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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice
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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA
Anno 24 (Nuova Serie) – n. 4 - Aprile 2016 - € 5,00
ADRIANA ASSINI UN CAFFÈ CON ROBESPIERRE
di Marina Caracciolo
DRIANA Assini è
una delle più note
scrittrici italiane
che si siano specializzate
nel genere del romanzo sto-
rico. Conosciuta anche all’
estero, soprattutto in Spa-
gna – dove il suo romanzo
Le rose di Cordova (2007)
è stato tradotto in castiglia-
no da Mercedes González
de Sande, docente di Filo-
logia Romanza e Filologia
Italiana nelle Università di
Salamanca, Murcia e Ovie-
do (presso quest’ultima, il
libro è stato inserito fra le
letture obbligatorie dei cor-
si di Filologia Italiana) – ha
al suo attivo più di una
dozzina di titoli, fra i quali
possiamo ricordare i più
recenti: Un sorso di arseni-
co, Il mercante di zucchero
e La Riva Verde, tutti editi
da Scrittura & Scritture di
Napoli.
Nel caso di questo roman-
zo appena uscito, Un →
A
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.2
All’interno:
Roma nel primo dopoguerra, di Emerico Giachery, pag. 5
Erri De Luca: parole in preghiera, di Ilia Pedrina, pag. 8
Dalla Cina mondo inquinato e Litchi in fiore, di Domenico Defelice, pag. 11
Uno scintillio di percorsi lontani, di Marina Caracciolo, pag. 14
Anche ai “Ragazzi di zinco” il Premio Nobel, di Luigi De Rosa, pag. 16
Francesco De Sanctis e la scuola, di Antonia Izzi Rufo, pag. 18
Giuseppe Leone e un’analisi intensa e magistrale, di Aida Isotta Pedrina, pag. 21
Gabriele D’Annunzio nella prima guerra mondiale, di Marina Caracciolo, pag. 24
Sabato Racioppi, di Leonardo Selvaggi, pag. 26
La mia Lèucade, di Nazario Pardini, pag. 31
Laura Pierdicchi: Oltre, di Tito Cauchi, pag. 35
Sull’irriducibilità del poetico, di Susanna Pelizza, pag. 37
Premio Città di Pomezia 2016 (regolamento), pag. 38
I Poeti e la Natura (Federico García Lorca), di Luigi De Rosa, pag. 39
Notizie, pag. 53
Libri ricevuti, pag. 55
Tra le riviste, pag. 57
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (L’altro Regno, di Bozzetti Maria Rita, pag. 40); Tito
Cauchi (Odi impetuose, di Filomena Iovinella, pag. 41); Tito Cauchi (Bambini, di Anna Vin-
citorio, pag. 42); Tito Cauchi (World Poetry, di Zhang Zhi & Lai Tingjie, pag. 42); Tito Cau-
chi (Pagine erranti, di Emilia Bisesti, pag. 43); Tito Cauchi (Poeti italiani del nostro tempo, di
AA. VV., pag. 43); Tito Cauchi (Storia Postale Italiana, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 44);
Domenico Defelice (Oltre, di Laura Pierdicchi, pag. 44); Domenico Defelice (Matteo e il tap-
po, di Caterina Felici, pag. 46); Aurora De Luca (Bambini, di Anna Vincitorio, pag. 46); Eli-
sabetta Di Iaconi (Odi impetuose, di Filomena Iovinella, pag. 47); Paolangela Draghetti
(Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affinito, pag. 48); Paolangela Draghetti
(Bambini, di Anna Vincitorio, pag. 48); Paolangela Draghetti (Emozioni sparse al vento, di
Anna Trombelli Acquaro, pag. 49); Filomena Iovinella (È Oriente, di Paolo Rumiz, pag. 49);
Francesca Maiuri (Dignità e condizione della donna, di Adalpina Fabra Bignardelli, pag. 50);
Susanna Pelizza (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 50); Liliana Porro Andriuoli (La donna
di picche, di Rachele Zaza Padula, pag. 51); Francesca Tedeschi (Il dialetto della vita e Il so-
gno la vita la bellezza, di Pasquale Montalto e Domenico Tucci, pag. 52).
Lettere in Direzione (Emerico Giachery, Ilia Pedrina, Giuseppe Leone), pag. 57
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Rocco Cambareri, Colombo Conti,
Domenico Defelice, Luigi De Rosa, Elisabetta Di Iaconi, Nino Ferraù, Filomena Iovinella,
Giovanna Li Volti Guzzardi, Leonardo Selvaggi, Carlo Trimarchi
caffè con Robespierre, non ci troviamo nell’
epoca che l’Autrice ha sempre prediletto, in
bilico fra il basso Medioevo e il Rinascimen-
to, poiché qui la storia si snoda evidentemen-
te nella Parigi della Rivoluzione, e in partico-
lare tra il 1793 e il 1794, in pieno periodo det-
to del «Terrore».
Il Robespierre presente nel titolo, nella vi-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.3
cenda compare soltanto in modo sfumato, ap-
pena di scorcio: di lui, capo carismatico del
governo rivoluzionario, si parla spesso, è ov-
vio, ma egli non è un personaggio che inter-
viene attivamente nella trama: poter sorseg-
giare un caffè, seduta in poltrona nel salotto
della sua casa, al 366 di rue Saint-Honoré,
ascoltarlo parlare dei suoi progetti di radicale
rinnovamento dell’amata Francia, è il sogno
forse impossibile della graziosa e rinomata
modista Manon Liotard, protagonista del ro-
manzo insieme a suo marito, Bertrand Blon-
del, il miglior cuoco in servizio alla reggia di
Versailles.
Con il ben noto talento rappresentativo e
scenografico di Adriana Assini, il romanzo
prende le mosse proprio attraverso gli occhi
di questa coppia di «umili». Sono loro due,
poi scortati da una manciata di personaggi se-
condari, lo specchio dei terribili avvenimenti
che la Francia sta vivendo, in uno storico
spartiacque dove il popolo e i potenti scrivo-
no una pagina che costituirà una pietra milia-
re, di cui, in seguito, dentro e fuori della
Francia, tutti, e in qualunque condizione poli-
tica, dovranno tenere conto.
La scena si apre il mercoledì 16 ottobre
1793, quando Maria Antonietta, l’odiata «au-
striaca», come la chiamavano i Francesi a cui
era invisa, o più semplicemente, per il Tribu-
nale della Rivoluzione, la vedova del già giu-
stiziato citoyen Capet, lascia la testa sotto la
lama della ghigliottina. È Bertrand che lo rac-
conta, tornando a casa da Piazza della Rivo-
luzione, stravolto e bianco come la cera. La
moglie Manon, donna eccentrica e un po’ in-
quieta, non condivide quella sua incondizio-
nata adorazione per una sovrana non solo
straniera, ma soprattutto superficiale, frivola,
politicamente insignificante come il suo inet-
to consorte, e del tutto indifferente ai proble-
mi dei suoi sudditi. Lei è stata invece rapita
dalla grande svolta, dalla fede giacobina, da
un mondo nuovo che si profila ormai eviden-
te, seppure ancora tutto da costruire: una so-
cietà più giusta e anche più felice, dove la
gente non dovrà soltanto curvare la schiena
sotto il peso di pesanti doveri, ma avrà diritti
fondamentali incontestabili e rispettati da tut-
ti.
Così, fin dalle prime pagine, si profila la
divergenza ideologica tra i due giovani pro-
tagonisti, una differenza di visuale che fini-
sce per contribuire ad allontanarli anche sen-
timentalmente, in un ménage coniugale piut-
tosto stanco, provato dalla noia di una vita
senza passione. Manon, che si consola di
nascosto con il giovane e affascinante poeta
rivoluzionario Jérôme, è ancora però molto
amata dal marito, anche se lei crede che la
sua principale, anzi esclusiva passione siano
le prelibate leccornie che sa preparare e di
cui conosce a menadito l’origine, i segreti,
le varianti, con risultati così eccellenti, dagli
antipasti ai dessert, da togliergli di mezzo –
diversamente dalla sua vita di coppia – qual-
siasi rivale.
Bertrand conoscerà il tradimento della mo-
glie quando il bel Jérôme avrà ormai offerto
anche lui la testa al boia; ma la delusione co-
cente, ingoiata e tenuta segreta, lo incoragge-
rà tuttavia a cercare fortuna in Italia, nel re-
gno dei Borboni di Napoli, dove accanto a un
re svogliato e istrione come Ferdinando, siede
Maria Carolina, figlia pure lei di Maria Tere-
sa d’Austria, di certo più fortunata ma non
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.4
molto diversa dall’infelice sorella Maria An-
tonietta nel darsi allo sperpero e ai trastulli.
Dopo un viaggio di quasi duemila miglia, il
malinconico Bertrand scopre la bellezza in-
comparabile del mare e il profilo imponente
del Vesuvio; ammira stupito il fasto degli edi-
fici barocchi; conosce il vociare frenetico e
allegro dei vicoli e dei mercati, è attratto
sempre di più da una gente esuberante, piena
di cuore, attaccabrighe ma sinceramente af-
fettuosa; e sopra tutto si impadronisce giorno
per giorno dei segreti della stuzzicante cucina
mediterranea, riconoscendo che nella sua in-
credibile varietà e fantasia nulla ha da invi-
diare alla squisita raffinatezza dei francesi.
Oltre all’amore segreto di Manon, e alla sua
fatale conclusione, e al viaggio in Italia di
Bertrand, non ci sono molte altre vicende
movimentate in questo romanzo: come si ad-
dice perfettamente ai gravi casi dell’ultimo
scorcio del secolo dei Lumi, qui soprattutto si
parla molto, si dialoga vivacemente al Caffè
Zoppi o al Cafè de Chartres, al Cafè des
Aveugles oppure al ristorante dei Frères Pro-
vençeaux. Si sfogliano i giornali commentan-
do le pagine di politica, si nominano Rous-
seau e Voltaire, si legge Chenier; si discutono
le idee dei girondini e dei sanculotti, si inter-
pretano i discorsi di Danton, di Hébert o di
Saint-Just; si deplora con rammarico l’atroce
e ingiusta condanna di Lavoisier, l’eminente
scienziato fondatore della chimica moder-
na…
E così la grande Storia, quella che un gior-
no sarebbe finita sui libri, prende vita e rile-
vanza sul fondale di un palcoscenico animato
in primo piano da umili e borghesi.
Da Napoli Bertrand invia lunghe ed entu-
siastiche missive all’ancora amatissima mo-
glie, e lei risponde confessandogli che sente
la sua mancanza ogni giorno di più. Lui con-
tinua a sperare che quella separazione, se non
li divide per sempre, li riunirà una volta per
tutte, e più saldamente di prima.
Nel penultimo capitolo è proprio Robe-
spierre, il grande assente di cui però si parla
quasi ad ogni pagina, a tornare alla ribalta con
la sua tragica fine. Quell’ambìto caffè, seduta
in poltrona a casa sua, faccia a faccia con il
suo idolo, Manon non potrà berlo mai. È lei
che scrive a Bertrand: «Tutto è compiuto. L’
uomo che non aveva mai visto il mare, che
combatteva contro un’idra dalle cento teste
per difendere i più deboli è stato giustiziato
come l’ultimo degli infami». E invero a Ro-
bespierre furono attribuiti dai suoi nemici mi-
sfatti che non aveva sottoscritto né tanto me-
no compiuto. Purtroppo il ritratto di lui con-
segnato ai posteri fu tratteggiato in parte pro-
prio da quella ligue des méchants, come egli
stesso la definì prima di morire, che l’aveva
condannato. E così ancor oggi non sono po-
chi a ritenere che Maximilien de Robespierre
(il quale – come puntualmente sottolinea l’
Autrice – in un rapporto alla Convenzione
aveva ribadito: «Vogliamo sostituire la mora-
le all’egoismo, il dovere alla convenienza, la
fierezza all’insolenza, la grandeur dell’animo
alla vanità») sia stato uno dei più temibili
criminali che la Francia abbia mai conosciu-
to. Se così fosse stato, non avrebbe mai avuto,
tra l’altro, l’incrollabile appoggio di un leale,
devoto sostenitore come il giovane, irrepren-
sibile idealista Louis-Antoine de Saint-Just,
decapitato insieme a lui.
Il romanzo di Adriana Assini – tanto sorretto
da un’accurata documentazione quanto per-
meato da una caleidoscopica inventiva – è
avvolto nelle ultime pagine da grandi delu-
sioni colme di speranze: Manon e Bertrand
forse si ritroveranno, in Italia o in Francia, in
un mondo di certo molto diverso dal prece-
dente. Un’intera epoca è ormai tramontata.
Per il momento la Rivoluzione sembra aver
mancato i suoi obiettivi, perdendosi negli ste-
rili conflitti delle opposte fazioni, nei perso-
nali interessi di potere, negli intrighi dei cor-
rotti, e mandando al patibolo proprio alcuni
dei suoi migliori esponenti. Ma in ogni caso
ha saputo condurre per mano la Storia
all’alba di una nuova era. I semi non sono sta-
ti gettati sulla roccia; e nulla, nei successivi
eventi, sarà mai più come prima.
Marina Caracciolo UN CAFFÈ CON ROBESPIERRE. Romanzo di Adria-
na Assini.(Scrittura & Scritture Editore. Napoli, marzo
2016; pp.184, € 13,50).
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.5
ROMA NEL PRIMO
DOPOGUERRA E UN
POETA CALABRESE
DIMENTICATO di Emerico Giachery
ON siamo in molti ormai a ricordare
il tempo, per noi straordinario, segui-
to alla liberazione di Roma e poi alla
fine della seconda guerra mondiale. Nel "pre-
ludio" di uno tra i miei libri più cari, Nostro
Ungaretti, con l'intento di dar testimonianza,
sopratutto ai giovani, su ciò che rappresentò
per la mia generazione un'opera come Il Do-
lore di Ungaretti, anche in virtù delle evoca-
zioni romane della centrale sezione Roma oc-
cupata, ho cercato di evocare lo stato d'animo
di un tempo, personale e storico, vissuto con
particolare emozione e intensità. Era un tem-
po in cui "l'etica (e il mito) della ricostruzione
univa e animava. Il recupero di valori a lungo
oscurati, l'ansia di risanare lacerazioni e frat-
ture col sentimento di una consolante conti-
nuità storica interrotta da tanto cataclisma:
tutto ciò risuonava nelle parole di molti che ci
parlavano e riconoscevamo maestri, e conso-
nava nei nostri cuori. A non pochi di noi, me-
no propensi di altri, per formazione e tempe-
ramento, alle passioni più pugnaci dell'azione
rinnovatrice, pareva (intanto) impegno quasi
religioso ritrovare il senso dell'antico umane-
simo europeo che si riproponeva in tutto il
suo prestigio. Tra le restrizioni di un'esistenza
davvero non consumistica, non poche furono
le notti liceali trascorse (raro dono, in quell'
immediato dopoguerra, la corrente elettrica)
al tremolio di candele e lumini a petrolio, a
scoprire momenti, sensi e messaggi dell'Eu-
ropa classica e cristiana. Quel tremulo lume,
lucula noctis, che accendevamo nelle tenebre,
ci dava la sensazione di lavorare nella dire-
zione dell'uomo, dell'uomo perenne. Un sen-
so vivo dell'uomo, soprattutto, chiedevamo
alla voce dei poeti d'ogni paese, a quell'ideale
Internazionale della Poesia che ci pareva il
fiore d'una civiltà". Nel primo dei Quaderni
internazionali di "Poesia" - di solito non ab-
bastanza ricordati - Enrico Falqui, che con
sagace autorevolezza li diresse tra il 1945 e il
1948, annunciò: "Sarà la voce dei poeti a soc-
correrci, quale concreta manifestazione di fra-
tellanza tra uomini di buona volontà". Poesia,
dunque, bellezza, cultura, umanesimo. Nel ri-
cordato preludio a Nostro Ungaretti aggiun-
gevo: "Gioia della scoperta di un monumento
di bellezza e di armonia, fosse quadro o piaz-
za o cattedrale, che arricchiva le nostre vite e
ci ridava il senso di una pienezza dell'essere
dopo tanta mutilazione e devastazione. Gioia
della scoperta personale di un libro, adocchia-
to e subito sfogliato in libreria, acquistato
quando si poteva: gioia che ci si comunicava
tra amici e sodali con una sorta di complicità
iniziatica. L'arca del libro sopravviveva al di-
luvio. L'arcobaleno della bellezza annunciava
l'illimpidirsi -finalmente -del cielo”.
Ragazzo innamorato di poesia, incontrai in
quegli anni magici persone disposte a riunirsi
e a mettere insieme una rivista, intitolata “Il
Cenacolo”, animata e diretta dal gentile e pu-
gnace Carlo Cassia, poeta, polemista in cam-
po artistico contro l’astrattismo che in quegli
anni dominava il campo. Tra interruzioni di-
verse, la rivista resisté qualche anno, e accol-
N
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.6
se le mie prime scritture stampate. Intorno al
"Cenacolo" si raccolsero giovani concertisti e
cantanti lirici (che si esibivano nei concerti
organizzati con frequenza dal nostro sodali-
zio)e artisti figurativi anche noti. Per esempio
i pittori Andrea Alfano, con la sua nostalgia
del Rembrandt degli autoritratti, presente an-
che come poeta, e Giuseppe Armocida, che
già aveva esposto sia alla Biennale di Vene-
zia sia alla Quadriennale romana, lo scultore
Alessandro Monteleone. Se ben ricordo, tutti
e tre questi artisti erano calabresi, come lo era
Giuseppe Selvaggi, scomparso di recente, che
era anche critico d'arte, amico e studioso del
corregionale Andrea Alfano, e che sarebbe
divenuto stimato giornalista parlamentare, te-
nendo anche desta in anni tardi un'antica vo-
cazione alla poesia.
Tra quanti frequentavano il “Cenacolo”,
una cordiale amicizia nacque con Mattia Sas-
sanelli, che aveva parecchi anni più di me, e
perciò non è possibile che abiti ancora questo
mondo. L’ultima volta che lo vidi, passeg-
giando e conversando insieme per le strade
dell’Esquilino, risale a non meno di trenta
anni fa. Mi scriveva ogni tanto dalla Riviera
di Ponente, in cui, con la gentile consorte Te-
resa Sala, sua ex allieva, si era ritirato, già
molto avanti negli anni, ma sempre giovane
d'animo e assetato di vita e di bellezza. Non è
facile tracciarne un ritratto. Appassionato,
candido, della natia Calabria aveva serbato il
poetico ricordo, ma non certo l'accento: non
per nulla era stato insegnante di dizione e di
ortoepia. Molto legato alla vita musicale, ri-
cordava con piacere di essere stato discepolo
al conservatorio nientemeno che di Francesco
Cilea, e di aver avuto cordiale amicizia con
quel grande e quasi dimenticato direttore
d'orchestra che fu Antonio Guarnieri, padre
della nota attrice Anna Maria. Fu anche basso
lirico (ebbi occasione di ascoltarlo al Teatro
dell'Opera di Roma nella parte di Maurizio
nei Quattro rusteghi di Ermanno Wolf-
Ferrari), ma la sua attività principale fu quella
di docente di letteratura drammatica e poetica
nei conservatori di Stato. Svolgeva anche,
con libero estro, attività di musicologo. Ma
non meno che alla musica era legato alla poe-
sia, congiungendo a volte le due arti nel “me-
lologo”, la cui natura ("un recitare parafrasato
musicalmente") e storia aveva sintetizzato in
una breve nota apparsa sul “Cenacolo”. Con
particolare slancio si dedicava a diffondere la
poesia contemporanea italiana con recitals
poetici sapientemente orchestrati ed eseguiti,
che andava presentando in tournées in Italia e
all'estero, tanto da meritare l'appellativo di
"ammirevole araldo di poesia", formulato da
Giorgio Vigolo. Aveva conosciuto non pochi
poeti: dall'abruzzese e dannunziano Ettore
Moschino, di cui a volte mi parlava e che
considerava tra i suoi maestri, a Paolo Buzzi,
di cui fu amico, da Piero Jahier a Corrado
Govoni, al quale dedicò una poesia per il fi-
glio Aladino ucciso alle Fosse Ardeatine, da
Diego Valeri a Salvatore Quasimodo a Carlo
Betocchi, da Giuseppe Villaroel a Renzo
Laurano. Fu lui a mettermi in contatto col
poeta e narratore modenese Guido Cavani,
suo buon amico, che aveva appena ripubbli-
cato per i tipi di Feltrinelli il bel romanzo
"appenninico" Zebio Còtal, al quale dedicai
un articolo-saggio, scritto in una lontana pri-
mavera sul Pratomagno e pubblicato su "Bel-
fagor".
Questo snello e fervido gentiluomo all'anti-
ca, apparteneva allo stampo raro e meravi-
glioso dei puri di cuore: fedele ai valori cri-
stiani e anche a certe sofferte memorie (tra-
smessegli dalla generazione dei padri) della
Grande Guerra. Di lui ricordo anzitutto i
grandi occhi chiari, spesso sgranati a stupore,
di irriducibile fanciullo. "Occhi spazzaturai",
come li definì egli stesso in una poesia, così
poi postillando: "occhi fermissimamente pro-
tesi nella cerca della bellezza e pertanto
(=spazzaturai) fermi eliminatori di tutto ciò
che è brutto e volgare". Nel volume Tempo di
giostra, edito da Rebellato nel 1974, Sassa-
nelli raccolse un'esperienza ventennale (1954-
1974) di assiduo lavorio sulla parola poetica.
Ricca di motivi e di movimento, la sua poesia
fu spigliatamente linguaiola e immaginifica, a
volte spavaldamente preziosa, non immune
da suggestioni futuristiche e govoniane (la
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.7
frequentazione di Buzzi e Govoni aveva la-
sciato in lui qualche traccia), in un impasto,
comunque, molto personale, di cui l'accesa
destrezza del dicitore sapeva mettere in valo-
re effetti e riflessi. Chi mai avrebbe scritto,
negli anni Settanta, in uno stile e in un lin-
guaggio come quello del commiato al suo li-
bro di versi? Ecco la conclusione:
“Nel mio immaginifico tragetto io trèpido ora per
voi che svirgolate voli sbussolati e ribelli al delirio delle risonanze, al levigato concertismo della paro-
la, al bisbigliare agro-dolce della tematica allusiva,
al futile telaio di sentimenti a prestito, alla rumina-zione, infine, dei cerebrali a vita. Io so questo, miei
versi, e vi precedo nella cieca caduta delle vanità,
presso il frantoio infrenabile del tempo. Pure ho fe-de ancora bastevole a suggerirvi: non ripetete più di
quanto il respiro non riveli l'ansia; sappiate l'umiltà
di ciò che sopravvive a voi stessi e a me; non de-gradate, con la dolce follìa dei segni, il sofferto e il
goduto insieme, nel rotare vario dei fantasmi in ga-
ra con la vita maestra. E perdonate le mani, queste
mie mani (forse ancora inesperte) che vi hanno trat-
to a deriva di un sogno, inventandovi un volto che rincorro a fatica, come la foglia che scalando il ven-
to cancella perfino il suo saluto”.
Almeno un piccolo specimen della sua poesia
vorrei qui trascriverlo. Sceglierò (scelta non
del tutto facile) la prima parte di Vidi le viole,
in cui rende visita alla salma del suo amico
Alfredo Casella, l’insigne musicista appena
deceduto:
Vidi le viole con la testina versa
sulle severe in croce mani del morto
forse sognanti tastiere celestiali:
E un lenzolaccio giallo dilavato là
fin sotto al collo del mio amico vidi
stiracchiato alla meglio!
Nella penombra inginocchiate ombre
delle suore monfortane sfiatano preci
affumicate dal nerume dei ceri
stracotti di calore: oh dove affonda
il nostro e l'altrui massimo dolore!
Io fantasticavo biasciando un requie
mentre il mio morto fingeva di ascoltarmi
e lui invece mi zittiva col silenzio ...
Emerico Giachery A pag. 5, foto di Emerico Giachery
Case di Anoia (Reggio Calabria) in due chi-
ne di Domenico Defelice del 1961
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.8
ERRI DE LUCA: PAROLE IN PREGHIERA
AL VITTORIALE
DEGLI ITALIANI di Ilia Pedrina
L teatro è quello interno a Villa Mirabella,
al Vittoriale degli Italiani. L'occasione è
data da un intento reso progetto reale e
chiamato 'LE SORTI DELLA BELLEZZA',
ideato e portato a compimento in sinergia,
con alla guida Giordano Bruno Guerri. Erri
De Luca e il Canzoniere Grecanico Fiorenti-
no trovano spazio ed accoglienza empatica
sul palcoscenico dell'Auditorium: Mauro Du-
rante, voce-percussioni-violino, scandisce il
percorso dei suoi musici, Emanuele Licci,
voce-chitarra-bouzouki, Maria Mazzotta, vo-
ce-percussioni, Giancarlo Paglialuga, voce-
tamburello, Massimiliano Morabito, organet-
to, Giulio Bianco, zampogna-armonica-flauti-
fiati popolari. Al poeta basta una semplice
seggiolina, che si apre e chiude, perché quan-
do lui non è lì, al suo posto c'è Silvia Perrone,
danzatrice scalza. A ridosso di due canti in-
troduttivi lui si offre con la semplicità che lo
incarna da sempre, perché è impastata con la
condivisione della fraternità, nella gioia come
nella sofferenza. Dice che le parole hanno
nella musica un potente mezzo di trasporto:
se lui avesse 'cantato' il suo convincimento
dalla parte dei NOTAV, non sarebbe stato ac-
cusato di 'istigazione a commettere reati', fino
a finire in tribunale. '...La musica riesce a
prendere le parole e a renderle intoccabili, il-
lese, non attaccabili dal codice penale. Anche
questo può fare la musica...'. Ribadisce con
determinazione che Napoli non è una città del
Sud, Napoli, città di tufo posta tra due vuoti,
sopra e sotto, ha duemila e cinquecento anni
di storia, che essa dipende dall'Est, perché è
stata fondata dai Greci, poi occupata dagli
Spagnoli, venuti dall'Ovest, da altre genti, ve-
nute dal Nord '...Napoli è un concentrato di
punti cardinali...'. Ma il suo centro è il Medi-
terraneo: Erri De Luca sostiene che deve tutto
al Mediterraneo: 'Io mi riconosco debitore di
tutto al Mediterraneo, tutto quello che ho e so
proviene dal Mediterraneo, tutta la mia civil-
tà, la civiltà alla quale sento di appartenere.
Le architetture, le astronomie, le filosofie, i
teatri, perfino le religioni, anche quella ulti-
ma, monoteista, definitiva, proviene dal Me-
diterraneo...'.
L'emozione sale quando Erri ci legge di sé
bambino e della sua esperienza con la bimba
oltre il vuoto pieno d'aria e di polvere, al di là
della strada, in via Monte di Dio a Napoli,
mentre stanno demolendo a colpi di picconi,
dall'alto verso il basso, il palazzo vecchio di
fronte: se i 'munacielli' sono gli spiriti dei
morti in generale, la lingua napoletana ha un
termine preciso per i morti bambini, 'pacchia-
nelle', gli dice la sua nonna, che sull'argomen-
to è esperta come un'antropologa delle cose
misteriose: lui riesce ad intercettare lo sguar-
do della bambina portando il riflesso del sole
nel frammento di specchio che tiene tra le
piccole mani fino colpire i propri occhi, acce-
candosi per un istante. Quando il palazzo sarà
I
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.9
demolito completamente, la bambina non ap-
parirà più: verrà sostituita dalle lettere, d'una
o di tante lingue non importa, basta che le pa-
role con esse formate arrivino al cuore come
calore di vita e ci facciano ciechi, per un
istante, in luce piena.
L'alternarsi dei canti, della musica danzata
in ritmi arrotati e vitalissimi, delle sonorità
che si espandono nello spazio circostante, alla
voce di Erri De Luca, che legge ancora dal
suo libro 'Solo andata', e che si dona a tutti in
una semplicità, per narrare del mondo e dei
suoi soprusi attraverso le parole, che sono la
sua vita e il suo respiro rende questa espe-
rienza carica di forza, d'arte, di valore. Il tem-
po si ferma in questo moto ondulante e sono
solo loro, le parole, dette o in canto che siano,
a darne la scansione. Non c'è tempo altro che
si possa esperire. Allora, quando la carica
emotiva di chi ascolta arriva alla giusta tem-
peratura, il poeta dona a memoria la sua pre-
ghiera laica, in piedi, come un segno rituale
di rispetto di fronte al sacrificio:
“Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola e del mondo,
sia benedetto il tuo sale,
sia benedetto il tuo fondale,
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde,
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature,
che tornano al mattino con la pesca
dei naufraghi salvati.
Mare nostro, che non sei nei cieli,
all'alba sei colore del frumento,
al tramonto dell'uva di vendemmia,
ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste.
Mare nostro che non sei nei cieli,
tu sei più giusto della terraferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, d'abbraccio, bacio in fronte,
di padre e madre prima di partire.”
Erri De Luca va dentro nelle cose con tutto
se stesso ed anima il mondo con il suo respi-
ro: si porta addosso la poesia come una luce
fatta di segni che danno immagini, fatta di
energia che dà calore, fatta di vento che dà vi-
ta. L'indifferenza è il peggior sopruso che
possa essere fatto alla sua parola. Ma ognuno
ha il suo tempo, per nascere un'altra volta alla
vita. Quando lo incontrerò, gli chiederò anche
del GiGi veneziano: mi regalerà parole d'e-
sperienza ed il suo volto in storie vere.
Tornata a casa, ricerco e trovo senza diffi-
coltà il suo piccolo libro 'In nome della ma-
dre', non soffocato tra i mastodonti della Col-
lana Bompiani sul pensiero occidentale: ha
sempre preteso spazio, poco ma teso a farsi
leggere. E così è stato, il 9 marzo, perché la
donna in festa non dura un giorno solo. Entro,
lo attraverso e mi commuovo ad ogni stanza
perché Erri si fa qui Myriam/Maria, che di-
venta la sua prima persona. Segno gli endeca-
sillabi che nella sua prosa si fanno riconosce-
re come ritmo privilegiato. Nel risvolto di co-
pertina lui dice: 'L'adolescenza di My-
riam/Maria smette da un'ora all'altra. Un an-
nuncio le mette il figlio in grembo. Qui c'è la
storia di una ragazza, operaia della divinità,
narrata da lei stessa...' (Erri De Luce, 'In no-
me della Madre', ed. Giang. Feltrinelli, 2008).
In nome di quella Madre, portandola senza
sforzo nella sua stessa carne, egli eleva un
'Canto di Myriam/Maria
Di chi è questo figlio perfetto,
chiederanno frugandolo in viso,
di chi è questo seme sospetto,
la paternità del suo sorriso?
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.10
È solamente mio, è solamente mio,
di nessun'altra carne, è solamente mio.
È solamente mio, è solamente mio.
È solamente mio, è solamente mio,
finché dura la notte è solamente mio.
Chi è questo figlio cometa?
Chi è questo mio clandestino?
Spillato da fonte segreta,
venuto al travaso del vino?
È Solamente Mio, è Solamente Mio,
il suo nome stanotte è Solamente Mio,
È Solamente Mio, è Solamente Mio.
Domani avrà altro nome, adesso è Solamente
mio.'
(Erri De Luca, op. cit. pag. 78)
Allora ascolterò spesso, da sola, nella regi-
strazione che ho fatto, anche la sua voce, nel
nome del padre, della madre, del mare nostro,
che non sta nei cieli. Una memoria orgogliosa
del suo farsi sentire: la sua voce mi caricherà
di dignità, mi vincolerà al Meridione con lac-
ci ancor più saldi, mi permetterà di entrare nel
ritmo dei millenni, nei passi delle danze a
piedi nudi, nei timbri e nelle voci che riem-
piono di sole ogni notte.
Ilia Pedrina Le foto sono di Augusto Rizza
COSÌ LA VECCHIETTA
DALL’ “ALTO”
Vidi il mio viso solcato
da una prima ruga,
una seconda, una terza,
un intreccio di scavi
che l’immagine alteravano;
colorarsi i capelli di “cacio e pepe”
e coprirsi infine
d’un candido manto di raso.
E non era ancora vecchiaia!
La mia voce decisa, argentina,
si fece d’un tratto stridula,
inceppante;
col pungolo i miei passi
si alternavano:
dovetti appoggiarmi al bastone;
gli occhi vedevano a stento,
debolissimo era l’udito;
puntuale arrivò anche l’incontinenza.
E non era ancora vecchiaia!
Cominciò la memoria a vacillare:
dimenticavo, confondevo,
stentavo a ricordare,
a trovare i termini propri.
Era già vecchiaia?
Ed ecco l’immobilità,
il pianto e rimpianto della vita
che s’andava stancando di me,
la mente che s’annebbiava,
la ragione che in demenza (Ahimè!)
s’andava cangiando.
Era arrivata, trionfante, la vecchiaia!
Ma io non me n’ avvidi:
ero immersa nei sogni,
già volavo verso l’IGNOTO,
nel mio viaggio senza ritorno.
Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno (IS)
VARUNA
Solo le mani parlano
in questo luogo di silenzio
in cui ricerco lo spirito.
Brezza fresca non alita il vento
ma vibrazioni sublimi.
È l’essenza del nettare
che mi nutrirà oltre i confini del razionale.
Dalle ginestre scomparirà l’amaro,
dalle rose toglierò le spine.
Fragranza su fragranza
accenderà i tramonti,
mentre il sentiero dell’abbondanza
il discernimento indicherà.
Svanirà così il turbamento del possesso,
la materia si farà luce.
Camminerò a piedi scalzi
lungo i confini dell’oceano
ove Varuna regna con i suoi figli.
Infinite goccioline d’acqua,
il senso dell’unione…
Tra nuove vite che nascono.
Colombo Conti Albano Laziale
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.11
DALLA CINA
MONDO INQUINATO
E LITCHI IN FIORE di Domenico Defelice
ORLD Poetry Yearbook 2014 è
una grossa antologia (26,5 x 17)
curata da Zhang Zhi (in arte Dia-
blo) e da Lai Tingjie, che contiene 263 poeti
di ogni parte del mondo.
I gruppi più numerosi sono quelli della Cina
(15 autori), degli USA e dell’India (13), della
Bulgaria (10), dell’Italia (9) e della Grecia e
dell’Ucraina (7).
Fuori testo, ben 12 pagine a colori dedicate
al pittore cinese Tan Jun, la cui arte magmati-
ca, dalle figure e dai paesaggi che sembrano
decomporsi, ha un particolare fascino. Tan
Jun ha fatto molti studi e ha esposto in diver-
se città della Cina, a Chonqing-Sichuan,
Hong Kong, Singapore, in Europa, nel Nord
America (San Francisco) eccetera.
Delle sue opere qui riprodotte colpiscono,
in particolare, le figure: un corpo femminile
visto di spalle, semisvestito, e una coppia di
ballerini, che si confondono con l’ambiente,
anzi, che nell’ambiente sembrano sciogliersi;
e poi i fiori e i paesaggi tormentati, dei quali,
il meno drammatico è quello riprodotto in
prima di copertina.
Ma Tan Jun è anche poeta; ha pubblicato
The Body Forward (Cinese-Inglese) e in que-
sta antologia è presente con tre liriche: “A
Few Fingers to Close”, “Joy at Midnight” e
“Lie” (Bugia), nella quale ultima scrive, fra l’
altro, che “La verità non ha bisogno di essere
confezionata/La bugia/in abbagliante aurea
rende vuote le promesse/di essere onesti”...
Del principale organizzatore e curatore
dell’antologia: Zhang Zhi, vogliamo eviden-
ziare la sua lunga poesia “Il mondo è ondeg-
giante in un binocolo” (The World Is Swaying
in a Binoculars), nella quale, in otto brevi
lasse, scrive, anche con un pizzico di ironia,
della nostra terra fortemente inquinata di
“sperma, scorie nucleari, eroina, sangue e
AIDS”; un mondo a tratti personificato, che è
“come un agnellino smarrito/in piedi a un bi-
vio” e che, “Affilando il coltello” sgorbia “la
sua propria carne/giorno e note”.
1.
Il mondo, sporcato
da spazzatura, sperma, scorie nucleari, eroi-
na, il sangue, l’AIDS,
non potrà mai essere pulito.
2.
Guarda! Il mondo è entrato in KTV camera
noleggiata
Chissà che bella bestia
deliziosamente gemere
di nuovo sotto i suoi fianchi
questa notte, mondo dannato sarà sicuramen-
te giocar duro
- È anche OK
se si immagina la scena
di essere la Terza Guerra Mondiale.
3.
I fiumi corrono a est
per andare a ovest
Il mondo è come un agnellino smarrito
in piedi a un angolo
chiedendo robot in direzione nord sud
W
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.12
“A chi ci si inginocchia, signore?”
4.
Il mondo applaude per i politici con i piedi
I politici bagnano il mondo di sangue.
5.
Il mondo non può vedere chiaramente le no-
stre facce
forse non ce l’abbiamo il viso
“Possiamo essere spudorati dal momento che
siamo senza volto”
così ha detto un determinato maledetto artista.
6.
Il mondo sta agitando il suo pene
urlando sulla sommità dell’edificio delle Na-
zioni Unite
“Ecco, è grande”
In realtà, la scorsa notte
costui mi sussurrò nel sogno
“Signore, il mio pene è di qualche utilità”
7.
Il mondo non ha fretta
Il mondo non ha paura
Il mondo è andato sotto la ruota della storia
ma il sangue non è gorgogliato
Chi ha visto il sangue vero
8.
Affilando il coltello, il mondo
ha fatto scempio della propria carne
giorno e notte. Scarsità
canta una canzone eterna in una goccia di
sangue
“Crema del seno-grasso ingrassa il seno, non
la cintola”
Diablo è nato a Phoenix Town nella contea
di Baxian, Sichuan, nel 1965 ed è un impor-
tante poeta e critico della Cina contempora-
nea. Il suo nome originale è Zhang Zhi e il
suo nome inglese è Arthur Zhang. Laureato in
letteratura e in diverse altre professioni, è pre-
sidente dell’International Poetry Translation
and Research Centre, editore della rivista The
World Poets Quarterly (multilingual). Nume-
rose le sue opere ed i premi conseguiti, come
le onorificenze e gli incarichi di prestigio.
Il secondo curatore, editore in-chef: Lai
Tingjie è un poeta più intimista e discorsivo.
Ha versi brevi e lunghissimi, irregolari, nei
quali canta l’amore. Il gruppo di poesie qui
ospitate (“Events in Land of Litchi”, “My
Love in the Land of Litchi”, “In the Litchi
Garden of Han People Slope”, “The Real
Charm of a Village Girl” “Litchi Flowers
Dancing and Falling”), ha per protagonista un
ciliegio della famiglia Sapidaceae, unica nel
suo genere, pianta tropicale e subtropicale, il
cui frutto fresco ha una polpa bianca, delicata
e profumata. Il rapporto Litchi-ciliegia-
ragazza è spontaneo e gli suggerisce molte
immagini ad effetto, evocatrici.
Vi manca la primavera. Il fiori del litchi sono
bianchi
Nessuno può bloccare la fragranza nel mi-
dollo
Nessuno può ostacolare il vostro cuore, con
l’oscurità della vita
Scorrendo i campi della terra dei litchi
I fiori già fioriti, si sforzano per rifiorire
L’amore che ha amato, si sforza per amare di
nuovo
Amici cari, vi prego di credere
nel calore della vita
È bene che sia rosso. Gli agricoltori Litchi
dicono
Di questa molla nella vita
Di tal raggio di luce, che può maturare
Chi può costringerci a indietreggiare, con un
fulmine
L’affascinante sorriso sulle labbra?
Chi può con amarezza, influenzarti
La dolcezza persistente sulla labbra?
Accogliendo sotto il sole, accogliendo
nel favo dolce delle api
I fiori litchi, tu conosci i venti e le nuvole scu-
re dietro il tempo
Sai meglio, al di sopra della tomba fiorita
Qual è il vero fascino di una ragazza del vil-
laggio.
(The Real Charm of a Village Girl)
Lai Tingjie è nato nel 1970 a Maoming,
provincia di Guangdong ed è un famoso poe-
ta, scrittore calligrafo e musicista contempo-
raneo cinese, premiato. Membro dell’ Asso-
ciazione Scrittori Cinesi, ha pubblicato lavori
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.13
a partire dal 1982.
Non è possibile interessarci di tutti i poeti
antologizzati (i cui nomi, però, vengono dili-
gentemente riportati nella rubrica “Libri rice-
vuti” in questo stesso numero), ma è dovero-
so segnalare coloro che sono stati o sono tut-
tora nostri valenti collaboratori, come Tere-
sinka Pereira, Nadia-Cella Pop, Adolf P.
Shvedchikov eccetera e gli italiani amici Cor-
rado Calabrò, Elio Andriuoli, Tito Cauchi.
Domenico Defelice Zhang Zhi & Lai Tingjie - World Poetry - Year-
book 2014 - 263 Poets 100 Countries and Areas -
The Earth Culture Press, 2015 - Pagg. 428, USD 60,00 Euro 50,00
COME UN FIORE
Quando il vento soffia su di me,
mi porta il polline tra i capelli
che s’infiorano di colori
e svolazzano morbidi nel sole,
che spunta all’improvviso
cacciando via le nuvole.
Come un fiore mi vesto di profumi
e corro spensierata verso i campi,
che di fiori multicolori son dipinti,
per regalare a tutti la voglia
di giocare all’aria pura,
con il vento che accarezza la natura.
Con il cuore che sobbalza
per l’incanto che l’avvolge,
vado cercando il rosa dell’alba
e non sento più il soffio del vento,
l’alba ha colorato il firmamento
e dalla gioia è scappato via il vento.
Il sole dolcemente mi accarezza,
il vento si è trasformato in lieve brezza,
le rondini arrivano cinguettando,
è la primavera che gioiosa sta cantando,
la natura insieme a me è in festa
ed io volo con le rondini senza sosta.
Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori
(A.L.I.A.S.)
NUBI ARDENTI
Nubi ardenti
impalcano il cielo.
Radenti sibili,
brilla la morte,
lava di fuoco
sotto oscuro manto.
Fertile vita
dopo distruzione.
Rinnegato sono
da questa terra
che accolse e svanì
transumanti genti,
retaggio di antichi peccati
che il bene mai curò
tra granelli di deserto.
E manna al vento
lì…
Per nutrire lo spirito
tra arsure di bocche
in cerca di pace.
Colombo Conti Albano Laziale
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.14
UNO SCINTILLIO
DI PERCORSI LONTANI di Marina Caracciolo
ITTORIO Alfieri – grande e irrequie-
to viaggiatore, e in ciò ben diverso,
per es., da Giacomo Leopardi, che
invece fu piuttosto un promeneur spirituale e
fantastico – ebbe a dire che il viaggio è gio-
vevole sopra tutto «a conoscer se stessi e gli
altri in parte».
Ebbene, il significato del verso alfieriano si
rispecchia perfettamente in questo recente li-
bro della poetessa Imperia Tognacci. Suddi-
viso in sette episodi, è un lungo viaggio in
Medio Oriente che si spinge dalla Giordania
fino al lontano porto di Aqaba. Un itinerario
che passo a passo si imbeve di tutta la gran-
diosa bellezza del deserto – simbolo, come il
mare, della vita e dell’infinito – e nel con-
tempo filtra, assimilandola, un’esperienza
inestimabile, intimamente umana, che collega
il Sé individuale all’Uomo («siamo parte di
un progetto /nascosto tra gli spazi degli even-
ti») e alla Storia.
Scrive nella prefazione Andrea Battistini:
«Non a tutti è dato di essere stati “Là, dove
pioveva la manna“, ma l’obiettivo della rac-
colta è di consentire che attraverso l’ espe-
rienza singola della viaggiatrice i lettori rive-
dano se stessi, si guardino con sguardi diversi
e inattesi. In altri termini bisogna che, con l’
aiuto della poesia, si arrivi a scorgere le cose
con occhi nuovi […] attraverso una prospetti-
va che ottativamente aspira all’eterno, ovvero
all’«irrisolto mistero dell’altrove».
Entrata a passi lievi, come pia e antica pel-
legrina, in questo mistero, l’autrice annoda
una delicatissima trama di immagini, sugge-
stioni, consapevolezze, memorie, speranze.
Intanto, il viaggio verso luoghi mitici e lonta-
ni, fra sabbie infuocate e gelidi cieli stellati,
acquista il volto del divenire del Tempo che
non ha pace e non può dar pace, mentre si
converte in trasparenza nel senso del dolore e
dell’umana fragilità, nel lento volgere della
vita e della morte.
Ma ciò che sembra prevalere nei versi di
questo poemetto, costituendone senza dubbio
uno degli aspetti più attraenti, è il fascino del-
la Storia, delle sue meravigliose impronte,
sempre vive ed eloquenti, da tempi immemo-
rabili, allo sguardo dell’Uomo di oggi («ba-
luginare di un passato/che riemerge, mentre
il tempo/corre e discorre come il vento»): non
è Storia degli altri, appartenente ad un tempo
estraneo e concluso che ci lascia indifferenti;
è proprio nostra, poiché dilaga nel nostro es-
sere come una linfa invisibile e perenne, e ci
annoda alle orme solenni e misteriose di civil-
tà primordiali…
Tutti e sette gli episodi di questa trama poe-
tica sono costantemente investiti da un vento
avvolgente e turbinoso, che spira in realtà dal
deserto, ma che di continuo si muta, come per
incanto, in soffi di vaghi e mutevoli pensieri,
nell’incessante procedere dei passi:
Tra fragili pendii di dune,
nell’oblio del tramonto,
le preghiere di antichi pellegrini
rinascono nell’anima ad arginare
l’umana inquietudine.
Intrecciano le loro dita alle nostre
arcaici popoli presenti nei graffiti,
nelle petrose tombe, nelle antiche
impronte, fra torce riaccese
per il nostro pellegrinare.
Nel variare del vento, che sibila
tra gole di rocce, consumiamo
passi risalendo erte petraie.
In trasparenze d’aria, lunghe file
verso l’irrisolto mistero dell’altrove.
Nel difficile peregrinare su primitivi sentie-
ri, il piede stanco e l’anima assetata anelano
alle oasi, ai pozzi d’acqua, alla quiete che ri-
stora dal lungo cammino.
Ed ecco che, analogamente, nella stessa se-
duzione dell’esodo, in quella volontà mede-
sima di uscire dal labirinto delle consuetudini
(«…volare oltre l’orizzonte /dei quotidiani
limiti») e di fuggire lo squallore dell’
Alltäglichkeit (Heidegger) per riscoprire e ri-
conquistare una terra promessa che sembrava
ormai perduta, si insinua ora la spina pungen-
te della nostalgia, l’ansia febbrile del ritorno
V
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.15
(νόστος). Il viaggio è «spogliazione di ritmi /è
avanzare, sostare e ripartire», scrive l’ Au-
trice. Come il mitico Ulisse ritorna alla sua
Itaca dopo lungo errare; come, avvolta nel
suo manto di mistero, la regina di Saba ritor-
na con le sue carovane, più ricca di doni e di
saggezza, da Gerusalemme al suo lontano re-
gno, così la poetessa ritorna alle sue radici, al-
le sue stanze, alla sua vita di sempre. I viaggi
finiscono, come finiscono anche i sogni; ma,
a differenza di questi, essi incidono in noi dei
solchi assai più profondi. Non sono effimere
le riflessioni, gli incontri, le visioni, i fruttiferi
germogli di sapienza che un viaggio ha potu-
to suscitare. Rinunciare, sarebbe stato come
voler «passare accanto /ad un pozzo e non
bere». La poetessa ha voluto udire di persona
la voce dei saggi, ha annusato curiosa spezie
e profumi d’Oriente; ha voluto «su venature
di rocce /léggere lo scorrere dei millenni».
L’esperienza rivissuta nella rifrazione cri-
stallina della parola poetica arricchisce di un
nuovo e più ampio orizzonte la sua visione
del mondo. Essa è consapevole che nulla sarà
perso o dimenticato mentre, ancora «vestite di
sole», si dileguano le rive da cui infine si al-
lontana; quando ormai «batte alla porta del
cielo una nuova alba», forse portatrice di al-
tre affascinanti avventure.
Marina Caracciolo Là, dove pioveva la manna. Poesie di Imperia To-
gnacci. (Prefazione di A. Battistini. Postfazione di
A. Manitta. Ed. G. Laterza, Bari, 2015; pp. 80, €
12,00. In copertina, acquerello dell’Autrice: Il de-serto giordano Valle della Luna).
LUCE
C’è un dono, normalità
che non si nota
negli scaffali del mondo
viene riposta e spolverata
viene guardata e riguardata
viene persino annoverata.
C’è un dono, abitudine
che non si nota
solo essenza di genuinità, sei
che non può che restare ferma
perché voce
perché senso di regolarità, sei
a cui il mondo oggi
non può guardare
rispecchiarsi è chiedere troppo
luce, troppa luce dalla finestra.
Filomena Iovinella Torino
MATTINATA SUL MARE
S'è levata dal mare una colomba
in un cielo incolore.
All'orizzonte una nave bianca,
delicata come un'ave.
L'acqua tremula fra le mie palme
riflette il sole nascente.
L'anima corre, inebriata,
ed il mare, rosso
rumoroso fanciullo,
vuole ghermirla.
Natura e mondo umano, un miracolo
precario di armonia...
Si levano stormi di gabbiani
e fiochi gridi per l'infinito
azzurro.
Luigi De Rosa ↓Una china di Domenico Defelice (1973)
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.16
ANCHE AI
“RAGAZZI DI ZINCO”
DELLA BIELORUSSA
SVETLANA ALEKSIEVICH
IL PREMIO NOBEL
2015/2016 Il lavoro della “giornalista” inte-
grato da quello della “scrittrice”
(Ma la stampa russa contesta il
Premio...) di Luigi De Rosa
EL numero di gennaio 2016 di “Po-
mezia Notizie” ho parlato del nuovo
Premio Nobel per la Letteratura
2015-2016. In particolare ho posto l'accento
sul suo libro “Preghiera per Cernobyl”, che
rievoca il noto disastro nucleare di Cernobyl
del 1986.
Questo mese desidero ricordare un altro dei
cinque libri fondamentali che hanno permes-
so alla giornalista-scrittrice bielorussa Svetla-
na Aleksievich di vincere il Premio Nobel, e
cioè “Ragazzi di zinco”, edito dalla E/O di
Roma.
La Aleksievich è nata in Ucraina nel 1948
ma è bielorussa e scrive in lingua russa.
Ha studiato all'Università di Minsk e si è
laureata in giornalismo. Prima ha lavorato
come insegnante (seguendo l'esempio dei
propri genitori, insegnanti nelle scuole rurali)
poi si è tuffata nel giornalismo. Ha lasciato la
Bielorussia nel 2000 perché il regime l'accu-
sava di essere una spia della C.I.A. in inco-
gnito. Fino al 2011 ha vissuto in Europa, tra
Parigi, Gotheburg in Svezia e Berlino. I primi
tempi, dal 2000 al 2002, anche in Italia, a
Pontedera (Pisa) come “intellettuale rifugiata
politica”.
E' conosciuta a livello internazionale per i
suoi libri-reportage che, con indubitabile co-
raggio, hanno indagato su “aspetti oscuri e
ambigui” della Russia nel trapasso dal Co-
munismo al Post-Comunismo.
Il libro Ragazzi di zinco si occupa delle vi-
cende di migliaia di giovani (e giovanissimi)
soldati sovietici restituiti alle rispettive fami-
glie mutilati o distesi in casse di zinco, a causa
della decennale e disastrosa guerra in Afgani-
stan degli anni Ottanta, combattuta ( e persa) “
per difendere le frontiere meridionali dell'U-
nione”. Guerra prodromica allo sfascio, de iu-
re, dell'Unione Sovietica, che ha lasciato il po-
sto alla C.S.I., Comunità Stati Indipendenti.
Da conversazioni in attesa dell'aereo per
Kabul o in volo sulla città: “Prima spari e poi
ti rendi conto se era una donna o un bambi-
no...A ciascuno il suo incubo...” “ Cosa potrei
fare in Russia ? La prostituta ? Ormai lo sap-
piamo. Se almeno riuscissi a mettere via abba-
stanza soldi da prendermi un appartamento in
cooperativa. Gli uomini ? Lasciamo perdere.
Sono capaci solo di bere...” “ Il generale ci ha
parlato del dovere internazionalista, della di-
fesa delle frontiere meridionali: si è perfino
commosso: portate loro delle caramelle. Sono
come dei bambini. Non c'è miglior regalo delle
caramelle...” (Dostoevskij ha scritto che i mi-
litari sono le persone al mondo meno interes-
sate a porsi dei problemi...).
“Quando prendono dei prigionieri tagliano
loro le braccia e le gambe e le stringono con
dei lacci, perché non muoiano dissanguati. E
li abbandonano sul posto in quello stato, e i
nostri raccattano questi tronconi: loro vo-
gliono solo morire e invece vengono cura-
ti...” (“Si parla molto delle atrocità compiute
dai mujahiddin afgani sui nostri prigionieri” -
chiosa la Aleksievich - “qualcosa che ci ripor-
ta al Medioevo. E in effetti qui ci troviamo in
un'altra epoca, i calendari indicano il XIV se-
colo”). “Gli ho sparato a bruciapelo e ho vi-
sto il suo cranio volare in pezzi. Ho pensato:
il primo ! Dopo il combattimento, morti e fe-
N
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.17
riti...tacciono tutti...Mi capita di sognare il
tram. Mi vedo sul tram verso casa... Il mio più
bel ricordo è mia madre che cuoce i biscot-
ti...l'odore di pasta dolce per tutta la casa...”
“Socialismo di guerra, militarismo, ma non
volevamo diventare uomini nuovi ?”
Tutte queste affermazioni non sono frutto
della Aleksievich. Ma ella ha pazientemente
raccolto, come giornalista-saggista, impres-
sioni e racconti con migliaia di interviste ai
singoli interessati, con rapporti, relazioni,
narrando sostanzialmente i drammi personali
dei singoli inquadrandoli in una guerra com-
pletamente diversa dalla seconda guerra
mondiale. In quella degli Anni Quaranta la
Russia era stata invasa dalle divisioni tede-
sche, e la guerra era poi stata vissuta dal po-
polo come una “ guerra patriottica di libera-
zione”. Questa degli Anni Ottanta in Afgani-
stan, invece, viene inquadrata nell'ambito
della dissoluzione progressiva del mondo so-
vietico, un processo che la Aleksievich ritiene
tuttora in corso. Fa le domande e poi ascolta
in silenzio, prendendo appunti, registrando,
magari commentando. E soprattutto conser-
vando (e a volte pubblicando) i nomi e co-
gnomi dei suoi intervistati. “ Ho conservato
nei miei appunti i loro nomi – ha scritto - Può
essere che un giorno i miei eroi vorranno es-
sere riconosciuti per quello che mi hanno
raccontato”.
Ai lettori viene dunque presentato quello
che è stato detto alla giornalista-scrittrice da
una madre (o un padre) di un soldato sempli-
ce morto in guerra, un'impiegata, un tenente
comandante di una sezione di mortaisti, una
sottufficiale dei servizi segreti, un marescial-
lo istruttore, un soldato addetto ai lancia-
bombe, un fuciliere della fanteria motorizza-
ta, un capitano, un istruttore sanitario di una
compagnia di esploratori, un tenente coman-
dante di un reparto del Genio, una moglie di
un sergente maggiore, un'infermiera, un me-
dico batteriologo, un maggiore, propagandi-
sta in un reggimento di artiglieria, e così via,
in un panorama umano di indubbio valore,
anche storico.
Il racconto di un dramma-tragedia corale
fatto attraverso le parole delle “piccole perso-
ne” che ne sono state protagoniste.
Il libro “Ragazzi di zinco” è stato proibito
per dieci anni.
E l'assegnazione del Nobel alla Aleksievich
è stata contestata polemicamente dalla stampa
russa . Già l'8 dicembre 2015 il giornale eco-
nomico “Lo sguardo” scriveva, tra l'altro, che
“...se per narrativa intendiamo un qualsiasi
testo scritto in russo, sì, “La guerra non ha il
volto di una donna” (altro libro della Aleksie-
vich) è, ovviamente, letteratura. Se conside-
riamo, invece, che il metodo letterario consi-
ste nel creare un mondo artistico convincente
per mezzo della lingua, allora qualunque te-
sto di Aleksievich non è più letterario di
quanto lo siano le istruzioni per l'uso di un
ferro da stiro. Per questo le è stato assegnato
il Premio Nobel ?”
E a sua volta, la “ Literaturnaja Gazeta” ha
affondato il colpo: “ Scrittrice mediocre.
Si è fatta conoscere perché va contro il suo
Paese. Per questo è stata premiata, come
Brodsky e gli altri prima di lui.”
Luigi De Rosa
Domenico Defelice : Testimoni di un
dramma (schizzo, 1962)
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.18
FRANCESCO DE SANCTIS E LA SUA “PRIMA SCUOLA”
di Antonia Izzi Rufo
RANCESCO De Sanctis è stato uno
dei maggiori critici italiani.
Nato nel 1817 a Morra Irpina (Avel-
lino), oggi Morra De Sanctis, in una terra che
era stata feudale e in cui il potere era gestito
dalla chiesa e dai piccoli e medi proletari, tra-
scorse i primi anni nel luogo di nascita che
ebbe sempre come punto di riferimento.
Nel 1826 fu mandato a Napoli come allievo
dello zio Carlo, titolare d’una scuola di lette-
re. Nel saggio “La giovinezza” si leggono, fra
i tanti ricordi, notazioni sul metodo d’ inse-
gnamento tutt’altro che critico e innovativo:
si dava importanza agli esercizi di memoria e
si trascurava quella che era la vera formazio-
ne educativa.
Avrebbe dovuto fare l’avvocato, ma la mor-
te dello zio lo indusse a sostituirlo ed a sce-
gliere l’insegnamento. Già prima di tale av-
venimento, però, era entrato nella scuola di
lingua italiana del marchese Basilio Puoti,
compiendo sotto di lui un importantissimo ti-
rocinio di letture e preparazione retorica. Fu
proprio con l’aiuto del Puoti che aprì la sua
“prima scuola”, quella di “Vico Bisi”. I
“Quaderni di scuola” li dettò ai suoi alunni.
Essi attestano il suo evolversi progressivo dal
Purismo e dall’Illuminismo moderato fino
all’Hegelismo. I “Quaderni” sono divisi per
materie d’insegnamento. I più antichi tra essi
sono i Quaderni di “Lingua e Stile” dove è
tracciata la prima sintesi di “Storia della let-
teratura”. E’ questa la maggiore delle opere
e di essa tutte le altre sono complemento. E’,
tale Storia, <<la più complessa e profonda in-
dagine sui legami tra la società fiacca e cor-
rotta e i conseguenti vizi letterari della retori-
ca e dell’accademia>> (A. Piromalli). Nella
prima edizione aveva carattere scolastico per-
ché composta per gli studenti. Riuscì invece
opera fondamentale della storiografia roman-
tica italiana, non solo letteraria. E’ divisa in
tre epoche: il Medioevo, che culmina nell’
opera di Dante; il Rinascimento, che da Pe-
trarca giunge all’età barocca; il rinnovamento
operato dall’Illuminismo e dal Romantici-
smo. <<E’ la sola storia intima d’Italia che
finora si abbia>> (F. Pedrina).
Composta dopo l’unificazione, abbraccia
anche la storia del Risorgimento. Vi è rappre-
sentata tutta la vita italiana, religiosa politica
morale, dal Duecento all’Ottocento. De Sanc-
tis s’interessò di letteratura e di politica. Fu
governatore di Avellino, deputato, più volte
ministro della Pubblica Istruzione. Combatté
l’analfabetismo, introdusse nella scuola l’ in-
segnamento della religione e dell’educazione
fisica. Nel 1871 gli fu assegnata la cattedra di
letteratura comparata all’università di Napoli
(la sua seconda scuola).
La sua scuola di lettere mirava a formare
“tutto l’uomo”. Contenuto e forma non pos-
sono essere scissi, s’identificano. La vita mo-
rale non s’insegna con le massime, si accen-
de con l’ esempio. Quando manca la vita in-
teriore, mancano insieme la morale e l’arte.
Modello di scrittore per lui era Manzoni, di
poeta Leopardi. Negli ultimi anni della sua
vita fu colpito da una malattia agli occhi.
Dettava le sue “Memorie” alla nipote Agne-
se. Morì a Napoli il 29 dicembre del 1883.
Prima di iniziare la lettura de “L’ultimo
dei puristi” , saggio molto interessante, un
accenno a Basilio Puoti, che del movimento
purista fu rappresentante. Per Puoti il perio-
do aureo, accanto al Trecento, fu il Cinque-
F
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.19
cento. Il Marchese accolse nel suo palazzo i
giovani più colti di Napoli e li educò allo stu-
dio dei classici italiani precedenti il sedicesi-
mo secolo. Egli escludeva tutti gli autori mo-
derni e quelli stranieri e bandiva i termini
francesi. Questi dovevano essere sostituiti da
vocaboli del Trecento. Giudicava ridicoli, pe-
rò, e quindi erano da eliminare, quei termini
trecenteschi che erano andati in disuso. Mo-
dello da imitare, per lui, era il Boccaccio.
Ed ora entriamo nel vivo del saggio nel
quale De Sanctis si racconta: mentre parla
delle sue esperienze, illustra un quadro chiaro
ed esauriente della cultura del suo tempo, del-
la scuola e della personalità del Puoti, educa-
tore modello e guida encomiabile per il modo
di avvicinarsi ai giovani, di comunicare con
essi e di portarli alla conquista del sapere e
alla formazione della personalità con l’amore,
l’umiltà, il rispetto, il buonsenso.
Siamo nel 1868. Nelle mani di Francesco
De Sanctis capita un’opera “ponderosa”
stampata l’anno innanzi a Pisa: “Lezioni di
storia” di Ferdinando Ranalli. E’ un’opera
fuori stagione, con un ritardo di almeno un
trentennio durante il quale è avvenuto il Ri-
sorgimento della patria e tante cose sono
cambiate. La lettura di quei due volumi ripor-
tano nella mente del nostro Critico l’ imma-
gine dei suoi primi anni di studi.
Quei tempi sembrano distanti due secoli,
ma il libro di Ranalli glieli riconduce davanti
vivi e presenti e gli dice: <<Ricordati! Come
allora così ora così sempre si ha a scrivere e a
pensare>>. E’ un libro giudicato noioso, oltre
che superato, ma egli lo trova piacevolissimo
perché gli fa rivedere, con l’immaginazione,
il signor Ranalli insieme a lui, alla scuola del
marchese Puoti, mentre s’impegnavano a
<<riempire i quaderni di belle frasi e parole, a
studiare grammatiche e rettoriche, trecentisti
e cinquecentisti, pieni di orrore per il forestie-
rume e risoluti a rimanere italiani di lingua di
stile di pensiero, ignorando gli sciocchi che li
chiamavano puristi>>.
Questo ritorno alla giovinezza gli addolci-
sce l’animo. Lo stile del libro, la lingua, il pen-
siero lo riportano ai vecchi tempi… Mentre
legge le <<dotte elucubrazioni ed investiga-
zioni (che rigetta), s’interrompe spesso e corre
con la mente alla scuola del Puoti, ai compa-
gni, ne ricorda i tanti fatterelli e non riesce a
prestare attenzione al testo. Smette così di leg-
gere, <<manda via il libro e corre liberamente
verso l’ombra di Puoti, verso i ricordi >>...
A sedici anni fu mandato a Napoli, sotto la
guida dello zio Carlo che dirigeva una scuola
di lettere latine (Era una scuola tenuta in buona
considerazione, ma, in realtà, era tutta <<un
vecchiume retorico, con metodi mnemonici e
arbitrari, e le notizie storiche e letterarie vi era-
no impartite e apprese senza principio o siste-
ma alcuno>>). Compiuti gli studi ginnasiali,
passò a quelli liceali tenuti dall’ abate Fazzini
(Questi lasciava molto a desiderare e per le sue
idee e per il suo metodo). Leggeva molto, ma
in modo disordinato, <<come portava il caso,
senza disegno né ordine>>.
Lo chiamavano “penna d’oro” ed egli si ri-
teneva l’uomo più istruito di Napoli (beffeggia
se stesso, proprio come l’Alfieri di “Vita scritta
da esso”: “Ero un asino tra asini”- Viva la sin-
cerità! - ). Fu Francesco Constabile, discepolo
e bibliotecario del Puoti, a proporgli di entrare
in quella che egli chiamò la sua prima scuola.
La chiamavano la scuola del perfezionamento.
Le lezioni si tenevano in un “palazzo magnati-
zio” (quello di Puoti), signorile, con servitori in
guanti e in una sala tappezzata di libri. Il Puoti
volle essere informato dal De Sanctis nei det-
tagli sul suo curriculum scolastico.
Era, il marchese, un uomo <<amabilissimo,
vivissimo ma… in quell’ambiente non c’era
aria né di scuola né di maestro: pareva piutto-
sto un convegno di amici, un’accademia sen-
za regole né formalità>> (Primo impatto di
stupore, positivo, per il giovane Francesco)
Puoti reagiva quando lo chiamavano maestro,
voleva essere chiamato marchese. Non accet-
tava che gli si baciasse la mano (non era il
papa!). Il suo era uno studio, non una scuola,
e le lezioni erano esercitazioni. Ci si esercita-
va nell’arte dello scrivere, si facevano tradu-
zioni, si raccontavano aneddoti. Non c’erano
panche, ma sedie nello studio. Più che mae-
stro, Puoti era un amico, una guida. Ascoltava
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.20
il parere di ognuno, diceva il suo, riconosceva
i propri errori. La libertà di discussione non
generava anarchia. Voleva bene ai suoi gio-
vani (non studenti) ed era ricambiato. Era
come un padre. Quando si ascoltavano i “Ve-
terani”, c’era silenzio intorno. Gli “Eletti”,
che occupavano un posto distinto, erano colo-
ro che facevano un lavoro “indovinato”. Il
marchese soleva dire che le lettere “raggenti-
livano e nobilitavano” l’animo.
Dopo pochi mesi di frequenza, De Sanctis
si sentì un altro uomo (La scuola del Puoti
portava ad un rinnovamento interiore). Il
marchese non faceva lezioni o discorsi, non
insegnava grammatica o retorica, parlava alla
buona, per esempi. Il lavoro era tutto degli
studenti. Si andava a scuola tre volte la setti-
mana. Un giorno era “consacrato” alla lettura
e all’esame dei componimenti, alla discussio-
ne. Chiudevano il discorso gli Eletti e gli An-
ziani. Il marchese riassumeva il tutto. Le di-
scussioni erano brillanti. Gli altri due giorni
erano dedicati alla traduzione e alla lettura dei
classici. Il marchese metteva tanta diligenza
in queste traduzioni, <<…stava mezz’ora ad
acchiappare una parola o una frase e se non
veniva diceva “non è poi il Vangelo” >>.
Si leggevano brani classici trecentisti e cin-
quecentisti. Il marchese voleva che si studias-
se pure a casa. Questo assiduo lavoro di leg-
gere, tradurre e commentare era più utile che
imparare a memoria. Citando un detto di So-
crate, Puoti diceva che il maestro dev’essere
come la levatrice, che aiuta a partorire (La
maieutica!). Altra sua massima: <<Il miglior
maestro è colui che pensi meno a comparir lui
e che lasci fare ai giovani>>. Ciò che egli in-
segnava non era <<tutt’oro di coppella>>
(sua espressione), ma strumento efficacissimo
di educazione e progresso. Amava, ricambia-
to, i suoi allievi, pardon, collaboratori. <<L’
amore è il primo segreto del buon insegna-
mento, “Non basta il metodo di Puoti, ci vuo-
le il cuore di Puoti” >> commenta De Sanctis.
L’italiano si doveva imparare con lo studio
degli scrittori classici, gli scrittori del secolo
d’oro e del dotto Cinquecento con appena
qualcuno del Seicento, secondo i decreti della
Crusca. La parola era per il marchese qualco-
sa di luccicante come l’oro; <<parole di buo-
na o falsa lega>> soleva dire, <<parola di fi-
nissima lega>>, <<oro purissimo>>, <<oro di
coppella>>. Facevano tutti a gara per scaccia-
re le parole sospette di falsa lega, soprattutto i
francesismi. Il Marchese aveva giurato, come
Annibale, odio implacabile ai francesismi o
gallismi. <<Purgar la lingua delle brutture>>.
Fra tanti pregi, conclude il De Sanctis, la sua
scuola aveva un difetto: <<Vi si dava troppa
importanza alla parola e alla parte meccanica
dello scrivere come formazione del periodo.
Né questo studio poteva riuscire bene, segre-
gato dal presente e dal vivo, e fondato sugli
scrittori di parecchi secoli addietro, come si fa
di una lingua morta…Lo scrivere non era più
una produzione ma una imitazione>>.
Lo stesso marchese confessava che una cer-
ta esagerazione c’era e si scusava dicendo
<<chi ama esagera>>. Comunque, bisogna ri-
conoscere che la sua scuola operò una “com-
piuta” trasformazione nella cultura nazionale.
Si cominciò a studiare un po’ meglio il latino e
il greco; anche nei seminari ci si interessò alle
cose italiane; si diffusero i classici pure nelle
più isolate province; sorsero qua e là scuole
simili a quella di Puoti; non ci fu scienziato che
non avesse cercato di scrivere più “pulitamen-
te”. Il maestro poté notare tali effetti positivi
nel giro di pochi anni, compiacersene e avere
la soddisfazione di vedere insegnare a giova-
netti, come materia elementare, quello che egli
insegnava a giovani già molto innanzi negli
anni e negli studi. E quando De Sanctis disse in
pubblica Accademia che il purismo non aveva
più ragione d’essere perché aveva già vinto, e
che la questione non era più di lingua ma di sti-
le, il brav’uomo (Puoti) se ne compiacque e
accettò la teoria per buona. Ma quando De
Sanctis iniziò a trarne le conseguenze, egli
reagì e lo chiamò ribelle. Nondimeno, presso
al letto di morte, al suo ex allievo che era an-
dato a fargli visita disse: <<Tu sai che io ti ho
sempre voluto bene>>.
(Ri-costruisco la scena nell’immaginazione
e mi commuovo).
Antonia Izzi Rufo
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.21
GIUSEPPE LEONE “D’IN SU LA VETTA
DELLA TORRE ANTICA”
UN’ANALISI INTENSA
E MAGISTRALE di Aida Isotta Pedrina
ENENDO per la prima volta “D’in su
la vetta ….” fra le mani, l’indovinato
titolo provoca subito un moto di cu-
riosità e un pensiero: ”Ma cosa potrà acco-
munare Leopardi, uno dei più grandi e famosi
poeti italiani, nato duecent’anni fa, e Carmelo
Bene, attore e scrittore ultra moderno, genio
controverso e stravagante, la cui fama era co-
stantemente offuscata dal suo biasimevole
comportamento e dal suo penchant per lo
scandalo? Risulta che questo bel saggio è in-
teressantissimo e coinvolgente appunto per-
ché mette in netta evidenza le non poche ca-
ratteristiche condivise da questi due perso-
naggi, tormentati da profondi conflitti e tra-
vagli interiori, di salute precaria, insofferenti
delle convenzioni e limitazioni sociali, in ri-
volta contro le tradizioni sorpassate, e ancor
più contro l’incomprensione della critica e dei
loro stessi genitori. Attraverso questo origina-
le confronto, Giuseppe Leone è riuscito a
connettere mirabilmente queste due straordi-
narie personalità non solo affermando la pie-
nezza artistica e l’innegabile impatto culturale
di entrambi, ma anche dando un nuovo signi-
ficato alle intime emozioni, alle sofferenze,
all’intolleranza e le polemiche di Leopardi e
Carmelo Bene. “D’in su la vetta…” è un’
opera particolarmente comprensiva e impe-
gnativa che fra l’altro, fa emergere Leopardi
quasi come genio contemporaneo di Carmelo
Bene, annullando così la grande distanza di
tempo fra i due artisti, e
conferendo a questa ana-
lisi un interesse ancor più
vivo e attuale. Giuseppe
Leone dimostra di aver
fatto – e con grande entu-
siasmo e maestria — un
lungo e intenso lavoro di
ricerca, arricchito da un’ampia e accurata se-
lezione d’ interpretazioni e citazioni di Leo-
pardi, di Bene e di tanti altri studiosi e critici
illustri.
In “D’in su la vetta..”, Leopardi e Bene so-
no presentati principalmente come i geni
creatori di una “ cultura nuova” e alcune del-
le loro opere come ispirazioni necessarie per
risollevare il prestigio della cultura italiana.
A questo fine, entrambi affrontarono fra l’ al-
tro il tema della “voce” verso il “silenzio”
della scrittura; Leopardi nelle sue “Operette
morali”, e Carmelo Bene nel suo “Sono ap-
parso alla Madonna,” misero in grande rilievo
il vantaggio della “voce”, proponendo il
mondo del suono e l’immediatezza del sono-
ro come più avvincente della scrittura, e spes-
so più adatto a risvegliare e a coinvolgere le
emozioni e a rendere comprensibili opera d’
arte a un più vasto numero di persone. Inoltre
per Carmelo Bene, la voce, o il suono, ascol-
tato mentre si perde nel silenzio, era la su-
prema realtà che annulla l’io convenzionale,
come del resto, lo era per Leopardi quando
ascoltando la voce del vento, il canto degli
uccelli, il sonoro quotidiano, sentiva il suo io
perdersi in questi e nel silenzio dello spazio
infinito. Per entrambi, il sonoro era anche
fonte d’oblio: ascoltare per dimenticare soffe-
renze e delusioni: il canto come conforto. E
qui, Giuseppe Leone osserva che Leopardi e
Carmelo Bene ebbero entrambi aspirazioni al
di là dei confini umani, al di là della realtà, al
di là dell’ essere convenzionale; avevano per-
cepito l’irrealtà che circonda la vita pro-
grammata e condizionata dalle tradizioni so-
ciali.
Fra le al-
tre molte-
plici carat-
teristiche
condivise,
le seguenti
potrebbero
essere le più
dense di si-
gnificato:
Leopardi e
T
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.22
Bene vissero la loro infanzia in un’ambiente
altamente religioso; entrambi erano molto
devoti e servivano spesso la messa da fanciul-
li; Carmelo Bene persino quattro volte al
giorno, giocando poi in Chiesa con le statue
dei santi. Di Leopardi il padre scriveva: “….
Sommamente inclinato alla divozione…..
Giocava agli altarini: serviva volentieri mes-
sa…. Voleva diventare Santo….” (Giuseppe
Leone, “D’in su la vetta della torre antica”.
Giacomo Leopardi e Carmelo Bene sospesi
fra silenzio e voce. Ed. Il Melabò, 2015, pg.
68)
Tutta questa religiosità sarà, più tardi, causa
di profonde riflessioni filosofiche, di travagli
interiori, di amarezze e delusioni, risultando
nella perdita della fede di entrambi. Leopardi
e Bene erano anche accomunati dal grande
desiderio di rimanere fanciulli, di godere le
gioie dell’infanzia e i privilegi della “vita
bambina”. Il rifiuto di crescere e la nostalgia
della fanciullezza, sono chiaramente dimo-
strati da entrambi: nello “Zibaldone”, Leo-
pardi scriveva: “….Dato l’andamento e le
usanze e gli avvenimenti e i luoghi di questa
mia vita sono ancora infantili; io tengo affer-
rati con ambe le mani questi ultimi avanzi e
queste ombre di quel benedetto e beato tem-
po, dov’io sperava e sognava la felicità, e
sperando e sognando la godeva….” E ancora:
“…. La massima parte delle immagini e sen-
sazioni indefinite che noi proviamo pure dopo
la fanciullezza e nel resto della vita, non sono
che una rimenbranza della fanciullezza, si ri-
feriscono a lei…..” (Op. Cit., pg. 80) E nel
suo “Pinocchio”, Bene dichiara: “….. L’ es-
sermi come Pinocchio rifiutato alla crescita, è
se si vuole la chiave del mio smarrimento get-
tata in mare una volta per tutte….” (Op. Cit.,
pg. 80). Nell’analisi di questo “rifiuto di cre-
scere” dei due artisti, Giuseppe Leone sembra
immedesimarsi con grande sensibilità artisti-
ca, nel contenuto umano di questo confronto,
nei sentimenti e il pathos di questi due geni e
anche nella loro infinita nostalgia della fan-
ciullezza, quando scrive, per esempio, di
Carmelo Bene: “ Nel suo “Pinocchio, ulterio-
re alter ego della sua biografia, attraverso il
quale può rappresentare metaforicamente, il
suo rifiuto di crescere, poiché individua nel
rimanere bambino il concentrarsi di tutto il
potenziale dell’esistente non ancora realizzato
ma sospeso nel possibile…..” (Op. Cit., pg.
79-80).
Significativa in questo brillante saggio è
anche l’analisi degli innumerevoli scontri e
polemiche che Leopardi e Bene ebbero con la
società, con la famiglia, e particolarmente,
con la critica; essendo entrambi profonda-
mente consapevoli del valore delle loro idee e
delle loro opere, rifiutarono di essere invi-
schiati nell’ intrattenimento e la socievolezza,
lottando accanitamente contro l’implacabile
animosità della critica, nonostante le loro
gravi e continue sofferenze fisiche. Nel capi-
tolo: “Leopardi e Bene geni ma senza premi”,
troviamo che le approfondite osservazioni di
Giuseppe Leone fanno particolare riferimento
ai giudizi negativi della critica “…che non ha
mai perso l’occasione di scrivere e parlar ma-
le della loro opera…”. Significativi sono fra
l’altro, il giudizio “stroncatorio” di Giuseppe
Mazzini (Op. Cit., pg. 86), e la sconfitta e di-
sperazione di Leopardi quando partecipò a un
premio letterario nel 1830 con le sue “Operet-
te Morali” che furono nominate al terzo po-
sto. (Op. Cit., pgg.90-92). Naturalmente, que-
sto smacco provocò Leopardi a inveire contro
il vero proposito di questi premi; polemica
condivisa anche da Carmelo Bene. (Op. Cit.,
pg. 94). Di rilevante interesse sono anche le
pertinenti osservazioni dell’autore sull’odio
reciproco fra Carmelo Bene e la critica (Op.
Cit., pgg. 96-104). Chiudendo questo capito-
lo, Giuseppe Leone sottolinea la tensione
emotiva dei due artisti riguardo l’ incompren-
sione dei critici: “….Tuttavia Leopardi ne era
cosciente e aveva anche scritto un aforisma
che Carmelo Bene, guarda caso, aveva scelto
come esergo per uno dei suoi tanti scritti:
“….Tanto è l’egoismo e tanta l’invidia e l’
odio che gli uomini portano gli uni agli altri,
che volendo acquistar nome, non basta fare
cose lodevoli, bisogna lodarle, o trovare, che
torna lo stesso, alcuno che in tua vece le pre-
dichi e le magnifichi di continuo……. Spon-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.23
taneamente non isperare che faccian motto
per grandezza di valore che tu dimostri, per
bellezza d’opere che tu facci…..” (Op. Cit.,
pg. 102)
Un breve saggio non è sufficiente per de-
scrivere l’interessantissimo e originale conte-
nuto di questo volume; “D’in su la vetta….” è
opera agile e precisa, sostanziosa e penetran-
te, che tiene ferma l’attenzione del lettore; è
anche un profondo studio del pensiero, delle
emozioni di Leopardi e di Carmelo Bene;
Giuseppe Leone dimostra di aver compreso
mirabilmente la grandezza e la disperazione
di questi due geni trasformandole in emozioni
attuali e concrete per il lettore; “D’in su la
vetta ….” rimarrà unico nel tener vivo e pre-
sente questo originalissimo confronto; un’
idea geniale, una stimolante lettura che senza
dubbio, aprirà nuovi orizzonti al pensiero.
Aida Isotta Pedrina USA
BEI SOGNI AZZURRI
DEI VENT’ANNI
Bei sogni azzurri dei vent'anni
quando ci bastava un sorriso
visto e non visto tra un mare di volti
a lievitare il cuore di vane speranze...
Speranze labili come gocce sui vetri
fragili come bolle iridescenti
che una lama di vento mette in fuga.
Accendevamo fuochi in riva al mare...
Cenere resta delle nostre bugie
cenere calda che un soffio disperde...
Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)
MUSICHE SENZA ETÀ
Ora il ricordo delle nostre gioie
che giunsero invocate
e fuggirono, invano trattenute,
rimanga intatto almeno
come latte di luna ad abbracciare
cimiteri di tristezza.
Il sole di quel giorno sembrava
non volesse tramontare
senza darci un saluto, e là ci attese
sospeso all’orizzonte in un regale
spreco d’oro e di porpora.
La sabbia porta ancora
la forma del tuo corpo
e il desiderio dolce e feroce
ora mi scioglie in miele
ora mi ritempra in pietra.
Non incontrerai così vicini
mai dolcezza e forza,
conquista e offerta, libertà e catena.
Io t’ho portata in chiuso abbraccio
come un vaso greco
per ricolmarti a vergini sorgenti
e sentirti salir fin sulla gola
musiche senza età...
Nino Feraù da: Pietre di fiume, Edizioni GBM, 1998.
“La sabbia porta ancora/la forma del tuo
corpo” - Acquerello di Domenico Defelice,
1982.
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.24
GABRIELE D’ANNUNZIO
NELLA PRIMA
GUERRA MONDIALE Cento anni dal Notturno
di Marina Caracciolo
IFUGIATOSI in Francia in un «vo-
lontario esilio» nel 1910, assillato dai
debiti e inseguito da una frotta di cre-
ditori insoddisfatti, a cui già aveva ceduto la
sua villa toscana della Capponcina, Gabriele
D’Annunzio fa ritorno in Italia nel 1915, an-
no in cui, a Quarto, è invitato a tenere il di-
scorso celebrativo della spedizione dei Mille,
in occasione dell’inaugurazione del monu-
mento all’impresa di Garibaldi.
Fin dall’inizio della prima guerra mondiale
egli si schiera dalla parte degli interventisti, e
l’occasione è subito còlta come efficace mez-
zo di propaganda bellica. Da tribuno, lo scrit-
tore si trasforma ben presto in combattente.
Durante il conflitto è sempre in prima linea,
anche se è vero che alla vita pericolosa e du-
rissima della trincea preferisce quella eroica e
spettacolare dei grandi gesti.
Al suo nome rimangono legati i voli su
Trieste e su Trento, nel 1915, e su tutta l’area
di operazione bellica italiana negli anni suc-
cessivi. Nel 1916 per un incidente aereo per-
de un occhio. Del 1918 è la cosiddetta Beffa
di Bùccari1, e il volo su Vienna per gettarvi
volantini tricolori. Tutte queste imprese gli
valsero la medaglia d’oro e la fama di soldato
impavido e ardito.
A guerra finita, nel 1919, alla testa di un
gruppo di volontari, D’Annunzio si impadro-
1 Bùccari è una cittadina della Croazia, in una pro-
fonda baia sul Carnaro. La notte del 10 febbraio
1918, 3 mas italiani, comandati da Costanzo Ciano,
penetrarono audacemente nella baia lanciando siluri
contro quattro piroscafi austriaci che vi stavano an-
corati e riprendendo con sicurezza il mare. A bordo di uno dei mas era D’Annunzio, che lanciò agli Au-
striaci un ironico messaggio rinchiuso in galleg-
gianti, per cui la spedizione prese poi il nome di Beffa di Bùccari. Sotto questo titolo lo scrittore
pubblicò (1918) il racconto dell’impresa.
nisce di Fiume (12.IX.1919, marcia di Ron-
chi), poiché le clausole del trattato di pace la
negavano all’Italia; obbliga le truppe di occu-
pazione a ritirarsi e costituisce la Reggenza
italiana del Carnaro, con poteri civili e milita-
ri. Ma in seguito, il Trattato di Rapallo fra Ita-
lia e Jugoslavia (12.XI.1920) dichiara Fiume
uno stato indipendente: il 31.XII dello stesso
anno D’Annunzio deve abbandonare la città.
(Ridivenuta italiana per un accordo del gen-
naio 1924, Fiume ritornerà definitivamente
jugoslava dopo la seconda guerra mondiale,
nel 1947).
Di questo periodo del governo fiumano, al
di là dell’esperimento politico in sé, è rilevan-
te, piuttosto, tutto l’apparato esibizionistico
che venne instaurato, tra coreografiche sfilate
e saluti romani, pose artefatte e arringhe diret-
te alla folla, che avrebbero in seguito ispirato
l’Italia fascista di Mussolini (come la mede-
sima impresa di Fiume, con l’intervento diret-
to e spontaneo di un manipolo di privati che
si sostituisce allo Stato, è indubbiamente da
considerare un anteprima del futuro squadri-
smo fascista).
Sul piano letterario, d’altro canto, di questi
anni di guerra ci rimane come testimonianza
R
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.25
una delle più valide prose autobiografiche
dell’ultima stagione creativa dello scrittore
abruzzese: il Notturno. Questo testo, poi pub-
blicato nel 1921, ebbe origine a lato di un’
esperienza eccezionale. Durante un volo di
guerra, il 16.I.1916, D’Annunzio fu costretto
a un atterraggio di emergenza. In quel fran-
gente, rimase ferito all’occhio destro, che poi
perse. Per evitare la completa cecità, dovette
restare supino per settimane, con gli occhi
bendati.
Scrisse il poeta nell’Annotazione al libro:
«Per più settimane, mentre stavo supino in
veglia, mentre soffrivo senza tregua l’ in-
sonnia, io ebbi dentro l’occhio leso una fu-
cina di sogni che la volontà non poteva né
condurre né rompere. Il nervo ottico attin-
geva a tutti gli strati della mia cultura e
della mia vita anteriore, proiettando nella
mia visione figure innumerevoli con una
rapidità di trapassi ignota al mio più ardi-
mentoso lirismo. Il passato diveniva pre-
sente, con un rilievo di forme e un’acredine
di particolari che ne aumentavano a dismi-
sura l’intensità patetica».
Il Notturno intende appunto raffigurare
questa sotterranea e ininterrotta vita della co-
scienza, questo spontaneo riaffiorare di im-
magini e di ricordi – e, più spesso, di sensa-
zioni – còlto proprio nel suo sbocciare dalle
profondità dell’inconscio. Non avendo la pos-
sibilità di parlare né di dettare, il poeta fu ob-
bligato a scrivere su sottili strisce di carta, te-
nute fra le ginocchia, con uno stile rapido, in-
tenso, evocativo, e compose il libro come un
insieme di versetti brevi, ciascuno generato
da una suggestiva illuminazione. In bilico fra
una prosa di memorie e una prosa lirica,
pronta a rilevare le vibrazioni più segrete di
una sensibilità resa ancor più affilata dalla
malattia, i racconti non si svolgono secondo
un avvicendamento logico e temporale, ma
sono immersi in un presente senza tempo,
mentre sorgono da una libera aggregazione di
particolari che dall’oscuro impulso dei sensi
si tramutano in immaginose figure.
Proprio per questa via, D’Annunzio rispec-
chia un aspetto fondamentale della poetica
del Decadentismo: quella tendenza, cioè, a
trasfigurare la realtà in un simbolo della vita
misteriosa dell’inconscio, e a identificare in
essa, fuori da ogni razionalità, una rivelazione
pura, essenziale, quasi esoterica, facendo in
tal modo della poesia il tramite più sublime
della conoscenza.
Il tema dell’eroismo e del superuomo, che
aveva certo appesantito i suoi romanzi, in
questo caso passa decisamente in secondo
piano: escludendo qui le costruzioni più sofi-
sticate della sua cultura estetizzante, lo scrit-
tore, nelle parti più riuscite, aderisce intima-
mente a quell’autentica ispirazione naturali-
stica e mistico-sensuale che aleggia nelle No-
velle della Pescara e nei capolavori della sua
poesia. Questo spiega, a cento anni di distan-
za, il valore ancora attuale del Notturno – for-
se il miglior testo del D’Annunzio prosatore –
e il fascino che ha continuato a esercitare su-
gli scrittori contemporanei.
Marina Caracciolo
LIBELLULE
Dalle verdi acque
sbocciavan libellule.
Cerchi concentrici,
anelli dinamici
disegnavano voli.
Picchiate fugaci
dispensavano morte.
Su canne palustri
si schiudevano ali
coi colori dell’iride.
Beltà su beltà
mi sfiorava il volto.
Sentivo in me
tanta smania di vivere,
di saltare nell’erba
a pestare rugiada,
mentre il sole maculava
i colori dei rami.
Colombo Conti Albano Laziale
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.26
SABATO RACIOPPI ORRORI E SPLENDORI
DEL MONDO D’OGGI di Leonardo Selvaggi
I
’OPERA storica” Orrori e splendori
del mondo d’oggi” di Sabato Racioppi
costituisce un trattato di grande inte-
resse per acutezza di riflessione, valutazione
critica e articolata analisi su ideologie, avve-
nimenti, trasformazioni profonde nei costumi
e nelle strutture tecniche-economiche del no-
stro tempo. Una pubblicazione di grande mo-
le che va ad aggiungersi ad una produzione
già di considerevole dimensione, fatta, oltre
che di numerose opere storiche, da importanti
scritti filosofici, sociologici, di etica e sulla
letteratura del ‘900.Un’opera complessa che
si offre alla meditazione di quanti sono vigili
sulle problematicità contemporanee che inve-
stono popoli e territori di tanta parte del no-
stro pianeta. Sabato Racioppi è un osservato-
re perspicace: i suoi scritti hanno carattere di
notevole scientificità per vastità di contenuti,
frutto di ricerche appassionate e di esperienze
di studioso specializzato di problemi sociali.
Ci illumina sulle cause e sui futuri sviluppi
degli avvenimenti che per estensione hanno
riflessi su tutti gli apparati organizzativi
mondiali, non esistono isole che rimangono
escluse. Ambienti e strutture in un intreccio
di coinvolgimento che non ha arresti in un’
epoca di per sé frenetica e caotica, insoddi-
sfatta e di continuo presa da sete di novità.
II
La storia dell’Umanità vista come eterna
lotta, condotta in scontri che non si potranno
mai dichiarare definitivi fra gruppi di spadro-
neggiatori e popoli in miseria. L’Umanità in
tutti i secoli vissuta in continua fermentazione
tra ansie, aspettative, sofferenze, idealità, vio-
lenze, predomini. Dopo pause di splendori,
nuove lotte, stragi, dominazioni, martiri, in-
nalzamenti di principi ideali. In un dualismo
di attacchi contrapposti: il male e il bene, spi-
ritualità emergenti e violenze distruttrici fan-
no un eterno movimento dinamico tra razio-
nalità e istintivismi belluini. Sempre ascese
metafisiche e stati tenebrosi lungo le acciden-
talità del cammino della storia. Aneliti di be-
nessere e cadute nei marasmi e nelle crisi. L’
opera storica di Sabato Racioppi “Orrori e
splendori del mondo d’oggi” ampiamente va
diffusa, portata all’attenzione di menti ansio-
se di approfondimenti e di chiarificazioni che
in questo trattato abbondano, condotti con
spirito spregiudicato, avulso da ogni formali-
smo, con animo aperto e spassionato. Un’
opera colossale: va considerata fonte per ulte-
riori studi, ogni suddivisione costituisce una
trattazione specifica, sufficiente per essere un
volume a sé. E’ una miniera inesauribile con
dati, raffronti, citazioni, ogni pagina ha una
vastità di contenuti da offrire al lettore mate-
ria sufficiente per molteplici riflessioni. L’
opera oltre che storica, è di alta moralità. An-
che dal punto di vista editoriale dobbiamo di-
re che la fatica nel realizzare questo capola-
voro non è stata lieve. Pagine dense, massicce
con illustrazioni che commentano eloquen-
temente gli avvenimenti che si scontrano e si
intrecciano attorno al grande protagonista che
è l’umanità e in special modo ai gruppi socia-
li compressi, meno fortunati che si muovono
con passione di vivere, con instancabile vo-
lontà di lotta lungo le accidentalità dei giorni,
sempre tormentati: sono loro i veri creatori di
storia contro i predomini famelici soggiogato-
ri. L’opera nella sua notevole consistenza si
rende maneggevole, gli argomenti risaltano
facendosi luce l’un l’altro nella loro varietà di
aspetti. Illuminato è il lettore dal metodo di
sintesi che qualifica l’opera di Racioppi, con-
sistente nel vedere la storia del nostro tempo
intensificata da tutte le ripercussioni dei seco-
li passati, rimaste ineliminabili retaggi. Tipo-
graficamente in veste chiara, trasparente, la
pagina ha caratteri nitidi: abbondante dovizia
di concetti, espressi con facilità di linguaggio.
Questo sempre per quella potenza espressiva
fatta di immediatezza che viene da un grande
storico che rende la materia trattata strumen-
L
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.27
to di insegnamento. Ogni pagina prende il tut-
to, è un’opera, si può dire, spiritualizzata per
la sua organicità, e il compito dell’Autore è
stato svolto appieno, c’è un ininterrotto svol-
gimento di legami fra le varie posizioni socia-
li, la politica e l’economia. Non è una caotica
successione di fatti esposti aridamente e in
superficie, gli argomenti storici sono vivi,
animati, connessi nei loro momenti di esplici-
tazione. Il nostro tempo si conosce per la sua
problematicità amplificata di concezioni e di
movimento di tutta l’esistenzialità. Risaltano
essenzialità e moventi significativi.
III
I secoli passati, le conoscenze della sapien-
za del tempo antico fanno da sfondo alla trat-
tazione. La storia si ripete e si arricchisce nel
contempo, fattasi complessa ed esplodente di-
fatti e di situazioni in continua evoluzione:
sconvolgimenti, orrori, grandiosità di conqui-
ste, punti di arrivo dopo esperienze maturate.
L’opera “ Orrori e splendori del mondo d’
oggi” di Sabato Racioppi ci pone davanti a
più allargate prospettive con responsabilità e
impegnati, siamo di fronte a un futuro che si
aspetta dalla dignità di uomini di civiltà supe-
riori raggiungimenti conclusivi con decise e
definitive determinazioni. Per presentare la
grande opera di Sabato Racioppi si rende ne-
cessario e doveroso ripercorrere le tappe più
significative che la compongono. Andare at-
traverso avvenimenti e situazioni in fermento
è riconoscersi vicino al tempo d’oggi che non
può non risentire i grandi sommovimenti avu-
tisi con le rivoluzioni francese e bolscevica.
E’ sentirsi in più ampia esistenzialità, riempiti
di realtà e di testimonianze fra le più signifi-
cative. Le pagine ribollono di personaggi, di
condizioni sociali insostenibili, popoli repres-
si che si infiammano di speranze, di fremiti,
di contraddizioni che fanno esasperare. Dalla
grande rivoluzione del ’79 divampata dalla
immensa miseria del popolo, dall’opera dei
filosofi e scrittori dell’Illuminismo, a quella
Bolscevica del 1917, nata dalla predicazione
del socialismo. Con Marx ci si incammina
verso una nuova società, al di fuori delle clas-
si e delle sperequazioni economiche.
IV
Moti propulsivi di progresso e decadenza
di costumi nella storia vanno insieme, si
creano disorientamenti, incertezze. C’è uno
scuotimento della mente umana che si sente
annichilita, le aspettative fanno vivere illusio-
ni vane, non sono più fomentatrici di speran-
ze. La scienza, le teorie sociali disturbano
sentimenti e virtù interiori. Augusto Comte e
Spenser, maestri del positivismo credono alle
realtà concrete e distruggono la spiritualità. Si
annienta un padronato e si creano nuove bor-
ghesie. Ebollizioni a catena che attizzano
conflitti, accensioni distruttive in ogni angolo
della terra nei primi anni del secolo (1900-
1920). La seconda guerra mondiale (1939-
1945) con 30 milioni di morti. L’opera “ Or-
rori e splendori del mondo d’oggi” mette in
evidenza le tappe storiche più caratterizzanti.
Sempre lotte tra energie contrastanti. Fotogra-
fie drammatiche dei campi di concentramento
nazisti, orrori, malvagità demoniaca che sem-
pre affiora dal fondo dell’animo umano in
opposizione con lacrime e morte, travolti si è
dalla tempesta delle armi omicide. Nell’opera
di Sabato Racioppi le verità risaltano come
fiammate dalle tenebre da cui viene il mondo
umano di tanto in tanto avvolto. Spesso si ri-
corre alle figurazioni mitologiche per far luce
su situazioni che travolgono lo spirito dell’
uomo. Circoli viziosi che determinano auto-
distruzioni. C’è sempre un vaso di Pandora da
cui tutti i mali escono portando infestazioni
orribili. Continuano nel Terzo Millennio vio-
lenze, guerre, poteri, miserie. La pace e l’
uguaglianza, le attenuazioni delle sofferenze,
il sostentamento degli inermi si potranno ave-
re quando gli uomini diverranno umili, spogli
di ogni pensiero malvagio. L’opera di Sabato
Racioppi costituisce un abbondante nutrimen-
to che corrobora con molta efficacia chi ama
conoscere gli intrecci degli avvenimenti stori-
ci, la loro evoluzione, gli aspetti nuovi che
sopravvengono. L’intelligenza dei grandi spi-
riti non riesce mai a creare domini di bene e
di luce, ma solo spinte più furenti nelle lotte.
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.28
Pregiudizi e violenze razziali un’altra piaga
che fa piangere l’Umanità. Questo male dila-
ga da sempre, dal Medio Evo ad oggi, è una
cancrena che rode anima e corpo, le volontà
di uomini schietti e semplici che non conce-
piscono l’odio fra simili. Razze dominatrici e
razze serve, tutto un campo disseminato di
morti e di tremende pene, di pianto e di bar-
barie. Sette segrete diaboliche che non vo-
gliono il riconoscimento dei diritti civili ai
Neri portano segregazioni e stragi negli Stati
Uniti
V
Le pagine sempre traboccanti dell’opera
storica di Racioppi esprimono obbiettività,
pensiero acceso e schietto. Eroismi fatti di
predicazione di amore per il prossimo. Il mo-
vimento della Non Violenza capeggiata da
Martin Luther King. Le teorie razziste in con-
trasto con i messaggi evangelici. Il mondo
contemporaneo è sconvolto: violenze sempre
riaccese, solitudine, alienazione, l’uomo di-
sumanizzato, caduto nell’irretismo dall’ au-
tomazione. Il volume “ Orrori e splendori del
mondo d’oggi” diviso per sezioni si legge con
avidità, tanta storia messa insieme in connes-
sioni ideologiche: fatti, filosofi, scrittori,
scienziati, autori di teorie e di principi che
annodate svolte e Autodistruzione, l’ intelli-
genza umana trapassa in strumenti bellici au-
tomatizzati che generano il finimondo tra po-
poli ancora in stato di primitività, stremati
dalla fame e dalle epidemie. Il mondo con-
temporaneo con le sue trasformazioni, con l’
espansione dei mezzi di ricerca, con le strut-
ture tecnologiche si fa erompente e dilagante
per tutte le parti della terra. Attraverso l’
esame del nostro tempo con i suoi peccati e
gli splendori si rilevano le significazioni di
una storia umana sempre più intricata, confu-
sa: un condensato in fermentazione tra males-
sere, corruzione, malcostume. Grandi attori
gli uomini: fanno la storia con la nobiltà d’
animo, con l’odio, con i domini, con le mise-
rie, le sofferenze: macchine di civiltà, forma-
no in un tutto insieme un micro-cosmo che
mette in moto con reazioni a catena, con reci-
proche influenzazioni ambienti, contesti so-
ciali, costumi, vitalità, morte, distruzioni,
eroismi, idealità, principi supremi di religiosi-
tà, di morale, di giustizia: archetipi incrollabi-
li nella mente umana, in lotta con se stessa tra
materialità e certezze metafisiche. La ramifi-
cazione di collettività, di idee, di progressi, di
guerre, di aspettative, di mutamenti, tutta pro-
tesa sempre verso l’avvenire, punto di attra-
zione che fa muovere la storia lungo il cam-
mino di ogni giorno.
VI
Orribili misfatti tramati dal male, silenziosi
tormenti di volontà dirette al bene, richiami
del senso di giustizia, involuzioni, umiltà,
atrocità, amore per il prossimo in pagine sti-
molatrici di arricchimento di sapere, estese,
chiarificatrici. Il movimento della storia su
tutti i luoghi della terra che nel nostro tempo
si trovano ravvicinati da un diffuso senso di
cosmopolitismo e da sempre più vasto ecu-
menismo. L’opera di Sabato Racioppi, un la-
voro di grande perizia che si svolge con pro-
fondità e acutezza di pensiero. Realizzata dal-
la Editrice “Nuova Impronta” di Filippo Chil-
lemi. Un’opera storica vista nella sua autenti-
cità di catena di avvenimenti che si condizio-
nano fra di loro e si irradiano in un divenire
che sempre si polarizza su estremi contrastan-
ti lungo cammini di progresso, di decadenza,
di crisi, di riprese rinnovatrici. Albert Camus
in tempi in cui si sono smarriti i valori con
realismo pessimistico vede gli uomini chiusi
in egocentrismi, nemici l’un verso l’altro, in
una vita di assurdità. Gli anni dal ’50 diven-
tano materialisti, senza religione, con super-
bia e arroganza. Gli uomini consumisti, privi
di senso della unitarietà, individualisti, si ve-
dono fuori da ogni contesto sociale. Il pro-
gresso tecnologico ha distrutto le norme eti-
che, si è arrivisti, presi da ingordigia, da un
fremente desiderio di novità, insoddisfatti,
svuotati di sentimenti, si vive attruppati, ele-
menti della massa anonima in città che si fan-
no agglomerati di solitudine. Mafia e crimi-
nalità organizzata, corruzione a tutti i livelli.
Le virtù antiche smantellate. La famiglia è in
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.29
crisi, non costituisce più l’ambito dove si vive
insieme, disorganicità, gli affetti perdono la
loro attrattiva, si è influenzati dal mondo
esterno, l’autorità della famiglia viene ad es-
sere soggiogata dai poteri collettivi.
VII
Si impone la dottrina del liberismo che vuo-
le rivendicare la libertà d’azione degli indivi-
dui. Per questa via si dà modo di avviare l’ ar-
ricchimento di gruppi potenti, detentori di ca-
pitali e di macchine. Il libero mercato non ha
influssi positivi per tutti, mancando la rela-
zione tra proprietà privata e le regole della
giustizia sociale. L’opera “Orrori e splendori
del mondo d’oggi” di Sabato Racioppi mette
ancora una volta in risalto lo sfruttamento dei
miseri, costretti a lavori deprimenti in am-
bienti malsani privi di ogni tutela. Tutto il
pianeta diviso secondo le condizioni econo-
miche in tre grandi blocchi. Primo Mondo
capitalistico, Secondo Mondo socialista, Ter-
zo Mondo, liberato dal dominio coloniale,
travagliato da problemi sociali, politici e di
sopravvivenza. Paesi sottosviluppati in piena
povertà di mezzi. Oggi almeno un miliardo di
persone vive senza alloggi, senza servizi igie-
nici. Popoli tormentati da malattie e morte. L’
industrializzazione, il progresso tecnologico
determinano mali gravi che mettono in crisi
lo stesso pianeta con l’inquinamento atmosfe-
rico e le deforestazioni. Il mondo contempo-
raneo in pieno stravolgimento, contrasti sem-
pre più profondi fra capitalismo e miserie. At-
tecchisce sempre più la criminalità, si inse-
guono finalità perverse, ricorrendo alla vio-
lenza e alle attività illecite. L’opera “Orrori e
splendori del mondo d’oggi” ha pagine che
richiamano tristezza e senso di insicurezza.
La violenza senza dubbio rappresenta il male
atroce del nostro tempo. E’ indicazione di
condizione di debolezza, mancanza di dialogo
e di forza morale. Episodi di criminalità aber-
rante erompono in ogni parte della terra. Non
può restare per tempi indeterminati, va ag-
gredita e sconfitta da tutti i popoli. Ancora
continua l’elenco delle turpitudini in voga nel
nostro tempo. La prostituzione diffusa in tutte
le forme. L’aborto che genera vittime, è
espressione di malvagità, di mancanza assolu-
ta di eticità, divenuto un fenomeno di massa.
Le guerre di religione dell’Età moderna ripe-
tono fenomeni avutesi nel Medio Evo. Fon-
damentalismi contro ogni libertà di credenza.
Altre cancrene, che rodono gli ambienti so-
ciali e che sembrano assommare tutte le for-
me di malcostume verificatesi nei secoli, il
traffico delle armi e delle droghe. L’O.N.U.
non riesce ad arginare i fenomeni distruttivi
per le sue insufficienze e incapacità di inter-
vento.
VIII
Al trionfo di tanti mali che attanagliano l’
Umanità lo storico Sabato Racioppi contrap-
pone le espressioni di splendore che fanno
pensare ai futuri assestamenti della società
sulla base di rinnovellati modi di concepire i
rapporti tra i popoli: si spera in riordinamenti
di strutture che garantiscano in certo qual
modo pace e giustizia. La caduta delle dittatu-
re, la decolonizzazione del Continente Nero,
dell’Asia Meridionale, a cominciare dalla Ri-
voluzione delle colonie inglesi del Nord
America. Si instaurano le nuove concezioni
del lavoro con prospettive di diffuso benesse-
re. L’uomo di oggi in tanta parte del mondo
trova nel lavoro le vie per affermare la sua
identità. Si divulgano i sistemi organizzativi
che comportano progressi nell’ambito dell’
alimentazione e della sanità pubblica. La tec-
nologia è in uno sviluppo continuo, a comin-
ciare dalla conquista dell’orbita terrestre negli
anni ’50 e ’60 del Novecento. Conquiste di
grande portata, trasformano il mondo intero
in tutti i settori, dalla chimica alla biologia,
alla medicina. Due grandi scienziati hanno ri-
vitalizzato l’Umanità Albert Sabin e Alexan-
der Fleming. Esempio straordinario di dedi-
zione per il bene dei sofferenti il volontariato
della Carità che inizia con Madre Teresa di
Calcutta. Inoltre vanno sottolineati: lo svilup-
po della scuola che ha avuto dimensioni in-
calcolabili; i movimenti del femminismo, al-
tro aspetto di grande evoluzione; il ritorno al
sacro che si fa molto sentito con l’ Ecumeni-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.30
smo cristiano; altro fenomeno sociale che
contribuisce ad avvicinare i popoli è dato dal-
la mondializzazione dell’informazione.
IX
Non potevamo non soffermarci sulle varie
argomentazioni trattate nell’opera storica di
Sabato Racioppi per poter rilevare la comple-
tezza e lo svolgimento metodico delle sue
parti in luce di sintesi e con acume intelletti-
vo. Ogni pagina rappresenta una sua ricchez-
za espositiva. Di capitolo in capitolo, dell’
opera si riconosce l’importanza che la rende
utile e valida come testo di studio ad alto li-
vello. La pubblicazione di Sabato Racioppi di
elevata grandezza per i profitti che si possono
trarre come strumento di apprendimento e di
informazione, per i suoi caratteri didascalici,
ma soprattutto come risultato di un lavoro
poderoso, condotto con perseverante impegno
di studioso sempre dedito a ricercare verità,
per l’entusiasmo che via ha profuso e per la
sentita doverosità di dare al pubblico dei let-
tori consapevolezze sui fatti sconvolgenti che
viviamo, rendendolo partecipe attento del no-
stro tempo.
Leonardo Selvaggi
SPICCHI DI SOLE
Spicchi di sole,
arance carnose
nelle tue gote.
Timidezza si libera,
palloncini ondeggiano
rincorrendo innocenza.
Papaveri sbocciano
tra aliti di vento
su mari di grano
cullati dal sole.
Luce negli occhi
m’infonde calore.
Sbocciano gioie
appena abbozzate.
Sorride la vita,
chiaroscuri cancella
mentre il cuculo
in solitudine canta
amori svaniti.
Colombo Conti Albano Laziale
L’ORA DEI SOGNI
Con un finale “Amen” si concludono
le preghiere della sera.
Spengo la luce e mi abbandono
all’abbraccio del cuscino
e delle coperte. E’ giunta
l’ora dei sogni.
Mariagina Bonciani Milano
PAS MÊME LA VIE
SI ELLE N’EST PARTAGEE
C’est le mien!
Tu l’affirmes avec force,
presque d’un air renfrogné.
De la possession tu as une conception absolue.
Tien le jouet de qui est à côté de toi,
qui joue avec toi et les autres enfants;
tiennes aussi les routes, les maisons;
tien le petit cheval dans le parc
sur lequel tu te balances;
tien l’entier manège public.
Tiens, naturellement, maman et papa,
la grand-mère et le grand-père;
si tu es avec l’un, tu chasses les autres, tu les
exclues.
Comment te faire comprendre que le mien
est bien avec le tien
le sien le nôtre le leur?
Joie pleine, la richesse?
Aucune chose n’est belle dans la vie,
pas même la vie si elle n’est partagée.
Domenico Defelice Pomezia, 27 Juillet 2012
in A RICCARDO (e agli altri che verranno) -
Traduction de Béatrice GAUDY
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.31
LA MIA LÈUCADE (Il viaggio tormentato di una
memoria che dal ventre della
terra cerca di proiettarsi in
mondi di onirica bellezza) di Nazario Pardini
O sempre in memoria le parole che
un poeta semisconosciuto francese
mi rivolse alla fiera del libro di Fran-
coforte nel lontano 1997 (Maurice Degas):
“Le poète c’est la mer et le fleuve”, il poeta è
mare e fiume. Mare perché vede in quell’
orizzonte lontano la possibilità di completare
la sua insufficienza. Fiume in quanto si sente
rappresentato in toto da quelle acque che
scorrono veloci verso un’immensità che
completa o annulla (contemplazione). Una vi-
sione eraclitea della vita e del tempo. In effet-
ti tutti e due si fanno simbologia dell’anima
poetica: il senso alfieriano (vedi “La vita”) di
una libertà che mai si concretizza in politica,
e il cui simbolo più aderente è quel piano az-
zurro (per Alfieri le ampie distese nordiche di
neve) nel quale i Romantici vedevano concre-
tizzate le loro aspirazioni vaghe e indetermi-
nate (vedi le pitture di Delacroix). E Lèucade
è l’isola che non è, e mai sarà. Rappresenta l’
aspirazione dell’uomo, la sua spinta verso il
plurale, la totalità; la sua attrazione naturale
verso il Cielo, in quanto essere mortale, im-
perfetto e miope, con una vista che mai potrà
appagare il suo desiderio di vedere lontano.
Quindi sta in questa spinta verso l’alto il cuo-
re della Poesia. La ricerca continua del Bello
assoluto; ciò che si fa e si sfa in continuazio-
ne. Niente c’è di compiuto, niente di perfetto,
tantomeno l’idea del Bello che l’uomo-poeta
ha: un divenire di contrapposizioni che gene-
rano verità relative. E tutto è relativo, ed è
proprio ciò a determinare spleen, inquietudi-
ne, saudade, nostos. È proprio nella sua natu-
ra questo miscuglio di terra e cielo. Il fatto sta
che il terreno tiene vincolato l’uomo alle sue
braccia. Mentre egli dovrebbe ambire alla
Natura. A quella pura, incontaminata, spec-
chio del supremo. Tutto è in fieri, in divenire,
e l’Arte in genere è alimentata da questo im-
pulso a superare la realtà cruda, anch’essa
imperfetta, e deficitaria, che ci dà la continua
conferma della nostra pochezza. Mi piace de-
finirla - la Poesia - quella parte di noi che più
si avvicina all’inarrivabile. Sì, all’ inarrivabi-
le; e finché avvertiremo questa voglia, questo
impulso, questa necessità di elevarsi, esisterà
anche il serbatoio della Poesia. Un traguardo
quindi inarrivabile anche perché non esiste
linguismo sufficiente a concretizzare questi
input emotivi che l’anima genera. Questa è
soprannaturale, venuta dall’alto e destinata
all’alto; il verbo è mortale, una semplice,
seppur complessa, creazione umana, e, come
tale, imperfetta; mai sufficiente a configurare
quegli slanci. Un tempo misi come sottotitolo
a Lèucade: “Il viaggio tormentato di una
memoria che dal ventre della terra cerca di
proiettarsi in mondi di onirica bellezza”. Poe-
sia è vita; il poeta è un uomo vivente in tutto
il corso del tempo (passato, presente e futu-
ro). E che cosa è la vita se non che la memo-
ria e il sogno. La memoria, dacché essa con-
serva le cose importanti, quelle che stanno a
cuore nel bene o nel male, e degne di restare;
la vera vita. Il sogno, perché è là che si rifugia
il poeta per ovviare alle sottrazioni del quoti-
diano. Ed è nel sogno che vede le realizza-
zioni della sua impotenza. Höldernin nove
anni prima di essere ricoverato in una clinica
per alienati mentali, chiede nella lirica Ipe-
rione o l’Eremita della Grecia, al “canto” che
sia per lui “rifugio amichevole”, affinché la
sua “anima, raminga e senza radici/ non sma-
nî di oltrepassare la vita” e divenga “luogo di
felicità (…) giardino curato con premuroso
amore,/ ove aggirandomi tra fiori in perenne
fioritura,/ in sicura semplicità io abbia dimo-
ra,/ mentre di fuori con tutto il suo ondeggia-
re/ il tempo possente, il tempo mutevole ru-
moreggia lontano”; e nell’elegia Pane e vino
invita tutti i poeti a unirsi in un’universale
fratellanza: “… e molto (buono) ascoltare dei
giorni d’amore,/ dei fatti che accaddero un
tempo/… Sono i poeti, a fondare quel che ri-
mane (Was bleibt aber stinte die Dichter)”.
H
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.32
Trovare la serenità là da dove siamo partiti è
forse il sistema migliore per calmare il disa-
gio che incontriamo misurandoci con il tem-
po e la morte, se non si vuole impazzire. E là
è il “giardino curato” di Höldernin. Che cosa
sia la poesia, poi, è certamente uno degli in-
terrogativi più annosi della storia dell’uomo.
La sola certezza comunque è che necessita,
volenti o nolenti, di realtà individuali, di sin-
gole esperienze, di vicissitudini ed emozioni
personali, per aprirsi dal memoriale all’im-
maginario, dalla vita al gran senso. Si fanno
avanti il sogno, la fantasia, la realtà che non
riescono comunque mai a liberarsi del tutto
dal bagaglio del memoriale che ci portiamo
dietro sempre più vago e nostalgico, vita
scampata all’oblio e per questo degna di esi-
stere. E quello che ci tormenta è proprio il
pensiero del suo destino. Chi lo affida ad una
fede religiosa, chi al puro sogno, chi ad una
fede poetica, e chi, laicamente, ad un’isola
quale potrebbe essere quella di Lèucade, ten-
tativo foscoliano come terapia al morbo del
dubbio.
E Lèucade rappresenta la purezza laica, la
bellezza, l’isola del- l’equilibrio classico, del-
la realizzazione del supremo su questa nostra
problematica terra; il tentativo di elevarci lai-
camente al sapore del durevole. Excursus
verso un mito futuro rappresentato già da
Ulisse che riprende la sua navigazione. Non è
soddisfatto di chiudere i suoi giorni nella sta-
ticità di un tramonto insulare. Riam- maina le
vele, impugna la scotta verso la demarcazione
delle colonne. Impennata laica in un contesto
medievale in cui primeggia la supremazia di
un Divino intoccabile e imperscrutabile per
chi tenta l’avventura umana.
Ed è qui che si raggiunge dopo il percorso
di una realtà settembrinamente idealizzata, e
melanconicamente vissuta, l’incontro con
l’apparizione metaforica delle Eumenidi nella
collocazione geografica del fiume paesano
trasferito nell’isola di Lèucade. Si chiede aiu-
to perfino a figure più o meno grandi che già
si sono imbattute colla visione infernale delle
tre donne, o col mito di Venere cipride o cite-
rea. Incontri laici, comunque, sia coll’epicu-
reismo di Lucrezio, sia col panteismo di Vir-
gilio che nel VII dell’Eneide incontra le Erin-
ni, sia con l’Ulisse di Dante, sia con le Grazie
del Foscolo che con l’Edipo del Niccolini:
Il ritorno di Ulisse
Qui tutto è sapido. Lo so! I profumi
dell’isola, il ginepro, la lavanda,
e tu che ho ritrovato. Ho sempre in mente
il volo urlato della procellaria.
Mi strappava la carne. Le sirene
misteriose e adescanti e io che immobile
all’albero maestro volli fendere
i nascondigli fitti del sapere,
i più vogliosi. È questa la mia isola.
Qui alla sera torna a dilatarsi
l’idea dei meriggi e il lungo andare.
E ancora estendo sguardi in lontananze
sperdute. Mi lasciarono nell’anima
crepata di salsedine le note
che tornano insolute. È sempre aperta
la sfida tra l’eterno e me che cerco
con gli occhi indolenziti quella luce
che mi soverchia. Ma stasera il mare
riporta chiare voci di Calipso
e di Circe. E il canto di una vergine
intenta al suo corredo.
Sento ancora la sua candida pelle
su me adusto di sale. Ritornare
era il mio sogno. Eppure condannati
siamo sempre dai gorghi della vita
che le spoglie depongono. Nell’anima
germinano e si fanno giganti al
calare. Ognuno tiene di Nausicaa
chiusa con sé nel fondo una sembianza
mai defilata. Ed ora salta fuori
e porta dietro ogni contorno d’anni
e di stagioni che non solo amore
significa, ma voglie e nostalgie
che trovano le vie le più nascoste
e avanti a noi si levano. La ciurma
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.33
è lì che attende. Ancora salperemo
oltre colonne, questa volta, mitiche
d’impedimento ai sogni. L’ora è giunta.
Se il mio destino vuole che ritorni
ai familiari usi ed ai barlumi
dell’isola agognata, porterò
con me più luminoso il cielo. Se
perire vorrà ch’io debba in mare
straboccante d’immenso sopra i limiti
del mio essere umano, perirà
assieme a me l’eterna primavera
di chi non sentì mai sopita in anima
la voglia del viaggio. Poi tornare
nuovi. O superbi spegnerci per via.
Il linguaggio stesso subisce un’evoluzione
di adeguatezza diacronica. Si insaporisce di
termini arcaici, tende sempre più alla plastici-
tà del distacco marmoreo. Ed è sullo scoglio
di Lèucade che si raggiunge il colmo di una
scalata lirica che permette sia la dimenticanza
degli affanni esistenziali, la ripulitura per così
dire del vissuto, che l’amore del tutto, ora
veduto con altra dimensione umana, direi
quasi ebrietudine dell’immagine che si fa
poesia. La circolarità si compie nei canti ar-
caici. Dove tutto un mondo amato, in cui, se-
condo me, immensi erano i presupposti im-
maginativi e creativi, irripetibili per liricità
poetica, dipana una visione superlativa di
amor vitae che si fa plenitudine di canto e di
filosofia laica dell’esistenza. Un’isola mitica
e magica, irrealmente reale; un’isola a cui tut-
ti i poeti sentono il bisogno di approdare; e
non mi prendete per narciso se vi propongo
un pezzo nato proprio dalla voglia di appro-
dare a Lèucade:
Fuga da settembre
E furono le Eumenidi a portarmi
dove non vi è stagione. Ventilava
zefiro eterno l’isola di Lèucade
eternamente dolce nel respiro
di lavanda e di timo. “Dallo scoglio”
mi dissero “Ove siedi ad osservare
gli ampi spazi del mare ricamato
da sciami di gabbiani, si gettavano
gli sfortunati umani per disperdere
reminiscenze estreme. Ed anche Venere
restò meravigliata nel sentirsi
serena dopo il volo. Gli infelici
a Lèucade accorrevano
dai più lontani luoghi. Preparavano
con offerte ad Apollo e sacrifici
la loro prova. Ed erano sicuri
coll’aiuto del dio di sopravvivere
all’eccelsa caduta. Proprio qui,
dove tu siedi, stette il piede tenero
dell’infelice Saffo che Faone
abbandonò. Nel cielo di quest’isola,
lucido ed armonioso, riscontrava
solo dolore; andava su altre sponde
dove il mare violento tormentava
gli scogli dissestati per rivivere
il suo triste destino. Dalla cima,
sfiorata dalle mani
della dimenticanza, si gettò
in quest’onde fatali. Ed Artemisia
regina della Caria ed altre ancora
raggiunsero la meta, ma scambiando
la vita con la morte.” “Mi sovviene
il mio settembre tanto logorante
nei palpiti di umana inconsistenza,
nei flebili lamenti di esistenza,
nei pallidi scolori di tristezza
di un borbottio leggero di rumori
quasi alla fine. Ma non so se vale
di più restare immoti nella stasi
di un eterno sereno che provare
il dolce senso del dolore umano.”
“Proprio il poeta, diciamo di Nicostrato,
gettandosi dall’alto della rupe
non lasciò col patire
il respiro di vita. Forse il dio
volle che poesia perpetrasse, dopo il salto,
il suo divino suono. Ci chiediamo
se più grande pacato che in tormento
come da scoglio umano.” Ed io fuggii
scabro settembre, mese addolorato,
dal sangue che si sperde in ogni dove
dell’ultimo respiro della vita.
Io ti lasciai e un salto nelle oniriche
acque di Lèucade non mi concesse
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.34
morte né oblio, ma solo la ricchezza
d’immagini feconde rivissute
da un’anima al di sopra delle povere
storie del giorno. E ti rivissi, vita,
con un sentire lieve e tanto amato
che in ogni fatto lieto o meno lieto,
ma scampato, vidi un superbo dono.
Nazario Pardini
SUONI ATTUTITI
Ballata cittadina:
suoni attutiti dietro imposte chiuse;
con note in disaccordo
che aggregano il rombare di motori
al pianto di un neonato,
a frasi pronunciate dai passanti.
Accordi abituali,
talvolta uniti al canto degli uccelli,
diretti ai loro nidi
costruiti sugli alberi dei viali.
Sonoro sottofondo
che si alterna al silenzio nelle case
e colma i nostri giorni.
Elisabetta Di Iaconi Roma
FARFALLA NELL’ARIA
La faccia adolescente genuina
ha le lentiggini sulla delicata pelle.
Tutta la primavera si diffonde,
tutto l’azzurro è trapuntato
dal giro delle farfalle.
L’eterna fidanzata nel silenzio
sopra le brame del cuore.
La sua persona
s’estende per la piccola stanza,
le vesti sono un velo
sul calore del corpo vaporoso.
La raccolta delle delizie nel canestro felice.
Nel nido di piume
il flessibile groppo di carne si prende.
Scoperto l’ovale candido:
la profondità delle curve
la purezza lineare di un giunco,
il fiore dei ricordi.
I petali aperti, assaporati entro il calice,
sugli steli gocce di latte, braccia verdi.
Sei rimasta lì, ferma
con presenza ossificata,
oltre gli anni e i luoghi diversi
nell’aria del paese
nell’ardore drammatico della giovinezza.
Ti ho voluto lasciare intatta
figura nella gloria del sogno
e delle illusioni, al crepuscolo
nei rintocchi delle campane,
quando l’aria si oscura lentamente
e ci si sgretola con le cose.
Leonardo Selvaggi Torino
CIELO CELESTE
ATTRAVERSO I VETRI
Cielo celeste attraverso i vetri
e trasognate grida di gallo
in lontananza; un autocarro
romba nel polverone.
Ogni mattino è un sole di speranza
Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)
È in uscita
CLAUDIA TRIMARCHI
LA FUNZIONE
CATARTICA
E RIGENERATRICE
DELLA POESIA
IN DOMENICO DEFELICE
Il Convivio Editore
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.35
LAURA PIRDICCHI
OLTRE di Tito Cauchi
AURA Pierdicchi è nata a Venezia e
vive a Mestre, ha al suo attivo un’ in-
tensa partecipazione a eventi culturali;
è presente in molte riviste letterarie come
saggista e oggetto di recensione; ha pubblica-
to tredici libri, tra cui Oltre, di cui ci occupe-
remo.
Sandro Gros-Pietro, l’editore, nella prefa-
zione indica due fili rossi uno riguarda “la
nozione inafferrabile del tempo” o il “non
tempo”, in cui i ricordi sono in continua me-
scolanza perché la Poetessa riesca a leggersi
diversificandosi; così che l’oltre del titolo
debba essere interpretato come modo nuovo
di leggere la realtà secondo la fantasia e non
secondo la materia. L’altro filo rosso riguarda
l’amore verso il marito pittore Franco Rosset-
to, con il quale ha condiviso un’intesa cultu-
rale durata cinquant’anni. Altresì avverte che
l’elemento autobiografico non è invasivo, né
egotico “ma piuttosto propositivo di temati-
che che investono l’universalità dei fenomeni
e delle persone.”; la Poetessa con onestà alza
un canto d’amore all’uomo eletto compagno
della sua vita, e in questo si annovera tra le
migliori poetesse italiane contemporanee.
La raccolta non poteva che essere dedicata
al marito, Franco, del quale cita un pensiero
del 1962, “Amo il mondo più del mondo per-
ché è un’amara gioia”. Le pagine non ripor-
tano titoli; i versi vergati possono essere inte-
si come frammenti di un discorso unico, sen-
za costruzione prefabbricata, diciamo un mo-
nologo o una lunga confidenza. Le riprodu-
zioni artistiche sono di K. B. Rossetto; tre ci-
tazioni di Emily Dickinson aprono, chiudono
e costituiscono il corpo della silloge.
Un brano d’apertura cita “Ora accompagno
la tua solitudine/ per riempire il baratro che
incombe.” I pensieri della Donna sono rivolti
al marito assente, al quale descrive i suoi stati
d’animo; non c’è né un prima, né un dopo.
Gli parla delle emozioni, delle percezioni che
ha del mondo esterno, interiorizzate: tutte le
cose le parlano di lui. Alterna ricordi, evoca i
momenti più delicati, più belli, la loro com-
plicità. Sono attimi fermati ed eterni nel con-
tempo, oltre la dimensione temporale, ma an-
che i più tristi di cui non riesce scrollarsi: “Ti
hanno messo il vestito migliore/ per sposarti
con fuoco-/ le fiamme hanno danzato/ sulla
tua carne fredda” (pag. 24).
Momenti di vita vissuti insieme a contem-
plare le bellezze del mondo, come un campa-
nile, la luna, il mare. Comprende da se stessa
di avere tanti pensieri che si intrecciano ma
non in un ingarbuglio; anzi si intrecciano in
una storia d’amore, ricca che non sai da dove
cominciare a raccontare; ti rimane il sogno
della notte per goderne della bellezza, per vi-
verne gli istanti, tutti. Adesso cancellati. Si
sveglia la donna che è in lei, la sua umanità, il
suo bisogno di sentire la presenza di lui. Il
suo spirito invoca lo spirito dell’altro, ne av-
verte l’alito, il calore; in uno sforzo oltre i li-
miti umani fisici, sente materializzarsi i due
spiriti, sino ad avvertirne il contatto.
L
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.36
Laura Pierdicchi è consapevole che si tratta
di mera illusione, perciò rimane con un tonfo
dentro allo stomaco: “Lo so che non paga/
sposare il martirio-/ che tutto e niente tra-
scorre./ (…)/ Lo so/ ma ignoro l’antidoto.”
(pag. 45). La Poetessa, nel palcoscenico della
vita immaginato, assume una finzione per ce-
lare il dolore che ha dentro, costruisce un
“non tempo”. Ho apprezzato la semplicità
espressiva di una storia d’amore, qui racchiu-
sa: “Eravamo sconosciuti/ quando incontrai
il tuo occhio/ fisso sul mio/ nel consueto bus
giornaliero// Non ero ancora maggiorenne/
ma già ti attendevo/ per un vuoto da colma-
re// Sceso alla mia fermata/ mi hai fermato/ e
per mezzo secolo/ sei stato lo scopo del risve-
glio.” (pag. 58).
Ho sorvolato sui versi più dolci, preferendo
quelli meno aulici come ‘groviglio, catene in-
crociate, catena di cause e di effetti’, che re-
stituiscono una dimensione umana. Non in-
dugio sul l’accostamento alle grandi poetesse
contemporanee, in quanto mi dà l’ impressio-
ne di una poesia cosiddetta al femminile. Io
penso che la poesia di Laura Pierdicchi vada
oltre tale cesellatura, la sua è poesia che può
essere coniugata tanto al maschile, tanto
come poesia degli affetti verso i genitori o af-
fetti filiali, se non addirittura Poesia d’ Amo-
re, sic et simpliciter. Preferisco concludere
con la chiusa della raccolta: “Quando la sete/
trova l’acqua nel deserto// è copula astrale.”,
che mi richiama i quattro elementi della vita
(acqua, terra, aria, e il fuoco d’amore).
Tito Cauchi LAURA PIRDICCHI, OLTRE, Genesi Editrice, Torino 2016, Pagg. 88, € 14,00
AL CIELO
Mi tieni per mano
levità, cielo;
m’inazzurri gli occhi
e germogli sul capo.
Cielo, riva sterminata
del cielo che s’incrina,
di spazi che adombrano.
Innanzi a te
tutto rimpicciolisce
e quasi muore.
Cielo, vertice
del murato carcere,
la vita.
Rocco Cambareri Da Da lontano, ed. Le Petit Moineau, 1970
FARFALLA ODISSEA
S’adagia sulla luna
una farfalla odissea:
si dilunga la Terra.
E un soffice altalenare
rapisce a celesti continenti,
alba d’un nuovo fuggire.
Saremo tatuati d’azzurro,
il nostro petto
recherà stemmi solari
e luci astrali attingeremo.
Ma il guscio della sfera
gravita sul cuore.
Quale nocchiero tesserà
corone di mani intrecciate?
Rocco Cambareri Da Da Lontano, ed. Le Petit Moineau, 1970
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.37
Sull’IRRIDUCIBILITÀ
DEL POETICO di Susanna Pelizza
A Poesia può di nuovo intervenire
nell’uniformità mediatica, separando i
vari saperi. Per cui se tutto fa parte di
un sapere collettivo è pur tuttavia giusto, dif-
ferenziarne le varie attività dello spirito, come
la filosofia, la prosa, la cronaca, il teatro, la
musica, e in ultimo la Poesia.
In che cosa si differenzia la Poesia dalle al-
tre arti? La Poesia è un processo culturale nel
senso che la sua struttura trasmette “rimandi”
che la rendono “irriducibile” a qualsiasi omo-
logazione. Il suo senso non può essere “spet-
tacolarizzato”, manifesta una sua irriducibilità
e particolarità, nel suo essere conforme a un
principio di cultura. La Poesia non ci aiuta a
vedere meglio la realtà: c’è per questo la Fi-
losofia e la Psicanalisi. La lirica, invece, ci
aiuta a vedere meglio la cultura. Ci educa e ci
istruisce su un “senso” che diventa il Senso
Universale di un sapere comune e condiviso
per cui se nella mia poesia rivisito il “tanto
caro mi fu questo ermo colle”, la “spazialità
del rimando”, il senhal arricchisce il mio sa-
pere, con la ripresa non spettacolarizzata e
non soggetta alla trasfusione mediatica, quin-
di con il “risveglio di un luogo letterario as-
sopito”.
La poesia esistenziale si differenzia dalla
poesia culturale: la prima produce sensazioni,
come una “melodiosa canzonetta cabarettisti-
ca”, l’altra spazia il nostro intelletto come un
enigma del cruciverba. La poesia esistenziale
può imperniarsi di contenuti cabarettistici può
produrre una fusione tra psicanalisi e filoso-
fia, spettacolo, musica, può essere malleabile
come creta e riducibile a qualsiasi procedi-
mento di omologazione in corso, può essere
colloquiale e vicina alla prosa, soggetta a
qualsiasi trasformazione. Molta poesia esi-
stenziale non si distingue dal puro fatto di
cronaca, dal linguaggio comune e occasionale
del quotidiano. La poesia culturale manifesta
una sua particolare irriducibilità che sta nel
“trasmettere cultura”, si distingue, quindi, con
l’imprescindibilità di un senso che sta al di là
delle nostri più comuni ed equivoche opinio-
ni.
Susanna Pelizza
D. Defelice: Tre vasi (biro e pastello, 1981)
In fase di stampa presso le Edizioni EVA:
AURORA DE LUCA
ASPRA TERRA E
CREAZIONE FERTILE
NELL’OPERA DI
DOMENICO DEFELICE
L
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.38
Comunicato STAMPA
XXVI Edizione
CITTÀ DI POMEZIA
L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fra-
telli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM) - Tel.
06 9112113 – E-Mail: defelice. [email protected] - internet: http://issuu.com/domenicoww/docs/
- organizza, per l’anno 2016, la XXVI Edi-
zione del Premio Letterario Internazionale
CITTÀ DI POMEZIA, suddiviso nelle se-
guenti sezioni :
A - Raccolta di poesie (max 500 vv.), da in-
viare fascicolata e con titolo, pena esclusione.
Se è possibile, inviare, assieme alla copia car-
tacea, anche il CD;
B - Poesia singola (max 35 vv.) ;
C – Poesia in vernacolo (max 35 vv.), con al-
legata versione in lingua;
D - Racconto, o novella (max 6 cartelle. Per
cartella si intende un foglio battuto a macchi-
na – o computer - da 30 righe per 60 battute
per riga, per un totale di 1800 battute. Se è
possibile, inviare, accanto alla copia cartacea,
anche il CD);
E – Fiaba (max 6 cartelle, c. s., lettera D);
F – Saggio critico (max 6 cartelle, c. s.).
Non possono partecipare alla stessa sezione
i vincitori (i Primi classificati) delle trascorse
Edizioni.
Le opere (non manoscritte, pena l’ esclu-
sione), inedite e mai premiate, con firma, in-
dirizzo chiaro dell’autore e dichiarazione di
autenticità, devono pervenire a Domenico
Defelice – via Fratelli Bandiera 6 - 00040
POMEZIA (RM) - e in unica copia - entro e
non oltre il 31 maggio 2016.
Le opere straniere devono essere accompa-
gnate da una traduzione in lingua italiana.
Ad ogni autore, che può partecipare a una
sola sezione e allegare un breve curriculum di
non oltre dieci righe, è richiesto un contributo
di 20 Euro per la sezione A e 10 Euro per le
altre sezioni, in contanti assieme agli elabora-
ti (ma non si risponde di eventuali disguidi) o
da versare sul c. c. p. N° 43585009 intestato
a :Domenico Defelice - via Fratelli Bandie-
ra 6 - 00040 Pomezia (RM). Le quote sono in
euro anche per gli autori stranieri. Sono
esclusi dal contributo i minori di anni 18 (au-
tocertificazione secondo Legge Bassanini).
Non è prevista cerimonia di premiazione e
l’operato della Commissione di Lettura della
Rivista è insindacabile. I Premi consistono
nella sola pubblicazione dei lavori.
All’unico vincitore della Sezione A verran-
no consegnate 20 copie del Quaderno Lettera-
rio Il Croco (supplemento di Pomezia- Noti-
zie), sul quale sarà pubblicata gratuitamente
la sua opera. Tutte le altre copie verranno di-
stribuite gratuitamente, a lettori e collaborato-
ri, allegando il fascicolo al numero della Ri-
vista (presumibilmente quello di ottobre
2016). Sui successivi numeri (che l’autore ri-
ceverà solo se abbonato) saranno ospitate le
eventuali note critiche e le recensioni.
Ai vincitori delle sezioni B, C, D, E, F e ai
secondi classificati per ciascuna sezione, verrà
inviata copia della Rivista - o del Quaderno
Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro.
Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero
scadenti, la Commissione di Lettura può deci-
dere anche la non assegnazione del premio.
La mancata osservazione, anche parziale,
del presente regolamento comporta l’ auto-
matica esclusione. Foro competente è quello
di Roma.
Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di P. -N.
Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edi-
zioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Et-
tore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabel-li:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò;
Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli (USA):
Canti del ritorno; Solange De Bressieux (Francia): Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Iti-
nerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di
Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la
memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Gio-
vanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi
Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho
scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amo-re; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca
Gernetti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Ma-
scara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Na-zario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorel-
lo: Voglio silenzio; Isabella Michela Affinito: Pro-
babilmente sarà poesia.
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.39
I POETI E LA NATURA - 54
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
“La chitarra” di
Federico Garcia Lorca
(1898-1936)
Con Garcia Lorca ci affacciamo (anche se so-
lo per un attimo) sul fiorito mondo della Poe-
sia Spagnola.
Il nome completo del poeta spagnolo era
Federico del Sagrado Corazòn de Jesus Gar-
cia Lorca. Ma qui lo chiameremo solo col co-
gnome. E ricorderemo che era non solo poeta
ma anche scrittore, intellettuale, drammatur-
go; anzi, era anche pianista, libero pensatore e
disegnatore, con spiccato interesse, oltre che
per la poesia, per la pittura e per il cinema.
Sono infatti noti i suoi rapporti con Salvador
Dalì, Juan Ramòn Jimènez, Pablo Neruda,
Luis Bunuel. Nonché la sua appartenenza al
Gruppo Generazione del '27. La sua eclettici-
tà e poliedricità fa sì che le sue opere rappre-
sentino punti d'arrivo importanti non solo per
la letteratura spagnola, ma anche per quella
mondiale.
Tra le sue opere sono molto note Romance-
ro Gitano, Yerma, Nozze di sangue, Mariana
Pineda, La casa di Bernarda Alba. Forse il
suo capolavoro è Poeta en Nueva York, scrit-
to dopo un soggiorno alla Columbia Univer-
sity, negli Stati Uniti.
Garcia Lorca ha cantato con inesausta pas-
sione la vita, l'amore, la morte, le piante, gli
agenti atmosferici, il Paesaggio esteriore e in-
teriore, pescando a piene mani nella Natura le
sue immagini originali e affascinanti sui fiori,
la terra e la sabbia, il mare, la felicità e il san-
gue, il cuore paragonato ad un'isola nel mare
della solitudine, il cielo infinito a coprire pie-
tosamente la grande tragedia della vita uma-
na. Dopo una vita infelice a causa di una for-
tissima depressione che lo aveva colpito per
la sua omosessualità, ebbe una morte violenta
e prematura, a soli 38 anni. Perché si era
schierato a favore della Spagna repubblicana.
Ed in quanto “ di sinistra, omosessuale e
massone” fu, infatti, assassinato da apparte-
nenti allo schieramento vicino al futuro Ditta-
tore della Spagna Francisco Franco, subito
dopo il golpe e la presa del potere. Aveva
quasi prevista una propria morte imminente e
“pubblica”, quando aveva scritto:
“...Cuando yo me muera
enterradme bajo la rena
en una veleta...”
Naturalmente, da buon poeta, e per giunta
spagnolo, non avrebbe potuto non amare la
musica dello strumento nazionale, la chitarra.
E proprio alla chitarra aveva dedicato una
delle sue liriche, condensando voci della Na-
tura e voci di un cuore desolato:
“ Incomincia il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell'alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
E' inutile
farla tacere.
E' impossibile
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.40
farla tacere.
Piange monotona
come piange l'acqua
come piange il vento
sulla neve.
E' impossibile
farla tacere.
Piange per cose lontane.
Arena del caldo Meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio
la sera senza domani
e il primo uccello morto
sul ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
da cinque spade.”
Luigi De Rosa
VAGHE FIGURE
Come folgorazioni,
che all’improvviso brillano nel cielo,
vaghe figure vanno
a rifugiarsi in attimi di tempo.
Volti dimenticati?
Fisionomie riemerse dall’inconscio?
O sogni frantumati?
Rimaste nei circuiti della mente,
affiorano ogni tanto
e accrescono il mistero della vita.
Elisabetta Di Iaconi Roma
DISPERSO
Lo sguardo alzò dall’orizzonte lo sperduto,
come se chiedesse aiuto,
come se fosse muto.
Lo sperduto correva, camminava, strisciava,
scappava da qualcosa,
qualcosa d’arrabbiato,
nella sua mente costipato:
ritrovarsi all’orizzonte immobile, svuotato.
Carlo Trimarchi Frascati (RM)
Recensioni
BOZZETTI MARIA RITA
L’ALTRO REGNO
Edizioni Polistampa, Firenze, 2015, € 7,00
Un profondo amore per gli animali, da lei sentiti
come esseri a noi vicini nel comune destino del na-
scere e del morire e capaci come noi di sofferenza, è ciò che ha mosso Maria Rita Bozzetti a scrivere
le poesie de L’altro regno, da poco apparse presso
le Edizioni Polistampa di Firenze. In particolare questa poetessa ama i gatti, per i
quali prova una forte attrazione, come avvenne per
Caterina, “una gatta senza particolari pretese di bel-lezza”, una randagia, che però sapeva comprendere
“quanto di falso e di duro / si nasconda nel cuore
umano” e leggervi anche quanto vi sia di oscuro. Scappava a volte, allontanandosi su vie misteriose,
“come un figlio che tenta l’avventura”; ma poi fa-
ceva ritorno e accorreva al richiamo della sua ami-ca, incrociando fidente il suo sguardo.
Difficile era addomesticarla, trasformandola “da
randagia a gatta con padrone”, abituarla ad avere una stabile dimora. Aveva un sonno agitato, anima-
to da “miagolii muti” e “moti involontari”. Talora
sonnecchiava “vigile, in attesa”; ma alla sua amica il guardarla dava come un senso di tranquillità;
quasi l’emozione di sentirsi “in rocciosa apparte-
nenza al mare della vita”. Oltre a Caterina però la Bozzetti ama anche altri
animali, come le rondini, di cui avverte la presenza
allorché “Sfreccia un garrito / e poi si apre a corolla / in voli e canti divisi”; così come ama una picciona
che cova e sembra indifferente a ogni richiamo,
“immolata / ad un destino più grande, / quello di
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dare vita ai suoi figli” o come ama i gabbiani, il cui
volare è “ forza che trasforma l’inerte azzurro / in
acrobatica pista per supreme picchiate” e persino lo scarafaggio, “brutto magari buono”.
E poi c’è Car, il trovatello che ha fatto compagnia
alla sua padrona per otto lunghi anni, fedele come sanno esserlo i cani, sempre in attesa di un suo
sguardo o di una sua carezza.
Ciò che meglio la Bozzetti coglie negli animali è la sofferenza nella lotta per la vita; una sofferenza
che ella cerca di alleviare offrendo ai suoi amici ci-
bo e affettuosa simpatia: “Ho visto la rossa coda / dietro una pallina bianca / in fuga dentro un tubo di
fognatura: / ho conosciuto il tuo lamento” (Gatti-
no); “Il mio richiamo, / un verso delicato sussurrato / quasi una carezza trascinata dalla voce, / ti ha in-
cantato oltre lo steccato della paura” (Il mio ri-
chiamo); “Tardi sono venuta / per sfamarti: / già la sera imbrigliava la vista / … / ho incrociato il tuo
cucciolo sguardo” (Tardi).
La parola della Bozzetti è sempre limpida e netta; procede con naturalezza, ma ha accensioni improv-
vise se più intensa è l’emozione che la muove:
“Anche oggi mi hai aspettato. / E’ consueta la sera /
e su sponde diverse fissa l’incontro” (Sempre …
micino); “Quegli occhi piccoli che grande / vedono il futuro nel mio sguardo” (Il musetto); “Forse oggi
prenderà il volo / il piccolo colombo nato sul mio
balcone” (Piccolo colombo). Racconta l’autrice in alcune pagine poste a con-
clusione della raccolta che l’ha spinta a scrivere
queste poesie “un desiderio sempre più forte di sta-re vicino a questi inquilini del mondo, di sentirne il
respiro, cercare di capire il (loro) modo di essere”.
E a sua volta Franco Manescalchi nella sua puntua-
le presentazione del libro osserva che “Qui sono re-
gistrati attimi di vita che, concatenati, danno luogo
allo svolgersi della vita sotto lo sguardo attento del-la poetessa che si immedesima in quel mondo fino
alla ricomposizione creaturale”.
Invero ciò che maggiormente s’avverte in queste pagine è il grande amore per la vita, che le pervade
e che trova la sua più compiuta espressione spe-
cialmente in alcune poesie poste verso la fine della raccolta, come Avanza la vita, che ha questo incipit:
“Avanza la vita e sfonda / perimetri tranquilli e li-
miti precisi, / e nel caos riprende spazio e tempo”;
Parlare nel silenzio, che termina con un verso al-
tamente positivo e vitale: “di un segno forte di vi-
ta”; L’amore per un diverso, l’ultima poesia della silloge, dove si parla di “provvidenza di vita” e che
così si conclude: “Amore è la tua presenza / che è
logos del mio tempo / come artefice di pensieri / in slancio di vetta infinita”.
E’ questo il messaggio che Maria Rita Bozzetti ci
manda; un messaggio nobile e schietto; certamente
degno di trovare l’ascolto e il consenso dei suoi let-
tori.
Elio Andriuoli
FILOMENA IOVINELLA
ODI IMPETUOSE Il Croco/ Pomezia-Notizie, Febbraio 2016
Filomena Iovinella nativa di Frattamaggiore
(Napoli, 1969), risiede a Torino sposa e madre. Di formazione tecnico-commerciale, svolge l’attività
professionale amministrativo-contabile; si dedica
agli studi filosofici e alle sue passioni artistiche (musica e cinema). In particolare la sua passione
più intima è la poesia, con la quale ha conseguito
buoni risultati come dimostra la raccolta Odi im-petuose, vincitrice del 2° Premio Città di Pomezia
2015.
Su questa silloge Domenico Defelice evidenzia “Un io sdoppiato che duella con se stesso” già fin
dal titolo che si lascia modellare in “odi impietuo-
se” senza con ciò alterarne il contenuto; un conte-
nuto, si badi, dalle mutevoli sfaccettature poiché
solletica in modi diversi la sensibilità dei lettori. La stessa Poetessa nella prefazione chiarisce che le sue
Odi sono come l’aria che respiriamo e che ci parla-
no da un “palcoscenico”. La silloge apre con l’eponima che mi sembra un
concentrato di sensi e controsensi, fantasia e con-
sapevolezza; qui come altrove, procede in stato di ansia e di attesa ed è presente il refrain dove l’ ar-
gomento viene ripreso e variamente modulato tra
sogno e realtà: “Le porterò con me queste fiamme,
universo/ (…)/ muovermi mi fai sulle tavole da
palcoscenico/ (…)/ recito, sento, affogo la voce/
lascio triplicare nell’aria l’alone misterioso/ delle deliziose e impetuose odi di cuore, il mio/ Le por-
terò con me queste fiamme, universo.”
La ode occupa tutti i pensieri di Filomena Iovi-nella, segnandone la vita, la gioia e il tormento. In
altre parole la Poetessa leva un’ode all’ode stessa,
si apre e si chiude ad essa, si apre e si chiude al mondo; credo che nel suo mondo immaginifico si
confondano sentimenti dell’essere e del non esse-
re, superando la materia e divenendo solo spirito,
forse anche alla ricerca di un chiarimento. Con un
pizzico di compiacimento si abbandona al senti-
mento che la pervade: “sono stata felice di averti incontrata, ode/ si muove il mondo tra la gente
che non sa di me/ si ferma la mente nel mio micro
mondo/ tra la gente che sa di me.” (pag. 11). Ed è così che preferisco immaginarla.
Tito Cauchi
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.42
ANNAVINCITORIO
BAMBINI 2° Premio Città di Pomezia 2015 - Ediz. Il Croco/ Pomezia-Notizie Gennaio 2016
Bambini è raccolta pubblicata nell’agile quader-no di sedici pagine, risultata vincitrice del 2°
Premio Città di Pomezia 2015. Autrice ne è Anna
Vincitorio, poetessa napoletana vissuta quasi sempre a Firenze che per formazione di studi ha
insegnato materie giuridiche; vanta la pubblica-
zione di una ventina di volumi poetici, oltre che di saggi critici e traduzioni.
Domenico Defelice nella presentazione, riferi-
sce dell’immagine del piccolo naufrago trasporta-to a riva “con maglietta rossa e jeans” che ha fatto
il giro del mondo, giorni e giorni, commentando
che è “Un autentico sfacelo umano, al quale la Vincitorio impronta anche lo stile, con versi brevi
e lacerati, spesso atoni, una punteggiatura volu-
tamente scarsa, asfittica, dove a mancare è spe-cialmente il punto fermo per dare il senso del sof-
focamento”.
Bambini è chiaramente ispirata alle giovanis-
sime vittime soprattutto dei nostri tempi: uccisi,
brutalizzati, commercializzati; o che imbraccia-no armi pesanti o schiavizzati nei campi di lavo-
ro, anche in Italia. Nella loro vita non c’è alcun
peluche, non una festa, nessun gioco fra i prati fioriti, nessuno spettacolo goduto della natura,
nessun abbraccio: vita e morte sono fuse. La
Poetessa rivolta al ‘Bambino in guerra’ com-menta: “Non vi stringono al seno,/ orfano il
corpo,/ conche vuote le mani”. Contrastano i re-
portage che spesso portano lustro e denaro solo
agli autori.
Anna Vincitorio ha attinto nelle cronache, pur-
troppo divenute giornaliere, facendo rivivere le tragedie di cui s’è detto sopra. Il premio assegnato
ha scorto pregi nascosti confermando la presenza
di coscienze dormienti; tuttavia credo che rischi di porsi tra cronaca e retorica, poiché i notiziari ne
sono pieni. Nondimeno merita di essere ricordato
il piccolo siriano di tre anni Aylan Kurdi, portato alla deriva sulla costa turca il 3 settembre 2015,
come un minuto relitto che solo la pietà del solda-
to che lo ha preso in braccio, lo ha consegnato alla
dimensione umana; né va dimenticato il fratellino
Galp Kurdi di cinque anni, che lo ha seguito nella
tragedia. Ulteriori commenti rischierebbero di farci avvitare inutilmente. Conclude bene la rac-
colta: “Per queste ali d’angelo recise/ non baste-
rebbe il mare/ Solo pietà rimane/ alle sue spon-de”.
Tito Cauchi
ZHANG ZHI & LAI TINGJIE
WORLD POETRY Yearbook 2014 (263 Poets, 100 Countries and Areas)
Editors in chief Zhang Zhi & Lai Tingjie, P. R.
China 2015, Pagg. 430, USD 60.00, € 50.00
Da qualche anno vede la luce l’Annuario Mon-
diale della Poesia (l’antologia World Poetry) stampato in Cina per iniziativa di Zhang Zhi e Lai
Tingjie, importanti poeti e critici cinesi, presenti
entrambi in questo Yearbook 2014, ottimamente strutturato. Essi hanno un curriculum di tutto ri-
spetto, con numerose opere e la presenza in molte
antologie; accademici di istituzioni letterarie e scientifiche internazionali; sono tradotti in varie
lingue e presenti in molte antologie.
Precisamente Zhang Zhi è nato nel 1965, in Phoenix Town of Baxian County, Sichuan, ha as-
sunto il nome in inglese di Arthur Zhang e per le
sue composizioni usa lo pseudonimo di Diablo; laureato in Lettere ha svolto varie professioni; è
presidente della International Poetry Translation and Research Centre (IPTRC); editore di The
World Poets Quartely (multilingua). Lai Tingjie è
nato nel 1970 in Maoming, Guangdong Province, “calligrapher and musician in contemporary Chi-
na”.
Fra i membri della redazione riconosco i se-guenti autori-poeti, noti ai lettori di Pomezia-
Notizie, come: Adolf P. Shvedchikov (Russia),
Giovanni Campisi (Italia), Nadia-Cella Pop (Ro-mania), R. K. Singh (India), Teresinka Pereira
(brasiliana residente negli USA), Zacharoula Gai-
tanaki (Grecia).
I poeti antologizzati sono presenti con una foto,
un breve curriculum e alcuni componimenti. Gli
italiani inseriti sono: Alberto Rizzi, Anna Maria Bracale Ceruti, Corrado Calabrò, Domenico Defe-
lice, Elio Andriuoli, Francesco Manna, Lidia
Chiarelli, Raffaele Ragone, Tito Cauchi. Le antologie hanno il merito di disporre di un
ventaglio di autori che si mettono a confronto,
ciascuno nella sua dimensione poetica, offrendo così il panorama culturale e il fermento spirituale
di un gruppo variamente identificato per apparte-
nenza ad un’epoca o ad un’area geografica. A
maggior ragione la World Poetry Yearbook 2014
riunisce sotto lo stesso cielo tutti i poeti del mon-
do, facendoci sentire cittadini cosmopoliti e rea-lizzando l’ambizioso progetto di fare sentire fra
gli uomini la fratellanza e la pace. Zhang Zhi e
Lai Tingjie sono encomiabili divulgatori che me-ritano tutto il sostegno.
Tito Cauchi
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.43
EMILIA BISESTI
PAGINE ERRANTI Genesi Editrice, Torino 2015, Pagg. 64, € 10,50
Emilia Bisesti originaria di Roma (nata nel 1967),
è sposa e madre di due figli, è innamorata della vi-cina città di Pomezia, sì da essere presenza attiva da
venticinque anni, nella Associazione Coloni di Po-
mezia; in questa, promuove la mostra d’arte “Ani-me oltre l’Autismo” in collaborazione con il figlio
Davide, autore dell’immagine di copertina. L’ Au-
trice spiega che le sue Pagine erranti risentono del-la “effimera esistenza marcata da malanni, turba-
menti e speranze stroncate a metà”.
Sandro Gros-Pietro, l’editore, giudica multiforme la poesia della Nostra, il cui viaggio interiore com-
prende gli affetti familiari entro la cornice della na-
tura nel segno di una devozione al Creatore e del culto della città di Pomezia, ricordando le fatiche
dei coloni fondatori (nel 1938).
Domenico Defelice, nella prefazione, evidenzia nella Poetessa “intima vena di dolore e pessimi-
smo” che non riesce a superare avendone realisti-
camente motivo, richiamando la piccola Klara co-
stretta a vivere sulla sedia a rotelle, del celebre ro-
manzo di Johanna Spyri, vicenda resa più nota dalla serie televisiva Heidi dove viene detto che la Fede
può smuovere gli ostacoli.
Emilia Bisesti è sfiduciata, nondimeno le sue evocazioni della natura riflettono religiosità, così
riversa il suo amore nella famiglia e nell’umanità
intera. Ella ha molto da dire, sì che le poesie scor-rono lunghe e polisillabe, come un fiume dalle am-
pie anse. Significativa mi sembra la poesia d’ aper-
tura; le due strofe di inizio e di chiusura, ci dicono:
“Le prime brezze di Novembre/ son tornate un’altra
vota/ ed il vuoto nell’anima/ mi consuma a poco a
poco./ (…)/ Il vento mi liscia il volto,/ l’aroma dei cornetti caldi mi consuma,/ il mio passo è veloce e
corre/ al ritmo del battito del cuore,/ che rimbomba
tutto intorno.” Osserviamo un alternarsi di stati d’ animo, che vanno dalla afflizione al benessere; la
strofa di apertura contiene immagini meteorologi-
che e allusive (mese freddo e dedicato ai morti), nel ritmo unico per mancanza delle pause (o delle vir-
gole); mentre all’opposto si presenta l’ultima strofa
in cui la voce è costretta a zoppicare, come un sin-
gulto.
La Poetessa si rivolge a suo figlio con tono collo-
quiale ed esortativo, infondendogli coraggio e ane-lando ella stessa una pace che non trova; preoccu-
pata ne vede il volto “ragazzo, quasi uomo” il cui
sorriso è rimasto immutato. La vita si colora dei fe-stoni natalizi, eppure questo le raggela le aspettative
sul futuro, non risparmiandole le spine nel cuore. Il
suo è un dialogo interiore i cui destinatari sono
soggetti diversi ma riconducibili ad un solo motore:
l’amore, soprattutto verso il figlio; e che riversa at-traverso una micia, che sembra solidarizzare con
lei. Tutta la vita è come una preghiera; nostalgia di
un tempo che non torna. Un motivo ripetuto come una preghiera è la voce rivolta a un grande amore
“Sei tormento ed estasi,/ amore mio!” (pag. 20).
Presta la voce a Er regazzino, che mi pare riveli tanta umanità e verità: “Eh… mi fratello, furbo,/
quanno non c’à voja de studià,/ subbito dice a mi
madre/ che vò giocà co me,/ (…)/ Guardami nell’occhi/ e dimme: Nonno, mio, bello,/ e ancora
come te chiami?/ Io quarche vorta je risponno/ E
lui come mi madre, mi padre e tutti l’antri/ fanno l’ occhi lucidi;” (pag. 25). In queste condizioni di
mille emozioni, di pathos, si impone riconoscere
una dimensione alle cose che ci circondano; si aspi-ra ardentemente una sosta che dia serenità. Nella vi-
ta di molti di noi esiste una sorta di finzione in cui
ciascuno svolge un ruolo suo malgrado: “Noi due sempre sul filo di lana…/ noi due, maschere di una
società scellerata,/ noi due onesti fino all’osso/ alla ricerca del meritato riscatto./ Noi due sognatori fi-
no in fondo,/ anche quando il sonno ci ruba il re-
spiro;” (pag. 30) Alla ricerca della Musa ispiratrice, la trova nell’
immagine esotica delle donne vestite di bianco per
le vie di Algeri, ma anche fra le terre rese fertili dell’agro pontino, e dagli affetti dei suoi avi. Ed
oggi riversa il suo affetto alla sorellina, al nonno
Luigino; senza dimenticare di celebrare nei memo-rial, Mario D’Ottavi e Maria Versari. Il tempo è
scandito dalle stagioni che la Poetessa sente su di
sé; ma soprattutto mi sembra che viva la stagione
dei lavori sui campi, dove si raccolgono i covoni,
simbolo di fatica e di attaccamento alla terra ponti-
na. Ha tanta bellezza dentro, ma la sua gioia si strozza in gola. In chiusura dopo la tempesta, gli ul-
timi versi lasciano sperare:“Un sorriso improvviso/
placa lo scontro furibondo,/ gentile, malizioso e di-spettoso/ quello di mio figlio.”
Tito Cauchi
ACCADEMIA COLLEGIO DE’ NOBILI
POETI ITALIANI DEL NOSTRO TEMPO Anscarichae Domus, Scandicci (FI) 2015,
Pagg.166, € 10,00
Poeti italiani del nostro tempo è antologia del
biennale Premio Internazionale “Danilo Masini”
(1905-1995), avente per tema “Poesia e Vita”, giunto alla 10a Edizione 2014, organizzato con la
collaborazione di altre strutture di Montevarchi
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.44
(Arezzo), associazioni culturali, musicali e sportive,
in omaggio al poeta che vi ebbe i natali; quindi nel
ventennale della sua scomparsa. Nutrito e qualifica-to è il numero dei giurati.
La prefazione è a cura del Presidente dell’ Acca-
demia, Marcello Falletti di Villafalletto, il quale spiega che il tema proposto poesia e vita, è stato
ampiamente condiviso dai partecipanti. Diffusa-
mente descritta è la cerimonia che ha visto molti protagonisti, nell’articolo ripreso dalla rivista L’
Eracliano, organo ufficiale dell’Accademia, nuova
serie anno XVIII, N. 201-202-203, X. XI. XII. MMXIV.
L’Antologia comprende 124 autori raggruppati in
tre sezioni: poesia inedita con 76 poeti (36 donne, 40 uomini); poesia libro edito con 38 poeti (20
e18); poesia inedita giovani con prevalenza di 9
poetesse e 1 solo giovanotto. I poeti sono antolo-gizzati secondo questo criterio: in ordine progressi-
vo i classificati fino al 10° premio; in ordine alfabe-
tico a seguire gli altri. Generalmente i poeti sono presenti con un solo componimento; alcuni anche
con breve scheda biografica. Da quest’ultima, per
quanto è dato espresso, deduciamo la variegata
provenienza geografica nazionale e l’attività svolta
dai partecipanti. Molti sono i nomi noti che si ritro-vano in altre antologie e riviste, che tralascio di
scrivere; sono un campione rappresentativo dei
fermenti culturali e poetici che si diffondono nel nostro Bel Paese.
Tito Cauchi
SALVATORE D’AMBROSIO
STORIA POSTALE ITALIANA Annullamenti di Terra di Lavoro (1863-1889) con
valutazioni, Pesole, Napoli senza data, Pagg. 80
Salvatore D’Ambrosio è uno scrittore di spicco
che figura su varie testate letterarie, occupandosi di
poesia e saggistica letteraria. Adesso lo scopro in veste di storico, appassionato ricercatore di vicende
amministrative investigate con acribia e puntualità
normativa. Lo fa con Storia Postale Italiana, la cui fatica si restringe ad un’area geografica in Campa-
nia, la denominata Provincia Terra di Lavoro, che
era composta da 238 comuni (la futura Provincia di
Caserta). Prende le mosse dai timbri di annullo del-
le affrancature postali entro l’arco temporale del
1863-1889, rispettivamente inizio del servizio delle “collettorie rurali” (uffici postali periferici) e fine
dell’uso dei “numerali a sbarre” (particolari timbri).
Il Nostro apre la premessa al volumetto con la se-guente affermazione: “La storia postale italiana
può essere scritta solo passando attraverso la sto-
ria delle singole regioni.” Aggiungo che non sola-
mente la Storia Postale, ma tutte le storie, sotto i
molteplici aspetti, andrebbero rivisitate consideran-do le singole storie regionali e locali, antecedenti la
nascita dello Stato d’Italia; vedi per esempio l’ eco-
nomia, la politica agraria e produttiva più in genera-le, i costumi stessi, il noto debito pubblico. L’ Au-
tore spiega che “la circoscrizione amministrativa di
Terra di Lavoro” è derivazione di Terra Laboris a sua volta derivata dall’antica parola Liburia, che
comprendeva l’intera Campania, istituita da Rugge-
ro II (XII sec.); l’assetto delle circoscrizioni borbo-niche è stato mantenuto anche successivamente all’
Unità d’Italia (1861).
D’Ambrosio riporta il testo di alcune normative legislative antecedenti l’Unità, iniziando dalla Leg-
ge 1806 n. 272 (Governi compresi nei distretti di
Terra di Lavoro): 1° Distretto di S. Maria, 2° Di-stretto di Gaeta, 3° Distretto di Sora. Dopo l’Unità,
la circoscrizione territoriale dal 1868 al 1896, subi-
sce alcune variazioni alle denominazioni dei comu-ni e il passaggio di alcune parti da una provincia
all’altra. La bibliografia riportata in chiusura, utile
per chi volesse saperne di più, avvalora l’interesse
del Nostro sull’argomento.
L’opera è ricca di documentazione fotografica degli annulli nell’area interessata, dell’elenco dei
Comuni nell’avvicendarsi dei periodi storici dal re-
gno borbonico a quello dello Stato d’Italia; interes-sante per ricercatori e curiosi filatelici. In particola-
re si sofferma sul servizio postale, degli annulli, en-
tro il periodo in esame 1863-1889, nell’ambito dei cinque Circondari, che nell’ordine sono di Caserta
con 14 mandamenti - 72 comuni; di Gaeta e Formia
con 9 mandamenti - 39 comuni; di Nola con 6
mandamenti - 23 comuni; di Piedimonte d’Alife
con 3 mandamenti - 23 comuni; di Sora con 9 man-
damenti - 44 comuni. Con il nuovo ordinamento amministrativo la Pro-
vincia di Terra di Lavoro ha preso la denominazio-
ne di Provincia di Caserta. In seguito, con la Re-pubblica, questa Provincia nel 1948, comprende
100 Comuni. Non posso fare a meno di dire che,
per associazione di termini, mi sovviene la denomi-nazione di Terra dei Fuochi, in provincia di Salerno
che si è guadagnata una cattiva fama.
Tito Cauchi
LAURA PIERDICCHI
OLTRE
Prefazione di Sandro Gros-Pietro - Genesi Editrice,
2016 - Pagg. 88, € 14,00.
È soltanto da qualche anno che è morto Franco
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.45
Rossetto, pittore residente a Mestre, ma nativo di
Tarvisio, città nella quale è stato anche animatore
brillante; negli ultimi mesi del 2013 gli avevano diagnosticato un brutto male, che in breve tempo
l’ha spento.
Franco Rossetto era sposato con Laura Pierdic-chi, poetessa e scrittrice veneziana, con all’attivo,
finora, di almeno dodici sillogi di versi e un vo-
lume di racconti. Ed è al compagno - che per tanti anni l’ha so-
stenuta con il suo braccio e le ha acceso il pensie-
ro con “il timbro amato”, col quale il suo “esse-re/era in pienezza” - che Laura Pierdicchi ha vo-
luto dedicare Oltre, pubblicato nel febbraio 2016
dalla Genesi Editrice di Torino. Il volume reca, a colori, in copertina e all’interno, opere pittoriche
di Rossetto, dalle quali si può rilevare come le
due arti si somiglino: entrambi - poesia e pittura - essenziali; entrambi, per certi aspetti, grovigli non
facilmente decifrabili, per altri, bei tocchi colori-
stici e d’ immagini. Si vedano, per la pittura, i la-vori riprodotti alle pagine 30 e 48 e, per la poesia,
i versi di pagina 31, i quali, pur imbevuti di tri-
stezza, non riescono ad ottundere, ad oscurare una
bellezza plastica:
Dietro il campanile
del nostro paese-presepio
la luna rischiara ancora
la prima stella si accende
tutte le sere
l’acqua del mare
gorgoglia sotto la chiglia.
Manchiamo solo noi
nella nostra cabina a rimirare dal vetro
l’ultimo paradiso.
A flash, a fotogrammi mentali, la poetessa ci dà
tutto il mosaico della sua dolorosissima vicenda,
partendo dall’orrido delle fiamme che divorano le carni dell’amato nel rito della cremazione e risa-
lendo ai giorni felici, allorché - ricorda -
...bruciavamo
di una forza stupenda.
Prigionieri felici
eravamo figli eletti del cielo.
Ella ancora non riesce del tutto a capacitarsi di
come un uragano improvviso abbia potuto di-
struggere tutto e, andando alla ricerca di una ra-
gione, vive il “succedersi dei momenti/nel nuovo
non senso/nella separatezza dello spazio”. Da ciò, l’ alternarsi di tratti nebulosi a chiarezze.
Bene e male, gioie e pene di una vita trascorsa
insieme, tempo e spazio, nel suo incessante sca-vare acquistano nuove sfaccettature come nel
taglio di un diamante, divengono ora più leggi-
bili ed ora più impenetrabili; man mano che in lei avviene la metabolizzazione del dramma, gli
avvenimenti, allora vissuti come quotidianità,
acquistano altro spessore, altri contorni: “la vera Realtà” - afferma - “Si comprende solo/dopo il
soffio d’addio”.
Ci vorranno anni ancora perché in lei tutto si chiarisca e almeno in parte si acquieti; per adesso,
non riesce più a vedere lo splendore del cielo se
non a tratti, negli sprazzi dei ricordi. È calata la sera, che ha il colore della sua veste e del mistero;
ora, il nero è l’unico, vero colore, quello che con-
ta; gli altri, l’ azzurro, il rosato, non hanno più senso:
Del cielo il colore non è mio -
la luce si è spenta di questo cielo
Mi resta solo la sera che si confonde in contorni di mistero
La sera porta il colore che mi veste.
La ricerca spasmodica di azioni e sensazioni,
che hanno costituito il terreno cammino di due anime, che hanno “disegnato una storia/ indivi-
sibile”, porta in superficie brandelli la cui bel-
lezza non si percepiva all’atto del vissuto, allor-ché era “il destino astrazione” e non si aveva
netta la cognizione che quel che si viveva “era il
tempo della fiaba”. Oggi, la consapevolezza provoca
un buco nel cuore
un pugno allo stomaco
un grido lacerante una cascata di pianto.
Basterà la fede a darle certezze e un qualche
briciolo di serenità? Non basterà, almeno nel bre-ve periodo. Millenni di filosofia non sono stati
sufficienti a squarciare il mistero di come sia - e
se ci sia - lo stato dell’ “oltre il soffio” e, tuttavia, la poetessa anela “di unirsi al cosmo/e captare il
vibrare/della (...) energia” dell’amato.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.46
CATERINA FELICI
MATTEO E IL TAPPO
Ed. Italic Pequod, 2016 - Pagg. 118, € 15,00
La brava scrittrice ci perdonerà se, trattando del
suo affascinante libro, rinunciamo a scrivere del protagonista Matteo - ch’è il principale - e dell’altro
protagonista il Tappo; diciamo solamente ch’è pia-
cevole vederli agire e altrettanto sentirli parlare. La favola avvince e non è solo per adulti, visto
che, per le generazioni post Porci con le ali, favole,
al tradizionale, non se ne scrivono quasi più, perché più non si leggono. Non le leggono gli adolescenti,
attirati dalle magie e anche dagli inferni della scien-
za in genere e dell’informatica; non le leggono i gradi - genitori e i nonni in particolare -, impegnati
in tutt’altre faccende, in parte sempre legate alle
tecnologie della modernità: “oggi, accanto al cami-no, più non nascono fiori di pace e il nonno, per il
televisore, ha smarrito lo scrigno di fiabe”, scrive-
vamo su La Procellaria nell’ormai lontano 1973. E c’è di più; c’è che le riflessioni, alle quali Cate-
rina Felici ci conduce, investono sì, gli adulti, ma
alla rovescia, e, in modo più diretto, i giovani. Vo-
gliamo dire che il gap tra le condizioni materiali ed
esistenziali dell’anziano moderno e i giovani s’è ri-stretto di molto e che tutti ci stiamo infilando in una
dimensione da non poterci più definire schiavi del
lavoro, perché il lavoro manca in ogni settore e a qualunque livello; che, chi ne soffre, sono per lo più
i giovani e che, per una sua giusta ridistribuzione, o
prima o poi scoppierà l’incendio. E, allora, se non intendiamo trattare né di Matteo,
né del Tappo e se non vogliamo svelare come fini-
sce la favola, perché è giusto che ogni lettore arrivi
ingolosito fino all’ultima pagina, di cos’altro pos-
siamo scrivere?
“Salendo sulla collina, contemplava da questa il verde di varie gradazioni, chiazzato dal giallo delle
ginestre e dalle rosse distese di papaveri splendenti
al sole”. “Rimase a guardare le stelle; da moltissimo tem-
po non le contemplava. Osservò la luna, che era in
parte velata da una nuvola”. “S’impose al suo sguardo il cielo in un fulgore di
colori, tinteggiato di rosso fuoco, d’arancione e di
giallo dal tramonto”.
“...il tappo piroettò nell’aria facendo udire il suo
riso argentino, si diresse verso l’alto e sparì, come
inghiottito dall’argento ossidato della sera”. “...il giardino silenzioso, il quale pareva illangui-
dito nelle sue lunghe ombre, nei colori sbiaditi del-
le piante e dei muri, emanava un senso di pace”. “contemplava i balenii d’oro del grano luccicante
di sole e ondulato dal vento; nel campo oscillavano
anche, sparsi in quel mare di spighe, l’azzurro dei
fiordalisi, il rosso fiammeggiante dei papaveri”.
“Gli sembravano tetre gramaglie attorno a sé le ombre degli alberi; poi, fra i loro rami, cominciò a
guardare le stelle, scintillanti lontananze incasto-
nate nel cielo...”. Vogliamo dire, cioè, della poesia che circola in
abbondanza fra queste pagine; della natura nella
quale Matteo e il Tappo si muovono; della scorre-volezza del dettato, perché senza enfasi, senza for-
zature. Il libro varrebbe la pena leggerlo solo per
questo, oltre che per le pacate e acute meditazioni sulle condizioni umane della vita. Un libro appena
apparso e che già ha suscitato tanti apprezzamenti,
come quello di Giorgio Bárberi Squarotti, che scri-ve di aver “letto con grande piacere e ammirazione
il romanzo, tanto avventuroso e giocoso ed elegan-
te”; o come quello di Paolo Ruffilli: “Ho letto tutto d’un fiato “Matteo e il tappo”, favola coinvolgente
e incisiva, di ottima scrittura...”; o quello, infine, di
Roberto Pazzi: “Della favola “Matteo e il tappo”, della sua leggerezza e vivacità sto godendo tutto il
profumo mentre mi inoltro senza alcuna fatica nel-la lettura del libro”. Un’opera, insomma, alla quale,
assieme a Squarotti, intendiamo augurare “molti e
attenti lettori”, adulti o meno non importa.
Domenico Defelice
ANNA VINCITORIO
BAMBINI
2° Premio Città di Pomezia 2015 - Ed. Il Cro-co/Pomezia-Notizie, Gennaio 2016
Solo nella memoria degli umili/ sopravvive primor-
diale innocenza
Che potere, che possibilità, che senso, che mis-sione, che forma, che significato può avere la poe-
sia, la parola poetica, di contro a tanta disumana
cattiveria? La cronaca odierna, come anche quella passata, in
un circolo infinito di dolore perfetto, non fa che
‘portare a galla’ morti e stragi, bambini spezzati, uomini spezzati, donne spezzate.
Un’umanità che muore nell’uomo. È l’idolo de-
naro, l’idolo della sopraffazione, a guidare il mon-
do, ma in nome di cosa, quando tutto è devastazio-
ne fisica e morale?
La poesia cosa può aggiungere a così grandi be-stemmie verso la vita?
Può farsi piccola e insinuarsi dove c’è fango e dolo-
re e perdita, perdere i luoghi alti e farsi sbrindellata, vestirsi di pezze, indossare occhi di pulce e pratica-
re la notte.
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.47
La poesia non può altro che essere, dare l’ essen-
za, non deve né far piangere, né rallegrare, essa pe-
rò può aggiungere all’animo e al corpo biologico di chi la legge un’essenza primizia che cambia il pas-
so.
Può stare al fianco, camminarti vicino, e farsi in-dice che punta l’attenzione su ciò che non si è abi-
tuati a vedere.
Anna Vincitorio con il suo Bambini, ha fatto la sua poesia sfilacciata e sincopata, dice Defelice in
prefazione un autentico sfacelo umano, al quale la
Vincitorio impronta anche lo stile, con versi brevi e lacerati, spesso atoni, una punteggiatura voluta-
mente scarsa, asfittica, dove a mancare è special-
mente il punto fermo […]. L’ha fatta tale per farla discendere nel fango, per
farla stare sui barconi degli emigranti in fuga dalla
guerra e della paura e che finiscono in bocca al nul-la, l’ha fatta finire negli occhi vuoti e allucinati dei
bambini soldato, dei bambini usati e sfruttati e ven-
duti, che non hanno fili d’aquiloni colorati tra le mani: Bambino dov’è il tuo aquilone/ Il filo rosso/
lo ha portato via/ tra nuvole ingorde/ Tu, senza guardare, avanzi/ Tu, senza ancora saperlo, / ti
prepari a morire […] – da Bambino in guerra.
Risulta essere poesia-lamento, il lamento di un uomo o di una donna ormai folle, perché per la
prima volta pienamente cosciente di atrocità troppo
grandi, tanto che le sue parole non possono risultare eufoniche e musicali; è una poesia-lamento di velo-
ci immagini, tute mimetiche, elmetti, kalashnikov,
piccole mani, fragore, sibili di vento, acerbi fiori, inerme giovinezza, soffici capelli neri, bocche a
cuore, lacrime, madri morte, invocazioni d’aiuto,
un futuro senza nome, occhi vuoti…
Lo sguardo del ‘folle’ salta rapidamente da una
cosa all’altra, da un pensiero all’altro, da una visione
all’altra, si pone domande, va indietro nella memoria, scatta avanti nel futuro, torna indietro, va in Africa,
va in Russia, va a Coccaglio, in Niger, nel Mali, nella
Mauritania, incontra bambole rotte e primavere che non portano speranza: Quello che resta/ è luccicore
d’armi/ Piccole schiere/ presto ombre di fanciulli
alteri/ nudi d’inerme giovinezza […]. È poesia-cantilena da ripetersi come un disco rot-
to, come un vecchio vinile incastrato spasmodica-
mente sulle stesse note; Dormi fanciullo sembra es-
sere proprio una nenia, una profezia come canto
monotono del folle che tutto ha visto, Dormi fan-
ciullo/ nell’anfora fiorita/ come il ventre di tua ma-dre/ Il pianto insegue le stelle/ e vara spazi verdi/
nell’azzurrità di cieli/ mai conquistati/ Tu sorridi,
forse/ nel tuo sonno / di tempi lunghi/ come i silenzi Cosa può la poesia di fronte a chi vuol mettere un
prezzo di vendita alla vita di innocenti, o con le ar-
mi o con la legge?
Se tutto può valutarsi a peso d’oro, cosa può la
poesia? Essere un pezzo di carta, tenuto nella tasca da un
prigioniero, capace, nella sua finitezza, di renderlo
libero.
Aurora De Luca
FILOMENA IOVINELLA
ODI IMPETUOSE
2° Premio Città di Pomezia 2015 – Il Croco, I qua-derni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2016
Filomena Iovinella, scrittrice campana trapiantata a Torino, aggiunge ai suoi più recenti successi nel
campo della narrativa e della poesia questa silloge,
meritevole del 2° premio Città di Pomezia 2015. Domenico Defelice in prefazione insiste sull’ “io
sdoppiato” dell’autrice e sulla sua tendenza per
“ogni nichilismo reale o mascherato”. Esploriamo le quindici liriche, illuminate da
“fiamme di complicato fuoco”, “dove la dolce ed
estenuante attesa/ ha costruito in silenzio e in tor-
mento”. Il vento, i paesaggi notturni, l’amore si ri-
velano solo una trama, un brogliaccio per scavare dentro di sé.
Emergono paure nella natura, tra la folla e nella
sua psiche: “mi sono compatita e ferita/ perpetran-do nel pensare/ che illusione fosse verità/ ho gettato
le basi per la solitudine”. Poi un lampo di felicità,
per aver trovato la soluzione nella poesia: “e sono tra le mie odi/ sopra la nuvola/ dell’ode più bella/
avvolta nel prodigio”. E continua, sentendosi nella
lirica “Il nichilista”, “un’ombra di riscossa”, mentre
nella poesia di chiusura, intitolata “Felicità” sottoli-
nea l’importanza delle suo odi, “fatte di parole
semplici, odori delicati/ visioni celestiali e tormenti illuminanti”.
La rarissima punteggiatura conferisce allo stile
della Iovinella un suono di spezzatura voluta, di in-finito nei pensieri che si accavallano. Come la scrit-
trice afferma in prefazione, nelle sue odi c’è la de-
cisione “di volare, nell’incantato mistero esistenzia-le dell’anima”.
Elisabetta Di Iaconi
ANNA VINCITORIO
BAMBINI
2° Premio Città di Pomezia 2015 – Il Croco, I qua-
derni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2016
La silloge di Anna Vincitorio ci presenta rifles-
sioni in chiave poetica su un argomento che tocca il
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.48
cuore di tutti: la sorte spesso tragica dei bambini, in
questo mondo quasi sempre indifferente al proble-
ma. L’autrice vanta un ampio curriculum che la vede,
prima impegnata come docente di materie giuridi-
che e poi come apprezzata scrittrice. Le sue poesie ci trasportano tra le betulle e i girasoli delle pianure
russe ove si esercita la “baby armata” dei bambini
in guerra. Stringe il kalashnikov tra le mani la crea-tura “non ancora soldato/ ma con negli occhi/ viva
fame di guerra”, che non possiede più un aquilone
con cui sognare. Cambia lo scenario: l’Africa, dove “non fa più
notizia/ morire di Aids”, dove “corpi sempre più
piccoli” si spengono “nello squallore di un letto/ ospedaliero”.
Poi l’autrice posa il suo sguardo sul mondo cru-
dele che ovunque abbandona neonati, ovunque violenta, ovunque si disinteressa dei piccoli senza
famiglia, senza casa, preda della paura.
La Vincitorio impiega versi franti, incisivi e si pone domande: “dove la tua innocenza?”; “cosa
porti negli occhi, bambino?”; “alberga ancora/ in
alcuno pietà?”. La commozione è la chiave di let-
tura di questi componimenti, anche dell’ultimo,
ove si augura quella parvenza di pace che solo il sonno può donare. “Dormi fanciullo/ nell’anfora
fiorita/ come il ventre di tua madre”.
Elisabetta Di Iaconi
ISABELLA MICHELA AFFINITO
PROBABILMENTE SARÀ POESIA
Primo Premio Città di Pomezia 2015 - Ed. Il Cro-
co/Pomezia-Notizie, 2015
Per una come me che è abituata alla metrica, al
ritmo e alla sonorità di una poesia, leggere qualun-que poesia moderna priva di tutto questo mi mette
sempre in grave difficoltà, non sapendo come arti-
colare i discorsi. Lo confesso: io ritengo che i punti e le virgole siano indispensabili anche in poesia,
non solo nella narrativa, per far comprendere me-
glio al lettore l’intento di chi scrive. Nonostante ciò, nelle poesie (tutte che iniziano
con la P) della poetessa Isabella Michela Affinito
ho trovato una freschezza nei versi, anche se non
sono stati vergati dalla punteggiatura. Essi sono sta-
ti scritti di getto, come lo scorrere di un fiume che
talvolta è costretto a deviare anche di poco il suo corso per evitare i ciottoli o altro.
Ne sono esempio quei versi volutamente termi-
nanti con un articolo “il” o “i”, o con una preposi-zione “in” “sul”, che lasciano in sospeso il discorso,
come talvolta accade ai bambini. Ed è proprio con
l’ingenuità e spontaneità di un bambino che la poe-
tessa dipinge gli elementi della terra, sia quelli ani-
mati (gli alberi, le foglie, i petali) che quelli inani-mati (l’anfora, le bottiglie, le pietre), conferendo ai
suoi versi quella gioiosa vivacità propria dei fan-
ciulli. Ogni “P” è un quadretto dipinto con poche ma
sapienti pennellate e, a mio avviso, “Piccolo
mondo lunare” è il quadretto più riuscito, in quan-to in esso il romanticismo ha ceduto il passo alla
fiaba.
Paolangela Draghetti
ANNA VINCITORIO
BAMBINI
2° Premio Città di Pomezia 2015 - Ed. Il Cro-
co/Pomezia-Notizie, 2016
Sono rimasta affascinata, anzi, che dico!, travol-
ta dalla semplicità quasi cronistica, dalla schiet-tezza e dal puro lirismo delle poesie di Anna Vin-
citorio, che ha ben meritato un 2° premio al ‘Città
di Pomezia 2015’.
Ella ha saputo toccare con delicatezza, ma con
realistico sdegno, tutti i tasti dolenti degli abusi compiuti sui minori: dalle guerre alla fame, dalla
prostituzione infantile al commercio degli organi
fino allo sfruttamento dei bambini sul lavoro. Bambini ai quali è stata rubata l’innocenza e il di-
ritto di vivere un’infanzia serena. Queste sono le
maggiori violenze che si possono attuare sulle lo-ro misere pelli. Facendo leva sulla loro ingenuità,
quegli adulti ingigantiscono le loro “azioni”, im-
bonendoli con doni fittizzi come fossero premi
per cose da “grandi” e illudendoli di essere martiri
e meglio dei loro coetanei.
Benché io non abbia avuto figli e non abbia quindi provato fisicamente il significato di essere
madre, di fronte a questi abusi inorridisco e mi
metto nei panni dei genitori di quei bambini, i quali soffriranno pene d’inferno sapendo ciò che i
loro figli sono costretti a subire.
Mi piace inventare favole e scrivere filastrocche per tutti i bambini del mondo, e sono alquanto
amareggiata per coloro che non hanno avuto e
non avranno mai la possibilità di sognare una vita
fantastica e piena di magia, come solo le fiabe
sanno fare. Le illusioni, le speranze, le fantasti-
cherie di quelle piccole vittime, sono cadute giù amaramente come castelli di carte per un soffio di
vento. Allora... “dormi fanciullo nell’anfora fiori-
ta come il ventre di tua madre...”, così come con-clude la poetessa.
Paolangela Draghetti
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.49
ANNA TROMBELLI ACQUARO
EMOZIONI SPARSE AL VENTO
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2015
Titolo davvero indovinato per questa silloge di
Anna Trombelli Acquaro. Ogni sua poesia rappre-senta una sua emozione, ma soprattutto in ciascuna
traspare quel profondo sentimento che la lega alla
madre, perno della sua esistenza, la quale come un albero si spoglia di tutta se stessa per lei. Ma la ma-
dre impersona anche la sua terra natia (la Calabria)
dalla quale è partita, fanciulla, per l’Australia. E lo struggente ricordo della sua Calabria, con i suoi co-
lori e con i suoi profumi, offusca o quasi cancella l’
azzurro mare dell’Australia. Nei suoi versi, ella manifesta una grande nostal-
gia per la sua casa, il suo giardino ed i suoi fiori
quasi unici, affidando poi le pagine al vento (vento di Primavera) affinché le porti in Italia per mante-
nere vitale quel filo dei ricordi, così come ella scri-
ve: “per riscaldarmi lì/dove c’è il sole, al mio paese natale,/dove l’alba splendida sorge/e illumina e ri-
scalda la mia anima/con devozione e amore.”
In lei c’è anche la speranza di ritornare “laggiù
dove c’è casa mia...” dove “le emozioni che mi hai
regalato (dice riferendosi alla madre) rivivono con nostalgia nell’anima...”
La madre, la terra natìa e la casa sono per Anna
Trombelli Acquaro la medesima cosa, un tutt’uno che ella mischia e impasta come i colori per com-
porre una tavolozza piena di immagini, di profumi
e di sensazioni da portare sempre con sé.
Paolangela Draghetti
PAOLO RUMIZ
È ORIENTE
Universale Economica Feltrinelli, 11a edizione lu-glio 2015 - Pagg. 198, € 8,00
E’ forte la sensazione nel pensare e soffermarsi al peso del mondo, mentre si leggono pagine narranti
fughe di interi popoli, desertificazioni e nuovi as-
setti geopolitici, come la caduta del muro di Berli-no, che spostano l’equilibro alimentando divisioni
ideologiche ed antropologiche.
La dicotomia del bene e del male anima dibattiti
senza generare risposte concrete, cosa fare e cosa
non fare, cosa è giusto cosa non lo è, e intanto parti
del mondo restano sole. Se debbo dare un mio personale titolo al libro di
Paolo Rumiz è questo: Il mondo che non conosce i
suoi confini. Cosa c’è ad Est di noi? La mitteleuropa descritta
in viaggi a tappe con vari mezzi di trasporto dal
giornalista di Repubblica, con la sana curiosità di
osservare e poi descrivere, come afferma nella fra-
se: “mi chiedo se il narrare non nasce dall’andare”. Mix di racconti e viaggi “ in libertà” alcuni di essi
già pubblicati su riviste e giornali.
Il primo dal titolo “dove andiamo stando?” pub-blicato sul settimanale “Diario” nell’autunno 1998
ci narra di un viaggio percorso in bicicletta lungo il
confine italiano partendo da Trieste fino ad arrivare a Vienna -“rallentiamo lungo il Nashmarkt, il mer-
cato dove comincia l’Oriente. La sera dopo lo stru-
del, discussione sulla vita, sul fare e sull’essere”-. “L’uomo davanti a me è un ruteno” viaggio in
vagone diretto per Budapest, nell’inverno del 1999
- “ore 12,40 stazione di Villa Opicina, sosta per la frontiera…….nessuno direbbe che per questa fron-
tiera deserta passano settantamila clandestini l’ an-
no, il doppio di quelli strombazzati sulle coste pu-gliesi” - in questo punto ti soffermi e respiri il senso
di paesi bloccati al dopo regime: contadine croate,
calzamaglia di lana, costumi, tradizioni, lingue lon-tane dall’Europa che non si avverte.
“ Chiamalo Oriente” pubblicato su Repubblica
insieme a “ljubo è un battelliere” il mio riporto dei
titoli parte dalla considerazione che sono espressio-
ni linguistiche molto significative, anche perché restano nella memoria del lettore. In questi due rac-
conti sento la sottolineatura fatta, persino con natu-
ralezza, della visione sconvolgente di un’Europa che dovrebbe essere unità al di là delle frontiere,
che risulta assente da terre cosi vicine e così etni-
camente rappresentanti di solo loro stessi, l’ incom-pletezza del progetto “comunità europea” - “ Oltre
i finestrini, scorre un mondo dove tutto sembra ac-
caduto l’altroieri, dove la storia ha l’impronta inde-
lebile dei cingoli di un panzer, dove i treni merci
hanno ancora l’odore di bestiame umano… Noi
europei d’Occidente non possiamo immaginare che nel centro Europa le memorie brucino anche per
mezzo millennio”-.
Vorrei chiudere con un ultimo passaggio che mi lascia a ricordare la cronaca di quel di ieri, fotogra-
fia di ciò che è oggi in un altro angolo di Italia: -“la
radio dice che anche stanotte, tra il faro di Sant’Andrea e quello di Otranto, sono arrivati sca-
fisti con i clandestini dell’altro mondo. Ottanta, for-
se cento”-
Questo reportage di Paolo Rumiz, viandante erra-
bondo, ci lascia notizie profonde che cambiano l’ in-
timo del lettore, rincorrendo la determinazione di non dimenticare, per ritrovarsi poi nella condizione di
avere coscienza critica nel valutare gli eventi che
spostano il peso del mondo, sulle coste e nell’ entro-terra, di viandanti stanchi e soli lungo la strada .
Filomena Iovinella
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.50
ADALPINA FABRA BIGNARDELLI
DIGNITÀ E CONDIZIONE DELLA DONNA
Un cammino dalla dote ai diritti
Fondazione Thule Cultura – 2015
Adalpina Fabra Bignardelli con questo interessan-te saggio ci riporta a quando il Pater familias sotto-
poneva le donne all’autorità del nonno, del padre,
dei fratelli. Esse non avevano alcun diritto giuridi-co. Erano tenute lontano da scuole, uffici pubblici o
privati, non potevano promuovere processi né per
sé, né in nome di altri. Era stabilito che la donna vi-vesse in famiglia e che in questa trovasse il segno
della sua dignità. Gli stessi S. Paolo e S. Agostino,
nonostante la predicazione cristiana portasse nei cuori la speranza di un mondo migliore, dove uo-
mini e donne avessero pari dignità, e la loro anima
fosse considerata uguale e destinata all’immortalità, proponevano l’idea che la donna doveva servire l’
uomo in quanto egli era il capo ad immagine di
Dio. Costretta dunque a rintanarsi tra le mura do-mestiche, in una vita di soli affetti familiari, la don-
na, curava in maniera quasi ossessiva il corredo, l’
unica cosa ad appartenerle veramente. L’Autrice ci
racconta di quando, prima del Concilio di Trento,
grande importanza aveva la promessa, un’usanza che la Chiesa non accettò mai. Ci ricorda anche che
le leggi riguardanti il matrimonio in Sicilia, per
quanto la regione fosse culturalmente elevata, rima-sero più a lungo legate al mondo medievale. Ci par-
la della dote, quel complesso di beni che la moglie
portava al marito per sostenere le esigenze matri-moniali.
Il corredo era diverso per le donne e per gli uomi-
ni: per il figlio, anche nell’ambiente popolare, i ge-
nitori preparavano una serie di attrezzi da lavoro
nei campi, calze, scarpe e berretti con la coppola di
velluto per le feste. Mentre la sposa, completava il suo corredo durante il fidanzamento con la bian-
cheria personale, secondo la moda di quel determi-
nato periodo. Mentre il corredo riguardante la bian-cheria della casa, già preparato da tempo, veniva ri-
camato con le iniziali del casato del marito e suc-
cessivamente esposto per essere valutato e ammira-to nelle stanze della futura sposa. L’Autrice ci in-
forma sugli usi nuziali degli Arabi e degli Ebrei,
per poi concludere, riflettendo sulle motivazioni
che l’hanno portata alla scrittura di questo libro, la
frequenza dei femminicidi, di cui le cronache attua-
li sono piene. Parla di ‘prepotenza’, di ‘superiorità virtuale’ maschile che perdura nonostante il passare
dei secoli e il cambiamento della società in cui vi-
viamo. Ci lascia con un pensiero, che vuole essere anche d’auspicio, dopo ‘un cammino lungo e fati-
coso, fatto di ribellioni e mai completamente risol-
to’.
“Dio ha creato la donna da una costola d’Adamo,
se avesse voluto l’avrebbe creata da un piede. Indi-cando la volontà di calpestarla. Se l’avesse creata
dalla testa, avrebbe indicato di dominarla; L’ha
creata dalla costola, per indicare un cammino ugualitario.” Fianco a fianco.
Francesca Maiuri
TITO CAUCHI
PALCOSCENICO Editrice Totem, Lavinio Lido (Roma) 2014, Pagg.
64, € 10,00
Oltre il Post-Ermetismo - “L’inquietudine è l’
anima della poesia. Lo aveva proclamato Petrarca,
sulla scia di Sant’Agostino. Il Poeta, purtroppo, non ha certezze e questa paradossale condizione di pri-
vilegio gli consente di sperimentare una straordina-
ria confidenza e complicità con il mistero, il quale non gli si svela mai totalmente ma lancia messaggi
cifrati, che la poesia raccoglie e trasmette a chi è di-
sposto a indovinarli, a interpretarli” (Francesco D’
Episcopio su “Renzo Ricchi: l’inquietudine di un
poeta” in “La Nuova Tribuna Letteraria” Gennaio 2016).
Così il noto professore universitario partenopeo
commentando il Poeta, rivela la matrice evidente di queste ultime poetiche che si muovono all’interno
di un “post-ermetismo” la cui base evidente è di
stampo luziano (in particolare il Luzi di “Sub-specie umana”) orfica, ermetica e complessa. Tito
Cauchi, invece, con quest’opera Palcoscenico cerca
di muoversi “oltre la ripresa”, di superare l’ epigo-
nismo (di molta parte della nostra attuale produzio-
ne) affrontando il verso nella linearità di uno stile
che cerca di sfuggire all’orfismo di maniera. Come molti poeti di oggi, anche la sua poesia, è carica di
mistero: ma saremmo, ancora, nell’ambito ermetico
se ci limitassimo solo a questo. L’originalità, o me-glio la particolarità della sua lirica, sta nell’incontro
tra classico e colloquiale, tra stilema e chiarezza, tra
rime dilettevoli e trattazione gnomica: un connubio che non corrode “sperimentalmente” il tessuto lin-
guistico ma lo rafforza con una “sottile armonia”.
Tito non cerca note dissonanti, convinto che il
nuovo o meglio il “senso originale” vada ricercato
in una “pacata quanto asciutta impostazione lirica”,
nata dalla rimembranza degli accordi ritmati giocati su aperture mentali (senhal o luoghi letterari) più
che sulle comuni sensazioni emotive. “Ora piana
sdrucciola tronca è la rima/ ti riveli desiderosa d’ essere baciata/ bella sei alternata incrociata inca-
tenata/ interna, pensierosa ti nascondi in stanze./
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.51
(…)/ Concedimi il dono della freschezza/ ispirami
con passione e tenerezza/ fammi sentire l’amore
con una carezza” (da Poesia o vetrina, op. cit. pag. 22). E qui l’apertura, di cui parlavamo, va verso i
Grandi Rimatori del Settecento che “alleggerivano”
per trattare, va verso una poesia con intenti educati-vi e dilettevoli che cerca un colloquio con il “piace-
re stilistico”. Una poesia che esorbita dagli schemi
puramente critici, per cui non è né orfica, né erme-tica, né simbolista, né minimalista, con l’evidente
padronanza di una cultura che s’impone oltre lo
schema, facendo interagire “Intellettivamente” il lettore, è la “Nuova poesia di oggi”, quella che
scongiura l’anatema dell’intimismo e delle vuote e
quanto mai precarie, effimere emozioni.
Susanna Pelizza
RACHELE ZAZA PADULA
LA DONNA DI PICCHE
Osanna Edizioni, Venosa, 2016, € 10,00
Dopo In dimensione acronica (Edizioni Levante
Bari, 1979), Il seme del tempo (Edizioni B M G
Matera, 1984), Dissolvenze (Rocco Fontana editore
in Matera, 1989) e Disincantesimo (Edizioni Ermes Potenza, 1999), Rachele Zaza Padula ha recente-
mente (Gennaio 2016) pubblicato un nuovo libro di
versi intitolato La donna di picche; un titolo di cui ella subito ci spiega il significato: “Non voglio /
scoprire la donna di picche / che mi sottrarrà al so-
le” leggiamo infatti nella chiusa della prima poesia della raccolta e deduciamo immediatamente che la
donna di picche è qui una metafora della morte.
Un libro della contemplazione della fine, dunque,
e di un pensoso ripiegamento interiore è questo che
la Padula ci offre, in una stagione della sua vita che
è quella dei consuntivi e dei rendiconti. Un libro nel quale il passato si fa avanti imperioso e il vissuto l’
assedia con le sue immagini e con i suoi richiami.
Ecco allora l’affacciarsi dei ricordi della casa na-tale, che ritornano con prepotenza alla sua mente:
“Odore di legumi sul fuoco / sapore d’inverno / di
neve / di affetti perduti” (Le lenticchie); ecco la vi-sione di giorni lieti, vissuti accanto all’uomo che
amava: “E’ scolpita nella memoria / una gioia lon-
tana. / Aspettavo un bambino / e nei tuoi occhi vidi
/ un’intensa dolce tenerezza” (Una gioia lontana);
ecco le immagini che vengono da altre età e le fan-
no tornare presente ciò che pareva ormai sepolto: “Aprire quel cassetto / è stato riscoprire / un mondo
perduto: / le vecchie foto / degli anni belli quando /
bastava una carezza dei miei / a rendermi felice” (E poi).
Si fanno avanti però in questo libro anche i ricor-
di dei giorni più dolorosi e più tristi, quale quello
della perdita dello sposo: “Come forte è stato il mio
dolore / quando sul punto di perderti / ti ho chiesto di vincere la morte: / di non lasciarmi sola nella
grande casa” (L’allodola).
Ma in questa variegata raccolta di versi ben radi-cato è anche il presente, che la Padula vive inten-
samente, quantunque molta sia la sofferenza e la
pena che ella deve sopportare. “Le gambe sono malferme e le mani / nodose prima lunghe e affuso-
late / … / Gli occhi prima neri e vivaci / … / si sco-
lorano opachi” (Le campanelle). E la sua pena non è causata soltanto dalle sofferenze personali, ma
anche da quelle altrui, come appare dalla poesia Ad
un’amica: “Mi sono legata al tuo destino / per ami-cizia, quella vera che gli antichi / credevano fosse
un dono degli dei. / Non sopporto che rifiuti la lotta
/ e ti rassegni al gioco della vita”. Lo stesso può dirsi per una poesia come A Roma,
dove la pietà nasce in lei per la vista di una creatura
cenciosa, ravvolta nei suoi stracci (“… I capelli erano radi / la pelle invisibile sotto la sporcizia, /
solo negli occhi neri, dilatati, / in un lampo di luce
un che di umano”) o per una poesia come 24 marzo
1980, dove compiange la morte del vescovo Rome-
ro, ucciso dai sicari sull’altare, per aver difeso i più poveri (“Hanno ucciso il vescovo Romero / in chie-
sa sull’altare mentre / levava in alto il calice intar-
siato. / Il sangue ha macchiato l’abito talare”) o an-cora per una poesia come Maledetto l’alzaimer,
dove è partecipe delle sofferenze di Anna, colpita
da questa terribile malattia (“Le tue parole slegate dal presente / si rifugiavano in visioni lontane / alla
ricerca di persone amate / che non ci sono più. So-
no morte. / Una tristezza amara m’ha preso”). Si-
gnificativa è pure una poesia come Olga, nella qua-
le una ragazza che si accompagna ad un soldato
americano nel dopoguerra è vista in tutta la sua de-solata e desolante fragilità (“Rientrava furtiva
nell’ombra del portone / e ancheggiando proterva /
salutava il suo accompagnatore, / un soldato ameri-cano…”).
È però soprattutto di sé che ci parla Zaza Padula,
della sua sofferta condizione esistenziale di donna sulla via del declino, che tuttavia ha ancora i sensi
vigili e una intatta lucidità intellettuale. Così se può
dirci: “Sono un annoso tronco d’albero / alla base
segato di netto” (Il tronco) e “Ognuno ha la sua
stagione di pianto” (Sincerità), può anche dirci:
“Mi presto al gioco delle nuvole” (Le nuvole) e “Lasciatemi al ricordo dei Natali antichi, ai pastori
di cartapesta del padre di mio padre // …// Lascia-
temi al profumo delle ginestre in fiore, / che a mag-gio coprono di giallo le colline” (Le ginestre). Si
vedano anche: “L’inverno è la mia stagione. //… //
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.52
…nel buio che mi opprime / talvolta brillano
schegge di luce” (I fiori di montagna) e “Morire
lentamente / come il sole al tramonto /…/ O conti-nuare il mio cammino / privo ormai di armonia. //
Non ho ancora il coraggio / di perdere di vista la
mia vita” (La scelta). Ciò che soprattutto la conforta è però la sua capa-
cità di espressione poetica, che le offre la sua luce e
il suo bene. “La poesia ritorna / prepotente e violen-ta. / Le parole irrompono / armoniose sconfinate /
luminose intriganti” (La poesia ritorna); “Scopro
che in me c’è un’epifania di parole” (Resurrezio-ne); “E’ un lampo / che illumina sottili tracce / qua-
si linee perdute / negli spazi dell’animo” (La poe-
sia). E’ nella poesia, dunque, che Rachele Zaza Padula
trova il suo riscatto; e lo fa con un andamento di-
scorsivo e affabile, altamente comunicativo, ma sempre dotato di un suo ritmo che conferisce al te-
sto forza e vigore; un andamento ben pausato e ar-
monioso, con il quale ella riesce con semplicità a dire tutto di sé: delle sue gioie e delle sue tristezze;
dei suoi tuffi nel passato e dei suoi risvegli nel pre-
sente; e lo fa sempre con sincerità e schiettezza e
con quella autenticità del sentire che è propria della
vera poesia. Il tassello che ora aggiunge al suo lungo lavoro
compiuto negli anni è una nuova prova della neces-
sità e della coerenza della sua scrittura, capace di esiti validissimi anche nel campo della narrativa
come emerge dal suo romanzo Donna Isabella
Glinni (2006) e dell’espressione teatrale, come ap-pare specie dai suoi testi più recenti: il dramma sa-
cro in tre atti Sancta Teresia Benedicta a Cruce
(2011) e Oscar Arnulfo Romero, una tragedia in tre
atti e un epilogo, incentrata sulla figura del santo
martire sudamericano (2014).
Liliana Porro Andriuoli
PASQUALE MONTALTO DOMENICO TUCCI
IL DIALETTO DELLA VITA
IL SOGNO LA VITA LA BELLEZZA
Apollo ed.ni, Cosenza, 2015
Ho conosciuto il poeta Pasquale Montalto nel
modo più bello e più nobile: leggendo le sue poesie.
Confesso che non è stato facile trovare la chiave
per aprire il forziere in cui erano custoditi i suoi versi.
Versi che ci evocano grandi temi: la Natura, il
Dolore, l’Amore, la Vita. Il poeta con questa raccolta di poesie invita il let-
tore ad entrare nel suo mondo interiore e chiede in
maniera velata di comprenderlo e di sostenerlo.
Le poesie, se pur incentrate sulla ricerca interiore
del poeta, su un costante dialogo tra l’uomo e la sua anima, esortano alla lettura, donando la possibilità
di condividere passioni, conflitti e l’intimo sentire.
Le liriche, intrise di slanci e di sentimenti celati, conducono il lettore verso orizzonti più soddisfa-
centi.
La Natura è un tema ricorrente nelle poesie di Montalto “il fogliame geme, a primavera, Mosso
dal vento rubilante, che scuote le esili gemme; ...
buio e acqua d’uragano si rovescia addosso, con pena, ai teneri fiorellini”.
Lo stato d’animo del poeta, inquieto e tormentato,
è sottolineato dall’improvviso temporale. Lo scri-gno si apre ed i suoni fuoriescono impetuosi e col-
piscono senza tregua: “Ascolta, una brezza è in ar-
rivo, e asciuga le lacrime, superba ondeggia la ro-sa”.
Anche se fa paura, la natura, per il poeta, non è
mai matrigna e crudele bensì profondissima quiete e bellezza: “Con la pioggia o con il sole, al buio o
nella luce, con la tramontana o il libeccio, la natu-ra ti è sempre compagna …”.
La natura viene intesa come un rifugio, uno spa-
zio dove approdare felici. La musicalità dei versi è evocata dall’uso raffinato delle parole che hanno la
capacità di riprodurre, con ricchezza d’immagine,
un’immensa varietà di suoni ed è proprio il suono, elemento principe dei suoi versi, che rapisce e ac-
compagna il lettore in un viaggio misterioso e affa-
scinante. E’ abile, il poeta, nel gioco di parole onomatopei-
che. La perfetta organizzazione dei suoni, infatti, è
una peculiarità dei suoi versi che rendono l’ imma-
gine più intensa e suggestiva: “Lo scroscio
dell’acqua sulla roccia ai piedi della sequoia, rie-
cheggia limpide trasparenze …”. Una raccolta di poesie, queste di Pasquale Mon-
talto, che si compone piano come un puzzle che,
senza mai risultare banale, porta il lettore in un uni-verso fatto di sensazioni e atmosfere di forte inten-
sità emotiva.
Versi nei quali ci si può rispecchiare e da cui si deve imparare.
Francesca Tedeschi
Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più difficile farlo vivere: composizione, bozze, carta,
stampa, buste, francobolli… se non volete che
POMEZIA-NOTIZIE
muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti vo-
lontari. C/c. p. n. 43585009 intestato al Direttore
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.53
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE LINGUAGGI DI POESIA ESISTENZIALE E
BELLEZZA DELLA VITA - Sabato 5 marzo
2016, alle ore 18,00, nella Libreria Ubik - via Gal-liano 4, Cosenza, Pasquale Montalto e Domenico
Tucci hanno presentato “Il dialetto della vita/Il so-
gno, la vita, la bellezza”, in ricordo di Angelo Fog-
gia ad un anno dalla morte. Sono intervenuti: An-
tonio Rizzo, antropologo; Gianfranco Pinto, psi-
cologo, psicoterapeuta; Francesco Fucile, critico letterario, scrittore; Francesca Tedeschi, professo-
ressa di Catanzaro. Hanno letto le poesie: Alice
Pinto, Caterina Barbuto e Sonia Vivona. ***
LE SORTI DELLA BELLEZZA - La Bellezza va
salvata guardandola crescere. È accaduto qui, al Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, in ore
serrate cariche di emozioni, il 4 e il 5 marzo 2016,
dal tramonto luminoso, passando attraverso la not-te, fino ad arrivare alla piena pioggia del giorno do-
po, quando il Lago di Garda ha dovuto cambiar co-
lore, per assecondare il cielo. 'Le sorti della Bel-
lezza' è il nome dato a questo evento importantis-
simo dal Presidente G. B. Guerri, tutto avvitato in-
torno alla data di nascita di Gabriele d'Annunzio, il 12 marzo del 1863: “ 'La fortuna d'Italia è insepara-
bile dalle sorti della Bellezza, di cui ella è madre.'
Così ha scritto più volte Gabriele d'Annunzio, an-che nel Fuoco. Le sue parole sono un'indicazione
per noi, tanto più oggi. La bellezza viene attaccata e
distrutta da chi, negando la storia, assalta presente e futuro. Per questo il Vittoriale aumenta il suo impe-
gno civile tanto nella conservazione della storia
quanto nella crescita della bellezza. Riapriremo an-
cora una parte delle Vallette, ammireremo i lussu-
reggianti dipinti di Antonio Saliola e l'opera di Gian
Marco Montesano, ascolteremo nel canzoniere gre-canico salentino di Erri De Luca un'antica unione
fra culture, che si arricchiscono a vicenda. Perché la
bellezza arricchisce se stessa, oltre a tutti noi. Ne è prova ulteriore la donazione di 3000 carte dannun-
ziane fatta da Martino Zanetti - che festeggeremo –
e che ha portato a nuove acquisizioni. Ne è prova anche la crescita di GardaMusei, che a pochi mesi
dalla propria nascita festeggerà quella di un suo Fe-
stival, sviluppo di Vittoriale Tener-a-mente. Cresci, bellezza, cresci.” Il venerdì 4 marzo, alle ore 18, l'i-
naugurazione della mostra 'Che fai tu, luna, in ciel
nei quadri di Saliola?' di Antonio Saliola, grazie all'abilità ed alla cura organizzativa di Roberto
Iseppi, nelle sale al piano terra di Villa Mirabella,
dove rimarrà fino al 25 maggio prossimo. Li osser-vo uno per uno, li salvaguardo con gli occhi della
bambina che riconosce in basso, su ciascuno, il loro
nome scritto dal pittore in quelle lettere che stanno dentro nei quaderni a righe di terza elementare: 'sa-
liola: quando la Luna e il Giardino ti invitano a ce-na', in dettagli curati e sfumati insieme, mentre la
luce della luna in falce calante irrora sui volumi
delle forme di natura, curate, i suoi riflessi, lascian-do trasparire e respirare tipologie di verde-giallo in
giochi e differenti geometrie. Nel piccolo libro che
sintetizza il percorso, alla pagina 16, la poesia 'O falce di luna calante', di Gabriele d'Annunzio, in
sezioni scandite, in ritmi di immagini che vanno vi-
ste dal vivo. Colgo la polvere che impregna gli in-terni di cose negli spazi circoscritti delle stanze,
dando alla luce riflessi differenti. Antonio Saliola
mi dice: 'Io non pulisco ma lascio tutta la polvere
del tempo... Infatti queste atmosfere sono le atmo-
sfere delle case poi nelle quali abito, perché la mia
casa è esattamente come questi quadri, esattamente così. Amo molto anche la campagna, infatti ci sono
i giardini...' Gli dico dell'amore di Shelley per l'Ita-
lia, per i suoi giardini, per le sue rovine e lui incal-za, sugli stranieri di ieri in Italia, diretto e sponta-
neo: '… Ma l'Italia che cos'era? Andare a vedere
queste opere, le vedevano e svenivano! La sindro-me di Stendhal: vedevano delle cose meravigliose e
svenivano! Ma che commozione! Al giorno d'oggi
dobbiamo vergognarci: siamo scesi nel ridicolo e
nel grottesco, non ci rendiamo conto ma è così!' Mi
parla del suo amore per il cinema, dei suoi lavori
come istantanee, quasi fotogrammi a ferma imma-gine, perché il tempo possa essere catturato in
quell'istante con tutto quello che l'istante stesso rie-
sce ad imprigionare. Ci ripromettiamo reciproca-mente altri contatti, riguardo i suoi lavori nuova-
mente e li salvaguardo, dentro di me. Scrivo qual-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.54
cosa sul libro degli ospiti e mi avvio all'appunta-
mento con i ragazzi dell'Istituto Professionale Al-
berghiero 'Caterina de' Medici' di Gardone Riviera, che hanno allestito sotto la guida dei loro docenti l'
aperitivo 'Alimenti in movimento e Ars bibendi',
negli spazi interni del Giardino di Villa Mirabella, tra le curatissime esposizioni di immagini e cose di
d'Annunzio, la sua collezione di giacche da camera
e di vestaglie in raso, di scarpe e stivali aderentis-simi, di lingerie da lui stesso disegnate e fatte ese-
guire accuratamente a mano per donarle alle sue
amate e tanto, tanto altro, tutto ben custodito dietro alte teche in vetro. Luca, aperto e disponibile al dia-
logo, addetto al tavolino della frutta, mi dice:
'D'Annunzio mi ha colpito molto, tutto è collegato alla sua poesia: l'estetismo, il suo modo di fare, di
sedurre.. lui era molto 'idolo', di se stesso!' Altri
passi tra le preziose offerte che attraggono e calami-tano gli ospiti, facendoli sostare e degustare le pre-
libatezze dai colori e dalle forme, dai profumi e da-
gli abbinamenti dei sapori tra loro dannunziana-mente ispirati per arrivare all'incontro con Martino
Zanetti, Presidente della Hausbrandt, che verrà ono-
rato per la preziosissima donazione delle sue 3000
carte all'indomani, il 5 marzo, all'Auditorium di Vil-
la Mirabella, dopo la cerimonia dell'Alzabandiera presso la Piazzetta Dalmata. Mi dice tra le altre ri-
flessioni intense, a voce alta: 'Io ho avuto la grande
gioia di vedere mio figlio, ventiseienne, e altri ra-gazzi appassionarsi per d'Annunzio. Peraltro altri
miei coetanei, anche uomini di cultura notevole, mi
hanno detto: 'Ci hanno castrato da giovani, non ce lo hanno lasciato leggere'. Per cui quando io legge-
vo da ragazzo certe interpretazioni asinine della
cultura italiota, mi importava capire e allora sono
andato a vedere, direttamente, che non era proprio
così...' Si avvicina un giovane e lui sottolinea: 'Ec-
cone qua uno! Questo ragazzo è uno di quelli di cui le dicevo!' Immediatamente dopo eccone un altro,
tra quelli, credo sempre più in gran numero, che lo
chiamano 'Martino', con spensierata affabilità. Dico loro che si sono lasciati attrarre dal fascino dell'av-
ventura, che sono la luce del futuro, il dinamismo
dell'orecchino. Il clima è confidenziale e dà testi-monianza delle tante ore vissute insieme, quelle che
hanno fatto crescere l'affabilità culturale d'esperien-
za, ciascuno secondo la propria misura in divenire e
vocazione. La Signora Zanetti, spontanea, sorriden-
te, elegante e sobria al tempo stesso, asseconda il
clima di cordialità che si è instaurato e lo esalta con il suo fascino discreto e coinvolgente. Poco prima
dell'evento della sera, 'Concerto. Erri De Luca e
Canzoniere Grecanico Salentino', facendo quattro passi per raggiungere l'Auditorium, uno dei due
giovani mi dice che ha fatto una tesi in musicologia
sul 'Prometeo' di Luigi Nono.
Si, queste ore d'esperienza dal vivo ti accendono, ti
avvitano su se stesse e ti fanno trascurare ogni altro tempo.
Ilia Pedrina
***
Premio Internazionale di Poesia “DANILO
MASINI” - L’Accademia Collegio de’ Nobili e Il
Circolo “Stanze Ulivieri” in collaborazione con il
Comune di Montevarchi e l’A.C.S.I. di Arezzo
promuovono la 11a Edizione del PREMIO IN-
TERNAZIONALE di POESIA “Danilo Masi-
ni”, fondato da Marcello Falletti di Villafalletto,
che avrà per tema: “SOGNO O REALTÀ”
Commissione giudicatrice: Presidente Onorario
Maria Teresa Santalucia Scibona, Poetessa Pre-
sidente provinciale del MOPOEITA di Siena
(Movimento per la diffusione della Poesia in Ita-
lia); Presidente Marcello Falletti di Villafalletto,
Preside dell’Accademia Collegio de’ Nobili; Se-
gretario Generale Claudio Falletti di Villafalletto;
Componenti: Libera Bernini, Lucia Lavacchi
Burzi, Giorgio Masini, Anna Medas, Lea Pesucci,
Luisa Raffaelli, Alberto Vesentini. REGOLA-
MENTO Il concorso letterario si articola in due se-
zioni: a) Sezione Poesia inedita: Il concorrente dovrà inviare da 1 a 3 liriche in lingua italiana.
Ogni poesia in 7 copie dattiloscritte o al computer,
di cui una sola debitamente firmata e recante in cal-ce nome, cognome, indirizzo, numero di telefono e
indirizzo e-mail. Le copie al computer dovranno es-
sere in Times New Roman, dimensione 12. b) Se-
zione Libro edito di poesia: Occorre inviare 5 co-
pie del volume riguardanti opere edite nel periodo
gennaio 2006 – luglio 2016 di cui una recante
all’interno firma, indirizzo, telefono e indirizzo e-
mail dell’autore. POESIA A TEMA LIBERO Per
le sezioni: Poesia inedita e Libro edito si partecipa con le stesse modalità della poesia a tema.Gli ela-
borati dovranno essere inviati entro e non oltre il
1° ottobre 2016 alla Segreteria Generale del
Premio presso Accademia Collegio de’ Nobili,
Casella Postale 39 - via G. da Verrazzano, 7 -
50018 SCANDICCI (Firenze). Farà fede il timbro postale. Il contributo di partecipazione è fissato
in € 20,00 per ogni sezione alla quale s’intende
partecipare da inviare, unitamente agli elabora-
ti, in contanti. Per i giovani, che non hanno com-
piuto il 18° anno di età, alla data di scadenza del
bando, non è prevista alcuna quota di partecipazio-ne (indicare la data di nascita e inviare fotocopia
del documento d’identità). Gli elaborati dovranno
giungere alla Segreteria a mezzo posta prioritaria o raccomandata, e corredati di quanto richiesto dal
Regolamento. L’organizzazione non risponde di
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.55
eventuali disguidi o ritardi postali. La Segreteria del
Premio comunicherà l’esito del concorso solamente
ai vincitori ed ai finalisti. La partecipazione al Pre-mio non impegna l’Organizzazione ad obblighi di
qualsiasi genere o natura. La Cerimonia di Pre-
miazione si svolgerà a MONTEVARCHI (Arez-
zo), città natale del Poeta Danilo Masini, SA-
BATO 03 DICEMBRE 2016 - ore 17.00 presso il
Circolo Culturale “STANZE ULIVIERI”, Piaz-
za Garibaldi, 1. PRIMO PREMIO Sezione Poesia
inedita: € 250,00.= dell’Accademia Collegio de’
Nobili PRIMO PREMIO Sezione Libro edito di poesia: € 250,00.= delle Stanze Ulivieri. Ai vincito-
ri d’ogni sezione saranno assegnati trofei, targhe,
medaglie, opere d’arte e libri, nonché diplomi-ricordo. Ai vincitori d’ogni sezione sarà pubblicata
l’opera nel mensile “L’Eracliano”. La Segreteria
si riserva di procedere alla pubblicazione di un vo-lume antologico delle opere meritevoli, come per le
precedenti edizioni, edito dalla Casa editrice AN-
SCARICHAE DOMUS. L’invio degli elaborati al Premio costituisce per ogni concorrente dichiara-
zione di conoscenza e accettazione totale del suo
Regolamento. Gli elaborati inviati non si restitui-
scono. L’invito alla Cerimonia di Premiazione non impegna l’Organizzazione a rimborsi di spese, né produce obblighi di qualsiasi genere o natura nei con-fronti dei concorrenti. L’Organizzazione si riserva di apportare al Regolamento, tutte le variazioni necessa-rie per cause di forza maggiore. Per informazioni tele-fonare o inviare e-mail ai seguenti numeri: cell. 339.1604400 Cell. 329.7235669 Email a: [email protected]
LIBRI RICEVUTI LAURA PIERDICCHI - Oltre - Prefazione di
Sandro Gros-Pietro; in copertina e all’interno, a co-
lori, riproduzione artistica di K. B. Rossetto - Gene-si Editrice, 2016 - Pagg. 88, € 14,00. Laura PIER-
DICCHI è nata a Venezia e vice a Mestre. Ha pub-
blicato undici volumi di poesia e un libro di raccon-ti. Cura recensioni e articoli per riviste e quotidiani
con argomenti di letteratura e di cultura varia. Sue
liriche figurano in antologie e riviste ed hanno con-
seguito molti premi a concorsi nazionali e interna-
zionali. Le antologie “Venezianamente” (Spagna) ed “Echi d’acqua” (Romania) comprendono una
silloge di sue liriche, a cura rispettivamente di Na-
dia Consolani Quiñones e Ştefan Damian. Anche nella rivista “Vernice” appare un ampio servizio
sulla sua attività. E’ componente di giuria in con-
corsi letterari e svolge intensa attività pubblica di
partecipazione a manifestazioni culturali. Di lei si è
interessata la critica più qualificata. Sue liriche sono state tradotte in tedesco (e presentate da Helmut
Meter al Musil Archiv di Klagenfurt e pubblicate in
“I nascosti colori della vita”), spagnolo e romeno, e stampate in diverse riviste nelle rispettive nazioni.
Tra le sue opere ricordiamo le più recenti: “Bianca
era la stanza” (2002), “Il segno dei giorni” (2004), “Il tempo diviso” (2008), “Voci tra le pieghe dei
passi” (2013).
** CORRADO AUGIAS - Le ultime diciotto ore di
Gesù - In sopracoperta: Antonio Ciseri, “Ecce Ho-
mo”, olio su tela, 1890 - Einaudi, 2015 - Pagg. 252, € 20,00. Corrado AUGIAS è giornalista, scrittore,
autore televisivo. Tiene la rubrica quotidiana delle
lettere su “Repubblica” e conduce su Rai Tre la tra-smissione quotidiana “Le storie - Diario italiano”.
Tra i suoi ultimi libri ricordiamo: “Leggere. Perché
i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi” (2007), “I segreti del Vaticano” (2010), “Il disagio
della libertà” (2011), “I segreti d’Italia. Storie, luo-
ghi, personaggi nel romanzo di una nazione”
(2012).
** ZHANG ZHI & LAI TINGJIE (Editors-in-Chief) -
World Poetry Yearbook 2014. 263 Poets 100
Countries and Areas - In copertina, a colori, opera di Tan Jun, del quale ne vengono riprodotte altre 11
all’interno, fuori testo; in prima bandella, foto e
curriculum di Bengt Berg (Svezia); in seconda ban-della, foto e curriculum di Diablo (Zhang Zhi); in
quarta di copertina, foto e poesia di Fernando Ren-
don (Colombia) - Ed. The Earth Culture Press,
2014 - Pagg. 428, prezzo USD 60,00, Euro 50,00.
Ecco gli autori antologizzati. Albania: Agron Shele,
Jeton Kelmendi, Olimbi Velaj, Violeta Allmuca, Visar Zhiti. Algeria: Abdel kadir Kechida. Angola:
Ruy Duaerte de Carvalho. Argentina: Ada Iris Jua-
nita Cadelago, Alvaro Marín, Graciela Nasif, Luis Raúl Calvo, Rubén Pasino, Teresa Palazzo Conti.
Armenia: Eduard Harents, Hrant Alexanyan. Au-
stralia: Anna Kumarich, Georgia Xenopou, Jayne Fenton Keane, Robert Maddox-Harle. Austria: Kurt
F. Svatek. Bahrain: Layla Al-Sayed. Bangladesh:
Hassanal Abdullah, Manohar Mouli Biswas. Bela-
rus: Valzhyna Mort. Belgium: Albert Russo, Jean-
Luc Wauthier, Liza Leyla, Willem M. Roggeman,
Zhang Ping. Bosina and Herzegovina : Lidija Pa-vlović-Grgić, Sabahudin Hadžialić, Zarko Milenic.
Botswana: Molly Thokwana. Brazil: Teresinka Pe-
reira. Bulgaria: Bozhidar Pangelov, Christina Bori-sova, Emiliya Proynova, Kristin Dimitrova, Maya
Mitova, Milka Georgieva Pinalska, Slavimir Gen-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.56
chev, Stanka Boneva, Vessislava Savova, Yordan-
ka Radeva. Canada: Flavia Cosma, Hédi Bouraoui,
Terence Leonard Parkin, Yuan Changming. Chile: Leonor Andrea Dinamarca Carrasco, Rodrigo Ver-
dugo. China: Di Bai, Diablo, Hua Wanli, Huang
Yazhou, Jing Xi, Lai Tingjie, San Sejin, Tang Shi, Tang Yi, Xi Ke, Xiang Yixian, Xu Jiang, Yang Ke,
Zhou Sese, Zhu Likun. Colombia: Fernando Ren-
don, Fuad Muvdi Chaín. Croatia: Joso Zivkovic-Soja. Cuba: Enrique Sacerio-Garí. Cyprus: Andreas
Polycarpou, Rubi Andredakis. Czech: Ivo Harák,
Jan Maruna, Jiří Prošek, Michal Brzák. Denmark: Niels Hav. Ecuador: Cristian Avecillas Sigüenza,
Simón Zavala Guzmán. Egypt: Gihan M. Omar,
Moahmed Naguib Ekramady. El Salvador: Carlos Ernesto García. Estonia: Jüri Talvet. Finland: Anni
Sumari, Rita Dahl. France: Athanase Vantchev de
Thracy, Denis Emorine, Georges Friedenkraft, Ni-cole Barriere, Philippe Tancelin, Rebecca Behar,
Sylvie Reff. Georgia: Paata Natsvlishvili. Germa-
ny: Margaret Saine, Martin Kirchhoff. Ghana: Osman Abraham Lincoln. Grece: Apostolos J. Pa-
schos, Arqile Vasil Gjata, Athanassios Koumouris,
Panagiota Christopoulou-Zaloni, Roula Melita, Ta-
kis D. Ioannides, Yannis A. Phillis. Guatemala:
Humberto Ak’abal. Hong Kong: Choi Lai Sheung. Hungary: Károly Sándor Pallai. Iceland: Eyvindur
Pétur Eiríksson, Garðar Baldvinsson. India: Aju
Mukhopadhyay, Anjana Basu, Arbind Kumar Choudhary, Biplab Majee, C. L. Khatri, Dilip Mo-
hapatra, Gopal Lahiri, Gopikrishnan Kottoor, Jag-
dish Prakash, K. V. Dominic, P C K Prem, Ram Krishna Singh, Sunil Sharma. Indonesia: Goena-
wan Mohamad. Iran: Hamidreza Shekarsari Salimi,
Mansoureh Vahdati Ahmadzadeh, Masood Ahma-
di. Iraq: Adnan Al-Sayegh, Hamdi Hameed Al-
Douri. Ireland: Gabriel Rosenstock. Israel: Ada
Aharoni, Edith Lomovasky-Goel, Hedva Rabinson Bachrach, Kaila Shabat, Luiza Carol. Italy: Alberto
Rizzi, Anna Maria Bracale Ceruti, Corrado Cala-
brò, Domenico Defelice, Elio Andriuoli, Francesco Manna, Lidia Chiarelli, Raffaele Ragone, Tito Cau-
chi. Jamaica: Kei Miller. Japan: Kae Morii, Michi-
ko Shida, Taki Yuriko, Tomoji Nakamura. Jordan: Fathieh Saudi. Korea: Baek Han-Yi. Kosovo: Fah-
redin Shehu, Naime Beqiraj. Kurdistan: Hussein
Habasch. Latvia: Baiba Talce, Gvido Drage. Leba-
non: Lara Nabhan Mallak. Lithuania: Sigitas Parul-
skis. Macedonia: Ljubomir Mihajlovski, Ljupce
Zahariev, Zejnepe Alili-Rexhepi. Malaysia: Wu An. Mexico: Francisco Azuela, Maria Eugenia So-
beranis, Patricia Garza Soberanis, Roberto Rosales
Martinez. Mongolia: G. Mend-Ooyo. Montenegro: Katarina Saric. Morocco: Touria Majdouline. Mo-
zambique: Domi Chirongo. Myanmar: Arche A.
Nepal: Banira Giri. Netherlands: Gerry van der
Linden, Quito Nicolaas. New Zealand: Ron Rid-
dell. Nicaragua : Ninozka Chacón Bandón. Nige-ria : Nnamdi Desmond Asiegbu. Norway : Odveig
Klyve. Oman : Mohamed Al-Harthy. Pakistan :
Ayub Khawar, Fakhira Bataool, Hamza Hassan Sheikh, Muhammad Shanazar. Palestine : Moha-
med Rabie. Paraguay : Celia Benfer, Lucina Medi-
na de Barry. Peru: Teodora Amiot. Philippines: Ca-roline Nazareno, Jose Wendell Capili, Mark Ange-
les. Poland: Bogumila Janicka, Grażyna Kielińska,
Maria Kogut, Marlena Zynger. Portugal: Herberto Helder. Puerto Rico: Etnairis Ribera, Mairym Cruz-
Bernal. Romania: Constantin Eugen D. Moga, Dra-
goş Barbu, Gheorghe Mihail, Nadia-Cella Pop, Noni-Emil Iordache, Tatomir Ion-Marius. Russia:
Adolf P. Shvedchikov, Azsacra Zarathustra. Sene-
gal: Daouda Ndiaye. Serbia: Bilall Maliqi, Dušan Gojkov, Ivana Milankov, Slobodan Simić, Tatjana
Debeljački, Vedran Vučić. Singapore: Ling Jian-
gyue, Shi Ying. Slovakia: Juraj Kuniak. Slovenia: Taja Kramberger. South Africa: Makhosazana Xa-
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Gago, José Santiago. Surinam: Jit Narain. Sweden:
Bengt Berg. Syria: Sulaiman Al-Hukmiy. Taiwan:
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Değerli, Fide Erken, Gülsüm Cengiz, Nisa Leyla.
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na Samara, Tetiana Dziuba. UK : Dennis Evans,
Jenny Lewis, Joan Michelson, Paul Tristram, Peter Thabit Jones, Shanta Acharya, Tim Cloudsley. Uni-
ted Arab Emirates : Abdul Hakeem Al Zubaidi,
Shihab Ghanem. USA : Aaron A. Vessup, Bill
Wolak, Carolyn Mary Kleefeld, David M. Lucas,
Elisavietta Ritchie, Gerald W. Jones, James Ragan,
Jim Kacian, Luis Alberto Ambroggio, Maria Ben-nett, Neal Whitman, Stanley H. Barkan, Tammy
Nuzzo-Morgan. Venezuela : Gabriel Jiménez
Emán, Mariela Cordero García. Vietnam : Nguyen Chi-Trung. Zimbabwe: Christopher H. D. Magad-
za. A seguire: Books Reviews, Research Papers,
Poets Talking Abaut Poetry, Prizes 2014: The In-ternational, Best of the Year ; IPTRC.
**
CATERINA FELICI - Matteo e il tappo - Favola
per adulti - Italic Pequod, 2016 - Pagg. 118, €
15,00. Caterina FELICI, insegnante, è poetessa e
scrittrice e ha pubblicato volumi di poesia e prosa. Tra i libri di poesia: “Reciproco possesso” (1975),
“Vastità nei frammenti” (1978), “Oltre le parole”
(1982), “Poesie scelte” (1992), “Labili confini” (1994), “Confluenza” (1997), “Tessere di vita”
(2004), “Tratti d’insiemi” (2007), “Fogli di vita”
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.57
(2013). Sue poesie sono presenti in antologie. Tra i
volumi di narrativa: “Il vecchio e altri racconti”
(1987). Ha ricevuto vari primi premi in noti con-corsi letterari nazionali. Tra coloro che si sono inte-
ressati di lei, si ricordano: Cesare Segre, Giacinto
Spagnoletti, Giuliano Gramigna, Giorgio Bárberi Squarotti, Walter Mauro, Bruno Maier, Giorgio
Cusatelli, Claudio Toscani, Maria Lenti, Paolo Ruf-
filli, Antonio Piromalli, Marino Moretti, Giambatti-sta Vicari, Luigi Volpicelli, Gian Luigi Beccaria,
Vittorio Coletti, Gina Lagorio, Domenico Rea.
TRA LE RIVISTE IL CONVIVIO - Trimestrale di Poesia Arte e Cul-tura fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza
Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Ca-
stiglione di Sicilia (CT) - E-mail: [email protected] ; [email protected] - Ri-
ceviamo il numero 4 (63), ottobre-dicembre 2015,
del quale segnaliamo: “Corrado Calabrò: tradizione classica nel moderno”, intervista di Carlo Di Lieto
e “Indossando il vestito”, una commedia in due atti,
con illustrazioni di Pasquale Colacitti, di Maria
Altomare Sardella; inoltre, rileviamo le firme di:
Giuseppe Melardi, Caterina Felici, Loretta Bo-
nucci, Giovanna Li Volti Guzzardi, Béatrice
Gaudy, Antonia Izzi Rufo, Isabella Michela Af-
finito, perché anche nostri collaboratori. Allegato il
n. 29 (ottobre-dicembre 2015) di CULTURA E PROSPETTIVE, di 192 pagine, con numerosissimi
interventi, tra i quali quelli di: Angelo Manitta,
Guglielmo Manitta, Leonardo Selvaggi, Orazio
Tanelli, Carmine Chiodo.
*
THE WORLD POETS QUARTERLY - Rivista multilingua fondata da: Dr. Zhang Zhi, Dr. Yu
Haitao, Dr. Choi Laisheung, + Dr. Rosemary C.
Wilkinson - P. O. Box 031, Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City, P. R. CHINA - E-mail:
[email protected] ; [email protected] - Riceviamo il
volume n° 79 in Total, August 8, 2015. In prima di copertina, foto a colori di FebBlue (Cina); in se-
conda di copertina: foto a colori di Domenico De-
felice, un suo breve curriculum e due sue poesie in inglese e in cinese: “Bricklayers of the South” e “A
Song to Life”; in terza di copertina, a colori, foto
del pittore Shao Qihong e la riproduzione di 6 suoi lavori pittorici più un suo curriculum; in quarta di
copertina, a colori, foto di: Bengt Berg (Svezia),
Abdel kadir Kechida (Algeria), Anni Sumari (Finlandia), N V Subbaraman (India), Wang
Lishi (Cina), Norton Hodges (UK), Olimbi Velaj
(Albania) e Wang Jiahong (Cina). La rivista (56
pagine grande formato) ospita un gran numero di poeti di almeno 16 nazioni. Riportiamo i poeti cine-
si: Choi Lai Sheung, FebBlue, Tang Yi, Zhu Li-
kun, Di Bai, Chen ZHong, Zhang Zihan, Mu
Lan, Li Zhengshuan, Wang Lishi, Bao Rong-
bing, An Yu, Wu Liangru, Ye Guanghan, Yu-
ming Zhou. *
KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia edita dalla
Libreria Ticinum Editore e diretta da Amedeo
Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno
(LO) - E-mail: [email protected] Riceviamo il
n. 48, gennaio 2016, di Pagg. 120, € 10,00, con i contributi di: Daniela Marcheschi, Giovanni Cai-
ro, Francesco Giarelli, Margherita Rimi, Ame-
deo Anelli, Darko Suvin, Ursula K. Le Guin. *
IL CENTRO STORICO - Periodico dell’ Associa-
zione Progetto Mistretta, Presidente Dott. Nino Te-
stagrossa, direttore responsabile Massimiliano
Cannata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME).
E-mail: [email protected] Del numero 1-2
(gennaio-febbraio 2016), segnaliamo l’intervista a
Massimiliano Valerii a cura di Massimiliano Can-
nata: “Italia dove stai andando?”, ma tutti gli inter-
venti son da leggere, con le firme di: Francesca
Maria Spinnato Vega, Dionigi Tettamanzi, Oscar Bartoli, Salvatore Pettineo, Francesco Ri-
baudo, Angela Mollica Nardo, Giusy Sirni,
Francesca Scarcina, Rosalinda Sirni, Margheri-
ta Petranzan, Nerina Toci, Lucio Bartolotta ecc.
*
LA RIVIERA LIGURE - quadrimestrale della
Fondazione Mario Novaro, Direttore responsabile
Maria Novaro - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Ge-
nova - E-mail: [email protected] Il n. 3 (78), settembre-dicembre 2015 è dedicato a Aure-
lio Valesi, con le firme di Maria Novaro, Marco
Ercolani, Pino Boero, Carlo Romano, Francesco
De Nicola, Rosa Elisa Giangoia, Massimo Mo-
rasso, Lucetta Frisa, Carla Ida Salviati.
LETTERE
IN DIREZIONE
“LA FESTA (DELLA DONNA) È OR-
MAI TRASCORSA”... - E-mail del 14 mar-
zo 2016 da Emerico Giachery, da Roma -
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.58
Carissimo Domenico, ti ringrazio per ave-
re segnalato nel numero di marzo il libro che
mi regalai per gli ottant'anni (anziché acqui-
stare un libro, mi son detto, c'era più gusto a
scriverselo, tanto più che diventava un regalo
molto più "personalizzato", contenendo il
senso e il sapore di tanta mia vita). Hai fatto
molto bene, a mio parere, a far apparire il vol-
to di Giulio Regeni, un giovane "d'eccellen-
za", come oggi usa dire, che operava per un
mondo più umano ed è stato brutalizzato e
ucciso da poteri oscuri e antiumani. Tutti,
come italiani, ma soprattutto come esseri
umani, ci sentiamo offesi e vulnerati dalla
sua crudele morte. Vedendo, in quarta di co-
pertina, momenti della tua attività di pittore,
volevo chiederti se conosci un altro Domeni-
co, calabrese anche lui e pittore, e abbastan-
za affermato, il Maestro Tripodi, che ogni
tanto mi telefona invitandomi con molto slan-
cio a visitare il suo studio insieme con mia
moglie Noemi e con una carissima amica ap-
passionata d'arte, guarda caso anch'essa di
origini calabresi, e con casa a Tropea, Anna
Angiò. Tutte le strade portano in Calabria! Mi
spiace di non aver pensato a inviarti, in vista
del numero di marzo, un mio scritto in lode
delle donne con preludio onirico-musicale,
forse non sgradito alle tue tante collaboratrici,
in occasione della Festa della Donna. La festa
è ormai trascorsa, ma te lo allego ugualmente,
sempre che tu abbia tempo e voglia di legger-
lo, e lo dedico alle donne della tua famiglia.
Buona primavera e buona Pasqua
Emerico
Carissimo Emerico,
potevo non segnalare le tue Voci del tempo
ritrovato? Un libro favoloso, che merita più
di una segnalazione. Diviso in sei sostanziosi
capitoli e un folto album fotografico, è tutto
un’ingordigia. Anche se parte da un tempo in
cui ancora non ero nato, il cuore del tuo la-
voro sta negli anni favolosi della mia infanzia
e della mia giovinezza, diciamo a partire da-
gli anni cinquanta del secolo appena trascor-
so. In “Un ottantenne racconta” ci dai sprazzi
sulla tua frequenza scolastica, a partire dalle
elementari e accenni pure alle riforme, la più
organica quella Gentile, che “caldeggiava
una scuola elementare <aderente al sentimen-
to, all’esperienza, ai costumi, alla lingua, all’
anima del popolo>”; poi accenni al Liceo e
alla scoperta di libri e antologie e poeti - al-
cuni: Pascoli, Quasimodo, Montale, Ungaret-
ti (al quale dai ampio spazio nel terzo capito-
lo riguardante il Lazio) da te assai amati -,
per passare all’Università e ai tanti Maestri,
anche di fama internazionale, come Pantaleo
Carabellese, Guido De Ruggiero, Gaetano
De Sanctis, Federico Chabod, Raffaele Pet-
tazzoni, Antonino Pagliaro, Alfredo Schiaffi-
ni, Angelo Monteverdi. E non manca l’ ac-
cenno alla guerra, ai bombardamenti, agli
spostamenti e alle ristrettezze economiche, a
proposito delle quali mi son gustato, nel capi-
tolo “Lazio di memoria, mito, poesia”, quel
tuo “rientro a casa con una preda di fagioli o
patate o con una bottiglia d’olio, pregiato
quasi come l’oro”, rientro che “era, allora
poco meno osannato del ritorno di Radames a
Menfi dopo la vittoria sugli Etiopi di Amona-
sro”. Non meno affascinante è il capitolo
“Anni trenta: radio, libri, canzoni”, opere e
melodie vivissime ancora negli anni cinquan-
ta e perciò anche da me amate e stampate
nella memoria. Come si fa a non ricordare il
Quartetto Cetra, per esempio, Natalino Otto;
canzoni come “Parlami d’amore, Mariù”,
“Violino Tzcano”, “Lilì Marlen”; libri come
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno e Quel pa-
sticciaccio brutto di via Merulana”; perso-
naggi come Nunzio Filogamo, attori e attrici,
la Topolino della Fiat, i costumi?... E tu hai
la magia d’infilarci, qua e là, riflessioni sof-
fuse di leggero umorismo (“Avrei ancora
l’età giusta per diventare Presidente della Re-
pubblica. O magari Papa. Ma è poco probabi-
le che io diventi l’uno o l’altro. Dovrò accon-
tentarmi di meno appariscenti occupazioni e
rinunciare a prendere appunti per il saluto di
Capodanno agli Italiani o per una possibile
Enciclica”), o di afflizione dolorosa, come
quando, rievocando i versi di “Signorinella”,
ti soffermi sulla notizia del nostro tempo della
donna musulmana che, per essersi messa i
pantaloni, è stata condannata a quaranta fru-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.59
state!. L’avrò già scritto altre volte: tu inizi
sempre da solitario il tuo peregrinare di me-
moria tra autori e libri, per poi giungere alla
meta contornato da una folla immensa e fa-
volosa. Nel capitolo sul Latium vetus (ed at-
tuale), non si possono dimenticare le tue
escursioni in bicicletta con tuo padre, alla
scoperta di Palestrina, Castel San Pietro
(con l’accenno al film di De Sica, “Pane
amore e fantasia”), Frascati, Albano, Lanu-
vio, e quindi Lavinium, Pratica di Mare, Po-
mezia e Torvaianica, con la tomba di Enea, il
Santuario delle XIII are e quello di Minerva,
l’antro della Ninfa Egeria... Mi dai
l’impressione che almeno qualche volta ci sa-
remo sfiorati senza salutarci, perché sono
stato a Roma per la prima volta a quattro
mesi (via e largo Arenula); mi hanno scattato
la prima foto intorno ai dodici/quindici anni
nei giardini della casa di Nerone di fronte al
Colosseo; ho vissuto nelle pensioni tra la sta-
zione Termini e San Giovanni (l’ultima, in via
Emanuele Filiberto); ero solito andare a
messa nella chiesetta dei Frati Bigi e in quel-
la su via Merulana, angolo via Labicana, do-
ve, qualche anno fa, violenti manifestanti
hanno preso a martellate l’immaginetta della
madonna; ho visitato più di una volta i luoghi
dello sbarco di Enea e i vari reperti archeo-
logici; ho baciato la ragazza seduto nella
piazzetta di Pratica di Mare sotto l’ombra dei
platani... Dimmi come possano non affasci-
narmi i tuoi scritti! Oggi ho quasi ottant’anni
e se anch’io mi metessi a raccontare, almeno
alcune cose combacerebbero con le tue. Il
capitolo “Alla scoperta di Firenze” è tra i più
brevi. La città ci viene incontro con le tante e
celebri canzoni ad essa dedicate (Messer
Aprile, Madonna Bice, l’Arno d’argento), le
tante opere letterarie e cinematografiche, con
nomi celebri (Guido Brignone, Alessandro
Blasetti, Sem Benelli, Clara Calamai, Emma
Gramatica, Rossellini, Pratolini, Zurlini, Pa-
lazzeschi - da me incontrato alla SIAE dell’
Eur insieme a Vincenzo Fraschetti e a Giulio
Andreotti -, Luzi), i monumenti e i pittori (il
Battistero, San Marco e l’Angelico, il Carmi-
ne e Masaccio, Santa Felicita e Pontorno)...
Firenze, una delle “città ricche d’anima”,
come tu giustamente scrivi. In “Oceano lago
fiumi”, abbiamo una prima parte col tuo
racconto di ventenne Wanderer per l’Europa
appena uscita dalla guerra e mentre le singo-
le nazioni tentano di sanarsi le ferite. Eccoti
a specchiarti “nelle chiare e fresche acque
del Sorga a Fontaine-de-Vaucluse”, a Stra-
sburgo; eccoti, capelli al vento, sulle “Rocce
titaniche a precipizio sulle tempeste” dell’ At-
lantico. Poi c’è il Wanderer più maturo fare,
a volte, gli stessi itinerari ed elargendoci vi-
sioni e bellezze, anche di ragazze, come l’
Annie bretone che “cuce e canta”; di laghi
come il Lemano con Ginevra e i suoi tesori e
la sua cultura e i ricordi che pullulano come
sorgiva e riportano in superficie libri, arte,
cucina e buoni vini, e amici speciali come
Eugène Kuttel. Per quanto concerne i fiumi,
non poteva mancare il Tevere (con Ponte
Sant’Angelo e Mario dell’Arco che ricordo al
Caffè dei Poeti e all’Associazione Trilussa);
e poi l’Arno, la Senna, il Danubio, il Reno,
con le città, l’arte, i poeti e, infine, “Il gran
fiume dell’Essere, che convoglia e trascina e
travolge nei gorghi gli innumerevoli e minu-
scoli affluenti delle nostre esistenze, dei no-
stri amori e pensieri, delle nostre speranze e
illusioni”.
Se mi avessi fatto avere il pezzo per le donne
in marzo, sarebbe stata una vera grazia per
le tante nostre lettrici e collaboratrici; sì,
perché P. N. ha avuto sempre un bel pubblico
femminile e a molte donne sono state nel
tempo dedicate copertine e prime pagine. Per
non andare troppo indietro, ricordo il 2015:
gennaio, ad Anna Achmatova; febbraio, a
Oriana Fallaci; marzo, a Marguerite Your-
cenar; giugno, a Giulia Di Barolo; settembre,
a Lilli Gruber. Pure questo 2016 è incomin-
ciato alla loro insegna: gennaio, a Svetlana
Aleksievich; marzo, a Maricla Di Dio e, que-
sto aprile, a Adriana Assini. Serbo, allora, il
tuo pezzo per il numero di maggio, mese che
io dedicherei per intero alle donne, essendo il
più bel mese dell’anno. L’otto marzo ha or-
mai perso lo spirito profondo per il quale è
stato istituito; è diventato solo un business
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.60
commerciale e una manifestazione plateale di
ipocrisia per chi considera la donna un og-
getto (e qui mi fermo, cercando di trattenere
la bestemmia al pensiero che si è presa la
brutta piega di festeggiare pure l’otto marzo
della gattina e della cagnolina, della coni-
glietta, della maialina, perché anch’esse
creature di Dio, ed è giusto che anche a loro
si dispensino baci - veri, non Perugina -, lec-
cornie, e si comprino pure le mutandine colo-
rate di rosso...). E lo scandalo è ancora più
indecente se si pensa che le donne a tutto ciò
non solo non si ribellano ma vi partecipano
attivamente., Ho incontrato tempo fa a Piazza
dei Navigatori, a Roma, una coppia che por-
tava a spasso il cagnolino. L’uomo aveva
fretta e la donna, rivolta all’animale che si
attardava ad annusare il marciapiede: “Dai,
amore, altrimenti papà se ne va!” Papà, di un
cane! Sì, è giusto “accarezzare i cani dagli
occhi benevoli che ci tendono il muso con
simpatia” - come tu scrivi -, ma non dimenti-
cando mai che sono animali; lasciamoli, in-
somma, vivere da cani! Facciamo loro torto
costringendoli, per nostro egoismo, a scim-
miottarci e a comportarsi contro loro natura.
Scordiamoci, allora, caro Emerico, dell’otto
marzo - ormai solo scandalo - e dedichiamo
alla donna i nostri scritti e tutto di noi stessi
quando ci pare.
L’Occidente non è civile come non lo è l’
Oriente, come non lo sono il Sud e il Nord. L’
umanità continua nella barbarie finché ha bi-
sogno di martiri come Regeni e del sangue di
milioni di donne uccise, di fanciulli seviziati,
di cristi giornalmente messi in croce. È solo
ipocrisia parlare di civiltà e ciò che noi
chiamiamo progresso, anziché migliorarci, ci
sta rendendo più duri, crudeli e cinici e raffi-
nati nelle brutture e nelle devianze.
Conosco il caro Domenico Tripodi e non è
una volta sola che P. N. dedica a lui e alla
sua arte qualche pagina e qualche copertina
a colori (per esempio, giugno 2014). Ma lui è
restio a più assiduamente collaborare.
Ognun di noi ha i suoi itinerari, ognun di noi
è un esclusivo Wanderer.
Scusa se mi son dilungato e se, ora, non ho
neppure il tempo di rileggere, perché in ri-
tardo con la chiusura e devo portare il tutto
in tipografia. Mi par di stare su una catena di
montaggio: un numero viene licenziato e l’
altro è già in cantiere! Quanto potrà durare
ancora un tal delirio?
Domenico
***
Ilia Pedrina, da Vicenza, e-mail del 18 mar-
zo 2016: Caro, carissimo Amico, dal Novembre 2015 al Marzo 2016: nella sta-
si delle proprie dimore ciascuno di noi ha po-
tuto viaggiare senza sforzo tra i sentieri che
collegano la Bellezza alla vita, al sogno, alla
ragione determinata e calcolante, alla rivolu-
zione spinta con forza per far cambiare atteg-
giamenti e comportamenti, deleteri soprattut-
to se collegati con l'ipocrisia e l'indecenza dei
propositi volti all'arrembaggio che accaparra
le risorse di questa nostra Nazione, alla trage-
dia dell'abbandono e della solitudine, al lutto
della perdita, alla vita trascorsa nella fede e
nella dedizione, ai ritmi cadenzati di Poesia,
ai palpiti di quel contatto umano che si snoda
tra domande e risposte. Si, un viaggio di cin-
que mesi, straordinario, innovativo, che allac-
cia contenuti a vite, a relazioni e a palpiti, in
complesse, complessive emozioni che lascia-
no il segno. Si, parole scritte che portano ri-
flessioni, considerazioni originali e ben do-
cumentate, slanci d'amicizia e di cordiale, tra-
sparente sintonia, a consolidare convergenze
d'intenti e di progetti. Si, tutto questo è pre-
sente nel tuo instancabile frutto di cultura, d'
arte, di musica, di scienza, POMEZIA NO-
TIZIE, dico, che si diffonde in copia ogni
mese, in un ritmo lunare che rinnova sempre
la sua luce.
Dal Novembre 2015 al Marzo 2016, lungo il
filo rosso dello scambio in intreccio di per-
corsi, come quello dell'articolo di A. I. Pedri-
na sull'eternità dell'anima e sull'immortalità
(Pom. Not. Nov. 2015), che porta a riscontri
meditati e consapevoli nella 'Lettera aperta' di
Marina Caracciolo (Pom. Not. Marzo 2016)
Marina dice ad Aida Isotta, apertamente, che
non trova citato Gesù nelle sue riflessioni. È
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.61
vero, non viene mai nominato Gesù, perché
forse lei, Isottina, come la chiamo io, ha den-
tro Maria, la sua Mamma, ancora e sempre
incinta di Lui, senza farlo venire a questo
mondo. Nel canto tutto al femminile di Erri
De Luca 'In nome della madre', in copertina
una lettera ebraica, al suo retro un'altra lette-
ra, differente ad indicare le due 'M' del nome
'Myriam', segnate l'una con un piccolo spazio
d'aria che passa, l'altra a lei simile, ma segreta
e chiusa, ma a simboleggiare due realtà di vi-
ta, dalla verginità in purezza aperta all'espe-
rienza e al mondo, a quell'essere piena di
Vento che rappresenta il momento dell'An-
nuncio, fino al compimento di quell'Essere
che nella Parola diventerà Vento e respiro in
luce per chi in questo Vento vedrà il Padre.
Così scrive Erri De Luca, che mi ha fatto
commuovere dal vivo, in dolcezza, nella sera-
ta al Teatro dannunziano di Villa Mirabella al
Vittoriale degli Italiani, tra gli Artisti del Can-
zoniere Grecanico Salentino ed i loro straor-
dinari strumenti, la sera del 4 marzo scorso:
'In ebraico esistono due emme, una normale
che va in qualunque punto della parola e una
che va solo in ultima casa. Miriam ha due
emme, una dell'esordio e una terminale. Han-
no due forme opposte. La emme finale, mem
sofit in ebraico, è chiusa da ogni lato. Quella
iniziale è gonfia e ha un'apertura verso il bas-
so. È un'emme incinta.' (Erri De Luca, In no-
me della madre, ed. Giang. Feltrinelli, 2008,
retro di copertina). E c'è anche Ernst Bloch,
qui sullo scrittoio, tra una Pomezia Notizie e
l'altra, quello del volume 'Ateismo nel cristia-
nesimo - Per la religione dell'Esodo e del Re-
gno 'Chi vede me vede il Padre', con tradu-
zione e cura di Francesco Coppellotti, mentre
è Giangiacomo Feltrinelli che firma il proget-
to editoriale. Allora io, che mi sento sempre
bambina ai primi passi in un mondo che co-
nosco già fin troppo bene, mi rivolgo in tem-
po reale a Maurizio Mazzetto, il cui pensiero
e volto hai ospitato tra le pagine della Rivista
proprio nel mese di Novembre 2015, e gli
prospetto una richiesta d'aiuto, visto che le
mie note portano la data del 2008. Lui va a
cercare il libro, nella sua biblioteca ordinata
assai, lo trova e mi scrive che quel testo reca
la data d'acquisto e di lettura del 1976, è tutto
annotato e lui era ai primi passi nel percorso
del sacerdozio, al primo anno di Teologia, e
quel libro di certo non era 'scolastico'. Bloch,
dedicando ad Adolf Lowe quel testo, analizza
con raffinata eleganza il percorso del sacro e
prende dentro anche Orfeo ed il bisogno di
questa divinità di consegnare la matrice del
suo canto a chi la sa cogliere e disperdere. Poi
arriveranno le parole, quelle della poesia e
della musica che ne è la radice. Ti manderò
un lavoretto su questi temi perché lui, questo
filosofo tedesco nato nel 1885, ha la forza an-
cora di farsi ascoltare, perché dal suo 'Il prin-
cipio speranza' (ed. it. Vallecchi 1967) sono
scaturiti fiumi di riflessioni e di approfondi-
menti.
Allora chi prega intende rendersi degno della
fiducia di Chi lo ascolta: questa certezza psi-
cologica passa nella vita d'ogni giorno, come
ricorda Erri De Luca nella serata di cui ti ho
detto, intensissima, descrivendo con il cuore
la fede degli operai musulmani che erano con
lui, in totale ristrettezza di mezzi, nella stan-
za-dormitorio della fabbrica dove lavoravano,
nel 1982, alla periferia di Parigi. Si volgevano
al muro, verso Oriente, a ricercare una forza
che per loro non ha volto, ad intercettare un
contatto che ha senso sempre cinque volte al
giorno, senza che mai ci si dimentichi di que-
sti appuntamenti. Mai. Mentre ti scrivo, le la-
crime vengono giù lungo le gote da sole, per-
ché la commozione è umida e liquorosa, si,
quel liquore dell'anima che inebria nell'inna-
moramento e lo scrittore, dentro le parole, de-
scrive proprio questo innamoramento tra le
creature ed il loro Fattore, non differente dal
nostro.
Tra il Novembre 2015 e il Marzo 2016, dice-
vo. È così: ogni mese, come il ciclo regolare
della fecondità della vita nella donna, ritual-
mente, metti insieme le nostre parole, che ti
arrivano con quel fremito che accompagna
ogni offerta: tu ti fai Demiurgo e componi tut-
to in nuova armonia, fili complessi tessuti in-
sieme dalla condivisione, primo denominato-
re comune della conoscenza; tu ti fai Racco-
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.62
glitore e bacchetti severamente chi nel nostro
tempo è senza qualità morali, senza dignità,
senza destino costruito sulla responsabilità
che detta scelte coerenti; tu ti fai Regista di
un canto comune iniziato tanti anni fa, quan-
do hai raccolto l'eredità de 'La Procellaria' di
Francesco Fiumara e indietro nel tempo quel-
la del 'Realismo Lirico' di Aldo Capasso.
Francesco Pedrina, dopo aver collaborato ad
entrambe quelle preziose riviste letterarie, ri-
mane ancora voce viva tra noi, quando pub-
blichi i racconti che ti mando, quelli di 'Vela
d'argento - Viaggio sentimentale attraverso la
mia vita', tradotto in francese dalla cara, dol-
cissima Solange de Bressieux. Allora questa
continuità è divenuta risorsa piena dello spiri-
to in ricerca, della nostra capacità di intercet-
tare Dio tra le cose del mondo, le emozioni, le
sofferenze, i disagi, i conflitti, gli ardori dell'
amore umano, che arriva a contenere anche
Dio e a chiedere in preghiera un Suo silenzio-
so riscontro, infinito, dilatatissimo. Il grande
Tertulliano, uno tra i Padri della Chiesa, dice-
va 'Credo, quia absurdum': proprio perché è
un'assurdità il credere, sia a Dio che all'eterni-
tà dello Spirito che all'immortalità dell'Ani-
ma, si apre con lui quel percorso incredibile
che arriva fino a Kierkegaard e oltre. Paolo di
Tarso non si sarebbe mai permesso di consi-
derare assurde le sue convinzioni, pieno com'
era di sé e della sua fede.
Ti abbraccio, allora, piena di gratitudine.
Ilia tua
Cara Ilia,
che idea prendere in considerazione cinque
mesi di vita di Pomezia-Notizie, e proprio
quelli dal novembre 2015 al marzo 2016!
Cinque mesi vissuti come sempre con grinta
ma alla giornata, senza, cioè, i progetti fa-
raonici di molte testate poi quasi mai realiz-
zabili; con grinta, ma anche con umiltà, me-
more che progettare spetta solamente a Dio,
a me solo collaborare ed eseguire. Ogni nu-
mero s’è sempre realizzato quasi al di fuori
della mia volontà, nel senso che non c’è stato
mai niente di preventivato e che temi e argo-
menti scaturiscono e si compongono volta
per volta attraverso gli scritti inviati da te e
da tutti gli altri affezionati collaboratori. Co-
sì, per esempio, ecco il tema della lingua,
portando in campo, nello stesso numero,
Gentile, Cardarelli e Gadda; ecco quello del-
la fede, o quello della violenza nel quale ben
si inserisce la silloge Bambini di Anna Vinci-
torio; o, ancora, il dolore e la morte, con il
ricordo dei nostri amici o dei parenti che
hanno fatto l’ultimo viaggio; o il tema della
politica (Destra e Sinistra di Giuseppe Leone)
e quello che tocca geografia e città: la Tuni-
sia, per esempio, Genova, Pechino... Io ese-
guo, non progetto, e ogni numero è agile e
vivo perché imprevisto, in base a ciò che voi
inviate; io raccolgo e colloco, distribuisco.
Dire che faccio il “demiurgo”, mi sembra ve-
ramente esagerato; qualcuno dice che faccio
il regista: in parte forse è vero, ma solo in
parte, perché anche in campo filmico, il ca-
polavoro nasce solo se c’è il concorso degli
attori, degli scrittori, dei costumisti, dei foto-
grafi, dei macchinisti e via elencando. Così,
se io metto insieme le vostre parole, ogni nu-
mero diventa un coro armonico di consensi e
contrasti solo perché le vostre parole sono al-
te, altrimenti sarebbe sempre e solo silenzio
assordante.
Se Isotta non nomina Gesù ci sarà un motivo,
forse Lei questa grande figura non l’ha anco-
ra bene introitata, metabolizzata. Gesù è an-
cora oggi - e lo sarà per sempre - una pietra
d’inciampo, essendo venuto al mondo, come
Lui stesso afferma, non per portare la pace e
l’unità, ma “le discordie, il fuoco, la spada, la
guerra” (Vangelo di Tommaso). Gesù è il più
grande dei rivoluzionari. Le notizie che noi
abbiamo di Lui sono scarne e agiografiche,
ma anche da così pochi elementi si può risa-
lire al suo radicalismo, al suo socialismo1, al
suo amore per la libertà. Sì, è stato anche un
banditore della libertà (e non soltanto della
coscienza).
Domenico 1 - Gesù - scrive Corrado Augias in Le ultime di-
ciotto ore di Gesù, Einaudi, 2015 - “È un uomo pio ma è anche un uomo aspro, difficile, come chiun-
que senta fin nel profondo del suo essere il senso di
una missione che può arrivare a squassare i rapporti
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.63
tra gli uomini e i fondamenti di una società. Predi-
lige i poveri, lo ripetono tutti. Tommaso 59: <Beati
i poveri perché vostro è il Regno dei Cieli!>; Luca 6,20: <Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di
Dio>; Matteo 5,3: “Beati i poveri di spirito perché
loro è il Regno dei Cieli>. Ma di quali poveri sta parlando? Il testo greco di ptochò, che non è l’ in-
digente, è il mendico, il vagabondo, il miserabile,
colui che non ha casa né cibo. Gli ptochoi sono il portato dell’ingiustizia sociale, gli scarti umani...”.
***
E-mail del 19 marzo 2016 da Pescate (LC) -
Ho letto il numero di marzo di Pomezia-
Notizie e devo dirti che ho trovato la rivista in
ottimo stato di salute. Trovo che la sua ric-
chezza, mi preme dirtelo, non è tanto nella
varietà dei suoi temi, che pure sono tan-
ti, quanto nei frequenti scambi d'idee e di ve-
dute fra i suoi collaboratori.
Penso alla lettera aperta di Marina Caraccio-
lo a Aida Pedrina e a quanto scrive in una let-
tera al Direttore Emerico Giachery, che si
sofferma sul mio articolo in ricordo di Vitto-
riano Esposito ma anche sul dibattito fra me e
te su Destra e Sinistra. Insomma, caro Dome-
nico, una rivista viva e vivace, frutto, mai di
preconcette posizioni su questa o quell'idea
politica, su questa o quella corrente lettera-
ria, ma sempre nel segno della tolleranza e
della libertà di espressione. Una bella azio-
ne editoriale che dura da oltre quarant'an-
ni. Un caro saluto,
Giuseppe Leone
Caro Giuseppe,
l’unico stato che non solo non è “ottimo”,
ma al di sotto di “pessimo”, è lo stato eco-
nomico. La crisi ha colpito anche Pomezia-
Notizie, facendo diminuire i suoi abbonati
di almeno un 30%. Se non ho da comprar da
mangiare - mi telefonava all’inizio dell’ an-
no un vecchio abbonato -, come posso rin-
novare l’abbonamento? Ho assicurato l’
amico che gli farò avere il mensile finché
posso, anche senza l’abbonamento. Altri lo
hanno dimezzato letteralmente: Contèntati!
- mi han detto -, di più non posiamo dare!
Che fare? La famiglia protesta; è vero che
sono alla soglia degli ottant’anni, ma ciò
non può giustificare l’intaccare la pensione
di appena mille euro. Logica sarebbe chiu-
dere, ma non ce la faccio: i vostri apprez-
zamenti sono vita. Grazie!
Domenico
SOSTA
C’è giocare di ali
che nunziano avvento
di primavera. E io
mi sento nascere;
e si dirada
l’uggia d’inverno
che m’inabissa.
Uno spiraglio di cuore
consentirebbe sosta
all’intimo fuggire
irreparabile.
Rocco Cambareri Da Da lontano, Ed. Le Petit Moineau, 1970
POMEZIA-NOTIZIE Aprile 2016 Pag.64
TERRA
Terra
grembo della vita:
sei amica
dell’uomo
e da te
tutto proviene
e tutti gli esseri
viventi
a te ritorneranno.
Loretta Bonucci
Qui sotto a sinistra: Domenico Defelice: Paesag-
gio (acquerello, 1982) e La luna dietro il cipresso
(china, 1960)
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
30 righe per 60 battute per riga, per un totale di
1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito
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