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IL MODELLO REDDITO-SPESAPROF. MATTIA LETTIERI

IIL LMMOOD DEELLLO RREEDDIITTOO--SSPPEESSAAvideo.unipegaso.it/LMG-01/EcoPol/Lettieri/LezioneXIV/Reddito_Spesa.pdf · investimento Nel caso di economia chiusa la domanda aggregata,

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“IILL MMOODDEELLLLOO RREEDDDDIITTOO--SSPPEESSAA”

PROF. MATTIA LETTIERI

Università Telematica Pegaso Il modello reddito-spesa

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 FUNZIONI DEL CONSUMO, RISPARMIO ED INVESTIMENTO ----------------------------------------------- 3

2 L’EQUILIBRIO MACROECONOMICO--------------------------------------------------------------------------------- 7

2.1. UN METODO ALTERNATIVO --------------------------------------------------------------------------------------------- 11

3 IL MOLTIPLICATORE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

4 IL SETTORE PUBBLICO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 16

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1 Funzioni del consumo, risparmio ed investimento

Nel caso di economia chiusa la domanda aggregata, ovvero la domanda complessiva di beni

nell’economia, ha le seguenti componenti:

Consumi;

Investimenti;

Spesa pubblica.

Le ipotesi principali che adotteremo, sono le seguenti:

Si assume che i prezzi siano fissi, ovvero che non varino nel corso del tempo.

Questo implica che la distinzione fra grandezze reali e grandezze monetarie

non ha rilievo;

In precedenza, abbiamo verificato che prodotto nazionale e reddito nazionale

sono identici. Utilizzeremo, quindi, i termini come sinonimi, usando

semplicemente “reddito” o “prodotto”. All’inizio assumeremo che la spesa

governativa sia zero e che non vi siano né sussidi né tributi, introducendo,

successivamente, l’attività statale;

Non esistono moneta, banche e mercati dei titoli, quindi, neanche tassi di

interesse. All’inizio considereremo soltanto il mercato dei beni, dove

interagiscono prodotto nazionale e domanda aggregata.

Il consumo delle famiglie aumenta con il reddito, è ovvio che le famiglie ricche consumano

più delle famiglie povere.

La spesa delle famiglie in beni di consumo, cioè, in breve, il consumo della collettività

dipende nella realtà da un complesso di fattori, di natura assai diversi tra loro, come, per esempio, la

composizione per età delle famiglie, i loro atteggiamenti culturali e le loro aspettative per il futuro, i

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patrimoni in precedenza accumulati, la distribuzione del reddito tra salari, profitti e rendite, la

maggiore o minore eguaglianza nella distribuzione del reddito tra le famiglie, ecc.

Tuttavia, se si vuole individuare un unico fattore, che sia tra tutti il più importante, e mettere

in luce la dipendenza del consumo da esso, non vi è dubbio che bisogna dire che il consumo di una

famiglia e il consumo della collettività dipendono soprattutto dal reddito che la famiglia o la

collettività guadagnano.

Anche per l’economia ci si aspetta la stessa relazione famiglia-reddito, ovvero che il

consumo aggregato aumenterà all’aumentare del reddito.

La relazione fra consumo e reddito è descritta dalla funzione di consumo.

Assumeremo che la funzione di consumo sia:

C = c Y

C è un valore compreso fra 0 ed 1 che moltiplica il PNL.

Questa equazione afferma che il consumo C è pari ad una percentuale c, ad esempio il 60%,

del reddito Y.

Il valore c viene chiamato propensione marginale al consumo, definita come l’incremento di

consumo che si ottiene quando il reddito aumenta di una unità.

Da un punto di vista matematico c è l’inclinazione della funzione di consumo.

Mentre, la propensione media al consumo di una famiglia, o della collettività, è definita

come il rapporto tra il consumo e il reddito della famiglia o della collettività.

La propensione media al consumo si può esprimere come la percentuale di reddito

consumata e la propensione marginale al consumo si può esprimere come la percentuale

dell’incremento di reddito che viene spesa in beni di consumo.

Vari studi statistici hanno mostrato che la relazione proporzionale crescente fra consumo e

reddito è sostanzialmente vera per molti paesi.

Keynes suppose che il consumo fosse sempre crescente al crescere del reddito, ma suppose

che la propensione marginale al consumo fosse decrescente, perché man mano che il reddito cresce

la percentuale di esso spesa in beni di consumo si riduca.

La funzione di consumo è rappresentata nella seguente figura:

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Figura n. 62

La domanda aggregata è costituita, oltre dai consumi, dagli investimenti.

Gli investimenti, a differenza dei consumi determinati dalle famiglie, sono decisi dalle

imprese e rappresentano aumenti dei beni capitali esistenti.

Assumeremo che gli investimenti siano sempre pari ad una costante:

I = I*

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Figura n. 63

La figura n. 63 mostra che per diversi livelli di reddito Y l’ammontare degli investimenti

non varia.

Gli investimenti possono, quindi, essere definiti dall’espressione I = I* e vengono detti

autonomi, poiché non dipendono dal reddito.

In generale, qualunque spesa non dipendente dal reddito viene detta autonoma.

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2 L’equilibrio macroeconomico

Possiamo sintetizzare le considerazioni fino ad ora fatte sulle due componenti della

domanda aggregata dicendo che: la domanda aggregata che chiamiamo DA, è data dal consumo,

che dipende dal reddito, e dagli investimenti, che sono autonomi:

DA = C + I = c Y + I*

Per ora, però, non consideriamo il settore pubblico.

In base all’espressione, la domanda aggregata dipende anche essa dal reddito.

La forma della domanda aggregata è illustrata nella seguente figura:

Figura n. 64

DA

DA = c Y + I*

Y 0

I*

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Il reddito d’equilibrio è definito come quel livello di reddito o prodotto che eguaglia la

domanda aggregata.

Una situazione di equilibrio è caratterizzata dall’assenza di stimoli al cambiamento.

Il reddito che eguaglia la domanda aggregata è quello di equilibrio perché a quel livello

nessuno degli agenti economici desidera modificare il suo comportamento.

Nel caso in cui il prodotto fosse superiore alla domanda aggregata, le imprese

accumulerebbero scorte di beni invenduti e vorrebbero produrre meno.

Allo stesso modo, se il prodotto fosse inferiore alla domanda aggregata, le imprese

finirebbero con il rimanere senza beni prodotti o ridurrebbero moltissimo le loro scorte, e

vorrebbero, quindi, produrre di più.

In entrambi i casi esistono stimoli tali da modificare il comportamento che sparirebbero

quando il prodotto fosse uguale alla domanda aggregata.

Lo studio della contabilità nazionale, analizzato in precedenza, stabiliva che la domanda

aggregata C + I era sempre uguale al reddito o prodotto Y. Questo, però, sembra essere in contrasto

con la spiegazione del reddito di equilibrio appena data: sembrerebbe che tutti i livelli di reddito

siano di equilibrio, ma non è così.

Per comprenderlo è necessario distinguere fra:

Domanda aggregata in senso economico;

Domanda aggregata in senso contabile.

Nell’ambito del modello reddito-spesa stiamo usando la domanda aggregata in senso

economico. Per cui ci riferiamo alla domanda aggregata desiderata e corrisponde al consumo che le

famiglie desiderano compiere, più gli investimenti che le imprese desiderano compiere. Quindi

questo nel primo caso.

Nel secondo caso, invece, abbiamo invece una domanda aggregata realizzata che

corrisponde ai consumi e agli investimenti effettivamente realizzati.

Le due domande aggregate possono essere diverse, come accade nel caso in cui le imprese

non giudicano correttamente quale sarà la domanda delle famiglie.

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Supponiamo che le imprese, avendo sopravvalutato la domanda, abbiano prodotto beni, ad

esempio, a fronte di una domanda di 300 unità, la produzione sia stata di 400. Naturalmente 100

unità rimarranno invendute.

In contabilità nazionale queste 100 unità accumulate involontariamente dalle imprese

contano come investimenti.

Per cui la domanda aggregata ci direbbe che la domanda aggregata, ovvero 300 unità di

consumo + 100 unità di scorte involontarie, però considerate investimenti = 400 unità, è uguale alla

produzione, cioè 400 unità. Questa è una definizione contabile, infatti, le imprese non desideravano

effettuare l’investimento sotto forma di scorte.

La funzione di investimento descritta non riguarda questo tipo di investimento non

desiderato, ma solo quello desiderato.

Per cui, la domanda aggregata desiderata, ovvero 300 unità, è inferiore alla produzione, cioè

400 unità, perciò, quest’ultima non è al suo livello di equilibrio.

Possiamo affermare che il prodotto o reddito raggiunge il suo livello di equilibrio quando è

uguale alla domanda aggregata desiderata, ovvero quando gli investimenti non desiderati sono pari

a zero.

Per cui avremo un equilibrio nel mercato dei beni, quando:

Y = DA

Si può, quindi, sostenere che è la domanda aggregata a determinare il livello di equilibrio del

prodotto.

Infatti, quando il prodotto non eguaglia la domanda aggregata le imprese modificano il loro

comportamento al fine di produrre esattamente quanto domandato e giungere al punto in cui gli

investimenti non desiderati sono pari a zero.

La seguente figura illustra la determinazione del reddito di equilibrio:

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Figura n. 65

Nel grafico, figura n. 65, si riproduce la retta della domanda aggregata ed una retta inclinata

a 45°.

Quest’ultima è la bisettrice dell’angolo retto che si forma all’origine degli assi, ed ha la

proprietà di essere equidistante dagli assi medesimi, ovvero per ogni punto della retta, l’ascissa è

uguale all’ordinata.

Il punto E determina il punto di equilibrio, poiché è il punto in cui la domanda aggregata e il

reddito sono uguali.

Nel nostro grafico, il reddito di equilibrio è indicato con Y0.

Qualsiasi altro livello di prodotto non potrebbe essere mantenuto, infatti, livelli più alti

implicherebbero una accumulazione indesiderata di scorte, mentre livelli più bassi non potrebbero

soddisfare la domanda.

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2.1. Un metodo alternativo

Un altro modo di descrivere l’equilibrio macroeconomico è quello che utilizza la relazione

fra risparmio ed investimenti, anziché fra domanda aggregata e reddito. Per giungere a questa

descrizione alternativa occorre determinare la funzione del risparmio.

Dalla funzione del consumo C = cY, si desume che il consumo è sempre inferiore al reddito.

Infatti, se per ogni euro in più di reddito si consumano solamente c euro, le restanti (1-c)

euro avranno un altro impiego.

Il reddito non consumato verrà risparmiato, ovvero Y = C + S, cioè che il reddito delle

famiglie può essere solo consumato o risparmiato.

Partiamo dall’espressione Y = C+ S per giungere ad una relazione fra reddito e risparmio,

nota come funzione del risparmio, e ricaviamo:

S = Y – C

Sostituendo a C l’espressione C = cY, cioè C = cY, avremo:

S = Y – C = Y – cY = (1-c)Y

Se scriviamo per brevità s= 1-c, allora abbiamo che:

S = sY

Quest’ultima espressione è la funzione del risparmio, ed il valore s, compreso fra 0 e 1, si

chiama propensione marginale al risparmio. Esso indica quanta parte di una unità in più di reddito

viene risparmiata.

Ora, possiamo far ricorso al metodo alternativo per descrivere l’equilibrio macroeconomico.

Affermiamo che al livello di reddito di equilibrio, gli investimenti desiderati eguagliano i

risparmi.

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Consideriamo la relazione Y = DA, che caratterizza il reddito di equilibrio, e sottraiamo C

da entrambi i membri, otteniamo:

Y – C = DA – C

Ma Y – C è il risparmio S e DA- C l’investimento I*, quindi: S = I*

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3 Il moltiplicatore

Di quanto aumenta il reddito di equilibrio se aumenta la componente autonoma, ovvero

indipendente dal reddito, della domanda aggregata?

Una prima risposta può essere ricavata dall’analisi grafica, si veda la figura n. 66.

Figura n. 66

La figura n. 66 rappresenta due livelli di equilibrio del reddito, ciascuno valido per un

differente livello di investimenti autonomi.

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La retta r1 rappresenta la domanda aggregata quando gli investimenti autonomi sono I*1, ed

il corrispondente livello di reddito di equilibrio è Y1.

La retta r2 rappresenta la domanda aggregata quando gli investimenti autonomi sono I*2 ed

il corrispondente livello di reddito di equilibrio è Y2 .

Si può notare che I*2 è > di I*1, e come era prevedibile, Y2 è > di Y1.

Possiamo, quindi, affermare che se gli investimenti autonomi aumentano allora il reddito di

equilibrio aumenta anch’esso.

Continuando ad osservare la figura n. 66 si può osservare che il reddito di equilibrio

aumenta più dell’investimento autonomo.

Infatti, il segmento di ascissa Y2 – Y1 è più grande del segmento di ordinata I*2 – I*1.

Questo è vero per qualsiasi coppia di rette si decida di tracciare.

La cosa, invece, non del tutto ovvia è che se aumenta la domanda aggregata, ad esempio di

100 unità, il prodotto di equilibrio aumenta più di 100 unità. Ma perché aumenta di più?

Iniziamo sul riflettere su cosa accadrebbe al reddito se gli investimenti autonomi

aumentassero di 100 unità?

Gli investimenti I* sono una componente della domanda aggregata DA, come già

sappiamo,e quest’ultima, in equilibrio, deve essere uguale al reddito Y. Di conseguenza, per

rimanere in equilibrio, anche il reddito Y deve aumentare di 100 unità.

Il nuovo investimento, però, ha determinato un aumento del reddito. La domanda ora sarà:

quanta parte di questo nuovo reddito sarà destinato al consumo?

Chiaramente una percentuale pari a c, ad esempio 0,90, per cui per 100 euro di nuovo

reddito, i consumi aumenteranno di 90 unità ed il resto, ovvero 10 unità, verrà risparmiato.

I consumi C fanno parte anch’essi della domanda aggregata DA, però se quest’ultima cresce

di ulteriori 90 unità, non vale più l’eguaglianza fra domanda aggregata e reddito. Quindi per

ristabilire l’equilibrio anche il reddito dovrà aumentare.

Fino ad ora abbiamo dimostrato che se l’investimento autonomo aumenta di 1 unità, il

reddito aumenta 1 + c unità. Ma anche l’incremento del reddito di c unità implica un aumento di

consumo che a sua volta comporta un aumento del reddito e così via.

Poiché, però, c è < di 1, ogni ulteriore incremento è più piccolo del precedente, fino a che gli

ultimi sono piccolissimi e quindi trascurabili, per cui il processo tende ad esaurirsi.

Il processo espansivo del reddito indotto dalla spesa autonoma è definito effetto del

moltiplicatore. Per valutare, infatti, di quanto cresce il reddito nazionale in seguito ad un aumento

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della domanda autonoma, è necessario moltiplicare l’incremento di quest’ultima per un determinato

valore detto moltiplicatore.

La grandezza del moltiplicatore è pari a:

Il moltiplicatore è maggiore di 1 ed è tanto più grande quanto più grande è la propensione

marginale al consumo c. Quindi, per una propensione marginale pari a 0,5 il moltiplicatore sarà

uguale a 2, mentre per una propensione marginale al consumo pari a 0,8 sarà pari a 5.

Un aumento della domanda autonoma produce un incremento del reddito che sarà tanto

maggiore quanto maggiore è il valore della propensione al consumo.

Se l’ammontare della variazione degli investimenti autonomi è noto, basta moltiplicare

questo ammontare per 1/ (1-c) per ottenere la corrispondente variazione di reddito. Poiché (1-c) è <

di 1, il moltiplicatore sarà > 1, quindi l’incremento di reddito sarà > dell’incremento di spesa

autonoma.

Questa relazione fra gli incrementi di spesa autonoma ΔI* e gli incrementi di reddito ΔY,

può essere così sintetizzata:

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4 Il settore pubblico

Introdurre il settore pubblico è fondamentale per comprendere il ruolo della politica fiscale o

politica di bilancio.

La politica di bilancio è definita come quel particolare tipo di politica economica i cui

strumenti sono: la spesa pubblica, i tributi e i sussidi.

La spesa pubblica, come abbiamo già esaminato nella 1° lezione, è una componente della

domanda aggregata, assieme ai consumi e agli investimenti.

La nuova espressione sarà:

DA = C + I* + G

G è la spesa pubblica, G, come I*, non dipende dal reddito, per cui fa anch’essa parte della

domanda autonoma.

Per i tributi e i sussidi dobbiamo far riferimento alla definizione di reddito personale

disponibile. Poiché lo Stato impone tributi e distribuisce sussidi, il reddito che le famiglie hanno a

disposizione per consumi e risparmi non è uguale al reddito nazionale.

Ora ipotizziamo che gli ammortamenti siano nulli, e chiamiamo: YD il reddito disponibile;

SU i sussidi; T i tributi. Abbiamo che:

YD = Y + SU - T

Le decisioni di consumo e risparmio dipendono da YD e non da Y, perciò la funzione del

consumo è data da:

C = cYD = c(Y + SU –T )= cY + cSU – cT

L’interpretazione di c come propensione marginale al consumo è uguale a quella già data,

solo che adesso sappiamo anche di quanto aumenta il consumo se aumentano di 1 euro i sussidi e di

quanto diminuisce il consumo se aumentano di 1 euro i tributi.

cSU è il consumo dovuto ai sussidi, invece cT sono i consumi non effettuati perché si sono

pagati i tributi.

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La presenza del settore pubblico induce un cambiamento nella spesa autonoma, che era

composta solo dagli investimenti I*, mentre adesso include anche il consumo creato dai sussidi

cSU, meno quello eliminato dai tributi cT, e la spesa pubblica G. si tratta di componenti della

domanda aggregata che non dipendono dal reddito e sono autonome.

Questo cambiamento può essere espresso algebricamente sostituendo C = cYD = c (Y + SU

–T)= cY + cSU –cT nella DA = C + I* +G, in modo da ottenere la nuova relazione che descrive la

domanda aggregata, considerando la presenza del settore pubblico:

DA = cY + I* + (cSU – cT + G)

La parte posta fra parentesi è la nuova domanda autonoma indotta dallo Stato.

La rappresentazione grafica di questa domanda aggregata è:

Figura n. 67

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Fino ad ora abbiamo descritto l’equilibrio macroeconomico tramite l’eguaglianza DA = Y.

Anche nel caso in cui operi lo Stato si ha equilibrio quando il reddito è uguale alla domanda

aggregata desiderata. Quindi l’eguaglianza è ancora valida come descrizione dell’equilibrio

macroeconomico.

Adesso, però, la domanda aggregata è descritta dalla relazione DA = cY + I* + (cSU – cT +

G), e non più semplicemente a cY + I*, la domanda autonoma, ora, ha molte più componenti.

Vi è una differenza fondamentale fra la domanda autonoma senza settore pubblico e quella

con il settore pubblico: quest’ultima ha infatti tre componenti che possono essere modificate in base

alla volontà dello Stato.

Questo vuol dire che lo Stato desidera cambiare il livello di equilibrio del reddito, ad

esempio perché lo considera troppo basso. Può farlo, modificando la spesa pubblica, i tributi o i

sussidi, ovvero manovrando gli strumenti della politica fiscale.

Lo Stato ha a disposizione due strade per modificare il reddito nazionale e l’occupazione:

Può variare la spesa pubblica;

Può variare i tributi e i sussidi.

In entrambi i casi avremo un aumento della spesa autonoma e quindi un aumento del reddito

tramite il meccanismo del moltiplicatore. Però, mentre, nel caso di aumento della spesa pubblica il

moltiplicatore è uguale a quello descritto in precedenza, nel caso di aumento dei sussidi o

diminuzione di tributi esso è più piccolo.

Considerando la spesa pubblica, non cambia niente rispetto al caso in cui sono gli

investimenti autonomi a variare.

Lo Stato può creare aumenti del reddito di equilibrio tramite incrementi della spesa

pubblica, ottenendo un effetto uguale a quello che si avrebbe se fossero gli investimenti autonomi

ad aumentare. In questo caso, lo Stato, può rimediare appieno alle deficienze dell’economia privata.

Consideriamo ora, invece, i sussidi: il meccanismo del moltiplicatore è simile ma non

conduce alle stesse conclusioni del caso precedente. Questo perché per ogni euro in più di sussidi

solo c euro vengono consumati mentre il resto viene risparmiato e quindi non accresce la domanda.

Per i tributi l’analisi è identica, solo che laddove abbiamo aumenti di sussidi dovremo

considerare diminuzioni di tributi.