMusei, che a pochi mesi

dalla propria nascita festeggerà quella di un suo Fe-

stival, sviluppo di Vittoriale Tener-a-mente. Cresci, bellezza, cresci.” Il venerdì 4 marzo, alle ore 18, l'i-

naugurazione della mostra 'Che fai tu, luna, in ciel

nei quadri di Saliola?' di Antonio Saliola, grazie all'abilità ed alla cura organizzativa di Roberto

Iseppi, nelle sale al piano terra di Villa Mirabella,

dove rimarrà fino al 25 maggio prossimo. Li osser-vo uno per uno, li salvaguardo con gli occhi della

bambina che riconosce in basso, su ciascuno, il loro

nome scritto dal pittore in quelle lettere che stanno dentro nei quaderni a righe di terza elementare: 'sa-

liola: quando la Luna e il Giardino ti invitano a ce-na', in dettagli curati e sfumati insieme, mentre la

luce della luna in falce calante irrora sui volumi

delle forme di natura, curate, i suoi riflessi, lascian-do trasparire e respirare tipologie di verde-giallo in

giochi e differenti geometrie. Nel piccolo libro che

sintetizza il percorso, alla pagina 16, la poesia 'O falce di luna calante', di Gabriele d'Annunzio, in

sezioni scandite, in ritmi di immagini che vanno vi-

ste dal vivo. Colgo la polvere che impregna gli in-terni di cose negli spazi circoscritti delle stanze,

dando alla luce riflessi differenti. Antonio Saliola

mi dice: 'Io non pulisco ma lascio tutta la polvere

del tempo... Infatti queste atmosfere sono le atmo-

sfere delle case poi nelle quali abito, perché la mia

casa è esattamente come questi quadri, esattamente così. Amo molto anche la campagna, infatti ci sono

i giardini...' Gli dico dell'amore di Shelley per l'Ita-

lia, per i suoi giardini, per le sue rovine e lui incal-za, sugli stranieri di ieri in Italia, diretto e sponta-

neo: '… Ma l'Italia che cos'era? Andare a vedere

queste opere, le vedevano e svenivano! La sindro-me di Stendhal: vedevano delle cose meravigliose e

svenivano! Ma che commozione! Al giorno d'oggi

dobbiamo vergognarci: siamo scesi nel ridicolo e

nel grottesco, non ci rendiamo conto ma è così!' Mi

parla del suo amore per il cinema, dei suoi lavori

come istantanee, quasi fotogrammi a ferma imma-gine, perché il tempo possa essere catturato in

quell'istante con tutto quello che l'istante stesso rie-

sce ad imprigionare. Ci ripromettiamo reciproca-mente altri contatti, riguardo i suoi lavori nuova-

mente e li salvaguardo, dentro di me. Scrivo qual-

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.54

cosa sul libro degli ospiti e mi avvio all'appunta-

mento con i ragazzi dell'Istituto Professionale Al-

berghiero 'Caterina de' Medici' di Gardone Riviera, che hanno allestito sotto la guida dei loro docenti l'

aperitivo 'Alimenti in movimento e Ars bibendi',

negli spazi interni del Giardino di Villa Mirabella, tra le curatissime esposizioni di immagini e cose di

d'Annunzio, la sua collezione di giacche da camera

e di vestaglie in raso, di scarpe e stivali aderentis-simi, di lingerie da lui stesso disegnate e fatte ese-

guire accuratamente a mano per donarle alle sue

amate e tanto, tanto altro, tutto ben custodito dietro alte teche in vetro. Luca, aperto e disponibile al dia-

logo, addetto al tavolino della frutta, mi dice:

'D'Annunzio mi ha colpito molto, tutto è collegato alla sua poesia: l'estetismo, il suo modo di fare, di

sedurre.. lui era molto 'idolo', di se stesso!' Altri

passi tra le preziose offerte che attraggono e calami-tano gli ospiti, facendoli sostare e degustare le pre-

libatezze dai colori e dalle forme, dai profumi e da-

gli abbinamenti dei sapori tra loro dannunziana-mente ispirati per arrivare all'incontro con Martino

Zanetti, Presidente della Hausbrandt, che verrà ono-

rato per la preziosissima donazione delle sue 3000

carte all'indomani, il 5 marzo, all'Auditorium di Vil-

la Mirabella, dopo la cerimonia dell'Alzabandiera presso la Piazzetta Dalmata. Mi dice tra le altre ri-

flessioni intense, a voce alta: 'Io ho avuto la grande

gioia di vedere mio figlio, ventiseienne, e altri ra-gazzi appassionarsi per d'Annunzio. Peraltro altri

miei coetanei, anche uomini di cultura notevole, mi

hanno detto: 'Ci hanno castrato da giovani, non ce lo hanno lasciato leggere'. Per cui quando io legge-

vo da ragazzo certe interpretazioni asinine della

cultura italiota, mi importava capire e allora sono

andato a vedere, direttamente, che non era proprio

così...' Si avvicina un giovane e lui sottolinea: 'Ec-

cone qua uno! Questo ragazzo è uno di quelli di cui le dicevo!' Immediatamente dopo eccone un altro,

tra quelli, credo sempre più in gran numero, che lo

chiamano 'Martino', con spensierata affabilità. Dico loro che si sono lasciati attrarre dal fascino dell'av-

ventura, che sono la luce del futuro, il dinamismo

dell'orecchino. Il clima è confidenziale e dà testi-monianza delle tante ore vissute insieme, quelle che

hanno fatto crescere l'affabilità culturale d'esperien-

za, ciascuno secondo la propria misura in divenire e

vocazione. La Signora Zanetti, spontanea, sorriden-

te, elegante e sobria al tempo stesso, asseconda il

clima di cordialità che si è instaurato e lo esalta con il suo fascino discreto e coinvolgente. Poco prima

dell'evento della sera, 'Concerto. Erri De Luca e

Canzoniere Grecanico Salentino', facendo quattro passi per raggiungere l'Auditorium, uno dei due

giovani mi dice che ha fatto una tesi in musicologia

sul 'Prometeo' di Luigi Nono.

Si, queste ore d'esperienza dal vivo ti accendono, ti

avvitano su se stesse e ti fanno trascurare ogni altro tempo.

Ilia Pedrina

***

Premio Internazionale di Poesia “DANILO

MASINI” - L’Accademia Collegio de’ Nobili e Il

Circolo “Stanze Ulivieri” in collaborazione con il

Comune di Montevarchi e l’A.C.S.I. di Arezzo

promuovono la 11a Edizione del PREMIO IN-

TERNAZIONALE di POESIA “Danilo Masi-

ni”, fondato da Marcello Falletti di Villafalletto,

che avrà per tema: “SOGNO O REALTÀ”

Commissione giudicatrice: Presidente Onorario

Maria Teresa Santalucia Scibona, Poetessa Pre-

sidente provinciale del MOPOEITA di Siena

(Movimento per la diffusione della Poesia in Ita-

lia); Presidente Marcello Falletti di Villafalletto,

Preside dell’Accademia Collegio de’ Nobili; Se-

gretario Generale Claudio Falletti di Villafalletto;

Componenti: Libera Bernini, Lucia Lavacchi

Burzi, Giorgio Masini, Anna Medas, Lea Pesucci,

Luisa Raffaelli, Alberto Vesentini. REGOLA-

MENTO Il concorso letterario si articola in due se-

zioni: a) Sezione Poesia inedita: Il concorrente dovrà inviare da 1 a 3 liriche in lingua italiana.

Ogni poesia in 7 copie dattiloscritte o al computer,

di cui una sola debitamente firmata e recante in cal-ce nome, cognome, indirizzo, numero di telefono e

indirizzo e-mail. Le copie al computer dovranno es-

sere in Times New Roman, dimensione 12. b) Se-

zione Libro edito di poesia: Occorre inviare 5 co-

pie del volume riguardanti opere edite nel periodo

gennaio 2006 – luglio 2016 di cui una recante

all’interno firma, indirizzo, telefono e indirizzo e-

mail dell’autore. POESIA A TEMA LIBERO Per

le sezioni: Poesia inedita e Libro edito si partecipa con le stesse modalità della poesia a tema.Gli ela-

borati dovranno essere inviati entro e non oltre il

1° ottobre 2016 alla Segreteria Generale del

Premio presso Accademia Collegio de’ Nobili,

Casella Postale 39 - via G. da Verrazzano, 7 -

50018 SCANDICCI (Firenze). Farà fede il timbro postale. Il contributo di partecipazione è fissato

in € 20,00 per ogni sezione alla quale s’intende

partecipare da inviare, unitamente agli elabora-

ti, in contanti. Per i giovani, che non hanno com-

piuto il 18° anno di età, alla data di scadenza del

bando, non è prevista alcuna quota di partecipazio-ne (indicare la data di nascita e inviare fotocopia

del documento d’identità). Gli elaborati dovranno

giungere alla Segreteria a mezzo posta prioritaria o raccomandata, e corredati di quanto richiesto dal

Regolamento. L’organizzazione non risponde di

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.55

eventuali disguidi o ritardi postali. La Segreteria del

Premio comunicherà l’esito del concorso solamente

ai vincitori ed ai finalisti. La partecipazione al Pre-mio non impegna l’Organizzazione ad obblighi di

qualsiasi genere o natura. La Cerimonia di Pre-

miazione si svolgerà a MONTEVARCHI (Arez-

zo), città natale del Poeta Danilo Masini, SA-

BATO 03 DICEMBRE 2016 - ore 17.00 presso il

Circolo Culturale “STANZE ULIVIERI”, Piaz-

za Garibaldi, 1. PRIMO PREMIO Sezione Poesia

inedita: € 250,00.= dell’Accademia Collegio de’

Nobili PRIMO PREMIO Sezione Libro edito di poesia: € 250,00.= delle Stanze Ulivieri. Ai vincito-

ri d’ogni sezione saranno assegnati trofei, targhe,

medaglie, opere d’arte e libri, nonché diplomi-ricordo. Ai vincitori d’ogni sezione sarà pubblicata

l’opera nel mensile “L’Eracliano”. La Segreteria

si riserva di procedere alla pubblicazione di un vo-lume antologico delle opere meritevoli, come per le

precedenti edizioni, edito dalla Casa editrice AN-

SCARICHAE DOMUS. L’invio degli elaborati al Premio costituisce per ogni concorrente dichiara-

zione di conoscenza e accettazione totale del suo

Regolamento. Gli elaborati inviati non si restitui-

scono. L’invito alla Cerimonia di Premiazione non impegna l’Organizzazione a rimborsi di spese, né produce obblighi di qualsiasi genere o natura nei con-fronti dei concorrenti. L’Organizzazione si riserva di apportare al Regolamento, tutte le variazioni necessa-rie per cause di forza maggiore. Per informazioni tele-fonare o inviare e-mail ai seguenti numeri: cell. 339.1604400 Cell. 329.7235669 Email a: [email protected]

LIBRI RICEVUTI LAURA PIERDICCHI - Oltre - Prefazione di

Sandro Gros-Pietro; in copertina e all’interno, a co-

lori, riproduzione artistica di K. B. Rossetto - Gene-si Editrice, 2016 - Pagg. 88, € 14,00. Laura PIER-

DICCHI è nata a Venezia e vice a Mestre. Ha pub-

blicato undici volumi di poesia e un libro di raccon-ti. Cura recensioni e articoli per riviste e quotidiani

con argomenti di letteratura e di cultura varia. Sue

liriche figurano in antologie e riviste ed hanno con-

seguito molti premi a concorsi nazionali e interna-

zionali. Le antologie “Venezianamente” (Spagna) ed “Echi d’acqua” (Romania) comprendono una

silloge di sue liriche, a cura rispettivamente di Na-

dia Consolani Quiñones e Ştefan Damian. Anche nella rivista “Vernice” appare un ampio servizio

sulla sua attività. E’ componente di giuria in con-

corsi letterari e svolge intensa attività pubblica di

partecipazione a manifestazioni culturali. Di lei si è

interessata la critica più qualificata. Sue liriche sono state tradotte in tedesco (e presentate da Helmut

Meter al Musil Archiv di Klagenfurt e pubblicate in

“I nascosti colori della vita”), spagnolo e romeno, e stampate in diverse riviste nelle rispettive nazioni.

Tra le sue opere ricordiamo le più recenti: “Bianca

era la stanza” (2002), “Il segno dei giorni” (2004), “Il tempo diviso” (2008), “Voci tra le pieghe dei

passi” (2013).

** CORRADO AUGIAS - Le ultime diciotto ore di

Gesù - In sopracoperta: Antonio Ciseri, “Ecce Ho-

mo”, olio su tela, 1890 - Einaudi, 2015 - Pagg. 252, € 20,00. Corrado AUGIAS è giornalista, scrittore,

autore televisivo. Tiene la rubrica quotidiana delle

lettere su “Repubblica” e conduce su Rai Tre la tra-smissione quotidiana “Le storie - Diario italiano”.

Tra i suoi ultimi libri ricordiamo: “Leggere. Perché

i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi” (2007), “I segreti del Vaticano” (2010), “Il disagio

della libertà” (2011), “I segreti d’Italia. Storie, luo-

ghi, personaggi nel romanzo di una nazione”

(2012).

** ZHANG ZHI & LAI TINGJIE (Editors-in-Chief) -

World Poetry Yearbook 2014. 263 Poets 100

Countries and Areas - In copertina, a colori, opera di Tan Jun, del quale ne vengono riprodotte altre 11

all’interno, fuori testo; in prima bandella, foto e

curriculum di Bengt Berg (Svezia); in seconda ban-della, foto e curriculum di Diablo (Zhang Zhi); in

quarta di copertina, foto e poesia di Fernando Ren-

don (Colombia) - Ed. The Earth Culture Press,

2014 - Pagg. 428, prezzo USD 60,00, Euro 50,00.

Ecco gli autori antologizzati. Albania: Agron Shele,

Jeton Kelmendi, Olimbi Velaj, Violeta Allmuca, Visar Zhiti. Algeria: Abdel kadir Kechida. Angola:

Ruy Duaerte de Carvalho. Argentina: Ada Iris Jua-

nita Cadelago, Alvaro Marín, Graciela Nasif, Luis Raúl Calvo, Rubén Pasino, Teresa Palazzo Conti.

Armenia: Eduard Harents, Hrant Alexanyan. Au-

stralia: Anna Kumarich, Georgia Xenopou, Jayne Fenton Keane, Robert Maddox-Harle. Austria: Kurt

F. Svatek. Bahrain: Layla Al-Sayed. Bangladesh:

Hassanal Abdullah, Manohar Mouli Biswas. Bela-

rus: Valzhyna Mort. Belgium: Albert Russo, Jean-

Luc Wauthier, Liza Leyla, Willem M. Roggeman,

Zhang Ping. Bosina and Herzegovina : Lidija Pa-vlović-Grgić, Sabahudin Hadžialić, Zarko Milenic.

Botswana: Molly Thokwana. Brazil: Teresinka Pe-

reira. Bulgaria: Bozhidar Pangelov, Christina Bori-sova, Emiliya Proynova, Kristin Dimitrova, Maya

Mitova, Milka Georgieva Pinalska, Slavimir Gen-

Page 56: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.56

chev, Stanka Boneva, Vessislava Savova, Yordan-

ka Radeva. Canada: Flavia Cosma, Hédi Bouraoui,

Terence Leonard Parkin, Yuan Changming. Chile: Leonor Andrea Dinamarca Carrasco, Rodrigo Ver-

dugo. China: Di Bai, Diablo, Hua Wanli, Huang

Yazhou, Jing Xi, Lai Tingjie, San Sejin, Tang Shi, Tang Yi, Xi Ke, Xiang Yixian, Xu Jiang, Yang Ke,

Zhou Sese, Zhu Likun. Colombia: Fernando Ren-

don, Fuad Muvdi Chaín. Croatia: Joso Zivkovic-Soja. Cuba: Enrique Sacerio-Garí. Cyprus: Andreas

Polycarpou, Rubi Andredakis. Czech: Ivo Harák,

Jan Maruna, Jiří Prošek, Michal Brzák. Denmark: Niels Hav. Ecuador: Cristian Avecillas Sigüenza,

Simón Zavala Guzmán. Egypt: Gihan M. Omar,

Moahmed Naguib Ekramady. El Salvador: Carlos Ernesto García. Estonia: Jüri Talvet. Finland: Anni

Sumari, Rita Dahl. France: Athanase Vantchev de

Thracy, Denis Emorine, Georges Friedenkraft, Ni-cole Barriere, Philippe Tancelin, Rebecca Behar,

Sylvie Reff. Georgia: Paata Natsvlishvili. Germa-

ny: Margaret Saine, Martin Kirchhoff. Ghana: Osman Abraham Lincoln. Grece: Apostolos J. Pa-

schos, Arqile Vasil Gjata, Athanassios Koumouris,

Panagiota Christopoulou-Zaloni, Roula Melita, Ta-

kis D. Ioannides, Yannis A. Phillis. Guatemala:

Humberto Ak’abal. Hong Kong: Choi Lai Sheung. Hungary: Károly Sándor Pallai. Iceland: Eyvindur

Pétur Eiríksson, Garðar Baldvinsson. India: Aju

Mukhopadhyay, Anjana Basu, Arbind Kumar Choudhary, Biplab Majee, C. L. Khatri, Dilip Mo-

hapatra, Gopal Lahiri, Gopikrishnan Kottoor, Jag-

dish Prakash, K. V. Dominic, P C K Prem, Ram Krishna Singh, Sunil Sharma. Indonesia: Goena-

wan Mohamad. Iran: Hamidreza Shekarsari Salimi,

Mansoureh Vahdati Ahmadzadeh, Masood Ahma-

di. Iraq: Adnan Al-Sayegh, Hamdi Hameed Al-

Douri. Ireland: Gabriel Rosenstock. Israel: Ada

Aharoni, Edith Lomovasky-Goel, Hedva Rabinson Bachrach, Kaila Shabat, Luiza Carol. Italy: Alberto

Rizzi, Anna Maria Bracale Ceruti, Corrado Cala-

brò, Domenico Defelice, Elio Andriuoli, Francesco Manna, Lidia Chiarelli, Raffaele Ragone, Tito Cau-

chi. Jamaica: Kei Miller. Japan: Kae Morii, Michi-

ko Shida, Taki Yuriko, Tomoji Nakamura. Jordan: Fathieh Saudi. Korea: Baek Han-Yi. Kosovo: Fah-

redin Shehu, Naime Beqiraj. Kurdistan: Hussein

Habasch. Latvia: Baiba Talce, Gvido Drage. Leba-

non: Lara Nabhan Mallak. Lithuania: Sigitas Parul-

skis. Macedonia: Ljubomir Mihajlovski, Ljupce

Zahariev, Zejnepe Alili-Rexhepi. Malaysia: Wu An. Mexico: Francisco Azuela, Maria Eugenia So-

beranis, Patricia Garza Soberanis, Roberto Rosales

Martinez. Mongolia: G. Mend-Ooyo. Montenegro: Katarina Saric. Morocco: Touria Majdouline. Mo-

zambique: Domi Chirongo. Myanmar: Arche A.

Nepal: Banira Giri. Netherlands: Gerry van der

Linden, Quito Nicolaas. New Zealand: Ron Rid-

dell. Nicaragua : Ninozka Chacón Bandón. Nige-ria : Nnamdi Desmond Asiegbu. Norway : Odveig

Klyve. Oman : Mohamed Al-Harthy. Pakistan :

Ayub Khawar, Fakhira Bataool, Hamza Hassan Sheikh, Muhammad Shanazar. Palestine : Moha-

med Rabie. Paraguay : Celia Benfer, Lucina Medi-

na de Barry. Peru: Teodora Amiot. Philippines: Ca-roline Nazareno, Jose Wendell Capili, Mark Ange-

les. Poland: Bogumila Janicka, Grażyna Kielińska,

Maria Kogut, Marlena Zynger. Portugal: Herberto Helder. Puerto Rico: Etnairis Ribera, Mairym Cruz-

Bernal. Romania: Constantin Eugen D. Moga, Dra-

goş Barbu, Gheorghe Mihail, Nadia-Cella Pop, Noni-Emil Iordache, Tatomir Ion-Marius. Russia:

Adolf P. Shvedchikov, Azsacra Zarathustra. Sene-

gal: Daouda Ndiaye. Serbia: Bilall Maliqi, Dušan Gojkov, Ivana Milankov, Slobodan Simić, Tatjana

Debeljački, Vedran Vučić. Singapore: Ling Jian-

gyue, Shi Ying. Slovakia: Juraj Kuniak. Slovenia: Taja Kramberger. South Africa: Makhosazana Xa-

ba. Spain: Gustavo Vega Mansilla, José María Paz

Gago, José Santiago. Surinam: Jit Narain. Sweden:

Bengt Berg. Syria: Sulaiman Al-Hukmiy. Taiwan:

Chiu Pin, Hsu Chicheng. Thailand: Meng Ling. Tunis: Amina Saïd. Turkey: Ayten Mutlu, Dilek

Değerli, Fide Erken, Gülsüm Cengiz, Nisa Leyla.

Ukraine : Dmytro Chystiak, Dmytro Kremin, Ihor Pavlyuk, Kateryna Devdera, Lesya Mudrak, Oksa-

na Samara, Tetiana Dziuba. UK : Dennis Evans,

Jenny Lewis, Joan Michelson, Paul Tristram, Peter Thabit Jones, Shanta Acharya, Tim Cloudsley. Uni-

ted Arab Emirates : Abdul Hakeem Al Zubaidi,

Shihab Ghanem. USA : Aaron A. Vessup, Bill

Wolak, Carolyn Mary Kleefeld, David M. Lucas,

Elisavietta Ritchie, Gerald W. Jones, James Ragan,

Jim Kacian, Luis Alberto Ambroggio, Maria Ben-nett, Neal Whitman, Stanley H. Barkan, Tammy

Nuzzo-Morgan. Venezuela : Gabriel Jiménez

Emán, Mariela Cordero García. Vietnam : Nguyen Chi-Trung. Zimbabwe: Christopher H. D. Magad-

za. A seguire: Books Reviews, Research Papers,

Poets Talking Abaut Poetry, Prizes 2014: The In-ternational, Best of the Year ; IPTRC.

**

CATERINA FELICI - Matteo e il tappo - Favola

per adulti - Italic Pequod, 2016 - Pagg. 118, €

15,00. Caterina FELICI, insegnante, è poetessa e

scrittrice e ha pubblicato volumi di poesia e prosa. Tra i libri di poesia: “Reciproco possesso” (1975),

“Vastità nei frammenti” (1978), “Oltre le parole”

(1982), “Poesie scelte” (1992), “Labili confini” (1994), “Confluenza” (1997), “Tessere di vita”

(2004), “Tratti d’insiemi” (2007), “Fogli di vita”

Page 57: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.57

(2013). Sue poesie sono presenti in antologie. Tra i

volumi di narrativa: “Il vecchio e altri racconti”

(1987). Ha ricevuto vari primi premi in noti con-corsi letterari nazionali. Tra coloro che si sono inte-

ressati di lei, si ricordano: Cesare Segre, Giacinto

Spagnoletti, Giuliano Gramigna, Giorgio Bárberi Squarotti, Walter Mauro, Bruno Maier, Giorgio

Cusatelli, Claudio Toscani, Maria Lenti, Paolo Ruf-

filli, Antonio Piromalli, Marino Moretti, Giambatti-sta Vicari, Luigi Volpicelli, Gian Luigi Beccaria,

Vittorio Coletti, Gina Lagorio, Domenico Rea.

TRA LE RIVISTE IL CONVIVIO - Trimestrale di Poesia Arte e Cul-tura fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza

Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Ca-

stiglione di Sicilia (CT) - E-mail: [email protected] ; [email protected] - Ri-

ceviamo il numero 4 (63), ottobre-dicembre 2015,

del quale segnaliamo: “Corrado Calabrò: tradizione classica nel moderno”, intervista di Carlo Di Lieto

e “Indossando il vestito”, una commedia in due atti,

con illustrazioni di Pasquale Colacitti, di Maria

Altomare Sardella; inoltre, rileviamo le firme di:

Giuseppe Melardi, Caterina Felici, Loretta Bo-

nucci, Giovanna Li Volti Guzzardi, Béatrice

Gaudy, Antonia Izzi Rufo, Isabella Michela Af-

finito, perché anche nostri collaboratori. Allegato il

n. 29 (ottobre-dicembre 2015) di CULTURA E PROSPETTIVE, di 192 pagine, con numerosissimi

interventi, tra i quali quelli di: Angelo Manitta,

Guglielmo Manitta, Leonardo Selvaggi, Orazio

Tanelli, Carmine Chiodo.

*

THE WORLD POETS QUARTERLY - Rivista multilingua fondata da: Dr. Zhang Zhi, Dr. Yu

Haitao, Dr. Choi Laisheung, + Dr. Rosemary C.

Wilkinson - P. O. Box 031, Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City, P. R. CHINA - E-mail:

[email protected] ; [email protected] - Riceviamo il

volume n° 79 in Total, August 8, 2015. In prima di copertina, foto a colori di FebBlue (Cina); in se-

conda di copertina: foto a colori di Domenico De-

felice, un suo breve curriculum e due sue poesie in inglese e in cinese: “Bricklayers of the South” e “A

Song to Life”; in terza di copertina, a colori, foto

del pittore Shao Qihong e la riproduzione di 6 suoi lavori pittorici più un suo curriculum; in quarta di

copertina, a colori, foto di: Bengt Berg (Svezia),

Abdel kadir Kechida (Algeria), Anni Sumari (Finlandia), N V Subbaraman (India), Wang

Lishi (Cina), Norton Hodges (UK), Olimbi Velaj

(Albania) e Wang Jiahong (Cina). La rivista (56

pagine grande formato) ospita un gran numero di poeti di almeno 16 nazioni. Riportiamo i poeti cine-

si: Choi Lai Sheung, FebBlue, Tang Yi, Zhu Li-

kun, Di Bai, Chen ZHong, Zhang Zihan, Mu

Lan, Li Zhengshuan, Wang Lishi, Bao Rong-

bing, An Yu, Wu Liangru, Ye Guanghan, Yu-

ming Zhou. *

KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia edita dalla

Libreria Ticinum Editore e diretta da Amedeo

Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno

(LO) - E-mail: [email protected] Riceviamo il

n. 48, gennaio 2016, di Pagg. 120, € 10,00, con i contributi di: Daniela Marcheschi, Giovanni Cai-

ro, Francesco Giarelli, Margherita Rimi, Ame-

deo Anelli, Darko Suvin, Ursula K. Le Guin. *

IL CENTRO STORICO - Periodico dell’ Associa-

zione Progetto Mistretta, Presidente Dott. Nino Te-

stagrossa, direttore responsabile Massimiliano

Cannata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME).

E-mail: [email protected] Del numero 1-2

(gennaio-febbraio 2016), segnaliamo l’intervista a

Massimiliano Valerii a cura di Massimiliano Can-

nata: “Italia dove stai andando?”, ma tutti gli inter-

venti son da leggere, con le firme di: Francesca

Maria Spinnato Vega, Dionigi Tettamanzi, Oscar Bartoli, Salvatore Pettineo, Francesco Ri-

baudo, Angela Mollica Nardo, Giusy Sirni,

Francesca Scarcina, Rosalinda Sirni, Margheri-

ta Petranzan, Nerina Toci, Lucio Bartolotta ecc.

*

LA RIVIERA LIGURE - quadrimestrale della

Fondazione Mario Novaro, Direttore responsabile

Maria Novaro - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Ge-

nova - E-mail: [email protected] Il n. 3 (78), settembre-dicembre 2015 è dedicato a Aure-

lio Valesi, con le firme di Maria Novaro, Marco

Ercolani, Pino Boero, Carlo Romano, Francesco

De Nicola, Rosa Elisa Giangoia, Massimo Mo-

rasso, Lucetta Frisa, Carla Ida Salviati.

LETTERE

IN DIREZIONE

“LA FESTA (DELLA DONNA) È OR-

MAI TRASCORSA”... - E-mail del 14 mar-

zo 2016 da Emerico Giachery, da Roma -

Page 58: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.58

Carissimo Domenico, ti ringrazio per ave-

re segnalato nel numero di marzo il libro che

mi regalai per gli ottant'anni (anziché acqui-

stare un libro, mi son detto, c'era più gusto a

scriverselo, tanto più che diventava un regalo

molto più "personalizzato", contenendo il

senso e il sapore di tanta mia vita). Hai fatto

molto bene, a mio parere, a far apparire il vol-

to di Giulio Regeni, un giovane "d'eccellen-

za", come oggi usa dire, che operava per un

mondo più umano ed è stato brutalizzato e

ucciso da poteri oscuri e antiumani. Tutti,

come italiani, ma soprattutto come esseri

umani, ci sentiamo offesi e vulnerati dalla

sua crudele morte. Vedendo, in quarta di co-

pertina, momenti della tua attività di pittore,

volevo chiederti se conosci un altro Domeni-

co, calabrese anche lui e pittore, e abbastan-

za affermato, il Maestro Tripodi, che ogni

tanto mi telefona invitandomi con molto slan-

cio a visitare il suo studio insieme con mia

moglie Noemi e con una carissima amica ap-

passionata d'arte, guarda caso anch'essa di

origini calabresi, e con casa a Tropea, Anna

Angiò. Tutte le strade portano in Calabria! Mi

spiace di non aver pensato a inviarti, in vista

del numero di marzo, un mio scritto in lode

delle donne con preludio onirico-musicale,

forse non sgradito alle tue tante collaboratrici,

in occasione della Festa della Donna. La festa

è ormai trascorsa, ma te lo allego ugualmente,

sempre che tu abbia tempo e voglia di legger-

lo, e lo dedico alle donne della tua famiglia.

Buona primavera e buona Pasqua

Emerico

Carissimo Emerico,

potevo non segnalare le tue Voci del tempo

ritrovato? Un libro favoloso, che merita più

di una segnalazione. Diviso in sei sostanziosi

capitoli e un folto album fotografico, è tutto

un’ingordigia. Anche se parte da un tempo in

cui ancora non ero nato, il cuore del tuo la-

voro sta negli anni favolosi della mia infanzia

e della mia giovinezza, diciamo a partire da-

gli anni cinquanta del secolo appena trascor-

so. In “Un ottantenne racconta” ci dai sprazzi

sulla tua frequenza scolastica, a partire dalle

elementari e accenni pure alle riforme, la più

organica quella Gentile, che “caldeggiava

una scuola elementare <aderente al sentimen-

to, all’esperienza, ai costumi, alla lingua, all’

anima del popolo>”; poi accenni al Liceo e

alla scoperta di libri e antologie e poeti - al-

cuni: Pascoli, Quasimodo, Montale, Ungaret-

ti (al quale dai ampio spazio nel terzo capito-

lo riguardante il Lazio) da te assai amati -,

per passare all’Università e ai tanti Maestri,

anche di fama internazionale, come Pantaleo

Carabellese, Guido De Ruggiero, Gaetano

De Sanctis, Federico Chabod, Raffaele Pet-

tazzoni, Antonino Pagliaro, Alfredo Schiaffi-

ni, Angelo Monteverdi. E non manca l’ ac-

cenno alla guerra, ai bombardamenti, agli

spostamenti e alle ristrettezze economiche, a

proposito delle quali mi son gustato, nel capi-

tolo “Lazio di memoria, mito, poesia”, quel

tuo “rientro a casa con una preda di fagioli o

patate o con una bottiglia d’olio, pregiato

quasi come l’oro”, rientro che “era, allora

poco meno osannato del ritorno di Radames a

Menfi dopo la vittoria sugli Etiopi di Amona-

sro”. Non meno affascinante è il capitolo

“Anni trenta: radio, libri, canzoni”, opere e

melodie vivissime ancora negli anni cinquan-

ta e perciò anche da me amate e stampate

nella memoria. Come si fa a non ricordare il

Quartetto Cetra, per esempio, Natalino Otto;

canzoni come “Parlami d’amore, Mariù”,

“Violino Tzcano”, “Lilì Marlen”; libri come

Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno e Quel pa-

sticciaccio brutto di via Merulana”; perso-

naggi come Nunzio Filogamo, attori e attrici,

la Topolino della Fiat, i costumi?... E tu hai

la magia d’infilarci, qua e là, riflessioni sof-

fuse di leggero umorismo (“Avrei ancora

l’età giusta per diventare Presidente della Re-

pubblica. O magari Papa. Ma è poco probabi-

le che io diventi l’uno o l’altro. Dovrò accon-

tentarmi di meno appariscenti occupazioni e

rinunciare a prendere appunti per il saluto di

Capodanno agli Italiani o per una possibile

Enciclica”), o di afflizione dolorosa, come

quando, rievocando i versi di “Signorinella”,

ti soffermi sulla notizia del nostro tempo della

donna musulmana che, per essersi messa i

pantaloni, è stata condannata a quaranta fru-

Page 59: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.59

state!. L’avrò già scritto altre volte: tu inizi

sempre da solitario il tuo peregrinare di me-

moria tra autori e libri, per poi giungere alla

meta contornato da una folla immensa e fa-

volosa. Nel capitolo sul Latium vetus (ed at-

tuale), non si possono dimenticare le tue

escursioni in bicicletta con tuo padre, alla

scoperta di Palestrina, Castel San Pietro

(con l’accenno al film di De Sica, “Pane

amore e fantasia”), Frascati, Albano, Lanu-

vio, e quindi Lavinium, Pratica di Mare, Po-

mezia e Torvaianica, con la tomba di Enea, il

Santuario delle XIII are e quello di Minerva,

l’antro della Ninfa Egeria... Mi dai

l’impressione che almeno qualche volta ci sa-

remo sfiorati senza salutarci, perché sono

stato a Roma per la prima volta a quattro

mesi (via e largo Arenula); mi hanno scattato

la prima foto intorno ai dodici/quindici anni

nei giardini della casa di Nerone di fronte al

Colosseo; ho vissuto nelle pensioni tra la sta-

zione Termini e San Giovanni (l’ultima, in via

Emanuele Filiberto); ero solito andare a

messa nella chiesetta dei Frati Bigi e in quel-

la su via Merulana, angolo via Labicana, do-

ve, qualche anno fa, violenti manifestanti

hanno preso a martellate l’immaginetta della

madonna; ho visitato più di una volta i luoghi

dello sbarco di Enea e i vari reperti archeo-

logici; ho baciato la ragazza seduto nella

piazzetta di Pratica di Mare sotto l’ombra dei

platani... Dimmi come possano non affasci-

narmi i tuoi scritti! Oggi ho quasi ottant’anni

e se anch’io mi metessi a raccontare, almeno

alcune cose combacerebbero con le tue. Il

capitolo “Alla scoperta di Firenze” è tra i più

brevi. La città ci viene incontro con le tante e

celebri canzoni ad essa dedicate (Messer

Aprile, Madonna Bice, l’Arno d’argento), le

tante opere letterarie e cinematografiche, con

nomi celebri (Guido Brignone, Alessandro

Blasetti, Sem Benelli, Clara Calamai, Emma

Gramatica, Rossellini, Pratolini, Zurlini, Pa-

lazzeschi - da me incontrato alla SIAE dell’

Eur insieme a Vincenzo Fraschetti e a Giulio

Andreotti -, Luzi), i monumenti e i pittori (il

Battistero, San Marco e l’Angelico, il Carmi-

ne e Masaccio, Santa Felicita e Pontorno)...

Firenze, una delle “città ricche d’anima”,

come tu giustamente scrivi. In “Oceano lago

fiumi”, abbiamo una prima parte col tuo

racconto di ventenne Wanderer per l’Europa

appena uscita dalla guerra e mentre le singo-

le nazioni tentano di sanarsi le ferite. Eccoti

a specchiarti “nelle chiare e fresche acque

del Sorga a Fontaine-de-Vaucluse”, a Stra-

sburgo; eccoti, capelli al vento, sulle “Rocce

titaniche a precipizio sulle tempeste” dell’ At-

lantico. Poi c’è il Wanderer più maturo fare,

a volte, gli stessi itinerari ed elargendoci vi-

sioni e bellezze, anche di ragazze, come l’

Annie bretone che “cuce e canta”; di laghi

come il Lemano con Ginevra e i suoi tesori e

la sua cultura e i ricordi che pullulano come

sorgiva e riportano in superficie libri, arte,

cucina e buoni vini, e amici speciali come

Eugène Kuttel. Per quanto concerne i fiumi,

non poteva mancare il Tevere (con Ponte

Sant’Angelo e Mario dell’Arco che ricordo al

Caffè dei Poeti e all’Associazione Trilussa);

e poi l’Arno, la Senna, il Danubio, il Reno,

con le città, l’arte, i poeti e, infine, “Il gran

fiume dell’Essere, che convoglia e trascina e

travolge nei gorghi gli innumerevoli e minu-

scoli affluenti delle nostre esistenze, dei no-

stri amori e pensieri, delle nostre speranze e

illusioni”.

Se mi avessi fatto avere il pezzo per le donne

in marzo, sarebbe stata una vera grazia per

le tante nostre lettrici e collaboratrici; sì,

perché P. N. ha avuto sempre un bel pubblico

femminile e a molte donne sono state nel

tempo dedicate copertine e prime pagine. Per

non andare troppo indietro, ricordo il 2015:

gennaio, ad Anna Achmatova; febbraio, a

Oriana Fallaci; marzo, a Marguerite Your-

cenar; giugno, a Giulia Di Barolo; settembre,

a Lilli Gruber. Pure questo 2016 è incomin-

ciato alla loro insegna: gennaio, a Svetlana

Aleksievich; marzo, a Maricla Di Dio e, que-

sto aprile, a Adriana Assini. Serbo, allora, il

tuo pezzo per il numero di maggio, mese che

io dedicherei per intero alle donne, essendo il

più bel mese dell’anno. L’otto marzo ha or-

mai perso lo spirito profondo per il quale è

stato istituito; è diventato solo un business

Page 60: Pomezia Notizie 2016_4

POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.60

commerciale e una manifestazione plateale di

ipocrisia per chi considera la donna un og-

getto (e qui mi fermo, cercando di trattenere

la bestemmia al pensiero che si è presa la

brutta piega di festeggiare pure l’otto marzo

della gattina e della cagnolina, della coni-

glietta, della maialina, perché anch’esse

creature di Dio, ed è giusto che anche a loro

si dispensino baci - veri, non Perugina -, lec-

cornie, e si comprino pure le mutandine colo-

rate di rosso...). E lo scandalo è ancora più

indecente se si pensa che le donne a tutto ciò

non solo non si ribellano ma vi partecipano

attivamente., Ho incontrato tempo fa a Piazza

dei Navigatori, a Roma, una coppia che por-

tava a spasso il cagnolino. L’uomo aveva

fretta e la donna, rivolta all’animale che si

attardava ad annusare il marciapiede: “Dai,

amore, altrimenti papà se ne va!” Papà, di un

cane! Sì, è giusto “accarezzare i cani dagli

occhi benevoli che ci tendono il muso con

simpatia” - come tu scrivi -, ma non dimenti-

cando mai che sono animali; lasciamoli, in-

somma, vivere da cani! Facciamo loro torto

costringendoli, per nostro egoismo, a scim-

miottarci e a comportarsi contro loro natura.

Scordiamoci, allora, caro Emerico, dell’otto

marzo - ormai solo scandalo - e dedichiamo

alla donna i nostri scritti e tutto di noi stessi

quando ci pare.

L’Occidente non è civile come non lo è l’

Oriente, come non lo sono il Sud e il Nord. L’

umanità continua nella barbarie finché ha bi-

sogno di martiri come Regeni e del sangue di

milioni di donne uccise, di fanciulli seviziati,

di cristi giornalmente messi in croce. È solo

ipocrisia parlare di civiltà e ciò che noi

chiamiamo progresso, anziché migliorarci, ci

sta rendendo più duri, crudeli e cinici e raffi-

nati nelle brutture e nelle devianze.

Conosco il caro Domenico Tripodi e non è

una volta sola che P. N. dedica a lui e alla

sua arte qualche pagina e qualche copertina

a colori (per esempio, giugno 2014). Ma lui è

restio a più assiduamente collaborare.

Ognun di noi ha i suoi itinerari, ognun di noi

è un esclusivo Wanderer.

Scusa se mi son dilungato e se, ora, non ho

neppure il tempo di rileggere, perché in ri-

tardo con la chiusura e devo portare il tutto

in tipografia. Mi par di stare su una catena di

montaggio: un numero viene licenziato e l’

altro è già in cantiere! Quanto potrà durare

ancora un tal delirio?

Domenico

***

Ilia Pedrina, da Vicenza, e-mail del 18 mar-

zo 2016: Caro, carissimo Amico, dal Novembre 2015 al Marzo 2016: nella sta-

si delle proprie dimore ciascuno di noi ha po-

tuto viaggiare senza sforzo tra i sentieri che

collegano la Bellezza alla vita, al sogno, alla

ragione determinata e calcolante, alla rivolu-

zione spinta con forza per far cambiare atteg-

giamenti e comportamenti, deleteri soprattut-

to se collegati con l'ipocrisia e l'indecenza dei

propositi volti all'arrembaggio che accaparra

le risorse di questa nostra Nazione, alla trage-

dia dell'abbandono e della solitudine, al lutto

della perdita, alla vita trascorsa nella fede e

nella dedizione, ai ritmi cadenzati di Poesia,

ai palpiti di quel contatto umano che si snoda

tra domande e risposte. Si, un viaggio di cin-

que mesi, straordinario, innovativo, che allac-

cia contenuti a vite, a relazioni e a palpiti, in

complesse, complessive emozioni che lascia-

no il segno. Si, parole scritte che portano ri-

flessioni, considerazioni originali e ben do-

cumentate, slanci d'amicizia e di cordiale, tra-

sparente sintonia, a consolidare convergenze

d'intenti e di progetti. Si, tutto questo è pre-

sente nel tuo instancabile frutto di cultura, d'

arte, di musica, di scienza, POMEZIA NO-

TIZIE, dico, che si diffonde in copia ogni

mese, in un ritmo lunare che rinnova sempre

la sua luce.

Dal Novembre 2015 al Marzo 2016, lungo il

filo rosso dello scambio in intreccio di per-

corsi, come quello dell'articolo di A. I. Pedri-

na sull'eternità dell'anima e sull'immortalità

(Pom. Not. Nov. 2015), che porta a riscontri

meditati e consapevoli nella 'Lettera aperta' di

Marina Caracciolo (Pom. Not. Marzo 2016)

Marina dice ad Aida Isotta, apertamente, che

non trova citato Gesù nelle sue riflessioni. È

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.61

vero, non viene mai nominato Gesù, perché

forse lei, Isottina, come la chiamo io, ha den-

tro Maria, la sua Mamma, ancora e sempre

incinta di Lui, senza farlo venire a questo

mondo. Nel canto tutto al femminile di Erri

De Luca 'In nome della madre', in copertina

una lettera ebraica, al suo retro un'altra lette-

ra, differente ad indicare le due 'M' del nome

'Myriam', segnate l'una con un piccolo spazio

d'aria che passa, l'altra a lei simile, ma segreta

e chiusa, ma a simboleggiare due realtà di vi-

ta, dalla verginità in purezza aperta all'espe-

rienza e al mondo, a quell'essere piena di

Vento che rappresenta il momento dell'An-

nuncio, fino al compimento di quell'Essere

che nella Parola diventerà Vento e respiro in

luce per chi in questo Vento vedrà il Padre.

Così scrive Erri De Luca, che mi ha fatto

commuovere dal vivo, in dolcezza, nella sera-

ta al Teatro dannunziano di Villa Mirabella al

Vittoriale degli Italiani, tra gli Artisti del Can-

zoniere Grecanico Salentino ed i loro straor-

dinari strumenti, la sera del 4 marzo scorso:

'In ebraico esistono due emme, una normale

che va in qualunque punto della parola e una

che va solo in ultima casa. Miriam ha due

emme, una dell'esordio e una terminale. Han-

no due forme opposte. La emme finale, mem

sofit in ebraico, è chiusa da ogni lato. Quella

iniziale è gonfia e ha un'apertura verso il bas-

so. È un'emme incinta.' (Erri De Luca, In no-

me della madre, ed. Giang. Feltrinelli, 2008,

retro di copertina). E c'è anche Ernst Bloch,

qui sullo scrittoio, tra una Pomezia Notizie e

l'altra, quello del volume 'Ateismo nel cristia-

nesimo - Per la religione dell'Esodo e del Re-

gno 'Chi vede me vede il Padre', con tradu-

zione e cura di Francesco Coppellotti, mentre

è Giangiacomo Feltrinelli che firma il proget-

to editoriale. Allora io, che mi sento sempre

bambina ai primi passi in un mondo che co-

nosco già fin troppo bene, mi rivolgo in tem-

po reale a Maurizio Mazzetto, il cui pensiero

e volto hai ospitato tra le pagine della Rivista

proprio nel mese di Novembre 2015, e gli

prospetto una richiesta d'aiuto, visto che le

mie note portano la data del 2008. Lui va a

cercare il libro, nella sua biblioteca ordinata

assai, lo trova e mi scrive che quel testo reca

la data d'acquisto e di lettura del 1976, è tutto

annotato e lui era ai primi passi nel percorso

del sacerdozio, al primo anno di Teologia, e

quel libro di certo non era 'scolastico'. Bloch,

dedicando ad Adolf Lowe quel testo, analizza

con raffinata eleganza il percorso del sacro e

prende dentro anche Orfeo ed il bisogno di

questa divinità di consegnare la matrice del

suo canto a chi la sa cogliere e disperdere. Poi

arriveranno le parole, quelle della poesia e

della musica che ne è la radice. Ti manderò

un lavoretto su questi temi perché lui, questo

filosofo tedesco nato nel 1885, ha la forza an-

cora di farsi ascoltare, perché dal suo 'Il prin-

cipio speranza' (ed. it. Vallecchi 1967) sono

scaturiti fiumi di riflessioni e di approfondi-

menti.

Allora chi prega intende rendersi degno della

fiducia di Chi lo ascolta: questa certezza psi-

cologica passa nella vita d'ogni giorno, come

ricorda Erri De Luca nella serata di cui ti ho

detto, intensissima, descrivendo con il cuore

la fede degli operai musulmani che erano con

lui, in totale ristrettezza di mezzi, nella stan-

za-dormitorio della fabbrica dove lavoravano,

nel 1982, alla periferia di Parigi. Si volgevano

al muro, verso Oriente, a ricercare una forza

che per loro non ha volto, ad intercettare un

contatto che ha senso sempre cinque volte al

giorno, senza che mai ci si dimentichi di que-

sti appuntamenti. Mai. Mentre ti scrivo, le la-

crime vengono giù lungo le gote da sole, per-

ché la commozione è umida e liquorosa, si,

quel liquore dell'anima che inebria nell'inna-

moramento e lo scrittore, dentro le parole, de-

scrive proprio questo innamoramento tra le

creature ed il loro Fattore, non differente dal

nostro.

Tra il Novembre 2015 e il Marzo 2016, dice-

vo. È così: ogni mese, come il ciclo regolare

della fecondità della vita nella donna, ritual-

mente, metti insieme le nostre parole, che ti

arrivano con quel fremito che accompagna

ogni offerta: tu ti fai Demiurgo e componi tut-

to in nuova armonia, fili complessi tessuti in-

sieme dalla condivisione, primo denominato-

re comune della conoscenza; tu ti fai Racco-

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.62

glitore e bacchetti severamente chi nel nostro

tempo è senza qualità morali, senza dignità,

senza destino costruito sulla responsabilità

che detta scelte coerenti; tu ti fai Regista di

un canto comune iniziato tanti anni fa, quan-

do hai raccolto l'eredità de 'La Procellaria' di

Francesco Fiumara e indietro nel tempo quel-

la del 'Realismo Lirico' di Aldo Capasso.

Francesco Pedrina, dopo aver collaborato ad

entrambe quelle preziose riviste letterarie, ri-

mane ancora voce viva tra noi, quando pub-

blichi i racconti che ti mando, quelli di 'Vela

d'argento - Viaggio sentimentale attraverso la

mia vita', tradotto in francese dalla cara, dol-

cissima Solange de Bressieux. Allora questa

continuità è divenuta risorsa piena dello spiri-

to in ricerca, della nostra capacità di intercet-

tare Dio tra le cose del mondo, le emozioni, le

sofferenze, i disagi, i conflitti, gli ardori dell'

amore umano, che arriva a contenere anche

Dio e a chiedere in preghiera un Suo silenzio-

so riscontro, infinito, dilatatissimo. Il grande

Tertulliano, uno tra i Padri della Chiesa, dice-

va 'Credo, quia absurdum': proprio perché è

un'assurdità il credere, sia a Dio che all'eterni-

tà dello Spirito che all'immortalità dell'Ani-

ma, si apre con lui quel percorso incredibile

che arriva fino a Kierkegaard e oltre. Paolo di

Tarso non si sarebbe mai permesso di consi-

derare assurde le sue convinzioni, pieno com'

era di sé e della sua fede.

Ti abbraccio, allora, piena di gratitudine.

Ilia tua

Cara Ilia,

che idea prendere in considerazione cinque

mesi di vita di Pomezia-Notizie, e proprio

quelli dal novembre 2015 al marzo 2016!

Cinque mesi vissuti come sempre con grinta

ma alla giornata, senza, cioè, i progetti fa-

raonici di molte testate poi quasi mai realiz-

zabili; con grinta, ma anche con umiltà, me-

more che progettare spetta solamente a Dio,

a me solo collaborare ed eseguire. Ogni nu-

mero s’è sempre realizzato quasi al di fuori

della mia volontà, nel senso che non c’è stato

mai niente di preventivato e che temi e argo-

menti scaturiscono e si compongono volta

per volta attraverso gli scritti inviati da te e

da tutti gli altri affezionati collaboratori. Co-

sì, per esempio, ecco il tema della lingua,

portando in campo, nello stesso numero,

Gentile, Cardarelli e Gadda; ecco quello del-

la fede, o quello della violenza nel quale ben

si inserisce la silloge Bambini di Anna Vinci-

torio; o, ancora, il dolore e la morte, con il

ricordo dei nostri amici o dei parenti che

hanno fatto l’ultimo viaggio; o il tema della

politica (Destra e Sinistra di Giuseppe Leone)

e quello che tocca geografia e città: la Tuni-

sia, per esempio, Genova, Pechino... Io ese-

guo, non progetto, e ogni numero è agile e

vivo perché imprevisto, in base a ciò che voi

inviate; io raccolgo e colloco, distribuisco.

Dire che faccio il “demiurgo”, mi sembra ve-

ramente esagerato; qualcuno dice che faccio

il regista: in parte forse è vero, ma solo in

parte, perché anche in campo filmico, il ca-

polavoro nasce solo se c’è il concorso degli

attori, degli scrittori, dei costumisti, dei foto-

grafi, dei macchinisti e via elencando. Così,

se io metto insieme le vostre parole, ogni nu-

mero diventa un coro armonico di consensi e

contrasti solo perché le vostre parole sono al-

te, altrimenti sarebbe sempre e solo silenzio

assordante.

Se Isotta non nomina Gesù ci sarà un motivo,

forse Lei questa grande figura non l’ha anco-

ra bene introitata, metabolizzata. Gesù è an-

cora oggi - e lo sarà per sempre - una pietra

d’inciampo, essendo venuto al mondo, come

Lui stesso afferma, non per portare la pace e

l’unità, ma “le discordie, il fuoco, la spada, la

guerra” (Vangelo di Tommaso). Gesù è il più

grande dei rivoluzionari. Le notizie che noi

abbiamo di Lui sono scarne e agiografiche,

ma anche da così pochi elementi si può risa-

lire al suo radicalismo, al suo socialismo1, al

suo amore per la libertà. Sì, è stato anche un

banditore della libertà (e non soltanto della

coscienza).

Domenico 1 - Gesù - scrive Corrado Augias in Le ultime di-

ciotto ore di Gesù, Einaudi, 2015 - “È un uomo pio ma è anche un uomo aspro, difficile, come chiun-

que senta fin nel profondo del suo essere il senso di

una missione che può arrivare a squassare i rapporti

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tra gli uomini e i fondamenti di una società. Predi-

lige i poveri, lo ripetono tutti. Tommaso 59: <Beati

i poveri perché vostro è il Regno dei Cieli!>; Luca 6,20: <Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di

Dio>; Matteo 5,3: “Beati i poveri di spirito perché

loro è il Regno dei Cieli>. Ma di quali poveri sta parlando? Il testo greco di ptochò, che non è l’ in-

digente, è il mendico, il vagabondo, il miserabile,

colui che non ha casa né cibo. Gli ptochoi sono il portato dell’ingiustizia sociale, gli scarti umani...”.

***

E-mail del 19 marzo 2016 da Pescate (LC) -

Ho letto il numero di marzo di Pomezia-

Notizie e devo dirti che ho trovato la rivista in

ottimo stato di salute. Trovo che la sua ric-

chezza, mi preme dirtelo, non è tanto nella

varietà dei suoi temi, che pure sono tan-

ti, quanto nei frequenti scambi d'idee e di ve-

dute fra i suoi collaboratori.

Penso alla lettera aperta di Marina Caraccio-

lo a Aida Pedrina e a quanto scrive in una let-

tera al Direttore Emerico Giachery, che si

sofferma sul mio articolo in ricordo di Vitto-

riano Esposito ma anche sul dibattito fra me e

te su Destra e Sinistra. Insomma, caro Dome-

nico, una rivista viva e vivace, frutto, mai di

preconcette posizioni su questa o quell'idea

politica, su questa o quella corrente lettera-

ria, ma sempre nel segno della tolleranza e

della libertà di espressione. Una bella azio-

ne editoriale che dura da oltre quarant'an-

ni. Un caro saluto,

Giuseppe Leone

Caro Giuseppe,

l’unico stato che non solo non è “ottimo”,

ma al di sotto di “pessimo”, è lo stato eco-

nomico. La crisi ha colpito anche Pomezia-

Notizie, facendo diminuire i suoi abbonati

di almeno un 30%. Se non ho da comprar da

mangiare - mi telefonava all’inizio dell’ an-

no un vecchio abbonato -, come posso rin-

novare l’abbonamento? Ho assicurato l’

amico che gli farò avere il mensile finché

posso, anche senza l’abbonamento. Altri lo

hanno dimezzato letteralmente: Contèntati!

- mi han detto -, di più non posiamo dare!

Che fare? La famiglia protesta; è vero che

sono alla soglia degli ottant’anni, ma ciò

non può giustificare l’intaccare la pensione

di appena mille euro. Logica sarebbe chiu-

dere, ma non ce la faccio: i vostri apprez-

zamenti sono vita. Grazie!

Domenico

SOSTA

C’è giocare di ali

che nunziano avvento

di primavera. E io

mi sento nascere;

e si dirada

l’uggia d’inverno

che m’inabissa.

Uno spiraglio di cuore

consentirebbe sosta

all’intimo fuggire

irreparabile.

Rocco Cambareri Da Da lontano, Ed. Le Petit Moineau, 1970

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POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.64

TERRA

Terra

grembo della vita:

sei amica

dell’uomo

e da te

tutto proviene

e tutti gli esseri

viventi

a te ritorneranno.

Loretta Bonucci

Qui sotto a sinistra: Domenico Defelice: Paesag-

gio (acquerello, 1982) e La luna dietro il cipresso

(china, 1960)

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione), composti

con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,

attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-

nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-

tella si intende un foglio battuto a macchina da

30 righe per 60 battute per riga, per un totale di

1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-

to è necessario un contributo volontario. Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I libri, per recensione, vanno inviati in

duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito

www.issuu.com al link:

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