54
“C ARMINA SUBLIMIS TUNC SUNT PERITURA L UCRETII , EXITIO TERRAS CUM DABIT UNA DIES LA FORTUNA DI LUCREZIO M ATTEO R OSSETTI C LASSE V A B S . L ICEO G INNASIO STATALE “STEFANO MARIA LEGNANI” S ARONNO . A.S. 2008/09

Tesina Lucrezio

Embed Size (px)

DESCRIPTION

lucrezio

Citation preview

C ARMINA SUBLIMIS TUNC SUNT PERITURA L UCRETII , EXITIO TERRAS CUM DABIT UNA DIES LA FORTUNA DI LUCREZIO

M ATTEO R OSSETTI C LA SSE V A B S .L ICEO G INNASIOSTATAL E

S T E F ANO MARIA LEGNANI S A RONNO . A . S . 2008/09

Questo lavoro sulla fortuna di Lucrezio nasce da un lavoro di approfondimento dellautore durato tutto lanno e culminato nella partecipazione al Certamen Lucretianum di Pordenone. La ricerca si sviluppata su diversi punti. Il primo punto preso in analisi quello della storia del testo del De rerum natura, infatti indispensabile osservare il modo in cui il poema stato tramandato nei secoli per poter condurre una ricerca sulla fortuna dellautore. In questa parte prettamente filologica si prender in analisi lo stemma codicum del poema e verr posta particolare attenzione sul metodo di Lachmann che sta alla base della filologia moderna e fu utilizzato per la prima volta sul testo del De rerum natura. Seguir, cos, unaltra sezione tematica dove si rintracceranno dei temi comuni a Lucrezio ed ad altri autori, si dar maggior importanza ad autori come Leopardi o Schopenhauer che fanno parte del programma di questo ultimo anno di liceo. Nellet moderna Lucrezio suscit un particolare interesse sulla scienza naturale (cosmogonia, cosmologia, ecc.) venne considerato Patrono dei materialisti, Patrono degli atei o maestro di poesia didascalica. Daltro canto sub anche una potente confutazione da parte dei credenti, che lo considerarono un testo pericoloso che andava contro lortodossia cristiana. Lucrezio un poeta aspro, solitario, come lo furono Nietzche e Leopardi ed ha un grande rapporto con lantico, con autori come Senofane ed Epicuro. La sua opera tutta pervasa dal buio, dallo sgomento e dal mistero. Langoscia, la morte, lamore e la malattia sono i quattro temi musicali e fondamentali della sua opera. In questa sede non ho la presunzione di esaurire gli argomenti che collegano un poeta come Lucrezio ad autori moderni, ma saranno presi in considerazione in modo esaustivo solo alcuni nuclei tematici particolarmente interessanti come quello del materialismo, del taedium vitae, della critica al finalismo antropocentrico, e il materialismo. Sarebbe alquanto inutile soffermarsi su attualizzazioni del testo lucreziano sostenere che i classici siano nostri contemporanei un conforto idealistico e unipocrita menzogna. Questa, per, non una conclusione semplicistica, noi non voglio smontare i classici e sostenere la loro natura obsoleta. Dimenticarli in nome del futuro sarebbe un fraintendimento pi grande, poich i classici sono la riserva del futuro. Siamo consapevoli, anche, che le risposte al senso della vita che hanno dato gli antichi sono uguali a quelle dei moderni, poich luomo da sempre si pone delle domande sulla vita e sulla morte e su come esse possano avere senso. La cultura europea deve molto ai classici poich sono stati la base della riflessione scientifico filosofica e poich hanno fornito molti modelli alla letteratura e alle arti. La letteratura italiana non esisterebbe se non vi fossero stati gli scrittori latini e greci, ma tali fonti sono state riplasmate in una luce nuova. In questo senso la cultura volgare si trova in continuit con quella classica. Come sosteneva Calvino: Un classico un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.. Sarebbe affascinante discutere di temi scottanti partendo da qualche testo classico, lo si potrebbe fare, ma occorre sempre tener presente che si va incontro a uninevitabile storpiatura del testo. Come invito alla lettura vorrei citare un passo dellintroduzione al De rerum natura di Adelmo Barigazzi: Let contemporanea ha confermato le valide intuizioni dellatomismo antico ed giunta oltre le partes minimae, a disgregare latomo. Su quella via essa ha progredito immensamente; ma lindividuo ha camminato altrettanto verso la felicita? Pare, al contrario, che quanto pi mezzi la scienza ha messo a disposizione per alleviare le fatiche umane, tanto pi difficile sia diventato il problema della felicit. Siamo spettatori di certe follie collettive ed individuali che farebbero sorridere o fremere di sdegno Lucrezio, il quale, seguendo, fedelmente, il suo maestro, ne darebbe subito una spiegazione: non labbondanza delle cose materiali che produce la felicit, ma il buon uso di esse, anzi il sapersi accontentare di poco, del necessario; la pace dello spirito sta nel piacere che sa rinunziare. [] Oggi nellepoca del consumismo si eccitano volutamente i desideri di ogni genere con una propaganda massiccia ed insistente. [] le grandi industrie hanno creato degli agglomerati urbani in cui la vita, lontana dalla tenuit della natura si fatta sempre pi artificiale e falsa. Naturalmente la natura avr il sopravvento perch naturam expelles furca, tamen usque recurret (Orazio Epistola I 10 v. 24).. 1

1

dove non indicato le traduzioni sono mie.

I La s toria del tes to del De rerum natura Lo stemma codicum lalbero genealogico della tradizione manoscritta in cui si individuano: un archetipo, cio il capostipite dell'intera tradizione posseduta, solitamente indicato con la lettera , la cui esistenza dimostrata dalla presenza di almeno un errore congiuntivo comune a tutta la tradizione. Uno o pi codices interpositi, cio testimoni interposti tra l'archetipo e i manoscritti posseduti, solitamente indicati con lettere dell'alfabeto greco. Uno o pi codici posseduti, solitamente indicati con lettere dell'alfabeto latino. Si giunge cos alla individuazione di pi classi (o famiglie o rami) della tradizione: laddove una lezione sar attestata nella maggioranza delle classi (e non nella maggioranza dei codici posseduti), questa, secondo il metodo meccanico lachmanniano, sar verosimilmente la lezione corretta. Originale di Lucrezio e copie immediate Archetipo in capitale IV-V sec. (Probo) Archetipo in minuscola VII sec. (Archetipus insularis Irlanda)

O (Oblungus) Codex Murbacensis (Murbach) Q V+U Apografo di Poggio F H L U1 V1 Archetipo di U1 e V1 Archetipo diQ G

ABCDEGMP 1-2 La storia degli antichi manoscritti La prima edizione del De rerum natura, secondo quanto riferisce san Girolamo, fu approntata da Cicerone: con tutta probabilit da identificare con il pi famoso Marco Tullio e non col fratello Quinto come lo stesso Lachmann si ostinava a credere. Una seconda sarebbe stata curata dal grammatico Valerio Probo, stando alla notizia dell Anecdoton Parisinum nel quale si individua un frammento del perduto De notis scripturarum di Svetonio: Probo appose quei segni diacritici alla edizioni di Virgilio, Orazio, Lucrezio, come Aristarco fece con Omero. Non si ha nessunaltra notizia sulla trasmissione del testo lucreziano prima dei due manoscritti pi antichi ed autorevoli entrambi risalenti al IX secolo d.C.: lOblongus (O) e il Quadratus (Q), cos denominati dalla forma dei fogli che li compongono e chiamati anche Vossiani dal nome del possessore Isaac Voss, che li don alla biblioteca universitaria di Leida ( donde anche Leidenses rispettivamente 30 e 94), dove sono tuttora conservati. Il manoscritto O (Codex Membranaceus Leidensis Vossinum Fd. 30) scritto in minuscola Carolina. Prima di essere acquistato da I. Voss fu custodito presso la cattedrale di Mainz ove arriv nel 1479. Nei secoli precedenti il codice O fece parte della biblioteca del monastero di Fulda. I paleografi analizzando le caratteristiche della scrittura del codice hanno ipotizzato che O fu scritto nel IX secolo a Tour o da degli scribi provenienti da quella citt. Il manoscritto membranaceo contiene cento novantadue fogli di pergamena e cos trecento ottantaquattro pagine, ognuna delle quali misura approssimativamente 31,4 cm x 20,4 cm. Ogni pagina riporta circa venti versi.

Il testo venne revisionato da due correttori. Il pi antico fu probabilmente un contemporaneo (corrector Saxonicus identificato da B. Bischoff in Dungal, monaco irlandese appartenente alla Schola Palatina ) e poi da un copista dellXI secolo (Otolh 1010-1072) che vi appose delle note. Q (Codex Membranaceus Leidensis Vossinum Fd. 94), scritto su due colonne in ogni pagina rispetto ad O si presenta pi guasto e pi trascurato ( omissioni, ripetizioni, trasposizioni). Ma la differenza pi evidente tra i due codici data dallomissione in Q di quattro sezioni comprendenti ciascuna 52 versi e puntualmente riportate alla fine del libro quarto nel seguente ordine: II 757-806; V 928-979; I 734-758; II 253-304. Q proviene dal monastero di St. Bertin omette negli incipit e negli explicit nome e titolo opera2 ed scritto in minuscola Carolina. Sempre al IX secolo risalgono altri due codici lucreziani decisamente frammentari, anchessi come Q , scritti su due colonne per pagina e caratterizzati dalle quattro grandi lacune. Le Schedae Haunienses (Biblioteca reale di Copenaghen) contengono in otto fogli tutto il libro I e non integralmente il libro II ( fino al v. 456) queste schede siglate con G, sono dette anche Gottorpienses, perch precedentemente conservate a Gottorp. Come O e Q queste schede sono state scritte in minuscola Carolina. Questo manoscritto ha avuto meno importanza rispetto ai due precedenti. Sia il Lachmann, sia il Munro non lo utilizzarono per le loro edizioni critiche, il primo che gli diede importanza fu Diels nella sua edizione del 1923. Le riserve del Lachmann e del Munro sono parzialmente giustificate dal fatto che il manoscritto presenta numerosi errori e corruttele e riproduce il testo contenuto in Q. Rare volte le Schede Haunienses sono utilizzate per supplire delle parti mancanti a Q e per correggerne alcuni errori. Appartenenti a questo gruppo di codici vi sono le schede Vindobonenses (Biblioteca nazionale di Vienna). Nel piccolo volume di trenta due pagine, che contiene anche frammenti di altri autori latini3, sono presenti dieci fogli con il testo del De rerum natura. I primi sei fogli sono siglati con V e comprendono il testo da II 642 a III 621 ( con lomissione di II 757-806) e i rimanenti quattro, siglati con U, originariamente appartenevano ad un altro manoscritto,che si suppone provengano dalla biblioteca del monastero di Bobbio, recano la seconda parte del libro VI ( vv.743-1286) alla quale seguono in appendice, come Q, i quattro gruppi di 52 versi ciascuno. Non si conosce con certezza la storia di queste schede, ma prendendo in considerazione lo stile della scrittura Emile Chatelain ipotizz che tale codice fu scritto nel nono secolo. Come gli altri codici presenta delle correzioni fatte da dei contemporanei al copista. Come le schede Haunienses questo codice presenta numerose corruttele e venne scarsamente considerato dal Lachmann e dal Munro. Solo nel 900 alcuni filologi lo utilizzarono per compendiare Q e O. G, U e V provengono da uno stesso codice archetipo in minuscola (lArchetipus insularis). Da questa analisi si deduce che il testo di Lucrezio, nel medioevo, era conosciuto copiato e studiato nei principali centri culturali dellepoca: York, Tours, Fulda, Bobbio. Tuttavia la conoscenza di Lucrezio non era estesa al di l di tali luoghi dove lite clandestina di monaci permise la sopravvivenza del testo. Negli altri monasteri i codici del De rerum natura addirittura non venivano catalogati proprio per motivi ideologici. Dallepoca della rinascita carolingia allumanesimo il De rerum natura rimase pressoch sconosciuto, sono pochissimi i cenni fatti dagli autori medioevali, infatti il pensiero lucreziano era molto lontano dallortodossia della chiesa. E impensabile che un autore che sostiene la mortalit dellanima goda di successo in unepoca di grande fervore religioso. Il fiorire degli studi filologici e umanisti, nel 1400, favor la riscoperta del poema latino. Il teatro di tale interessante riscoperta fu lItalia. Attore di tutto ci fu lumanista Poggio Bracciolini che nel 1418 scopr un codice contenente il testo del De rerum natura che andato perduto. Da tale codice furono ricavati i sette codici Itali, che sono stati fino allottocento alla base di tutte le principali edizioni lucreziane. Ora ripercorriamo la scoperta fatta da Poggio Bracciolini. Il Bracciolini nel 1418 fu segretario papale presso il Concilio di Costanza. Al seguito della corte Papale da Costanza scrisse una lettera al sua amico veneziano Francesco Barbaro: Lucretius mihi nondum redditus est, cum sit scriptus. locus est satis longiquus, neque unde aliqui veniant. Itaque expectabo quoad aliqui accedant qui illum deferant: sin autem nulli venient, non praeponam publica privatis. A Poggio il testo lucreziano noto solo per tradizione indiretta. Non sappiamo con certezza il luogo ove Poggio riscopr il codice: Hermann Bloch sostiene che tale2 3

In realt viene riportato un titolo mutato: De phisica rerum origine vel effectu. Phaenomena e Prognostica di Avieno e alcuni versi delle Satire di Giovenale.

luogo sia Murbach ( vi ravvis un catalogo del IX secolo dove attestata la presenza di un codice lucreziano), altri, invece, affermano che il luogo sia il monastero di Fulda. Il codice scoperto oltre al De rerum natura conteneva anche il testo del poema di Manilio Poggio nel 1418 ricevette lapografo del codice presente in quella biblioteca (entrambi perduti) e lo sped al suo amico fiorentino Niccol de Nicoli4 per essere trascritto e copiato. Poggio non vide la sua copia fino al 1434 quando fece visita alla citt di Firenze con Papa Eugenio IV. Da questo codice discendono tutti quelli vergati durante il quattrocento e furono, come dissi, la base per le edizione a stampa del De rerum natura. Dalla copia del Niccolini, ora conservata alla biblioteca Laurenziana di Firenze ( Codex Laurentianus Pluteus 35.30 L) vennero copiati i sette manoscritti Itali. L un manoscritto cartaceo di piccole dimensioni (14,4 cm. X21,4 cm.) e contiene circa trenta tre versi per ogni pagina. Merita particolare attenzione il gruppo dei manoscritti vaticani, tra questi il Codex vaticanus latinus 3276 (V 1) che contiene le note di Giovanni Aurispa e il Codex Barberinus latinus 154 (U1) che un bel codice ben copiato con delle eleganti miniature. Menzioniamo il Codex Laurentinus pluteus 35.31 (F), il Codex Cantabrigensis II. 40 (H) e il Codex Monacensis (Mon). Lapografo di Poggio discende da un sub archetipo che venne distrutto nel 1700 a causa di un incendio presso il monastero di Murbach. Non si sa con certezza da dove siano discesi V1 e U1 , essi presentano degli errori similari a L e ci potrebbe far pensare che siano discesi da quel codice, tuttavia tale spiegazione appare assai semplicistica. Hosius ha dato una spiegazione ( che abbiamo adottato nello stemma codicum sopra riportato) per cui i due codici deriverebbero da un sub archetipo che sarebbe stato copiato dallapografo di Poggio e corretto seguendo la lezione di F o L5. 1-3 Le edizioni a stampa Leditio princeps del De rerum natura data 1473 ed stata eseguita da Ferraro da Brescia (Brixiensis), come questa, ispirate ai codici itali ci furono la Veronensis (1486), la Veneta (1495), le Aldinae (1500 e 1515), la Bononiensis (1511), la Iuntina (1512). Ancora pi interessante l edizione del Lambino6 (Parigi 1563-64). Egli utilizza come base i codici itali, ma si serve delle lezioni di Q e di O. Egli dice: Hunc igitur poetam, lector humanissime, liquido tibi confirmare vereque apud te gloriari possum, mea opera plane alium ab eo quis abs te antea visus sit, in mano tua pervenire. Octigentis enim locis (neque hoc sed latino more dico) restituum esse, tibi legendo cognoscere atque experiri licebit.7 La grande conoscenza della lingua latina,4

tenuisti iam Lucretium duodecim annoscura ut habeam Lucretium, si fieri potest; non enim adhuc potui universum librum legere, cum semper fuerit peregrinus: vellem ut iam civis efficeretur Dalla lettera di Niccoli del 13 dicembre 1429. 5 Carl Hosius Zur italienischen Uberheferung des Lucrez, Rheinisches Museum Bonn, 1914. pp.114-115. 6 Denis Lambin (Montreuil-sur-Mer, Piccardia, 1516 Parigi, 1572) fu un filologo classico francese. Studi dapprima nel collegio di Amiens, poi venne a Parigi dove studi nel Collegio Jean Lemoine e poi nel Collegio Nicolas Coqueret, dove ebbe compagno di corsi Ronsard. Insegn lettere nel collegio di Amiens che lo aveva visto studente ma, intorno al 1545 and a studiare diritto a Tolosa finch, nel 1550, entrato al servizio del cardinale de Tournon, lo accompagn in due lunghi viaggi in Italia, soggiornando a Roma, a Lucca e a Venezia, e conoscendo letterati come il cremonese Gabriele Faerno, Marc-Antoine Muret e Guglielmo Sirleto. Durante il soggiorno veneziano, nel 1558, tradusse dal greco in latino l'Etica Nicomachea di Aristotele.Nal 1559 ebbe una lunga polemica col Muret, che egli accus di aver utilizzato nell'edizione delle Variarum lectionum libri octo pubblicate a Venezia, sue note e commenti delle opere di Orazio che egli stava preparando. Fu infatti dopo il ritorno in Francia nel 1561, che Lambin pubblic a Lione la sua, per l'epoca fondamentale, edizione commentata delle satire e delle epistole di Orazio, che tre anni dopo fu pubblicata anche a Venezia. Su raccomandazione del de Tournon, Lambin fu nominato professore di eloquenza, ossia di lingua e letteratura latina, al Collegio reale e, l'anno seguente, nel 1562, ottenne la cattedra di lingua greca. Seguirono le pubblicazioni, nel 1564, del De rerum natura di Lucrezio: la pubblicazione, nel 1566, ad Anversa, dell'opera di Lucrezio commentata da Obert de Giffen che, pur plagiando gran parte delle note di Lambin, non esit a criticare quanto degli altri suoi commenti non condivideva, provoc la sua violenta reazione. Nel 1566 pubblic le Emendationes in Ciceronis Opera, nel 1567 la traduzione in latino della Politica di Aristotele, nel 1568 dell' Oratio de recta pronunciatione linguae grecae, nel 1569 dei Commentarii in Cornelium Nepotem, nei quali restitu a Cornelio Nepote le Vite degli uomini illustri fino ad allora attribuite a Probo e, nel 1570 anno in cui fu nominato traduttore reale - i Discorsi di Demostene. Mor nel settembre del 1572, si dice in conseguenza dell'angoscia provocatagli dalle stragi della Notte di San Bartolomeo, in cui rimase ucciso, tra i tanti, anche Pietro Ramo, da lui tanto ammirato. 7 Denys Lambin T. Lucretii Cari De rerum natura libri VI (1583), epistola ad lectorem.

soprbiblattutto dellidioma ciceroniano, port il Lambino a operare circa ottocento emendazioni al testo lu8creziano, tutte motivate nel ricco apparato critico. Per avere una vera edizione critica dobbiamo aspettare quella del Lachmann che ricostru sistematicamente e criticamente la tradizione manoscritta mediante il confronto e la valutazione dei codici (recensio), nel 1850. Egli ha fissato questi capisaldi metodologici: 1) la concordanza in errori, lacune, corruttele e trasposizioni, prova che tutti i manoscritti itali derivano da uno stesso archetipo; 2) lomissione in Q(G V U) dei quattro gruppi di 52 versi ciascuno si spiega supponendo che Q fu trascritto dopo O, quando nellarchetipo si erano staccati dei fogli, poi inseriti alla fine del volume, prima della loro trascrizione; 3) lesame di certe anomalie grafiche consente di concludere che larchetipo era stato scritto in capitale tra il IV e il V secolo8.

1-4 La critica del testo, storia e metodo Nei paragrafi precedenti abbiamo utilizzato molti termini specifici della scienza filologica, sar utile, quindi, soffermarsi brevemente sulla storia della filologia e enunciare brevemente alcune caratteristiche metodologiche. Poich non restano autografi di autori classici, per le nostre conoscenze di quello che essi scrissero dipendiamo da dei codici e da della edizioni a stampa, che un numero ignoto di anelli separa dagli originali. Tutti i testimoni hanno sofferto nei secoli per danni fisici, per la possibilit degli errori degli amanuensi, per gli effetti di uninterpolazione deliberata. Qualunque tentativo di ristabilire la forma originale richiede limpiego di un procedimento lungo e difficile che si divide in pi fasi. Accade pi volte che in molti punti del testo due o pi codici diversi rechino delle differenti lezioni o varianti testuali, tra cui non sempre facile stabilire quale sia la pi attendibile. La scienza che permette di compiere un restauro del testo originale, quindi di poter ricavare una versione del testo pi vicina a quella dellautore la filologia (dal greco , composto da "amante, amico" e "parola, discorso": "amore per lo studio delle parole"). Il metodo della filologia, fondato dal Lachmann si avvale di due momenti principali: la recensio e lemendatio. Lo studio dei testi con la finalt di conservarli o ripristinarli nella forma pi vicina possibile alloriginale cominci gi in epoca antica e pi precisamente nel III secolo a.C. in ambiente greco, con degli studiosi attivi ad Alessandrai dEgitto. Il primo grande filologo fu Aristofane da Bisanzio, bibliotecario della biblioteca di Alessandria (257 a.C. 180 a.C.) fiss la fine dell'Odissea al libro XXIII, riun i dialoghi platonici e fece la prima edizione delle poesie di Pindaro, nonch adott un sistema di simboli per indicare i versi spurii. Sempre tra i filologi alessandrini degno di nota Aristarco di Samotracia (216 a.C. 144 a.C.) discepolo di Aristofane, fu uno tra i pi grandi studiosi di Omero oltre ad Omero, comment Anacreonte Archiloco Aristofane Erodoto Eschilo Ione e Pindaro e fu autore dei , brevi discussioni critiche delle opinioni di altri commentatori. In ambito romano ricordiamo: Lucio Elio Stilone Preconino, che affront il8

Di qui identificare larchetipo in capitale, come fece il Leo, con ledizione probiana, il passo era tanto breve quanto rischioso, questa ricostruzione cos semplicistica e ottimistica ha dovuto fare i conti con i progressi della scienza filologica e paleografica.

problema dell'attribuzione delle opere plautine fu maestro del filologo Varrone e di Cicerone. Andando avanti con gli anni incontriamo Elio Donato grandissimo grammatico commentatore di Terenzio e di Virgilio, egli utilizz un metodo filologico i cui cardini sono costituiti dalla completezza e dalla brevitas, con il continuo riferimento alle sue fonti, senza escludere alcuni interventi personali. Poi Marziano Capella (IV V d.C.)c' noto per il trattato didattico indirizzato a suo figlio, De nuptiis Mercurii et Philologiae "Delle nozze di Mercurio con la Filologia", misto di prosa e versi di vari metri, opera diffusissima durante il medioevo. La filologia, per, conobbe la sua fioritura durante lumanesimo con Poliziano nel XV secolo. Si accost ad Aristotele e alla sua "Poetica" maturando una nuova concezione della filologia umanistica, autonoma dai vincoli retorici connessi al platonismo ficiano e incentrata su una rigorosissima critica dei testi e sulla consapevolezza del valore storico della lingua. Poliziano fu quasi un precursore del criterio genealogico lachmanniano, infatti cap che i codici derivanti da un pi antico esemplare sopravvivente non avevano valore ed applic il principio delleliminatio ad alcune copie delle Epistole di Cicerone. Altra figura molto importante fu Erasmo da Rotterdam, che giunse a dedurre il concetto di archetipo studiando la tradizione del Nuovo Testamento. Sebbene avesse di ci un concetto pi vago di quello che abbiamo noi riusc a spiegare facilmente come si produca un errore comune a tutti i testimoni. Nel settecento si ha una svolta decisiva: dei filologi inglesi e olandesi, tra cui spicca il nome di Richard Bentley (1662,1742) si dedicarono allo studio del Nuovo Testamento- un testo con una ricchissima tradizione manoscritta e numerosissime varianti- comprendendo che era necessaria una rigorosa recensio. Il secolo doro della filologia fu, per, lottocento in coincidenza col clima positivistico che dilagava in tutta Europa. Infatti, con Lachmann ed altri filologi tedeschi la filologia elabor il suo metodo e divenne una scienza. Il Lachmann nel 1830, con ledizione del Nuovo Testamento, conferm le deduzioni dei filologi settecenteschi per quanto riguarda larchetipo, nel 1831 Carl Zumpt, nelledizione delle Verrinae, disegn il primo stemma codicum. Il metodo di Lachmann fu per la prima volta messo a punto nelledizione del 1850 del De rerum natura. Questo metodo permetteva di risalire allarchetipo attraverso criteri rigorosi e scientifici. In realt il metodo di Lachmann presentava numerosi limiti specie nel caso delle tradizioni aperte cio di contaminazioni orizzontali del testo. Autore di importanti correzioni al metodo fu il filologo italiano Giorgio Pasquali (1885, 1952). Vediamo ora con maggior attenzione le fasi del metodo, senza soffermarci su casi particolari, ma fornendo piccoli e chiari esempi. La procedura seguita ancora oggi dallo studioso che intenda ricostruire la lezione originaria di un testo consta di due momenti essenziali: la recensio, ossia lanalisi rigorosa dei testimoni a disposizione, finalizzata a stabilire le relazioni intercorrenti tra loro e lemendatio ossia la correzione del testo qualora presenti una lezione corrotta rispetto alloriginale. I risultati del filologo sono poi presentati nelledizione critica. a)La teoria sistematica di recensione. Per passare in rassegna i diversi testimoni che ci sono stati tramandati si procede anzitutto alla collazione con un testo di riferimento, che solitamente costituito dalla pi valida edizione a stampa o dal manoscritto pi valido. Vengono registrate tutte le varianti testuali e vengono annotati a parte quelli che appaiono essere errori. Gli errori, molto importanti per stabilire le relazioni tra i codici, hanno una genesi diversa: possono essere frutto di una svista del copista, oppure posso essere una manomissione volontaria per motivi di censura, in questo caso si parla di interpolazione. Gli errori si possono dividere in coniunctivi, cio mostrano che due manoscritti sono pi connessi tra loro che con un terzo e in errori separativi, ossia mostrano che un manoscritto indipendente da un altro perch il secondo contiene uno o pi errori dai quali il primo esente. La genesi degli errori molteplice: vi sono errori psicologici dovuti ad associazioni mentali , come il ricordo di una parola letta e trascritta precedentemente. Altri fenomeni rilevanti sono: la banalizzazione ossia la tendenza a semplificare ( c.f.r. Lectio difficilior ), lassimilazione frequente nelle desinenze (mutazione della parte finale di una parola sulla base della desinenza della parola vicina) e laplografia cio lo scrivere una sillaba o un segmento di testo che compare due volte ( defendum per defendendum est). Altri errori molto comuni sono gli errori di lettura come il salto dallo stesso allo stesso.

A questo proposito riportiamo per esemplificare uno schema rappresentate uno stemma codicum tratto da: D. Reynolds- N.G. Wilson, Copisti e Filologi, c.f.r. bibliografia (p223). (E)Z A B C D

X Y

Rappresenta larchetipo, le lettere greche minuscole indicano i codici perduti, ma ipotizzati. Dunque, i codici rimasti sono otto, riguardo a E si suppone che sia un frammento contenente solo una piccola parte di testo. Una volta compilato lo stemma si pu procedere alla ricostruzione del testo attraverso lo spoglio varianti, le quali avranno un peso diverso in base alla disposizione, pi o meno lontana, dallarchetipo. Sulla base degli errori si stabilisce, ad esempio, che un codice contente tutti gli errori significativi presenti in un altro codice, pi almeno un altro errore derivato da quel codice e quindi non pu essere preso in considerazione: eliminatio codicum descriptorum. Ora interpretiamo lo schema sopra ripotato. 1. Se B derivato esclusivamente da A, differir da A solo per essere pi corrotto. Il primo passo sar quello di eliminare B. 2. Il testo pu essere dedotto dallaccordo di C e D. 2. Il testo pu essere ricavato dallaccordo di A,C e D. 3. Il testo si ricava dallaccordo di X, Y e Z , o di due di essi contro il terzo. 4. Se ed sono in accordo si potr dire che essi diano il testo dellarchetipo, qualora non lo siano possono essere validi entrambi: compito dellexaminatio decidere quale delle due autentica. Un testo, come quello ipotizzato in questo stemma emendabile grazie a una recensione automatica e si dice cha ha una tradizione chiusa (Pasquali). Va tuttavia detto che la teoria stemmatica non sempre applicabile rigorosamente. In primo luogo gli stemmi tripartiti sono abbastanza pochi ( come quello di Lucrezio), spesso ci si trova di fronte a stemmi bipartiti ( come quello delle opere Plauto). Inoltre, come ha ben sottolineato Pasquali, questa teoria presuppone che le lezioni e gli errori si trasmettano solo verticalmente. E invece appurato che i copisti avevano spesso a disposizione pi codici e sceglievano confrontandoli tra loro il testo migliore. Ne deriva anche una contaminazione orizzontali, che determina una tradizione aperta, in cui la lezione originaria non pu essere dedotta meccanicamente. Dunque, la ricostruzione del testo avviene ope ingegni, ossia attraverso le congetture del filologo. Egli si affider a dei criteri: Il criterio della lectio difficilior, tra due lezioni, entrambe corrette e valide, sar pi attendibile la lezione pi difficile, poich i copisti tendevano a semplificare il testo essendo la loro lingua diversa da quella dei classici. Il criterio dellusus scribendi, sar preferibile la lezione che rispecchia lo stile compositivo dellautore. Il criterio paleografico per cui di due lezioni sar preferibile quella che pu essersi corrotta nellaltra per motivi grafici.

II I percorsi in tertest uali2-1 Contestualizzazione dellopera

Lucrezio lautore di un poema didascalico ( in esametri) in sei libri, il De rerum natura, dedicato allesposizione della dottrina del filosofo greco Epicureo (341-271/270 a.C.). Opera di grande valore dimostrativo e di forte levatura poetica il De rerum natura illustra i principi base della fisica e della cosmologia epicurea , deducendo una vasta rete di considerazioni morali con intento terapeutico nei confronti dei mali che affliggono gli animi degli uomini. : timore degli dei, timore della morte, illusioni, passioni e pregiudizi. Lotta delle superstizioni e dei vani timori significa opporsi giorno dopo giorno alle false paure, agli inganni alle vuote credenze, senza il conforto di una fede religiosa che dia pace, promettendo un al di l che risarcisca i meriti e punisca le colpe. Da questo punto di vista la fede della ragione, foriera di libert e serenit interiori, pi aspra della fede religiosa: il credente laico solo con se stesso e non c da stupirsi che Lucrezio, diversamente da Orazio mostra unanima in preda allo sconcerto, battuta dal dubbio. Lunico mezzo in possesso al saggio proprio questa ragione che leguaglia agli dei e regala felicit. Infatti, la conoscenza della natura (naturae species ratioque), dei meccanismi connessi alla nascita e alla morta, allaggregazione e alla disgregazione della materia donano una serenit duratura. Per Lucrezio il mondo, luniverso, sono un aggregato di atomi, particelle sottilissime, invisibili allocchio nudo, imperiture e indivisibili, addirittura anche lanima umana formata da questi atomi. La vita la morte non sono che ununirsi e un disunirsi di questi corpuscoli. Essendo essi imperituri nulla nasce dal nulla e nulla ritorna al nulla (nullam rem e nilo gigni divinitus umquam [] neque ad nilum (sot. natura) intermat res). La concezione della natura che traspare dal poema, bench tuttaltro che insensata, sicuramente superata, bisogna certamente puntualizzare che Lucrezio non ha nutrito ambizioni di scienziato. Tuttavia le istanze psicologiche e morali del poema lucreziano non cessano di essere attuali. Come la lotta alle superstizioni che opprimono gli animi degli uomini, turbando ogni loro gioia con la paura: ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c nulla, se diventassero, cos, insensibili alle minacce di pene eterne profferite dagli indovini smetterebbero di essere succubi della superstizione. Lucrezio un animo gentile, che soprattutto in certe articolazioni del suo pensiero morale, arriva a concepire un vero e proprio messaggio di liberazione dellumanit dalle tenebre dellerrore, mostrando la via per raggiungere lequilibrio interiore, di qui la scelta del poema didascalico. Lucrezio maestro che non lascia da solo il proprio discepolo/lettore. Conscio della difficolt della materia da lui trattata, egli esorta il lettore affinch segua con diligenza lo snodarsi dellargomentazione. Lucrezio non vuole essere oscuro nellargomentare la sua tesi, nemmeno priva la sua poesia di abbellimenti retorici e stilistici. A questo proposito durante la serrata trattazione degli argomenti vengono utilizzate numerose immagini e un linguaggio analogico affinch aiutino il lettore a capire i fenomeni immensamente piccoli e immensamente grandi che sfuggono allocchio umano. Ma tra il maestro e il lettore si instaura un particolarissimo rapporto che si pu definire sublime. Il destinatario bench fragile e umano, fatto responsabile agli insegnamenti diviene consapevole della propria grandezza intellettuale. Il sublime diventa non solo una forma stilistica che rispecchia una forma di interpretazione del mondo, ma anche una forma di percezione delle cose. Il sublime coinvolgendo il lettore del testo e perci spettatore della grande poesia lucreziana, gli suggerisce un bisogno morale. Ecco che il sublime diviene un invito allazione. E cos tutto il De rerum natura si configura come un protreptiks lgos, come un insegnamento che contiene un drammatico consiglio: tu stesso, lettore, devi divenire lo specchio di questa sublimit terribile e maestosa, tu stesso devi divenire un lettore sublime capace di emozionarsi dentro di s9. Resta scoperto un9

A tal proposito per qualsiasi approfondimento si veda G. B. Conte insegnamenti per un lettore sublime, c.f.r. bibliografia.

interrogativo, perch Lucrezio avrebbe scelto la poesia e non la prosa? La poesia rendeva gradevole al pubblico romano, certamente ignorante in filosofia, la chiarezza dei lucida carmina addolcita dal lepos avrebbe potuto afferrare anche persone lontane dallepicureismo. Cos persino i lettori cristiani si interessarono al poema ammirandone il vigore poetico. Dal punto di vista lessicale Lucrezio, al fine di conseguire il lepos, la grazia sottile dello stile, non si risparmia la possibilit di fare uso di un patrimonio linguistico vario e composito, tra i cui caratteri si rintraccia il gusto verso larcaismo che accompagna uno stile poetico costantemente alto. Limpulso alla creazione poetica ha fatto s che Lucrezio, pur trattando di filosofia greca, rinunciasse quasi del tutto allintroduzione di grecismi sostituendoli con formazioni originali, che tuttavia rendono validamente il lessico filosofico epicureo. Per quanto riguarda lo stile Lucrezio si adegua allo stile elevato dellepica, facendo ricorso a numerosi espedienti retorici, dagli artifici fonico timbrici, alle figure di parola, alle figure di pensiero. Il pi frequente e vistoso lallitterazione, mentre lanafora ha le funzioni di scandire le tappe essenziali dellargomentazione. Anche la collocazione delle parole allinterno del verso attentamente calibrata: sono presenti dei kola, spesso disposti a chiasmo. Altra peculiarit dello stile di Lucrezio labbundantia di nessi argomentativi nelle parti pi serrate del discorso (Quare, etiam atque etiam, praeterea, denique, adde porro, quo pacto..) . Lucrezio oltre ad esseri ispirato a fonti prettamente epicuree come il di Epicuro ( al quale si ricollega gi nel titolo) e alle varie Epistole, riprende, per quanto riguarda limpostazione didascalica il di Empedocle. Dal punto di vista letterario il De rerum natura denota la conoscenza di Omero, specialmente lOdissea e dei tragici. Per quanto riguarda la descrizione della peste dAtene nel libro VI Lucrezio utilizz come fonte privilegiata Tucidide. Inoltre si possono ravvisare degli echi saffici (31 lobel-page), la concezione della poetica mutuata da Callimaco, e le descrizioni di quadretti ameni e paesaggistici sono riprese da Teocrito. 2-2 langoscia della vita: il taedium vitae. . (Mimnermo fr. 2W. 2G.-Pr. vv. 11-16)10 e < > (Mimnermo fr. 4W. 4G.-Pr.)11 Uno dei primi autori che espresse nei suoi versi langoscia che opprime lanimo umano fu Mimnermo, un poeta elegiaco greco del VII secolo a.C. Egli sostiene che il significato della breve esistenza delluomo si schiuda nel periodo della giovinezza e niente valga la pena di essere vissuto dopo di essa. Quindi trascorso il periodo dei piaceri intensi, della bellezza e delle emozioni la vita ci riserva un periodo di dolore, noia ed angoscia. Alla gioia si sostituisce il disgusto per la vita e ci si10

E come subito lora abbia passato il suo discrimine, / essere morti meglio che la vita. / Molti dolori nascono nellanimo ora la casa / in rovina, e le amare opere di povert; / un altro non ha i figli e con questo rimpianto/ scende sotto la terra nellAde; / un altro ancora la malattia lopprime. Non c uomo / a cui Zeus non dia molti mali. (Trad. It Marina Cavalli). 11 A Titono diede Zeus un male senza fine: / la vecchiaia, anche pi agghiacciante della tetra morte. (Trad. It Marina Cavalli). La traduzione, probabilmente, segue lintegrazione del Gesner con da porsi nelle parentesi uncinate. La sua validit attestata dal fatto che , lAurora ottenne da Zeus leterna giovinezza senza chiedere lo stesso dono al marito Titonio, che fu destinato a invecchiare in eterno.

aspetta soltanto che ci venga strappata. La vecchiaia lesatto rovesciamento di tutti i valori, vecchio colui che viene travolto dalle preoccupazioni, dalla malattia dalla perdita dei figli. Questo destino tocca tutti i viventi. Il primo frammento che abbiamo riportato termina con una sentenza lapidaria, sconsolata, drammatica sul destino delluomo : non c uomo a cui Zeus non dia molti mali, la vecchiaia incombe, come una spada di Damocle sulla testa di tutti, nessuno escluso. Una volta giunti alla soglia della vecchiezza pare che ogni cosa, ogni bene sia finito e la vita non sia pi degna di essere vissuta. Le affermazioni contenute nel primo frammento paiono, in un poeta classico, estremamente romantiche ed impulsive, per evitare il male connesso alla vecchiaia lunico remedio sarebbe la morte non appena si sia varcato il limite oltre il quale si distende il panorama desolato di una triste esistenza. Laltro frammento citato, invece, sottolinea quanto grande sia la pena di colui che costretto a vivere in eterno invecchiando ogni giorno. Titone cos costretto a vivere uneterna vita di noia compiendo ogni giorno le stesse cose senza la speranza di una morte risolutiva. Simbolo di questumana pesantezza, di questa noia, - in cui si identifica tutta la vita - il viaggio del sole, da un orizzonte allaltro sempre uguale ogni girno. La formulazione pi profonda del pessimismo greco la sia ha per la prima volta con un altro poeta elegiaco: Teognide. . (Teognide vv.425-428)12 Questo pendiero assai frequente nella tradizione poetica greca, soprattutto nei tragici. Baster qui citare i versi 1225-26 dellEdipo a Colono di Sofocle: non nascere il mio pensiero pi dolce. Oppure nati una volta poco male riandarsene subito dove eravamo (Trad. it. E. Cetrangolo). Questo motivo ha una ripetizione assidua nella cultura dei greci ( in ambito filosofico occorre ricordare Anassimandro (fr.1)), ci non toglie che la vita isa parimenti voluta, amata, desiderata. Lombra del dolore per la morte non allenta lamore per la vita, anche se tale assunto in contraddizione con la formula di Sileno. Questa visione del mondo molto lontana da quella dellepicureismo, da cui ha preso spunto la poesia lucreziana. Per i filosofi del giardino, come per tutte le scuola dellepoca ellenistica, lambito di maggior interesse era letica e tutte le altre branche del sapere erano in funzione di essa. Nel clima di insicurezza di quellepoca di sconvolgimenti politici e sociali alla filosofia si chiedono sostanzialmente due cose: una visione unitaria e complessiva del mondo e un supplemento danimo, ossia una parola di saggezza e serenit capace di indirizzare la vita quotidiana. Il fine massimo da raggiungere era, dunque, la serenit dellanimo, che si poteva raggiungere solo attraverso la saggezza. La filosofia cos divenne una sorta di medicina per lanima, vedremo a questo proposito un passo di Lucrezio, in grado di indirizzare gli uomini verso la felicit. La via che propone lepicureismo totalmente terrena: la felicit consiste nel piacere, il piacere il principio e il fine della vita beata sostiene Epicuro ( Diogene Laerzio X 149). Il piacere il criterio con il quale valutiamo ci che bene e ci che male. Ma vi sono due tipi di piaceri: il piacere stabile( catastematico), che consiste nella mancanza di dolore, e il piacere in movimento, che consiste nella gioia e nella letizia. La felicit consiste soltanto nel piacere stabile o negativo, nel non soffrire e nel non agitarsi, ed quindi definita (atarassia da + ). Letteralmente "assenza d'agitazione" e , mancanza di dolore nel corpo. Il significato di questi due termini oscilla tra la temporanea liberazione dal dolore del bisogno e lassoluta mancanza di dolore. Questa carattere negativo del piacere impone la limitazione dei bisogni: Epicuro distingue tra i bisogni naturali e quelli vani; dei bisogni naturali alcuni sono necessari alla sopravvivenza ( ad esempio il mangiare), altri no ( il maniare troppo): Solo i desideri naturali e necessari vanno appagati, gli altri vanno abbandonati e rimossi, poich il loro desiderio procurrebbe nellanimo turbamento e dolore. Alla saggezza dovuto il calcolo dei12

Non nascere la cosa migliore, / non vedere lacuto raggio del sole. / Ma una volta nati, meglio varcare in fretta le porte / di Ade e giacere sotto la terra profonda. (Trad. It Marina Cavalli). E la risposta che Sileno d al re Mida sul senso della vita.

piaceri, la scelta, la limitazione dei bisogni e quindi il raggiungimento dellatarassia e dellaponia. E chiaro che il bene ristretto allambito del piacere sensibile e che il piacere spirituale ricondotto allo stesso piacere sensibile. Dunque sono ben poche le cose che luomo necessita per essere felice, tutto il resto: il lusso i vani piaceri, portano solo dole. Colui il quale ha accumulato per tutta la vita ricchezze, case, denaro, colpito da uninsaziabile noia, da unesigenza di colmare il vuoto che ha dentro lanima. Per questa ragiune, non avendo raggiunto la serenit, vive uan vita senza senso non degna. Qui ritorniamo al filo conduttore di questa sezione, al tema esposto con le liriche greche, ma questo tema risulta essere visto da Lucrezio in modo molto pi razionale. Lucrezio da buon maestro cerca di dare unindicazione al suo lettore per raggiungere la vera felicit. Nel libro III del De rerum natura Lucrezio insiste sulla natura dellanima, legata indissolubilmente al crpo materiale, e rivolge la sua attenzione sulla riflessione riguardo la morte. Molti critici, tra cui Carlo Giussani, considerano centrale il libro III nellambito del poema poich rivolto a fugare la paura dellaldil la quale impedisce il raggiungimento della voluptas il piacere. Nel finale del libro lucrezio si dedica a chiarire le ragioni dellinquietudine che grava sulla vita umana. Gli uomini avvertono il peso che opprime il loro animo e, ignorandone, la causa, vivono inquieti spostandosi continuamente, senza riuscire a liberarsi dalloppressione, poich cercano invano di sfuggire a se stessi. Se conoscessero la causa del loro male si dedicherebbero solo allo studio della filosofia e a chiedersi cosa aspetti loro dopo la morte. Il canto della contemplazione della morte si conclude con il canto della finitezza delal vita, nel discorso di Lucrezio non si menziona la voluptas, vi domina lamaro di una realt priva di illusioni, probabilmente, non a caso, lautore aprir il IV libro con la trionnfante e gioisa ripetizione ( I 926-950) del suo programma poetico, incentrato sulla metafora del miele, che deve fluire abbondantemente per celare lamara medicina. Il taedium (la tetra noia per dirla come il Parini), la levitas (la morbosa inconstanza), la commutatio loci ( la smania di cambiare luogo), sono mali tipici dellignorante e della folla privi dell del sapines epicureo. Si possent homines, proinde ac sentire videntur pondus inesse animo, quod se gravitate fatiget, e quibus id fiat causis quoque noscere et unde tanta mali tam quam moles in pectore constet, haut ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmus quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper, commutare locum, quasi onus deponere possit. exit saepe foras magnis ex aedibus ille, esse domi quem pertaesumst, subitoque , quippe foris nihilo melius qui sentiat esse. currit agens mannos ad villam praecipitanter auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans; oscitat extemplo, tetigit cum limina villae, aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit, aut etiam properans urbem petit atque revisit. hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit, effugere haut potis est: ingratius haeret et odit propterea, morbi quia causam non tenet aeger; quam bene si videat, iam rebus quisque relictis naturam primum studeat cognoscere rerum, temporis aeterni quoniam, non unius horae, ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis aetas, post mortem quae restat cumque manenda. Denique tanto opere in dubiis trepidare periclis quae mala nos subigit vitai tanta cupido? certe equidem finis vitae mortalibus adstat nec devitari letum pote, quin obeamus. praeterea versamur ibidem atque insumus usque

nec nova vivendo procuditur ulla voluptas; sed dum abest quod avemus, id exsuperare videtur cetera; post aliud, cum contigit illud, avemus et sitis aequa tenet vitai semper hiantis. posteraque in dubiost fortunam quam vehat aetas, quidve ferat nobis casus quive exitus instet. nec prorsum vitam ducendo demimus hilum tempore de mortis nec delibare valemus, quo minus esse diu possimus forte perempti. proinde licet quot vis vivendo condere saecla, mors aeterna tamen nihilo minus illa manebit, nec minus ille diu iam non erit, ex hodierno lumine qui finem vitai fecit, et ille, mensibus atque annis qui multis occidit ante. (Lucrezio De rerum natura III 1053-1099)13 Notiamo gi nelle prime righe dellestratto unantitesi tra videntur ( un verbo chiave e presuppone la conoscenza coi sensi) e noscere. La protasi dellirrealt sembra rilevare il dato di fatto che il noscere diverso dal sentire umano e attesta la condizione di coloro che non vivono per la saggezza e non vogliono conoscere la natura delle cose e in virt di ci vivono in un perenne stato di angoscia. Lucrezio in questo caso, da buon scienziato, osserva un fenomeno: linquietudine degli uomini, ne cerca le cause e i principidi spiegazione. Egli le rintraccia nella superstizione e nella paura per la morte. Oltre a cercare le cause, il nostro autore trova una soluzione al senso di ansiet degli uomini. Luomo non conosce loggetto del suo volere, cerca qualcosa in pi al di fuori di esso, ma non riesce ad afferrarlo. Cos si dedicano a una moltitudine di attivit che possano far dimenticar loro il senso di inquietudine, la paura della morte. Ma la morte non nulla per luomo: Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum14 (De rerum natura III 830), poich gli atomi che compono i corpi sono costretti ad aggregarsi e a disgregarsi continuamente: nulla nasce dal nulla,13

Se gli uomini potessero, cos come si vede che avvertono / che nel loro animo insito un macigno che li affatica con il suo grande peso, / conoscere da che cosa esso sia causato, / e poich una tanto grande fardello rimanga ancorato uguale nellanimo, / non vivrebbero in questo modo, come noi per lo pi vediamo, che non sa cosa voglia, e cerca sempre di cambiare luogo come se potesse deporre il peso. Quello che si annoia a stare a casa, esce sempre dai grandi palazzi, e subito vi ritorna, dal momento che saccorge che fuori non v nulla di meglio di quanto c nella dimora. / Precipitosamente accorre alla villa di campagna aizzando i cavalli, / incalzando come se dovesse portare lacqua ai tetti che bruciano; / subito sbadiglia, non appena tocca la soglia della casa, / o si immerge nel sonno profondo e cerca di obliare, / o affrettandosi si rivolge verso la citt e la riguarda. / In questo modo fugge se stesso, ma questo, come accade, / non riesce a scappare, perci vi rimane attaccato ed odia, / poich il malato non conosce la causa della sua malattia; / e questo se ben vedesse, gi lasciate da parte tutte le altre cose, / per primo simpegnerebbe a conoscere la natura delle cose, dal momento che non si discute duna sola ora, / ma del tempo eterno in cui tutti i mortali sono destinati a passare, / quantunque ne rimanga dopo la morte. / Successivamente quale tanto grande e terribile brama di vivere/ ci costrinse con grande violenza a trepidare in dubbiosi pericoli? / Ai mortali destinata una fine certa, / n possiamo evitare la morte: ci andiamo incontro. / Inoltre ci muoviamo sempre nello stesso luogo, continuamente rimaniamo prigionieri / n vivendo si schiude alcun nuovo piacere. / Ma mentre ci che desideriamo lontano , tale brama sembra / che prenda il sopravvento sulle altre brame, poi , quando si ottiene loggetto del desiderio,/ subito ne si vuole un altro e uneguale sete di vita trattiene coloro che smaniano ardentemente. / Poi, in dubbio che sorte ci riservi il tempo futuro, / cosa ci porti il caso e quel esito si avvicini. / N andando avanti a vivere toglieremo qualcosa / al tempo della morte, n riusciremo ad offenderlo / per strappare alla morte qualche secondo. / Allora permesso vivendo che tu seppellisca quante generazioni vuoi; / non di meno rimarr quella morte eterna, / n pi di tanto quello rimarr / colui che vide per lultima volta oggi il lume della vita, / e colui che scomparso da anni e anni. lintegrazionw al testo mutilo dei codici del Poliziano. Praecipitanter, Hapax-legomenon ( , una parola che compare una sola volta in un testo e sono utili ai filologi) tale termine sembra coniato da Lucrezio. Fugit il Madvig propone fugitat. Ingratis emendamento del Lambino ( i codici ripotano ingratius). Manenda emendamento del Lambino (i codici riportano manendo). 14 qnatoj od prj 1mj tO gr dialuq naisqhte, tO d' naisqhton od prj mj, nulla per noi la morte; perch ci che dissolto insensibile, e ci che insensibile non niente per noi Epicuro (5,2 Arr.)

nulla ritorna al nulla. Il brano, molto incalzante, caratterizzato da una densa quantit di verbi che starebbero a sottolienare laffannoso movimento di colui che viaggia e non ha pace. La descrizione sempre pi vivace nei particolari realisticidella corsa affannosa: sbadigli, sonno per dimenticare, anche ritorno in citt. In particolare gravis e revisit esprimono lo stato danimo del ricco accasciato dal torpore della noia o freneticamente ansioso di cambiare luogo. Da notare laccortissima collocazione dei termini che riassumono i fondamenti dottrinali del verbo di Epicuro e lessenza dello stesso poema lucreziano (studeat, cognoscere v. 1072) e laccostamento dellavverbio primum ( che indica la preminenza assoluta dello studio scientifico della natura su ogni altro interesse filosofico) ai termini pi concettualmente significativi: naturam rerum. Per Lucrezio fondamentale non preoccuparsi di come trascorrere le ore della vita, ma cercare di sapere quale eventuale esistenza ci attende dopo la morte. Questo passo sembra spesso agli studiosi poco coerente con il pensiero epicureo , perch pare avanzare unipotesi di una vita dopo la morte, gi ampiamente negata nel corso del libro III. In realt Lucrezio non si contraddice e tiene a sottolienare la vanit delle occupazioni cui si dedica luomo annoiato, limportanza dello studio filosofico, che verte sulla problematica delleternit. Naturalmente la ricerca filosofica condotta sulle orme di Epicuro porter a negare che una qualsisi vita attender gli uomini dopo la morte. La chiusa del libro il trionfo del pessimismo lucreziano la mala cupido vitae, la brama ardente di vivere, non solo non giova ad evitare la morte (nec devitari letum) ma neppure ad aggiungere nuovi piaceri (nec nova vivendo procluditur ulla voluptas) n a sottrasi un solo istante dallinevitabile fine: la vita ha un termine naturalmente fissato. Questa brama di vivere, che istintivamente fa pensare alla volont di vivere di Schopenhauer, ci schiaccia e ci impedisce il raggiungimento di una serena saggezza. Nulla cambia nella natura, siamo sempre in balia dei nostri interessi contingenti, le misere menti degli uomini si dimenano continuamente senza scopo cercando di cambiare qualcosa che non pu essere cambiato: la legge materiale della natura immutabile. Essi vagano senza meta perdendo di vista lobiettivo principale della vita: la saggezza, ma dandosi ai piaceri non necessari. Tali oggetti non potranno mai colmare il vuoto poich sed dum abest quod avemus, id exsuperare videtur /cetera; post aliud, cum contigit illud, avemus / et sitis aequa tenet vitai semper hiantis queste parole sembrano anticipare le drammatiche pagine di Leopardi e di Schopenhauer. Il canto si chiude con un climax ascendente: gli ultimi versi suonano quasi come un trionfo della morte. La nostra vita finita ed determinata dal caso, non possiamo sottrarle nemmeno un momento, sarebbe totalmente inutile. Il saggio, invece, non ha bisogno di scalfire il tempo della morte poich giunto alla consapevolezza che la morte non nulla ed inutile cambiare continuamente luoghi per obliare la sua angoscia. Qui si apre un dibattito che ha occupato i principali interpreti di Lucrezio: il presunto pessimismo. Sembra strano, che Lucrezio, cantore dellepicureismo, di una dottrina tendenzialmente ottimistica, presenti spunti pessimistici. Ettore Bignone (in Lucrezio come interprete della filosofia di Epicuro) e Adelmo Barigazzi ( in Lucrezio. La vita e la morte nelluniverso. Paravia Torino 1974) sostengono la tesi dellottimismo e quindi della piena adesione alla scuola epicurea. Certamente nel poema vi sono cupe immagini di morte e dolore, sostengono quegli studiosi, ma esse devono essere considerate alla luce della dottrina epicurea. Tramite la conoscenza delle leggi della natura e, quindi, anche dei lati negativi di essa si pu raggiungere la felicit. Sostenitore della tesi opposta Luciano Perelli ( in Lucrezio poeta dellangoscia), nel suo saggio si configura unimmagine di un Lucrezio dubbioso e afflitto dal dubbio che non ha pi fiducia nella dottrina epicurea. C comunque da notare che Perelli ha utilizzato in maniera massiccia lanalisi psicanalitica che certamente poco valida nellanalisi di un testo antico. La tesi dellottimismo lucreziano trova indubbiamente un elemento di forza, poich il fine della scuola epicurea starebbe nel liberare luomo dallangoscia, pi persuasivo riconoscere lesistenza del male nel mondo, ma, al contempo, nutrire la fiducia che grazie alla ragione luomo possa giungere alla felicit. La giusta via di mediazione ci data da Gian Biagio Conte: i luoghi pi eloquenti dellopera sono le ferite che il conflitto ha lasciato dietro di s nella dottrina: sotto un certo aspetto le fratture di un pensiero sono pi essenziali della continuit che salvaguarda la coerenza logica. [] Di qui ladito alla polemica contro le illusioni, tanto aspramente avversate perch tanto faticoso stato liberarsene (op. cit.). Riconoscere il male e la morte come parti del reale non sono lindizio di un carattere esistenzialisticamente angosciato, ma segno di una capacit di abbracciare la vita nei suoi aspetti di luce e di ombra.

Daltronde il IV libro si apre con limmagine luminosa del topos miele-poesia quasi a stemperare i toni cupi e drammatici della chiusa del libro III. Tutti i libri si aprono con immagini splendenti e luminose: il primo con linno a venere e linno ad Epicuro salvatore degli uomini, il secondo si apre con unesaltazione del saggio epicureo, il terzo il quinto e il sesto con degli elogi ad Epicuro. Lucrezio, come accennato, ci d, oltre alla descrizione di una stirpe umana cieca che non sa raggiungere la vera felicit, il ritratto del saggio beato. Il proemio del libro II prospetta il collegamento con letica saldando la conoscenza della natura alla conquista della felicit. In esso sono celebrati i principi fondamentali delletica epicurea dallidentificazione del piacere stabile con lapona e con lataraxa allesortazione a godere le gioie di una vita ritirata (lthe bisas). Fin dai tempi di Voltaire in questa pagina di Lucrezio stata ravvisata una sorta di egoistico compiacimento nel sentirsi libero dai pregiudizi e dalle passioni, infatti questo proemio era stato intitolato rapsodia per una serenit egoistica . Lideale di vita che vi traspare15 viene contrapposto ai modelli negativi della vita associata della continua ricerca di ricchezze e potere militare, da Lucrezio stigmatizzati anche in altri luoghi del poema (cfr. 3, 59 sgg. e 995 sgg.) e dopo di lui sviluppati da Virgilio nel finale del libro II delle Georgiche. Suave, mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem; non quia vexari quemquamst iucunda voluptas, sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est. suave etiam belli certamina magna tueri per campos instructa tua sine parte pericli; sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientum templa serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantis quaerere vitae, certare ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes rerumque potiri. o miseras hominum mentis, o pectora caeca! qualibus in tenebris vitae quantisque periclis degitur hoc aevi quod cumquest! nonne videre nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque? ergo corpoream ad naturam pauca videmus esse opus omnino: quae demant cumque dolorem, delicias quoque uti multas substernere possint gratius interdum, neque natura ipsa requirit, si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes lampadas igniferas manibus retinentia dextris, lumina nocturnis epulis ut suppeditentur, nec domus argento fulget auroque renidet nec citharae reboant laqueata aurataque templa, cum tamen inter se prostrati in gramine molli propter aquae rivum sub ramis arboris altae non magnis opibus iucunde corpora curant, praesertim cum tempestas adridet et anni tempora conspergunt viridantis floribus herbas. nec calidae citius decedunt corpore febres, textilibus si in picturis ostroque rubenti iacteris, quam si in plebeia veste cubandum est. quapropter quoniam nihil nostro in corpore gazae15

Lideale di vita a cui ci riferiamo tipico della classicit, uno dei testi canonici rimane lOde I, I di Orazio.

proficiunt neque nobilitas nec gloria regni, quod super est, animo quoque nil prodesse putandum; si non forte tuas legiones per loca campi fervere cum videas belli simulacra cientis, subsidiis magnis et ecum vi constabilitas, ornatas armis statuas pariterque animatas, his tibi tum rebus timefactae religiones effugiunt animo pavidae mortisque timores tum vacuum pectus lincunt curaque solutum. quod si ridicula haec ludibriaque esse videmus, re veraque metus hominum curaeque sequaces nec metuunt sonitus armorum nec fera tela audacterque inter reges rerumque potentis versantur neque fulgorem reverentur ab auro nec clarum vestis splendorem purpureai, quid dubitas quin omnis sit haec rationis potestas, omnis cum in tenebris praesertim vita laboret? nam vel uti pueri trepidant atque omnia caecis in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus inter dum, nihilo quae sunt metuenda magis quam quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura. hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque. (Lucrezio De rerum natura II 1-61)16

16

E dolce, quando il vasto mare sconvolto dai venti, / guardare da terra il grande travaglio degli altri, / non per provar piacere dalle svenute altrui, / ma, poich, allieta vedere da quali mali ci si sottratti. / E dolce, anche, osservare i grandi scontri di guerra / sugli schieramenti, senza essere in pericolo. / Ma non v nulla di pi dolce del risiedere sugli alti templi sereni / resi sicuri dalla dottrina dei sapienti / dallalto dei quali si possono osservare gli altri e vederli /smarriti errare qua e l ricercando la via della vita: / gareggiare per lingegno, combattere per la nobilt, / sforzarsi di giorno e di notte con ingente fatica / a giungere a eccelsa opulenza e dimpadronirsi il potere. / Oh misere menti degli uomini, o cuori insensibili! / In quali tenebre, in quali pericoli trascorriamo / questo poco di vita, quale esso sia. E come non vedere / che la natura non reclama nulla per s, se non / che il dolore se ne stia lontano dal corpo e che / nellanimo goda duna giocosa sensazione sciolta dagli affanni e dal timore? / Quindi notiamo che alla natura corporea bastino veramente / poche cose che leniscano il dolore, / sicch possano dispensare molti dolci piaceri. / talvolta pi piacevole- n la stessa natura lo richiede, / se non vi sono statue dorate per le stanze duna villa, / che tengano con le destre delle lampade, / per illuminare i banchetti notturni, / che la casa risplenda doro e dargento, / n che le cetre facciano rimbombare i soffitti intagliati e dorati- / quando, tuttavia, fra amici, vicino a un corso dacqua, / sotto le fronde di un albero, / senza grandi agi, si prendono cura del corpo, / specialmente il tempo sorride e la stagione / propizia cosparge i campi verdi di fiori. / N le febbri abbandonano prima il corpo caldo/ se ci si rigira in coperte dipinte e rose di porpora, / piuttosto che si dorma in una veste plebea. / Poich i tesori, la nobilt e la gloria di regno / non giovano nulla al nostro corpo, / per il resto non bisogna pensare nemmeno che servano alla nostra anima; / a meno, per caso, vedendo le tue legioni / muoversi fervidamente per il campo di battaglia, suscitando immagini di guerra / rafforzate da truppe ausiliarie e dalla forza dei cavalli, / equipaggiate darmi e parimenti animate di spirito bellicoso, / e vedendo la flotta veleggiare ampiamente, / le superstizioni atterrite da questi fatti / fuggano da te pavide; e i timori della morte / ti lascino il cuore leggero e sciolto da preoccupazioni. / E se queste cose ci paiono ridicole e degne di scherno, / in verit le paure degli uomini e le preoccupazioni che ne conseguono / non temono n il suono delle armi n le lance minacciose / audacemente saggirano tra i re e tra i ricchi / n hanno reverenza per il fulgore delloro / n del luminoso splendore duna veste purpurea, / perch dubiti che il potere sia tutto della ragione, / essendo tutta la vita travagliata nelle tenebre? / Infatti come i fanciulli tremano e / temono tutto nelle buie tenebre, cos noi / alla luce temiamo quelle cose che per niente si debbono temere / di pi di quelle che spaventano i fanciulli nelle tenebre immaginandole imminenti. / E, allora, necessario che questo timore dellanimo e queste tenebre / non vengano dissipate n dai raggi del sole n dai lucenti dardi del giorno, / ma dallo studio e dellosservazione della natura.

Il saggio assapora la felicit stando tranquillo a contemplare laffanno altrui. In questo modo, infatti, acquista la percezione del piacere, che consiste nella mancanza di dolore e turbamento. Linizio del brano lento, quasi affannoso, con la triplice anafora di suave, poi sempre pi mosso e concitato fino che il poeta si lascia coinvolgere dal compianto per la miseria umana. Enjambements, esclamazioni, interrogazioni e riprese accentuano limpatto emotivo del testo, stemprata, poi, in una ricca serie di immagini Il lessico nettamente positivo ( suave, dulcius, edita, serena, iucundu sensu, Gratis, in luce ) che connota la felicit del saggio, si contrappone ad espressioni negative ( tenebris, errare, mortisque timores, religiones, terrorem animi, metus hominum cauraeque ). Nellincipit del brano si intrecciano numerosi riferimenti colti: limmagine potente dello scampato alla tempesta, il quale dalla terraferma contempla, compiaciuto, le traversia del naufrago, era diffusa nella letteratura classica: Sofocle fr. 579N.; Archiloco fr. 43 K.; Cicerone Att II 7,4; a cui si possono aggiungere i versi 902-911 del terzo stasimo delle Baccanti di Euripide, e Orazio Epistola I 11,10. Lespressione non da intendere nel senso che il saggio provi piacere di fronte al disagio altrui, ma che, assistendo da lontano, dallalto della ragione, al meschino affannarsi degli altri uomini si sente libero dai mali che spingono ad affrontare rischi e pericoli di ogni genere e assapora la vera felicit, che consiste nella mancanza di dolore. La scrittura di Lucrezio continua in un incessante intreccio di parole che tendono a sottolineare laltezza dello stile: suave replicato con variatio e climax, il lessico ricercato ed elegante, in certare ingenio e contendere nobilitate lallitterazione degli infiniti e la cesura del verso accentuano il parallelismo dei due cola. Gi nei versi 8-13 incominciano ad accentuarsi le differenze tra colui il quale risiede sui Templa serena dei saggi, e colui il quae erra senza scopo nel mondo, senza trovare un fine, ma si sforza per raggiungere una felicit che risulter essere effimera. Questi versi dal forte impatto emotivo (despicere unde il verbo d comunque lidea dellosservare dallalto verso il basso errare atuqe viam palantis quaerere vitae certare ingeniocontendere nobilitate rerumque potiri) ci ricordano quelli del brano precedentemente proposto dove erano elencate con un ritmo incalzante tutte le varie azioni che il ricco annoiato compiva per a fuggire al malessere della vita. In questi versi, lo si vedr pi avanti, viene data unindicazione chiara e esemplificata per raggiungere la vera serenit. A questa parte luminosa e solare si contrappone una seconda parte buia e tenebrosa: o miseras hominum mentis, o pectora caeca (v14), lesclamazione rimarcata dal chiasmo degli accusativi che pone in rilievo gli attributi, dalla forte cesura eftemimera, dalle evidenti assonanze della della m e della c, sa notarsi anche levidente metonimia di gusto virgiliano. Limpeto di questi versi risuona anche nell XI canto del Paradiso dantesco: oh insensata cura demortali, / quanto son difettivi sillogismi / quei che ti fanno in basso batter lali! (vv.1-3). Vi poi un crescendo di drammaticit, l interrogativa retorica nonne videre (v.16), nella forma del cosiddetto infinitum indignationis rende pi patetica largomentazione, che trova il culmine al verso 17: nil aliud sibi naturam latrare. La natura grida imperiosamente, animalescamente, il verbo latrare, forse connesso etimologicamente con lamentum, inserisce lanalogia nelluso letterario che trova un suo precedente in Ennio (animusque in pecora latrat v.481 Skutsch) e in Omero (XX 13), riferito al cuore che latra dal dentro (come in Ennio): (..per lultima volta, il suo cuore di dentro latrava, di cui il verbo indica proprio il latrare dei cani). Ma limmagine della natura che grida imperiosamente le sue richieste anche in Epicuro, fr. 22 Arrighetti Non considerare innaturale, che, quando grida la carne anche lanima gridi. Il grido della carne : non aver fame, non aver sete e non aver freddo. Lmmagine ha una forte intensit proprio per richiamare lattenzione sui due concetti basilari della morale epicurea, che verranno poi enunciati: lassenza di dolore e lassenza di turbamento. La soddisfazione dei desideri del corpo richiede assai poco: non sono necessari banchetti in ambienti sfarzosi, infatti il contatto con la natura e lamici basta per raggiungere la felicit, senza indulgere in un lusso fine a se stesso. Secondo la classificazione epicurea, quelli che tolgono il dolore sono i piaceri naturali e necessari. La soddisfazione dei desideri naturali e necessari non solo toglie il dolore, ma assicura anche molti piaceri, come secondo lesempio, il mangiare e il bere in compagnia. Gi il verbo substernere (v.22) di per se eloquente (letteralmente stendere sotto) indica lapporto di piacere

implicito legato ai bisogni essenziali delluomo. Ai pochi beni necessari Lucrezio accosta i piaceri superflui , di cui quelli non naturali (vv24-28), che sono nocivi e quelli necessari e naturali, ammessi dalla dottrina epicurea. Lucrezio, riprendendo dei versi omerici, evoca il clima inutilmente sfarzoso delle ville romane. Le statue di giovani reggenti fiaccole compaiono nella descrizione di Omero della villa di Alcinoo:

' , . (Omero, Odissea VII 100-102)17 Successivamente in questi versi Lucrezio delinea un quadro paesaggistico ameno, idilliaco, che sar lunico modello latino della poesia bucolico pastorale virgiliana. Al ridente quadro dei piaceri naturali, Lucrezio oppone una nuova visone antitetica: i malanni non vengono allontanati pi rapidamente da un tenore di vita lussuoso, che da uno modesto. Tutti mali che affliggono gli uomini: le superstizioni religiose , non possono essere fugati attraverso inutili prove di forza. Infatti Lucrezio tende a sottolinearlo utilizzando clausole ironiche come si non forte al verso 40. Da notarsi, comunque il clima tutto romano della scena delle esercitazioni militari, forse uno dei pochi collegamenti che il nostro autore fa con il suo periodo storico. Qual dunque la via di fuga a questi mali? Lo studio appassionato della natura e dei suoi meccanismi. In questo caso ci allacciamo al testo del libro III, infatti, la soluzione che viene esposta sostanzialmente la stessa: lo studio della natura. La ricchezza e il potere ( nel libro III erano descritte delle azioni di un ricco nobile annoiato) non riescono a prevalere sulle angosce e sulle paure che affliggono gli uomini. Lutezio nellargomentare procede per espressioni binarie (es. ridicula ludibriaque), ma la ridondanza qui ha la funzione di instaurare un rapporto tra le paure e le preoccupazioni quasi personificate. Il brano va via via concludendosi con una metafora colta ripresa dal Fedone (77) di Platone, lespressione dei fanciulli che temono le tenebre interpreta suggestivamente e allusivamente il contrasto tra lignoranza del Vero e la dottrina del filosofo. Gli uomini, a differenza dei bambini, hanno paura anche alla luce del sole perch essa non riesce a dissipare le tenebre dellintelletto. Come usuale in Lucrezio largomentazione si conclude con una formula quasi con degli epifonemi. In questo caso la chiusura del tutto simile a quella del libro III ed insiste sul fatto, ripreso in tutto il poema, che il timor e lhorror gravano sulla vita degli uomini come conseguenza della paura degli dei. Ritornando al tema della commutatio loci, esso viene ripreso largamente da molti autori: in ambito latino ha avuto un discreto successo. Colui che ha continuato a trattare questo argomento fu lepicureo Orazio nelle Epistole (I 8; I 11). NellEpistola I 8, il poeta appare affetto da uno stato di depressione, da una sorta di insoddisfazione mista a funebre malinconia che egli chiama funestus vernus e che molti aspetti sembra simile ad alcuni stati nevrotici. Si quaeret quid agam, dic multa et pulchra minantem vivere nec recte nec suaviter, haud quia grando contunderit vitis oleamque momorderit aestus, nec quia longinquis armentum aegrotet in agris, sed quia mente minus validus quam corpore toto nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum, fidis offendar medicis, irascar amicis,17

Fanciulli doro sopra solidi piedistalli / si tenevano dritti , reggendo in mano fiaccole accese, / illuminavano le notti ai banchettanti in palazzo (Trad. it. Rosa Calzecchi Onesti).

cur me funesto properent arcere veterno, quae nocuere sequar, fugiam quae profore credam, Romae Tibur amem, ventosus Tibure Romam. (Orazio, Epistulae I 8 vv. 3-12)18 Linsoddisfazione del poeta ha una componente esistenziale che il supporto della filosofia non stato in grado di vincere, qui notiamo una differenza con Lucrezio. Se ne accorsero gi i commentatori antichi che definirono il poeta come melanchonicus, cio affetto da una sorta di depressione ansiosa. Orazio, non riesce a mettere in pratica i concetti della dottrina epicurea e risulta meno solido di Lucrezio. Egli non riesce a curare il suo stato di malattia, fugge senza trovare pace e oblia tutti i mali. Il poeta non trova requie in alcun luogo e sprofonda in uno stato di ansiosa inquietudine e di accidiosa scontentezza (assai simile a quella del Petrarca nel Secretum). Il tema dellinutilit del viaggio ritorna nell Epistola 11 del primo libro, dove Orazio ritorva una felice soluzione lirica che riprende i concetti base della morale oraziana, segnati da quella nota di dolorosa malinconia che caratterizza la stagione dellOrazio maturo. La strenua inertia diviene tema di canto fornendo i parametri morali entro i quali si inquadra la smania di viaggiare. Tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam grata sume manu neu dulcia differ in annum, ut quocumque loco fueris, vixisse libenter tu dicas: nam si ratio et prudentia curas, non locus effusi late maris arbiter aufert, caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt. Strenua nos exercet inertia: navibus atque quadrigis petimus bene vivere. Quod petis, hic est, est Ulubris, animus si te non deficit aequus. (Orazio, Epistulae I 11 vv 22-30)19 Caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt una sentenza incisivache riassume il conflitto interiore di tutta una vita dedita alla ricerca della perfezione morale. Come nellEpistola precendente il poeta vorrebbe distinguersi da coloro che viaggiano per dimenticare il loro male, ma non ci riesce. Solo la saggezza e la ragione possono liberare dagli affanni gli uomini. La felicit, come si pu ben notare nelle odi, deve essere goduta nellattimoin cui ci si trova. Cos inutile girovagare senza meta se non si raggiunta la serenit e quando la si ha, anche il luogo peggiore pu diventare bello e vivibile. Seneca, pi tardi, tratter di questi stssi temi, citando anche i versi di Lucrezio, egli, ancora uma volta descrive luomo che vive proteso su un futuro che non gli appartiene, che vive, cos, in uno stato di perenne alienzaione. Quando, poi, si trova solo con se stesso e tenta un bilancio dei suoi sforzi vani, allora lo assale la scontentezza di s, alla quale tenta di reagire con continui spostamenti. Omnes in eadem causa sunt, et hi qui levitate vexantur ac taedio assiduaque mutatione propositi, quibus semper magis placet quod reliquerunt, et illi qui marcent et oscitantur. []Inde peregrinationes suscipiuntur uagae et litora pererrantur et18

Se ti chiedesse cosa faccia, promettendo belle e molte cose / di che non vivo n bene n piacevolmente, non gi / perch la grandine abbia rovinato le viti e il caldo abbia rinsecchito gli olivi, / n perch un armento si sia ammalato nei vasti pascoli; / ma perch sono meno sano nellanimo che in tutto il corpo / nulla voglio sentire, niente voglio sapere che allievi il dolore. / Me la prendo con i medici fidati, maccendo dira contro gli amici / perch si affannano a strapparmi da questo mortale torpore; / cerco ci che mi fa male, fuggo ci che credo mi possa giovare, / volubile come il vento a Roma mi piace Tivoli, a Tivoli Roma. 19 Tu qualsiasi ora un dio ti abbia dato propizia, / raccoglila con mano grata e non rimandare a domani le gioie, / cos da poter dire di essere vissuto volentieri in qualunque luogo; / infatti, se ragione e prudenza ci fugano gli affanni, / non un luogo che si affaccia su un ampio tratto di mare, / il cielo, non lanimo muta colui che viaggia per mare. / Ci travaglia una strenua inerzia con navi e / con quadrighe ricerchiamo la felicit. Ci che chiedi qui, / a Ulubre, se non ti manca un animo sereno.

modo mari se, modo terra experitur semper praesentibus infesta leuitas: "Nunc Campaniam petamus." Iam delicata fastidio sunt: "Inculta uideantur, Bruttios et Lucaniae saltus persequamur." Aliquid tamen inter deserta amoeni requiritur, in quo luxuriosi oculi longo locorun horrentium squalore releuentur: "Tarentum petatur laudatusque portus et hiberna caeli mitioris et regio uel antiquae satis opulenta turbae.... Iam flectamus cursum ad Vrbem: nimis diu a plausu et fragore aures uacauerunt, iuuat iam et humano sanguine frui." 14 Aliud ex alio iter suscipitur et spectacula spectaculis mutantur. Vt ait Lucretius: Hoc se quisque modo semper fugit. Sed quid prodest, si non effugit? Sequitur se ipse et urget grauissimus comes. Itaque scire debemus non locorum uitium esse quo laboramus, sed nostrum: infirmi sumus ad omne tolerandum, nec laboris patientes nec uoluptatis nec nostri nec ullius rei diutius. ( Seneca De tranquillitate animi II 6-13-15)20 Anche seneca, in questo brano e in altre parti della sua opera, riprende il tema della commutatio loci lucreziana. Anche se stoico, egli molto vicino allepicureo lucrezio tanto che lo ha anche citato. Il De tranquillitate animi, lopera da cui abbiamo stralciato il brano dedicata a Sereno che ricerca la tranquillitas, una condizione, che, tuttavia risulata essere lontana e irraggiungibile. Anche in questo caso Seneca si pome, quasi come un medico, che dispensa una malattia per lanimo e qui si concretizza il suo intento di iuvare alios Solo la filosofia, lo studio attento delal fenomenologia delle passioni umane e della psiche pu liberare luomo dal suo stato di angoscia esistenziale. Ed ecco una soluzione simile a quella di Lucrezio. Seneca, anche dal punto di vista linguistico riesce a rendere con particolare efficacia linutili del continuo cambiamento di luogo. Luomo volubile non riesce a vivere senza preoccupazioni ed continuamente soggetto al dolore. Il moviemtno senza meta ulteriormente sottolineato da Seneca con limpiego dellaggettivo vagae e col doppio parallelismo chiastico di peregrinationes suspiciuntur/ litora pererrantur / experiturlevitas. Anche la stessa scelta lessicale di levitas, sistantivo astratto dellaggettivo levise leggero , per translato il sostantivo che significa leggerezza indica lincostanza e la volubilit, ostacolo al raggiungimento della tranquillitas. Quale il rimedio contro il tedio che saziet, instabilit, labilit, volubilit, incoerenza, incostanza? La risposta di Seneca pi discorsiva e meno lapidaria di quella di Lucrezio (fine del III libro del De rerum natura) rimanda al comune maestro Democrito: guardando alle cose stesse e conscio di essere nato per la morte (morti natus es ), cerca la tranquillit o euthyma (Democrito scrisse unopera sullargomento). Che cos leuthyma, tradotta con tranquillitas animi (come gi aveva fatto Cicerone)? la stabilit dellanimo (stabilis animi sedes), un corso sempre uguale e favorevole distante da esaltazioni e depressioni. Chi piace a se stesso lieto, prova gioia e, lungi dallerrare, si mantiene costantemente nello stato divino dellimperturbabilit (divinum non concuti ). la consueta ricetta stoica che, in questo caso, si collega a Democrito, secondo cui lanima la dimora della nostra sorte e solo rettitudine e20

Tutti si trovano nella medesima condizione , sia coloro che sono tormentati dallincostanza, da tedio e dalla voglia continua di cambiare propositi, ai quali piace sempre di pi ci che hanno lasciato, sia qualli che sono rammolliti sia quelli che sbadigliano. [] Quindi intraprendono viaggi per ogni dove e attraversano lidi e ora per mare e ora per terra si esperisce sempre la volubilit sempre ostile alle cose presenti. Ora ci dirigiamo verso la Campania. Gi i luoghi eleganti vengono a noia: si visitino i luoghi selvaggi, raggiungiamo il Bruzio e i passi della Lucania. Tuttavia in mezzo ai luoghi deserti si ritrova qualcosa di ameno donde gli occhi abituati al lusso sono distolti dal lungo squallore dei luoghi orrendi: si vada a Taranto al suo porto lodato, al soggiorno invernale per il cielo pi mite, e alla regione abbastanza ricca anche per la vecchiaia della popolazione. Ritorniamo gi verso Roma troppo le nostre orecchie non sentirono gli applausi e il fragore, piace anche assistere a spettacoli cruenti. Si susseguano uno dietro laltro i viaggi e si guardi uno spettacolo dietro laltro. Ma come dice Lucrezio: in questo modo ciascuno fugge sempre se stesso. (DRN III1068). Ma che cosa giova se non riesce a fuggire? Segue sempre se stesso e incalza un compagno molto pesante. Per giunta dobbiamo sapere che la colpa non dei luoghi per cui soffriamo, ma nostra; noi siamo mlati e non riusciamo a tollerare, non sappiamo sopportare la fatica, n il piacere, n noi stessi, n alcuna altra cosa troppo a lungo.

avvedutezza rendono felici. Il fine nostro appunto leuthyma che non identica al piacere ma la condizione costante della calma e dellequilibrio dellanimo non turbato da paura n da superstizioni n da altro stato passionale: il piacere che d una vita solitaria dedita alla speculazione . Anche Lucrezio vede nella gnosi la salute, la guarigione dalla malattia che induce a fuggire se stessi. La fluttuazione, del resto, e la nausea nascono dal peso del non sapere che fa errare: il saggio guarda dallalto dei templi sereni edificati dalla sapienza gli uomini che si agitano smaniosi di cose e di autenticit, e talora sono presi dal desiderio di autodistruzione e di morte. Simile attitudine in Seneca: occorre - dice a Sereno - che tu abbia fede in te e vada per la retta via senza fartene stornare dalle orme trasverse dei molti che vanno trascorrendo qua e l e di alcuni che si smarriscono addirittura nei pressi della via stessa. Certo diversa la strada stoica da quella epicurea. E poi, aristocraticamente solitario e drammatico Lucrezio, pi disponibile allumana solidariet Seneca; entrambi concordi nel respingere ci che contraddice lunitaria dottrina razionale, ma romanamente inclini ad ascoltare la voce del cuore (non solo della mente: lappello di Seneca al credere e al volere non di poco momento ) e a rappresentare le fluttuazioni, le incertezze, eleaticamente connesse allerrore dei mortali, al punto che Lucrezio preso dalla piet, dal male e dal dolore che pur si propone di sconfiggere: ne consegue che il paradiso del saggio non lo appaga: Che male sarebbe mai stato per noi non essere nati? . Altro tono da quello di Epicuro che, nellEpistola a Idomeneo, proclama di essere felice pur tra i tormenti del mal della pietra che lo sta conducendo a morte . E pesante la vita di chi non sa. Preso da quello che, a buon diritto, si pu chiamare angoscia esistenziale, quasi schiacciato o quanto meno gravato dal non sapere, questuomo va errando: il saggio immobile come lessere parmenideo; ed in alto, quasi innalzato al livello degli dei, superiore al ciclo delle cose mortali; di fronte alle quali si pu ridere o piangere (per: humanius est deridere vitam quam deplorare) . Se Eraclito vedeva la vita come un dramma, a Democrito le cose umane parevano ridicole. Liberato dallangoscia o almeno dallaccidia, luomo guarda grave, seppur sereno, oppure sorride. Seneca anche nelle Epistulae morales ad Lucilium cerca di opporre allinquitudine dellanimo lo stordimento dei viaggi , egli nellEpistula 28 replica con le stesse parole di Orazio. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM Hoc tibi soli putas accidisse et admiraris quasi rem novam quod peregrinatione tam longa et tot locorum varietatibus non discussisti tristitiam gravitatemque mentis? Animum debes mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster, terraeque urbesque recedant, ( Ver. Aen. III 72) sequentur te quocumque perveneris vitia. Hoc idem querenti cuidam Socrates ait, 'quid miraris nihil tibi peregrinationes prodesse, cum te circumferas? premit te eadem causa quae expulit'. Quid terrarum iuvare novitas potest? quid cognitio urbium aut locorum? in irritum cedit ista iactatio. Quaeris quare te fuga ista non adiuvet? tecum fugis. Onus animi deponendum est: non ante tibi ullus placebit locus. ( Seneca Epistulae morales ad Lucilium III 28 1-2)21 . Nella lettera inviata da Seneca a Lucilio il tema viene trattato in modo molto pi personale che nel Tranquillitate animi, il problema della noia visto in unottica personale e la drammaticit della21

Seneca Saluta Lucilio. Credi che ci sia accaduto solo a te e ti meravigli come se fosse una cosa nuova, che con un viaggio tanto lungo e con una grane variet di luoghi non riuscisti a dissipare la tristezza e la pensantezza dellanimo? Devi cambiare lanimo non il cielo. Sia pure che attraversi il vasto mare, sia pure, come dice il nostro Virgilio, che recedano le terre e le citt. I tuoi mali ti seguiranno ovunque tu vada. Tali cose disse Socrate a uno che lo chiedeva: Cosa ti meravigli se i viaggi non ti siano serviti a nulla, dal momento che porti in giro te stesso? Ti angustia la stessa cosa che ti ha fatot partire. Quale novit delle terre ci pu giovaare? Quale conoscenza delle citt e dei luoghi? E inutile questa agitazione. Ti chiedi perch questa fuga non ti abbi aiutato? Fuggi con te. Bisogna deporre il peso dellanimo: prima non ti soddisfacerai di alcun luogo.

situazione si riflette nello stile. Infatti si notano moltissimi periodi corti e fratti, sono presenti moltissime interrogative dirette il ritmo inclalzante e le risposte brevi e concise. Come usuale in Seneca, labbiamo visto nel brano precedente fa un largo uso di citazioni e di sentenze di altri autori. Il tema lo si ritrova in S. Agostino che allinquietudine dellanimo incapace di trovare pace oppone pi volte, nelle Confessioni, la certezza cristiana : inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te (Conf. I, 1,1). Con Petrarca il tema entra nella letteratura italiana. Petrarca, per primo, rivolge particolare attenzione al prorio io, che diviene il centro della poesia. Se Dante e i poeti Cortesi concepivano la poesia come un fenomeno sociale da vivere con degli ascoltatori e anche con degli interlocutori, Petrarca si rivolge soprattutto a se stesso. Egli, infatti, pass gran parte della sua vita in viaggi e forse possiamo notare un aspetto autobiografico. Inoltre, tratta in maniera estesa il tema dellaccidia nel Secretum un dialogo immaginario con S.Agostino. Sei in preda di una tremenda malattia dello spirito, che i moderni chiamano accidia e gli antichi aegritudo , Francesco non ha difficolt a riconoscere: E vero (Fateor), e a dipingere un quadro a lui ben noto: in questa tristezza tutto aspro e misero e orribile e la via della disperazione sempre aperta, e tutto fa s che le anime infelici ne siano sospinte verso la morte [] questo flagello mi ghermisce a volte cos tenacemente da tormentarmi nella sua stretta per giorni e notti intere, e allora per me non pi tempo di luce e di vita, ma oscurit e inferno e strazio mortale . E poco dopo, ad Agostino che gli chiede di spiegarsi meglio, racconta: se la fortuna [.] mi butta addosso tutte le miserie della condizione umana e il ricordo degli affanni passati e il terrore dei futuri, allora [] comincio a lamentarmi. E questa lorigine di quel grave dolore: come se uno fosse circondato da innumerevoli nemici e non avesse alcuna via di fuga, n speranza di clemenza, n soccorsi, ma tutto gli fosse contro . Si noti: allinterno di una metafora bellica (la fortuna assedia e colpisce per espugnare), le armi a cui ricorre il nemico sono la laborum preteritorum memoria futurorumque formido, proprio come nel sonetto le cose passate / .. dnno guerra, et le future anchora. Dellimpossibilit per laccidioso di apprezzare le cose presenti queste pagine del Secretum fanno addirittura il segno precipuo della malattia: Dimmi, qual per te la cosa peggiore? chiede Agostino; Tutto quello che vedo attorno, e quello che ascolto e quello che tocco risponde Francesco; Perbacco! Non ti piace nulla di nulla? incalza Agostino; Niente, o poche cose davvero ribadisce Francesco. Tutto questo conclude Agostino tipico di quella che ho chiamato accidia: le cose tue, ti affliggono tutte . Alla base di questo male vi un desiderio che non riesce ad individuare un oggetto preciso e resta sempre inappagato e inquieto. Di qui nasce una forma di inerzia morale, di languida debolezza del volere, che annulla ogni possibilit di scegliere e di agire, in quanto ogni oggetto rivela la sua vanit. Il desiderio inquieto perch si accompagna alla coscienza del carattere effimero e vacuo dei beni materiali, della miseria della condizione umana, che getta lanima in una tristezza perenne, senza via di scampo. Eppure in questa sofferenza c una sorta di piacere, di compiacimento, proprio questo che impedisce a Petrarca di ricattarsi e genera in lui come unaccettazione rassegnata della propria natura. Nel seicento un filosofo in particolare si occup del problema del senso della vita: Blaise Pascal. Pascal ritiene che lattegiamento della mentalit comune nei confronti dei problemi esistenziali sia quello del divertissement. Questo termine ha il significato filosofico di oblio e stordimento di s nella molteplicit delle occupazioni quotidiane e degli intrattenimenti sociali. Il divertimento quindi una fufga da s, come non ricordasi le parole di Lucrezio, ottenuta tramite una qualsivoglia attivit lavorativa o ricreativa. Ma da cosa fugge luomo? Per Pascal sostanzialmente da due cose: dalla propria infelicit costitutiva e dai supremi interrogativi circa la vita e la morte. Infatti niente cos insopportabile alluomo che lessere in pieno riposo senza passioni, senza impegni, senza divertimento, senza applicazione. Egli sente, allora, il suo niente, il suo abbandono, la sua insufficienza. Immediatamente uscir dal fondo della sua anima lumor nero, la perfidia, la tristezza e il senso di vuoto interiore. Le occupazioni, cos, distraggono luomo dalla considerazione di s e dalla sua condizione. Il divertimento, essendo una continua fuga da noi

stessi, nel tentativo illusorio di raggiungere una situazione di completo appagamento non genera c