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STORIA DELLA FOTOGRAFIA

La fotografia, come tutte le invenzioni che hanno caratterizzato la civiltà, non ha un solo inventore ma è il risultato combinato degli sforzi di una fitta schiera

di personaggi: alchimisti e ricercatori, ciarlatani e nobili illuminati, scienziati e maestri artigiani. La

fotografia nacque per tentativi nei quali il caso ebbe la parte maggiore. Erano esperienze fatte senza

teoria, senza metodo, senza principio. Le ricerche confluirono su due fenomeni: il principio della “camera obscura” e l'effetto del sole su alcuni

composti a base di sali d'argento.

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LA CAMERA OBSCURA

Se in una stanza completamente oscurata si lascia entrare luce da un piccolissimo foro sulla parete, apparirà sul lato opposto l'immagine della scena posta di fronte al foro, ma invertita e rovesciata.

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Questo effetto era già noto agli arabi nel 1200, ma viene studiato con sistematicità solo nel tardo rinascimento. Molti attribuiscono al napoletano

Giovan Battista Porta il merito di avere per primo descritta la camera oscura, base della moderna

fotografia, nel trattato De Magia Naturalis del 1558. In realtà la geniale osservazione da cui nacque la

camera oscura si deve a Leonardo Da Vinci. Porta ridusse le proporzioni della camera descritta da Leonardo e per avere proporzioni più chiare, più illuminate, più disegnate munì il foro di una lente

piano convessa: in faccia al foro collocò uno specchio a 45° e un vetro smerigliato al di sopra

dello specchio in modo da vedere l'immagine non più rovesciata, ma raddrizzata.

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EFFETTO DEL SOLE

La fotografia è basata sulla modificazione che varie sostanze subiscono per l'azione esercitata dalla luce. Questo processo era noto già agli antichi. Con il 1700, il secolo dei lumi, ripresero gli studi sui composti sensibili e più in generale sulla riproducibilità delle immagini

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Wedgwood (1771,1805) dopo aver impregnato la carta con una soluzione di nitrato d'argento vi

collocava oggetti la cui immagine restava impressa quando il tutto veniva esposto alla luce. Ma egli non sapeva come fissare le immagini, che nuovamente esposte alla luce si annerivano completamente fino

a scomparire. A riprendere gli esperimenti fu il francese Niecepore Niepce che nel 1827 riuscì ad ottenere la prima immagine stabile su un supporto di peltro: egli non usava però il nitrato d'argento, il

cui annerimento non sapeva ancora arrestare, ma il bitume di giudea, un asfalto allora usato come

vernice, solubile in olio.

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Su una lastra di zinco egli stendeva uno strato di bitume di giudea, dopo aver posto sulla lastra un disegno su vetro o carta trasparente la esponeva alla luce, con esposizioni intorno alle 8 ore; una

volta eliminato il bitume di giudea otteneva un'immagine su positivo. Niepce chiamò le

immagini così ottenuto eliografie.

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Quando Niepce si trovò ad un punto morto nelle sue ricerche, conobbe Louis Jacques Mandé

Daguerre, un pittore che si serviva della camera obscura per produrre gigantografie di scenari

suggestivi proiettati poi nel Diorama, un teatro di particolari dimensioni.

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Niepce morì e Daguerre proseguì gli esperimenti, introducendo alcune varianti: egli sottoponeva al

buio una lastra di rame all'azione di vapori di iodio: si formava così uno strato di ioduro

d'argento sensibile alla luce. La lastra veniva impressionata poi in una camera obscura con

esposizioni non inferiori ai 15 minuti. L'annerimento veniva rallentato con soluzioni ad

alto contenuto di sale.

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La dagherrotipia fu una vera rivoluzione all'interno del mondo artistico dell'epoca: quando in Gran Bretagna furono presentati i dagherrotipi

suscitarono questa affermazione entusiastica:“da oggi la pittura è morta”

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La pittura poi si ribellò dando il via all'eterno dibattito sul rapporto tra fotografia e arte.

Dall'Europa la dagherrotipia si diffuse negli Stati Uniti: nel marzo 1840 fu aperto a New York il

primo studio fotografico del mondo per ritratti a dagherrotipo. Di lì a poco gli studi si moltiplicarono. I clienti provenivano

principalmente da classi elevate, il costo dei ritratti era infatti abbastanza alto: nonostante ciò vi fu

una diffusione sorprendente, fino a diventare una vera e propria moda. Il dagherrotipo veniva inoltre

valorizzato dalle montature decorative e dalla pratica di montarle su gioielli. Le prime fotografie vennero trattate come oggetti di estremo valore.

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Nello stesso periodo in cui il dagherrotipo si diffondeva, un altro ricercatore, William Henry

Fox Talbot aveva raggiunto analoghi risultati. Egli trattava la carta con cera per renderla trasparente,

poi con sale e nitrato d'argento per renderla sensibile: vi poggiava sopra rametti o foglie ed esponeva il tutto al sole. In seguito, trattava la

carta con una soluzione fortemente salina, riuscendo se non ad arrestare quantomeno a rallentare l'annerimento dell'immagine. Se ne

potevano così fare delle copie su carta sensibilizzata prima che il “negativo” svanisse.

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Calotipo fu il nome che Talbot diede alle sue immagini: paradossamente, se pur fu il vero

antenato della fotografia contemporanea, non raggiunse mai una vasta popolarità (nonostante il

processo negativo-positivo permettesse una tiratura in molte copie e quindi un costo ridotto).

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Talbot incontrò lo studioso John Herschel che usando una soluzione di iposolfito di sodio aveva

bloccato l'azione della luce sull'annerimento dell'immagine, e quindi creato il cosiddetto

“fissaggio”. Fu questo che permise il decollo ufficiale della fotografia.

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La notizia secondo cui la realtà poteva essere riprodotta senza la mediazione dell'artista

provocò uno scalpore oggi difficilmente immaginabile. I vertici del potere intuirono sin da

subito che questo strumento aveva ben altre potenzialità che la sostituzione della pittura nel

ritrarre la nobiltà, e vennero vietate tutte le immagini che potessero essere in contrasto con

l'iconografia ufficiale ( ad esempio le prime immagini di guerra contraddicevano la retorica di

stato e le menzogne)

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The battle of Gettysburg, Timothy H O'Sullivan 1863

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La riproducibilità della calotipia introdusse un nuovo elemento: la tiratura di stampe – che ebbe

infatti effetti commerciali a lungo termine. L'invenzione del collodio umido di Scott Archer (1851) portò a un successivo passo: sino ad allora

lo svantaggio maggiore del negativo era la mancanza di definizione e dettagli. Ora la

definizione era più precisa e permetteva un numero illimitato di copie. Ma questa presentava serie limitazioni tra cui la necessità di sviluppo

immediato del negativo dopo l'esposizione e delle lunghe esposizioni richieste.

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Lo sviluppo del processo a lastra asciutta alla gelatina (1871) cambiò questo quadro, e lo

sviluppo poteva rimanere latente per molto tempo.

A rendere la fotografia istantanea e alla portata di tutti fu invece George Eastman con l'invenzione

nel 1888 della Kodak: una piccola macchina caricata con un rotolino di carta sensibile che

permetteva di ottenere 100 immagini di formato rotondo. Lo slogan diceva “voi premete un

bottone, noi faremo il resto”

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Prima Kodak, 1888, George Eastman

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Adolphe Disdéri promosse su vastissima scala il ritratto fotografico grazie alle sue carte-de-visite, immagini su biglietto da visita di 6,35 x 10,5 cm con costi di produzione bassi che divennero ben presto oggetto di culto e di collezione. Le carte-

de-visite erano talmente di moda che molti ritrattisti lasciarono gli studi pittorici per lavorare in

studi fotografici colorando a mano le immagini.

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alcune carte-de-visite

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HYPPOLITE BAYARD

Tra i pionieri della fotografia va senz'altro ricordato anche Bayard (1801-1887). egli era giunto agli stessi risultati di Talbot e Daguerre, ma gli venne chiesto di nascondere la sua invenzione per non danneggiare

l'acquisto del dagherrotipo da parte del governo francese.

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Autoritratto in figura d'annegato

Così il 18 ottobre 1840 si fotografò seminudo in posa da annegato nella Senna, offrendo nella didascalia una spiegazione ironica del gesto estremo per l'iniquità subita. Quello di Bayard può essere considerato il primo autoritratto fotografico della storia, nonché il primo atto performativo.

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Nadar fu uno dei maggiori protagonisti della ritrattistica ottocentesca: da lui si fecero

fotografare tutte le personalità maschili più illustri dell'epoca: Dumas, Delacroix, Rossini, Wagner, Baudelaire, Hugo e alcuni personaggi femminili

come Sara Bernhardt. Tutto l'elite parigino senti il bisogno di passare dallo studio di Nadar per farsi

ritrarre; veniva infatti definito il “tiziano della fotografia”. Quella di Nadar era una fotografia

introspettiva e psicologica: i soggetti erano fotografati in piano americano (dalle ginocchia in su) e guardavano dentro l'obiettivo, cercando di

coglierne l'espressione più intima.

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Nadar, Sara Bernhardt, 1855

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Lo stile del ritratto fotografico rimase lo stesso per molto tempo. La posa, composta davanti a un tendone drappeggiato e classicheggiante, si ispirava alla pittura dell'epoca. Talvolta erano

introdotti attrezzi e materiali scenici che dessero una collocazione precisa al soggetto. Solo nei lavori dei ritrattisti più sensibili si può percepire un analisi

della personalità del soggetto. Si comincia ben presto a delineare la separazione tra fotografo

commerciale e artista. Le opere di Lewis Carrol, ad esempio, erano contraddistinte dalla dolcezza della composizione, quelle di Julia Margaret Cameron

dalla interpretazione drammatica.

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Lewis Carroll, Alice Liddel

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Julia Margaret Cameron, Julia Jackson 1867