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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00040 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti (annuo, € 40; sostenitore € 60; bene- merito € 100; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte . Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 22 (Nuova Serie) n. 7 - Luglio 2014 - € 5,00 SONIG TCHAKERIAN RACCONTA BACH ED INVITA A PENETRARNE I SEGRETI di Ilia Pedrina I tratta qui di una recensione d'ascolto, dal vivo. La scena si svolge al Teatro Olimpico di Vicenza. Sul palco- scenico lei, la violini- sta Sonig Tchakerian, di ori- gine armena ma naturalizzata vicentina: racconta Bach per il terzo anno consecutivo e fa passare in transfert la passio- ne che prova nell'affrontare la partitura. Johann Sebastian Bach compone i dodici 'a so- lo' per violino e violoncello ed il progetto ambizioso di spiegarli ed interpretarli, in tre anni appunto, all'interno delle 'Settimane musicali al Teatro Olimpico' ha visto, co- involto fin dall'inizio anche il violoncellista Mario Brunel- lo, che darà il suo concerto il 24 di Giugno. Elegante e semplice nella sua silhouette che prende dentro anche violino ed ar- chetto in un tutto ormai indi- visibile, Sonig offre al pubbli- co la storia interpretativa delle due composizioni bachiane, S

Pomezia Notizie 2014/7

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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Page 1: Pomezia Notizie 2014/7

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00040 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti (annuo, € 40; sostenitore € 60; bene-merito € 100; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA

Anno 22 (Nuova Serie) – n. 7 - Luglio 2014 - € 5,00

SONIG TCHAKERIAN RACCONTA BACH

ED INVITA A PENETRARNE I SEGRETI di Ilia Pedrina

I tratta qui di una recensione d'ascolto, dal vivo. La scena si svolge al Teatro Olimpico

di Vicenza. Sul palco-

scenico lei, la violini-

sta Sonig Tchakerian, di ori-

gine armena ma naturalizzata

vicentina: racconta Bach per

il terzo anno consecutivo e fa

passare in transfert la passio-

ne che prova nell'affrontare la

partitura. Johann Sebastian

Bach compone i dodici 'a so-

lo' per violino e violoncello

ed il progetto ambizioso di

spiegarli ed interpretarli, in

tre anni appunto, all'interno

delle 'Settimane musicali al

Teatro Olimpico' ha visto, co-

involto fin dall'inizio anche il

violoncellista Mario Brunel-

lo, che darà il suo concerto il

24 di Giugno.

Elegante e semplice nella

sua silhouette che prende

dentro anche violino ed ar-

chetto in un tutto ormai indi-

visibile, Sonig offre al pubbli-

co la storia interpretativa delle

due composizioni bachiane,

S

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 2

All’interno:

Adriana Assini: La riva verde, di Nazario Pardini, pag. 4

Jean Barraqué e ‘La mort de Virgil’, di Ilia Padrina, pag. 6

Clotilde Punzo: Non ho più smesso di cantare, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 9

Basilicata tra storia e arte, di Leonardo Selvaggi, pag. 12

“La tagliola” di Antonio Angelone, di Luigi De Rosa, pag. 16

Passione per le lettere..., di Ilia Pedrina, pag. 19

La caccia, di Anna Vincitorio, pag. 23

La corruzione in Italia, di Raffaele Cecconi, pag. 25

I poeti e la Natura (Emily Dckinson) di Luigi De Rosa, pag. 27

Notizie, pag. 40

Libri ricevuti, pag. 42

Tra le riviste, pag. 43

RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Il varietà, di Antonio Todde, pag. 29); Pasquale Ba-

lestriere (Un sogno che sosta, di Gianni Rescigno, pag. 30); Piera Bruno (Requien, di Enri-

ca Gnemmi, pag. 31); Tito Cauchi (Il sogno, di Adriano Accorsi, pag. 32); Tito Cauchi (Ri-

cordi e riflessioni, di Brandisio Andolfi, pag. 33); Tito Cauchi (La magia di esistere, di Pa-

squale Montalto, pag. 34); Gianfranco Cotronei (All Poems, di Eleonora Cogliati, pag. 35);

Luigi De Rosa (Le parole del vento, di Danila Olivieri, pag. 36); Andrea Pugiotto (Totò e

Pinocchio, di Aldo Marzi, pag. 37); Andrea Pugiotto (Il mio Pinocchio, di Aldo Marzi, pag.

37); Andrea Pugiotto (Favolisti romani, di Ennio Maldini/Silvana Andrenacci Maldini, pag.

38); Andrea Pugiotto (Le mie due Patrie, di Giovanna Li Volti Guzzardi, pag. 39).

L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 44

Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 46

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Anna Maria Bonomi, Georgia Chaidemenopoulou,

Colombo Conti, Domenico Defelice, Alda Fortini, Themistoklis Katsaounis, Giovanna Li

Volti Guzzardi, Noemi Lusi, Leonardo Selvaggi, Susana Soiffer

la 'Partita in si min. BWV 1003' e la 'Partita

in re min. BWV 1004', scritte circa nel 1720.

Lei spiega che la 'Partita' è una forma sonora

composta da diversi passi di danza: nella

prima che andrà ad eseguire, quella in si mi-

nore, con i suoi quattro movimenti caratteri-

stici, Allemanda, Sarabanda, Corrente ed il

particolare 'Tempo di Borea', Bach ha lavora-

to di creatività piena di intenzioni ad effetto,

inserendo per ogni movimento il suo 'Double'

a una voce sola. Infatti con le stesse note dei

movimenti di base, sovrapponibili ma tecni-

camente diverse anche per carattere e con

ritmi più omogenei, egli ha creato dei veri e

propri labirinti a specchio all'interno dei quali

è assai difficile riconoscere il movimento ori-

ginale appena ascoltato, vera e propria poesia

del segno: “...usare la tecnica compositiva ed

avere la libertà di ingegno, di anima, di intel-

letto che gli permette di creare cose...”, lei so-

stiene, dopo aver fornito esaurienti esempi

pratici. Si, dico tra me e me, dopo il recentis-

simo lavoro duro e costante sulle cose di Lui-

gi Nono: creare costruzioni sonore dal doppio

al loro identico ed ancora al pieno del diffe-

rente. Gli accordi di base sono tenuti in len-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 3

tezza, a giocare con l'effetto dell'ottava come

elemento che guida la percezione a seguire

gli andamenti del percorso dei suoni che van-

no a costruire la frase. La melodia viene e-

sclusa come progetto e si ottiene soltanto

'dopo', come risultato efficace ed affascinante

ad un tempo, perché è la nostra mente ad or-

ganizzarla, mettendoci di fronte ad attrazioni

quasi matematiche dei suoni tra loro: la sono-

rità timbrica specifica del violino poi utilizza

il fluire delle note tenute in un continuum do-

ve la varietà delle altezze e delle intensità

traccia in decoroso rigore un disegno di raro

equilibrio. Poi il 'Double' seguirà questa pia-

nificazione, ad una voce sola ed a piattaforma

non variabile, affinché il differente emerga

dall'identico e dal sovrapponibile, quasi ad of-

frire una prospettiva appena nata e che avvia

un percorso che riesce sempre a stupire, come

lo è la sorgiva originarietà del nuovo. Attra-

verso la violinista Sonig Tchakerian Bach

racconta se stesso, tutto ciò che è frutto delle

infinite possibilità della sua consapevolezza

di compositore: nel suo stile Bach pone in

primo piano la ricerca, fatta di sonorità e di

silenzi, là dove noi siamo chiamati ad esserci,

per respirare aria d'infinito. Allora lavora-

re su Luigi Nono così intensamente mi ha

insegnato ad entrare nelle partiture del

passato con quella passione e quella forza

esplorativa che è mossa a portare in vita

il discorso sonoro e renderlo presente

come un tutto, perché Nono ha lavorato

su Zarlino ed i due Gabrieli, Andrea e

Giovanni, nati prima assai di Bach!

La seconda esecuzione, 'Partita in re

minore BWV 1004' contiene l'ultimo mo-

vimento definito 'Ciaccona', che ha colto

privi di difese più di uno scrittore o com-

positore: Sonig riferisce di Svevo che ne

'La coscienza di Zeno' descrive il prota-

gonista 'asfaltato' dall'ascolto di questo

brano, nel quale Bach procede e lascia

senza respiro, con quella inesorabile de-

terminazione che solo il destino possiede;

o di Brahms che, se messo nelle condi-

zioni di penetrare più a fondo la struttura

di questa partitura, sarebbe entrato sicu-

ramente tra le braccia della follia. Sonig esige

sul palcoscenico una luce soffusa, per entrare

quasi in quel turbamento che Bach ha vissuto:

ci racconta che, tornato a casa, non ha trovato

più Maria Barbara, sua moglie, portata via

dalla morte. Questa danza, la 'Ciaccona'

sembra come un 'tombeau' dedicato a lei.

Allora c'è da portare avanti una importante

analisi del ruolo e della funzione della ritmi-

cità spezzata e virtuosistica all'interno della

elaborazione del rapporto tra i suoni che si at-

traggono tra loro in tensione, anche per co-

gliere il processo in divenire che la composi-

zione sempre rappresenta: gioco in crescendo

delle note in ottava, manifeste in una ripetiti-

vità ossessiva che tira fuori dal fondo come

un pensiero fisso sconnesso da ogni forma

immaginativa possibile che si presenti alla

mente. Tutto è rappreso intorno ad un nucleo

di forza gravitazionale senza precedenti. E' un

discorso di luce e di abbandoni quello che

avviene, in sgomento e ri-nascita.

Tutto l'evento, nella sua complessa intensi-

tà, viene offerto alla memoria di Florance

Marzotto, Amica della musica.

Ilia Pedrina

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ADRIANA ASSINI: LA RIVA VERDE Una rinfrescata di modernità

che fa dell’opera un racconto

a noi vicino di Nazario Pardini

UERRA dei cent’anni: desolazione,

campagne abbandonate, vedette per

mettersi al riparo entro le mura, pesti-

lenze (celebre quella del Boccaccio: “Nell’

anno del Signore 1348 la mortifera pestilenza

giunse a Firenze…”); un tremendo flagello in

Europa; interrogatori e sentenza del 24 mag-

gio 1431 per Giovanna D’Arco: “…per que-

sto motivo noi ti giudichiamo come eretica e

stimiamo che tu sia da espellere dalla Chiesa

e che tu debba essere consegnata alla potenza

secolare”; una guerra, appunto, questa dei

cent’anni, che finendo nel 1453, si trascina

fino alle soglie dell’età moderna. Ma per

quanto riguarda Bruges, località in cui si svi-

luppa la maggior parte degli avvenimenti del

nostro romanzo, il mercato della lana, dei ve-

stiti, e l’industria tessile vi prosperano fin dal

XII secolo, grazie alla stabilità garantita dal

patronato dei conti di Fiandra. Tra il XIII e

il XIV secolo il re di Francia Filippo il Bel-

lo invia nella regione una forza di occupazio-

ne per annettere le Fiandre. Ma la città si ri-

bella in massa e caccia i francesi durante i

famosi Mattutini di Bruges; successivamente

il predominio sul fiorente mercato tessile di

cui Bruges è il centro commerciale sarà una

delle principali cause di questa ferale guerra

tra Francia e Inghilterra.

È in questo periodo che si dipanano gli av-

venimenti del romanzo La riva verde di A-

driana Assini… Un romanzo di intrighi, di

vicende, che, anche se ben collocate storica-

mente, vanno al di sopra dei fatti per la singo-

larità dei personaggi e per la contemporaneità

dei nèssi che ne fanno una storia attualissima:

rivalità, amore conteso, contorni ambientali di

supporto alla psicologia degli attori. Già fin

dai primi accenni si può percepire il saggio

uso che la scrittrice fa del paesaggio. Si apre

con una scena tridimensionale, da cinema-

scope: “Un vento salato muggiva su Bruges.

Il cielo, gessoso, incombeva sui vicoli, lam-

biva i possenti bastioni e le torri, incornician-

do in una fredda aureola lo scuro castello del

conte”. Un quadro di manzoniana memoria

che riporta al simbiotico mèlange fra natura e

psiche, e che fa da prodromico avvio all’ av-

vicendamento degli interpreti principali: Gre-

ta du Glay, vecchia, vergine, folle; una specie

di fattucchiera; Rose, figlia di jakob, timida di

sorgente, vergine, promessa a certo Jan, al

soldo di suo padre, ma innamorata di Robin

Campen, di parte avversa (lavorava la robbia,

il rosso). In contesa erano i tintori del rosso e

quelli del blu. E i fatti si susseguono con un

incalzante fluire narrativo, ma più che altro

con una sequela dialogica secca e apodittica

di grande effetto attrattivo. Qui sta la novità

della prosa di Adriana: il gioco analitico delle

vicende. Ogni parte della narrazione volge a

delineare la varietà dei caratteri sulla scena, a

fare della passione storica dell’autrice un ser-

batoio di input umani che si traducono in sen-

timenti universali; sentimenti che si distacca-

no dal periodo per trasferirsi oltre il tempo,

oltre gli avvenimenti stessi. I conflitti di clas-

se, l’amore condizionato che ambisce alla

piena libertà, i raggiri, come tanti ce ne sono

ai nostri tempi. Là la paura dei lupi e dei lam-

pi; oggi la stessa paura per motivi non certo

meno pericolosi. Là un nugolo di donne che

sfida la sorte contro la tirannia maschile, qui

quell’attuale femminismo che tende a valo-

rizzare il ruolo della donna. Per non dire di

assassinî e fughe inaspettate, che tanto hanno

a che vedere con gialli che viviamo ogni

giorno. Insomma una rinfrescata di modernità

che fa dell’opera un racconto a noi vicino; un

racconto che pulsa di passioni e contamina-

zioni emotive di grande sostanza e potenziali-

tà creativa. Ed è un piacere abbandonare il

pensiero a quegli amori contrastati, a quelle

lotte per la libertà, a quegli intrighi che sanno

tanto di vita comune, di normali quanto occa-

sionali accidents di un percorso che si dipana

G

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 5

con una tale fluidità da tenere avvinto il letto-

re fino alla fine. Sì!, un andare senza vuoti,

senza inceppi, dove gli uomini, le donne, le

abitudini, i contrasti si stagliano davanti all’

anima con una tale generosità esplicativa da

lasciare senza fiato. La campana del Beffroi a

preannunciare gragnole di guai. Margot che

irrompe nella bottega ad annunciare che i blu

hanno sorpreso i rossi nei canali (“… i residui

dei coloranti avrebbero impiegato non meno

di una settimana e, nel frattempo, loro ri-

schiavano di veder al macero centinaia di ro-

toli di stoffa…”). Scaramucce. Rose che

chiede di Robin: “Rose saltò su come se l’

avesse punta una vespa e s’affrettò a chiedere

di Robin, la cui sorte le premeva più dei suoi

stessi parenti”. L’assemblea delle donne. La

Compagnia della Conocchia: segretezza (A-

lix, Ysengrine dei Tigli, Greta, Rose, Mar-

got). “Poco importava se le loro vite scorre-

vano senza svaghi… quanto un capo di be-

stiame, non alzavano la testa, non chiedevano

giustizia”. E le vicende si susseguono incal-

zanti su una tessitura di solida tenuta, frutto di

una frequentazione letteraria esperita in anni

di contatti e di studi; un procedere vincolante

per vaghezze semantiche, ed energia creativa;

coinvolgente per espansioni emotive volte a

sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli

del tempo. Perché alfine è la vita che domina

nelle storie di Adriana, è la pulcritudine del

dire, ed il trionfo dell’amore. Anche se su

percorsi da Via Crucis. Su percorsi di polise-

mica significanza non solo storica, ma etica,

religiosa, di pluralità umana, rafforzata da

leggi che impediscono di affidare cadaveri al-

le mani impure di una donna. Rafforzata da

slanci verso un Dio che non guardi tanto alle

opere, quanto al cuore. E dove l’amore può

raggiungere apici di intensità dai toni epico li-

rici: “Posso sfidare le mareggiate senza la-

sciarmi impressionare dai tuoni, ma senza

Rose mi sento ancora un uomo perso, un uo-

mo a metà”. Insomma una storia pepata, pie-

na di contraccolpi, di sorprese, ora belle ora

meno. D’improvvisi scompigli. Di abbandoni

di alcune componenti dalla Compagnia. Di

sospetti. Di fughe improvvise. Ma sta proprio

nella simbiotica fusione degli opposti la veri-

tà della vicenda umana. E Adriana la sa rac-

contare ricorrendo proprio al polemos eracli-

teo, cosciente che la vita si dipana su un per-

corso breve, inaffidabile ma in cui sono in

agguato notti amiche a lenirne le inquietudini:

<<“Mi rattrista pensare che se Rose ritroverà

Robin non si unirà più a noi”.

“Perché mai? Non è forse la sua felicità che

vogliamo?” si stupì Greta, osservando come

la vita, in fondo, non fosse che un lungo suc-

cedersi di incontri e di separazioni>>.

Sì, questa è la vita, e qui anche buona parte

della filosofia di Adriana:

“…un’altra notte amica era in arrivo”.

A voi la lettura, dacché il compito del criti-

co è quello di introdurre non di rivelare

Nazario Pardini Adriana Assini: La Riva Verde - Scrittura &

Scritture. Napoli. 2014. Pg. 184. €. 12,50

Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più dif-ficile farlo vivere: composizione, bozze, carta, stam-

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che lo riguardano, dovrebbe sentirsi moralmente ob-

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Page 6: Pomezia Notizie 2014/7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 6

Dalla letteratura d’impegno

alla composizione sacralizzata:

JEAN BARRAQUÉ PRENDE A CUORE

'LA MORT DE VIRGIL' E LUIGI NONO

NE PARLA IN UN

' J'ACCUSE' ' VIBRANTE di Ilia Pedrina

YEUX perçants, non imprégnés par les

grosses lentilles des lunettes, qui expri-

maient la violance raisonnée d'argu-

ments sainement polémique, la gaité improvi-

sée pour la reception d'une amitié immédiate,

et aussi souvent, en d'autres conditions, la

barrière d'une solitude causée par d'autres

personalismes musicaux, organisateurs et in-

humains dans leur arrogance. Une rigueur de

pensée, de théorie et de pratique musicale,

ayant énormément contribué au développe-

ment de la situation musicale française. Prati-

que musicale, partitions précises, qui trop

souvent n'ont pas été connues de son vivant,

et confinées par l'orgueil de personalismes se

'sauveurs uniques de la patrie'. Partitions écri-

tes qui doivent étre rendues vivantes, aussi

pour réparer le grave tort fait à Jean Barraqué

de son vivant, à lui et à la musique française.

Le concert que le collectif de Champigny lui

dédie est une autre et nouvelle démonstration

concrète de l'intelligence opérative de la

banlieue rouge contre le marché musical cen-

tralisé à Paris, centré e basé sur des opportu-

nismes directionnels de presomptueux 'mècè-

nes publics et privés'.” (Luigi Nono, Écrits,

textes traduits de l'italien et de l'allemand par

Laurent Feneyrou, CD inclus: conférence de

Luigi Nono, Contrechamps Editions, Genève,

2007, pag. 384).

In pochi tratti Luigi Nono dettaglia un'espe-

rienza che gli ha lasciato dentro un segno in-

delebile: parte da una descrizione attenta del

volto del compositore francese Jean Barraqué

ed in particolare dei suoi occhi, la cui sana,

ragionata forza polemica viene colta anche se

le spesse lenti degli occhiali potrebbero limi-

tare o addirittura impedire l'effetto dello

sguardo; egli passa poi a sottolineare di lui la

gioia che esplode improvvisa quando ha la

sensazione di trovarsi di fronte ad un amico,

in modo diretto, immediato; ora Nono, nella

stessa frase, prima che si arrivi al 'punto' si ri-

serva un attacco diretto a tutti coloro che così

spesso, in altre condizioni, hanno obbligato

Barraqué a trincerarsi dietro e dentro una soli-

tudine causata da protagonismi tra gente di

musica ed organizzatori, addirittura disumani

nella loro arroganza. La frase successiva fa

del soggetto, che manca, un pieno ritratto che

difficilmente potrà essere dimenticato, in

quella rivoluzionaria capacità di sintesi, solo

noniana, che mi ha condizionato letteralmente

ad uno studio assiduo dei suoi lavori, non so-

lo musicali: un rigore di pensiero, di teoria e

di pratica musicale che ha enormemente con-

tribuito allo sviluppo del panorama della mu-

sica francese. Niente ancora sappiamo dove ci

andrà a portare il pensiero scritto di Nono, così,

proseguendo nella lettura in traduzione trovia-

mo altri elementi di importanza incredibile:

una pratica e tecnica musicale, partiture precise

che troppo spesso non hanno potuto essere co-

nosciute mentre lui era in vita e sono state con-

finate ai margini dall'orgoglio di personalità

che si considerano gli unici sapienti salvatori

della patria. E Nono procede con energia e

senza mezzi termini: 'Partiture scritte che de-

vono essere rese viventi per poter riparare al

grave torto fatto a Jean Barraqué mentre era in

vita, a lui ed alla musica francese. Il concerto

che il Collettivo di Champigny gli dedica è

un'altra nuova dimostrazione concreta dell'in-

telligenza operativa della 'banlieue rouge' (del-

la 'periferia rossa') contro il mercato musicale

centralizzato a Parigi, centrato e fondato su

degli opportunismi direttivi di presuntuosi

'mecenati pubblici e privati' (Luigi Nono, te-

sto citato, trad. di Ilia Pedrina).

La data dell'evento, promosso dal Collettivo

musicale internazionale di Champigny è quel-

la del 9 marzo 1974, il testo di Luigi Nono è

allegato al programma del concerto e lo stu-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 7

dioso Laurent Feneyrou ci informa inoltre, in

nota, che il libro di Hermann Broch, 'La mor-

te di Virgilio', Milano, Feltrinelli, 1982, è pre-

sente nella Biblioteca di Luigi Nono presso l'

Archivio alla giudecca, in Venezia. Oltre a

questo testo, ho trovato in Archivio anche due

Partiture di Jean Barraqué, che mi sono state

gentilmente messe a disposizione dalla signo-

ra Nuria Schoenberg Nono:

'SONATE' pour piano, Aldo Bruzzichelli

Editore, Firenze (con all'interno, in stampa

'Jean Barraqué, Paris, 1928 - ; sono presenti

inoltre indicazioni dell'Autore circa le moda-

lità di esecuzione della composizione): com-

posta tra il 1950 e il 1952 ha la durata di 40

minuti, si può ascoltare su Youtube, e la pri-

ma esecuzione assoluta è stata registrata dalla

pianista Yvonne Loriod, che diverrà poi mo-

glie di Olivier Messiaen, dal 28 al 30 ottobre

1957, mentre la prima esecuzione pubblica in

concerto è avvenuta il 24 aprile 1967, con la

pianista elisabeth Klein, a Copenhagen;

'SEQUENCE' pour voix, batterie et divers

intruments, A. Bruzzichelli Ed. Firenze (con

all'interno l'indicazione 'Textes extraits de

'ECCE HOMO suivi des POESIES' de Frede-

ric Nietzsche, traduction de Henri Albert, edi-

tions 'Mercure de France'): composta tra il

1950 e il 1955, ha la durata di 18 minuti, si

può ascoltare su Youtube ed è stata eseguita

per la prima volta a Parigi il 10 marzo 1956,

con la soprano Ethel Semser, con l'orchestra

del 'Domaine Musical, sotto la direzione di

Rudolf Albert.

La circostanza è drammatica perché, come

Luigi Nono ci informa in modo severo, senza

velare le accuse dirette e chi ha orecchie per

intendere intenda pure, Jean Barraqué è mor-

to, il suo canto è sospeso, Jean Barraqué è ora

tra coloro per i quali egli ha scritto 'I Cori di

Didone', tra coloro cioè, e all'epoca erano pit-

tori o poeti, il cui canto è stato interrotto per

ragioni di stato, per la violenza del potere, per

l'arroganza di rivali senza scrupoli. Quasi fos-

se stato preparato spiritualmente, fin dagli

anni '50, ad affrontare questa testimonianza

pubblica severa e rigorosa, ora che è un com-

positore di valore a spegnersi nell'indifferenza

pregressa o nella forzata sollecitudine di ma-

niera!

Vengo al testo 'Jean Barraqué, Écrits, reu-

nis, presentès et annotés par Laurent Fene-

yrou', Pubblications de la Sorbonne, Série e-

sthetique n. 3, Paris. Cito in mia traduzione

diretta:

“1973

Il 9 aprile esecuzione a Parigi, presso la

Maison de la Radio, di 'Sequence' (con Ber-

nadette Val e sotto la direzione di Alain Lou-

vier) e del Temps restitué (Anne Bartelloni,

Chœur de chambre de l'ORTF, Ars Nova, sot-

to la direzione di Jean-Paul Kreder). Il 15 a-

prile, al festival di Royan, Roger Woodward

esegue la 'Sonate' ch'egli stesso aveva regi-

strato nell'autunno del 1972 in presenza di J.

B. a Londra per la Casa Discografica EMI. Il

29 giugno J. B. è nominato 'Chevalier dans l'

Ordre National du mérite'. Il 10 Agosto, col-

pito da emiplegia, è trasportato all'ospedale di

Beaujon. Il 13 viene trasferito all'ospedale

della Salpétrière, viene operato il 14 per un

ematoma cerebrale. Muore il 17 agosto ed è

sepolto al cimitero di Trelevern. Olivier Mes-

siaen scrive: 'Jean Barraqué è stato l'esempio

perfetto di musicista seriale severo, senza

concessioni, producendo soltanto opere auste-

re e meditate a lungo (…) Jean Barraqué me-

rita la più totale ammirazione per la serietà, la

finalità, la nobiltà della sua arte e del suo pen-

siero'.” ( J. Barraqué, Écrits, op. cit. pag. 30)

Si potrebbe trarre da questi dettagli che il

Barraqué sia morto di morte naturale..... Inve-

ce Luigi Nono ha presente tutta la vicenda di

vita e di lavoro del compositore francese e ta-

glia netto su qualsiasi intenzione commemo-

rativa blanda: la sofferenza provocata prende

il cuore, il cervello, la personalità tutta e di-

venta quel risultato subdolo che Camus ha

definito 'omicidio di stato' (cfr. Pom. Not. 'I

cori di Didone', Giugno 2014)!

La spiritualità di Jean Barraqué è intensis-

sima, lo affascina il sacro ed ogni esperienza

che lo porti, segretamente, a vivere l'eternità

del divenire, così nell'introduzione al testo

sopra considerato L. Feneyrou precisa: “...

Dove si chiude allora il cerchio 'enfermant le

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 8

Temps' secondo le parole del 'Temps restitué'?

Qui sorge l'eterno ritorno, che si manifesta,

nell'analisi barraqueiana di Debussy, nella fa-

scinazione dell'elemento circolare, nel so-

spendere il ricordo del suo inizio e, nell'opera

stessa di Jean Barraqué, nella passione per la

ciclicità. Così egli si esprime nella dodicesi-

ma sezione di … au-delà du hasard: 'E ricre-

andosi per formare il proprio cerchio ed i cer-

chi deformati e contraddittori ed invisibili

perché affrontati.' L'eterno ritorno è Okeanos,

il flusso del tempo come durata, flusso ciclico

del divenire. Ogni opera affronta la tensione

tra l'eterno ritorno, concezione curva del tem-

po ed il rinnovellarsi del gioco creatore, nell'

atto - tra l'eternità dello scorrere, eternità di

Okeanos, e l'eternità nell'atto autentico, nunc,

æternum, tra l'eternità della durata circolare e

l'eternità dell'atto sottratto alla dispersione del

continuum. E Jean Barraqué disseziona gli i-

stanti, in particolare nella sua analisi di 'La

Mer': la de-cisione dell'istante, rispetto all'a-

pertura, intervento tragico, distruzione del ci-

clo in fuga – questo istante di grazia del

Temps restitué (III), privilegiato tra tutti, sco-

nosciuto ai più, là dove la musica soffoca il

tempo avviandosi verso la morte...” (Jean

Barraqué, op. cit. Introduction, pag. 9, trad. di

Ilia Pedrina).

Non posso ora non fare riferimento al testo

di Paul Griffiths, 'La Mer en Feu: Jean Bar-

raqué', Edizioni Hermann Musique, pubbli-

cato a Parigi nel 2008, sul quale in altra occa-

sione parlerò assai diffusamente, tutto rivolto

al compositore francese in seconda persona

plurale. Cito: “La decisione di Virgilio è ora

la vostra, in un'opera che voi concepite in sei

parti:

1) Il primo avvio non deve avere, non ha di

certo da avere consistenza. Ci si immette nel-

la quiete, nell'allontanamento, nel lungo tra-

vaglio della Morte. Al contrario di ciò che io

ho scritto in precedenza, bisogna lasciarsi

scivolare nel doppio e nel triplo testo (le paro-

le di Broch, quelle di Kohn e le vostre) con le

loro assonanze, che offrono un'irregolarità ed

una rottura rispetto al sistema seriale. In ulti-

ma analisi un'improvvisazione...

2) L'allusione a Genet (i viventi si sbarazzano

sornionamente dei cadaveri) inverte il discor-

so che deve tener conto dei passaggi vocali

più rigorosi presenti nel Temps Restitué. Il ri-

chiamo alla 'urbanità' decisa, deriva dall'ori-

gine della proliferazione inintelligibile dei te-

sti sullo stile di ….au delà du hasard.

3) Il teatro - una visione sfuggente e rappresa

dell'Homme couché... 'Tu, il più crudele (cfr.

Séquence), oh! Plotia (Qui i frammenti di

Broch e e Kohn richiamano 'il grande senti-

mento che forza alla creazione...la profonda

angoscia del viaggiatore.... quest'orrenda an-

goscia del fuggitivo che vaga negli impene-

trabili risvolti della notte' e finalmente, a par-

tire dal momento in cui Virgilio guarda dalla

finestra, la notte che 'gravitava tutt'intorno

nella sua immensa spazialità'.)

4) L'inno all'opera... deve essere trattato nello

stile dei passaggi più audaci della 'Sonate'. Al

contrario di uno sfogo, voglio che si scopra

nella bellezza, l'inno al rigore. (Ciò sostitui-

sce, con parole totalmente vostre, i passaggi

inseriti nei quali Virgilio cerca 'un linguaggio

che possa oltrepassare la musica stessa'.)

5) Si ritrova lo stile 'dato' – improvvisato de-

gli inizi ma nutrito, arricchito di ciò che si è

già costituito in passato. Confusione organiz-

zata. (Il testo di Broch e Kohn è il seguente:

'...cammino...senza traccia...la sua vita... sfi-

nimento...falso percorso...coscienza del suo

smarrimento...') 6) Come la fine di tutte le

mie opere, anche questa mi appartiene.” (P.

Griffiths, 'La Mer en Feu: Jean Barraqué',

op. cit. pp.324-325, trad. di Ilia Pedrina). Nei

punti 1), 3), 4), 5) le parole tra parentesi sono

quelle di Paul Griffiths, che, come ho detto,

crea un'intensa prossimità con il compositore

francese rendendolo vivo e presente, di fronte

a noi, nel nostro immaginario conoscitivo, e-

segetico e produttivo.

Investigherò ancora e ancora questi interes-

santi ambiti di lavoro che verrò a trattare nella

loro più corretta prospettiva, quella della di-

mensione creativa dell'opera d'arte e quella del

ruolo etico-politico dell'artista e del composito-

re nella seconda metà del Novecento e oltre.

Ilia Pedrina

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 9

CLOTILDE PUNZO: NON HO PIÙ SMESSO DI CANTARE

di Liliana Porro Andriuoli

’ORRIBILE genocidio perpetrato

nei campi di sterminio nazisti a danno

degli ebrei, durante la seconda guerra

mondiale, costituisce l’argomento del recen-

te libro di Clotilde Punzo, Non ho più smesso

di cantare (Napoli, Luciano Editore, 2011, €

10,00); argomento che viene affrontato dall’

autrice con profondo senso di umanità e

con viva partecipazione alla tragedia vissuta

in prima persona dalle vittime. Inoltre, pur in-

serendovi poesie nelle quali mette in evidenza

la spietata crudeltà dei persecutori, la Punzo

sa giovarsi di un’esposizione sempre obiet-

tiva ed equilibrata, in virtù della quale la sua

denuncia acquista maggiore efficacia e mag-

giore forza evocativa.

Il suo libro, pertanto, è sicuramente una te-

stimonianza a favore delle vittime dell’ olo-

causto, ma soprattutto è un invito a riflettere

sulla triste realtà di soprusi, cattiverie e vio-

lenze che avvengono anche ai nostri giorni,

magari a nostra insaputa, quantunque si parli

tanto di uguaglianza, tolleranza e non violen-

za…. Scrive infatti la Punzo in una delle ul-

time poesie della silloge: “il lager è un polo

multimediale / … / ce n’è in tutte le latitudi-

ni” e soggiunge: “Alcuni sono visibili, / altri

occulti, infidi, subdoli, / con nomi insospetta-

bili” (p. 86).

E non a caso il prefatore Ottavio Di Grazia

insiste proprio sul dovere che noi tutti abbia-

mo di “ricordare” per “non dimenticare” i

fatti della nostra storia passata perché, come

d’altra parte ebbe a dire Primo Levi, «Se

morremo qui in silenzio come vogliono i no-

stri nemici, se non ritorneremo, il mondo non

saprà di che cosa l’uomo è stato capace […] e

sarà più esposto […] ad un ripetersi»1 di tale

tragedia. E l’idea di poter contribuire in qual-

1 Primo Levi, Prefazione a Anna Bravo - Daniele

Jalla, La vita offesa. Storia e memoria dei lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti,

Milano, Franco Angeli Editore, 1988.

che modo affinché il genocidio avvenuto non

si “ripeta” un’altra volta sembra essere l’idea

portante di tutta l’opera della nostra autrice.

Il libro si apre con un Prologo, nel quale la

poetessa fa sua la nota parabola evangelica

del grano e della gramigna (Matteo 13,24-30

e 13,37-42): “Avevo visto molti campi di

grano / ma il mio sguardo si era soffermato

solo sulle spighe” dice il protagonista del

Prologo; e soggiunge: solo allorché fui “de-

portato” in un “campo”, mi accorsi (e lo feci

“con inguaribile pena”) di “quanto forte fos-

se” il potere della gramigna “di infestare il

grano”. La diversa condizione esistenziale gli

ha fatto dunque figgere lo sguardo più a fon-

do nella realtà…

Inoltrandoci nelle pagine successive della

silloge incontriamo una lunga sequenza di

figure umane, ciascuna portatrice di una

propria tragica storia; tutte storie, tuttavia,

quasi mai così personali da non potersi colle-

gare, o addirittura quasi integrare, con quelle

di altre figure consimili. Il che, evidenziando

la forte unitarietà del testo nel suo insieme,

esalta il carattere poematico del volumetto,

nel quale ogni elemento, pur conservando la

sua identità, si amalgama perfettamente con

gli altri. Quella che Clotilde Punzo contem-

pla è infatti un’umanità degradata e calpe-

stata, che ormai ben poco conserva dell’ an-

tica parvenza, se non il ricordo del tempo in

cui ebbe anch’essa “gioventù e forza nelle

membra vigorose” (p. 65) e che quindi poteva

considerarsi felice. Ora purtroppo tutto è mu-

tato: ognuno di costoro ha perso finanche la

propria identità: “Chi conosce la mia storia? /

A chi interessa come e quando nacqui? / Sono

un numero tra queste mura. / Forse meno.”

(p. 46); “Ho camminato fino a sera / in un

giorno senza nome / privo anche del mio” (p.

64). Nessuno di loro gode più un attimo di

pace, nemmeno durante le ore di sonno:

“Tregua non v’era nell’ora notturna. / … /

L’ossessione era nel sangue, nella mente, nel

cuore, / … / Non erano notti velate di luna, /

ma abissi accesi dai fari” (p. 35).

L

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 10

Alcune figure di questa lunga serie, ac-

comunate da un terribile destino, ci vengono

incontro come mimetizzate in una massa in-

forme, indistinguibili l’una dall’altra nel folto

gruppo in cui si trovano: sempre infatti, stret-

tamente unite fra loro, procedono convinte

che solo nell’unione e nella reciproca solida-

rietà potranno trovare la forza per una qual-

che forma di sopravvivenza: “Da occhio ad

occhio passava la preghiera / di serbare anco-

ra la vita di un tempo / per ritrovarsi mai

spenti intorno ad un comune fuoco / non ce-

dendo ai detrattori delle identità…” (p. 31);

“Non ci fu mai silenzio / dentro e fuori del

campo / dentro e fuori del cuore / … / Ab-

biamo inventato un parlare comune / che i-

dentifica i deportati, / … / Si parla in gergo

per sopravvivere, / sono sussurri le parole che

passano veloci, / le parole clandestine che

formano fra noi catene” (p. 43).

Altre figure invece, sempre indistinguibili

e confuse nel mucchio, ci appaiono come

ormai rassegnate alla fatalità del caso, che i-

nesorabilmente le condurrà verso una preve-

dibile meta: “Era un lungo treno che andava a

Nord / … / È un treno che ha occhi sparuti e

carne lacerata / grida represse e urla che dan-

no fuoco alle notti” (p. 17); “Sono piedi che

vanno, / … / lentamente vanno, / dolorosa-

mente vanno, / nel tormento dell’ignoto” (p.

19); “sono tonni che si dibattono / tra sangue

e fiocine / sotto lo sguardo arrossato dell’ as-

sassino / poi boccheggiano esausti / sfiniti

dalla violenza e dall’incompreso accadimen-

to” (p. 18); “Ogni scarpa è un piede / che più

non lascia orma. / C’erano due gambe e un

tronco / su quelle scarpe…” (p. 25).

Alcune volte queste singole figure, recu-

perando almeno parte della loro individualità,

si distaccano dal gruppo, avvicinandosi per

comunicarci il loro personale dramma. Così è

di colei che, dopo morta, racconta la sua vi-

cenda: “Mi hanno detto che è cresciuta l’erba

/ dove caddi / e fango mi fu premuto su viso e

petto. / … / Musica odo come nenia d’oriente.

/ È un oboe o un violino / a rammentarmi la

neve? / Sono morta sulla neve” (p. 29); così è

di Kurt, il bambino che va incontro alla morte

credendo si tratti di un gioco: “«Vieni», / mi

disse, / prendendomi per mano, / «ci fanno la

doccia». / Dall’acqua passammo al sonno. /

Non fummo più in balia del vento” (p. 34);

così è pure della protagonista della poesia da

cui prende il titolo la raccolta, la quale im-

pazzisce e, pur sapendo “di essere stonata”,

continua a cantare dal giorno in cui le conse-

gnarono l’abito da sposa e glielo fecero in-

dossare, prima di uccidere i suoi familiari (p.

56); e così è ancora di quell’uomo, forse uno

“zingaro”, che si diceva venisse dalla Boe-

mia, dimenticato “nudo su un mucchio di

scarpe”, “lasciando che il tempo e i cani af-

famati facessero scempio” delle sue “carni

rinsecchite” (p.57); e così è di tanti altri che

non possiamo qui ricordare.

Altre volte poi alcune di queste figure,

non sopportando le atrocità che il momento

presente riserva loro, rivolgono la propria

mente al passato: qualcuna rievoca la propria

vita di un tempo (“Avevo lenzuola pulite /

profumate di lavanda / … / Membra fresche

come buccia vellutata di pesca”) per trovare

un qualche conforto alla tanto disperata con-

dizione attuale (“Ora il mio corpo è tutt’uno

con la baracca / Con il legno rosicchiato dalle

termiti”, p. 28); qualche altra, invece, si ram-

menta di un familiare a lei molto caro, nella

fattispecie la propria madre (“Sembrava mia

madre / con quegli anelli grigi sulla testa. / La

denudarono e spinsero il suo grosso corpo /

contro le carni emaciate di altre donne iner-

mi”, p. 30) e trae conforto dal pensiero che la

sua morte, avvenuta in epoca anteriore, le ab-

bia evitato di essere coinvolta in quell’ im-

mane tragedia (“Pensai a mia madre. / A

quanto era stata fortunata ad essere già mor-

ta”, p. 30).

Qualcuna di queste figure infine ci parla

anche dei suoi carnefici, della disumana

perversione che costoro sempre dimostrarono

nei confronti di uomini inermi e indifesi, di

quanta intima debolezza e quanta vigliacche-

ria si nascondesse sotto quella loro apparenza

di forza, quella loro malcelata sicurezza… Un

esempio in proposito lo si trova nelle prime

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 11

pagine del libro, nella poesia Chi decide della

mia sorte?, nella quale un deportato vuol

guardare negli occhi il suo torturatore per po-

ter scoprire chi egli realmente sia e su cosa

fondi tanta arroganza e tanta presunta supe-

riorità: “Ma quest’uomo che ho di fronte / …

/ che urla e mi stritola con la sua arroganza

/… / quest’uomo che mi guarda ostile / … /

che si accanisce mi ferisce mi umilia e mi

mortifica / … / Voglio sapere chi è, / … /

Perché al cospetto di quest’uomo / non mi

tolgo il cappello né trasudo perdono”.

È poi anche possibile che chi è scampato

dal lager possa a distanza di tempo incontra-

re, a un tratto, tra la folla, il suo ex torturato-

re, come accade nella poesia Lo riconobbe,

dove nell’affollato “centro di Manhattan” av-

viene appunto l’incontro tra un’ex vittima e il

suo ex aguzzino: “«Ehi, ti conosco», gridò l’

ex deportato «Tu sei quel maiale del lager, /

sei il bastardo della forca»”. E l’aguzzino,

sentendosi riconosciuto, ebbe paura e si con-

fuse tra la folla, scantonando (“Accelerò fre-

mente il passo”, p. 84). La vittima, in preda

ad una profonda agitazione, pur non rincor-

rendolo, non fu tuttavia capace di concedergli

il perdono (“Trasformare non seppe l’odio

che genera odio. / S’inginocchiò e pregò che

fosse stritolato sotto la prima ruota”).

Il libro si chiude con un Epilogo, ispirato,

ancor più che il Prologo, ad un sentimento

cristiano dell’esistenza. Se infatti il problema

della gramigna che “infesta il grano”, può ge-

nerare nel credente (come in effetti ha talora

generato) qualche perplessità, qualche dubbio

riguardante il perché esista il male nel mondo

e perché Dio lo permetta (problemi, questi,

più volte dibattuti e affrontati, anche in sede

teologica), al contrario i versi della chiusa del

poemetto sono inequivocabilmente sorretti

dalla fede in un intervento divino sul divenire

del mondo: “E noi che non siamo che ombre

sulla scena del mondo /… / noi che svento-

liamo bandiere e non brandiamo spade, / in-

vochiamo, ancora e sempre, il Dio che tace, /

ma non s’addormenta, / perché ci aiuti a vive-

re finalmente in pace / e a non dubitare nella

tormenta”.

Il Dio della Punzo infatti “tace”; non inter-

viene, è vero, ma “non s’addormenta”: aspet-

ta imperturbabilmente il giorno della “mieti-

tura”, allorché ordinerà che il grano sia sepa-

rato dalla gramigna. È pertanto un Dio, il suo,

che non resta indifferente di fronte alla soffe-

renza degli innocenti, ma, per una Sua imper-

scrutabile volontà, non vuole intervenire pri-

ma del giorno del “Giudizio”, prima cioè del

momento in cui “i giusti splenderanno come

il sole nel regno del Padre loro” (Matteo

13,37-42): non forza la mano agli uomini, ma

li lascia liberi delle proprie azioni.

Quanto allo stile, è da osservarsi che Clotil-

de Punzo si esprime in maniera asciutta e

concisa, con un verso libero molto efficace

(“I cani abbaiano / contro la notte che non ar-

retra” (p. 37); “Il filo spinato separava il con-

fine della mia terra da quella di Hans. / … /

L’avevo detto ad Hans che il filo spinato del

campo / non era uguale a quello che separava

le nostre proprietà. / … / Lo teneva stretto il

filo con tutte e due le mani / … / A turno l’

abbiamo vegliato” (p. 52-53) e con quella

limpidità di voce che è propria di chi è mos-

so dall’ansia di comunicare agli altri degli au-

tentici contenuti che avverte urgere nella pro-

pria anima.

Il libro “Non ho più smesso di cantare” di

Clotilde Punzo è stato brillantemente pre-

sentato, con notevole partecipazione di pub-

blico, il 21 Maggio 2014 (ore 17.30) dalla

Prof.ssa Ersilia Di Palo, nella “Sala Fran-

cesco De Martino” Via Morghen 84 Napoli.

La manifestazione è avvenuta nella Serie de

I MERCOLEDÌ CULTURALI, a cura dell’

Associazione Internazionale EIP ITALIA -

Sezione Campania, in collaborazione con la

5° Municipalità VOMERO_ARENELLA.

Le poesie, intensamente interpretate dalla

stessa autrice, sono state molto applaudite dal

pubblico presente.

Liliana Porro Andriuoli Clotilde Punzo : Non ho più smesso di cantare -

(Napoli, Luciano Editore, 2011, € 10,00)

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 12

BASILICATA TRA STORIA E ARTE

di Leonardo Selvaggi

ECONDO lo storico lucano Giacomo

Racioppi Lucania significa “Luce”,

dalla radicale “luc” presente nel lin-

guaggio osco, parlato dagli aborigeni della at-

tuale Basilicata. Gli Osci dell’Irpinia si spo-

starono, oltrepassando il fiume Sele, da po-

nente verso le terre orientali, in direzione del-

la stella Lucifero. Il nome Lucania ha origine

in questo momento, corrisponde ad una realtà

geografica nuova, ha riferimenti con la lumi-

nosa stella del mattino. Si è avuta un’altra in-

terpretazione, quella di terra di lupi o di bo-

schi. Questa non ha valore, pensando che tut-

ta l’Italia fino all’Umbria era tutta un manto

di verde, specie in quei lontani tempi. Gli an-

tichi Lucani vi trovarono nella regione occu-

pata gli Enotri ed i Conni coi quali guerreg-

giarono per lunghi anni, estendendo il loro

dominio dal Sele al Bradano ed a tutta la Ca-

labria. Il nome dei Lucani si trova citato dallo

storico Strabone solo verso il 400 a. C. e nel

325 in occasione della guerra contro Alessan-

do il Molosso, re dell’Epiro, chiamato dai Ta-

rantini per combattere contro i Lucani. Una

documentazione importante sulla presenza

dei Lucani l’abbiamo avuto con il rinveni-

mento di una lapide di pietra presso Anzi. Si

parla di un popolo civile, indipendente, diviso

in patrizi e plebei. Furono rinvenuti idoli, ter-

racotte, armi, cristalli, monete. Onoravano

Diana, la Dea della caccia. Prima che gli an-

tenati dei Lucani passassero il Sele, la loro

storia si confonde con quella dei Campani,

più precisamente con quella degli Irpini, mol-

to bellicosi, temuti dai Romani. Questi Irpini

col nome Lucani per tre secoli si fanno senti-

re per la loro forza, collegati coi Sanniti arri-

vano fino a Roma, al comando di Marco

Lamponio. Abbiamo la battaglia di Pandosia

presso Tursi e la guerra italica. L’esercito dei

Lucani e dei Sanniti sconfitto dai Romani.

Morirono quasi tutti sul campo compresi i lo-

ro duci. I Romani riconoscono ugualmente il

loro valore e concedono quei diritti civili che

erano stati prima negati, causa della stessa

guerra. Il grande storico Polibio ci parla dei

Lucani al tempo della III guerra punica,

quando portarono aiuti, con forti eserciti for-

mati da fanti e da cavalieri, ai Romani in qua-

lità di confederati. Certamente fu un glorioso

cammino quello dei Lucani, cominciato con i

loro aborigeni. Enotri, Conni, Italioti confe-

derati, Spartani, Magna Grecia, tutti conqui-

stati dal loro valore. Combatterono contro i

Romani quando questi si dimostrarono inva-

denti al tempo della guerra contro Turio, co-

lonia presso Sibari, non avendo rispettato i

trattati. Sempre agguerriti e dai costumi seve-

ri assimilarono ampiamente la cultura e le arti

degli Italioti della Magna Grecia. I resti ar-

cheologici parlano chiaro della pacifica con-

vivenza tra i Lucani che parlavano la lingua

osca e i popoli che parlavano “Greco”. Anche

se divisi come si è detto, in caste non ebbero

né re né tiranni. I Lucani erano montanari co-

raggiosi, generosi, grande il loro amore per la

libertà, rispettavano le leggi, in special modo

quelle dell’ospitalità. La loro indipendenza

finì quando dovettero cedere insieme con i

Campani, i Sanniti, gli Umbri, gli Etruschi, i

Latini a coloro che dovevano dominare il

mondo. La Lucania era costituita dal territorio

che comprendeva dei centri famosi, Eraclea,

Metaponto, Grumento, Velia, Paestum. In se-

guito abbiamo le invasioni barbariche che

portano distruzioni e domini. I Lucani per lo-

ro natura costanti, tenaci, dall’antico si sono

mantenuti uguali dal punto di vista etnico, per

quanto riguarda l’aspetto geografico si sono

avute, invece, variazioni. Ora veniamo alla

denominazione di Basilicata. Lo storico luca-

no Michele La Cava in polemica con Giaco-

mo Racioppi sostiene sempre la storicità e la

grandiosità del nome di Lucania, al posto di

quello servile di Basilicata. Nel secolo X con

i Bizantini che subentrano ai Longobardi la

Lucania viene governata da un funzionario

imperiale detto basilikos. Da questo momento

si comincia a parlare di Basilicata. Riferimen-

ti si hanno pure con il termine Basileia che

significa regio o Regno, e con l’occupazione

S

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 13

dell’imperatore greco Basilio II, dopo la vit-

toria riportata sopra Ottone II, imperatore di

Occidente nell’anno 989. Per la prima volta il

nuovo nome si trova nel 1230 in un docu-

mento risalente ai tempi di Federico II.

Gli storici e i geografici continuano a quell’

epoca ad essere quasi sempre fedeli al nome

di Lucania. Il termine Basilicata è considerato

estraneo, splendido per le sue origini lontane,

invece, è quello di Lucania. E’ rimasto pre-

sente nelle tradizioni, usato dai letterati. Dalla

provincia di Potenza fu indetto nel 1930-31

un referendum per l’attribuzione dell’una o

dell’altra denominazione da parte di tutti i

comuni della regione. Un vero plebiscito a

favore di “Lucania”, un solo paese si espresse

per “Basilicata”. Il nome di Basilicata rimane

dal secolo XII quasi costantemente in vigore,

ad eccezione di due brevi parentesi, nel 1799

e nel 1820 e del periodo tra il 1932 e il 1947

in cui ritorna il glorioso nome di Lucania. Nel

secolo XI abbiamo i Nrrmanni, nei secoli XII

e XIII gli Svevi. Si ha un periodo di grande

splendore. Nel 1230 Federico II, che amava

soggiornare con la sua corte nel castello nor-

manno di Melfi, ordinò ai suoi giuristi e ai

suoi ministri, tra i quali c’era il capuano Pier

delle Vigne, di compilare una riforma costi-

tuzionale, amministrativa e giudiziaria del

suo Regno. In solo due mesi si ebbe la famo-

sa “Lex augustalis”. Per il fatto che la legge

venne promulgata l’anno seguente in un’ as-

semblea tenuta a Melfi prese il nome dalla

città, “Costitutiones Melphitanae”. Nel 1266

la Basilicata passa sotto gli Angioini che la

dominano assieme a Napoli per tutto il secolo

XIV. Nel 1435 in seguito alla vittoria riporta-

ta sugli Angioini la regione, con il restante

Regno di Napoli, passa agli Aragonesi di

Spagna. Nei secoli XVI-XVIII la Basilicata

vive i periodi più travagliati e in completo i-

solamento. Francesi e Spagnoli si contendono

con lunghe guerre il dominio dell’Italia. Alla

fine prevalgono gli Spagnoli. Angherie e in-

giustizie di ogni genere, violenze, abusi, e

miseria accendono ribellioni isolate che apro-

no la via al brigantaggio. Nel 1663 gli Spa-

gnoli fanno di Matera la nuova capitale della

regione. Morto nel 1701 Carlo II di Spagna

senza eredi, abbiamo i Borboni. Le riforme

apportate da questi hanno una debole eco in

Basilicata che rimane la regione più povera,

abbandonata a sé. Nel gennaio 1799, quando

le armate rivoluzionarie francesi raggiungono

Napoli, i Borboni fuggono e viene proclamata

la Repubblica Partenopea. La conquistata li-

bertà dura poco. Nel giugno ritornano i Bor-

boni, vengono giustiziati i patrioti rivoluzio-

nari. I martiri della Basilicata sono otto, fra i

quali il grande giurista Mario Pagano. Nel

1806 Potenza diventa capoluogo della regio-

ne, sostituendo Matera. Dal 1808 al 1815 il

Regno di Napoli e con esso la Basilicata, vie-

ne retto da Gioacchino Murat, cognato dell’

imperatore Napoleone Bonaparte. Alla caduta

di Murat riappaiono i Borboni. La rivoluzione

napoletana ha acceso nei cuori la speranza

che invano tentano di spegnere, durante il Ri-

sorgimento, le prigioni e le forche borboni-

che. Dal 1821 al 1848 la Basilicata partecipa

a tutti i moti insurrezionali. Potenza nel 1860,

ai cui abitanti Garibaldi dirige un proclama

che loda la loro solerzia, l’umanità e la bravu-

ra, vive i momenti più fulgidi con la giornata

del 18 agosto. Un ardente amore di patria

spinge tanti ad offrirsi vittime alla causa dell’

indipendenza dal giogo borbonico, dell’ an-

nessione al nuovo Regno d’Italia.

La Basilicata ha vissuto secoli di vita inten-

sa, di lotte, di miserie, di soggezioni, periodi

di splendori, di predominio. Ha avuto abitanti

infaticabili, vivaci, intraprendenti, sempre ge-

nerosi e tenaci. La Basilicata ha lasciato nel

lungo cammino della sua civiltà tanta storia,

ricca cultura e arte. Alle testimonianze prei-

storiche, fiorite fin dal paleolitico inferiore

(Venosa, Matera) seguono quelle dell’età

greca, in cui oltre a manifestazioni dell’arte

ellenica vera e propria, come le cosiddette

Tavole Palatine o il tempio di Apollo Licio,

di stile dorico del VI secolo nella piana di

Metaponto, vi sono quelle più o meno elle-

nizzate provenienti dalle necropoli. Monu-

menti romani sono infine sparsi in tutta la re-

gione. Espressioni di arte cristiana si trovano

in grotte scavate nella roccia nella zona di

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 14

Matera con tracce di affreschi di derivazione

bizantina.

Di maggiore interesse i monumenti sorti

sotto il regno dei Normanni e degli Svevi. L’

antica Acheruntia, che ha quasi tre millenni di

vita, in magnifica posizione, sopra una rupe

di tufo dominante la florida valle del Brada-

no. Il maggior vanto di Acerenza è la stupen-

da cattedrale del sec. XIII, senza dubbio fra le

più belle esistenti. Ammiriamo la faciata he si

adorna di un portale in stile romanico- puglie-

se e, in particolare, il grandioso complesso

delle absidi. Trale migliori architetture civili

della Basilicata si annovera il quattrocentesco

castello di Miglionico, ampio e possente, con

le sue torri cilindriche, si trova isolato all’ in-

gresso del paese. Famoso per la sala detta del

Malconsiglio ove il primo ottobre 1841 i Ba-

roni, in attesa dell’aiuto del Papa, si raduna-

rono in congiura contro Re Ferdinando I

d’Aragona. Ora anndiamo a vedere in un

punto opposto della regione il castello di La-

gopésole che giganteggia imponente su un

colle. Questa superba mole venne fatta erige-

re nel sec. XIII dall’Imperatore Federico II

come luogo di soggiorno per le sue partite di

caccia. Ospitò altri Re, fra cui Carlo d’Angiò.

Il castello munito di quattro torrioni angolari

fu in seguito dato in dono da Carlo V ai prin-

cipi Doria, i quali lo amministrano tuttora con

le terre circostanti. Un viaggio per la Basilica-

ta senza itinerari obbligati, di qua e di là, co-

me volando, dall’alto di una veloce sintesi

prendiamo tutte le parti, fermandoci dove una

migliore attrattiva ci prende, quasi sentiamo

più voci raccolte, più richiami, echi e forze

magiche ci avvolgono. Di tutta la regione una

visione d’insieme, come fosse una figura a-

nimata, una persona che si muove e viene da-

vanti. La Basilicata è una regione particolare,

aspra, accidentata, con luoghi ridenti che

paiono essere veri miracoli della Natura che

escono da masse aride, desolate, come fosse-

ro voci dell’animo compresso che arrivano da

lontananze perdute nelle ere remote di una

storia travagliata. Miserie, fatiche, vita di

stenti di una regione che non si è mai fermata

nelle lotte sostenute con estenuazioni indo-

mabili. La sua configurazione che sempre va-

ria esprime, come di una persona una identità

che sa di continua attesa, di sopportazioni: la

presenza di terre arse, assolate, calanchi, fiu-

mare, rocce che escono da profondità, tutto in

distese che si aprono con aspetti caratterizzati

con intensità, in una immobilità che è tempo

lontano, silenzio denso di impenetrabili,

sfuggenti spirituali esistenze. Incontriamo il

magnifico Vulture, montagna il cui centro è

costituito da una vasta conca, un tempo crate-

re eruttivo. Oggi si presenta uno spettacolo

diverso, uno scenario incantevole di verde,

mille specie di piante che formano una foltis-

sima fascia boschiva. Ai piedi delle selve si

vedono splendere, in mezzo alla conca due

laghi, uno piccolo e uno grande, separati da

una sottile striscia di terra anch’essa verdeg-

giante di prati e di alberi. Sono i Laghi di

Monticchio. Per i riferimenti alla letteratura

classica importante Venosa, che si gloria di

aver dato i natali al sommo poeta Quinto O-

razio Flacco. Fondata, secondo la leggenda,

dall’eroe greco Diomede. Vi si rifugiò il con-

sole Terenzio Varrone dopo la disfatta di

Canne, raccogliendo un nuovo esercito di

quattro mila uomini. Intorno a Venosa sorge

l’Abbazia della Trinità, un delle opere più so-

lenni per bellezza di forme e di stile della Ba-

silicata, fondata 900 anni or sono dai monaci

benedettini, costituita da un palazzo abbaziale

e da due chiese, una di seguito all’altra per

una lunghezza di 125 metri. I paesi della Ba-

silicata in terre pietrose, alluvionali, fra pae-

saggi di una presenza particolare, fra monta-

gne che mostrano la loro ossatura scarnita

dalle frane e dalle erosioni. Sono rifugiati sul-

le alture, si affacciano dall’orlo di paurosi

burroni. Le case sgretolate dai venti sono tut-

te raccolte attorno a qualche castello in rovi-

na. Pare che i muri incrostati all’intemperie,

segnati da occhiaie nere, finestre, imboccatu-

re di grotte soffrano l’arsura. Sul Tirreno ci

appare Maratea, la Dea del mare, uno spetta-

colo meraviglioso che si apre verso il sole. La

Natura e la storia hanno riunito tutte le loro

espressioni. Ci sono le alte rocce incombenti

sul mare, le isole, i promontori, le ginestre,

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 15

alberi contorti che paiono braccia aperte al

cielo, tutta una magia intorno.

Grumento nova, paese sorto sopra un colle

con le rovine di un grande castello, costruito

nel medioevo dopo la distruzione di Grumen-

tum da parte dei Saraceni mille anni or sono,

celebre per due battaglie vinte dai Romani

contro i Cartaginesi. Nella seconda di queste

battaglie avvenuta nel 207 a. C. Annibale fu

sconfitto. Un’altra perla dell’aspra Natura,

dall’aspetto arcaico nell’eternità del Creato,

Pietrapertesa, poco distante dal fiume Basen-

to, è il comune più elevato della Basilicata,

mt 1080. Sorge in posizione assai pittoresca,

in un fantastico scenario di vette arenarie, det-

te “Dolomiti Lucane”. Le creste seghettate

nell’aria inalberate simili a presenze di ani-

mali preistorici pietrificati. Andiamo a visita-

re Matera. E’ una delle città più caratteristi-

che d’Italia, è costituita da una parte moder-

na, estesa sul ciglio di una rupe e da una parte

antica spettacolare, detta “I Sassi”, che de-

grada con un intrigato labirinto di case scava-

te per metà nella roccia. Dal 1663 al 1805 fu

capoluogo della Basilicata. Dalla scissione

della provincia di Potenza diviene nel 1927

unità amministrativa. Il Duomo, magnifico

tempio, costruito in stile romanico-pugliese

nel sec. XIII. Esso ci presenta una facciata

coronata da archetti, sovrastante un artistico

portale. Abbiamo il Liceo classico dalla lim-

pida e armonica facciata seicentesca, intitola-

to all’insigne materano Emanuele Duni, giu-

rista e filosofo, vi insegnò Giovanni Pascoli

nei primi anni della sua attività professionale

tra il 1882 ed il 1884. Il museo Ridola costi-

tuito nel 1910, uno dei più importanti dell’ I-

talia meridionale. Nelle sale numerosissimi

esemplari di arnesi di ossi, di silice, di asce

risalenti al paleolitico. Oggetti dell’età del

bronzo e resti di necropoli. Andiamo verso il

mare Jonio, Nuova Siri, ricorda la colonia

greca di Siris, fondata nel VII sec. a. C. alla

foce del Sinni da alcuni Troiani sfuggiti alla

distruzione della loro città. Santa Maria d’

Anglona, cattedrale della scomparsa città di

Anglona che sorgeva poco distante da Tursi,

distrutta nel 410 dai Goti. La chiesa è del XIII

sec. e conserva interessanti affreschi, alcuni

dei quali bizantini. All’epoca del Greci si

chiamava “Pandosia”. Questo nome significa

“donatrice di ogni bene”, si riferiva alla ferti-

lità del suolo. In Basilicata la natura ha am-

bienti che non hanno subito alterazioni. Os-

serviamo il massiccio del Pollino, offre una

veduta di incomparabile potenza. E’ una delle

zone ancora selvagge, ricca di valori botanici

e zoologici e di elevato valore estetico. Vec-

chia regione la Basilicata, la sua storia la por-

ta scritta nei rilievi del suolo, nel paesaggio,

nelle costruzioni dell’uomo, nei segni del suo

lavoro e del suo ingegno. In Basilicata ci sono

i mari e i monti. Ci sono le colline d’argilla, i

fiumi con i pigri meandri e le ampie valli,

grandi aree verdi, faggete sterminate e campi

di grano.

La Basilicata è una terra di grande fascino

che crea valide attrattive turistiche.

Leonardo Selvaggi

LA BAMBOLINA PERUVIANA

C’è una bambolina

in costume peruviano

sul comodino accanto al mio letto.

E’ un po’ in un angoletto,

quasi stretta

fra la lampada e l’immagine

della Madonna.

La bamboletta

è silenziosa e riservata

come la persona

che me l’ha donata,

e come lei a volte

ha l’espressione un po’ triste.

Forse pensa

di essere stata dimenticata.

Ma ogni mattina ed ogni sera

e sempre quando passo accanto al letto

io la guardo

e le invio

in silenzio il mio affetto.

Mariagina Bonciani Milano

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 16

“LA TAGLIOLA” UN ALTRO TESTO

PER IL TEATRO DI

ANTONIO ANGELONE di Luigi De Rosa

NTONIO Angelone, commediografo

dialettale di Isernia, direttore della ri-

vista Sentieri Molisani, non finisce di

stupirmi. Ancora una volta mi giunge per po-

sta, quassù a Rapallo sul mar Ligure, un suo

lavoro per le scene, intitolato La tagliola. Sis-

signore, proprio una tagliola, quello strumen-

to crudele usato da contadini per catturare a-

nimali “ladruncoli”. In questo caso, adoperato

da Michele Cannavaro, protagonista della

commedia, un contadino del Molise della me-

tà del Novecento. Uno di quei contadini co-

stretti a una vita faticosa e pesante per ricava-

re dalla terra, con enormi sacrifici, quanto ne-

cessario al sostentamento della famiglia. E

quindi, ancor più arrabbiati e tenaci difensori

della propria roba dalle insidie di mariuoli e

perdigiorno. Un campo di fave di Michele

(oltre a salame e vino) è il bersaglio preferito

di una “banda” di giovani del luogo che tenta,

con “banchetti serali” con le vettovaglie ru-

bacchiate, di scacciare la noia e la frustrazio-

ne della vita di campagna.

Michele nasconde una tagliola per volpi per

punire i “malandrini”. Ma mal gliene inco-

glie. Prima si ferisce con lo strumento egli

stesso, ad un piede. La notizia si diffonde in

paese, e incomincia a montare lo “scandalo”

ai danni di quel cuccelone (testardo, dalla

coccia dura). Insorge la moglie, Adelina, che

chiaramente non sopporta più da molto tempo

l'autoritarismo cieco e le stramberie dissenna-

te del marito. La donna è convinta che il ma-

rito abbia messo la tagliola non per acchiap-

pare volpi ma per punire e mettere alla berli-

na l'autore ( gli autori) dei furti a suo danno.

Questa è la goccia che fa traboccare il vaso,

dopo tanti maltrattamenti e ingiurie da parte

di Michele a suon di parolacce ed altri com-

portamenti offensivi. Il “ dramma” giunge al

diapason quando Pietro, il giovane “capoban-

da” ladruncolo, infila la mano destra in un ce-

sto di forme di formaggio, per andare a far bi-

sboccia con i compagni. La tagliola, nascosta

nel cesto, scatta malignamente e gli frattura

tre dita, indice, medio e anulare.

La faccenda si complica, perché il giovane

Pietro, da tempo, amoreggia di nascosto (a

nnascuso) con Filomena, una delle figlie di

Michele. E allora Adelina, che di nascosto

favoriva questo corteggiamento per far “si-

stemare” la figlia con un sacrosanto matrimo-

nio, perde le staffe e se ne va di casa, medi-

tando addirittura di andare a rifarsi una vita

alla Mèreca. Ma le insistenze di figlie e pa-

renti, oltre alle implorazioni di perdòno da

parte del marito, platealmente inginocchiato

ai suoi piedi, la fanno desistere, e ritornare al

tetto coniugale. Il finale della commedia è

decisamente lieto, anche perché, come ci

spiega l'Autore nel commento in italiano che

precede il Terzo ed ultimo Atto, “ la battaglia

si conclude, dopo continui battibecchi, con la

vittoria delle figlie e della moglie. Cannava-

ro, costretto a mantenere fede alle promesse

fatte, non solo accetta ogni rimprovero dai

familiari, ma accondiscende anche alle loro

decisioni. La prima e più fortunata è Filome-

na, che dopo tante lotte, riesce, finalmente, a

realizzare il suo ideale, accarezzato da diver-

si anni. Il matrimonio con Pietro viene accet-

tato anche da Cannavaro, grazie all'inaspet-

tata fortuna dello “Scimbanzé” (il padre di

Pietro) che, a causa della morte della sorella,

residente in America da oltre sessant'anni,

eredita una forte somma di denari ed un pa-

noramico ristorante-albergo nel centro del

New Jersey. Con il matrimonio tra Filomena

e Pietro, realizzato grazie all'inaspettata for-

tuna della famiglia dello Scimbanzé, si stabi-

liscono anche ottimi rapporti tra le due fami-

glie.”

Potenza del dio Denaro, specialmente in

una società contadina di quei tempi, quando

nelle tasche dei lavoratori della terra, di dena-

ro, ce n'era piuttosto poco.

Alcune considerazioni utili mi vengono

A

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 17

suggerite, sia da questa ultima commedia che

da altri testi di Angelone per il teatro.

Innanzitutto concordo con la prof.ssa Rosa

Troiano, docente all'Università di Salerno,

che nella sua approfondita Prefazione al vo-

lumetto contenente “La tagliola” rileva, tra i

vari pregi di questa commedia, il fatto che il

tema familiare “ ...questa volta venga assun-

to non per rievocare usi e atteggiamenti di

una civiltà ormai trascorsa, o per operare

nostalgici confronti tra presente e passato,

bensì per trattare della famiglia come feno-

meno che cambia, come un prodotto culturale

aperto ai mutamenti, osservato in una deter-

minata fase della storia sociale italiana. Sce-

gliendo gli anni Cinquanta come tempo della

vicenda, e muovendo da situazioni concrete e

verosimili, Angelone ha voluto dare in questa

commedia un'immagine, sia pure ridotta e da

lontano, del cambiamento della qualità inter-

na della famiglia contadina, degli interessi e

degli affetti che la rendono unita o conflittua-

le...”

Ripenso alle quattordici commedie dialettali

angeloniane di cui mi sono occupato nel 2008

nel libro La vita e l'opera dell'artista e scrit-

tore Antonio Angelone (Ediz. Accademia), e

cioè Il matrimonio, La sperimentazione dei

maestri, Il dramma d'amore di Nicola e Lore-

ta, La ruota della fortuna, Ciccotè, il maiale

di Tata Giovanni, Re vuasce sotta 'lle sctell,

La vecchia che ne vvuleva murì, Tra véglié

ssuonn, La banda Centrillo, La vellégna, Da

re semiénd alla tréscha, Felmena la lengac-

ciuta, Recchezza e ppuvertà. Anche se non

posso che confermare l'acuto giudizio di Rosa

Troiano, non posso sfuggire, comunque, alla

necessità di ricordare anche molti altri temi

trattati e rappresentati artisticamente nell'inte-

ra produzione drammaturgica di Angelone.

Ad esempio, quello dell'emigrazione per

sfuggire allo sfruttamento e alla miseria, o

comunque per rifarsi una vita degna di questo

nome; la sostanziale sanità morale e freschez-

za d'animo dei giovani della classe contadi-

na; la saggezza e il romanticismo concreto di

tante donne, giovani e meno giovani, sulle

cui spalle gravano i pesi della gestione fami-

liare delle risorse materiali e dei sentimenti d'

amore; il rispetto sostanziale per i vecchi, l'

attaccamento alla bellezza del proprio paese

e delle sue tradizioni, nonostante i gravi sa-

crifici imposti dalle difficili condizioni eco-

nomiche. Ma nella produzione letteraria e ar-

tistica di Angelone sono presenti molti altri

temi importanti, la cui trattazione richiede-

rebbe molto spazio. Il fatto è che dobbiamo

sempre tenere presente, nel parlare di Ange-

lone, che egli non è solo uno scrittore di

commedie, ma contemporaneamente è anche

un pittore, uno storico locale, un poeta entu-

siasta della bellezza della natura e della bontà

d'animo, un docente educatore di generazioni

di bambini, un filosofo a modo suo, un cre-

dente non bigotto, un realista che si rende

perfettamente conto che quella vita tradizio-

nale (per certi versi rimpianta e vagheggiata)

è stata definitivamente superata dall'evolu-

zione della tecnologia e del costume in ogni

campo (non sempre in meglio), dalla trasfor-

mazione del mondo del lavoro, sia dal punto

di vista tecnico che da quello giuridico, dalla

rivoluzione del Diritto di Famiglia e dei co-

stumi sessuali. Ci sono due filosofie contrap-

poste su tutti questi temi, con sostenitori dei

valori del passato o del presente, ma ciò non

toglie che non si possa affrontare il giorno

dopo giorno con la testa e il cuore rivolti all'

indietro. Non basta che conservare i valori

positivi della vecchia organizzazione di vita,

e poi andare decisamente avanti. Fin dove il

destino umano lo consente.

Anche la vita pubblica, la politica, cambia-

no. Secondo alcuni, in modo sempre peggio-

re. Ma anche qui: guardare avanti e fare di

tutto per migliorare la situazione, non restar-

sene egoisticamente nel proprio guscio a ve-

dere che cosa succede.

Il mondo cambia in continuazione, il Tem-

po fugge senza sosta. Anche il presente sta

per diventare passato. Non facciamo in tempo

a sottoporre il mondo umano al nostro “rie-

same”, sotto la nostra lente personale, che già

questo mondo ci è cambiato sotto gli occhi, in

modo sempre più accelerato e incalzante. E

questa trasformazione è non solo registrata,

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 18

ma anche favorita (o deteriorata) dai mezzi di

comunicazione di massa (radio, televisioni

pubbliche e private, giornali, altri mezzi sem-

pre più sofisticati...).

Eppure, i problemi fondamentali dell'Uomo

(Felicità-Infelicità, Vita-Morte e mistero dell'

Oltremorte) rimangono sempre gli stessi. Per

tutti.

Luigi De Rosa Antonio Angelone – La tagliola – Edizioni Acca-

demia “Lucia Mazzocco” - Isernia 2013

LE FIABE,

TRA DIVANO E POLTRONA

a Riccardo Carnevalini Milano

Tra divano e poltrona,

per ore a giocar con i peluches:

il cane giallo e blu,

Topolino che ride,

la scimmietta e Mister Coccodrillo,

Peppa Ping. E noi

ad inventare storie sempre nuove.

“Nonno, vuoi che ti aiuti?”

C’era una volta un bimbo

“che si chiamava Fiorellino”

e c’era un cane piccolo

“che si chiamava Birichino”...

Ci porta in piazza la storia,

al gioco con la palla;

al Giardino di Padre Pio

con lo scivolo, il dondolo,

il cavallino rosso;

ai verdi fazzoletti comunali

della scuola Don Bosco,

con la signora Lilly e la Ale,

i tubi verdi e gialli,

il camion degli attrezzi,

gli irrigatori a spruzzo: zip! zip! zip!

“Nonno, corriamo che ci bagna!”

Le varianti son tante,

c’è pure la raccolta dei pinoli.

Ghiotto di melograni è Topolino,

ma il gatto bianco l’insidia.

Tu canti Topolino Topoletto,

la mamma che lo prende con la scopa.

Ci trasferiamo in Africa,

tra le calde e profonde acque del Congo.

Corpi in groviglio e spruzzi.

Smemorati, fino al morir del giorno

giocano Mister e gli altri coccodrilli.

E’ buia ora la strada del ritorno.

“Ha paura il nostro amico, Nonno?”

Benedette lucciole,

che il cielo illuminate come giorno!

Tra colline e pianure

bananeti verdeggiano

e la scimmia s’ingozza

in un estenuante saliscendi

dall’una all’altra pianta.

“E quanti uccelli, Nonno, e che colori!”

Peppa salta nelle pozzanghere

con la sorella e il fratellino George.

Le galline e il gallo a spasso vanno

in cerca di lombrichi.

Ma, nella notte, giunge la faina...

Il tuo viso è di gelo.

Mi guardi inorridito

se la fiaba si scontra con il vero.

Domenico Defelice

IMMENSITÀ

Blu del mare,

blu del mare immenso…

Blu del mare che rifletti il cielo

e cielo blu che il mare già contieni

guardate il volto mio

e se sinceri siete, come credo,

fate che la mia mente sia stellata,

vibrante e illuminata come voi.

Il buio non si addice

a menti come quella

che ora, qui, si accinge a consultarvi.

E fuori il freddo intacca la mia vita,

minaccia ciò che vivo è ancora in me.

Noemi Lusi Roma

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 19

Il 27 dicembre 1970,

Domenico Defelice scrive

al Prof. Francesco Pedrina PASSIONE PER LE LETTERE

E UN BRANDELLO

DI VERA AMICIZIA di Ilia Pedrina

A carta è intestata con timbro blu in

alto a sinistra, un foglio scritto a ma-

no, fronte e retro, con grafia chiara e

creativa. Riporto per intero questo documen-

to, importantissimo, testimonianza di aperta

passione per le Italiche Lettere, di profondo

rispetto per lo studioso e letterato Francesco

Pedrina, di solerte sollecitudine per difendere

gli aspetti più sinceri di una Amicizia in dia-

logo, oltre che per segnalare, sottolineandolo

con prove alla mano, il malcostume interno

agli ambienti letterari della Capitale, ma non

solo.

DOMENICO DEFELICE

via Fratelli Bandiera 6

00040 POMEZIA (Roma)

Pomezia, 27/12/70

Ill.mo Prof. Pedrina,

approfitto di questi giorni di festa per rispon-

dere a molti amici che mi hanno scritto nei

mesi scorsi.

Mi auguro che Lei si sia fatto visitare da un

buon oculista e che la sua vista adesso sia ot-

tima. Comunque penso che Lei non debba af-

faticarsi eccessivamente, gli occhi sono orga-

ni delicatissimi e basta poco per compromet-

terli.

Non so perché Trevisini porti avanti la stam-

pa del Suo commento ai Promessi Sposi (sot-

tolineato) con tanta indolenza; perché magari

poi l'affronterà in un periodo non certo pro-

pizio per una immediata adozione nelle scuo-

le; perché non brucia le tappe per mettere sul

mercato un libro che, ne son certo, gli frutte-

rà parecchio: francamente un simile editore

non lo capisco! Cosa mai avrà di più impor-

tante per le mani? (fine della prima facciata)

La Sua Vela d'Argento (sottolineato) mi riem-

pie di curiosità e acutizza il mio interesse,

perché immagino, almeno da quel che Lei mi

accenna, sia il Suo capolavoro. E sono d'ac-

cordo con Lei che se l'avesse scritto Montale

o Bo, con le trombe e i tamburi che costoro

sono soliti far suonare per le loro cose, il li-

bro “farebbe un chiasso grande”.

A proposito di Bo, Le voglio raccontare un

fatto (ma forse Lei già lo conosce: nei locali

romani dell'Unione Italiana per il Progresso

della Cultura, in Piazza Morgana, si è svolto

un dibattito, il 15 o il 16 corrente (non ricor-

do con precisione), su “I potenti della lettera-

tura”, titolo di un libretto (che non ho letto)

edito da Rusconi e che si compone, a quanto

ho potuto capire, di quattro saggi firmati da

Rodolfo Quadrelli, Quirino Principe, Sergio

Quinzio e Armando Plebe. I relatori erano

per l'occasione Marcello Camillucci, Gino

De Sanctis e Quirino Principe. Il dibattito è

stato interessante, perché metteva sotto accu-

sa i critici letterari che lavorano a pagamen-

to per case editrici e giornali detentori del

potere dell'industria della cultura. Le accuse

contro costoro, contenute nel libro, secondo i

relatori, sono pesanti: Quirino Principe ha

insistito sulla scarsa attendibilità di Carlo Bo

il quale, se avesse dovuto leggere tutti i libri

L

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 20

di cui scrive, avrebbe dovuto vivere milioni

di anni luce! (sottolineato da 'scarsa' fino alla

fine del periodo, in prima facciata) Ed io ne

sono convintissimo. Un aff.so e cordiale salu-

to anche per i Suoi. Auguri per il prossimo

anno. Suo D. Defelice.”

Saluti cordiali ed auguri

Clelia. (con diversa grafia, sempre in prima

facciata)

Passione per le Italiche Lettere. Si, perché il

Defelice si era già rivelato d'animo in canto

con una testimonianza poetica di giovinezza

'DODICI MESI CON LA RAGAZZA', che il

Pedrina aveva molto apprezzato. C'era già

stato anche un legame di consuetudine attiva

con gli altri Amici di 'Realismo Lirico', a gui-

da di Aldo Capasso e de 'La Procellaria', con

l'indimenticabile Francesco Fiumara, che non

vuole disperdere la ricchissima eredità spiri-

tuale e compositiva, poetica e narrativa, oltre

che etico-politica, lasciata in essere dopo la

fine della pubblicazione della creatura di Ca-

passo. Pomezia Notizie è ora la creatura della

mente, dell'intelligenza e del cuore del Defe-

lice ed ha già compiuto 40 anni. Un ricordo

grato va alla memoria di Elena Bono, scom-

parsa di recente e che ha trovato ossigeno pu-

ro tra le pagine di questa Rivista e sulla quale

mi impegno a lavorare con investigazioni i-

nedite. Il Pedrina ne sarebbe stato fiero, sin-

ceramente, perché i collaboratori di questa te-

stata dignitosa e libera, con i loro lavori, han-

no negli anni garantito alta qualità della pro-

duzione poetica, letteraria, etica e storico-

politica, tutti con alle spalle severa disciplina

del fare nella vita civile come nell'arte, nell'i-

spirazione poetica e nella critica letteraria.

Nell'Aprile del 2007 Domenico Defelice

dedica a Francesco Pedrina il numero specia-

le de 'Il Croco', la 'voce' dei quaderni letterari

di 'POMEZIA-NOTIZIE', a 111 anni dalla

nascita del suo Maestro ed Amico e a 36 anni

dalla sua morte: in quell'occasione, nella pre-

sentazione, sottolineo: “DOMENICO DE-

FELICE ha conservato con cura le Epistole

di Francesco Pedrina come cosa cara, a li-

vello affettivo, per l'Amico e Maestro, ma an-

che come dato storico-estetico, perché al loro

interno egli ha rilevato una continuità inscin-

dibile tra lo scrittore, l'uomo, l'appassionato

della vita, oltre che un importante 'spaccato'

della Storia della Letteratura del '900, intrec-

ciata di libertà, di valori forti, di coerenza.”

(op. cit. pag. 2).

È certo che questa lettera, qui riportata inte-

gralmente, si nascondeva abilmente tra le pa-

gine manoscritte di uno dei quattro volumi ri-

legati all'antica, che raccolgono il Commento

ai Promessi Sposi, in attesa che passassero al-

tri 7 anni...

Nella prima pagina del I Volume trovo

'Commento ai “Promessi Sposi” di France-

sco Pedrina

17 aprile 1966 - 27 marzo 1969'. La lettera

del Defelice era dentro al II Volume, alla pa-

gina con numerazione in matita rossa '511'

(indicazione dall'inizio del lavoro) ed in biro

blu '35' (indicazione dall'inizio del Capitolo, l'

XI, con data '29 - XI – '67'. Trascrivo in det-

taglio:

“...che è quasi un contendere al M. il suo

'cantuccio', cosa che io non mi sento di fare.

373-374 ...quella gran macchina del Duomo

(sottolineato con un tratto, in riferimento al

testo manzoniano qui in commento, n.d.r.):

nel Seicento, e anche due secoli dopo, al tem-

po del M., Milano era raccolta in una cerchia

limitata tanto che al Giusti la stessa chiesa di

Sant'Ambrogio sembrava 'fuori di mano'. Non

aveva invaso ancora il territorio intorno, né

erano sorte le grandi costruzioni d'oggi: per-

ciò a chi avanzasse, come Renzo, dalla pia-

nura, la gran mole del Duomo appariva iso-

lata e solenne, 'come sorgesse in un deserto'.

Questa immagine e lo stupore di Renzo ('e si

fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi

guai') danno rilievo alla visione, cara anche

al cuore dello scrittore milanese; - quell'otta-

va meraviglia (sottolineato, n.d.r.): da ag-

giungere alle sette degli antichi. L'espressio-

ne, per quanto riguarda il Duomo di Milano

dalle cento guglie, appare già in uno storico

del Cinquecento (cfr. P. Mongia, Historia del-

le antichità di Milano, Milano, 1562, cap.

XVI). Sono le prime impressioni di Renzo

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 21

viaggiatore, di Renzo che s'inurba: alla vi-

sione del Duomo di Milano, ...” (fine pagina,

n.d.r.).

Quattro tomi in fogli manoscritti vergati in

forma chiara, lineare, senza correzioni: se-

condo la tradizione rabbinica, si supera l'esa-

me conclusivo del percorso di studi per il

rabbinato soltanto se la grafia è la rappresen-

tazione diretta del proprio pensiero in rifles-

sione esegetica sulla Torah, pensiero chiaro e

sciolto, illuminato, che non deve presentare

dubbi o tentennamenti e dunque cancellature.

I Rabbini, lo sappiamo, sono veramente esi-

genti e questa caratteristica di Papà avrebbe

riempito tanti di loro di sincera commozione.

Si, nel 'Libro dello Zohar', il testo del Grande

Splendore, che ho iniziato lentamente a

commentare, distillandone le emozioni, due

Rabbini si incontrano e parlano tra loro e si

mettono a piangere copiosamente nell'osser-

vare l'Armonia del Creato e la Bellezza come

doni dell'Altissimo, benedetto sia il Suo No-

me! Anche Papà non si vergognava di com-

muoversi in pubblico, quando l'armonia in

poesia toccava vette estetiche di grande coin-

volgimento. Certo Friedrich Nietzsche si è

molto innervosito con gli accademici quando

non ha superato l'esame di Teologia, obbliga-

torio per entrare ad insegnare filosofia nelle

Università tedesche, risultato che gli ha de-

cretato così un futuro percorso di scrittura e di

vita di grande tensione e quasi di vero risen-

timento!

Francesco Pedrina non ha potuto rispondere

alla lettera del Defelice, perché è venuto a

mancare il 16 Gennaio 1971, io gliel'ho letta

poi ho rimosso tutto perché quella perdita, per

me, ha tracciato una ferita che vado via via da

tempo a medicare grazie a Domenico Defeli-

ce, grazie a quella fraternità profonda che ci

lega ora, nei progetti, negli intenti, nella lotta

senza quartiere all'indecente sopruso dell'ar-

roganza.

Allora torno ancora a 'Il Croco' dell'Aprile

2007 e riporto importanti sezioni dell'ultima

lettera del Pedrina, quasi un'anticipazione del-

lo spirito, in trasparenza:

“Caro Defelice, ricevo la sua lettera del 7

novembre e la ringrazio del ricordo e del

cenno alla mia virtù di scrittore, alla mia

'semplicità, straordinaria, solare chiarezza'. A

questa s'aggiunga la mia penetrazione non

comune, sulla quale non può rimanere al-

cun dubbio dopo il commento de' Promessi

Sposi, ma, ahimé! - nessuno ha il modo an-

cora di constatarlo perché la stampa s'è a-

renata alla correzione delle prime bozze.

Sono sei mesi che non ricevo nulla dall'edi-

tore Trevisini, ad altre faccende o ad altro

libro affaccendato. Il bello è che mi vien

mancando la vista e Dio sa con quale fatica

affronterò la nuova lettura del commento.

Mi aiuta, sempre entusiasta, Nerina la Ma-

remmana, ma il suo aiuto non è sufficiente.

Ci vuole il controllo mio. Di questo passo il

libro non sarà pronto neanche per la pri-

mavera del '71. Questo proprio non era nei

miei programmi..... Ho lavorato in questi

mesi a Vela d'argento e ormai il libro è

pronto per la stampa. Il difficile è trovare

un editore senza contare che una mezza

dozzina di protagoniste o sono spose novel-

le o fidanzate prossime ad essere condotte

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 22

all'altare. Ho versato su di loro gigli a piene

mani, non potranno che esser lusingate, ma,

ma, ma....insomma, vedrò. In Realismo lirico

è uscito il racconto 'Butterfly': è piaciuto

molto, ma risale al 1926. Alle vecchie vicende

s' innestano le nuove, in omaggio all'epigrafe

dantesca di Vela d'argento: 'e quivi ragionar

sempre d'amore'. Ma Vela d'argento, oltre

che all'isola delle belle, approda all'isola de-

gli eroi e de' poeti. Un libro che farebbe un

chiasso grande se l'avesse scritto Montale,

Bo, Ossobuco ecc. ecc. Cordialità alla sposa.

F. P.”

Con grande, toccante, sincera franchezza

Domenico Defelice risponde a questa lettera

del Pedrina, consiglia, approva, bacchetta, a-

pre squarci importanti sul futuro percorso cri-

tico e letterario che prenderanno gli eventi in

Italia: POMEZIA NOTIZIE nascerà infatti tre

anni dopo.

È mio impegno ora arrivare ad aprire un di-

alogo con Quirino Principe che, citato dal De-

felice, ha mantenuto come scrittore e critico

musicale una elevata competenza d'ampio re-

spiro, un rispetto profondo degli eventi storici

e dei loro risvolti, la dignità piena dell'intel-

lettuale che non si vende.

Ilia Pedrina Foto di pag. 19: Francesco Pedrina al centro del-

la foto, tra Antonio Nievo - padre dello scrittore

Stenis Nievo - e il sindaco del comune di Collo-redo.

Pag. 21: Una lettera di Francesco Pedrina a Do-

menico Defelice

IDDIO NON CONOSCE GLI UOMINI

I

Gli uomini estasiati e abbattuti, piegati

e distesi, illuminati e chiusi,

lerci e chiari, muti e chiassosi.

Gli uomini come le palle al gioco delle bocce,

né capo né coda hanno, rotolano a caso.

Gli uomini pieni e vuoti, fermi e in alto,

purificati e infangati. Iddio è lontano da loro

e dai movimenti che li spingono. Iddio sa il limo

e la crosta della terra, la fermentazione dei germi,

ha messo le radici della vita,

i semi vivificatori di tutti gli esseri,

le piante, i vermi e le farfalle,

il mondo inorganico sterminato e gli oceani

per entro il moto delle armonie celesti.

II

Iddio creatore della luce,

dell’infinito e delle stelle,

non sa i tempi finiti dell’uomo né i ritorni

dei germogli che si aprono in primavera,

[ non sa

dove si trovano i nostri luoghi felici,

i paradisi che sfuggono alle frenetiche ansie.

Non vede i nostri ingranaggi

né come vanno i giorni,

se con senno o per strade sconnesse che ai passi

danno fatica. Gli scontri e gli attriti,

le discontinuità che sbarrano il cammino,

le tenebre e la fatale fine.

Iddio-mistero non sa gli sperdimenti dell’uomo,

non vede la vanità e le superbie,

i legami magici e le crocevie ai limiti dei baratri.

Iddio non conosce l’egocentrismo e la ferocia,

non vede l’uomo nelle ramificazioni

del grande mare degli esseri viventi

dalle forme e colori infiniti,

sopra i monti sconfinati

e nello spazio eterno del Creato.

Leonardo Selvaggi Torino

MELODIA

Una melodia misteriosa

copre la polvere del tempo.

La perseveranza nell’attesa

sparisce con determinazione.

Senza rimpianti ha ucciso

l’ultima parvenza dell’amore.

La sconvolta abitudine,

l’angoscia del presente

si disperdono,in fretta,

al suono della nuova melodia.

Anna Maria Bonomi Roma

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 23

Il Racconto

LA CACCIA di Anna Vincitorio

UEL documentario animalista nella

sua reale crudezza l’aveva letteralmen-

te sconvolta. Nel rientrare, la sera, la

sua ovattata solitudine si era animata di ricor-

di lontanissimi che adesso rimetteva a fuoco.

La Versilia anni ’50, le lunghe ombrose pine-

te e quell’odore di innocenza che promanava

dai corpi giovani di quei bambini non ancora

ragazzi che sfrecciavano sulle biciclette

“Bianchi” dal manubrio rigido. Risate, lunghe

corse per interi pomeriggi, lei sempre in coda,

meno abile come ciclista. Ricordava che per

fare una inversione era costretta a scendere e

a girare la bici. Non importava, era in compa-

gnia. I capelli scomposti dal salmastro, l’ ab-

bronzatura ancora lieve che accentuava le

piccole efelidi sparse sul suo volto di bambi-

na e tanta voglia di essere con gli altri. Al li-

mitare della pineta si sofferma; riiniziano le

case, piccole, bianche, circondate da giardini.

Il sole nel cielo è ancora alto, gli altri sono

lontani.

L’aria è improvvisamente popolata di strida

gutturali che si susseguono con frequenza

tragica sempre più pressanti. Lei avverte un

brivido, una sensazione raccapricciante. Le

strida si avvicinano; più lontane, voci e uo-

mini in corsa. Una palla rosa si delinea e fug-

ge atterrita. E’ consapevole, nella sua pelle di

animale, di non avere scampo. A chi racco-

mandarsi per un atto di pietà o di rinuncia? La

bambina è ferma in quel tiepido pomeriggio

d’estate. Adesso le ombre dei pini da lontano

non le sono più amiche. Lunghe braccia verdi

sembrano ghermirla. Le torna alla memoria il

racconto di suo padre. Il nonno medico che

non si faceva pagare dai pazienti poveri, rien-

trando una notte col calesse, udì dei grugniti;

c’era un maialino, dono dei grati ammalati.

Fu chiamato Mattiuccio e visse nel giardino

circondato dall’amore dei bambini. Ma lei è

al sicuro. E’ vero, ma ha percepito una caccia

volta ad uccidere. Non conosce la morte ma

ne percepisce l’odore. Sparisce il piccolo cor-

po rosa roteante; sempre più forte quel grido

gutturale. Uomini sempre più in corsa. Qual-

cuno ha in mano un forcone; l’ultimo urlo,

poi il silenzio. Il sacrificio si è compiuto.

L’indomani da una tavola imbandita nel ver-

de dell’ombra, all’odore del mare si unirà il

profumo di carne croccante e saporita consu-

mata in allegria.

“Dove eri finita, Annina? Ti abbiamo aspet-

tato ma tu non arrivavi.” Non risponde, è in-

terdetta e inforca nuovamente la bicicletta; un

sandalo le sguscia via dal piede e finisce nel

pantano. D’un tratto quella vacanza è come

diventata pesante. Va verso il mare col suo

costume di lana verde e si tuffa. Lì vicino i

pescatori di arselle le sorridono. “Perché quel

faccino triste, mimmina? se vuoi ti diamo un

po’ di arselle”. “No, grazie. Ho solo voglia di

mare.” Si butta sulla sabbia tiepida, ne afferra

un pugnello, cerca conchiglie da portare al

nonno che domani compirà novant’anni e lo

aspetta una grossa torta con tante luminescen-

ti candeline. Tanti ricordi di quel Forte dei

Marmi non ancora vip e quell’odore umido di

legno di cabine e le corse e i giochi ancora

innocenti... “Che ore sono?” si chiede. Ha un

po’ freddo e, come d’abitudine, si prepara

una cena frugale. Squilla il telefono. E’ il ri-

tuale della sera. Quella voce un po’ roca la

raggiunge e assume l’indefinita dimensione

del silenzio. Parole alternate a poesie, speran-

ze, delusioni, impotenza. E’ come un guerrie-

ro all’indomani di una guerra perduta. Con-

suntivo di una vita: sbagli, rivincite, cedimen-

ti. A tratti vorrebbe ricominciare ma... Di-

scorsi interminabili inframmezzati da pause.

Ha bisogno d’aiuto ma non lo ammette. Im-

pari lotta in una posizione di stallo. Vorrebbe

lasciare quella casa, che, zeppa di ricordi, ri-

cade su di lei come un pesante coperchio.

Non è lontana la Pasqua ma per lei non ci so-

no spiragli. Si sente pellegrina nella Via Cru-

cis; recita il rosario. A sprazzi, ricordi: brac-

cia vigorose che si allontanano in un profon-

do mare; lei ha paura: tracce inquietanti di

presenze. “Ieri sera ho trovato spalancato l’

Q

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 24

armadio che io stessa avevo chiuso. Sul

guanciale di... ora vuoto, l’impronta di una te-

sta; forse il gatto? Dove hai nascosto le mie

sigarette, dammele”. Ma la casa è vuota; real-

tà e follia si alternano attraverso il filo del te-

lefono. Annina ascolta, poi parla cercando di-

speratamente di aprire all’amica uno spiraglio

in quella coltre che s’addensa e la cinge.

Consigli, qualche spronata, ma... serve? Po-

trebbe fare di più? Il telefono fa bip, bip per

più di un’ora. Tutto si conclude regolarmente

con un affettuoso quanto inutile commiato. Si

ode squillare nuovamente/ “Mamma, il tuo

telefono era sempre occupato, tieni almeno

acceso il cellulare...” Per lei voci e ancora vi-

ta. Quasi si sente in colpa per i suoi guizzi

improvvisi di allegria. Accende la TV, davan-

ti ai suoi occhi distese di mari ignoti, luci, e-

sotici profumi in cui annegare e annientarsi.

Poter scordare tutto e rivivere istanti di gioia.

“Devo ancora cenare”, mormora. Apre il fri-

gorifero; ben allineate nei vassoi frutta e ver-

dura. “Per fortuna stasera non c’è carne”.

Anna Vincitorio

50 ANNI

14 maggio 1964

14 maggio 2014

50 anni son passati

da quando la bellissima

e modernissima nave Marconi,

al suo secondo viaggio in Australia,

al porto di Melbourne arrivò,

e noi a vedere quel mondo nuovo,

di corsa scendemmo tra la gente

che sventolava fazzoletti bianchi,

sorrisi e lacrime di gioia.

Melbourne, splendente di sole,

ci accolse a braccia aperte,

con le sue larghissime strade,

i giardini verdissimi infiniti,

maestosi alberi e fiori dappertutto,

i grattacieli svettavano verso il cielo azzurro,

i negozi abbaglianti di insegne luminose

catturavano lo sguardo,

e tante sfolgoranti di luci annunciavano: "Sale!"

Ma quanto sale si vende in Australia?

Invece significava 'svendita!'

Tante altre sorprese ci riempirono

il cuore di entusiasmo e tanta gioia.

Tutto era bellissimo, tutti erano contenti,

tutti avevano un lavoro sicuro.

Ma l'indomani già

s'incominciò a soffrire di nostalgia,

si stava bene, ma ci ammalammo

del male incurabile della malinconia.

Son passati 50 anni Italia mia

e ancora il cuore piange e non guarisce!

14 - 5 - 2014

Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori

(A.L.I.A.S.), Melbourne, Australia

LA PIOGGIA BAGNA LA CAMPAGNA

Più volte mi ricordo

e più volte vi ritorno

fra i sentieri e le vie

che da fanciulla giocavo e pensavo.

Dipingevo sogni e fantasie

che ora rincorro su altra strada.

Nella loro miseria

un prato verde

ed uno stagno a ranocchi.

Pensieri alti e vuoti

corrono nella mia fantasia

e certa di un risveglio

colgo giochi d’infanzia

dove il sole caldo

colora le facciate della casa.

La piazza è vuota

e dal campanile alto

si odono le ore lente.

E giungerò alla riva del fiume

potando zavorra e paglia

e scricchiolano le scarpe sulla ghiaia

di quel cortile fiorito

mentre la pioggia bagna la campagna

e volano stormi bassi.

Alda Fortini Villonngo, BG

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 25

LA CORRUZIONE E L’ITALIA

di Raffaele Cecconi

LIVIERO Toscani a Piazza pulita -

TV 7 - sentenzia con forza a proposi-

to della classe politica italiana: “Ma

quale classe politica? Io sono un anarchico. E

il nostro è un paese corrotto di corruttori e

corruttibili”.

Anche se ciò spesso è vero non mi sento in

alcun modo di dargli ragione. Perché dopo

aver tanto visto, vissuto e giudicato, conside-

ro il mio paese anzitutto bellissimo e non solo

pieno di corruttori ma di tante persone che da

sempre s’impegnano, faticano e lavorano o-

nestamente. Le catastrofi esistono come pure

i catastrofisti. Ma non si possono assegnare al

nostro paese qualità negative che riguardano

molte altre nazioni, per non dire che esistono

in gran parte del mondo.

Essere corruttore e ladro non significa esse-

re italiano. Mentre riguarda i disonesti in

quanto uomini di qualsiasi nazionalità. Oli-

viero Toscani può generalizzare fin che vuo-

le. Però non si può far passare un’ afferma-

zione negativa come se fosse un oracolo e in-

discutibile verità.

Basta riflettere un attimo sulla storia di ogni

epoca e di ogni tempo per capire che nel cor-

so dei secoli tutti i paesi, chi più e chi meno,

non sono stati certo esempio di virtù, di mora-

lità e correttezza. Gli angeli e gli uomini puri

esistono solo nei dipinti che illustrano i mira-

coli e le gesta dei santi. Ma i vari popoli, chi

per un verso e chi per un altro, si sono sempre

macchiati di crimini, spesso orrendi, e la cor-

ruzione non è una pizza e una specialità di

marca solo italiana.

Prendiamo pure in esame paesi europei o

extraeuropei, case reali o repubbliche, paesi

democratici o meno.

E chi è senza peccato scagli la prima pietra.

A proposito di uomini, e del loro compor-

tamento, mi capita spesso di citare Gauguin il

quale insieme ad altre cose dice a un certo

punto: “A forza di vivere si finisce di sognare

una rivincita e bisogna accontentarsi del so-

gno”.

E per conto mio mi permetto di aggiungere:

“Se un vecchio sogno è insufficiente affidia-

moci a un altro nella speranza che sia miglio-

re”.

E’ per questo che ogni uomo vive.

LAVORO

Quasi tutti i politici affermano spesso:

“Stiamo lavorando”.

E ogni tanto sarà anche vero. Ma per chi li

ascolta, molto più spesso, è viva la sensazione

che stiano solo parlando tra litigi e promesse

rivolte all’elettorato.

Non possiamo certo dire sempre che “il si-

lenzio è d’oro”. Ma nemmeno la chiacchiera

e il vano cicaleccio.

RIFLESSIONI AD ALTA VOCE

Non amo i grandi comizi, le proposte furbe,

con tutte quelle cose che si riducono a solenni

proclami. E mi limito a fare, ogni tanto, quelli

che non chiamo discorsi ma solo riflessioni

ad alta voce.

Anni fa un amico, sapendo che mi ero spo-

sato non giovanissimo, commentò così: “Hai

fatto bene, meglio tardi che mai”. Ma ora da

vecchio, se penso che devo morire, faccio le

corna e dico: “Meglio mai che tardi”.

Quando dichiaro queste cose mi chiamano

umorista. Se ne dico altre più serie mi chia-

mano moralista. Se poi non dico nulla, come

ho voglia di fare spesso, allora passo per in-

differente e come un tizio che non ha voglia

di esporsi.

Questo accade perché gli uomini hanno

sempre bisogno di criticare il prossimo, quel-

lo che fa e quello che dice. A volte uno è

convinto di capire solo ciò che riesce a capire.

E a volte invece crede di aver capito anche

ciò che non ha capito.

Definizione sibillina? Può darsi.

Ma il Paese degli Equivoci è grande per lo

meno quanto è grande, per Saint-Exupèry, il

Paese delle Lacrime. E non possiamo negare

che anche il sorriso, a volte, affiora e spunta

proprio tra le lacrime.

O

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 26

Ma allora, osserverà qualcuno, cosa si può

suggerire a dei mortali umoristi o moralisti

che siano?

Direi niente di speciale. Forse solo di conti-

nuare a piangere sorridendo oppure, se prefe-

rite, di ridere piangendo.

Visto che gli uomini di ogni condizione, di

ogni età e razza non sono perfetti, è altrettan-

to vano aspettarsi un mondo soltanto perfetto.

E possiamo solo immaginare, come arguta-

mente sosteneva Chesterton, “un prato dove

l’erba è soltanto verde”.

Raffaele Cecconi

LA LOTTA DELLE CONQUISTE

I nostri vestiti sono intrecciati

di carne umana.

Le nostre case sono costruite

di ossa di combattenti.

I nostri fiori sono innaffiati

con il sangue e il sudore

di alcuni uomini conosciuti

e sconosciuti,

in tutto lo spettro

della storia dell'umanità.

Il diritto di gridare fortemente

sulle strade

per quello che voglio o non voglio,

me l'hanno dato alcune persone

pagando con il loro dolore, con il loro sangue,

con le loro lacrime, con il loro sudore,

con la loro stessa vita.

Il diritto di innamorarmi, di odiare,

di dire la mia opinione liberamente,

senza aver paura,

di divertirmi, di camminare

a testa alta,

di ridere, quando voglio e come voglio,

di sapere che la legge mi protegge,

e che io la proteggo anche,

di sapere che posso vivere veramente,

di sognare il futuro,

di leggere e di scrivere i miei pensieri.

Per tutte queste cose,

un uomo è morto in un bosco che si bruciava.

In una casa che crollava.

Su una strada un uomo è morto

dalle armi dei soldati.

Tutto quello che io, tu e ognuno gode,

è la vetta della piramide degli sforzi

di tutti gli uomini.

Non c’è e non ci sarà mai

nella nostra società

qualcosa che è stato conquistato

senza lotta e senza sacrifici.

Per ogni verità, per ogni scoperta,

un sogno muore,

un istante, un giorno, un uomo.

Continua perennemente la lotta incessante

delle conquiste

entro le nostre vite,

nei momenti di ogni giorno e di ogni notte,

mentre respiriamo un fiato di ossigeno.

Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemeno-

poulou

FARFALLE SELVAGGE

Sciamano

Un omaggio

Al sole che sorge

Che filtra

Tra secolari alberi

Un carnevale di colori

Che sfiora la pelle

Pulsare d’ali

Mettono i brividi

Portano vita

Tra milioni di fiori

Assetate di nettare

Fecondano

Son baci profondi

Dati in un attimo

Non è passione

Ma puro amore

Che natura dona

Per rendere eterno

Il giardino dell’Eden.

Colombo Conti Albano Laziale, RM

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 27

I POETI E LA NATURA - 33 -

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

NEL GIARDINO DI

EMILY DICKINSON

( 1830-1886)

lberi, fiori e frutti, campi. Interpretati

da una donna-poeta, femminilizzati e

visti addirittura “in concorrenza” con

lei stessa sul piano degli indumenti da indos-

sare.

Anche questa è una delle sorprese che ci

vengono regalate dalla grande poetessa ame-

ricana Emily Dickinson. E precisamente dal-

la sua poesia n° 12, tra quelle ottimamente

scelte e tradotte da Margherita Guidacci. (E'

noto che le composizioni della Dickinson non

hanno titolo, ma sono indicate con un numero

progressivo dall'1 al 1760) :

“ Sono più miti le mattine

e più scure diventano le noci,

e le bacche hanno un viso più rotondo,

la rosa non è più nella città.

L'acero indossa una sciarpa più gaia,

e la campagna una gonna scarlatta.

Ed anch'io, per non essere antiquata,

mi metterò un gioiello.”

Ma l'approccio di Emily alla splendida na-

tura che la circonda si fa meno “leggiadro”,

si approfondisce, nella poesia n° 40:

“Quando conto i semi

sparsi sottoterra

che poi fioriranno -

quando penso a tanti

che giacciono là sottoterra

e che saranno accolti in alto -

e quando credo nel giardino

che i mortali non vedono,

quando colgo i suoi fiori con la fede

e ne scanso le api,

so allora rinunziare a questa estate

senza rimpianto.”

Emily Dickinson nacque il 10 dicembre

1830 ad Amherst, cittadina del Massachus-

sets di soli tremila abitanti, da un' importante

famiglia di tradizioni puritane, in una casa

molto elegante e con un bel giardino. Villa e

giardino nei quali trascorse praticamente in

ritiro tutta l'esistenza, insieme a Lavinia, la

sorella minore. Passava il tempo scrivendo

migliaia tra lettere e poesie. Il suo epistolario

è fondamentale per la conoscenza del suo

mondo poetico. Quanto alle poesie, nel 1862

toccò il record delle 365 poesie scritte in un

anno, praticamente una al giorno.

Ad accudirla nelle cure personali e a sbri-

gare le faccende domestiche pensò sempre

Lavinia.

Forse non tutti sanno che per quindici anni

di fila Emily non uscì di casa, e che faceva fa-

tica anche ad uscire dalla propria stanza, pre-

diligendo la ricca biblioteca dell'amato e te-

muto padre, l'avvocato e politico di successo

Edward Dickinson che, pur amandola, non la

comprendeva in quella sua passione per lo

scrivere lettere e, soprattutto, poesie.

Delle sue circa duemila poesie ne pubblicò

A

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 28

solo 11 in tutta la sua vita. Non fece mai nulla

per farle pubblicare, anche per il timore di re-

azioni negative da parte dei suoi familiari.

L'unica volta che ne mandò alcune al critico

letterario di un periodico, un certo Thomas

Higginson, per averne un giudizio, restò ama-

ramente delusa perché il buon uomo, pur re-

stando colpito dai suoi versi, li dichiarò sfor-

tunatamente impubblicabili. E perché? Sem-

plicemente... perché erano stati scritti da una

donna. Il signor Higginson, come gli uomini

del suo tempo (compreso, ovviamente, il pa-

dre di Emily), e non solo quelli del Massa-

chussets, era convinto che le donne non do-

vessero mettersi a scrivere, tanto meno poe-

sie, e che in ogni caso non dovessero pubbli-

carle...

Fu allora che Emily, ferita nel suo amor

proprio, nelle fibre più profonde dell'anima, si

autorecluse in casa e in giardino, dando di sé,

a più d'uno, l'immagine di una “pazza” e di

una “isterica”, ma in realtà soffrendo molto

nel suo cuore delicatissimo e incompreso. L'

unica consolazione la trovava nella Natura,

nel giardino in particolare, che rappresentava,

ai suoi occhi, un'immagine-campionario dell'

intero mondo esterno. Il Dolore ebbe una

grande parte nella sua vita intima, nelle sue li-

riche si “respira” molto Leopardi (1798 -

1837), oltre ad una certa aria foscoliana. Non

è dato sapere se abbia letto il grande Recana-

tese. Quando Emily nacque nella lontana

America, Leopardi aveva 32 anni, e sarebbe

morto, a Napoli, soltanto sette anni dopo.

A parte quella di un'ottima conoscenza del-

la Bibbia, è comunque evidente un influsso di

Shakespeare. Il linguaggio è comunque sem-

plice ed essenziale, la punteggiatura quasi as-

sente, a parte i punti, le virgole e qualche trat-

tino...

Emily si era immedesimata a tal punto col

suo giardino da confessare (nella poesia n°

19) :

“ Un sepalo ed un petalo e una spina

in un comune mattino d'estate,

un fiasco di rugiada, un'ape o due,

una brezza,

un frullo in mezzo agli alberi -

Ed io sono una rosa!”

L'unico modo, per una tale prigioniera, per

attingere l'infinito attraverso le piccole cose

finite.

Luigi De Rosa

PALOMA

En el cielo vuela, vuela

la paloma mensajera

con el mensaje que lleva

para aquélla que la espera.

Aquella dama tan joven

de aquel castillo rosado,

la del vestido de gasas

de un color semi perlado.

La quiso abatir un hombre

con su fusil apuntando

pero la bala - por suerte -

la bala no dió en el blanco.

Y llegó la palomita

a su destino de amor,

la recibió su señora

con palpitante rubor.

Susana Soiffer Tel-Aviv, Israel

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

12/6/2014

Truccata da Primavera del Botticelli, la mi-

nistra Marianna Madia annuncia l’ennesimo

tentativo della riforma della Pubblica Am-

ministrazione. Alla dichiarazione che la mo-

bilità dovrà effettuarsi entro i 100 km., apriti

cielo! Entro i 50? Sguardi severi, occhi spi-

ritati e puntati a mitraglia. Entro i 25? Alle-

luia! Alleluia! Se dovesse ancora perdurare,

da lavoratori e sindacati, un negativo giudi-

zio, vorrà dire che, come per il passato, ob-

bligatoriamente, essa verrà attuata intorno ai

muri perimetrali dell’uffizio!

Domenico Defelice

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(Disegno di Serena Cavallini)

Recensioni

ANTONIO TODDE

IL VARIETÀ

Edizioni Le Mani, Recco, 2013, € 18,00

Nelle Edizioni “Le Mani” di Recco, che si sono

negli anni rese benemerite per la particolare atten-

zione riservata al mondo del cinema e del teatro, è apparso nel 2013 un grosso volume di Antonio

Todde, intitolato Il Varietà, riccamente illustrato da

vignettisti di valore, che ci offre un’ampia e com-piuta visione di questo tipo di teatro, fiorito in Italia

dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri.

Il libro, che si giova di una vasta documentazione bibliografica ed offre numerose notizie sugli autori

trattati, rivelando con ciò la serietà della ricerca

compiuta, si presenta come l’opera più completa del Varietà e certamente come indispensabile per

chiunque voglia approfondire la storia del suo na-

scere e del suo svilupparsi. Ad apertura di libro se ne indagano le origini, che

si fanno risalire al Café chantant parigino, al tempo

della Belle époque. Emergono qui subito alcuni nomi, come quelli di Lina Cavalieri e di Anna Fon-

gez; dell’imitatore Nicola Maldacea e del trasfor-

mista Leopoldo Fregoli. Molto fertile di talenti in questo settore fu Napoli, dove nacquero numerosi

uomini di avanspettacolo, quali Raffaele Viviani e

Angelo Musco; Gennaro Pasquarillo e Armando Gill.

L’analisi di Todde prosegue serrata, con due capi-

toli su Edoardo Ferravilla e su Turlupineide, Rivista

di Renato Simoni, per poi soffermarsi specialmente

su Ettore Petrolini, romano di origine toscana

(1884), autore di versi comici e di farse. Celebri so-no rimaste le sue macchiette, caricature e parodie,

come quelle di Cyrano di Bergerac, della Traviata e

di Gastone. Ebbe molto successo e persino dei pub-blici riconoscimenti, come quello di Ufficiale dell’

Ordine della Corona d’Italia (1923).

Attore comico di successo fu anche il genovese Gilberto Govi (1885), famoso per alcuni personaggi

fortemente caratterizzati, come quelli del protago-

nista de I manezzi pe’ majâ ‘na figgia; di Annibale Bacigalupo, in Impresa Trasporti Ultima Dimora e

di Pietro Burlando ne Il porto di casa mia.

Al Varietà, all’Avanspettacolo e alla Rivista Tod-de dedica tre Capitoli, nei quali esamina le origini e

gli sviluppi di queste forme teatrali, per soffermarsi

poi specialmente su attori di grande talento, come Totò (al Secolo Antonio De Curtis; Napoli, 1898).

“La sua comicità sottende una tristezza esistenzia-

le” dice Todde, e con ciò va veramente alle radici dell’arte di questo grande attore.

Famosissimo di lui è il personaggio di Felice Sciosciammocca, in Miseria e nobiltà; ma innume-

revoli sono le sue macchiette dalle battute fulmi-

nanti. Moltissimi i suoi film, l’ultimo dei quali, Uc-cellacci e uccellini, ebbe come regista Pier Paolo

Pasolini.

Seguono i Capitoli dedicati a Erminio Macario (Torino, 1902), famoso per la sua comicità un po’

surreale e sfumata, e per le sue “donnine”; e a

Wanda Osiris (Roma, 1905), dalla prorompente personalità e dalle lunghissime scale. Vengono suc-

cessivamente presentati Aldo Fabrizi (Roma,

1905), “dalla personalità debordante e dalla strari-pante fisicità” e Nino Taranto (Napoli, 1907), ami-

co di Totò, col quale recitò più volte, interpretando

anche alcuni film. Seguono il sanremese Carlo Dapporto (1911), “re

della barzelletta”, e il torinese Renato Rascel

(1912), noto per le sue “canzoni comiche” e per i

suoi strampalati monologhi; Alberto Sordi (Roma,

1920), attore di talento in molti spettacoli e film del

Secondo Dopoguerra, lavorò anche per la RAI, con il programma Vi parla Alberto Sordi. Accanto a lui

vanno ricordati Nino Manfredi e Gigi Proietti;

Franca Valeri, con la sua “Signorina Snob” e Dario Fo, vincitore del Nobel Per la Letteratura nel 1997.

Più vicini a noi, dopo Ugo Tognazzi e Raimondo

Vianello, troviamo Walter Chiari (Verona, 1924), dal “temperamento esuberante, entusiastico, giova-

nilistico”: famosa è la sua macchietta del Sarchia-

pone. “Attore comico dotato di simpatia e sorriso con-

tagiosi” fu il milanese Gino Bramieri (1928), molto

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 30

abile nel raccontare barzellette, cui fecero seguito il

napoletano Alighiero Noschese (1932); il catanese

Rosario Fiorello (1960); il foggiano Renzo Arbore (1937); il genovese Paolo Villaggio (1932) e nume-

rosissimi altri, specie attori di Cabaret, come Ar-

noldo Foà, Maurizio Costanzo e Giorgio Gaber. Il volume si chiude con quattro capitoli, rispetti-

vamente dedicati a Paolo Villaggio, Roby Carletta,

al gruppo cabarettistico Cavalli Marci e a Luigi Maio, oltre che con una Nota sull’autore, triestino

di nascita, genovese di adozione, di padre cagliari-

tano, di madre napoletana e studente a Cuneo; spo-sato con due figli e proprietario di diecimila libri e

cinquemila dischi.

Un libo di grande interesse, che getta luce su un vasto settore dell’attività teatrale svolta in oltre un

secolo nel nostro Paese.

Elio Andriuoli

GIANNI RESCIGNO

UN SOGNO CHE SOSTA

Genesi Editrice, Torino, 2014

Già sulla soglia del libro il poeta ferma per un at-

timo il lettore con un ammicco che è nel titolo sotto forma di allitterazione/paronomasia: Un sogno che

sosta. Appena il tempo di chiedersi ragione di que-

sto titolo e la risposta è lì, in quarta di copertina, dove è riportata la prima poesia del libro. Eponima.

Eccola, nella sua bella intensità epigrammatica: Da

dove venimmo /là torneremo: questa / vita un so-gno che sosta / tra acqua e vento / caduta di foglie /

e festa di fiori. (“Un sogno che sosta”). Dunque l’

espressione un sogno che sosta definisce la vita, la nostra breve -ce lo suggerisce il verbo – dimora in

questa dimensione, tra segni di bella ambiguità se-

mantica (acqua e vento possono avere valore posi-tivo o negativo) , mentre invece sono collocati su

poli opposti, ma invertiti (anche se contigui), gli

estremi - o, se si vuole, i dati salienti- della vita

(“caduta di foglie” e “festa di fiori”). La vita, un

sogno: per la brevità, per la vaghezza, per le spe-

ranze che la connotano. Leggo Rescigno e penso a Saba. Hanno in comu-

ne un aspetto di scrittura che è l’adozione di quelle

che G. Debenedetti chiama “parole senza storia”, lessico quotidiano per celebrare la quotidianità, che

è il mondo a cui si ispira l’arte del Nostro, sui ver-

santi della memoria, degli affetti e della natura. Ma attenzione! Le “parole senza storia” del linguaggio

giornaliero sono qui liberate dalle incrostazioni e

dall’ovvietà dell’uso comune e ricollocate nel ruolo primigenio di significanti essenziali, solidi, reali.

Restituite alla loro purezza. Perché Rescigno ha

scelto di recuperare il senso più vivo e vero della

vita attraverso parole vive e vere. E qui sta l’ ecce-

zionalità dell’impresa. Nessuno creda però che questa ricerca di verità e

di semplicità implichi nel poeta di Santa Maria di

Castellabate la totale rinuncia del linguaggio figura-to, del quale solo uno sprovveduto potrebbe osteg-

giare in toto e a priori l’impiego: cosa che, invece,

oggi purtroppo accade. Prendiamo ad esempio il caso della metafora, colpevolizzata e condannata

fuor di misura solo perché nel corso dei secoli ne è

stato fatto uso e abuso. Più logico mi pare che, in-vece della metafora,occorra mettere alla gogna i

poetastri che se ne sono serviti senza discernimento

e ritegno, giacché essa è solo uno degli strumenti a disposizione del poietès che canta in versi la vita. E

va usata, come qualsiasi segmento dell’universo

della retorica, non a titolo gratuito o come orpello più o meno allettante, ma per pura necessità creati-

va, quando cioè essa serve per incarnare appieno il

fantasma poetico. Proprio come accade in Resci-gno, poeta che sa bene il senso della misura e la

bellezza dell’armonia, se scrive versi come questi: ....vanno gli anziani a concedersi / lunghi respiri di

mare / prima del ritiro del sole (“Prima del ritiro

del sole”); oppure: ... il vento salirà le scale / e ti sembrerà che è il mio passo / ad avvicinarsi al tuo

cuore (“Se il vento salirà le scale”); o anche:

T’ascoltavo dondolando il cuore / al ramo d’un ci-liegio già ingiallito / sicuro di portarlo in volo / al

paese della stella più lontana (“L’ora della luna”);

o infine: E sui rami più sottili / delle sere, divina e perpetua / canta la speranza e chiama l’uomo (“

Ascoltate i poeti”). Si potrebbe attingere a piene

mani acqua di poesia da questa ricchissima fonte placando la sete di grazia e di verità: qui ogni lacer-

to poetico è perfuso di saggezza e venustà, di ricor-

do e di passione, sfociando talvolta in confessione di umana stanchezza (Sei soltanto un’anima stan-

ca,/ un mucchio di ore inutili / da consegnare a

qualcuno /che ti aspetta dietro il cristallo / e che ti

dirà ben tornato amico. / E tu gli poserai il capo

sulla spalla / senza piangere. “ Davanti allo spec-

chio”), talaltra in fulminante intuizione (Quale inaf-ferrabile fiore / vola la parola. “Il fiore la parola”),

con forte effetto di rima interna; oppure in acuta ma

rassegnata commozione , come nella lirica “Assun-ta”, persona di grande religiosità e di dolci parole

nei confronti di tutti, che, colpita da un ictus, aven-

do visto per tre mesi la morte là nella strada a un passo da casa -perché non aveva il coraggio per

entrare- e non potendo più parlare, la invita con un

cenno della mano. L’ultimo verso, un endecasillabo di rara bellezza (E le fu luce negli occhi la voce)

esprime, a livello fonosimbolico, una dolcezza li-

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brata sulle liquide, non interrotta ma impreziosita

dai suoni palatali di “luce” e “voce”.

Se c’è dolore nella poesia di Rescigno (e come potrebbe mancare nella vita di un uomo?) si legge,

al più, in note di tristezza, a tal punto esso è compo-

sto e rattenuto. E ciò perché la voce poetante è in totale saggio accordo con la vita, la cui concezione

mi pare sia ispirata a tre capisaldi della dottrina cri-

stiana: fede, speranza, carità; e stimo che il loro si-gnificato vada ben oltre l’ambito puramente spiri-

tuale, trovando linfa e nutrimento in un’ampia e

sofferta umanità. La poesia di Rescigno è “necessaria” per un du-

plice aspetto: perché è un’esigenza ineluttabile del-

lo spirito del suo autore; e perché nel manifestarsi si serve del tratto di penna davvero indispensabile a

significare il lampo creativo, nulla di più. Poesia ra-

stremata, dunque, votata all’essenzialità espressiva ma, prima ancora, impulso intenso che prorompe

dall’interiorità e reclama spazio vitale. Tutto que-

sto in versi soffusi di dolcezza e di amore, di realtà e di memorie e, infine, del fascino avvolgente della

poesia di un uomo innamorato della vita.

Pasquale Balestriere

ENRICA GNEMMI

REQUIEM

a cura di Paolo Zoboli Interlinea, Novara 2014 - Pagg. 106, € 12,00

Enrica Gnemmi (1922 - 2004) è nota per il ro-manzo Il muro di Berlino uscito nel 1962, e ripub-

blicato postumo nel 2011 insieme ad un avvio di

continuazione in due capitoli, e per il corposo testo narrativo Capriccio. Le avventure di Pfinpfin e Sa-

tulit venusiani del 1987. Una parte cospicua di que-

sto libro ha il titolo Variazioni, tre inserti prodotti in tempi diversi che qui, letti ad alta voce da Pfinpfin

richiamano nella funzione musicale della variazione

il tema già trattato dall’autrice nel Muro di Berlino,

quello del Potere e della Tirannide. Le tre partiture

sono collegate tra loro, ma la terza, vale a dire Re-

quiem, è più ampia delle altre ed ha inoltre, rispetto ad esse, una sua autonomia che ha consentito al no-

tevole curatore Paolo Zoboli di presentarla come

un’operetta a sé stante. Prima di iniziare la mia ana-lisi sottolineo il fatto che non deve stupire il lettore

il ricorso alla terminologia musicale da parte di una

letterata: Enrica infatti era anche diplomata in pia-noforte e svolgeva un ruolo di maestra di canto. E

forse con i lemmi, variazione capriccio, non avreb-

be potuto, sia pure inconsciamente, richiamare la nostra attenzione sull’armonia e il ritmo della sua

poesia, su una personale resa espressiva dove anche

la prosa richiama il verso? “Sciabolate di fuoco,

perché nessuno dimentichi” (pg. 57)...; “dall’ albero

si snoda flessuosa la tentazione” (pg. 63)...; “Esce il capro dal recinto; ghirlanda di rose” (pg. 83) ecc.

Ma andiamo per ordine, come annota il curatore il

primo elemento di Requiem da mettere in rilievo è la struttura religiosa per cui il significato dei rac-

conti, apologhi, poesie organati nell’inserto è anti-

cipato e chiarito dai titoli che sono stati estratti dal rituale della messa cattolica della Messa funebre:

Introibo, Kyrie, Dies irae, Benedictus, Osanna ecc.

La morte di conseguenza è una presenza dominante nel pensiero e nella poetica gnemmiana, anche se di

volta in volta la scrittrice la esorcizza con la poten-

za spirituale della parola: “la vita è un viaggio nel regno del segreto silenzio”, tuttavia “l’occhio si

tende a rapire sonorità interiori... i mai ascoltati

sussurri dell ‘ingenuità ignara di mete e di fini”. E nel complemento della musica Enrica cita lo Studio

opera 25 di Chopin per spiegare che la parola per-

corre la storia, ma è strumento per leggere l’ attuali-tà; di qui parte la sua ricerca della Verità, la sua bat-

taglia contro il Potere, l’ingiustizia ed i corollari che ne aumentano la forza.

La scrittrice ora ricorre a incisive, inoppugnabili

carrellate storiche sulle secolari dolorose vicende occorse alla Polonia: dal martirio di San Stanislao

agli assalti dei maestri dell’Ordine Teutonico, dal-

le spartizioni nel XVIII° secolo del suo territorio all’orrendo massacro di Katyn - 22000 le vittime!

-. Si tratta, come ognuno può vedere, di episodi e

di persone che nella loro dolente disumanità, sono la cifra di luoghi e figure altri: ecco allora, accan-

to a presbitero ancora polacco, Popieluszko, il ri-

cordo di un San Thomas Becket inglese, di un Oscar Arnulfo Romero, salvadoregno e quant’altri

nel novero dell’umanità calpestata si potrebbero

citare. Contro la quale il progresso tecnologico si pone al servizio del Potere: “Rubicondo vitami-

nizzato - Igea avanzi e l’uomo le si affida” - non

ci curiamo di violare le leggi della natura; afflitti

dal problema delle scorie atomiche non lo sap-

piamo risolvere, ne facciamo un mistero che lo

sterratore “il becchino non risolverà”. Nella note-vole sezione Sanctus, una martellata sequenza in-

sieme narrativa e allegorica accostata al racconto

epigrafico delle Tentazioni di Gesù denuncia l’ invito al consumismo “la tavola era imbandita”;

“Lo schermo giganteggiava sul muro” sono gli

incipit di due apologhi, attualissimi certo cari agli economisti odierni nei loro risvolti deteriori. Cer-

to Enrica non si nega ad una larvata eppure reale

speranza di riscatto. Per provarla l’ occasione le viene ancora dalla Polonia, forse per il tramite di

quell’uomo di Chiesa che da quest’anno veneria-

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mo come Santo. Così almeno io interpreto il ri-

cordo della costruzione, ad opera del Principe La-

dislao di Opole, di un tempio dedicato alla Ma-donna Nera e quello della sua invasione e della

profanazione della santa icona per mano di orde

nemiche. Ma proprio dalla Madonna Nera “tutrice della patria” venne la salvezza, “canto che esplo-

de dalle viscere della madre comune”.

Sprazzi di luce traversano ora la narrazione di Requiem e, insieme, il linguaggio alto si attenua,

si appiana l’ambientazione epica. Divenuta prota-

gonista Gnemmi propone quanto lei stessa per noi e con noi potrebbe fare per una redenzione. Mi ri-

ferisco allo splendido, commovente dittico Osan-

na e Il Labirinto. Il primo brano, rivisitazione del Giudizio Universale di Michelangelo il capolavo-

ro pittorico noto e caro ad Enrica - e forse dell’

Apocalisse di Giovanni Apostolo - lo rappresenta come l’aldilà rasserenato del risveglio dopo la

morte fisica: vinto il buio “la verità, ritmo creato-

re percorre tutto”. La scrittrice ci fa assistere con lei alla “venuta di Maria, tappeto di rose”, del Cri-

sto trionfante “con nelle mani il segno della vitto-ria”. E avanzano intanto il Giusto e il Poeta, “tra-

sfigurante mania... sapienza abissale”. Non credo

che qui la scrittrice parli di sé, ma è chiara la sua convinzione sul ruolo di positività morale, non so-

lo estetica, di arte e poesia. Di forte incidenza au-

tobiografica è invece Il Labirinto, così come pos-siamo dare anima e respiro gnemmiano alla figura

letteraria di Isotta. Si incidono nella nostra memo-

ria, e cementano per sempre affetto e stima, “le notti temute, nel troppo scorrere di notti eterne

(quando) nella ruota del tempo cominciarono ad

essere desiderate perché la morte non era più or-renda ed ella - Isotta, Enrica - contemplò il pro-

prio nulla e fatta pietosa di sé, accettò il suo desti-

no”. Queste parole che confermano una costante pre-

senza del pensiero della morte nel doppio percor-

so, creativo e esistenziale, della scrittrice sono un

preludio di pochi anni al suo suicidio, ne docu-

mentano il coraggio e la scelta per un’estrema te-

stimonianza di opposizione morale al Potere, di ricerca della Verità, di riscoperta della buona u-

miltà nei rapporti coi fratelli e davanti alla gran-

dezza di Dio per ritrovare la nostra vera grandez-za umana.

Sono stata collega di Enrica Gnemmi nei lontani anni ‘62/64 e in varie occasioni ho avuto modo di

apprezzare la sua disponibilità umana e la sua

grande cultura. Ella rimane per me un’amica in-dimenticabile.

Piera Bruno

ADRIANO ACCORSI

IL SOGNO Edizioni Simple, Macerata 2007, Pagg. 80, € 3,00

Adriano Accorsi è nato a Treia nel 1940, ma vive

nel capoluogo, Macerata; con Il sogno, opera in versi, raggiunge la sua quinta pubblicazione. Que-

sta è dedicata a Giorgio Bàrberi Squarotti, il quale

ne esalta il valore, scorgendovi “l’eco dei romanzi arabi e persiani e, al tempo stesso, dei poemi caro-

lingi.”; aggiungerei pure una visione alla maniera

dei gironi danteschi. Mi sembra indubitabile l’impegno profuso nell’

impianto studiato con geometrica simmetria. Il po-

ema si struttura, in sette capitoli, ciascuno dei quali segue uno sviluppo autonomo, nel senso che non

c’è intreccio fra di loro, se non lo svolgimento con

alcune varianti che distinguono gli uomini che si avvicendano per ciascun capitolo. I personaggi so-

no tutti denominati come il bambino, un pazzo sette

volte, e un saggio pure sette volte. Si susseguono incontri e racconti senza ulteriori agganci fra di lo-

ro, aventi per soggetti generalmente altri uomini, inoffensivi, e donne orrende, salvo un gruppo di

bambini e una madre. Sul piano letterario non sono

in grado di segnalare afflato poetico, ma prosa; i versi (di lunghezza variabile) hanno la brevità dei

periodi e risultano trasognanti. Il senso poematico

può ritrovarsi nella numerosità delle situazioni de-scritte, che si ripetono come in una sorta di formu-

lario, secondo un codice da decifrare, comprensivo

di numerologia, di colorimetria, di bestiario, come preciserò più avanti. Tento una sintesi del testo.

Dall’incipit: “Il bambino vestito d’azzurro/ stava

sotto la quercia altissima/ immersa nel silenzio.”, raccoglie foglie cadute che ammucchia intorno all’

albero stesso, dal quale, a raggiera, “nascevano set-

te viali lunghissimi/ e ognuno diverso dall’altro.” (caratterizzati nell’ordine da: cupezza, chiarore,

vento gelido, brezza leggera, alba perenne, sole ro-

vente, illuminazione perenne). Da ciascuno dei via-

li, volta per volta, viene incontro al bambino, un

pazzo, mite, che gli racconta come gli sia stato sot-

tratto il senno e quanto gli sia accaduto; il pazzo è contraddistinto da alcune caratteristiche, in partico-

lare è in compagnia di animali tenuti a guinzaglio o

che lo trasportano (nell’ordine: un agnellino, una scimmietta rosa, o insieme un gallo un tacchino e

un pavone; un cavallo celeste, o accovacciato entro

il marsupio di un canguro gigantesco; oppure in groppa ad una tigre, o a cavalcioni di una fenice);

poi si allontana con la certezza di rinsavire grazie

alle foglioline dategli dal bambino. Segue l’ appari-zione di un uomo, saggio, che fa altre narrazioni,

brevi, anche egli in compagnia di animali tenuti a

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guinzaglio o sulle spalle (nell’ordine: castoro, ca-

priolo, volpi rosse; o insieme gaviale blu e pettiros-

so, cucciolo di pantera, cagnolino viola, insieme tortora e civetta). Infine, nel breve brano di chiusu-

ra, l’esito finale mette insieme le figure positive: i

sette saggi “seduti sui rami/ e l’albero/ e il bambi-no/ si mutarono tutti all’improvviso in cenere.”.

Mi soffermo brevemente sulla valenza di alcuni

simboli. Così il senno viene meno per varie cause, nell’ordine: dalla cattiveria di una donna, dagli abu-

si sessuali, dal becco di un gabbiano, dalla propria

immagine, da una foglia, innalzandosi in volo all’ altezza d’aquila, dall’inebriamento. Il numerario si

ha fin dalla struttura dei sette capitoli, sette viali;

ventuno scalini per farsi ricevere da una donna dal “volto di bambina” ma dalla voce di una donna di

“mezza età”; oppure quando “apparvero sette uo-

mini e tre donne”, due serpenti, tre vipere; nove bambini; altri bambini dagli otto ai tredici anni; un

uomo di 40 anni che si ritrova fanciullo al cospetto

della madre, oppure di 60 anni dalle mani callose baciato dalla poesia; sette donne ammalianti e paz-

ze (rappresentano i sette vizi capitali Superbia, In-vidia, Ira, Avarizia, Accidia, Lussuria, Golosità).

Adriano Accorsi veicola messaggi. Così la grande

quercia, è come la vita che ci pone davanti ad alter-native; nella commedia in cui recitano sette attori, il

protagonista principale è contento perché interpreta

una parte di suo gradimento, ma poi quando sta per interpretare una parte che non gli piace, estrae una

pistola e si spara senza che nessuno dia alcun se-

gno, morendo nell’indifferenza degli altri (la gente applaude, ma non sa che è tutto vero). Così il lavo-

ro parassitario rappresentato da una bara; e al con-

trario, l’uomo stanco del lavoro che trova casa sbar-rata da cani ringhianti. Un giovane recita: “A cosa

serve guardare l’azzurro,/ il volo di una rondine e

l’olivo/ nel disteso tramonto, quando corde/ di ser-penti mi soffocano l’anima?” (pag.64). Ricorda che

“ogni uomo vive/ l’avventura di tutta l’umanità”

(43), dopo rimane solo cenere.

(novembre 2012)

Tito Cauchi

BRANDISIO ANDOLFI

RICORDI E RIFLESSIONI Bastogi, Foggia 2007, Pagg.84, € 6,00

L’esergo alla raccolta Ricordi e riflessioni, espri-me il pensiero di Brandisio Andolfi su ciò che rap-

presenta la poesia: “l’unico, mezzo che ti permette

di essere padrone delle tue idee, dei tuoi pensieri, dei tuoi sentimenti. Essa è la vera storia dell’anima

tua e di quella dei popoli.” L’eclettico professore,

campano di Casale di Carinola, è nato nel 1931.

Vincenzo Rossi assicura, nella prefazione, che gli

interessi del Nostro spaziano tra “la Storia, la Poe-sia, la Narrativa, la Critica, la Filosofia/pedagogia,

la Linguistica” che gli hanno valso riconoscimenti

da parte di qualificati esperti. Coglie nel Poeta la visione di un mondo di fiaba, in cui rimane abba-

gliato dalla bellezza muliebre, ove perfino la morte

si presenta, in un certo senso, con volto benevolo. Mentre Dante Cerilli rileva, con la sua nota critica,

il carattere personale intimo, lirico e reale nel con-

tempo, che tiene conto del momento storico in cui viviamo.

Il Poeta afferma che il presente ha senso se è con-

siderato in tutto il proprio vissuto, legato quindi ai ricordi; e le riflessioni ne sono una conseguenza.

Gli uni e gli altri sono raccordati dall’avvicendarsi

delle stagioni, delle albe e dei tramonti, gioie e tri-stezze; od anche, adesso, da rassegnazione: una se-

rena visione della vita. Un degno esempio ci viene

offerto dal più volte ricordato Papa Giovanni Paolo II degli ultimi giorni della sua vita terrena, che tra

‘agonia e fede’ saluta i devoti per tornare alla casa del Padre Celeste.

Dalla visione oggettiva degli eventi, torna a se

stesso: “Mendicante/ di quiete mi saziava l’ombra d’una quercia/ in cima alla salita: meta secreta

dell’anima./ La stanchezza m’era di sprono tanto/

quanto oggi il ricordo che m’illumina il pensiero./ Tra passato e presente solo ricordi e riflessioni.”

(pag. 21). Ricordi giovanili affiorano quale carezza

all’anima: una bella vergine in un prato di fiori “tut-ta protesa alla battaglia dell’amore.// Il suo petto

ansimava d’un respiro nuovo,/ si gonfiava di pen-

sieri, di secreti desideri. ” (pagg. 22-23); per torna-re sgomento ai tempi attuali dove a contare sono l’

apparire e il conto in banca. Riflette ancora una vol-

ta che, al pari di una singola goccia d’acqua che giunge al mare, così ogni essere umano è destinato

alla sua sorgente, dopodiché non è possibile tornare

indietro; ma sa che una vita condotta con fiducia

rafforza le certezze.

Brandisio Andolfi, in uno stile ben curato, ci fa

aspirare i profumi della terra, gli odori veraci della famiglia, in contrasto del frastuono e dello smog

della città. Così ricorda le piazze e le viuzze della

sua infanzia, ora divenuti luoghi dell’anima: “Il Ca-stello, il Mercato, il Corso Lucilio:/ le mete preferi-

te della mia città,/ le ho pensate lungo la via di

Monte Ofelio.” (31). La sua esperienza gli ha fatto conoscere gli orrori della guerra, da ragazzino; e da

grande ha visto e vede come gli uomini e gli Stati

continuano ad ammazzarsi, a nutrirsi di livori, di ri-vendicazioni, benché si sbandieri la pace. Forse an-

che per questa ragione, la morte, viene considerata

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come una cattiva signora.

Il Poeta commenta sul paesaggio che ci fa sussul-

tare, siamo a bordo di scatole metalliche come a cavallo di alati Pegaso e ci sentiamo onnipotenti; al

mattino ci svegliano il rombo di motore e i cattivi

odori della immondizia; mentre inosservati cinguet-tano gli uccelli e gemmano le rose e le altre piante.

Ma pure uno sguardo alla vita politica del Paese, ci

lascia delusi. I nostri giovani del Sud emigrano ver-so il Nord, e intanto a migliaia dall’Africa o dal vi-

cino Est migrano verso di noi, martirizzati dalle

guerre e dalla fame. Il Poeta è cresciuto con la vi-sione della luna, del cielo stellato e della natura ri-

dente e dei sogni; dialogando con la volta celeste.

Le rimembranze lo conducono al padre, il suo pri-mo maestro di vita, saggio e innamorato, dedito alla

coltivazione dei campi; alla figlia che l’aspettava

alla stazione; pensa ai primi innamoramenti; ma fa capolino sempre l’idea della morte. Ad un corteo

studentesco avverso la ‘legge Moratti’, ammira la

spensierata giovinezza. Brandisio Andolfi dichiara di non volere “ingros-

sare la schiera/ dei ‘poeti’ morti senza luce/ otte-nebrati dall’oblio indegno; mi basta/ aver dato vo-

ce ai moti dell’anima” (62). La morte è celebrata

come un inno alla vita; come il giusto epilogo del viaggio terreno. Così, in chiusura, ricorda alcuni

amici che l’accolgono con un ‘ben accetto’ ed è

come un volersi congedare; ma noi l’attendiamo ancora.

Tito Cauchi

PASQUALE MONTALTO

LA MAGIA DI ESISTERE Ed. Progetto Cultura, Roma 2012, Pagg. 112, € 12

Pasquale Montalto è calabrese di Acri (classe 1954), di professione sociologo, psicologo- psicote-

rapeuta, attivo nell’impegno civile, coltiva l’ amore

per la poesia; dedica la recente raccolta, La magia

di esistere, ai “Maestri di Vita, passati e presenti”.

Copertina, Dalle acque la nascita, e disegni

all’interno, sono di Alice Pinto, hanno tratti delicati ed eleganti, e un’aria fiabesca, tra l’allegoria e la

metafora, per es. albero antropomorfo, immagini

stilizzate di donne. In esergo un componimento di David Andrew Pascal Montalto, che si dichiara:

“modellato con le mani dell’amore” mi fa percepire

l’impressione di un’unità familiare di sereno e forte amalgama.

Il libro comprende 45 titoli, i cui primi cinque

presentano ampi componimenti; ma il tutto forma un solo poema, all’insegna del valore esistenziale,

dell’Universo, dell’uomo e della stessa poesia.

Concordano tutti gli interventi critici nel segnalare

le finalità socioculturali del Nostro e l’uso della pa-

rola “giusta”, chiara e immediata, su cui mi riservo di fare qualche osservazione, in chiusura. Così

Francesca Innocenzi, in prefazione, garantisce che

il Poeta persegue una proposta controtendenza, ri-spetto alle “logiche cenacolari, snobistiche, oppor-

tunistiche”, utilizzando immagini genuine tra magia

e realtà. Carmine Chiodo, nella introduzione, asse-risce che Pasquale Montalto offre argomenti che

fanno meditare, raccontando di sé come se si trat-

tasse dell’altro, ponendosi all’ascolto di un interlo-cutore silenzioso che ora rappresenta l’Io, ora l’ Al-

tro, ora tutti Noi: “poesia dell’Amore, della Bellez-

za, dell’Infanzia, dei cari Luoghi, che regalano ver-si veramente stupendi”, in cui pone l’accento sul

battito della scrittura e della lettura connotata dalla

modestia “tale che la poesia si configura come una continua e sicura riflessione sulla vita”.

Anticipo quanto affermato in postfazione: Anna

Lauria, sulle orme dello strutturalismo di Roman Jacobson [studioso russo], evidenzia la frequenza

con cui Montalto presenta parole come Armonia, ben 14 volte, o Amore, 70 volte, cioè più di ‘dolo-

re’; e nell’intervista ci fa conoscere un po’ meglio l’

Autore stesso, al quale sono cari tre famosi versi di Quasimodo, “Ognuno sta solo sul cuor della terra/

trafitto da un raggio di sole;/ ed è subito sera” e i li-

bro di Edgar Lee Masters, “L’Antologia di Spoon River”, convinto che la poesia possa salvare il

mondo.

Pasquale Montalto esprime in forma autobiogra-fica la geografia dell’anima: comunque parli, di sé

o dell’Altro, si fa pelle sensibile del mondo; fa una

trasposizione dei sentimenti e della propria conce-zione della vita, fin dall’incipit: “Figlio di una sto-

ria ingrata/ e che non mi appartiene/ - nato fuori

tempo/ e dove non dovevo - / …// S’aggira tra Isra-ele e Palestina/ un forte profumo,/ che del cedro del

Libano/ porta le carezze dell’amore/…// più grande

m’ammalia/ il magico sentiero dell’India”, in cui il

Poeta si unisce con il Tutto in un luogo di medita-

zione (samadhi e ashram), facendo dell’India il nu-

cleo del suo amore intimo. Ma il viaggio lo traspor-ta ancora più a nord e a est, del pianeta, tra i prodot-

ti della terra e i bisogni delle popolazioni.

Dichiara la sua ferma volontà: “scrivo e vivo la parola/ e non concordo/ col testardo rimando/ di

quel che non si dice.” (pag. 23), l’uomo gareggia

per fagocitare l’altro uomo, per il potere. L’ agoni-smo [anche se finalizzato ad ogni costo al merito]

degenera nell’egoismo, aggrava contrasti, inganni,

odio, che inducono l’uomo o i popoli ad assalire il vicino. Società inquieta, ansiosa o godereccia; ci

mascheriamo per ingannare o per proteggerci, fi-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 35

nendo per vivere falsamente; il cuore rimane ina-

scoltato. Il ricordo può dare dolore ma rende più

sensibili; noi siamo solo piccola cosa; una sorta di membrana senziente delle vibrazioni universali.

Il Poeta attinge nel vissuto trovandovi “la favola e

la magia della vita”, dichiarando: “felice d’Essere per come sono”. L’Anima si nutre di Bellezza ed è

questa che può salvare l’Umanità; la Verità poetica

è trovare ed espandere la gioia, condividerla; crede-re nel mito e nel sogno, nelle stelle e nella luna; vi-

vere seguendo la natura; riscoprire la genuina verità

delle parole vicine al modo di sentire e di compren-dere. Pasquale, nella sua odissea, raggiunge come

un relitto la terra dei Feaci, è ammaliato del fascino

di Nausicàa; ma, come è nel mito, si ridesta per continuare il suo viaggio verso il Luogo dei suoi af-

fetti. Tuttavia abbiamo la consapevolezza di essere

soli, bistrattati, evitati; ma dalla solitudine sappia-mo trarre momento di meditazione, vivere la quieta

pace dell’anima, godere del sole e potere guardare

gli altri negli occhi. La vita è meravigliosa, sta a noi coglierne la bel-

lezza, i colori del tramonto, il firmamento; la ‘bella Sila’ e i suoi pini, i profumi e il lago Cecita. Il Poe-

ta ricorda la madre quando gli dava la sveglia, la

propria infanzia, la famiglia unita, la sobrietà; dice che nella coppia, anche silenziosa, si può godere

dell’armonia dello stare insieme; nella notte avvie-

ne la magia: “amarsi, amare,/ al di là di ogni sacri-ficio,/ e trascendere,/ trascendersi nel progetto

dell’amore.” (73, “L’Io e il Tu”). Egli si stacca dal

suo corpo, divenendo puro spirito e osserva se stes-so e il mondo circostante; contempla la sua sposa,

novella Nausicàa, bella come una donna jonica,

bella come una rosa, dai capelli con ‘riccioli’ ribel-li. La sua parola riesce a dare sostanza ai versi e a

trasformare il lettore in coautore.

Angelo, secondo nome del Poeta, tiene caro l’ al-bum dei ricordi; le emozioni non possono cancel-

larsi. Così il Natale festoso; il figlio bambino diver-

tito con un libro dal quale fuoriescono vecchi fo-

glietti “rigonfio di tanti cimeli”, che raccontano so-

gni addormentati. E rivolgendosi a Ennio Di Rollo

osserva come sia “… dolce dormiveglia che onora la vita.” (89). Nella pienezza del godimento spiritu-

ale, in chiusura del poema, esprime nella massima

convinzione, con naturalezza: “Lussuria creativa/ dove il seno accorda la vagina/ …// con la vagina

rilassata,/ che accorda un dialogo inaspettato.”

(90), uno stato coscienziale ardito. Commenta che sono le piccole cose che riempiono e fanno felice la

vita; così se guardiamo con gli occhi dei bambini,

forse, riusciremo a riscoprire l’innocenza. Pasquale Montalto fonda la sua poesia sugli affet-

ti a partire dalle radici; basa il suo credo nel guar-

darsi senza vanagloria, nell’avere rispetto delle ori-

gini, dell’insegnamento paterno ereditato che è da

trasmettere ai figli. Fa terapia attraverso il binomio “Io e Poesia”, più volte ripetuto, come pure attra-

verso “salvezza e pace”. Rivendica il suo spazio vi-

tale con l’Io poetante anche richiamando Thanatos, nella morte dei cari, ed Eros, nell’apogeo dell’ a-

more; elabora il dolore attraverso il culto della vita;

si trova in uno stato di contemplazione, di beatitu-dine. Si pone le domande dell’uomo primordiale ri-

guardante l’Universo, identificandosi con le grandi

e piccole cose. Fa della vita la sublimazione dell’esistenza dell’

uomo e dell’universo, rivendica il diritto di esistere,

il diritto di essere lui a dare senso alla vita, confer-mandolo nell’Amore; “felice d’Essere per come

sono”, ripete in più occasioni. Spirito elevato alle

altezze astrali, umane e religiose, usa una scrittura naturale e chiara, come s’è detto in apertura, ma

l’interpretazione si arresta agli aspetti figurativi o

immaginativi immediati; mentre il vero significato rimane impalpabile sia pure come una pellicola,

nell’anima del lettore divenuto coautore. Avendone conoscenza aggiungo che con La ma-

gia di esistere, Pasquale Montalto, completa la tri-

logia dedicata all'amore (I Colori dell' Amore, Io e la Vita). Non mi pare che Egli segua logiche sche-

matiche, preordinate, ma le sue parole scorrono fa-

cendo leva sul verso libero, scandito dalla natura-lezza dell’espressione verbale, che porta in espan-

sione l’Essere: l’essere se stessi; eleva un’elegia al-

la vita: la vita tutta. Le parole “giuste” non possono essere sostituite o ricoprirsi di ulteriori significati. Il

Poeta confessa con semplicità estrema “e nel segre-

to si ricrea la magia,/ umile ragione dell’atto crea-tivo.” (53). Perciò le parole lasciateci negli scritti o

dette dagli anziani, sono anche esse un tesoro di cui

tenere conto; le parole usate bene, quelle “giuste” del Nostro, accendono la gioia di vivere.

( giugno 2012)

Tito Cauchi

ELEONORA COGLIATI

ALL POEMS

PUBLIBOOK IRELAND 2014

ISBN 978-1-909774-11-7

Non sono poi molti i libri di poesia contempora-

nea italiana interamente tradotti e pubblicati da edi-tori di area inglese, anche se, leggendo plurime

quarte di copertina nostrane, traspare spesso un

malcelato desiderio di molti Autori al riguardo. Eleonora Cogliati (Olginate, Lecco, 1969), sulla

cui silloge Gocce di emozioni, Aletti Editore, ab-

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biamo letto con interesse la puntuale disamina di

Giuseppe Leone (Pomezia Notizie, marzo 2012,

pagg. 10,11) è risultata prima assoluta fra i 133 poeti partecipanti al Premio Polverini di Poesia Edi-

ta 2013 – con la raccolta Anima, Aletti Editore – e

quindi oggetto di uno studio monografico presenta-to con successo e con partecipazione anche di im-

portanti personalità istituzionali brianzole.

Questi fatti hanno portato poi a proporre ad un e-ditore inglese tutte le poesie edite ed inedite della

poetessa di Olginate chiaramente supportate da un

solido apparato critico che è stato determinante per un positivo orientamento alla pubblicazione degli

All poems in una bella edizione di 130 pagine.

Ma tutto questo non sarebbe avvenuto senza la presenza in campo nazionale di una rivista lettera-

ria, come questa di Domenico Defelice, che per

prima ha offerto spazio ed incoraggiamento ad E-leonora Cogliati, dandole fiducia ed impulso nella

sua produzione lirica.

Mi sono chiesto spesso come faccia una donna impegnata nella ditta paterna – leader a livello

mondiale nel campo degli impianti di alimentazio-ne zootecnica –, con famiglia e due figli da seguire

a trovare il tempo psichico necessario a scrivere

poesie. La risposta consiste laddove è evidente che le fra-

gilità e morbilità dell’Autrice diminuiscono man

mano che lei si approssima alla sua poesia e se ne impossessa. La poesia la seduce e quindi la guari-

sce. Quindi scrivere versi è anche terapeutico se

non taumaturgico, almeno per chi ne ha bisogno.

Gianfranco Cotronei

DANILA OLIVIERI

LE PAROLE DEL VENTO Ed. Montedit, Melegnano, Milano 2013- pagg.40 – euro 7,30

Danila Olivieri, poetessa di Riva Trigoso (Sestri

Levante, Genova), continua da anni, senza interru-

zioni, il proprio discorso lirico, affiancandolo a

quello di promozione culturale come presidente del Salotto letterario San Marco (sul Molo Pilade Quei-

rolo, a Sestri) e come organizzatrice del Premio let-

terario “Giovanni Descalzo-Sestri Levante”. Appena pubblicata la silloge Le parole del vento

(Edizioni Montedit) eccola riproporsi, tra un Pre-

mio letterario e l'altro cui partecipa come concor-rente ( e spesso come vincitrice) con una Antologia

dei suoi testi migliori degli ultimi anni.

Ma è la raccolta Le parole del vento che qui mi in-teressa, nella sua originalità di temi e di forme e-

spressive. Ottimamente prefato da Danila Boggiano

(anch'ella poetessa di Sestri Levante, nonché Vice-

presidente del Centro Culturale L'Agave di Chiava-

ri) il volumetto, di circa quaranta pagine, grafica-mente grazioso, che è compreso nella Collana “Le

schegge d'oro” (I libri dei Premi) della citata editri-

ce Montedit di Melegnano (Milano) si suddivide in tre Sezioni: Missive dal bosco (10 poesie), Messag-

gi di paesi (10 poesie), Il paese (9 poesie).

Con quest'opera la Olivieri porta a coronamento un discorso coerente di poesia e d'amore scaturente

dai luoghi della propria Liguria di mare, di campa-

gna e di bosco, quella Riviera di Levante che si e-stende dai golfi azzurri ai boschi dalle mille sfuma-

ture di verde, giallo e marrone, tutti percorsi da un

onnipresente vento, saturo di colori e di profumi, simbolo di vita e di morte.

La stessa prefatrice, a conclusione del suo parte-

cipato, quasi febbrile intervento, scrive: “ Farei tor-to alle ragioni di questa poesia se trascurassi l' az-

zurro e l'oro e il verde e i profumi di cui...è imbevu-

ta, fino a traboccarne, fino a rischiare un irreversi-bile schianto...Cosa che qui non accade, in virtù di

quelle tenaci, profonde radici, dal momento che né il borgo, né il paese, né la baia...possono offrire

una sosta all'andamento pendolare tra vita e morte,

tra luce e buio, e la vela della speranza, lungi dal trovare un approdo, continua a “sfidare il maestra-

le”, dolorosamente e felicemente indomita nel gran

mare aperto.” Aggiungo che il discorso poetico della Olivieri

viene approfondito e allargato anche ad altri luoghi

del mondo e ad altre tematiche. Sempre, però, con un amore particolare e trepido, soprattutto, per le

figure di parenti (innanzitutto marito e figli) e di

amici che hanno popolato il suo cuore e la sua men-te in questi anni. E un amore non meno forte per

fiori e piante, per piccoli animali, per particolari

della Natura, anche minuti, che la ispirano. Un discorso artistico iniziato con piglio sicuro già

con le sillogi precedenti, tre pubblicate dalla Mon-

tedit (Sole di scirocco, Voli nel profondo, I giorni

della merla) e due dalla Bastogi di Foggia (Stella

cometa a Tregosa e Dritto e reverso), sia in italiano

che in dialetto genovese. Il filo ideale che tiene unite le ventinove compo-

sizioni de “Le parole del vento” è, fondamental-

mente, l'amore. L'amore per la vita, per tutte le sue manifestazio-

ni. E, se sul piano più strettamente critico, possiamo

notare, nel tempo, la indubbia, accresciuta capacità descrittiva di paesaggi naturali, luoghi urbani, ani-

mali, piante, persone (con un lessico in continuo

divenire, che si affina sempre di più, con tentativi, anche, di preziosi neologismi) quello che ci lascia

piacevolmente stupiti è la sempre maggiore pro-

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fondità dei temi affrontati. A cominciare da quello,

fondamentale, dell' altra cosa. Ossia, della Morte.

Nella poesia L'altra cosa, infatti, la Olivieri ci svela quello che è il suo concetto di vita e di morte,

concetto che aleggia in tutta la sua produzione, e

che comunque, in questa composizione, raggiunge l'acme della sua chiarezza cristallina:

“ La morte non è l'invisibile

a opporsi nell'aria, non è l'altra cosa.

Vita e morte divise

in minuscoli fiati palpitanti fluttuano nel bosco fino a toccarsi.

Sussurra vita l'aria

se volo di farfalla la anima, porge amore la terra

mentre dischiude il fiore

e di vita trema la macchia quando brezza l'erba nuova disfiora.

Ma è colmo d'abisso il lamento

del biancone ormai stanco, dondolano la morte i pini

se il vento suona lo xilofono dei rami malati e urlo di sirena

penetra la sera e la inquieta.”

Luigi De Rosa

ALDO MARZI

TOTÒ E PINOCCHIO

Aletti Editore, 2011 - 44 pag.

Recensire il libro appena letto non sarà davvero

facile… perché non so davvero da che parte comin-

ciare! Ci provo… e spero che mi venga bene! Il lato negativo di questo testo è che si tratta (ahi-

mè!) di un saggio critico. Solo che, da quanto si

legge, parrebbe un saggio su Totò, in cui Pinocchio appare qua e là, pigliandosi un buon 25-30%

dell’intero testo. Oppure, al contrario, è un saggio

su Pinocchio, in cui però l’Imperatore di Capri fa la

parte del leone.

Quale delle due ottiche è la più corretta? Agli altri

lettori, l’ardua sentenza. Pur essendo però, in tutta evidenza, un saggio cri-

tico, Aldo Marzi, da vero saggio, provvede saggia-

mente a esporre il suo discorso in modo scanzonato e assai simpatico, sì da rendere questo pane adden-

tabile da ogni tipo di bocca.

Perché si parla di maschere e burattini? Anche. O perché Marzi sa bene che in un paese di maniaci

dello sport e di pettegolezzi un saggio critico, anche

scritto bene, equivale a mezzo chilo di spinaci da offrire in pasto a Gian Burrasca (i bambini normali

odiano gli spinaci: sono salutiferi e contengono il

ferro!)? Soprattutto. O, almeno, probabilmente.

Forse sarebbe stato meglio per Marzi intitolare

questo testo Attenti a quei due, a costo di essere ac-cusato di plagio o di mancanza di originalità per-

ché, in effetti, questo testo è ben più vicino a Plu-

tarco (Vite parallele) che a Paolo Valente (90° mi-nuto).

Tutto qui? Magari!

Il vero problema di questo testo è che leggerlo si-gnifica entrare in una variante su tema de Lo spec-

chio nello Specchio, opera meno nota di Michael

Ende (La Storia Infinita e Momo), a causa dei con-tinui incroci, scambi, passaggi e sottopassaggi qui

contenuti.

In effetti, la questione si riduce solo a questo: stiamo parlando di Antonio De Curtis e di Collodi o

di Totò e Pinocchio? E il Principe è semplicemente

Antonio o è solo Totò? E Collodi era sempre e solo Carlo, nella vita, o era soprattutto Pinocchio, fuori

dalle regole a qualsiasi costo?

QUESTA è la vera questione! E io stesso non sa-prei che cosa rispondere! Le vite di Antonio e di

Carlo sono molto simili fra di loro, pur tenendo conto del fatto che sono nati in epoche ed ambienti

diversissimi, e Pinocchio e Totò, acquisti recentis-

simi del Teatro dei Burattini, sembrano fratelli ge-melli, tanto sono simili nella fame che li divora e

nelle loro avventure strampalate e paradossali… in

cui però sai sbeffeggia ferocemente il Potere costi-tuito!

Così, finisce che Totò ha, dopotutto, il naso chi-

lometrico di Pinocchio, mentre Pinocchio ha surro-gato il suo cappellaccio di mollica di pane con la

bombetta del sindaco del Rione Sanità (ove era nata

e viveva la madre di Antonio de Curtis). Districarsi in questo libro labirintico in cui il profi-

lo destro è del tutto asimmetrico rispetto al profilo

sinistro e dove non è mai sicuro sapere con chi si ha a che fare non è la cosa più facile di questo mondo,

anzi! Ma, in compenso, è pieno di spunti interes-

santi e non è mai noioso!

Un saggio critico? Così conciato? (per parafrasare

una battuta di Totò sugli onorevoli).

Fatevene la vostra idea, leggendolo. Non rimarrete delusi e avrete moltissimo su cui riflettere.

Andrea Pugiotto

ALDO MARZI

IL MIO PINOCCHIO

Aletti editore, 2013 - 46 pagg., € 12,00

Generalmente parlando, un saggio non sarà mai gradito ad alcuno.

Se questo aggettivo si riferisce ad una persona, si

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immagina, in genere, un imbecille barbuto (alla

Darwin o alla Marx), capace solo di sbrodolare cul-

tura nel modo più pedante e balanzonesco possibile. Si tratterebbe, perciò, di una persona noiosa, da evi-

tare come la peste.

Se questo aggettivo si riferisce invece ad un libro, è certo che l’Autore dev’essere un rompiscatole

professionista che non sa far altro che mettere su

carta pensieri che capisce solo lui… col solo scopo di aduggiare la vita altrui!

In ambo i casi, i saggi vengono sempre evitati dal-

le persone normali che, di solito, preferiscono di gran lunga leggere Il corriere dello sport o suc-

chiarsi il cervello con spazzature pubbliche tra-

smesse in tv (Il Grande Fratello o L’Eredità. Sce-gliete voi).

Aldo Marzi, classe 1949, non è certo un imbecille

come il dr. Balanzone, né un seccatore come Fran-cesco De Sanctis, e il suo saggio Totò e Pinocchio,

che precede questo di poco, lo prova ampiamente.

Mentre Totò e Pinocchio, pur essendo un saggio a tutti gli effetti, è esposto col pretesto di un incontro

fra un ex insegnante (Marzi stesso) e un suo ex al-lievo delle medie, quest’altro tomo, non meno argu-

to ed interessante, è esposto sulla falsariga dei ri-

cordi personali dell’autore stesso che, con moto na-turale, invita il lettore nella sua stessa casa, per

condividere con esso la sua vita quotidiana, i suoi

odori di casa, eccetera. E’ un modus operandi informale e, diciamolo pu-

re, molto personale. Però non è affatto male come

scelta, considerando che Marzi non ci narra, in pri-ma persona, un romanzo avventuroso e/o surreale,

come fece, a suo tempo, Calvino con il suo Barone

rampante. Il soggetto è, ancora una volta, Pinocchio, che sta-

volta è il protagonista assoluto di questo saggio. Un

saggio che è tutta una sorpresa. Una vera matrioska, cioè una tipica bambola di legno russa che, all’ in-

terno, ne cela una più piccola, che ne ha dentro

un’altra più piccola, eccetera.

Già, perché Pinocchio, da quanto qui è esposto, è

ben altro che una semplice fiaba per bambini anche

se questa era l’intenzione originale di Collodi. E’ molto più vicino a I viaggi di Gulliver o alla Veri-

dica historia di Gargantua e Pantagruele: una fa-

vola (cioè allegoria) per adulti, con finalità assai precise e simboli (e significati nascosti) ancora più

precisi e, a modo loro, taglientissimi ed eversivi

verso la società in cui il Lorenzini era costretto a vivere.

Forse qualcuno sa che Collodi era un Fratello che

“murava liberamente” e che molti emblemi masso-nici sono celati in questa storia, che ha fatto il giro

del mondo. Ma è stato anche detto che Collodi era

un libertino fatto e finito (donnaiolo e giocatore d’

azzardo) e che era un libero pensatore (un ateo

convinto, cioè). Questo libro rivelerà quanto quelle storie fossero

vere o no.

Ci saranno molte sorprese, perfino per i “pinoc-chisti” appassionati pari miei! E non ci sarà agio di

annoiarsi, in parola d’onore!

Per saperne di più, non vi resta che leggere quest’opera stupenda. Ne varrà davvero la pena!

Andrea Pugiotto

ENNIO MALDINI SILVANA ANDRENACI MALDINI

FAVOLISTI ROMANI

Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012

Ecco una breve raccolta di carmi in romanesco pu-

ro, presentati da Il Croco (luglio 2012), supple-mento del mensile Pomezia-Notizie.

La cosa interessante di questa raccolta è che i co-niugi Maldini.,.. facevano lo stesso mestiere!

Lui, morto nel 2001, era poeta (in lingua e in dia-

letto romanesco) e pittore e, in ambo i casi, le sue opere mostravano l’umanità dell’Autore. Umanità

esplicata anche tramite i racconti e le recensioni

cui, nel tempo, ha messo mano. La signora Silvana, dal canto suo, ha messo mano

ad opere di saggistica, narrativa e ricerca storica e,

come il marito, ha verseggiato in lingua ed in dia-letto romanesco.

Pomezia Notizie omaggia questi due autori riu-

nendo alcune delle loro poesie in romanesco, scritte a bella posta e riunite poi nella silloge poetica Fa-

vole pè Trilussa (pubblicata nel 2000), quale omag-

gio all’indimenticabile erede di Belli (e fra Belli e Trilussa è una bella lotta, essendo stati ambo attenti

osservatori del mondo e della vita e feroci fustiga-

tori del malcostume ognor imperante, nella Città

Eterna come nel mondo).

Di favole ce n’è per tutti i gusti ed alcune sono di-

chiaratamente contemporanee (come La Tartaruga ribelle, della signora Silvana), ma, nel complesso,

stile e contenuti non sono indegni dell’illustre pre-

decessore cui sono dedicate. La nota negativa è che i tempi sono cambiati…

in peggio!... e non c’è più né posto né tempo né

voglia di leggere favole, pur se ben scritte, per ri-flettere un po’ sulla Vita reale e trarre debite con-

clusioni.

Ma questo non toglie nulla al valore poetico dell’opera del maestro Maldini e gentile signora.

Andrea Pugiotto

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GIOVANNA LIVOLTI GUZZARDI

LE MIE DUE PATRIE

Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012

La quarta di copertina de Il Croco (supplemento al

numero di Dicembre 2012 della rivista Pomezia-Notizie) informa i lettori che la signora Guzzardi è

un’Autrice pluripremiata per le sue opere. I premi

da lei ricevuti, uno più insigne dell’altro, mostrano che si tratta di un’autrice di valore, degna di stima e

di rispetto.

Le poesie raccolte in questo inserto speciale pro-vano ampiamente che i premi in questione non so-

no stati dati a caso ad una poetessa improvvisata. I

carmi qui contenuti mostrano l’abilità, la versatilità e l’umanità della Guzzardi. Il carme Australia bella

basterebbe, da solo, ad avvalorare il giudizio testé

espresso. Di origine siciliana, la signora Guzzardi vive in Australia, all’altro capo del mondo, e canta

le lodi della sua patria d’adozione, anche se, in altre

composizioni, esprime la nostalgia per la bellissima Sicilia, Regina indiscussa del Mediterraneo.

Tu è una dichiarazione d’amore che non necessita davvero di commenti, tanto è palese e forte il sen-

timento della gentile Autrice in questi versi.

Come non meno appassionati sono i versi de Un giorno di sole, in cui il, passato lontano riaffiora

nella memoria dell’Autrice, oramai lontanissima

dai giorni cari dell’infanzia, la più bella di tutte le stagioni offerte dalla vita.

E non sono che tre modesti esempi, scelti qua e là

per dare un’idea di questa silloge davvero rimar-chevole. Il resto, è tutto da leggere e da scoprire.

Non ci sarà davvero da annoiarsi!

Andrea Pugiotto

IL SENSO DELLA VITA

Sei contenta. Ti brillano gli occhi.

Hai scoperto – mi dici – il senso della vita.

So che ami pensare, andare a fondo e scoprire

il significato ultimo delle cose.

“ E allora – ti chiedo – in che consiste

il significato della vita ? “ “Ho scoperto

che il mondo è pieno di persone

che senza pensare seguono

chi le comanda.” E brava Yanet !

“ Pensare è importante, ci conduce

alla scoperta della verità e alla libertà.”

“E come ci sei arrivata ? “ “Leggendo,

e studiando ciò che leggevo.”

So che le sue letture sono impegnate

e buone e mi rallegro con lei.

Vorrei

che tutti al mondo si impegnassero

a leggere e riflettere e pensare.

Pensare con la propria testa.

E dopo aver pensato, ma anche vissuto,

scopriremo che il senso

ancora più profondo della vita

sta nel sentirsi utili, nell’aiutare gli altri

ad imparare ciò che abbiamo imparato,

nel donare ciò che abbiamo acquisito.

Nel donare. Ossia: nell’amare.

C’è chi in autobus mangia o legge.

Io mentre sono in autobus

non mi vergogno di estrarre una matita

e un foglio bianco e scrivere.

Mariagina Bonciani

SENTIMENTI DELLA NATURA

Mare mosso, mare tempestoso,

il tuo cuore burrascoso.

Onde enormi davanti a te si innalzano

sogni scritti su una carta si strapazzano.

Le stelle non brillano più sul cielo,

e tu, non puoi trovare un posto luminoso

per rannicchiarti.

Nuvole dense, nebbia, oscurità,

e tu nella foschia, nella serenità.

Nubifragio, temporale, pioggia,

così anche le lacrime inondano il cortile.

E' tirato il vento e l'albero ha gettato,

che tu, con amore, hai piantato.

Forte la corrente nel fiume del bosco,

e tu, nella solitudine, ti trascini,

ti abbandoni nell'acqua.

Fa freddo, è nascosto il sole, domina la

[ nuvolosità,

sentimenti freddi, ma il cuore nasconde bontà.

All'improvviso, tutto cambia. Di nuovo sorridi.

Ti siedi sulla riva e il Sole ammiri.

La Natura si rallegra e tu impaziente,

l'Arcobaleno aspetti di vedere.

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 40

Pitture della Natura, colori, varietà,

donano all'anima umana la felicità.

Sono differenti i volti della Natura,

i volti dell'ambiente...

così, anche i sentimenti umani,

si alternano frequentemente.

Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice

ANGELO O DIAVOLO

Pozzanghera non traspare

come la tua vita

nascosta dietro false cortine.

La nebbia rapì i nostri giorni

tra tasselli di tempo,

ingialliti dal fumo di bistrot malfamati.

Il gioco ti ha già stregato,

così come il sesso

che vendi al primo offerente,

svilendo il tuo corpo perfetto.

Angelo o diavolo non so chi tu sia…

La tua voce mi esalta, il tuo corpo m’ inebria,

nelle fredde notti io ti cerco

per calmare l’anima,

che errabonda trascende

tra insoddisfatte voglie di adolescente natura.

Sia da monito il richiamo che creò i dannati.

E’ cosi che mi logoro tra il pensare e il cercare,

sperando l’oblio…

che porta la quiete.

Colombo Conti

PRATO VERDE SOTTO LA FONTE

A sera quando i desideri

sono spenti e arsi

ed il canto delle cicale

confonde il momento dell’ora

solitaria mi appresto

a narrare storie di un tempo

sconfinato e distratto.

La vecchia pergamena

dove le scritture confuse

pongono il dubbio del pensiero

sgranocchio piccole lucciole

di desideri imprecisi

dove il gesto rituale

divide valori di un’impronta.

Nella penombra più scura

sono le sere più lunghe

e cadono nel dialogo

di una falsa memoria.

Ma i sentieri di vie ignote

assorbono desideri incustoditi

e giacciono ignari nel cassetto.

Verde prato sotto la fonte

e l’orologio che batte le ore.

Alda Fortini

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE E’ morto GIANNI DI SPIRITO - Gianni Di Spi-

rito è stato il fondatore e l’organizzatore dell’ As-

sociazione THYRRENUM di Pomezia, una fra le più attive del nostro territorio da più di un venten-

nio a questa parte. Grande successo hanno sempre

riscosso, per esempio, le sfilate di figuranti dell’ Impero Romano, che si svolgono, da anni, nella no-

stra città e a Roma. Ma gli interventi hanno spazia-

to dal teatro alla musica, al folclore, all’ ecologia,

alla storia. Tra le tante iniziative, si ricordano il

Premio Fauno di poesia, giunto alla XVI edizione e

della cui Giuria qualche volta ha fatto parte anche il nostro Direttore Defelice; il premio pittura; confe-

renze varie sull’archeologia; il Gruppo Storico La-

vinium e la sua partecipazione ai Festival di Cultura in tutto il mondo; il gemellaggio con Troia e Itaca,

perché Pomezia-Torvajanica - è giusto ricordarlo -

è il luogo dello sbarco di Enea; la difesa del Sughe-reto e di altre realtà del nostro territorio. Gianni Di

Spirito era anche custode del Liceo Scientifico “B.

Pascal”, che ogni giorno accoglie centinaia e centi-naia di giovani. Con loro, Di Spirito era sempre di-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 41

sponibile e sorridente e, perciò, la sua morte, avve-

nuta il 16 maggio scorso - non aveva che 57 anni! -,

è stata per tutti - studenti, preside, docenti, dirigenti - un autentico e inaspettato dramma.

***

LA RIVA VERDE - Mercoledì 28 maggio 2014, presso la Libreria Arion Esposizioni, in via Milano,

Roma, è stato presentato il libro La riva verde, en-

nesimo romanzo di successo della scrittrice e pittri-ce Adriana Assini. Assieme all’Autrice, è interve-

nuta Cinzia Giorgio.

*** PREMIATA MARIAGINA BONCIANI - Ap-

prendiamo con piacere che la poesia "Il sogno inter-

rotto", di Mariagina Bonciani (pubblicata nel nu-mero di febbraio della nostra rivista) si è piazzata

al quinto posto nel concorso La Montagna incantata

di Firenze, dove, il primo giugno, l’Autrice, presen-ziando alla premiazione in Palazzo Vecchio, ha a-

vuto l'onore di sentirla leggere, molto bene, da A-

lessandro Quasimodo. ***

TRANQUILLI… PARLIAMO DI SILONE - Il 22 maggio 2014, alle ore 21, presso l’Auditorium

Cesare Golfari, moderatori Marco Rota e Giovanni

Invernizzi responsabili della Commissione Biblio-teca “Giuseppe Panzeri” di Galbiate (Lc), si è svol-

ta una conferenza dal titolo Tranquilli… parliamo

di Silone. Relatori della serata: Giuseppe Leone, critico letterario, autore, tra altro, di “Ignazio Silone

scrittore dell’intelligenza” (Firenze Atheneum,

1996) e “Silone e Machiavelli: una scuola che non crea prìncipi” (Centro Studi Siloniani, 2003); e Le-

onardo Grimoldi, docente di filosofia presso la

scuola secondaria superiore che ha recentemente pubblicato, maggio 2013, per i tipi di Mimesis,

“Storia e utopia. Saggio sul pensiero di Ignazio Si-

lone”. Due intellettuali che vantano, in particolare Leone, un’assidua frequentazione del Centro Studi

Siloniani in quel di Pescina. Un titolo suggestivo e

provocatorio a un tempo – spiega Leone - come vo-

ler dire, “state calmi… se parliamo di Silone, non

agitatevi”, per significare che la letteratura di Silone

ha, in ogni tempo, suscitato sentimenti di disturbo. Tali che spesso storici della letteratura italiana lo

hanno estromesso dalle loro antologie scolastiche, e

giornalisti che volutamente, ancora ai nostri giorni, sia nei loro articoli, sia in pubblici dibattiti, non lo

citano, neppure quando i temi affrontati sono squi-

sitamente siloniani. Come è accaduto, per esempio, in occasione delle dimissioni di Benedetto XVI nel

febbraio 2013. Non c’è stato un solo giornalista, ma

neanche storici o critici che, intervistati sulle reti nazionali della nostra tv di Stato e non, citassero,

per analogia a quanto stesse succedendo, Ignazio

Silone, per via di Celestino V, papa dimissionario

nel dicembre del 1294, unico clamoroso preceden-

te. Tutti, in coro - per carità, spontaneo, non vor-remmo insinuare che sia stato preparato a proposito

– citavano il verso di Dante, quel colui che fece per

viltade il gran rifiuto”, e nessuno L’avventura d’un povero cristiano, il dramma che lo scrittore abruz-

zese aveva dedicato nel 1968 proprio a Celestino V,

in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, sotto Paolo VI.

La serata ha preso forma discutendo la tesi con-

tenuta nel libro di Grimoldi. Ovvero, la necessità “di chiarire i termini di un contrasto, quello fra isti-

tuzioni e valori, che domina il pensiero dello scrit-

tore marsicano fin dai suoi esordi letterari”. Alla fi-ne, il dibattito tra moderatori, relatori e pubblico ha

rivelato quanto interesse desti ancora l’opera silo-

niana, nonostante il muro di silenzio attuale e il pregiudizio della critica, che può essere riassunto

nel giudizio che Carlo Bo espresse nel lontano

1965, ne L’Europeo, sul numero di agosto, in un ar-ticolo dal titolo Hanno avuto paura, dopo che Silo-

ne era stato escluso dal Premio Viareggio: “Silone è stato escluso così come sinora lo abbiamo escluso

dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre riflessioni

quotidiane, un po’ perché il suo caso disturba, dà noia e soprattutto perché affrontarlo richiederebbe

un altro impegno e finirebbe per investire tutta la

nostra struttura intellettuale e spirituale. Meglio dunque lasciarlo da parte, rendergli quel minimo di

omaggio, e continuare a considerarlo come un ospi-

te segreto”. (Giusle)

DO POETA A DIGNIDADE

Senhores, ao restaurante

não vou a não ser a cada morte de papa

à discoteca

desde que fiz trinta anos

Muito viajo com a fantasia,

pouco de trem e de autopista

e tenho medo de voar.

Não tenho Suv, nem iPhone, não tenho iPad

Nada de prebenda, não sou cavalheiro.

Visto modesto, não tenho conta no banco,

não tenho vila com piscina.

A beleza me encanta em minha idade

- e ainda a mulher! -

Tenho dignidade de poeta.

Domenico Defelice Trad. in portoghese di Teresinka Pereira

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 42

Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI ELENA MILESI - Il quaderno della sfida - Intro-duzione di Roberta Frigeni - Cahier des écrivains,

Corponove Editrice, 2014 - Pagg. 64, € 5,00. Elena

Milesi, nata a Villa d’Adda, vive a Bergamo. Socia del Cenacolo Orobico di poesia (Bergamo), Acca-

demia dell’Ateneo di Bergamo per la classe di Let-

tere ed Arti, cofondatrice dell’Associazione cultura-le Rosella Mancini (Roma), Presidente dell’ Asso-

ciazione Amici Pittore Giuseppe Milesi, in versi ha

pubblicato: “Silloge per Neri” (1983), “Quando na-sciamo un’altra volta” (1984), “Ragazze/i nel qua-

derno” (1985), “La notte, l’albicocca e altro” (1986),

“In fa” (1986), “Paggio Regale” (1989), “Svoli di semi” (1990), “Paggio in viaggio” (1991), “Ebdoma-

da” (1991), “Natale/Noël” (1992), “Tris” (1993),

“Dicembre/Décembre” (1993), “Il poemetto del fu-naio” (1994), “Viene il vento” (1995), “Acqua di ca-

scata” (1997), “Le semainier” (1998), “NeroRossoO-

ro” (1999), “Textum” (1999), “Ordinario 2000” (2001), “Che si chiamava Cloto” (2003), “Alla riva”

(2005), “Il carro di Amore” (2006), “Introìbo ad

2007” (2007), “E popoli miti” (2007), “Il tempo abis-sale” (2009), “Come dicono a Parigi “C’est la Vie!” “

(2010). Confortata da consensi critici, ampia bi-

bliografia e numerosi premi letterari, tra i quali ama ricordare: il Premio della Critica a Penne (Pescara),

il Premio Les Amis de la poesie a Bergerac, e i

premi-pubblicazione a Vercelli, Marina di Carrara,

Palermo; il Premio del quinquennale de “Il Lago Verde” Casazza (Bergamo). Per “Paggio Regale”,

“Paggio in viaggio”, “Tris”, tre volte segnalata e fi-

nalista al San Pellegrino Terme. **

CARMEN CREACO - Due ali - Prefazione di Sara

Leoni - Editrice Albatros, 2011 - Pagg. 48, € 11,50. Carmen Creaco è nata a Reggio Calabria nel 1972 e

si divide tra la sua città natale e Brescia, dove svol-

ge la professione di avvocato. Ha esordito come poetessa nel 1990 con “Il profumo dei sogni”

(Premio “Calogero” Miglior Poesia).

** RENATO GRECO - Finzioni e altri inganni -

Prefazione di Daniele Giancane - In copertina, a co-

lori, “Gli amanti”, di René Magritte - L’artedeiversi n. 9 edizioni 2014 - Pagg. 280, s. i. p. Renato

GRECO è nato nel 1938 a Cervinara (Av) e vissuto

fino alla maturità classica ad Ariano Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto “Duni”.

Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67

tre anni a Napoli un anno a Firenze e due anni in gi-

ro per l’Italia con tappe a Firenze e a Milano. Nell’ intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nel-

la filiale di questa città. Nel ’77 è di nuovo a Mila-

no dopo altri periodi a Firenze. Fino al 1987 a Mi-lano quadro marketing centrale. Ritrasferito a Bari

va in pensione nel 1992. Ha vinto molti concorsi in

Italia e legge poeti del ‘900 presso due Università Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivi-

sta “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di 46 vo-

lumi di poesia, oltre che numerose Raccolte Anto-logiche, alcune pubblicate anche all’estero. Autore

anche di molti saggi su Salvatore Quasimodo, Vitto-

rio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo Mandruz-zato, eccetera. Tante le antologie in cui figurano sue

poesie. Tra i critici che si sono interessati di lui, ci-

tiamo solo alcuni: Pasquale Martiniello, Michele Co-

co, Enzo Mandruzzato, Stefano Valentini, Vittoriano

Esposito, Daniele Giancane, Lia Bronzi, Donato Val-

li, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi, Emerico Giachery, Ro-

berto Carifi, Gianni Antonio Palumbo, Daniele Ma-

ria Pegorari, Roberto Coluccia, Ettore Catalano. **

PANTALEO MASTRODONATO - Enciclopedia

Palatina - Antologia - Societas Humanitas “Symposiacus”, 2014 - Pagg. 328, s. i. p. Sono o-

spitati: Maria Aiello, Anna Maria Algieri, Gilda

Antonelli, Giuseppina Attolico, Antonio Barile, Marta Aria Bianchini, Giulia Bignami, Adalpina

Fabra Bignardelli, Walter Brook, Vittorio Busà,

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 43

Francesco Calzone, Lucia Tumino Cannata, Adua

Casotti, Filadelfo Coppone, Angela D’alessandro,

Onelio Dalla Ragione, Tommaso De Bernardis, Do-menico De Luca, Silvia Denti, Arnaldo Filice, Ga-

briella Frenna, Emilio Fucà, Licio Gelli, Teresa Gi-

rardi, Franca Moraglio Giugurta, Renato Guala, Tina Lepore, Adalgisa Licastro, Enrica Di Giorgi Lom-

bardo, Vittorio “Nino” Martin, Pantaleo Mastrodona-

to, Vittorio Meo, Enrico Monaci, Graziella Mondel-lo, Margherita Serena Monopoli, Pasquale Montalto,

Ernesto Papandrea, Gea Cristini Peroni, Bruno Pier-

camilli, Giuseppe Pietroni, Salvatore Porcu, Nicola Porticella, Orfeo Reda, Pietro Russo, Domenico San-

tangelo, Leonardo Selvaggi, Sergio Todero, Carlo

Vettorello, Emilio Vicario, Antonio Visconte. **

PANTALEO MASTRODONATO - Leucotea

(Mimolodia) - La casa delle Muse, Symposiacus 2014 - Pagg. 36, s. i. p. Pantaleo MASTRODONA-

TO ha studiato in molte città italiane ed estere. Com-

piuti i suoi studi in Linguistica e Filosofia classica presso l’Università di Montpellier, ha in atto dei lavo-

ri di studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabi-le sete di verità e di giustizia lo condusse nel 1972 ad

una profonda crisi religiosa, propugnando da allora

in poi i valori di un cristianesimo genuino scaturito da un sistematico approfondimento biblico per una

imparziale valutazione dell’epoca presente. Dirige

la rivista “Il Symposiacus”. **

ALDO CERVO - Antonia Izzi Rufo tra soggetti-

vismo lirico e neorealismo - Edizioni EVA, 2014 - Pagg. 32, € 9,00. Aldo Cervo è nato nel 1944 a

Caiazzo (Caserta), dove vive. Ha pubblicato più di

una quindicina di libri, prevalentemente di narrativa e di critica letteraria. Alcuni titoli: “Ipotesi narrati-

ve” (racconti), “Nient’altro che la verità” (racconti),

“L’autunno di Montalba” (romanzo), “Le testimo-nianze di Amerigo Iannacone”, “Cronica delle cose

occorrenti in Caiatia ne’ suoi anni ‘70”, “Gli aned-

doti del vescovo” (racconti), “Carichi pendenti”

(racconti), “Giovanni Papini nel ‘900 letterario ita-

liano”, “La Cinciallegra” (romanzo), “Frequenta-

zioni letterarie”, “Le radici della memoria”, “Profi-lo di un irregolare”, “Caiatini contemporanei”.

**

RAFFAELE CECCONI - La meraviglia - Poesie; Premessa dello stesso Autore; in calce, numerosis-

sime testimonianze - In copertina, “Maternità”

1972, di Karl Plattner - Genesi Editrice, 2008 - Pagg. 184, € 13,50.

**

RAFFAELE CECCONI - Il libro dei contrasti - In copertina, a colori, “Pittore con Modella” di Nor-

manno Soscia - Edizioni Giuseppe Laterza, 2013 -

Pagg. 174, € 18,00. Raffaele Cecconi, nato a Zara

nel 1930, poeta, scrittore e saggista, vive a Venezia.

Ha pubblicato diverse opere letterarie, tra le quali “L’uomo curvo” (1959), “Pettegolezzi d’attualità”

(1969), “L’Italia degli impegnati” (1969), “Ofelia”

(1970), “Una vita ladra” (1971), “Calore” (1971), “Confessione al figlio” (1976), “Un culo così”

(1979), “Il sorriso che morde” (1980), “Viaggio in

canoa” (1980), “Ora che invecchio” (1989), “Dio è un buffone?” (1991), “D... come dalmata” (1998),

“Ciò che ho visto girando il mondo” (1999), “I pen-

sieri che contano” (2000), “Trentatré misteriosi even-ti” (2002), “La Signora X” (2004), “La meraviglia”

(2008). Tra i vari riconoscimenti sono da segnalare:

1965, premio “Torino” per il volume “Da un mare all’altro” e premio “Giuseppe Villaroel”; 1966, pre-

mio “Prove Rapallo” per il romanzo “La Corsara”;

1972, premio “Jesolo” per il racconto inedito “La corriera della neve” e premio “Stradanova” per un

saggio sull’epigramma; 1978, premio “Camposam-

piero” per la poesia religiosa; 1979, premio “Plu-sart” per la poesia nelle Tre Venezie. Finalista al

premio “Viareggio”, al “Lerici-Pea”, al premio “Gatti”. Intorno alla sua opera hanno scritto centi-

naia di illustri poeti e scrittori. Collabora saltuaria-

mente a riviste tra cui “La Fiera Letteraria”, “Pro-spetti”, “Quinta Generazione”, “Controcampo”,

“L’Osservatore politico letterario”, “Arenaria”,

“Talento”, “Vernice”, “Punto di Vista”. Sue poesie sono state tradotte in inglese e in arabo.

**

SONIG TCHAKERIAN (Violino) - Johann Se-

bastian Bach. Sonatas and Partitas. 2 CD. CD1:

Sonata no. 1 BWV 1001; Partita no 1 BWV 1002;

Sonata no. 2 BWV 1003. CD2: Partita no. 2 BWV 1004; Sonata no. 3 BWV 1005; Partita no. 3 BWV

1006. Decca, 2013.

TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia, dir. Ame-

deo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26854 Co-dogno (LO). Riceviamo il n. 45 (giugno 2014).

Tanti gli interventi su Dino Formaggio, Giuseppe

Pontigia e Edgardo Abbozzo. *

CENTONOVE - Settimanale di politica, cultura,

economia, diretto da Enzo Basso - via San Camillo 8 -98122 Messina. Riceviamo il n. 20 (23 maggio

2014). Tra i tantissimi articoli, evidenziamo solo

quello di Gianfranco Cusumano “Sulle tracce di Maria Messina”, perché ad inviarci il periodico è

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 44

stato il Dott. Nino Testagrossa. Si chiama “Gesti

di luce” la passeggiata letteraria organizzata il 14 e

15 giugno sulle tracce della scrittrice Maria Mes-

sina, che visse a Mistretta dal 1903 al 1909. Maria

Messina era nata nei pressi di Palermo, nel 1887.

Ha pubblicato coi migliori editori del tempo e le sue opere hanno avuto vasto consenso. L’ Associa-

zione Progetto Mistretta - Il Centro Storico (via Li-

bertà 185 - 98073 Mistretta, ME) - che organizza l’evento, indice anche l’undicesima edizione (2014)

del Premio letterario “Maria Messina” - Un raccon-

to per “Il Centro Storico”, riservato alla narrativa inedita ed edita.

*

ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivi-sta fondata da Giacomo Luzzagni, diretta da Ste-

fano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vice-

direttore Pasquale Matrone - Casella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Del n. 114 (2° Trime-

stre 2014), segnaliamo: “A 450 anni dalla nascita:

Shakespeare poeta”, di Luigi De Rosa; “Miti e leg-gende celtiche: William Butter Yeats”, di Elio An-

driuoli; “El cantar del mio Cid”, di Liliana Porro

Andriuoli; L’intervista a Gaetano Cappelli a cura

di Pasquale Matrone, eccetera. Altre firme di no-

stri amici e collaboratori: Natale Luzzagni, Stefa-

no Valentini, Rosa Elisa Giangoia, Sandro Ange-

lucci, Liana De Luca eccetera.

* ALLA BOTTEGA - rivista quadrimestrale di cultu-

ra ed arte diretta Sergio Manca - via Angelini 16 -

27100 Pavia. Riceviamo il n. 3 (settembre-dicembre 2013), sul quale troviamo le firme di Na-

zario Pardini, Franco Campegiani eccetera.

* RIVISTA ITALIANA DI LETTERATURA DIA-

LETTALE - Periodico trimestrale fondato e diretto

da Salvatore Di Marco - via Veneto 16 - 90144 Palermo. Riceviamo il n. 1 (gennaio-marzo 2013).

*

IL TIZZONE - Periodico fondato e diretto da Alfio

Arcifa - via Amatrice 40 - 02100 Rieti. Riceviamo

il n. 1 (96-97) del maggio 2014.

* IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - Men-

sile letterario di cultura varia diretto da Amerigo

Iannacone, resp. Domenico Longo - via Annun-ziata Lunga 29 - 86079 Venafro (Is). Riceviamo il

n. 4 (aprile 2014), sul quale troviamo le firme delle

nostre amiche Adriana Mondo, Teresinka Perei-

ra, Loretta Bonucci.

*

SOLOFRA OGGI - Mensile diretto da Angelo Pi-

cariello - via Casapapa 1 - 83029 Solofra (AV). Ri-

ceviamo il n. 28 (aprile 2014).

*

NUOVO DOMANI SUD - Periodico di informa-

zione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, resp. Pierfranco Bruni - via Santa Caterina 62 -

89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 3 (maggio-

giugno 2014).

L’ITALIA

DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice

Quinta puntata*

Oh, giorno di splendore!

Vittoria netta, senza precedenti,

non del PD, però, ma di Silmàtteo,

che sbaragliato ha tutti i contendenti.

Ha messo facce nuove;

di sanare ha promesso ogni enfisema;

ha dato fiato alle opposizioni;

allontanato ha la Sinistra estrema

mollando uno schiaffetto al Sindacato

e grandemente, grandemente osato

rivolgendosi, senza titubanza,

ai moderati sotto ogni bandiera

ché, nel Paese, sono maggioranza.

Non ha gridato di tagliare teste,

né d’attivar speciali tribunali.

In faccia all’Europa or si presenti

e ne tracci la linea;

se la Merkel ha vinto,

mai più potrà, nel fare e nel disfare,

esser così fulminea.

Hollande è stato preso a schiaffi e sputi

da Le Pen e, con Marine,

avanza la protesta;

nessuno può ballare come prima.

Entrati son, nel nuovo Parlamento,

dall’euro pelati e bidonati

che canteranno, certo, un’altra rima.

Grillo più non minaccia alcuno sballo,

né la marcia su Roma.

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 45

Ha seminato il panico

a tanti suoi, togliendo la poltrona

solo per qualche critica

od un’apparizione alla TV.

E mentre lui ci andava!

Metro che al Movimento non va giù.

Un flop ha fatto pure la Meloni.

Alfano si accontenta di una cifra

e sotto la mannaia giudiziaria

sempre più si assottiglia FI.

Ha perduto la grinta Berlusconi.

E’ tempo che Silmàtteo ne approfitti

per fare finalmente le riforme

non della sola legge elettorale,

ma di tutte le marce istituzioni.

Una bassa marea veneziana

ha messo allo scoperto il putridore.

La calamita che rastrella l’oro

ha tra le mani Mose1, non il tortore.

Ben 35 arresti alla retata

tra cento e più quaranta gli indagati,

giacché la cricca è assai ramificata.

Ci sta dentro il PD2

caduto nel canale

mentre che da sonnambulo marciava

sotto l’anestesia

d’una presunta alterità morale3;

non manca FI4

il caterpillar della concussione,

sì che mai un suo esponente può mancare

tra ladri, malefatte e corruzione;

c’è pure la Finanza5:

stanca nel rastrellare gli evasori,

ritempra le sue forze nel riposo

e passa con le armi e coi bagagli

tra i suoi nemici e gli intrallazzatori!

Nelle civili regole e morali

l’oscilloscopio ha sinusoide piatta.

Nulla di grave sembra che succeda

a gente solo povera e distratta.

Invece, preme il magma, ad ondate.

Dentro il giardino, sotto il proprio suolo,

Marco Battisti, in quel di Rocca Massima,

al posto di carote e di patate,

coltiva, infatti, chili di tritolo!

Mentre la quiete pubblica si sfrangia

e capolino fa l’ostilità;

mentre il lavoro scema

e gente sempre più non beve e mangia;

mentre le aziende chiudono

o se ne vanno all’Estero;

Laura, l’ineffabile Boldrini6,

ritiene urgenti, anzi, prioritari,

e taglio di capelli e bigodini.

Mette, così, le ali al calendario.

I barbieri si adeguino all’istante.

Si aggiornino di corsa a spese nostre.

Diventino barbieri-parrucchieri!

E’ bene far la barba a dei maschiacci,

così come hanno fatto fino a ieri,

ma non discriminando le colleghe

che sono numerose e belle e toste.

Di boccoli abbisogna la congrega.

Imparino ad usare il calamistro

e sian maestri nella messa in piega.

Domenico Defelice (5 - continua)

* Riassunto delle precedenti Puntate - Una

notte d’estate, Berlusca erutta attraverso un

suo attributo per una condanna definitiva. In

Germania, Angela Merkel è in sofferenza per

una perdurante stitichezza (in senso economi-

co e specialmente nei nostri confronti). Le

giunge la notizia che, nella colonia italiana,

Silmàtteo Renzusconi è stato nominato Se-

gretario del PD., il quale, tra l’altro, vuol

combattere contro l’austerità dell’ Europa a

direzione teutonica. Ai primi di febbraio, un

altro terremoto scuote la politica italiana: A-

lan Friedman rivela, in un suo libro, che, sei

mesi prima delle dimissioni di Silvio Berlu-

sconi da Presidente del Consiglio, Giorgio

Napolitano e Mario Monti avevano tramato

per defenestrarlo. A febbraio, il Governo Let-

ta è sostituito da quello a guida Renzi, forma-

to da giovani di belle speranze, per la metà

donne. L’inizio sembra travolgente, ma è tut-

ta una manfrina in attesa delle elezioni euro-

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pee. Anche nei confronti dell’Europa a guida

Merkel, Renzi appare fin troppo ... concilian-

te: l’Italia ingoierà ogni medicina che le verrà

proposta! Berlusconi deve scontare la con-

danna ai servizi sociali. Roma, simbolo della

Nazione, è nel caos. Anche per una partita di

calcio ci son pistolettate. Esplode il caso

dell’ExPo milanese e viene enfatizzata la de-

cisione del Sindaco di Pomezia di diversifica-

re la merenda ai giovanissimi allievi delle

scuole pubbliche. Note:

1 - Non il leggendario Mosè che, con la verga, ha aperto un varco in mare per il passaggio degli E-

brei, ma il Sistema di dighe per regolare l’effetto

marea ed evitare l’allagamento di Venezia. 2 - Gli arresti sono 35, ma gli indagati sono quasi

150. Tra quelli d’area PD, troviamo Sergio Orsoni,

Sindaco di Venezia; Giampiero Marchese, consi-gliere regionale eccetera.

3 - E’ una favola metropolitana che la Sinistra sia

moralmente diversa : i partiti politici e, in genere, gli uomini politici, sono onesti e corrotti dappertutto.

4 - Tra gli altri, Marco Milanese, ex deputato e col-

laboratore di Giulio Tremonti; Giancarlo Galan, deputato eccetera.

5 - Spicca l’ex Generale della Guardia di Finanza

Emilio Spaziante. 6 - Presidente della Camera dei Deputati. Sotto la

sua regia, il Collegio dei Questori ha stabilito che i

barbieri, ivi in servizio, facciano un corso di ag-giornamento per curare, oltre la faccia (di gomma)

degli onorevoli maschi, anche le teste e le chiome delle deputatesse (faccia di gomma anche loro,

spesso siliconate!).

LETTERE

IN DIREZIONE

(Ilia Pedrina a Domenico Defelice)

Carissimo Amico,

oggi è il 16 Giugno e domani sarò in volo

verso il Nord dell'Europa, tu sai bene perché!

Poche righe dal mio studio di via Giovanni

Speranza n. 18, per dirti la mia gioia nel rice-

vere stamane il numero di Giugno 2014. Lo

porterò con me insieme agli altri, che dal me-

se di Marzo in poi, hanno visto pubblicati,

grazie al tuo consenso, i miei lavori su Luigi

Nono, su Schoenberg (ora la signora Nuria mi

precisa che si scrive così, perché la loro ori-

gine è spagnola e che lui, il suo Papà, non è

mai stato a Darmstadt, perché a quell'epoca

era con la famiglia e lei giovanissima a Los

Angeles!), sul compositore De Pirro, del qua-

le non ho messo la data di morte perché per

me è vivo e basta. Si, carissimo, perché que-

sto mio modo di vivere il tempo della comu-

nicazione e della relazione deve essere dilata-

to a macchia d'olio: senza lasciarsi fagocitare

dal mero crudo evento che blocca il respiro e

senza andare ogni volta, come faceva il Fo-

scolo, al tempio di Santa Croce in Firenze,

per trovare il coraggio di essere forte di fronte

alle tombe dei 'nostri' eroi, di quegli Italiani in

tutto ed autorevoli e degni di stima perché di-

gnitosi ed in rigore, come l'Alfieri e come

Dante, allora questa pratica dell' 'os mé', del

fare in modo che il nostro agire, come sostie-

ne l'apostolo Paolo, sia conformato alla pre-

senza di Gesù vivo e vero tra noi, credendo

fermamente che la Resurrezione sia veramen-

te avvenuta, allora tutto va oltre ogni sempli-

ce aspettativa e si incontra un 'destino' carico

di trasparente futuro. Nemmeno Nono per me

è morto, perché l'ho trovato in fotografia su

tutte le pareti della Trattoria Altanella: sono

andata la settimana scorsa e mi hanno accolto

con generosa simpatia, prima il papà Stradel-

la, lungo la Fondamenta di fronte al Canale

della Giudecca, classe 1939, che ha comincia-

to a lavorare a 16 anni in trattoria ed ora è

proprio stanco, dopo aver fatto un infarto, poi

i suoi due figlioli. Uno di loro mi ha spiegato

che quando è andato a Cuba ed ha incontrato

il responsabile della Cultura, che aveva cono-

sciuto direttamente Luigi Nono, generoso al

punto tale da portare i primi computer e do-

narli a loro, si è sentito dire 'Luigi Nono, un

uomo immenso!' Come faccio io, dimmi tu, a

non esser presa da 'intelletto d'amore', a non

innamorarmi perdutamente ed eticamente di

lui? Così il destino meravigliosamente incal-

za e mi fa toccare con mano cose che un al-

tro, ricercatore concentrato e non distratto, ci

metterebbe ' annorum' e vita a scoprire. E'

questo il caso delle parole di Nono per Jean

Barraqué e la sua 'Mort de Virgil'! Si, perché

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farò tutto un lavoro sulla teoria letteraria lega-

ta al romanzo, aperta da Thomas Mann ed in-

seguita da Hermann Broch e da altri, sulla fun-

zione dell'opera d'arte, funzione che Jean Bar-

raqué assume su di sé e ne scandaglia i risvolti

e gli intrecci: Virgilio si appressa alla morte e

vuole distruggere l'Eneide, dandola alle fiam-

me, questo il centro del lavoro di Broch, si,

vuole dare alle fiamme il suo capolavoro, per-

ché se è concluso, cosa resta altro da fare? La

morte chiude la vita dell' autore ed il libro,

completato e pubblicato, chiude il suo Autore

in una morsa che non lascia respiro. Andrò an-

cor più in profondità anche su questi due stu-

diosi e musicologi di vaglia, quali sono Paul

Griffiths e Laurent Feneyrou...

Io interrompo la fissità del continuum e mi

salta fuori la tua lettera del 27 Dicembre 1970

al Papà! Un dono incredibile dopo traslochi

ed inondazioni ed epurazioni di 'Mammina'!

Un'amica, graziosamente mi ha detto che 'Dio

xe diventà stralocio, el varda solo da la to par-

te!' Può darsi che Dio sia diventato strabico e

guardi solo dalla mia parte, ma Dio, quel Dio

che atterra e suscita, che affanna e che conso-

la lo cerco sempre e si fa trovare, perché '...in

principium erat Verbum, et Verbum erat apud

Deum et Verbum erat Deum'! Fai bene ad in-

coraggiarmi affinché raccolga tutte le testi-

monianza di Papà, perché dentro c'è vita e vi-

ta vera, quella che 'straborda' dai confini stret-

ti del reale, che oggi ancora soffoca, come ai

tempi di Bruno, di Campanella, del Tasso, del

Vico, di Aldo Moro e di Berlinguer....

Tra le tante, in una foto a colori, dietro il ban-

co della Trattoria Altanella, Nono è con Ab-

bado, Lachenmann, gli Stradella, Cacciari ed

altri e la foto è stata scattata dalla Signora

Nuria: Nono andava sempre da loro a man-

giare ed a bere, quando era alla Giudecca e

mi hanno offerto di tutto, facendomi pagare

quello che pagava Gigi! Un dettaglio: nel

Carteggio Lachenmann-Nono ci sono anche

lettere in italiano perché Elmo (Helmut La-

chenmann) usa scrivere in questa lingua

quando è stanco e non ha da pensare troppo,

così anche per altri testi e lettere di Nono a

lui: gli mostrerò Pomezia Notizie e la recen-

sione del Carteggio ed i miei lavori su Nono e

Arnold Schoenberg così vedremo se sarà feli-

ce e ti dirò tutto nei minimi particolari.

Ti abbraccio forte forte

Ilia tua

Ilia Carissima,

ognuno di noi possiede un modo di rappor-

tarsi con i Campioni del passato e, ancor di

più, con quelli del presente, al quale attingere

continuamente “per trovare il coraggio di es-

sere forti”.

Foscolo soleva andare - come tu ricordi - a

trovare il Grandi nel tempio di Santa Croce,

ben sapendo che la forza, che cercava da lo-

ro, poteva ugualmente attingerla anche stan-

do altrove: dalle loro opere, senza, cioè, la ne-

cessità che egli sostasse accanto alle loro tom-

be. Il recarsi a Firenze era per lui un rito, un

simbolo, un esempio, e Dio solo sa di quanti e

quali simboli, riti, esempi, oggi noi Italiani ab-

biamo bisogno per reagire e scrollarci di dos-

so i mali che ci affliggono e che sono morali

prima che materiali: la corruzione, l’avidità,

la disonestà, il lobbismo, la delinquenza orga-

nizzata e via elencando, che si manifestano so-

lo perché già annidati nel nostro cuore. Se

non c’è data l’ occasione e la possibilità di

recarci in Santa Croce, tutti dobbiamo ricor-

dare che i nostri sacri Templi sono coloro

che rappresentano un simbolo. Perciò, se è

giusto continuare a riferirci ai Grandi che ci

ha dato il passato, altrettanto doveroso è rin-

correre i grandi di oggi, in ogni campo, e che

possono variare per ciascuno di noi. Così, ac-

canto a Dante, Alfieri, Foscolo, Leopardi - a te

e a me in comune -, tu puoi e devi rincorrere

Nono, per esempio, ed io il tuo Papà, per e-

sempio, il grande Francesco Pedrina. Perché

anche oggi i “dignitosi e in rigore”, come tu

scrivi, li abbiamo in ogni campo - letterario,

artistico, musicale -: basta solo cercarli. Ami,

dunque, e additi al mondo ciascun di noi i

propri Campioni, perché anche il mondo si in-

namori di loro e cambi. Ma il campione per

eccellenza, il Sommo, l’Universale, colui che

rappresenta il Passato, il Presente e il Futuro,

è Cristo, al quale l’intera umanità - dei cre-

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denti e dei non credenti - dovrebbe guardare

e conformare l’esistenza, perché i Vangeli

sono, principalmente, norma di vita rivolta a

tutti gli uomini, senza distinzione di razza, co-

lore, censo. [La Fede. E ti confesso che, con

il passar degli anni, la mia, che in passato

pensavo profonda e inossidabile, si è di tanto

affievolita, proprio adesso che ne avrei più

bisogno]. Perciò, Cara Ilia, ti sprono ad an-

dare, finché puoi, all’incontro dei tuoi idoli e

a presentarceli come doni dello spirito. Po-

mezia-Notizie sarà sempre lieta e orgogliosa

di metterti a disposizione le sue pagine.

E vengo alla tua scoperta di una delle mie

tante lettere inviate, a suo tempo, al tuo Pa-

pà. L’emozione è stata grande. Non avendo

avuto mai l’ accortezza di conservare né boz-

ze, né veline, di ciò che negli anni ho scritto

ai tanti amici non ho traccia. Perciò essa mi

ha causato grande gioia. Ed è una conferma

di qual fosse, allora, il mio atteggiamento

verso i miei idoli: al tuo simile, di entusiasmo

e passione, perché il mio credo e la mia fidu-

cia in loro era granitica. Allora, continua a

sfogliare i suoi libri, a scavare tra le sue cose

rimaste dopo le “epurazioni” della tua

Mamma troppo gelosa; rivolgiti ai suoi pochi

amici superstiti, perché non potrai che trova-

re “vita e vita vera”.

Ti abbraccio.

Domenico

COLLABORATORI,

QUESTA TESTATA

È A RISCHIO CHIUSURA!

Questo numero è in forma assai ridotta per-

ché la cassa è completamente vuota. Gli

Autori, ogni volta che trovano la loro firma, o

pezzi a loro dedicati, dovrebbero sentirsi

moralmente obbligati ad effettuare un

qualche versamento volontario. L’ abbo-

namento - e non tutti l’hanno sottoscritto! -

serve appena per l’invio dei 12 numeri annua-

li, unico periodico a mantenere, finora, un ta-

le ritmo. Ci deprime, e fortemente ci indigna,

il fatto che “amici” collaboratori, sentendo un

tale discorso, addirittura si offendano. Amen!

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione) composti con

sistemi DOS o Windows su CD, indicando il si-

stema, il programma ed il nome del file. E’ ne-

cessaria anche una copia cartacea del testo.

Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per

cartella si intende un foglio battuto a macchina

da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale

di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubbli-

cato è necessario un contributo volontario). Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA

PRECEDENZA. I libri, per recensione, vanno

inviati in duplice copia. Per chi usa E-Mail: de-

[email protected] Il mensile è disponibile anche

sul sito www.issuu.com al link http://issuu.com/

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