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1 Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE] La poetica combinatoria Le città invisibili esce nel 1972. Calvino abita a Parigi già dal 1964 e partecipa al “Laboratorio di letteratura potenziale” di Queneau. Ha appena scritto un saggio sulla «narrativa come processo combinatorio». Coerentemente a tale progetto ha pubblicato Il castello dei destini incrociati (1969). Le città invisibili confermano tale poetica combinatoria e il procedimento astratto e allegorico della scrittura. La struttura delle Citta invisibili La struttura dell’opera presuppone una cornice in corsivo, che contiene il dialogo fra Marco Polo e l’imperatore Kublai Kan, e una narrazione in tondo, che comprende 55 descrizioni di città, tutte con nome di donna. Queste sono suddivise in undici percorsi tematici, ognuno dei quali contiene cinque descrizioni di città. Il romanzo è una riscrittura del Milione di Marco Polo, ma gli spazi descritti sono ormai solo mentali. Calvino e il Postmoderno Il romanzo rivela l’adesione di Calvino alla poetica postmoderna della riscrittura, dell’intertestualità e all’atteggiamento metanarrativo. Il romanzo rivela anche la tendenza postmodernista all’ibridazione dei generi: oscilla infatti fra il racconto “filosofico” e quello fantastico-allegorico. Il nichilismo filosofico Nel romanzo l’ordine delle cose è sostituito dall’ordine del discorso che non riesce più a cogliere la referenzialità oggettiva. Anche il tempo e lo spazio sono ormai del tutto rarefatti, astratti, mentali. Di qui il nichilismo filosofico dell’ultimo Calvino, che urta peraltro con una permanente esigenza di denuncia dell’«inferno» della storia e con la coscienza che la menzogna «è nelle cose, non nel linguaggio». Nel romanzo confluiscono insomma esigenze moderne (di tipo morale e razionale) e postmoderne (di tipo nichilistico-ontologico). sintesi parte quattordicesima PRIMO PIANO Date e dati 1923-1985 Italo Calvino 1964 trasferimento di Calvino a Parigi e contatti con l’Oulipo 1972 pubblicazione delle Città invisibili capitolo Le città invisibili di Calvino

Le Citt Invisibili Di Calvino

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Le Citt Invisibili Di Calvino

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Page 1: Le Citt Invisibili Di Calvino

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

La poetica combinatoriaLe città invisibili esce nel 1972. Calvino abita a Parigi già dal1964 e partecipa al “Laboratorio di letteratura potenziale” diQueneau. Ha appena scritto un saggio sulla «narrativa comeprocesso combinatorio». Coerentemente a tale progetto hapubblicato Il castello dei destini incrociati (1969). Le cittàinvisibili confermano tale poetica combinatoria e ilprocedimento astratto e allegorico della scrittura.

La struttura delle Citta invisibiliLa struttura dell’opera presuppone una cornice in corsivo,che contiene il dialogo fra Marco Polo e l’imperatore KublaiKan, e una narrazione in tondo, che comprende 55 descrizionidi città, tutte con nome di donna. Queste sono suddivise inundici percorsi tematici, ognuno dei quali contiene cinquedescrizioni di città. Il romanzo è una riscrittura del Milione diMarco Polo, ma gli spazi descritti sono ormai solo mentali.

Calvino e il PostmodernoIl romanzo rivela l’adesione di Calvino alla poeticapostmoderna della riscrittura, dell’intertestualità eall’atteggiamento metanarrativo. Il romanzo rivela anche latendenza postmodernista all’ibridazione dei generi: oscillainfatti fra il racconto “filosofico” e quello fantastico-allegorico.

Il nichilismo filosoficoNel romanzo l’ordine delle cose è sostituito dall’ordine deldiscorso che non riesce più a cogliere la referenzialitàoggettiva. Anche il tempo e lo spazio sono ormai del tuttorarefatti, astratti, mentali. Di qui il nichilismo filosoficodell’ultimo Calvino, che urta peraltro con una permanenteesigenza di denuncia dell’«inferno» della storia e con lacoscienza che la menzogna «è nelle cose, non nellinguaggio». Nel romanzo confluiscono insomma esigenzemoderne (di tipo morale e razionale) e postmoderne (di tiponichilistico-ontologico).

sintesiparte quattordicesimaPRIMO PIANO

Date e dati

1923-1985 Italo Calvino

1964 trasferimento di Calvino a Parigi e contatti con l’Oulipo

1972 pubblicazione delle Città invisibili

capitolo Le città invisibilidi Calvino

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

Le città invisibili e la svolta di Calvino

Le città invisibili fu pubblicato nel 1972 presso la casa editrice Einaudi. Dal 1964 Calvi-no (cfr. cap. VI) si era trasferito a Parigi, dove era entrato in contatto con gli struttu-ralisti, in particolare con Roland Barthes, e con il gruppo dell’Oulipo (sigla di Ouvroirde Littérature Potentielle: laboratorio di letteratura potenziale) costituito dagli scrittorisperimentali che si raccoglievano attorno a Raymond Queneau (su questi aspetti cheavvicinano Calvino a Perec, cfr. cap. IV, § 3). Composto negli anni del soggiorno pari-gino, Le città invisibili risente dell’influenza del clima culturale francese. È anzi proprioper l’adesione alla temperie culturale nuova dello strutturalismo che il libro segna unasvolta fondamentale nell’opera di Calvino. Nella precedente produzione dello scritto-re vengono concordemente individuate due fasi: la prima neorealista e la seconda, vi-cina allo sperimentalismo di «Officina» e del «Menabò». Alla fine degli anni Sessantal’autore aderisce a una nuova idea di letteratura, intesa come artificio e come giococombinatorio. Un importante saggio del 1967 segna e spiega questo cambiamento di*poetica, che condiziona tutti gli scritti successivi alla sua pubblicazione: Cibernetica efantasmi: appunti sulla narrativa come processo combinatorio (ora in Una pietra sopra). QuiCalvino, tracciando un parallelo tra i procedimenti di produzione linguistica e la lo-gica combinatoria su cui si fonda il funzionamento delle macchine informatiche, so-stiene che l’invenzione letteraria deve corrispondere a una precisa idea teorica, aun’idea quasi scientifica della scrittura. Se la logica combinatoria è alla base dei mec-canismi compositivi che regolano la scrittura, il progetto intellettuale insito in ognioperazione letteraria diventa tanto più efficace quanto più cresce il grado di consape-volezza che sa suscitare, nei lettori, circa i meccanismi della costruzione semiotica del-la letteratura.

Già nel Castello dei destini incrociati (1969), uno scritto commissionato dall’editoreFranco Maria Ricci per corredare le riproduzioni di un mazzo di tarocchi francesi, èpresente la logica combinatoria: il racconto si articola in percorsi e varianti che seguo-no le combinazioni delle carte sui tavoli da gioco. Nelle Città invisibili l’esibizione deimeccanismi combinatori del racconto diventa ancora più esplicita. Il lettore è messo difronte a una scrittura difficile, che coniuga suggestioni favolistiche e significati simbo-lici entro un tessuto fitto di riferimenti alla tradizione letteraria. L’ossatura dell’operaè posta in primo piano grazie alla segmentazione del racconto, articolato in testi breviche si susseguono entro una cornice. L’ordine di sequenza dei testi segue una logicache appare al tempo stesso trasparente e oscura: le ragioni della costruzione, infatti, re-stano sempre sfuggenti.

Le città invisibilie gli ambienti

culturali francesi

La narrativa comeprocesso

combinatorio

Dal Castello deidestini incrociatia Le città invisibili

PRIMO PIANOA • La struttura e i temi

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La struttura dell’opera

La strutturadell’opera

Il dialogo fra KublaiKan e Marco Polo e le 55 descrizioni

di città

Gli undici percorsitematici contenenti

ciascuno cinquedescrizioni di città

Un romanzoautoriflessivo

e metatestuale

Le città invisibili è composta da 9 capitoli, ciascuno aperto e chiuso da una cornice incorsivo nella quale si profila lo scenario e si mette in scena il dialogo tra i due protago-nisti: Kublai Kan, l’imperatore dei tartari, e Marco Polo, il giovane viaggiatore venezia-no, autore del Milione (cfr. SI1, MD1 e T1). Particolarmente importante è la descrizionedell’ultima città, Berenice (Le città nascoste. 5). È alla luce di quanto Calvino scrive inquesto testo che si può comprendere meglio il senso dell’ultimo atto del dialogo traKublai Kan e Marco Polo, quello che chiude Le città invisibili (cfr. T7 e T8). Fuori dallacornice, si snodano, in carattere tondo, le descrizioni delle città, 55 in tutto, corrispon-denti ai paragrafi. I capitoli comprendono un numero variabile di paragrafi. Questihanno titoli tematici: le città descritte, che hanno tutte nomi di donna, non compaiononel titolo. I titoli, che hanno come inizio la dicitura generica «le città» (ad esempio:«Le città e la memoria», «Le città e il desiderio», «Le città e i segni» ecc.), rendono su-bito esplicita la valenza simbolica delle singole narrazioni, che alludono sempre anchea un significato generale riguardante la città come *topos. I paragrafi, insomma, sono itasselli di un’unica narrazione sulla città intesa come spazio simbolico della cultura chesi contrappone allo spazio della natura.

I percorsi tematici, che seguono ognuno la sua numerazione, sono undici in tutto,e prevedono al loro interno cinque descrizioni di città, distribuite nei capitoli in modoirregolare. «Le città e i segni», ad esempio, è presente due volte nel primo capitolo (1e 2), una volta nel secondo (3), una nel terzo (4) e una nel quarto (5). «Le città e lamemoria» è presente con quattro passi nel primo capitolo (1, 2, 3, 4) e con uno nel se-condo (5). L’articolazione strutturale del romanzo, resa evidente dall’indice, è criptica,ermetica. Il lettore è spinto subito a interrogarsi sul significato delle simmetrie e delladistribuzione dei temi e dei numeri. L’indice rende l’opera aperta, ne suggerisce frui-zioni alternative al percorso lineare tradizionale, fa pensare a modalità di lettura tra-sversali, per percorsi tematici, ad esempio, come proponiamo noi qui, invece che perscorrimento unidirezionale. Tale struttura a ordini multipli è essa stessa immagine del-la logica combinatoria. Sulle sue ragioni sono state avanzate molte ipotesi. Qualcuno,ad esempio, ha spiegato la presenza di nove capitoli come un’allusione alle nove partidel corpo umano, e la ripetizione modulare del numero cinque come un’allusione aicinque sensi (Giuseppe Bonura). In realtà, ogni sforzo di trovare una spiegazione uni-voca alle corrispondenze numeriche risulta vano. Come vedremo nell’analisi dei passiantologizzati, le città descritte in un percorso (nel nostro caso «le città e i segni»; cfr.T2, T3, T4, T5, T6) non hanno rapporto più stretto tra loro che con quelle degli altripercorsi. Non c’è una ragione precisa dietro la complessa costruzione architettonica,finalizzata soprattutto a sollecitare la riflessione dei lettori sulla logica compositiva deltesto. Da questo punto di vista, Le città invisibili è un tipico romanzo autoriflessivo e me-tatestuale, nel senso che produce una riflessione su se stesso e sulle modalità del fun-zionamento della narrativa. Anche il titolo contribuisce a favorire questo effetto, dalmomento che la definizione di «invisibili» attribuita a città che vengono sistematica-mente descritte fa pensare a un senso nascosto del racconto, a un senso *allegorico cheil lettore è costantemente spinto a ricercare.

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

Il modello delle Città invisibili è Il Milione (circa 1289) diMarco Polo (1254-1324). La rivisitazione della celebreopera, che contiene i resoconti del viaggio in Orientecompiuto dal veneziano Marco Polo tra il 1269 e il 1285,viene condotta da Calvino sotto il segno della trasfor-mazione dello spazio: dallo spazio geografico del mon-do attraversato allo spazio mentale del viaggio narrato.Lo scenario del romanzo di Calvino non è il mondo: èl’immaginario moderno.Significativamente, all’inizio delle Città invisibili, Mar-co Polo non parla. Con il suo interlocutore tartaro, dicui non conosce la lingua, il celebre viaggiatore comu-nica a gesti. A conferma della natura filosofica del ro-manzo, che in realtà costituisce una narrazione-rifles-sione sulla natura della semiosi, il resoconto dei viaggiprocede per segni e gesti, e non attraverso la lingua.Dell’alone eroico di Marco Polo poco passa in questoromanzo di Calvino. Marco Polo è infatti il viaggiatoreper eccellenza, è il simbolo del viaggiatore; ma poichéil viaggio moderno è un viaggio mentale, il personag-gio diventa il simbolo del rapporto tra la conoscenza el’ignoto. Per conoscere l’ignoto, il Marco Polo moder-

no non viaggia nel mondo esterno, ma scava al pro-prio interno, percorre i luoghi sedimentati dell’immagi-nario storico.Quando impara la lingua dell’imperatore, Marco Polo di-venta in grado di offrire al Gran Kan resoconti di viaggioprecisi e completi. Ma la natura ambigua dei suoi rac-conti, dovuta alla loro fondamentale inautenticità, nonmuta. L’imperatore decifra i significati dei racconti, manon sa mai quale ne sia la vera natura. Quando alla finegli chiede se, dopo avere conosciuto tutte le città, eglisarebbe stato in grado di possedere veramente il suoimpero, il viaggiatore gli risponde che «capire gli emble-mi significa diventare emblemi». Entrare in una dimen-sione intellettuale significa insomma compenetrarsi inessa fino a perdere la percezione dell’alterità. La cono-scenza della realtà non coincide con il potere su di essa.Sapere non è potere. Il dominio conoscitivo sul mondonon è più possibile perché è avvenuta la scoperta filo-sofica della relatività del segno. Nelle Città invisibili nonesiste un mondo esterno alla semiosi: nella dialettica tracultura e natura, la seconda è un’alterità muta e ine-spressiva (cfr. T2, p. 6).

Il Marco Polo di CalvinoSI1 SCHEDA INFORMAZIONI � PI

Riportiamo qui un brano della conferenza sulle Città in-visibili tenuta da Calvino nel 1983 alla Columbia Univer-sity di New York. L’autore spiega la struttura e i temi deloibro, mettendo a fuoco il rapporto con il Milione di Mar-co Polo e riflettendo sulla grande questione della cittàmoderna.

Le città invisibili si presenta come una serie di relazionidi viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan imperatoredei Tartari. (Nella realtà, Kublai, discendente di Gen-gis Kan, era imperatore dei Mongoli, ma Marco Polonel suo libro lo chiama Gran Kan dei Tartari e tale èrimasto nella tradizione letteraria. Non che mi sia pro-posto di seguire gli itinerari del fortunato mercanteveneziano che nel Duecento era arrivato fino in Cina,e di là, come ambasciatore del Gran Kan, aveva visitatobuona parte dell’Estremo Oriente. Adesso l’Oriente èun tema che va lasciato ai competenti, e io non sono

tale. Ma in tutti i secoli ci sono stati poeti e scrittori chesi sono ispirato al Milione come a una scenografia fan-tastica ed esotica: Coleridge in una sua famosa poesia,Kafka nel Messaggio dell’Imperatore, Buzzati nel Desertodei Tartari.1 Solo le Mille e una notte possono vantareuna sorte simile: libri che diventano come continentiimmaginari in cui le altre opere troveranno il loro spa-zio; continenti dell’«altrove», oggi che l’«altrove» sipuò dire che non esista più, e tutto il mondo tende auniformarsi.

A questo imperatore melanconico, che ha capitoche il suo sterminato potere conta ben poco perchétanto il mondo sta andando in rovina, un viaggiatorevisionario racconta di città impossibili, per esempiouna città microscopica che si allarga, s’allarga e risultacostruita di tante città concentriche in espansione,una città-ragnatela sospesa su un abisso, o una cittàbidimensionale come Moriana.

«Un ultimo poema d’amore alle città». Calvino parla delle Città invisibili

MD1 MATERIALI E DOCUMENTI

1 Coleridge… Deserto dei Tartari: Il poeta inglese Coleridge(1772-1834) è autore del poemetto incompiuto Kubla Khan; Il mes-saggio dell’imperatore è un racconto pubblicato da Franz Kafka

(1883-1924) nel 1918; Dino Buzzati pubblica nel 1940 il romanzo Ildeserto dei Tartari.

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

MD1 «Un ultimo poema d’amore alle città». Calvino parla delle Città invisibili

Ogni capitolo del libro è preceduto e seguito da un«corsivo» in cui Marco Polo e Kublai Kan riflettono ecommentano. Il primo pezzo di Marco Polo e KublaiKan l’avevo scritto per primo e solo più tardi, quan-d’ero avanti con le cittàm pensai di scriverne deglialtri. O dirò meglio, il primo pezzo l’avevo lavoratomolto e m’era avanzato molto materiale, e a un certopunto portai avanti diverse varianti di questi avanzi (lelingue degli ambasciatori, le gesticolazioni di Marco)e vennero fuori discorsi diversi. Man mano che andavoavanti a scrivere città sviluppavo delle riflessioni sulmio lavoro come commenti di Marco Polo e del Kan equeste riflessioni tiravano ognuna dalla sua parte; e iocercavo di lasciare che ogni discorso avanzasse perconto suo. Così ho avuto un altro insieme di materialeche ho cercato di far correre parallelamente al resrto elì ho fatto un po’ di montaggio nel senso che certi dia-loghi si spezzano e poi riprendono, insomma il libro sidiscute e si interroga mentre si fa.

Credo che non sia solo un’idea atempporale dicittà quella che il libro evoca, ma che vi si svolga, oraimplicita ora esplicita, una discussione sulla cittàmoderna. Da qualche amico urbanista sento che illirbo tocca vari punti della loro problematica, e non èun caso perché il retroterra è lo stesso. E non è soloverso la fine che metropoli dei «big numbers»2 compa-re nel mio libro; anche ciò che sembra evocazioned’una città arcaica ha senso solo in quanto pensato escritto con la città di oggi sotto gli occhi.

Che cosa è oggi la città, per noi? Penso d’aver scrit-to qualcosa come un ultimo poema d’amore alla città,ne momento in cui diventa sempre più difficile viverlecome città. Forse stiamo avvicinandoci a un momentodi crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono unsogno che nasce dal cuore delle città invivibili. Oggi siparla con eguale insistenza della distruzione dell’am-biente naturale quanto alla fragilità dei grandi sistemitecnologici che può produrre guasti a catena, paraliz-zando metropoli intere. La crisi della città troppogrande è l’altra faccia della crisi della natura. L’imma-gine della «megalopoli», la città continua, uniforme,che va coprendo il mondo, domina anche il mio libro.Ma libri che profetizzano catstrofi e apocalissi ce nesono già tanti; scriverne un altro sarebbe pleonastico,e non rientra nel mio temperamento, oltretutto. Quel-lo che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire leragioni segrete che hanno portato gli uomini a viverenella città, ragioni che potranno valere al di là di tuttele crisi. Le città sono un insieme di tante cose: dimemoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le cittàsono luoghi di scambio, come spiegano i libri di storiadell’economia, ma questo scambi non sono soltantoscambi di merci, sono scambi diparole, di desideri, diricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini dicittà felici che continuamente prendono forma e sva-niscono, nascoste nelle città infelici.

da I. Calvino, Presentazione, in Le città invisibili, Mondadori, Milano 1999, pp. VII-X.

2 «big numbers»: grandi numeri.

Nel brano seguente, tratto dalla cornice che conclude ilprimo capitolo del romanzo, Marco Polo è presentato comeun giovane ingegnoso, dotato di grandi facoltà comunicative, espresse inizialmente con gesti, salti,grida, imitazioni dei suoni degli animali. Dopo numerose missioni compiute per ordinedell’imperatore, Marco Polo impara la lingua tartara e può esprimersi con precisione. Ma per KublaiKan, nonostante i resoconti puntuali del suo messo, l’impero resta sempre un misterioso «zodiaco difantasmi della mente».

Nuovo arrivato e affatto ignaro delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva espri-mersi altrimenti che con gesti, salti, grida di meraviglia e d’orrore, latrati o chiurli1

d’animali, o con oggetti che andava estraendo dalle sue bisacce: piume di struzzo, cer-bottane, quarzi, e disponendo davanti a sé come pezzi degli scacchi. Di ritorno dallemissioni cui Kublai lo destinava, l’ingegnoso straniero improvvisava pantomime2 che il

• Marco Polo: emblemi e segni

T1 Marco Polo [Le città invisibili]

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da I. Calvino, Le città invisibili,

Einaudi, Torino 1977.

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1 chiurli: lett. sono i versi del chiurlo, un uc-cello di piccole e medie dimensioni caratteriz-zato dal piumaggio bruno sul dorso e giallastro

nella parte inferiore, dal becco lunghissimo esottile emette un suono dal timbro metallico,ma qui indica il verso di uccello in generale.

2 pantomime: azioni sceniche in cui gli attorisi esprimono a gesti.

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sovrano doveva interpretare: una città era designata dal salto d’un pesce che sfuggivaal becco del cormorano3 per cadere in una rete, un’altra città da un uomo nudo cheattraversava il fuoco senza bruciarsi, una terza da un teschio che stringeva tra i dentiverdi di muffa una perla candida e rotonda. Il Gran Kan decifrava i segni, però il nessotra questi e i luoghi visitati rimaneva incerto; non sapeva mai se Marco volesse rappre-sentare un’avventura occorsagli in viaggio, una impresa del fondatore della città, la pro-fezia d’un astrologo, un rebus o una sciarada4 per indicare un nome. Ma, palese o oscuroche fosse, tutto quel che Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una voltavisti non si possono dimenticare né confondere. Nella mente del Kan l’impero si riflettevain un deserto di dati labili e intercambiabili come grani di sabbia da cui emergevanoper ogni città e provincia le figure evocate dai logogrifi5 del veneziano.

Col succedersi delle stagioni e delle ambascerie, Marco s’impratichì della lingua tar-tara e di molti idiomi di nazioni e dialetti di tribù. I suoi racconti erano adesso i piùprecisi e minuziosi che il Gran Kan potesse desiderare e non v’era quesito o curiositàcui non rispondessero. Eppure ogni notizia su di un luogo richiamava alla mente del-l’imperatore quel primo gesto o oggetto con cui il luogo era stato designato da Marco.Il nuovo dato riceveva un senso da quell’emblema e insieme aggiungeva all’emblemaun nuovo senso. Forse l’impero, pensò Kublai, non è altro che uno zodiaco di fantasmidella mente.

– Il giorno in cui conoscerò tutti gli emblemi, – chiese a Marco, – riuscirò a possedereil mio impero, finalmente?

E il veneziano: – Sire, non lo credere: quel giorno sarai tu stesso emblema tra gli em-blemi.

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3 cormorano: grosso uccello acquatico concorpo allungato, becco lungo e zampe pal-mate.

4 sciarada: gioco enigmistico consistentenell’indovinare una parola della quale sono in-dicate le parti in cui può essere scomposta.

5 logogrifi: giochi enigmistici consistenti nelloscomporre una parola per formarne altre chedevono essere indovinate.

Esercizi

� Caratterizza la posizione di Marco e quella di Kublai Kan nei confronti della realtà.

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

T1 Marco Polo

Il primo racconto del percorso tematico «Le città e i segni» èdedicato a Tamara, incontrata dopo un lungo cammino traalberi e pietre, simboli «muti e intercambiabili» di una naturavuota. Gli elementi naturali, che «sono soltanto ciò che sono», si contrappongono agli elementi delloscenario urbano. La città non è affollata da cose, ma da segni, e ogni segno rimanda ad altri segni, alladimensione simbolica del complesso ordinamento sociale. Tamara è il pieno della cultura che sicontrappone al vuoto della natura, anche se si tratta di un pieno misterioso, il cui fondo resta oscuro.

L’uomo1 cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si fermasu una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un’altra cosa: un’improntasulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il

• una città che è un «fitto involucro di segni»

T2 Le città e i segni. 1. Tamara

� PI

da I. Calvino, Le città invisibili,

Einaudi, Torino 1977.

1 L’uomo: ogni uomo. L’indefinito accentua il carattere simbolico e paradigmatico del racconto.

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

T2 Le città e i segni. 1. Tamara

fiore dell’ibisco la fine del’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pie-tre sono soltanto ciò che sono.2

Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte d’in-segne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significanoaltre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti,3 il boccale la taverna, le alabarde4 ilcorpo di guardia, la stadera5 l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano leoni delfinitorri stelle: segno che qualcosa – chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o torreo stella. Altri segnali avvertono di ciò che in un luogo è proibito – entrare nel vicolocon i carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la canna dal ponte – e di ciò che èlecito – abbeverare le zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei parenti. Dalla portadei templi si vedono le statue degli dei, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la cornu-copia,6 la clessidra,7 la medusa,8 per cui il fedele può riconoscerli e rivolgere loro le pre-ghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna insegna o figura, la sua stessa forma eil posto che occupa nell’ordine della città bastano a indicarne la funzione: la reggia, laprigione, la zecca, la scuola pitagorica,9 il bordello. Anche le mercanzie che i venditorimettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma come segni d’altre cose: labenda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la portantina dorata potere, i volumidi Averroè10 sapienza, il monile per la caviglia voluttà.11 Lo sguardo percorre le vie comepagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso,e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definiscese stessa e tutte le sue parti.

Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga onasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fi-no all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il ventodànno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, unelefante…

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2 alberi…sono: si avverte in queste parolel’eco di alcuni versi di «Taci, anima stanca digodere» di Camillo Sbarbaro (cfr. Parte Dodi-cesima, cap. XI, T6): «Invece camminiamo. /Camminiamo io e te come sonnambuli. / E glialberi son alberi, le case / sono case, le donne/ che passano son donne, e tutto è quello /che è, soltanto quel che è».3 cavadenti: dentista.4 alabarde: armi inastate, costituite da unapunta lanceolata nella parte superiore e nellaparte inferiore da una scure e da una o piùpunte.

5 stadera: bilancia con un solo piatto e unlungo braccio graduato lungo il quale scorreun peso costante, detto romano.6 cornucopia: vaso a forma di corno, coro-nato di fiori, simbolo dell’abbondanza e quindidella dea greca Era, in latino Giunone.7 clessidra: orologio costituito da due piccolirecipienti sovrapposti comunicanti tra loro tra-mite uno stretto passaggio attraverso cui scorresabbia o acqua. Simbolo del tempo e quindidel massimo dio greco, Zeus, in latino Giove.8 medusa: nella mitologia classica, una delleGorgoni, con i capelli di serpente, che pietrifi-

cava chiunque la guardasse.9 scuola pitagorica: la scuola del filosofoe matematico greco Pitagora, ma qui sempli-cemente scuola, di filosofia o matematica, inquanto nelle città greche non esistevano altrescuole al di fuori dei cenacoli sorti attorno afigure di maestri.10 Averroè: Ibn Rushd, filosofo di originearaba vissuto in Spagna tra il 1126 e il 1198,divulgatore del pensiero di Aristotele, da cuiderivò un rigoroso razionalismo e la negazionedell’immortalità dell’anima.11 voluttà: piacere sensuale.

Guida alla lettura

Il valore simbolico della città La valenza simbolicadi Tamara risulta fortissima dal contrasto tra il suo isola-mento geografico e la sua pienezza di segni e figure.Tamara è la città intesa come spazio semiotico, comepaesaggio umanizzato la cui identità si fonda sull’auto-riflessività e l’intercambiabilità dei segni. L’occhio del-l’uomo si sofferma su ogni dettaglio, scruta nel fitto disegni, dove ogni segno rimanda ad altri segni. Il mes-saggio che ne deriva è che, dietro i nomi, i simboli e lefigure, le cose sono perdute. Ma l’uomo è in grado diosservare e interpretare solo l’intrico simbolico. Egli,dunque, non può capire le cose. Si noti infatti che lungoil tragitto per giungere alla città, l’occhio del viaggiatore

si sofferma sulle cose solo se riconosce in esse il segnodi altre cose: «il resto è muto e intercambiabile».

La città è come un libro Questo tema, che ha origininella letteratura sacra medievale, fin dalla Bibbia, doveperò è la natura ad essere presentata come un libro,costituisce la punta più eclatante della costruzione iper-letteraria del racconto, dal momento che rende esplicitala presenza di un discorso allegorico sulla città come*topos letterario. Tamara è un modello urbano che alludea un’ideale città greca (per i riferimenti alla mitologia ealla scuola pitagorica), e a una città rinascimentale (perle scene mercantili e il riferimento ad Averroè). Descritta

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

T2 Le città e i segni. 1. Tamara

come nei libri, la città diventa leggibile come un libro,diventa equivalente della cultura, che dice tutto quelloche si può pensare. La città come topos letterario diventametafora, oltre che della cultura, anche della letteraturae della scrittura. Il «discorso», contrapposto al silenziodella natura, assorbe l’uomo circolarmente, tautologi-

camente e senza via d’uscita. Mentre crede di visitareTamara, in realtà il visitatore entra in contatto con i nomicon cui la città si autodefinisce. Ciò significa che non viè una realtà esterna alla dimensione autoriflessiva dellascrittura e della cultura: nulla è conoscibile al di fuoridel linguaggio.

Esercizi

La città come un libro

� Cataloga le figure e i segni che rendono la cittàleggibile come un libro.

� Quale immagine di città emerge? È caratterizzabilestoricamente?

� Il brano ha una struttura ad anello, cioè si apre e sichiude con la descrizione della natura: perché?

ANALIZZARE

Il linguaggio e la conoscenza

� Esiste una corrispondenza tra segni e cose?

� Quale valore allegorico racchiude la descrizione dellacittà? Quali elementi culturali sono ripresi e rielaboratida Calvino? Con quale intento?

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

La seconda tappa del percorso dei segni è Zirma, una città chea ben guardare poteva rientrare anche nel percorso dellamemoria. Zirma è infatti la città dei ricordi, nel senso che i viaggiatori tornano da essa con ricordi nitidi edistinti e tuttavia non sempre rispondenti alla realtà. L’effetto è quello della ripetizione e dellamoltiplicazione delle immagini: laddove un solo dirigibile si librava tra le guglie, Marco Polo ne ricordainnumerevoli, che volano in tutte le direzioni. La memoria a Zirma diventa ridondante.

Dalla città di Zirma i viaggiatori tornano con ricordi ben distinti: un negro cieco chegrida nella folla, un pazzo che si sporge dal cornicione d’un grattacielo, una ragazzache passeggia con un puma legato al guinzaglio. In realtà molti dei ciechi che battonoil bastone sui selciati di Zirma sono negri, in ogni grattacielo c’è qualcuno che impaz-zisce, tutti i pazzi passano le ore sui cornicioni, non c’è puma che non sia allevato perun capriccio di ragazza. La città è ridondante,1 si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsinella mente.

Torno anch’io da Zirma: il mio ricordo comprende dirigibili che volano in tutti isensi all’altezza delle finestre, vie di botteghe dove si disegnano tatuaggi sulla pelle aimarinai, treni sotterranei stipati di donne obese in preda all’afa. I compagni che eranocon me nel viaggio invece giurano d’aver visto un solo dirigibile librarsi tra le gugliedella città, un solo tatuatore disporre sul suo panchetto aghi e inchiostri e disegni tra-forati,2 una sola donna-cannone3 farsi vento4 sulla piattaforma d’un vagone. La memo-ria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere.

• la città della memoria ridondante

T3 Le città e i segni. 2. Zirma

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1 La città è ridondante: la città è sovrab-bondante di cose simili o identiche.

2 disegni traforati: i disegni preparatori peri tatuaggi.

3 donna-cannone: donna molto grassa.4 farsi vento: sventolarsi.

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

T3 Le città e i segni. 2. Zirma

Guida alla lettura

Zirma è la città della ripetizione Le note distintive diZirma sono poche ma *icasticamente forti, anche a causadell’effetto di ripetizione su cui è giocato il passo. Sui rife-rimenti all’architettura, limitati ai grattacieli e al treno sot-terraneo, che fanno pensare a una metropoli moderna,prevalgono le immagini che si riferiscono alla dimensionesociale della città: ciechi di colore che gridano nella folla,pazzi che si sporgono dai grattacieli, donne obese in predaall’afa, marinai che si fanno tatuare e ragazze capriccioseche passeggiano con i puma al guinzaglio. Se ne ricaval’immagine di una città caotica e degradata, che abbondadi immagini violente. Anche qui, come altrove, le immaginiurbane sono costruite su riferimenti letterari (ad esempio,quella ragazza che passeggia con un puma è probabil-mente ripresa da un mottetto di Eugenio Montale), le cui

fonti non sono e non devono essere riconoscibili. La loroevocazione deve fornire al racconto una patina di familiare,di già noto. Si tratta, come vedremo meglio più avanti,della tecnica stilistica dell’intertestualità.

La ripetizione è portatrice di ordine Vi è una perfettasimmetria stilistica tra la prima e la seconda parte delbrano, nettamente diviso in due metà che cominciano efiniscono in modo analogo, quasi a rafforzare il temadella ripetizione. Il senso delle due frasi che concludonorispettivamente la prima e la seconda parte («la città èridondante», «la memoria è ridondante») è convergente:la città si ripete per restare impressa nella mente perchésolo ciò che si sedimenta nella memoria comincia vera-mente a esistere.

Esercizi

Ripetizione e ordine

� A quale immagine di città fanno pensare i riferimentiarchitettonici?

� Sottolinea simmetrie e inversioni nella struttura deltesto.

ANALIZZARE

«La memoria e ridondante»

� Perché le immagini della città nella memoria dei variviaggiatori sono diverse?

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

Al contrario di Tamara, la città isolata quanto sovraffollata disegni e simboli di vita, Zoe, la terza città del percorsotematico dei segni, è povera, priva di connotazioni e poco umanizzata: è il regno dell’«esistenzaindivisibile». Il confine tra l’interno e l’esterno, tra la città e la natura appare debole, tanto che ilvisitatore non riesce a distinguere, nel tracciato urbano, l’organizzazione delle zone e le funzioni degliedifici. La mancanza di una marcata dimensione simbolica, capace di separare la natura dallacultura, confonde le coordinate mentali del visitatore, in un effetto di totale spaesamento.

L’uomo che viaggia e non conosce ancora la città che lo aspetta lungo la strada, si domandacome sarà la reggia, la caserma, il mulino, il teatro, il bazar. In ogni città dell’impero ogniedificio è differente e disposto in un diverso ordine: ma appena il forestiero arriva alla cittàsconosciuta e getta lo sguardo in mezzo a quella pigna di pagode1 e abbaini e fienili, se-guendo il ghirigoro2 di canali orti immondezzai, subito distingue quali sono i palazzi deiprincipi, quali i templi dei grandi sacerdoti, la locanda, la prigione, la suburra. Così – dicequalcuno – si conferma l’ipotesi che ogni uomo porta nella mente una città fatta soltantodi differenze, una città senza figure e senza forme, e le città particolari la riempiono.3

• la città dell’«esistenza indivisibile»

T4 Le città e i segni. 3. Zoe

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1 pigna di pagode: tetti a falde spioventi ea linee curve si affastellano nello spazio assu-mendo la forma di una pigna. Si noti in questopasso l’uso irregolare della punteggiatura.

2 ghirigoro: intreccio bizzarro di linee e dicurve.3 Così…riempiono: è qui espresso un con-cetto importante per la comprensione generale

del romanzo. La città è una categoria generaleastratta che preesiste alla percezione delle cittàparticolari.

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Non è così a Zoe. In ogni luogo di questa città si potrebbe volta a volta dormire, fab-bricare arnesi, cucinare, accumulare monete d’oro, svestirsi, regnare, vendere, inter-rogare oracoli. Qualsiasi tetto a piramide potrebbe coprire tanto il lazzaretto dei leb-brosi quanto le terme delle odalische.4 Il viaggiatore gira gira e non ha che dubbi: nonriuscendo a distinguere i punti della città, anche i punti che egli tiene distinti nellamente gli si mescolano. Ne inferisce questo: se l’esistenza in tutti i suoi momenti è tuttase stessa, la città di Zoe è il luogo dell’esistenza indivisibile. Ma perché allora la città?Quale linea separa il dentro dal fuori, il rombo delle ruote dall’ululo dei lupi?5

4 odalische: nei paesi musulmani, le schiaveaddette al servizio privato delle signore (dal tur-co odalig = “cameriera”). Il termine viene tra-dizionalmente – se pur impropriamente – usatodagli scrittori europei per indicare le schiave

concubine dei sultani o dei pascià dell’Imperoottomano, relegate negli harem.5 il rombo…dei lupi: la frase conclusiva delpasso, dotata di notevole forza espressiva, sistacca dal resto del discorso come un aforisma.

Il rombo delle ruote si riferisce a una ipoteticacittà moderna e non a una città antica come ap-pare invece Zoe. L’ululato dei lupi contrasta conla maggior parte delle descrizioni naturalistichedel romanzo, nelle quali la natura è muta.

T4 Le città e i segni. 3. Zoe

Guida alla lettura

Zoe, la città della negazione Zoe è la non città, lacittà incompleta e indifferenziata che con il suo esempionegativo conferma la necessità e l’importanza della di-mensione segnica per l’uomo. Se la città è l’equivalentedelle funzioni sociali che attribuiamo ad essa, alle cittàpreesiste un concetto universale, composto da luoghicomuni percettivi fondati sulla differenza e la distinzionetra le polarità antitetiche del bene e del male, del bello edel brutto, del ricco e del povero, ecc. La città mentaleè un concetto vuoto, determinato dalla struttura senzafigure e senza forme che abbiamo nella mente. Accor-diamo le immagini delle città particolari alla categoriamentale che ad esse preesiste.

La città mentale non è la città ideale Non si deveconfondere la categoria che sta dentro il segno lingui-stico della città, essendo ogni parola accompagnata dapreconcetti, con la categoria utopica di città ideale, cheè invece una costruzione intellettuale. Da questo puntodi vista, la descrizione di Zoe potrebbe far sospettare lapresenza di un implicito riferimento polemico contro leconcezioni politiche che postulano consorzi umani senzadifferenze, come le comunità ideali del socialismo uto-pistico francese che Calvino conosceva bene per averstudiato approfonditamente e a lungo l’opera di CharlesFourier, l’inventore dei falansteri.

Esercizi

Zoe, la “non città”

� Perché Zoe viene definita «il luogo dell’esistenzaindivisibile»?

� Perché il viaggiatore ne è disorientato?

ANALIZZARE

Il dentro e il fuori

� Spiega la frase conclusiva del testo. Che cosa èl’ordine e cosa è il disordine?

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

La quarta città del percorso dei segni è la misteriosa Ipazia,una piccola babele non delle lingue ma delle cose. Ipazia è lacittà del sovvertimento del senso: le cose non stanno più alposto giusto, le funzioni sono ribaltate, il mondo è alla rovescia. Il protagonista cerca avvenenti fanciullein un giardino di magnolie e con delusione vi scopre invece granchi che mordono cadaveri. Nel palazzoreale ci sono i forzati, nella biblioteca c’è un parco giochi per bambini. L’ordine sociale e la «lingua dellecose» che ne deriva seguono una sintassi incomprensibile. La lingua di Ipazia si può imparare, masenza crederci troppo perché «non c’è linguaggio senza inganno».

• la città imprevedibile del disordinedelle cose

T5 Le città e i segni. 4. Ipazia

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

T5 Le città e i segni. 4. Ipazia

Di tutti i cambiamenti di lingua che deve affrontare il viaggiatore in terre lontane, nes-suno uguaglia quello che lo attende nella città di Ipazia, perché non riguarda le parolema le cose. Entrai a Ipazia un mattino, un giardino di magnolie si specchiava su lagune1

azzurre, io andavo tra le siepi sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: main fondo all’acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata alcollo e i capelli verdi d’alghe.

Mi sentii defraudato2 e volli chiedere giustizia al sultano. Salii le scale di porfido3

del palazzo dalle cupole più alte, attraversai sei cortili di maiolica con zampilli. La salanel mezzo era sbarrata da inferriate: i forzati con nere catene al piede issavano roccedi basalto4 da una cava che s’apre sottoterra.

Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca, mi persi trascaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena; seguii l’ordine alfabetico d’al-fabeti scomparsi, su e giù per corridoi, scalette e ponti. Nel più remoto gabinetto5 deipapiri, in una nuvola di fumo, mi apparvero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdra-iato su una stuoia, che non staccava le labbra da una pipa d’oppio.

– Dov’è il sapiente? – Il fumatore indicò fuori della finestra. Era un giardino congiochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva sul prato. Disse: – I segniformano una lingua, ma non quella che credi di conoscere –. Capii che dovevo liberar-mi dalle immagini che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allorasarei riuscito a intendere il linguaggio di Ipazia.

Ora basta che senta nitrire i cavalli e schioccare le fruste e già mi prende una trepi-dazione amorosa: a Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belledonne che montano in sella con le cosce nude e i gambali sui polpacci, e appena s’av-vicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo premonocon i saldi capezzoli.

E quando il mio animo non chiede altro alimento e stimolo che la musica, so cheva cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa all’altra sirispondono trilli di flauti, accordi d’arpe.

Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So chenon dovrò scendere al porto ma salire sul pinnacolo6 più alto della rocca ed aspettareche una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.

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1 lagune: specchi d’acqua litoranei, comu-nicanti con il mare.2 defraudato: ingannato.

3 porfido: roccia di origine vulcanica com-posta da quarzo e altri componenti.4 basalto: durissima roccia nerastra.

5 gabinetto: qui stanza riservata della biblio-teca.6 pinnacolo: guglia.

Guida alla lettura

L’utopia del mondo rovesciato Si tratta di un temaiperletterario che si collega da un lato all’erotismo e allaliberazione degli istinti bassi, e dall’altro alle trasgressionicontro il potere. Nel passo, infatti, alla desublimazione ero-tica contenuta in alcune immagini, come quella dei granchiche mordono gli occhi delle suicide, corrisponde l’imma-gine a tinte forti e a incisiva caratura erotica delle impe-tuose donne delle scuderie. Il palazzo reale è occupatodai forzati, e la biblioteca, luogo del potere culturale, è abi-tata da fanciulli dediti liberamente all’oppio. Anche le co-ordinate spaziali dei confini che separano Ipazia dall’oltregeografico sono sovvertite. Chi vuole partire, infatti, nondeve scendere verso il porto, ma deve salire verso la roccae aspettare il passaggio di una fantomatica nave volante.L’attribuzione della valenza trasgressiva alla città derivaforse in parte anche dalle suggestioni evocate dal per-sonaggio di Ipazia, una filosofessa, matematica e astro-

noma che visse ad Alessandria d’Egitto tra il 370 e il415. Celebre per la bellezza, oltre che per la sapienza,morì lapidata da un gruppo di cristiani fanatici. La figuradi Ipazia ha goduto di una certa popolarità nella lettera-tura del Novecento, come attesta anche l’opera teatraleomonima del poeta Mario Luzi.

La figura del filosofo Il filosofo ha un ruolo-chiave nel rac-conto sia per la frase che pronuncia, sia perché è l’unicopersonaggio che corrisponde, proprio grazie al significatodella frase, al ruolo che gli viene attribuito: quello del sapiente.Pur seduto all’esterno della biblioteca, in un prato in cui cam-peggiano birilli, trottole e altalene, il filosofo comunica unaverità conoscitiva che fornisce al viaggiatore la chiave percapire il senso del mondo rovesciato. Il senso è che per in-tendere un nuovo linguaggio bisogna liberarsi dalle prece-denti consuetudini mentali e imparare a ripartire da zero.

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T5 Le città e i segni. 4. Ipazia

Esercizi

La chiave nella sapienza

� Chi era Ipazia?

� Che ruolo ha il filosofo?

Il mondo rovesciato

� Quali elementi sono segni del rovesciamento?

ANALIZZARE

Una babele delle cose

� Perché «non c’è linguaggio senza inganno»?Confronta su questo tema T1.

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

La quinta ed ultima tappa del percorso dei segni è Olivia, lacittà delle ipotesi e delle menzogne. «Non si deve maiconfondere la città col discorso che la descrive» dice MarcoPolo al Gran Kan, sapendo di mentire. Nella cornice del terzo capitolo, infatti, l’imperatore avevaprovato a descrivere città immaginarie come se esistessero e aveva convenuto, con Marco Polo, checiò è possibile a patto che il discorso su esse risulti coerente. Nel passo che segue Marco Polo giungealla conclusione che su Olivia si possono solo fare ipotesi, perché la menzogna «non è nel discorso, ènelle cose».

Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere la città col di-scorso che la descrive. Eppure tra l’uno e l’altro c’è un rapporto. Se ti descrivo Olivia, cit-tà ricca di prodotti e guadagni, per significare1 la sua prosperità non ho altro mezzo cheparlare di palazzi di filigrana2 con cuscini frangiati3 ai davanzali delle bifore; oltre la gratad’un patio4 una girandola di zampilli innaffia un prato dove un pavone bianco fa laruota.5 Ma da questo discorso tu subito comprendi come Olivia è avvolta in una nuvoladi fuliggine e d’unto che s’attacca alle pareti delle case; che nella ressa6 delle vie i rimor-chi in manovra schiacciano i pedoni contro i muri. Se devo dirti dell’operosità degli abi-tanti, parlo delle botteghe dei sellai odorose di cuoio, delle donne che cicalano7 intrec-ciando tappeti di rafia,8 dei canali pensili le cui cascate muovono le pale dei mulini: mal’immagine che queste parole evocano nella tua coscienza illuminata è il gesto che ac-compagna il mandrino contro i denti della fresa9 ripetuto da migliaia di mani per migliaiadi volte al tempo fissato per i turni di squadra. Se devo spiegarti come lo spirito di Oliviatenda a una via libera e a una civiltà sopraffina, ti parlerò di dame che navigano cantandola notte su canoe illuminate tra le rive d’un verde estuario; ma è soltanto per ricordartiche nei sobborghi dove sbarcano ogni sera uomini e donne come file di sonnambuli, c’èsempre chi nel buio scoppia a ridere, dà la stura10 agli scherzi ed ai sarcasmi.

Questo forse non sai: che per dire d’Olivia non potrei tenere altro discorso. Se cifosse un’Olivia davvero di bifore e pavoni, di sellai e tessitori di tappeti e canoe e estua-ri, sarebbe un misero buco nero di mosche, e per descrivertelo dovrei fare ricorso allemetafore della fuliggine, dello stridere di ruote, dei gesti ripetuti, dei sarcasmi. La men-zogna non è nel discorso, è nelle cose.

• la città del divorzio tra le parole e le cose

T6 Le città e i segni. 5. Olivia

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1 per significare: per esprimere.2 palazzi di filigrana: palazzi eleganti, fine-mente decorati con arabeschi e merlettature.3 frangiati: con frange.4 patio: cortile in stile spagnolo, delimitatoda portici.5 una girandola…ruota: una girandola di

zampilli innaffia un prato su cui un pavone bian-co gonfia la ruota. L’immagine è fortementesimbolica: pochi elementi e una descrizionenon naturalistica del prato evocano la scissionetra interno ed esterno.6 ressa: calca.7 cicalano: chiacchierano.

8 rafia: fibra tessile ricavata dalla pianta omo-nima, di origine africana.9 mandrino…fresa: albero principale dellamacchina utensile che trasmette il moto rotatorioalla fresatrice, sulla quale è adagiata la fresa,un utensile rotante dotato di lame taglienti.10 la stura: il via.

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

T6 Le città e i segni. 5. Olivia

Esercizi

� Perché su Olivia è possibile solo fare ipotesi?

� Quali elementi risaltano nella descrizione della città?Qual è la loro funzione?

ANALIZZARE

� Olivia è un luogo dove sarebbe possibile vivere?

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

Analisi del testo

Olivia e i segni Con Olivia si conclude il percorso dei se-gni, ma è una conclusione paradossale. Al termine dell’iti-nerario si scopre infatti che non c’è una meta d’arrivo. Il rap-porto che intercorre tra le città e i segni non è spiegato entroil percorso: il senso è suggerito in modo problematico a ognilivello del romanzo, in un discorso che si intreccia senza so-luzione di continuità con quello degli altri percorsi.

Olivia come figura di pensiero La città si presenta co-me figura di pensiero più che come figura della realtà. An-che se si dovrebbe distinguere la città dal discorso che ladescrive, è difficile riuscire a cogliere l’oggettività di Olivia.Olivia è l’immagine dell’impossibile totalità del “discorso”,della sua mancata corrispondenza con le cose. Essa rap-presenta la parzialità di ogni enunciato di significazione.Il senso, che si esprime nel segno, tende sempre ad altroda sé. Ogni discorso, in quanto somma di segni, promuove

altri discorsi, genera processi di significazione e comuni-cazione in cui le cose sono sempre più nascoste e lontane.Da questo punto di vista il cerchio si chiude: Olivia è comeTamara, la prima città del percorso.

Olivia, città della doppiezza In Olivia ogni cosa richiamail suo contrario. Se il narratore ne descrive la ricchezza, ri-ferendosi ai sontuosi palazzi e agli eleganti giardini, l’ascol-tatore coglierà il lato omesso della descrizione: immagineràlo sporco e il chiasso delle zone commerciali. Se il narratorene menziona la civiltà raffinata o l’operosità dei cittadini,l’altro penserà alla lascivia dei bassifondi e alle macchineindustriali che scandiscono ritmi ripetitivi. Tale duplicità de-riva dalla natura dialettica dell’argomentazione. Il “discorso”,infatti, è intimamente autocontraddittorio, essendo da unaparte dominato dalla tensione verso le cose e dall’altra dalladialettica che muove e alimenta il pensiero in se stesso.

Interpretazione del testo

Il messaggio politico È possibile, riconoscere un mes-saggio politico che spinge a demistificare ogni rappre-sentazione idillica della bellezza e della ricchezza, percoglierne il lato nascosto dalla storia, oscuro e degradato.Emblematico in questo senso è il periodo conclusivo delbrano, in cui Marco Polo afferma che se ci fosse davverouna Olivia fatta di «bifore e pavoni, di sellai e tessitori ditappeti e canoe e estuari», una Olivia fatta insomma deisimboli di un passato fiabesco, essa sarebbe oggi soloun «misero buco nero di mosche», un luogo che non èpiù possibile in alcun modo idealizzare. La polemica sullarealtà metropolitana industriale, pur lasciata sullo sfondo,è costante nel romanzo. A proposito delle *metafore edei parallelismi che richiamano la modernità industriale,si è parlato per Calvino addirittura di nichilismo.

La denuncia dell’inferno della storia e il nichilismofilosofico Il nichilismo si rivela nella riflessione sul linguag-gio e sui processi della significazione. In effetti, la separa-zione tra il “discorso” e le cose esclude la possibilità di unafondazione *ontologica o storica del segno. Per Calvino, ilsegno poggia le sue radici sul nulla. Anche sul piano politicoè visibile un pessimismo cupo: la proiezione utopica versouna città ideale è costantemente contraddetta dalla per-cezione dell’impossibilità dell’utopia. La critica resta perCalvino necessaria; ma, dopo il tramonto della stagionedell’impegno politico, si è indebolita la convinzione cheessa possa fare presa sulla realtà. Tuttavia Le città invisibilisi conclude affermando la necessità di individuare e di di-fendere «chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno».Ma la speranza di mantenere alta la dimensione morale

contro il degrado del presente entra indubbiamente in con-traddizione con il dominante nichilismo filosofico.

L’attualizzazione e la valorizzazione L’ultima tappadella narrazione di Marco Polo è senz’altro una delle piùinquietanti e attuali. Viene infatti, come in molti altri momentidel libro, messa in risalto la non coincidenza tra parole ecose, tema caro alla tradizione del moderno e avvertitocon particolare forza proprio nella civiltà delle immagini,degli spot e della spettacolarizzazione di tutto. Ma Calvinonon si limita a denunciare il fatto che le parole contengonouna menzogna, non potendo comunque coincidere conle cose che descrivono. È invece la stessa realtà umanaa risultare contraddittoria e bifronte: e dove c’è splendoree ricchezza, lì c’è anche squallore e miseria; e le due faccesono così intrecciate che l’interprete avvertito non ha nep-pure bisogno di ascoltare la descrizione dell’orrore, perchéegli sa benissimo che essa si ricava già da quella dellosplendore, nella quale è insita indissolubilmente. Al di làdi una fruizione troppo giocosamente semiotica cui vienesolitamente sottoposta, appartiene all’opera di Calvino an-che una dura lezione circa questo nesso di splendore eorrore, in nome del quale la menzogna, come conclude ilbrano, non è nel discorso (o non è solo nel discorso) maè nelle cose. Non sono soltanto le parole che parlano delmondo a contenere un inganno; ma è il mondo stesso apresentarsi ai nostri occhi con volto ingannevole. Comenon riferire questo duro nucleo di riflessione al rapportoesistente, nel nostro mondo, tra la ricchezza luccicantedelle vetrine europee e la condizione miserevole di dueterzi dell’umanità nei grandi continenti della fame?

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Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese il nuovo LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE - EDIZIONE ROSSA [G. B. PALUMBO EDITORE]

La descrizione di Berenice è l’ultima del percorso tematico“Le città nascoste”, e anche l’ultima del libro: subito dopoCalvino colloca il colloquio finale tra Marco Polo e il Gran Kan(cfr. T8, La conclusione delle Città invisibili).In un vertiginoso gioco di scatole cinesi, città giuste e ingiuste si incastrano una nell’altra; la giustiziagermoglia all’interno della ingiustizia, ma portando in sé il seme di altre ingiustizie; il futuro, chesembra aprire prospettive di cambiamento e di speranza, si volge verso il passato. E questosuccedersi di giusto e ingiusto non si dispone lungo una consolante sequenza temporale di prima epoi, oggi e domani, ma si aggroviglia nella terribile condanna della simultaneità, della compresenza“indistricabile”. Acquistano significato, proprio alla luce di Berenice, le parole di Marco Polosull’«inferno dei viventi» che chiudono il libro (cfr. T8).

Anziché dirti di Berenice, città ingiusta, che incorona con triglifi abachi metope1 gli in-granaggi dei suoi macchinari tritacarne (gli addetti al servizio di lucidatura quandoalzano il mento sopra le balaustre e contemplano gli atri, le scalee, i pronai2 si sentonoancora più prigionieri e bassi di statura), dovrei parlarti della Berenice nascosta, la cittàdei giusti, armeggianti con materiali di fortuna nell’ombra di retrobotteghe e sottoscale,allacciando una rete di fili e tubi e carrucole e stantuffi e contrappesi che s’infiltra comeuna pianta rampicante tra le grandi ruote dentate (quando queste s’incepperanno, unticchettio sommesso avvertirà che un nuovo esatto meccanismo governa la città); anzichérappresentarti le vasche profumate delle terme sdraiati sul cui bordo gli ingiusti di Be-renice intessono con rotonda eloquenza i loro intrighi e osservano con occhio proprie-tario le rotonde carni delle odalische3 che si bagnano, dovrei dirti di come i giusti,sempre guardinghi per sottrarsi alle spiate dei sicofanti4 e alle retate dei giannizzeri,5

si riconoscano dal modo di parlare, specialmente dalla pronuncia delle virgole e delleparentesi;6 dai costumi che serbano austeri e innocenti eludendo gli stati d’animo com-plicati e ombrosi; dalla cucina sobria ma saporita, che rievoca un’antica età dell’oro:minestrone di riso e sedano, fave bollite, fiori di zucchino fritti.

Da questi dati è possibile dedurre un’immagine della Berenice futura, che ti avvi-cinerà alla conoscenza del vero più d’ogni notizia sulla città quale oggi si mostra.Sempre che tu tenga conto di ciò che sto per dirti: nel seme della città dei giusti stanascosta a sua volta una semenza maligna; la certezza e l’orgoglio d’essere nel giusto– e d’esserlo più di tanti altri che si dicono giusti più del giusto – fermentano in rancoririvalità ripicchi,7 e il naturale desiderio di rivalsa sugli ingiusti si tinge della smaniad’essere al loro posto a far lo stesso di loro. Un’altra città ingiusta, pur sempre diversadalla prima, sta dunque scavando il suo spazio dentro il doppio involucro delle Bereniciingiusta e giusta.

Detto questo, se non voglio che il tuo sguardo colga un’immagine deformata, devoattrarre la tua attenzione su una qualità intrinseca di questa città ingiusta che germogliain segreto nella segreta città giusta: ed è il possibile risveglio – come un concitato8

aprirsi di finestre – d’un latente amore per il giusto, non ancora sottoposto a regole,

• la «città ingiusta che germoglia in segreto nella segreta città giusta»

T7 Le città nascoste. 5. Berenice

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1 triglifi abachi metope: sono elementi or-namentali del fregio di un tempio; i triglifi sonocostituiti da riquadri di terracotta o di pietracon due scanalature verticali che si alternanoa intervalli regolari con le metope, lastre di ter-racotta, di pietra o marmo, dipinte o scolpite;l’abaco è l’elemento di raccordo fra il capitellodi una colonna e l’architrave sovrastante.2 pronai: il pronao in un tempio antico è lospazio compreso tra la cella e il colonnato an-tistante.

3 osservano…odalische: osservano con l’oc-chio di un padrone che considera una sua pro-prietà i corpi splendidi e flessuosi delle odalische.Le odalische sono schiave, concubine di sultani,pascià e alti funzionari dell’impero turco.4 sicofanti: delatori, spie. È una parola greca.5 giannizzeri: i giannizzeri propriamente sonoi soldati di un corpo speciale di fanteria del-l’impero turco.6 specialmente dalla pronuncia dellevirgole e delle parentesi: ovviamente non

è possibile percepire la pronuncia di una virgolao di una parentesi; Calvino intende dire che igiusti si riconoscono nel loro modo di parlare– che poi è il loro modo di pensare – da dettaglianche minimi, come una virgola o una parentesiappunto, ma che però possiedono una grandecapacità razionalizzatrice, sono cioè in gradodi dare maggiore ordine e chiarezza a un di-scorso.7 ripicchi: ripicche.8 concitato: affrettato, incalzante.

da I. Calvino, Le città invisibili,

Einaudi, Torino 1972.

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capace di ricomporre una città più giusta ancora di quanto non fosse prima di diventarerecipiente dell’ingiustizia. Ma se si scruta ancora nell’interno di questo nuovo germedel giusto vi si scopre una macchiolina che si dilata come la crescente inclinazione aimporre ciò che è giusto attraverso ciò che è ingiusto, e forse è il germe d’un’immensametropoli…

Dal mio discorso avrai tratto la conclusione che la vera Berenice è una successionenel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. Ma la cosa di cui volevoavvertirti è un’altra: che tutte le Berenici future sono già presenti in questo istante,avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili.

Anche se è possibile costruire la città perfetta («Forse – dicePolo al Kan – mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro iconfini del tuo impero»), tuttavia è la città infernale che oggi «cirisucchia». È facile arrendersi all’inferno, ma malgrado tutte ledisillusioni e la lucida consapevolezza che il labirinto ha trionfato, non è questa la via che Polo-Calvinoindica. Il suo ultimo lascito all’interlocutore di carta, il Kan, e ai molti interlocutori reali che sono i lettori èancora una volta una ardua sfida: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non èinferno, e farlo durare, e dargli spazio».

L’atlante del Gran Kan contiene anche le carte delle terre promesse visitate nel pensieroma non ancora scoperte o fondate: la Nuova Atlantide, Utopia, la Città del Sole, Oceana,Tamoe, Armonia, New-Lanark, Icaria.

Chiese a Marco Kublai: – Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi versoquale di questi futuri ci spingono i venti propizi.

– Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’ap-prodo. Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incon-gruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nelviavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta,fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti sesparati da intervalli, di segnali cheuno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è di-scontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere chesi possa smettere di cercarla. Forse, mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro iconfini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t’ho detto.

Già il Gran Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte delle città che minaccianonegli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave New World.1

Dice: – Tutto è inutile se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, edè là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.

E Polo: – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello cheè già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modici sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarneparte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e ap-prendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, nonè inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

• arrendersi all’inferno o «cercare esaper riconoscere chi e cosa, inmezzo all’inferno non è inferno»?

T8 La conclusione delle Città invisibili

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1 Brave New World: Nel testo ven-gono citate tredici città: le prime otto(Nuova Atlantide, Utopia, la Città del

Sole, Oceana, Tamoe, Armonia, New-Lanark, Icaria) sono «terre promesse»,le altre cinque (Enoch, Babilonia, Ya-

hoo, Butua, Brave New World) «mi-nacciano negli incubi e nelle maledi-zioni».

T7 Le città e i segni. 6. Berenice

da I. Calvino, Le città invisibili,

Einaudi, Torino 1972.

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La poetica dell’ultimo Calvino: il Postmoderno, l’intertestualità e la metatestualità

L’abbandonodell’impegno

e il rifugio nellospecialismo

Sperimentalismo eprogetto morale

in Calvino

Il Postmoderno e Calvino

L’intertestualità nelle Città invisibili

La metatestualità

Con Le città invisibili la poetica di Calvino diventa da un lato più esplicita e consapevolee dall’altro più pessimistica. Gli anni Sessanta sono un periodo cruciale: si assiste con-temporaneamente a una grande trasformazione economica e a una rivoluzione del co-stume e della politica. Dopo la fine del decennio, cominciano ad entrare in crisi i mo-delli culturali totalizzanti, le ideologie forti, le motivazioni circa il ruolo e le funzionidegli intellettuali. Calvino abbandona gradualmente la dimensione militante del lavo-ro intellettuale e si ritira nello specialismo. Lo scrittore si isola in un laboratorio, chefunge da osservatorio privilegiato ma anche da luogo protetto contro il caos del pre-sente. Proprio perché legato a una formazione fondata sui valori etici e civili, Calvinorisponde alla crisi con un progetto che, seppure segnato da un ripiegamento entro ilterritorio della letterarietà, resta però fondato sulla responsabilità etica e filosofica del-lo scrittore nei confronti dei lettori.

La crisi dei valori intellettuali non era destinata a risolversi in breve tempo. All’in-circa a partire dagli anni Settanta si verificano grandi cambiamenti nell’economia mon-diale e nella cultura. Comincia il periodo storico che viene denominato Postmoderno.In campo letterario, il Postmoderno porta alla caduta dei valori estetici alti, alla com-mistione dei generi, al *pastiche stilistico, alla concezione relativistica del linguaggio in-teso come «discorso» separato dalle cose, all’idea della letteratura come gioco ironicoe *parodico. I punti di contatto tra l’ultima produzione dello scrittore e la nuova tem-perie culturale sono evidenti. La poetica che Calvino delinea nelle Lezioni americane(1988), l’ultima opera rimasta incompiuta, riflette la situazione storico-culturale nuo-va. La leggerezza, la levità, il gioco intellettuale autoriflessivo, le stratificazioni *allego-riche del senso, l’ironia, sono tutti aspetti postmoderni. Un altro aspetto postmodernoben visibile in Calvino è l’*intertestualità.

Nelle Città invisibili, l’intertestualità è praticata in due forme distinte ma comple-mentari: l’una esplicita, l’altra implicita. La prima riguarda i rifacimenti dichiarati delleopere del passato (il testo rivisitato, come si è visto, è Il Milione di Marco Polo). La se-conda consiste nel richiamo indiretto e allusivo di citazioni nascoste. Celate nel tessutotestuale, queste contribuiscono a creare una sensazione di déjà-vu, che toglie innocenzaalla letteratura e ne mette in rilievo l’artificialità.

L’intertestualità implica una consapevolezza teorica che rende la scrittura autori-flessiva e metatestuale. Fondata sull’esaltazione del carattere artificiale della letteratu-ra, la metatestualità consiste in un gioco ironico che mette a nudo i meccanismi retoricie strutturali del racconto. Perduta per sempre la prospettiva “ingenua” della rappre-

PRIMO PIANOB • La scrittura e l’interpretazione

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La permanenzadi un progettoilluministico

L’intertestualità nel Castello dei

destini incrociati e in Se una notte

d’inverno unviaggiatore

sentazione della realtà, la scrittura letteraria si coniuga scopertamente con la retorica,assume la dimensione della finzione e dunque del gioco. Nel modo di trattare la me-tatestualità, Calvino rivela una tensione intellettuale che è ancora molto moderna, per-ché si inquadra in un progetto “illuministico-razionalistico” di educazione del lettore.Questo aspetto moderno rappresenta indubbiamente una forma di resistenza ai cedi-menti in senso ludico e/o scettico del postmodernismo.

Anche gli altri due romanzi del periodo postmoderno, e cioè Il castello dei destini in-crociati (1969) e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), sono *intertestuali. Nel pri-mo la rilettura del passato ha come tema centrale Ariosto, un autore fondamentale perCalvino. Nel secondo, i cliché sono infiniti: ogni capitolo del libro, corrispondente al-l’incipit di un racconto che poi non si conclude, è costruito sul modello di altri testi.

Il genere letterario

Un romanzo ibridoa sfondo allegorico

Le opere“plurigeneriche”e il Postmoderno

Per la forte impostazione anti-narrativa, che tende allo stile ragionativo e alla rarefazio-ne poetica, il romanzo non si lascia facilmente identificare con un genere letterario.Le città invisibili è un romanzo ibrido, a metà strada tra l’*apologo, l’*aforisma morale,il *poemetto in prosa e il racconto filosofico (conte philosophique). Lo stile aforistico, incui il ragionamento asistematico procede per immagini frammentarie, è funzionale al-la resa dei significati simbolici legati agli emblemi e alle *allegorie. Per questa ragione,in effetti, si potrebbe aggiungere anche la definizione di romanzo allegorico.

Nel Postmoderno i generi letterari sono sottoposti a una radicale revisione. Al postodelle forme tradizionali, si rintracciano forme ibride basate sulla mescolanza dei vecchi*generi. Anche Il castello dei destini incrociati e, soprattutto, Se una notte d’inverno un viag-giatore sono opere “plurigeneriche”, fondate cioè sulla mescolanza di svariati paradigmidi genere che vengono intenzionalmente snaturati. Questo aspetto, che accomuna tut-te le opere dell’ultimo Calvino, fornisce una prova ulteriore dell’adesione dello scrit-tore al clima culturale del Postmoderno.

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Il tempo e lo spazio

Lo spazio Il vastissimo spazio geografico dell’impero del Gran Kan, percorso in lungo e in largoda Marco Polo, «si comprime» in tre punti. Il primo è quello in cui l’imperatore dichia-ra: «È tempo che il mio impero, già troppo cresciuto verso il fuori, cominci a cresceredal di dentro». Il secondo è quello in cui Marco Polo afferma che in tutte le descrizionidi città egli raffigura in realtà l’unica città di cui non parla mai, cioè Venezia. Il terzo èil momento decisivo in cui l’imperatore invita Marco Polo a descrivere le città visitateattraverso gli scacchi, e successivamente decide che il suo ambasciatore, invece di viag-

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Dallo spazio esterno a quello interno

Uno spazio astratto

Un tempo contratto e rarefatto

Un romanzo a-storico?

Il tema del sapere e del potere

e la presenza dellastoria nel romanzo

giare, potrà giocare, simulando una corrispondenza tra lo spazio della scacchiera equello dell’impero.

A partire all’incirca dalla metà del romanzo, lo spazio geografico dell’impero, unadimensione esterna ma pur sempre indirettamente presente nel racconto, subisce unacontrazione e diventa spazio interiore della mente e della memoria. La scacchiera è ilsimbolo di un mondo vuoto, ignoto, che le trame del gioco e le disposizioni delle pe-dine, nei movimenti di attacco e difesa, delineano e riempiono. Essa è come la mappadi uno spazio concentrato e astratto che prima e dopo il gioco tende al nulla.

Come lo spazio, anche il tempo è contratto e rarefatto. Quello degli spostamenti diMarco Polo, ad esempio, non compare mai in scena. L’alto tasso di concentrazione sim-bolica del racconto toglie respiro al tempo narrativo, che appare irrigidito, ancheespressivamente, nella frammentazione della scrittura.

In questa contrazione del tempo e dello spazio è stata vista una fondamentale nega-zione della storia. Le città invisibili sembrano essere un romanzo a-storico, sospeso fuoridal tempo in una dimensione mitico-simbolica. In realtà, il problema della storia per-vade il romanzo, almeno sotto il profilo dell’ossessione della memoria nel rapporto conil sapere e il potere. In questa luce, lo spazio e il tempo sono trattati come coordinateche regolano il rapporto tra il sapere, basato sulla memoria, e il potere. L’autocoscienzastorica dell’uomo moderno non si fonda sulla conoscenza oggettiva dei fatti, ma sullaricerca di una consapevolezza del modo in cui concettualizziamo, ricordiamo, interpre-tiamo. Per quello che riguarda il conflitto delle interpretazioni sull’ultimo Calvino e la*ricezione, cfr. MD2.

Al ritorno da uno dei suoi viaggi, Marco Polo è invitatodall’imperatore a fare i resoconti servendosi solo degli scacchi.Disponendo i pezzi sulla scacchiera, egli rievoca gli spazi delle città visitate. La partita offre l’esempio piùtangibile e concreto di come, partendo da un sistema di regole, la varietà delle combinazioni sia quasiinfinita. La scacchiera diventa perciò lo strumento metaforico per «riflettere sull’ordine invisibile che reggele città». E tuttavia, alla fine l’imperatore si accorge che il significato e le finalità del gioco sfuggono.Conclusa ogni partita, il vincitore e lo sconfitto si ritrovano di fronte alla scacchiera vuota, simbolo del nulla.

Tornando dalla sua ultima missione Marco Polo trovò il Kan che lo attendeva sedutodavanti a una scacchiera. Con un gesto lo invitò a sedersi di fronte a lui e a descriverglicol solo aiuto degli scacchi le città che aveva visitato. Il veneziano non si perse d’animo.Gli scacchi del Gran Kan erano grandi pezzi d’avorio levigato: disponendo sulla scac-chiera torri incombenti1 e cavalli ombrosi,2 addensando sciami di pedine, tracciandoviali diritti o obliqui come l’incedere3 della regina, Marco ricreava le prospettive e glispazi di città bianche e nere nelle notti di luna.4

Al contemplarne questi paesaggi essenziali,5 Kublai rifletteva sull’ordine invisibileche regge le città, sulle regole cui risponde il loro sorgere e prender forma e prosperaree adattarsi alle stagioni e intristire e cadere in rovina. Alle volte gli sembrava d’esseresul punto di scoprire un sistema coerente e armonioso che sottostava alle infinite dif-formità e disarmonie, ma nessun modello reggeva il confronto con quello del giocodegli scacchi. Forse, anziché scervellarsi a evocare col magro ausilio dei pezzi d’avorio

• la scacchiera e il nulla

T9 La scacchiera di Kublai Kan

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1 incombenti: minacciose. Nelladrammatizzazione di Marco Polo lepedine si animano.2 ombrosi: adombrati.

3 incedere: camminare.4 bianche…di luna: è un esempiodi rarefazione poetica dello stile. Il co-strutto implicito presuppone una pro-

posizione temporale («come quando»)o una similitudine articolata senza il«come» comparativo.5 essenziali: stilizzati.

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T9 La scacchiera di Kublai Kan

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visioni comunque destinate all’oblio, bastava giocare una partita secondo le regole, econtemplare ogni successivo stato della scacchiera come una delle innumerevoli formeche il sistema mette insieme e distrugge.

Ormai Kublai Kan non aveva più bisogno di mandare Marco Polo in spedizioni lon-tane: lo tratteneva a giocare interminabili partite a scacchi. La conoscenza dell’imperoera nascosta nel disegno tracciato dai salti spigolosi del cavallo,6 dai varchi diagonaliche s’aprono alle incursioni dell’alfiere,7 dal passo strascicato e guardingo del re e del-l’umile pedone,8 dalle alternative inesorabili9 d’ogni partita.

Il Gran Kan cercava d’immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del giocoa sfuggirgli. Il fine d’ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Qual era lavera posta? Allo scacco matto,10 sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del vincitore,resta un quadrato nero o bianco. A forza di scorporare le sue conquiste per ridurle al-l’essenza,11 Kublai era arrivato all’operazione estrema: la conquista definitiva, di cui imultiformi tesori dell’impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassellodi legno piallato: il nulla…12

Sull’ultimo Calvino, le questioni più dibattute dalla criticasono due: una è quella del rapporto tra razionalismo, ni-chilismo e funzione della retorica. La seconda è quelladell’appartenenza o meno al Postmoderno. Sul primo pro-blema la critica è divisa: c’è chi giudica le ultime operetroppo fredde e chi, invece, nel cerebralismo vede la vo-lontà di una costruzione culturale consapevole e positiva.È il caso di Andrea Battistini ed Ezio Raimondi, che pon-gono Calvino a capo di un processo di rinascita della re-torica (cfr. MD3, p. 20). L’opera dello scrittore risente dellesollecitazioni della rhétorique renaissance avvenuta tra glianni Sessanta e oggi, e ne diventa uno dei vertici perchéfinalizza il razionalismo alla creazione di nuove figure di let-tori. Per quanto riguarda il rapporto con il Postmoderno,in genere si tende a vedere nell’ultima produzione dell’au-tore un avvicinamento a questa tendenza (cfr. MD4, p. 21).

La ricezione dell’opera di Calvino è stata e continuaad essere molto fortunata. L’affermazione dello scritto-re, sia in Italia che all’estero, è stata decisa e precoce. InFrancia e, soprattutto, negli Stati Uniti, Calvino è datempo considerato uno dei più importanti scrittori italia-ni del Novecento. Il successo, sia di pubblico che di cri-tica, deve essere collegato da una parte alla multiformi-tà e alla forte carica di attualità della sua opera narrativa,dall’altra alla sua poliedrica attività intellettuale. Calvinoè stato, oltre che scrittore, anche operatore editoriale,saggista, conferenziere. Egli, insomma, ha espresso esimboleggiato anche un certo modo di vivere il ruolointellettuale. In particolare la sua ultima produzione – esoprattutto Le città invisibili – è oggi al centro dell’atten-zione della critica americana, che vede in Calvino unmaestro del Postmoderno.

L’ultimo CalvinoMD2 MATERIALI E DOCUMENTI

Esercizi

� Che cosa simboleggia la scacchiera?

� Rintraccia i punti in cui il gioco degli scacchi apparecome un mezzo per mettere ordine nella disarmoniadel reale.

� Motiva le ragioni per cui il Kan arriva alla coscienzadel nulla su cui tale gioco si basa. Quale concezione etipo di linguaggio vengono in tal modo messi in crisi?

6 salti…cavallo: il cavallo nel gioco degliscacchi salta tre caselle muovendosi ad an-golo.7 varchi…alfiere: l’alfiere si muove libera-mente in diagonale.8 dal passo…pedone: il re può muoversi intutte le direzioni ma avanzando di una sola ca-sella e per questo sembra che abbia un an-damento pigro (strascicato) e sospettoso(guardingo). I pedoni, le pedine più umili, si

muovono di una sola casella, in una sola dire-zione.9 inesorabili: inevitabili.10 scacco matto: mossa finale del giocodegli scacchi, indicante che il re dell’avversariodel giocatore che la compie è messo nell’im-possibilità di difendersi.11 A forza…essenza: a forza di analizzare(scorporare) le sue conquiste per capirne l’es-senza, cioè per cogliere il significato della con-

quista stessa.12 la conquista…nulla: la conquista defi-nitiva, rispetto alla quale (di cui) gli svariati(multiformi) tesori dell’impero non erano checoperture (involucri) llusorie, si riduceva a untassello di legno lavorato (piallato), [cioè a]lnulla. La conquista definitiva si identifica conla conclusione della partita a scacchi, di cui,significativamente, non si capisce se il vincitoresia Marco Polo o l’imperatore.

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Andrea Battistini ed Ezio Raimondi studiano qui l’abilitàretorica con cui Calvino porta avanti il suo progetto diletteratura come arte combinatoria e meccanismo quasimatematico.

Tralasciate le astuzie semantiche dei tropi1 e delle figu-re, l’abilità retorica si volge alla tassonomia2 di un’arscombinatoria che pone al centro della narrazione non«la spiegazione d’un fatto straordinario, bensì l’ordine»,«il disegno, la simmetria, la rete d’immagini che si de-positano intorno ad esso come nella formazione d’uncristallo».3 Al groviglio, al polipaio,4 al pasticcio si sosti-tuiscono il cristallo, il labirinto, il gioco degli scacchi,la biblioteca, metafore di una poetica che, accantonatala lussuria barocca, cerca i suoi generi tra la settecen-tesca razionalità del saggio, del viaggio, dell’utopia, delracconto filosofico o satirico, del dialogo, dell’operettamorale,5 nei quali l’intelligenza viva può levitare in ungioco colorato e danzante. Nel lasciare cadere il pathossatirico6 di Gadda per l’ethos7 razionale, il Witz roman-tico8 si ricongiunge all’esprit illuministico,9 con la reto-rica nelle vesti di anatomia, di arabesco logico del rac-conto.

[…]Lungo questa direttrice non c’è spazio per la com-

mozione, per il trasporto affettivo ove gli schermi pie-tosi dell’idillio intorbidano le già complicate difficoltàdell’oggi:10 mente predisposta più al calcolo matema-tico che all’introspezione dei sentimenti e della psico-logia, Calvino è attratto dal «mosaico in cui l’uomo sitrova incastrato», dal «gioco dei rapporti», dalla «figurada scoprire tra gli arabeschi del tappeto», con l’aiutodi un affiatato ménage à trois11 in cui la letteratura «re-spira filosofia e scienza ma mantiene le distanze e con

un leggero soffio dissolve tanto le astrazioni teorichequanto l’apparente concretezza della realtà». Nellacercata rivincita dell’intelligenza, la narrazione si co-struisce «all’interno d’un cervello umano, attraversouna combinazione di segni» agenti come un meccani-smo oliato dalla geometria delle parti e dall’algebradelle simmetrie. Ma non si tratta di una contemplazio-ne statica, perché il labirinto non è solo lo specchiodelle curvilinee, sfaccettature del mondo, ma, con unariproposta di quelle che per Vittorini12 costituivano «ledue tensioni» della letteratura, risulta o edificio in cui,se ci si arrende, ci si può perdere o, al contrario, unenigma da sfidare e, una volta che se ne sia ricostruitala mappa, da dissolvere. Per questo va condiviso il pa-rere di Segre13 che, richiamandosi a una battuta di poe-tica inserita nell’ultimo romanzo di Calvino, giudicala mente dello scrittore «esatta» ma non «fredda». Ilprocesso combinatorio è sì un esorcismo di fronte al-l’innumerevole, al continuo e all’inclassificabile, scon-fitti dal finito, dal discreto14 e dal sistematizzato,15 mala letteratura è attività di frontiera, protesa sull’«orloestremo del dicibile», pronta in ogni momento al saltonell’inatteso. A decidere se agisce nel senso della con-sacrazione dell’esistente16 o in quello della critica èl’atto del leggere, che smonta e rimonta l’opera in unaperenne risurrezione. E al lettore viene dedicata un’at-tenzione costante, perché quello pensato da Calvinoè più colto di quanto sia lo scrittore, e per poter agiresu di lui la letteratura «non può che giocare al rialzo,puntare sul rincaro».

da Andrea Battistini e Ezio Raimondi, Retorica «utens» del narratore: da Gadda aCalvino, capitolo di Retoriche e poetiche dominanti, in AA.VV., Letteratura italiana,

diretta da A. Asor Rosa, vol. III, Tomo I, Einaudi, Torino 1984, pp. 326-327.

Calvino e il congegno retorico della scritturaMD3 MATERIALI E DOCUMENTI

1 tropi: figure retoriche consistenti nel cam-biare significato alle parole.2 tassonomia: metodo di classificazione.3 «la spiegazione...cristallo»: tutte le ci-tazioni tra le virgolette sono tratte da testi diCalvino.4 polipaio: lett. ‘colonia di polipi’, ma qui nelsignificato metaforico di groviglio.5 operetta morale: genere letterario di ca-rattere satirico. Celebri quelle di Giacomo Leo-pardi.6 pathos satirico: carica satirica, basatasulla deformazione ironica e parodica.7 ethos: costume, ma anche dimensione

etica.8 Witz romantico: spirito romantico, cioèpassionale.9 esprit illuministico: spirito illuministico,cioè razionale.10 ove…dell’oggi: la dimensione lirica del-l’idillio renderebbe ancora più torbide le diffi-coltà del presente.11 ménage à trois: rapporto a tre. La let-teratura, infatti, convive con la filosofia e lascienza.12 Vittorini: in un saggio del 1967 intitolatoLe due tensioni, Elio Vittorini (1908-1966) so-steneva che la letteratura è pervasa da due

tensioni, una razionale e l’altra affettiva.13 Segre: il riferimento è a Cesare Segre,filologo e critico letterario, fondatore di unaimportante scuola di semiotica letteraria.14 discreto: suddiviso.15 sistematizzato: articolato in un sistema.16 consacrazione dell’esistente: vi èqui un riferimento al dibattito degli anni Ses-santa sulla differenza tra la letteratura di con-sumo e quella di qualità. La prima ricoprirebbeuna funzione esclusivamente conservativa econsolatoria.

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Contrariamente a quanto è accaduto all’estero, in parti-colare negli Stati Uniti, nel nostro paese il problema delrapporto tra Calvino e il Postmoderno è stato poco stu-diato. Per Remo Ceserani l’autore delle Città invisibili èuno dei tre scrittori più significativi del Postmoderno ita-liano, insieme a Eco e a Tabucchi. Il caso di Calvino ètanto emblematico quanto anomalo, perché nella suaopera convivono aspetti moderni e postmoderni.

In realtà una letteratura postmoderna in Italia c’èstata e c’è, solo che si nasconde, preferisce non pre-sentarsi come tale, per non urtare suscettibilità,1 eviene mascherata dietro una serie di cortine ideologi-che e critiche. Nei libri che l’industria della critica let-teraria americana ha dedicato alla letteratura postmo-derna, i nomi di scrittori italiani che circolano piùfacilmente sono, naturalmente, quelli di Calvino, Ecoe Tabucchi. […]

Qualche problema, tuttavia, resta aperto. Se si uti-lizzano le descrizioni puramente formali del postmo-derno (il pastiche, la mescolanza degli stili, il neobaroc-co),2 è evidente che Calvino, scrittore dallo stile limpi-do, trasparente, concreto, sistematicamente alieno daslanci e tormenti espressionistici, sembra molto lonta-no da gran parte di quelle esperienze. La definizionedi neoclassico si applica perfettamente anche ai suoiesperimenti di parodia, rifacimento, gioco intertestua-le. C’è sempre una distanza ironica fra lui e i testi sucui lavora; ma c’è sempre anche un rispetto per queitesti, da grande artigiano della letteratura, buon cono-scitore di tutti i suoi strumenti e prodotti di alta emeno alta qualità. […]

Se ci si sposta sul terreno degli interessi ideologi-ci, si può facilmente constatare che le posizioni diCalvino sono solo parzialmente riconducibili a quelletipiche dei filosofi e teorici postmoderni. Certo eglisembra essere stato dotato di un apparato percettivoparticolarmente sensibile alle variazioni del climaculturale e aver saputo cogliere alcuni degli atteggia-menti e degli umori che si venivano diffondendonella nostra società in seguito ai grandi cambiamentiin corso; da questo punto di vista dimostrando diessere stato un acutissimo, ma anche saggio, osserva-tore di quegli ambienti parigini in cui andò a immer-

gersi negli anni settanta, capace quindi di prendere ilmeglio di quei metodi di osservazione e di quelle pro-poste di lavoro e però capace anche di evitarne gliestremismi, i facili cedimenti alle mode intellettuali,tutto vagliando e scegliendo secondo un propriorigoroso, prudente, pessimistico percorso intellettua-le. Pian piano però alcuni problemi divennero cen-trali nelle sue riflessioni, e non c’è da meravigliarsi sesono poi i problemi centrali delle migliori meditazio-ni sul postmoderno: la complessità del mondo, lamisura planetaria delle trasformazioni, la instabilitàdelle strutture portanti delle nostre società, la neces-sità di porsi a una certa distanza per cercare di capirefenomeni così complessi, l’importanza, se si vuoletentare di tradurli in discorso comprensibile, di farericorso a strumenti narrativi (per raccontarli) e carto-grafici (per tracciarne le mappe). Quando Calvino siaccinse a scrivere i testi per le «Norton Lectures» diHarvard, le straordinarie Lezioni rimaste purtroppoincomplete, egli era pronto a tracciare forse lamigliore mappa descrittiva della società e della cultu-ra postmoderne che sia stata messa a nostra disposi-zione da un intellettuale contemporaneo: le catego-rie interpretative, e le categorie a esse contrapposte,attorno a cui sceglie di organizzare le sue lezioni, ecioè la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità,la molteplicità (e la consistency, o congruità rimastaallo stato di progetto), sono sicuramente uno dei piùraffinati schemi concettuali pensati da un osservato-re, o cartografo,3 per penetrare nel mondo nuovo checi circonda e capire le forze principali che lo muovo-no. D’altra parte è forse proprio la consistency, a cuidoveva essere dedicata la lezione mancante, che cisegnala come la posizione di Calvino restasse, allafine, peculiare e irriducibile a tante delle teoriepostmoderne correnti: dietro all’idea della coerenza,della fermezza, dell’armoniosa compatibilità fra ele-menti logici e morali, si intravede il fermo ancoraggiodi Calvino a una concezione che potremmo chiamarevariamente razionalistica, illuministica, habermasia-na,4 della vita umana e del pensiero.

da Remo Ceserani, Il caso Calvino, in Raccontare il postmoderno, Bollati e Boringhieri, Torino 1997, pp. 166, 171 e 172.

Calvino e il Postmoderno: una questione controversaMD4 MATERIALI E DOCUMENTI

1 per non…suscettibilità: si è già antici-pato che il dibattito sul Postmoderno è pe-netrato in Italia con difficoltà, suscitando moltereazioni negative.2 neobarocco: nuovo barocco è stata una

delle tante formule elaborate per definire ilPostmoderno.3 cartografo: compilatore di carte geogra-fiche. Il pensatore contemporaneo è comeun cartografo perché tenta di disegnare una

mappa della realtà contemporanea.4 habermasiana: il riferimento è al filosofotedesco Jürgen Habermas (1929).

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I diritti dell’opera di Calvinoappartenevano a Einaudi,presso il quale sono uscitequasi tutte le prime edizionidei romanzi, tranne le ultimepubblicate da Garzanti. Apartire dal 1990, per volontàdella vedova, i dirittidell’intera opera sonopassati alla Mondadori, cheha pubblicato nella collana «IMeridiani» sia i Saggi, siaRomanzi e racconti (1992-1994) sia le Lettere, sotto ladirezione di C. Milanini.Le Città invisibili sonodisponibili in edizioneeconomica presso Einaudi,Torino (prima ed. 1972 nellacollana «Supercoralli»,seconda ed. 1977 e ristampe

nella collana «Nuovi coralli»).Per altre indicazioni, cfr. cap.VI, TS1, p. 849.Per un’introduzione generaleall’opera di Calvino sono utilile monografie critiche citatenelle indicazioni bibliografichefornite nel capitolo VI.Per l’approfondimento criticosuggeriamo un percorsoorientato su quattro questioni:1) lingua e stile: PierVincenzo Mengaldo, L’arco ele pietre, in La tradizione delNovecento, Feltrinelli, Milano1975; e Aspetti della linguadi Calvino (1987), in ID., Latradizione del Novecento.Terza serie, Einaudi, Torino1991.2) retorica: Andrea Battistini

e Ezio Raimondi, Retorica«utens» del narratore: daGadda a Calvino, capitolo diRetoriche e poetichedominanti, in AA. VV.,Letteratura italiana, direttada A. Asor Rosa, vol. III,Tomo I, Einaudi, Torino 1984.3) influenza dellostrutturalismo: Maria Corti,Testi o macrotesto? in ID., Ilviaggio testuale, Einaudi,Torino 1978; e Cesare Segre,Se una notte d’inverno unoscrittore sognasse un alephdi dieci colori, in «Strumenticritici», ottobre 1979.4) rapporto con ilPostmoderno: AlfonsoBerardinelli, Calvinomoralista. Ovvero restare sani

dopo la fine del mondo, in«Diario», n. 7, febbraio 1991,pp. 37-58 e Remo Ceserani,Il caso Calvino, in ID.,Raccontare il postmoderno,Bollati Boringhieri, Milano1997, pp. 166-180.In particolare su Le cittàinvisibli cfr. M. Zancan, «Lecittà invisibili» di Italo Calvino,in AA.VV., Letteratura italiana,Le opere, diretta da A. AsorRosa, vol. IV: Il Novecento.La ricerca letteraria, Einaudi,Torino 1996; La visionedell’invisibile. Saggi emateriali su Le città invisibilidi Italo Calvino, a cura di M.Barenghi, G. Canova e B.Falcetto, Electa-Mondadori,Milano 2002.

Indicazioni bibliografiche sulle Città invisibiliTS1 TESTI E STUDI

verifiche

ConoscenzeOsserva l’indice e descrivi come è strutturato il testo. (A2)

Chi sono i protagonisti del romanzo? (A2)

CapacitàPerché le città sono «invisibili»? A cosa vuole alludere Calvino con questo titolo? (A2).

Quanti sono i percordsi tematici? Secondo quali relazioni vi sono inserite le città? (A2).

CompetenzeChe rapporto esiste tra città e natura? (T1, T3)

Il viaggio reale di Marco Polo e quello mentale del personaggio di Calvino quali diversi modi diconcepire la conoscenza mettono a confronto? (SI1)

In che rapporto sta la poetica delle Città invisibili con quella postmoderna? (B1)

1

2

3

4

5

6

7

Proposte di scrittura

Ricostruisci in una relazione, a partire dai documenti antologizzati, i vari momenti della poetica di Calvino(Parte Tredicesima, cap. II, Il Neorealismo nel ricordo di Calvino (MD3); Parte Quattordicesima, cap. II, La sfidaal labirinto (MD2); cap. V, Il romanzo come prodotto di laboratorio (MD1)).

Nelle Città invisibili «lo sguardo percorre le vie come pagine scritte», in Palomar il protagonista scruta le stelleconsultando quattro mappe celesti. Spiega che funzione hanno i segni nella descrizione della realtà. Nesvelano la verità o rimandano ad altri segni, a una realtà solo mentale? Confronta questi testi con la “sfida allabirinto” e valuta in un saggio breve se sono la coerente conclusione di un percorso o segnano una svolta.(cap. VI, § 4. T4, T5, MD1 e, in cap. II, MD2).

LA RELAZIONE

IL SAGGIO BREVE

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PI • SPAZIO E TEMPO

Percorsi tematici

Le città di Calvino,il labirinto dellacondizionepostmoderna

II testo può essere letto come unamappa di temi allusivi ai problemicentrali del nostro tempo, dalla com-

plessità del mondo al carattere universaledelle sue trasformazioni, alla vertiginosarapidità dei mutamenti, al crollo di ognicertezza dei confini tra realtà e finzione.Domina su tutto il rivoluzionamento dellapercezione spazio-temporale.Lo sterminato impero di Kublai Kansconfina in una dimensione plane-taria e allude a un universo geografi-camente indifferenziato. Percorso inlungo e in largo da Marco Polo, nonè tuttavia lo spazio del viaggio, madell’«illusione del movimento».Se il viaggio aveva inaugurato l’eramoderna, quella postmoderna nesancisce la fine o la metamorfosi (cfr.SI1): le città «si assomigliavano comese il passaggio dall’una all’altra non im-plicasse il viaggio, ma uno scambio dielementi». L’impero è infatti oggetto diracconto, perciò ridotto a figure ed em-blemi: è il regno dell’immagine e dellaparola, «uno zodiaco di fantasmi del-la mente». Alla radice delle città de-scritte da Marco c’è la memoria di Ve-nezia: il Kan le deduce tutte da un mo-dello mentale e non ha più bisogno dimandare Marco in spedizioni lontane.La loro superiorità rispetto all’esperienzadel reale sta nella pretesa di dare formaal regno dell’informe. La metafora dellibro-universo riprende l’immagine dellaBiblioteca di Babele di Borges (cfr. ParteTredicesima, cap. IX, T1), che a sua vol-ta ritorna in Eco, nel Nome della rosa,diventando un *topos dell’immaginariopostmoderno, incentrato sulla identifi-cazione tra realtà e finzione.

Lo spazio dell’impero è posto infattisotto il segno del molteplice e delcontraddittorio. La diversità dei popoli,dei costumi e delle lingue si materializzain uno spazio discontinuo ed eteroge-neo di città diverse, senza alcun rap-porto e legame tra loro. Non c’è centro,né gerarchia, né autorità, laddove gli op-posti coesistono e si elidono in un con-tinuo imprevedibile mutare di forme.Il processo combinatorio è un modoper esorcizzare il caos. Le città si du-plicano, si moltiplicano, si sdoppiano,si scambiano diritto/rovescio, alto/bas-so, sotto/sopra: la città del riso e delpianto, quella celeste e infernale, deivivi e dei morti; in esse tutto si capo-volge non si sa più chi è vivo e chi èmorto. Ogni cosa contiene il suo con-trario (cfr. T6, La città e i segni. 5 Oli-via.), la città del topo quella della ron-dine, la città dei giusti quella degli in-giusti, in un gioco inesauribile di scatolecinesi per cui tutto l’impero è insieme«giardino pensile» e «immondezzaio».La mescolanza dei luoghi e deglispazi culmina nelle città continue,dove tutto diventa metropoli e non c’èpiù ‘dentro’ e ‘fuori’: all’opposto Teodo-ra, città apocalittica, è invasa da draghi,sfingi e basilischi, che dopo un millenarioletargo ne riprendono possesso.Ogni distinzione tra natura e culturascompare nel dominio dell’artificiodella seconda natura, anch’essa tut-tavia fragile preda del tempo, per-cepito come crollo. Lo spessore tem-porale è tuttavia annullato dal caratterebidimensionale del gioco combinatorio. Le città non sono perciò caratte-rizzate storicamente: in uno stessospazio coesistono – non come stra-tificazioni del passato, ma come giu-stapposizioni nel presente – inserticlassici, orientali, rinascimentali, anchese dominano i riferimenti alla civiltà in-dustriale metropolitana (cfr. T6).Ciò che unifica tempo e spazio è il

senso di effimero e di caos, che ri-flette la coscienza dell’instabilità dellestrutture sociali contemporanee e l’ine-vitabilità e rapidità dei cambiamenti. Unarealtà in sfacelo chiede – inutilmente –alla lingua dei segni un salvataggio.Nel linguaggio di Marco, Kublai Kanall’inizio cercava «attraverso le muragliee le torri destinate a crollare» un filo sot-tile che sfuggisse al «morso delle ter-miti»; ma resta deluso. Se la riduzionedella realtà a segno permette di alludere,attraverso le infinite interpretazioni, allalabirintica complessità del reale, l’auto-nomia del gioco combinatorio nongarantisce la conoscenza e il pos-sesso dell’impero. La coscienza dei li-miti della ragione astratta affiora nellosconforto del Kan, che alla fine del giocosi interroga invano sul suo senso. Il gio-co combinatorio del linguaggio non è larealtà, né può sostituirla.A differenza del Castello dei destini in-crociati, dove il puzzle delle forme siesaurisce in se stesso, senza riman-dare a un esterno, nelle Città invisibiliresta aperto un confronto tra lettera-tura e realtà (cfr. cap. VI, § 4).Il modello dell’atlante infatti entrain crisi alla scoperta del nulla su cuiè fondato il sistema delle formeverbali. La realtà esterna insorge, ele città, esaurito il repertorio dei modellidel libro, degenerano con il tempo incittà senza forma, in città infernali.Il senso della storia e la questione deivalori alla fine si ripropongono nellaconsapevolezza che, al di là delle pa-role, esiste un inferno che bisogna ri-conoscere. Il problema etico della conoscenza edella scelta non può essere ignorato;Calvino sembra in tal modo, in questoromanzo, distaccarsi dall’ideologiapostmodernista di resa al labirinto emantenere aperta la sfida (cfr. cap. II,MD2, La sfida al labirinto, PAP1, At-tualità della “sfida al labirinto”).