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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice
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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA
Anno 24 (Nuova Serie) – n. 7 - Luglio 2016 - € 5,00
“LA “BUONA SCUOLA”:
SECONDO RENZI O LA MASTROCOLA? di Giuseppina Bosco
AOLA Mastrocola è un’insegnante di Lettere in un liceo scientifico di Torino, è nata
nel 1956 a Torino ed è autrice di romanzi : La gallina volante, (di cui uno dei premi è
stato il Campiello 2000), Palline di pane (finalista al premio strega 2001), Una barca
nel bosco (Premio Campiello 2004), Più lontana della luna (2007), La narice del coniglio
(2009); Il pamphlet narrativo La scuola raccontata al mio cane (2004); i due romanzi favola
P
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.2
All’interno:
Gli scrittori italiani e la grande guerra, di Elio Andriuoli, pag. 5
Leonardo Sciascia e la scomparsa di Majorana, di Marina Caracciolo, pag. 7
Aurora De Luca tra esperienza e trascrizione poetica, di Ilia Pedrina, pag. 11
La rivolta del correntista, di Giuseppe Giorgioli, pag. 14
La Calabria si racconta, di Carmine Chiodo, pag. 20
Edoardo Sanguineti, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 23
Anna Vincitorio: Bambini, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 25
Giovanni Battista Rigon e Gioacchino Rossini, di Ilia Pedrina, pag. 28
Olinto Dini, di Leonardo Selvaggi, pag. 31
Domenico Defelice in un saggio di Claudia Trimarchi, di Marina Caracciolo, pag. 35
Antonia Izzi Rufo e La casa di mio nonno, di Tito Cauchi, pag. 37
La poesia di Domenico Defelice e la funzione catartica, di Luigi De Rosa, pag. 40
Leggendo poesie di Nazario Pardini, di Aurora De Luca, pag. 42
Che cosa intendo per poesia, di Nicola Lo Bianco, pag. 46
A mio padre, di Anna Vincitorio, pag. 48
I Poeti e la Natura (Umberto Saba), di Luigi De Rosa, pag. 51
Notizie, pag. 60
Libri ricevuti, pag. 63
Tra le riviste, pag. 65
RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in
Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 53); Carmine Chiodo (Il dialetto della vi-
ta/Il sogno la vita la bellezza, di Pasquale Montalto e Domenico Tucci, pag. 55); Domenico
Defelice (La grande poesia di Gianni Rescigno il poeta di Santa Maria di Castellabate, di
Luigi De Rosa, pag. 56); Elisabetta Di Iaconi (La funzione catartica e rigeneratrice della
poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 57); Anna Vincitorio (La funzione
catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 58).
Lettere i Redazione (Ilia Pedrina), pag. 66
Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Domenico Defelice, Luigi De Rosa,
Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Elisabetta Di Iaconi, Caterina Felici, Béatrice
Gaudy, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Adriana Mondo, Rossano Onano, Nazario
Pardini, Susanna Pelizza, Teresinka Pereira
Che animale sei? (2005), e E se covano i lupi
(2008); la raccolta di poesie La felicità del
galleggiante (2010), e i nuovi romanzi “Non
so niente di te” (2014), L’esercito delle cose
inutili” (2015).
Ciò che scrive e sostiene nell’opera “To-
gliamo il disturbo”1, saggio sulla libertà di
non studiare è condivisibile al cento per cen-
to, e un po’ rispecchia il malessere che la to-
talità degli insegnanti vive quotidianamente.
Si tratta di una fotografia della realtà giovani-
le, i giovani ridotti a “orda scomposta per
colpa del sistema-società che li ha ridotti così,
e che determina demotivazione nei docenti, i
quali vivono con disagio il proprio lavoro,
chiedendosi continuamente: che senso ha og-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.3
gi il lavoro d’insegnante? I ragazzi difatti,
non credono nell’istruzione, vanno a scuola
spinti dalle famiglie.
Esse in virtù dell’ambizione scolastica fa-
miliare li iscrivono al liceo scientifico o clas-
sico o delle scienze umane o linguistico e
questa ambizione delle famiglie, unita alla
trasformazione della scuola in azienda (che
deve assicurare e vendere un buon prodotto
formativo, si fa per dire) ha contribuito a sna-
turare la scuola stessa intesa come luogo di
trasmissione di cultura e conoscenze.
La scuola-azienda degli anni Novanta sorta
come scuola dell’autonomia che si autopro-
muoveva con il PEI prima e con il POF poi
mediante progetti e finanziamenti finalizzati
alla creazione di strutture efficienti (laborato-
ri-palestre-videoteche), ha bisogno di far leva
sui numeri: più iscritti, più promossi e licen-
ziati per garantire la propria sopravvivenza e
molto spesso, questi numeri (capestro), sono
condizionanti per la categoria.
I professori affinché gli allievi siano esortati
a frequentare la scuola e a studiare (forse!)
devono saperli motivare, fornire loro le com-
petenze necessarie, eliminare gli insuccessi,
altrimenti si tratta di cattivi insegnanti, in-
competenti, ed è colpa loro se i giovani non
scelgono quell’indirizzo di studi o, peggio
anco-
ra, se
abban-
ban-
dona-
no la
scuola.
Si
crea
sem-
pre più
spes-
so, so-
prat-
tutto
nelle
scuole
supe-
riori,
un circolo vizioso: malessere del docente, so-
litudine, disagio, insoddisfazione\ incompren-
sione, che può condividere solo con pochi (i
più illuminati), per il resto, si arriva ad una
spietata competizione come lotta per la so-
pravvivenza, L’ultima riforma sulla cosiddet-
ta “buona scuola” accentua sempre di più
questo processo).
Non ci sarà più (o forse non c’è mai stato)
un confronto leale tra colleghi, senza che si
assista alle performances dei più “competen-
ti”, dispensatori di dotti saperi e di innumere-
voli “ipse dixit”, con buona pace di quell’ at-
teggiamento collaborativo e di condivisione
relativo agli aspetti problematici del proprio
insegnamento.
E proprio questi docenti-monadi ,auto refe-
renziali, giudici impietosi del lavoro altrui,
severi censori verso altri colleghi che riten-
gono non abbastanza esperti ed innovativi, ri-
velandosi poco solidali, predomineranno
maggiormente nella scuola-azienda.
Le quotazioni di alcuni professori poi “sal-
gono” se preparano i propri allievi a parteci-
pare a concorsi vari (regionali, nazionali o in-
terni alla scuola) che si dia il caso poi vinca-
no, sono la garanzia della tanto declamata
“scuola di qualità o buona scuola”, come
adesso si suol dire.
I docenti “normali”, quelli che pretendono
dagli alunni lo studio, che siano scolarizzati,
ossequiosi delle regole del vivere civile, sono
considerati vessatori, intolleranti, contrari ad
un’impostazione democratica della scuola, la
quale deve garantire a tutti il successo forma-
tivo.
Alle famiglie e ai figli, si affida il giudizio
inappellabile sull’insegnante e se quest’ ulti-
mo si permette di fare un’interrogazione a
sorpresa o proporre compiti impegnativi o
peggio ancora, dà voti negativi, si accusa su-
bito l’insegnante che non sa insegnare.
Questi poveri docenti devono essere ricon-
dizionati o meglio ancora ri-programmati, so-
prattutto in questa scuola del terzo millennio,
che sull’onda delle direttive europee, conte-
nute nel trattato di Lisbona, deve assicurare
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.4
agli allievi le cosiddette “competenze, cono-
scenze e abilità”.
In cosa consistano queste competenze ci
viene chiarito dai nuovi formatori, esperti del-
la nuova scuola che devono, come tanti Kapò,
ricondizionare la classe docente (robotizzata)
e accettare il nuovo verbo: non bisogna tra-
smettere più le conoscenze (le poesie di Pa-
scoli, la filosofia di Kant, l’apparato digeren-
te) ma saper fare, o meglio ancora ,saper fina-
lizzare le discipline ai “ contesti lavorativi”.
Non importa sapere la filosofia di Hegel,
ma saper risolvere problemi, saper agire in si-
tuazioni significative, saper navigare su inter-
net e saper apprendere all’infinito (non im-
porta che cosa) e quindi programmare signifi-
ca assicurare a tutti le conoscenze, abilità,
competenze in modo tale che il ragazzo impa-
ri poche nozioni e dimostri di saperle applica-
re (abilità) e in futuro, in situazioni di lavoro,
saper far tesoro delle competenze e abilità.
Non si è in Europa se la scuola non tiene
conto delle otto competenze-chiave che alla
fine del percorso scolastico l’alunno deve
possedere. Non importa se gli alunni cono-
scano Manzoni, Dante, Tasso l ’importante è
come li utilizzino, se poi serva a conoscere
meglio la lingua italiana, è poco rilevante,
l’importante è che “conoscano” le lingue
straniere.
In una parte del saggio la Mastrocola2 cita
un importante studio di Erich Fromm sul va-
lore della libertà, dal titolo ”Fuga dalla liber-
tà”3, pubblicato nel 1941, che analizza in un
periodo dominato dai totalitarismi e dalla ne-
gazione delle libertà individuali, l’origine psi-
cologica e sociale di questa fuga dalla libertà.
Pertanto l’uomo per non sentirsi solo, esclu-
so, isolato, se rimane legato alla propria liber-
tà individuale, accetta di vivere sotto un go-
verno dittatoriale o diventa “uno dei tanti”
come massa informe, conformandosi così ai
modelli dominanti, spersonalizzandosi. L’
uomo esce dall’anonimato solo “chattando”
o aprendo un blog. Vivere secondo la propria
autentica personalità se da un lato ci rende li-
beri, dall’altro ci condanna all’isolamento e
all’incomprensione.
Difendere la propria libertà individuale si-
gnifica aver consapevolezza di quel che si è e
si vuole fare, pur andando controcorrente,
quando si pretende la propria realizzazione
personale attraverso lo studio e la preparazio-
ne. Non necessariamente essere studen-
ti/cittadini attivi significa freneticamente o
schizofrenicamente “ dover fare tante cose
contemporaneamente, come mandare un’e-
mail, ascoltare musica, studiare la lezione”.
Allo stesso modo è fondamentale, per un
una società veramente democratica, il rispetto
delle libertà di insegnamento e l’autonomia
degli insegnanti.
La scuola oggi deve, oltre a trasmettere i
saperi, formare i cittadini, consapevoli di po-
ter operare scelte in base alle proprie attitudi-
ni, attenti ai valori etici e relazionali e non
competitivi, egoisti e poco rispettosi verso il
prossimo.
Non è dunque più sostenibile che lo studio
di Dante, di Petrarca, di Kirkegaard sia un va-
lore in sé dal punto di vista culturale e forma-
tivo, se non spendibile ai fini commerciali.
Bisogna uscire da questa logica della società
di mercato e promuovere la cultura come va-
lore formativo per “essere” e non per “com-
petere”.
L’ex ministro della pubblica istruzione,
Gelmini, con i guasti provocati dalla sua
pseudo-riforma della scuola, pretendendo
di coniugare innovazione e tradizione, non
è stata credibile per: i continui tagli all’
istruzione, il riordinamento dei licei, che si
sono tradotti in una sfascio generalizzato
della scuola e il ricorso ai cosiddetti “nuovi
pedagogisti” (i diseducatori degli educatori
come molto pertinentemente li definisce la
Mastrocola) contribuiranno a formare l’
homo novus, non più sapiens, bensì videns,
anzi “zappiens”.
Giuseppina Bosco 1 Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo, saggio
sulla libertà di non studiare, Ugo Guanda editore,
2011. 2 ibidem, pp 264-271 3 Erich Fromm, tratto da “ Escape from freedom”
1941, “ Fuga dalla libertà”, edizioni di comunità, Milano 1978
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.5
MARIA TERESA CAPRILE
E FRANCESCO DE NICOLA:
GLI SCRITTORI ITALIANI
E LA GRANDE GUERRA di Elio Andriuoli
UELLO della guerra è un tragico even-
to che investe un’intera collettività: è
naturale pertanto che essa coinvolga
anche gli scrittori, sia narratori che poeti, i
quali in tale comunità vivono ed operano.
Della guerra quale fenomeno sociale e poli-
tico si erano già occupati Francesco De Nico-
la e Maria Teresa Caprile con un libro intito-
lato Gli scrittori italiani e il Risorgimento,
apparso nel 2011 ed ora sono tornati ad occu-
parsene con un libro Gli scrittori italiani e la
Grande Guerra, uscito nel 2014 (Ghenomena
Editore, Formia, € 18,00), cui dovrà far segui-
to un terzo volume, Gli scrittori italiani e la
Resistenza.
Sono, queste, delle ricerche di molto inte-
resse, perché mettono a fuoco, come osserva-
no gli autori, “pagine di buona e talora ottima
qualità letteraria”, sovente dimenticate o non
del tutto valorizzate per il significato che con-
tengono di testimonianza diretta e profonda
del loro tempo.
Ci siamo già occupati del primo di questi
libri, allorché apparve; spenderemo pertanto
qualche parola anche sul secondo, che è giun-
to in occasione del centenario della Prima
Guerra Mondiale.
L’argomento è vasto e opportunamente gli
autori lo hanno trattato suddividendolo in vari
capitoli, il primo dei quali è Dalla vigilia
all’entrata in guerra, che pone in primo pia-
no la figura di Filippo Tommaso Marinetti,
autore con altri del Manifesto del Futurismo,
pubblicato a Parigi il 20 febbraio 1909 su “Le
Figarò” dove, tra le diverse dichiarazioni
d’intenti, si legge: “Noi vogliamo glorificare
la guerra, sola igiene del mondo”.
Tra questi scrittori della “vigilia” sono an-
che da ricordare Renato Serra, del quale qui si
leggono alcune pagine del suo Esame di co-
scienza di un letterato; Luigi Pirandello, con
la novella Berecche e la guerra e Elio Vitto-
rini, con il racconto La mia guerra, oltre ad
altri autori molto noti, come Dino Campana.
Fa seguito un capitolo intitolato Poeti in
trincea, nel quale figura innanzi tutto Giusep-
pe Ungaretti, con alcune poesie di Il porto se-
polto, il suo libro d’esordio, dal quale ebbe la
fama, che vide la luce a Udine, nel dicembre
1916, ad opera di Ettore Serra, anch’egli poe-
ta, che aveva conosciuto Ungaretti in zona di
operazioni ed era stato il suo primo editore.
Vengono inoltre antologizzati in questo capi-
tolo Vittorio Locchi, con La sagra di Santa
Gorizia; Umberto Saba, con due brevi poesie:
Partendo per la zona di guerra e La stazione;
Piero Jahier, con Prima marcia alpina; Cle-
mente Rebora, con Voce di vedetta morta e
Viatico; Eugenio Montale, con Valmorbia;
Camillo Sbarbaro, con alcune delle sue Car-
toline in franchigia; Carlo Betocchi, con una
pagina del suo libro L’anno di Caporetto.
Sono questi, come ognuno può constatare,
alcuni dei maggiori poeti italiani del primo
Novecento, i quali parteciparono in vario
Q
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.6
modo alla Prima Guerra Mondiale, fermando
nei loro testi momenti indimenticabili dell’
esperienza vissuta.
La maggior parte delle pagine di questo vo-
lume sono però dedicate ai narratori, distri-
buiti negli altri cinque capitoli, che variamen-
te li raggruppano. Così, nel terzo capitolo, in-
titolato Dalle Alpi agli Altopiani, compaiono
scritti di Massimo Bontempelli: Cortina, 4
settembre 1915; Carlo Pastorino: Via!; Emilio
Lussu: Un anno sull’altopiano; Beppe Feno-
glio: Gli zii e la guerra; ecc.
Di ciascun autore sono inoltre date notizie
sulla vita e sulle opere, che valgono ad inse-
rirlo nel più generale contesto, e sono inoltre
date delle informazioni utilissime per com-
prendere il clima spirituale in cui i loro scritti
erano nati.
Ne risulta un quadro molto variegato, nel
quale la guerra è considerata sotto differenti
punti di vista, che vanno dal consenso alla ri-
pulsa, ma sempre con l’immediatezza e la
freschezza di un’arte che nasce direttamente
dalla vita vissuta. Questi scrittori infatti sono
stati per lo più testimoni diretti dei fatti narra-
ti, che vengono in tal modo da loro evocati
con autentica partecipazione emotiva. Percor-
re inoltre queste pagine il vivo sentimento
dell’ineluttabilità del destino che su tutti in-
combe, al quale non è dato sottrarsi.
E’ quanto emerge anche dagli altri capitoli
del libro, che seguono le varie fasi della guer-
ra o ne considerano i diversi settori. Ecco al-
lora le pagine del capitolo Dal Carso all’
Isonzo, dove compaiono gli scritti Vent’anni
di Corrado Alvaro; Nostro Purgatorio di An-
tinio Baldini; Rubè di Giuseppe Antinio Bor-
gese; La paura di Federico de Roberto; Ri-
torneranno di Giani Stuparich; ecc.
Aviatori, marinai e prigionieri è un capitolo
che contiene pagine di Umberto Saba Parten-
za d’aeroplani; Gabriele D’Annunzio: Not-
turno; Vittorio Giovanni Rossi: I lupi nell’
ovile; Carlo Emilio Gadda: Compagni di pri-
gionia; Carlo Pastorino: Prigionieri in Boe-
mia.
Sono scritti questi nei quali gli sviluppi del-
la guerra e i suoi orrori sono descritti con par-
ticolare efficacia ed evidenza, con un’analisi
sovente impietosa delle vicende belliche e
della sofferenza che esse comportano.
Gli ultimi due capitoli, Le vittime senza di-
visa e Da Caporetto al Piave, concludono un
libro per molti versi utilissimo a chiunque
voglia comprendere un periodo molto impor-
tante della nostra storia nazionale, che avrà
conseguenze determinanti per gli anni a veni-
re.
E si tratta di capitoli che contengono testi
degni, al pari degli altri, di molta attenzione,
come quelli di Mario Rigoni Stern (da Storia
di Tönle); Angiolo Silvio Novaro (da Il fab-
bro armonioso); Enrico Morovich (Memorie
da un altro mondo: da Le parole legate al di-
to), che parlano delle sofferenze patite dai ci-
vili a causa della guerra; e quelle di Mario
Puccini (Cappotto); Ardengo Soffici (La riti-
rata di Caporetto); Riccardo Bacchelli (da Il
mulino del Po) e italo Svevo (da La coscienza
di Zeno), che affrontano piuttosto le ragioni
della dolorosa ritirata di Caporetto e poi della
battaglia finale di Vittorio Veneto che segnò
l’ora della nostra rivincita.
Elio Andriuoli
NON SIA MAI CH’IO DIMENTICHI
Non sia mai ch’io ti dimentichi
o ti riduca
a un’immagine sbiadita,
tu che sei stato la ragione
più bella della mia vita.
Non sia mai ch’io ti dimentichi,
ch’io dimentichi il tuo viso,
la tua voce,
il tuo sorriso,
le parole
che un giorno mi dicesti o quelle
che a volte mi scrivesti.
Non sia mai ch’io dimentichi quel senso
di comunione d’anime che ancora
mi invade ogni volta che ti penso
e ti fa vivo nel mio cuore
ancora adesso.
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.7
LEONARDO SCIASCIA
E LA SCOMPARSA
DI MAJORANA di Marina Caracciolo
quarant’anni dalla pubblicazione del
bel libro di Leonardo Sciascia e a
centodieci dalla nascita (5 agosto
1906) del grande fisico siciliano, può essere
interessante soffermarsi di nuovo su questo
singolare enigma, che fu a suo tempo, e tale
all’incirca è tuttora, uno dei più oscuri e intri-
cati casi di sparizione di tutto il secolo XX.
Il saggio – che uscì nell’autunno del 1975 –
si rivela ancor oggi attuale e affascinante: ne-
gli undici agili capitoli, la linearità e la chia-
rezza del documentario si alternano all’ ele-
ganza della prosa letteraria e alla profondità
di uno studio sia storico-politico che psicolo-
gico.
Costruendo un’indagine a mosaico, Sciascia
comincia il suo racconto dalla lettera che
nell’aprile del ’38 Giovanni Gentile scrisse al
capo della polizia Arturo Bocchini, solleci-
tando calorosamente attive ricerche di un
uomo che definiva «una delle maggiori ener-
gie della scienza italiana», e man mano si ad-
dentra nell’argomento tracciando un quadro
sempre più dettagliato dei fatti e un ritratto
sempre più ricco di sfaccettature della perso-
nalità del giovane scienziato.
Fin dalle prime pagine si capisce che lo
scrittore siciliano non concorda con la tesi –
che all’epoca, nonostante molte perplessità,
finì per prendere il sopravvento – della scom-
parsa con intento di suicidio: Ettore Majora-
na, mente eccezionale, fisico teorico di
straordinaria levatura, che, dicono, soleva
scribacchiare a matita, su foglietti volanti o su
pacchetti di sigarette, geniali teorie che – se
sviluppate e pubblicate – gli avrebbero assi-
curato il Nobel; titolare per «chiara fama», a
soli trentuno anni, della cattedra di Fisica
Teorica all’Università di Napoli, di famiglia
benestante, non aveva, a dire il vero, molti
motivi per togliersi la vita.
A Roma, entrato a far parte, sebbene sem-
pre in maniera alquanto anomala e saltuaria,
dei «ragazzi di via Panisperna», i giovani
scienziati – come Emilio Segrè, Edoardo
Amaldi, Franco Rasetti, Giovanni Gentile jr.
e altri – guidati da Enrico Fermi, Majorana,
quando aveva quasi compiuto gli studi di in-
gegneria si sentì più incline alla fisica teorica
e, dopo il passaggio di facoltà, si laureò «con
lode» con una tesi su La teoria quantistica
dei nuclei radioattivi.
Fermi aveva per lui una profonda stima e
un’ammirazione incondizionata. Majorana
era l’unico, come disse Segrè, che potesse di-
scutere con lui, sul piano scientifico, da pari a
pari. «Io non esito a dichiararvi, – scrisse in
una lettera a Mussolini – e non lo dico quale
espressione iperbolica, che fra tutti gli stu-
diosi italiani e stranieri che ho avuto occa-
sione di avvicinare, il Majorana è quello che
per profondità d’ingegno mi ha maggiormen-
te colpito.[…] Ettore Majorana ha al massi-
mo grado quel raro complesso di attitudini
che formano il tipico teorico di gran classe».
In un’altra occasione, lo scienziato romano lo
descrisse come un vero e proprio genio, e lo
paragonò (dimenticandosi però stranamente
di Einstein) a Newton e a Galileo.
Tuttavia più ancora che di Fermi, verso il
A
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.8
quale, oltre ad essere animato da un certo spi-
rito di antagonismo, sentiva pure un senso di
estraneità al limite della diffidenza, Majorana
divenne amico – durante un soggiorno di al-
cuni mesi a Lipsia, nel 1933 – del fisico tede-
sco Werner Heisenberg. Come scrive Scia-
scia, fu forse questo l’incontro più significati-
vo, più importante della sua vita; e sul piano
umano prima ancora che su quello scientifico.
Poco più che trentenne, Heisenberg è descrit-
to da Majorana, nelle lettere ai genitori, come
una persona straordinariamente cortese e
simpatica. Con lui lo studioso italiano riesce a
mettere da parte la sua ritrosia durante lunghe
chiacchierate, appassionanti discussioni
scientifiche e piacevoli partite a scacchi; e per
di più impara la lingua tedesca. A Lipsia in-
contra anche altre eminenti personalità, come
il fisico americano Feenberg e, in seguito, a
Copenaghen, Niels Bohr.
«Questo giovane smilzo, con un’andatura
timida, quasi incerta – come lo descrisse
Amaldi, vedendolo per la prima volta, nel
1928 – dai capelli nerissimi e dalla carnagio-
ne scura, le gote lievemente scavate e gli oc-
chi vivacissimi e scintillanti», questo genio
dall’intelligenza fenomenale ma dal carattere
scontroso e introverso, del tutto restio a con-
ferire in pubblico e anche a pubblicare i risul-
tati delle sue ardite ipotesi scientifiche,1 che
motivo poteva avere, pochi anni dopo, di
eclissarsi per sempre o addirittura di rinuncia-
re alla vita?…
Sciascia riporta in proposito un passo elo-
quente di una lettera della madre di Majorana,
Dorina Corso, inviata a Mussolini dopo la sua
scomparsa, in cui così parla del figlio: «Fu
sempre savio ed equilibrato e il dramma del-
la sua anima o dei suoi nervi sembra dunque
un mistero. Ma una cosa è certa, e l’attestano
con grande sicurezza tutti gli amici, la fami-
glia, ed io stessa che sono la madre: non si
notarono mai in lui precedenti clinici o mora-
li che possano far pensare al suicidio; al con-
trario, la serenità e la severità della sua vita
permettono, anzi impongono, di considerarlo
soltanto come una vittima della scienza».
In contrasto con le due missive del 25 mar-
zo 1938, una inviata a Carrelli, direttore
dell’Istituto di Fisica dell’Università di Napo-
li, e l’altra indirizzata alla famiglia, dove il
proposito di porre fine ai suoi giorni, seppure
espresso in maniera non esplicita, è tuttavia
assai evidente, ci sono molte cose che fanno
pensare a una volontà di sparire, di far perde-
re le proprie tracce per non farsi mai trovare,
ma non al suicidio: Majorana aveva sicura-
mente pianificato da mesi la sua scomparsa,
con cura meticolosa e senza tralasciare il mi-
nimo particolare. La sua mente matematica e
strategica commise tuttavia due strani «erro-
ri» (sempre che non fossero voluti, proprio
per lasciar capire a qualcuno, in maniera sot-
tintesa, che in realtà non intendeva affatto uc-
cidersi): è alquanto inverosimile che chi vo-
glia suicidarsi porti con sé il passaporto e tut-
to il denaro che può avere a disposizione…
Già a gennaio del ’38 Majorana aveva chiesto
di poter prelevare dal conto in banca tutta la
parte a lui spettante, e poco prima del 25
marzo aveva ritirato in una sola volta cinque
mensilità arretrate del suo stipendio, che fino
a quel momento non si era preoccupato di ri-
scuotere. Il tutto poteva equivalere a circa
10.000 dollari attuali. Se voleva portarsi die-
tro i documenti e questa somma cospicua,
non pensava a morire gettandosi in mare dal
piroscafo nel tragitto Palermo-Napoli, come
volle lasciar credere; forse progettava invece
un viaggio, magari in paesi lontani, dove nes-
suno l’avrebbe mai potuto individuare.
In un libro appena pubblicato, La seconda
vita di Majorana (Chiarelettere, giugno 2016)
gli autori, i tre giornalisti Giuseppe Borello,
Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini, ripercor-
rono le indagini da loro condotte attraverso la
Sicilia e il Lazio, fino a giungere in Venezue-
la. Là hanno parlato con gli ultimi testimoni
che ritengono di averlo riconosciuto, con i lo-
ro figli e nipoti, e hanno messo insieme i tas-
selli della possibile seconda esistenza del fisi-
co catanese. Ne risulta un interessante repor-
tage con molte risposte nuove ma pieno di
ombre e di altri misteri. Il «caso» Majorana
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.9
sembra comunque non ancora vicino ad esse-
re del tutto chiarito.
Che si sia trattato di suicidio oppure no, il
vero enigma della sua scomparsa consiste tut-
tavia nelle motivazioni all’origine del gesto.
Ed è a questo proposito che Sciascia avanza
due ipotesi: una di natura eminentemente eti-
ca, l’altra di ordine psicologico; con l’ esclu-
sione, pertanto, di qualunque causa patologi-
ca (follia o grave depressione oppure insicu-
rezza e paura morbosa di affrontare le re-
sponsabilità e i problemi dell’esistenza).
Le ricerche nel campo della fisica – di Hei-
senberg, di Majorana come dell’Istituto di via
Panisperna diretto da Fermi – vertevano in
particolare sull’atomo e sulla fissione nuclea-
re. È molto improbabile, afferma Sciascia,
che il giovane studioso, con la sue straordina-
rie doti di intuizione e di lungimiranza scien-
tifica non avesse capito il potenziale terribil-
mente distruttivo che vi era connesso. Ecco
allora che la volontà di sparire potrebbe corri-
spondere all’urgenza di eludere qualsiasi suc-
cessiva forzatura politica e ogni possibile
sfruttamento a fini bellici delle sue ricerche.
Le sue speculazioni teoriche, insomma, non
dovevano trasformarsi in una rovina per l’
umanità. Questi assilli morali dovevano forse
essere già sorti al tempo del suo viaggio in
Germania, probabilmente nel corso delle
conversazioni con Heisenberg. Al suo ritorno
a Roma, Majorana cambiò visibilmente at-
teggiamento: già chiuso e riservato di natura,
divenne sempre più misantropo, uscendo ben
poco di casa e ancor più diradando le sue visi-
te all’Istituto. Sembrava pure aver cessato di
occuparsi di fisica, per lo meno non ne parla-
va più.
L’altra spiegazione ipotizzata da Sciascia è
quella psicologica (in ogni caso connessa alla
prima): il voler perdere del tutto la propria
identità per acquistarne una nuova, tutta di-
versa. L’autore – che nel saggio parla spesso
di letteratura e nomina scrittori come Eliot e
Montale, Shakespeare e Stendhal, Brancati e
Pirandello – qui cita Il fu Mattia Pascal e, in
particolare, come una sorta di «modello»
dell’atteggiamento di Majorana,2 il Vitangelo
Moscarda di Uno, nessuno e centomila. La
«morte» è da considerarsi allora simbolica,
non reale: il passaggio da uno ad un altro in-
dividuo, da una ad un’altra vita, entrando, nel
contempo, nell’impenetrabile sfera dell’ invi-
sibilità. Un mutamento che costituisce un in-
gresso nel mito. «Già lo scomparire – scrive
Sciascia – ha di per sé, e in ogni caso, un che
di mitico. […] Ma specialmente in un caso
come quello di Ettore Majorana, nel cui miti-
co scomparire venivano ad assumere mitici
significati la giovinezza, la mente prodigiosa,
la scienza».
Nel bel saggio Uno strappo nel cielo di car-
ta – che nell’edizione Adelphi3 commenta in
appendice il testo di Sciascia – l’autrice, Lea
Ritter Santini,4 parlando del tormento di co-
scienza di Majorana, propende per la prima
ipotesi formulata dallo scrittore siciliano, e ci-
ta a proposito un altro autore, il drammaturgo
svizzero Friedrich Dürrenmatt, che nel suo
dramma I fisici5 fa dire a un personaggio
(Mœbius): «Siamo giunti, nella nostra scien-
za, ai confini dello scibile… Abbiamo rag-
giunto il traguardo del nostro cammino. Ma l’
umanità non c’è ancora arrivata… La nostra
scienza è diventata tremenda, la nostra ricerca
pericolosa, la nostra conoscenza mortale. Non
resta per noi fisici che la capitolazione di
fronte alla realtà… Dobbiamo rinnegare la
scienza e io l’ho rinnegata. Non c’è nes-
sun’altra soluzione, nemmeno per voi».
Ecco, Ettore Majorana aveva forse intuito
che la fisica nucleare stava prendendo una
strada sbagliata, una via rischiosa e terribile
che portava non al progresso ma alla distru-
zione. La sua scomparsa – sia che fosse il ri-
fugio nel segreto di un chiostro o una nuova
vita in un altro continente o perfino la morte –
non era di certo una vile fuga dalla realtà, ma
la precisa decisione di sottrarsi al coinvolgi-
mento, alla colpevole complicità morale di un
futuro sfacelo. E di lì a qualche anno gli
eventi avrebbero tutt’altro che smentito le sue
pessimistiche previsioni.
Marina Caracciolo NOTE 1 Ricordiamo, ad esempio, che fu Majorana ad ela-
borare per primo, pur senza mai pubblicarla, la teo-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.10
ria del nucleo dell’atomo costituito da protoni e
neutroni; teoria che poco tempo dopo fu enunciata
da Werner Heisenberg e ne ebbe il suo nome. 2 Come Sciascia ci riporta in un esergo di questo
saggio, Edoardo Amaldi, nella sua Nota biografica
di Ettore Majorana, ricordando le passioni lettera-rie del giovane scienziato aveva osservato: «Predi-
ligeva Shakespeare e Pirandello». 3 Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana (Adelphi, Milano 19971). 4 Il saggio di Lea Ritter Santini accompagnava ori-
ginariamente la traduzione tedesca del testo di Leo-nardo Sciascia (Der Fall Majorana, Seewald,
Stuttgart 1978 e Ullstein, Frankfurt-Berlin-Wien
1980). 5 Friedrich Dürrenmatt, Die Physiker in Komödien
II und frühe Stücke, Verlag der Arche, Zürich 1963
(trad. it. I fisici, Einaudi, Torino 1972).
LE PEUPLIER
A l’ami Paul Courget
En haut et en bas, en haut et en bas,
le long de ton tronc haut et léger,
- pic inquiet -
inspectant au sommet
le nid des passereaux.
Deux œufs, puis trois..., cinq...
toute la couvée.
En haut et en bas, en haut et en bas,
matin et soir.
Voici les petits sans plume, gauches,
horribles à voir
dans leur nudité sans défense.
En haut et en bas, en haut et en bas,
et vint le jour de la fête
et de la mélancolie.
Va-t’en de là, va-t’en
pic inquiet !
semblaient crier papa et maman
en voletant en rond au-dessus de ma tête.
Sur le bord du nid se montrèrent les petits
- cinq jeunes fiers -,
tous décidés à conquérir le monde.
Tchip, tchip, tchitchip !
L’un derrière l’autre
les voilà allègres suivant leurs parents
au-delà de la route bruyante
où vogue noire une forêt.
J’étais heureux moi aussi,
pic inquiet
sur ce tien tronc
à me balancer au vent.
Pic, tu veux t’en aller ?
Oh, la nostalgie de voler,
sûr moi aussi de conquérir le monde !
Je me souviens que je demeurai embrassé à
toi,
ami peuplier,
quasiment tout le jour,
bercé par ta bruissant chevelure de feuilles,
les yeux mi-clos,
perdu moi aussi dans le vert
au-delà de la route bruyante,
là, où voguait une forêt
(pas la Forêt des Mille Poètes !)
Domenico Defelice in ALBERI ? - Traduction de Béatrice Gaudy, della
quale è anche il disegno “Nel cuore segreto del bo-
sco” (ma l’albero è una quercia, non un pioppo !), che ospitiamo a pag. 50.
SOLI AMICI
Sabbia pepite
nel sole del fiume
la pirite
sfavilla come l’oro
Grandine delle pene
i lutti le malattie la povertà
e il fiume è nero!
i volti amici
lo sciabordio delle parole
che si cancellano che ammutiscono
Gelo degli affetti
E non è neanche la collera
di tanta ipocrisia
Il disprezzo
Nel buio della corrente
risplendono
i soli sinceri
che rischiarano una vita
Bice (Béatrice) Gaudy Francia
Traduzione del Poeta Nino Briamonte
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.11
AURORA DE LUCA
tra esperienza
e trascrizione poetica di Ilia Pedrina
’ESPERIENZA di vita forma e tra-
sforma insieme non solo chi la vive
come propria ed imprescindibile dal
sé, ma anche e reciprocamente coloro che vi
si trovano intorno, accanto, in ascolto, in frat-
tura, in allacciamenti amorosi, in sintonia, tra
confusioni e silenzi, in attesa d'aspettative in-
dipendenti dalla loro realizzazione concreta e
forse solo sognate, in respiri e parole pronun-
ciate o taciute, in fascinazioni destinali, in
slanci ed accovacciamenti assorti. Su tutta
questa intrecciata trama di emozioni si vibra
una capacità di trascrivere per sé e per gli altri
un percorso sensibile che renda efficace e de-
gna di memoria quella esperienza stessa,
sganciandola da tante altre, portandola a livel-
li di comprensibilità armonica nuova ed inte-
ressante. Così Aurora De Luca affronta la
trascrizione poetica delle sue emozioni, vita-
lissime: mi riferisco a 'I Quaderni letterari
di POMEZIA-NOTIZIE, Il Croco, Marzo
2011', numero dedicato ad Aurora De Luca,
vincitrice del Quinto Premio Città di Pomezia
2010 con la raccolta di poesie 'IL TUO CO-
LORE MARE BLU', con presentazione di
Domenico Defelice.
Un percorso di 24 liriche o canti d'esperien-
za e di memoria, che, tengo a precisare, non è
ricordo, ma traccia, orma, solco, incisione fis-
sa nella raccolta strategia della permanenza
d'immagine: il versante intimo si evidenzia
fin dai primi approcci di scrittura, quando la
giovane Aurora intona in ritmo reiterato l'e-
vocazione dell'amato, desiato ed atteso: in
'Solo tu' questo inciso viene colto in eco a dif-
ferenti livelli e segna quel ritmo acceso che
spegne docilmente ogni arsura e spinge le sue
aspettative oltre, quasi sponda e approdo
all'interno dei segreti del colore del mare; in
'Ora' gli elementi di natura sono raccolti nel
cuore, nel corpo, nel respiro della giovane ar-
tista che nel vento ha la sua metamorfosi d'ali
per alimentare ancor più le componenti in
fuoco del legame a due.
Aurora De Luca percorre la vita attraverso l'
amore, l'attesa, il desiderio, così i suoi canti si
susseguono come respiri con ritmi nuovi che
incalzano anche attraverso la scansione ansi-
mante degli interrogativi, posti a chi è pura
immaginazione poetica pensare che possa da-
re un responso: ella si fa sacerdotessa dell'at-
tesa e dell'andare oltre, nell'Amare, dinamica
che sospende il tempo e lo fa rinascere nel
differente tempo della Poesia ('Essenza' e 'E
allora...').
Ma il vivere l'esperienza del 'fare poesia'
non è cosa semplice, né semplice esercitazio-
ne d'immagini da ritradurre in versi, perché l'
effetto sonoro e l'effetto immaginativo si in-
trecciano inscindibilmente e devono arrivare
a livelli d'originale nuova incandescente ar-
monia, affinché si snodino via via elementi di
stile.
Prendo come avvio d'esercitazione ritmica
'Rileggi':
“Rileggi te.
Di quella te
che hai consegnato al tempo
cosa c'è?
L
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.12
C'è che sono io.
Ma ho un altro viso,
uno sguardo un poco diverso,
quella luce,
e quel tono.
Lascio qui, caro diario,
il compito della riscoperta.
Sono qui, non ti abbandono”
(Aurora De Luca, op. cit. pag. 8)
Aurora si pone allo specchio di sé, tra le pa-
role scritte ed i loro segreti contorni, non detti
ma pur sempre àncora ed aura dell'esistere.
Questa tensione non emerge nei versi, anche
se è Aurora aura del suo sé, in poesia, in pie-
na consapevolezza: la semplicità del dettato è
a tutto limite della fascinazione dell'emozione
del sé allo specchio, sempre intensissima,
unica. Allora, con pochi tagli, ecco come dare
al canto vibrazioni d'intima forza, sganciata
dalla banalità:
'Rileggi te
quella te
consegnata al tempo.
Sono io
un altro viso
uno sguardo di poco diverso
luce
tono
riscoperta'.
La formulazione narrativa dei versi deve la-
sciare il passo ad un incedere libero e con po-
che radici nelle terre della norma del dire e
del comunicare consueto, perché ci sia evento
forte, acceso, teso nell'entrare e lasciare trac-
cia in chi legge.
Passo ad un altro esempio. Si tratta della
poesia 'Eppure':
“Si naufraga,
eppure non si muore.
Si brucia,
eppure non ci si ustiona.
Si è come gabbiani sulla scogliera,
il passo del libero,
verso l'orma ma lasciare.
Eppure siamo legati,
due unità che
sono l'orma sulla scogliera
riflessa nel mare,
sin laggiù,
sino a quella ancor da lasciare.”
(Aurora De Luca, op. cit. pag. 12)
Propongo un'evoluzione formale che diriga
l'accento su immagini forti che già costitui-
scono il tessuto fondante della lirica:
L'orma.
Come gabbiani sulla scogliera
libero il passo
verso l'orma da lasciare.
Si naufraga
senza morire
si brucia
senza ustionarsi.
Siamo legati
unità nel due
orma sulla scogliera
riflessa nel mare
sin laggiù
verso quella
ancor da lasciare.
Il cantore interviene sul testo e la sua inte-
riorità cresce perché entra l'effetto armonico
dei versi e delle parole che li costituiscono. In
'Blu' Aurora De Luca arriva ad espressioni di
vibrante intensità e nessun intervento risulta
suggerito:
“Blu è il colore
del tempo che abbiamo
piantato,
come stille di lacrime e
tempera di cielo
è il blu dei fiori che
s'apriranno nei nostri sguardi.
E del tuo blu
assaggia il mio cuore,
mano tremante nel mio petto,
e dei miei sogni blu-notte
assaporano i tuoi occhi,
specchi a vista serena
del tuo tesoro.”
(Aurora De Luca, op. cit. pag. 14)
Poesia come tempo di scelte e di abbando-
ni, onde arrivare a riprendere tra le mani il
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.13
tempo del sé nell'Altro da sé; Poesia come
trasformazione, nel passare attraverso se stes-
si e nel farsi canto franto d'immagini e d'emo-
zioni; Poesia come fusione tra suoni, imma-
gini, ritmi e loro risonanze nell'altro, in ascol-
to ed in lettura, per evocare e provocare emo-
zioni. Poesia è impegno del sé nell'esperienza
ed Aurora De Luca è in cammino, in questo
percorso di luce, perché già è riuscita a de-
scrivere l'amore come tessuto prezioso di una
gemma da animare.
Ilia Pedrina
POESIA, UNICA BUSSOLA SICURA
Ora che sono arrivato fino qui
( quanti anni svaniti!)
e che qui me ne dovrei rimanere
( fino a quando non so,
viviamo giorno per giorno)
proprio adesso, ancora di più,
che il cuore ogni tanto fa i capricci,
lasciatemi scrivere di quello che voglio
e che davvero mi interessa;
lasciatemi solo, ogni tanto, a meditare
in un “ozio” fiorito, a vagheggiare
cose dolcissime, inesprimibili
( cose di altri mondi ! )
lasciatemi sorridere di gioia
nel cuore del mio cuore
davanti ai fiori dell'uomo, i bambini,
e davanti alle persone sincere e buone,
ai segnali di amore, alla Natura;
lasciatemi sognare nel gioco intrigante
della Poesia, unica mia droga;
lasciatemi urlare a squarciagola
contro le centomila storture del mondo
che in sempre nuove forme
si riproducono,
sotto spoglie sempre diverse.
Lasciatemi ripartire
( senza trattenermi),
lasciatemi tornare, e restare
( senza imprigionarmi)
lasciatemi rimpiangere
tutta la Bellezza che non c'è più
e lasciatemi adorare
quella che c'è ancora,
lasciatemi viaggiare nello sconfinato Universo
per miliardi di miliardi di anni-luce
con la navicella della mia fantasia;
lasciatemi dormire
fiducioso come un bambino con la sua
mamma;
lasciatemi vigilare, con gli occhi sbarrati
per il timore e lo sconforto;
lasciatemi sperare, e disperare,
nel groviglio dei dubbi e dei tormenti,
e con l'unica mia bussola sicura :
la Poesia.
Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)
FESTA LONTANA
Lo scampanio vibra
come uno scoppiettio,
fluttuando vanno le ocarine
per la campagna.
Negletto è il cuore
al crepitar della gioia sovrana.
Tuonando va la campana
che il gioco della festa rende silente.
Susanna Pelizza Roma
GIORNO DELLA TERRA
La terra
è un enorme casa,
forte e rinnovabile
dove i nostri sogni
e la nostra utopia sopravvive.
La Terra è come riciclata
come siamo, esseri
che vivono in superficie,
metropolitana,
o nel suo spazio cosmico.
Viva la Terra
per il tesoro infinito
che ci dà!
Dobbiamo avere un amore speciale
per la Terra di tutti
Teresinka Pereira USA - Traduzione del Cav. Giovanna Li Volti
Guzzardi, Melbourne, Australia
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.14
LA RIVOLTA
DEL CORRENTISTA1
E IO, GIULIA E SANTIAGO di Giuseppe Giorgioli
ORTOLETTO con questo libro ci ha
regalato una bella descrizione sui
comportamenti delle banche e su co-
me riuscire a difendersi e a non farsi fregare.
Questo libro racconta la storia dell’autore,
1A Ferragosto del 2014 ho avuto piacere di sentire una Conferenza di Mario Bortoletto nella Piazza di
Asiago gremita di persone. L’argomento verteva
sul comportamento scorretto di parecchi istituti
bancari, che applicando tassi di usura, costringono
diverse Ditte ad andare in rosso con il proprio conto
corrente. Da qui ai vari episodi di imprenditori che si suicidano il passo è breve.
Mario Bortoletto presentò il libro “La rivolta del
correntista”. Il ricavato della vendita del libro veni-va da lui dato in offerta alle vedove degli imprendi-
tori suicidi.
imprenditore e vicepresidente del movimen-
to “Il delitto di usura”, che tutela le vittime
di usura ed estorsione bancaria.
Una storia simile a quella di tanti italiani e
che dà importanti indicazioni per riuscire
a districarsi nel labirinto degli istituti di
credito senza farsi ”fregare“.
“Un giorno ti svegli e non hai più niente.
Tutto quello che avevi ottenuto con i sacrifici
di una vita diventa proprietà della banca. Di-
sperazione e notti insonni, non ti rimane altro,
nemmeno l’età per ricominciare.
Ti prendono tutto, anche quello che in realtà
non gli è dovuto. Molte persone credono di
essere debitrici nei confronti delle banche
mentre in realtà sono creditrici.
Mi auguro che questo libro possa aiutar-
le ad avere giustizia. Mario Bortoletto è un
imprenditore edile di Padova. Ha avviato una
serie di contenziosi con diversi istituti banca-
ri. Ha ricevuto risarcimenti per migliaia di
euro.
Dal 2013 è vicepresidente nazionale del
movimento “Il delitto di usura”, che tutela
le vittime di usura ed estorsione bancaria
prestando assistenza informativa tecnico-
legale.
A oggi ha avviato cause con 5 diversi istitu-
ti bancari.
E’ stato riconosciuto dal Tribunale di Vene-
zia consulente tecnico di parte in materia
bancaria. Ha ottenuto due vittorie, una con
sentenza del Tribunale di Padova e relativo
risarcimento per circa 70 mila euro, la se-
conda con una transazione. E’ stato ricono-
sciuto dal Tribunale di Venezia consulente
tecnico di parte in materia bancaria.
Nel settembre del 2013 la sua storia è stata
raccontata nel corso della trasmissione Presa
diretta di Riccardo Iacona. Nel novembre
2013 il programma Report di Milena Gaba-
nelli ha raccolto la sua testimonianza in un
servizio della giornalista Giovanna Boursier.
“La rivolta del correntista - Come difen-
dersi dalle banche e non farsi fregare” è
formato da questi capitoli:
Uno di voi
Missione impossibile
B
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.15
Il processo
La battaglia continua
I funzionari del recupero crediti
I dieci comandamenti del correntista
La voce dei correntisti
Epilogo, i signori del credito
Postscriptum. Il sequestro di Santa Maria
Novella
Postfazione di Alessio Orsini Un salvagente
per il correntista
Nel libro “La rivolta del correntista” Mario
Bortoletto racconta la sua storia e la sua espe-
rienza con le banche e le varie truffe che ven-
gono occultate dagli istituti bancari. Attraver-
so la sua diretta esperienza ci svela i trucchi
per non farsi “fregare”. Ormai le truffe sono
all’ordine del giorno e quindi dobbiamo tu-
telarci come meglio possiamo. Il libro è tal-
mente coinvolgente e interessante che si leg-
ge tutto d’un fiato! Nel primo capitolo “Uno
di voi” viene descritto come Mario Bortoletto
dal nulla fa nascere (nel 1972) e crescere la
sua azienda fino alla crisi del 2004 quando, a
causa dei debiti, è costretto a vendere un im-
mobile di prestigio nel centro di Padova.
Successivamente a causa di continue richie-
ste, con cadenza prima settimanale poi quoti-
diane, da parte di una banca per un rientro di
22.500 €, Mario Bortoletto studia i movimen-
ti bancari degli ultimi dieci anni e si accorge
di essere non debitore ma creditore di circa
70.000 €. Bortoletto in conferenza dichiara:
“Ho iniziato ad indagare e scoprire tanti im-
brogli che naturalmente tutti ignoriamo. Dopo
aver preso delle fregature colossali ho iniziato
a “combattere contro le banche”…
Mi torna spesso in mente una frase di Giu-
lio Andreotti: “A pensare male si fa pecca-
to, ma spesso ci si azzecca.” È proprio così.
L’ho capito dopo aver preso delle fregature
colossali. Anni fa mai avrei avuto il minimo
dubbio sul corretto comportamento delle ban-
che con cui avevo a che fare. Erano i miei
angeli custodi.
Oggi mi sono accorto che sono lupi tra-
vestiti da agnelli. Ho scritto questo libro
perché vorrei che la mia storia diventasse
la storia di tanti cittadini italiani, di quelli
che faticano ad arrivare alla fine del mese,
quelli che hanno perso il lavoro e forse anche
la casa, gli imprenditori o i commercianti che
sono stati costretti a chiudere le loro attività, i
giovani precari che non possono chiedere
nemmeno un mutuo per costruirsi una vera
vita indipendente, una famiglia con dei figli.
La mia generazione ce l’ha fatta perché è
cresciuta in un mondo in cui lavorare era
ancora un diritto e una possibilità concreta
mentre per i giovani di oggi questa possibi-
lità si è trasformata in una chimera.”
“I rapporti con le banche spesso condizio-
nano pesantemente la nostra esistenza: addi-
rittura ci sono stati casi anche di suicidio in
Italia. Ecco cosa deve fare un correntista
per non ritrovarsi in situazioni spiacevoli e
di crisi esistenziale.
In molti casi all’imprenditore in difficoltà
con una banca viene consigliato di fare una
perizia econometrica, cioè un’analisi di tut-
ta la storia del proprio conto corrente: il
tasso applicato da contratto, le commissioni
di massimo scoperto, gli interessi di mora e
tutte le altre spese aggiunte.
Serve un bravo commercialista, specia-
lizzato in materia bancaria, che ricostruisca
la storia dei movimenti, che passi ai raggi X
tutte le voci di spesa, gli interessi, i costi ad-
debitati dalla banca, i cosiddetti “giochi di va-
lute”.
Insomma, tutto quello su cui per anni io
avevo sorvolato. Tutto ciò che, per via del
tanto lavoro, mi ero lasciato scivolare addos-
so. Seguo anch’io la strada della perizia e
per me comincia una nuova fase: era la
prima volta che affrontavo una banca con una
perizia.
Sicuramente non ho mai smesso di fidar-
mi di me stesso, e non delle banche, cosa
che dico anche a voi lettori.
Per poter sapere se la banca si è comportata
in modo irregolare deve essere disponibile la
documentazione completa riguardo i movi-
menti bancari del conto corrente. La banca è
tenuta a dare gli estratti conto degli ultimi
dieci anni gratuitamente a meno delle spese
delle copie. Bortoletto, quando ha chiesto i
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.16
documenti degli ultimi dieci anni, ha ricevuto
dall’istituto bancario una richiesta di 2000 €.
A questo punto ha fatto fare un’ingiunzione
dal Giudice del Tribunale alla Banca ottenen-
do in tal modo i documenti richiesti con le
spese del giudizio a carico della banca in
1216,62 euro. Tale azione ha avuto eco a li-
vello locale con pubblicazione del fatto sul
“Mattino di Padova”.
Bortoletto ha preso a cuore le battaglie con-
tro l’usura bancaria perché colpito dalla si-
tuazione delle vedove degli usurati che si so-
no tolti la vita a causa delle banche.
Nel capitolo “I DIECI COMANDA-
MENTI DEL CORRENTISTA” vengono
elencate le dieci regole da osservare nei
confronti delle banche, con commenti ulte-
riori e molto utili : Regola numero 1: Conservate sempre tutta la
documentazione bancaria, i contratti, gli
estratti conto, gli scalari trimestrali o seme-
strali. Fate attenzione alle cosiddette “varia-
zioni unilaterali“.
Regola numero 2: Fatevi fare una perizia
econometrica. È il vostro tesoretto
Regola numero 3: Fate attenzione a tutti i co-
sti e a tutte le spese che contribuiscono a de-
terminare il tasso soglia
Regola numero 4: Se siete in difficoltà valuta-
te con molta attenzione le cosiddette agevola-
zioni che il vostro istituto vi propone
Regola numero 5: Occhio all’anatocismo
bancario, cioè la capitalizzazione degli inte-
ressi passivi
Regola numero 6: Tenete sempre sotto con-
trollo le commissioni di massimo scoperto
Regola numero 7: Attenti ai giochi sulle valu-
te
Regola numero 8: Non abbiate paura della
Centrale rischi
Regola numero 9: Occhio alle provvidenze
pubbliche: possono salvarvi la vita (imprendi-
toriale)
Regola numero 10: Diffidate dei consulenti
Quello che fatico ad accettare è che, nono-
stante le banche quasi sistematicamente ven-
gano condannate per illeciti addebiti e appli-
cazione di tassi ultralegali, continuino con
questi comportamenti. È evidente qual è il lo-
ro pensiero: per due correntisti che si sve-
gliano almeno centomila dormono o sono
ignari.
Ecco perché ho scritto questo libro, per
coloro che attualmente si sentono ”dispe-
rati“ e che vogliono farla finita. Non molla-
te e non ammazzatevi per questi ”usurai“.
Cercate di portarli allo scoperto. Non
perdete mai la speranza e soprattutto segui-
te i consigli e verificate con attenzione tutte le
vostre operazioni. Fate tutte le perizie e con-
trollate bene le varie operazioni.
Del capitolo “La voce dei correntisti” mi ha
particolarmente colpito e commosso la storia
di Giovanni Schiavon, imprenditore di 59 an-
ni, con moglie e figlia, che dinanzi al falli-
mento della propria Ditta si è sparato un col-
po di rivoltella. E pensare che il fallimento è
dovuto a crediti che vantava presso Enti Pub-
blici, che con la scusa della crisi, ritardavano
il pagamento. Inoltre vi è stato anche il con-
corso della banca con tassi usurai. La moglie
ha scritto anche a Monti, attuale Presidente
del Consiglio, per richiamare l’attenzione sul
suicidio del marito. Ma, senza ottenere alcuna
risposta!
La nostra realtà oggi è questa: l’economia
reale cade a pezzi, la disoccupazione aumenta
raggiungendo cifre senza precedenti soprat-
tutto fra i più giovani. Ma cosa fanno i gover-
ni? Aiutano le banche.
Negli ultimi anni la BCE (Banca Centrale
Europea) ha fatto arrivare ai principali istituti
di credito europei una pioggia di miliardi di
euro a un tasso ridicolo. Centinaia di miliardi
sono arrivati alle banche italiane.
Le banche avranno pure le loro garanzie e
le tutele necessarie ma devono stare attente a
non tirare troppo la corda perché prima o poi
si spezza. Quindi cari lettori, fate attenzione
e chiedete trasparenza.
Attenzione all’anatocismo. L’ ANATOCI-
SMO in pratica è il calcolo degli interessi su-
gli interessi attraverso l’applicazione dell’ in-
teresse composto invece dell’interesse sem-
plice.
Molte banche giocano su questo. In pratica
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.17
si tratta di interessi che le banche non aveva-
no nessun diritto di incassare.
Per questo motivo il recupero dell’ anatoci-
smo è un’opportunità molto interessante in
quanto potrebbe davvero cambiare radical-
mente la vostra situazione economica.”
Quest’esperienza vissuta sulla “pelle” dell’
autore è un messaggio positivo di speranza e
ottimismo anche per tutte le altre persone che
si trovano in difficoltà economiche simili a
causa delle banche.
Tutti possono chiedere trasparenza e quindi
non farsi fregare. Per i consigli e le consulen-
ze il signor Bortoletto non prende un cente-
simo, non guadagna nulla da questa attività:
semplicemente si dedica alle persone che at-
tualmente si trovano in grosse difficoltà.
“Chi mi chiama spesso è sul lastrico e io
ricordo bene cosa significa trovarsi con le
banche che ti stanno addosso e non ti lasciano
respirare. Chiedere altro denaro sarebbe un
atteggiamento miserabile” afferma Mario
Bortoletto.
Adesso a seguire le sue pratiche c’è Alessio
Orsini, un giovane avvocato molto capace
ed esperto di usura bancaria, autore della
postfazione di questo libro.
Tra l’autore e lui c’è gioco di squadra, han-
no gli stessi valori e lottano per i medesimi
obiettivi. Inoltre chi vuole chiarimenti potrà
rivolgersi all’associazione Il delitto di usu-
ra.
Mario Bortoletto è il classico imprenditore
veneto, tutto d’un pezzo. Classe 1949, ha ini-
ziato a lavorare giovanissimo mettendo in
piedi un’impresa edile partendo praticamente
da zero. Siamo a Padova, al centro di quel
Nordest che, negli anni Settanta, diventerà il
motore trainante dell’economia italiana. In
quei primi anni di attività Mario Bortoletto,
come tanti altri piccoli imprenditori della zo-
na, consoliderà e amplierà il suo business af-
fidandosi alle commesse della pubblica am-
ministrazione e partecipando alle gare d’ ap-
palto degli enti locali. Un’attività abbastanza
certa, insomma, perché la pubblica ammini-
strazione, anche se elargisce i fondi con un
certo ritardo, è un debitore sicuro, liquido ed
esigibile.
Una giornata al mare
Il giorno 28 agosto, faccio una giornata al
mare a Silvi Marina, vicino Pescara, anche
per andare a trovare mia figlia che stava in
vacanza da quelle parti. Stavo presso lo Stabi-
limento “La Conchiglia” dove andavo in va-
canza negli anni ’60. Il bagnino Carlo Di
Francesco, figlio dello storico bagnino Mario,
mi chiede cosa stavo leggendo d’interessante.
Gli faccio vedere un numero di Pomezia-
Notizie e gli dico che io e mia moglie faccia-
mo spesso su questa rivista alcune recensioni
di libri letti. Carlo mi dice che ha scritto un
libro e me ne regala una copia chiedendomi
di recensirla.
IO, GIULIA E SANTIAGO
Il romanzo ha una prefazione e 16 brevi ca-
pitoli.
La prefazione è scritta da Roberto Colan-
tuono, in quanto ha incoraggiato ed aiutato
Carlo per la stampa di questo libro.
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.18
Nella prefazione Colantuono cita un afori-
sma di Edgar Lawerence Doctorow:
Scrivere un romanzo
È come guidare una macchina di notte;
non puoi mai vedere oltre i fari,
ma puoi viaggiare liberamente sulla strada.
Colantuono è rimasto affascinato dalla dol-
cezza del contenuto ed emozionato per la pro-
fondità ed umiltà dei sentimenti dei perso-
naggi, ivi descritti.
Per chiudere la breve prefazione Colantuo-
no cita una frase che lo ha colpito e che è pre-
sente all’interno del libro, frase pronunciata
dalla saggezza di nonno Josè al nipote San-
tiago per il suo sedicesimo compleanno:
- Percorri la tua strada, circondati di perso-
ne migliori di te, commetti mille errori e mil-
le volte reagisci. Troverai te stesso e questa
sarà la tua vittoria che dà il senso alla tua
vita.
Questa frase deve essere un augurio per la
vita di Carlo, come per quella di tutti i lettori!
E’ un romanzo, che si legge tutto d'un fiato.
La condizione umana è racchiusa in questo
romanzo. Lo stile ed il contenuto sono quelli
tipici di un giovane della nostra epoca. Si ve-
de che è stato scritto con una certa spontanei-
tà di espressione. E’ la storia di tre amici, che
condividono varie esperienze di vita.
Il primo capitolo ”Compra un TV, vince
l’Italia, vinci un TV” contiene una parvenza
di critica all’attuale consumismo tecnologico.
Nicola era compagno delle scuole medie di
Giulia, che gli presentò il suo fidanzato San-
tiago nel 2006. Nicola ricevette una telefonata
da Santiago dopo circa un mese dalla sua co-
noscenza per essere accompagnato con l’auto
a comprare un televisore moderno (32 pollici
minimo, LCD o plasma, ecc…). Nicola con-
siderò quasi un’invadenza ciò in quanto non
doveva prendersi tale confidenza per essersi
appena conosciuti! Comunque accettò.
L’acquisto del TVC da Mediaworld consenti-
va di vincerne un altro se l’Italia vinceva i
mondiali di calcio. L’Italia vinse (era il luglio
2006) e con il buono regalo Santiago prese un
laptop gratuito! Santiago e Giulia sono coeta-
nei, del 1975. Santiago è messicano, natura-
lizzato italiano. Tutti e tre decidono di fare un
viaggio nello Yucatan per trovare il nonno
Josè e i genitori di Santiago.
Facciamo un passo indietro nel tempo: i
nonni di Santiago si trasferirono da Città del
Messico e con i loro risparmi acquistarono
due siti a ridosso del mare nello Yucatan, do-
ve sarebbe sorta Playa Paradiso.
L’imprenditore edile italiano Umberto Vai-
ra costruì le strutture e si innamorò della loro
figlia Maria, che a diciassette anni rimase in-
cinta di Santiago.
Umberto e Maria non si sono mai sposati.
Umberto era sempre in giro per il suo lavoro
e Santiago crebbe con sua madre . A 11 anni
si sentì male, svenne. Il padre lo portò in Ita-
lia, dove Santiago fu operato al cuore, si rimi-
se in salute e proseguì la sua vita presso i suoi
nonni paterni, genitori di Umberto Vaira,
Fernando e Assunta, che lo seguirono come
un figlio.
Il futuro di Santiago ormai era in Italia e
non riusciva più a rivedere suo nonno Josè e
sua madre. Al compimento dei suoi sedici
anni Josè gli scrisse: “Percorri la tua strada,
circondati di persone migliori di te…,”. San-
tiago al leggere queste parole pianse di
commozione.
Il romanzo prosegue con la descrizione del
viaggio in Yucatan e con ritmo piacevole, di-
vertente ed incalzante vengono descritti i vari
episodi, come la perdita di una valigia di Giu-
lia, durante il viaggio, scambiata con quella
della signora Stempton di Londra, come le
cene luculliane a base di pesce, le passeggiate
romantiche con la luna piena, la partita im-
provvisata fra italiani e messicani (vinta dagli
italiani per 2 a 1). Vengono descritti i festeg-
giamenti fino all’alba dopo la partita, le serate
passate in discoteca. Ad un certo punto San-
tiago riceve una telefonata da Londra per in-
formarlo che suo padre, cadendo da un’ im-
palcatura, si ferì gravemente e successiva-
mente è stato ricoverato in ospedale. Santiago
prende la decisione di andare a Londra da so-
lo, provocando discussioni con Nicola e Giu-
lia, che vorrebbero accompagnarlo…
Santiago parte da solo per Londra e Giulia
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.19
prosegue la sua vacanza con Nicola. Santia-
go, prima di partire, lascia uno scritto a Giu-
lia, dove, fra l’altro, dice che il destino di cia-
scuno spesso condiziona la nostra vita! In
una email Nicola comunica a Santiago l’ indi-
rizzo di Londra della signora Stempton che in
sbaglio ha ricevuto la valigia di Giulia. La va-
ligia della signora di Londra verrà recapitata
dai servizi aeroportuali dello Yucatan, spe-
rando che la signora faccia altrettanto con
quella di Giulia. Santiago a sua volta invia
un’email dove scrive che il padre è in coma
per un ematoma alla testa, che dovrà essere
operato e che lui – Santiago - dorme in ospe-
dale accanto al padre.
Nicola e Giulia proseguono la vacanza:
vanno a vedere le grotte di stalattiti e stalag-
miti di Cenote Chaac, la piramide dei Maya a
Chichen Itza. Tramite altre email si viene a
sapere della morte del padre di Santiago e che
lascia anche una compagna Sasha ed un figlia
di tre anni Piera. Il libro si conclude con il
viaggio di ritorno a Roma di Nicola e Giulia
dallo Yucatan e di Santiago, Sasha e Piera da
Londra. Si incontreranno tutti all’aeroporto di
Fiumicino. Bella la poesia alla fine del libro,
che Santiago dedica a Giulia!
Il commento di copertina in sintesi:
L’ambizione dello scrittore è chiara e sem-
plice: raccontare con l’animo del protagonista
la storia di tre ragazzi che si vogliono bene,
viaggiano, ridono, piangono e dicono qualche
bugia bianca. In sintesi: vivono.
Le loro azioni sono lineari e le riflessioni
sincere. Non è un triangolo, ma la simbiosi di
amicizia e amore che rendono la convivenza
uno stato di felicità.
Il distacco invece porta dubbi. Solo la scrit-
tura e la lettura avvicinano gli animi persi. Ti
amo si può dire in tanti modi. Ti voglio bene
di un amico è unico.
Carlo Di Francesco, è nato ad Atri (Te) il
26 novembre del 1976. Laureato in Giuri-
sprudenza presso l’Università di Teramo.
E’ cresciuto a Silvi Marina, dove gestisce
con la sua famiglia uno Stabilimento Balnea-
re. Dal 2011 vive ad Atri con sua moglie Pie-
ra.
E’ allenatore di scuola calcio, ama la lette-
ratura, il cinema e scrive perché lo diverte.
Giuseppe Giorgioli MARIO BORTOLETTO - LA RIVOLTA DEL
CORRENTISTA (BESTSELLER) - Versione
brossura: Chiare lettere - Edizione 2015, pag
125, Euro 6,90 €, ISBN: 978-88-6190-716-4. CARLO DI FRANCESCO - IO, GIULIA E
SANTIAGO -Una storia di vita, amore e amici-
zia (dedicato alla moglie) - Editrice Cassandra (in-
[email protected]) , Edizione brossura
2015, pagg. 148, € 10, ISBN: 978-889406212-0.
INCONTRO
L’ombra di due colombe
che passano per i tetti
svanisce nell’ombra del crepuscolo;
essenza di morte nel buio notturno.
Percepisco dalle labbra inerti
il chiudersi del cielo iracondo
che porta un freddo invernale.
Sepolta da un senso d’ira
io vedo passare l’incontro lontano,
fugace come il desiderio effimero
di un infante.
Cosa resterà di te nel mio incontro?
Forse il tuono impetuoso
del mio battermi contro,
forse il grido lacerante di chi
è in preda ad una sorte straziante,
forse la nenia sofisticata di una
morte aitante,
che sorvola con passi leggeri
il circuito dei miei pensieri.
Immane è l’attesa nella mente che vacilla;
già l’ombra glauca della mano chirurgica
del destino sentenzia la fine di quel giorno
con scrupolosa perseveranza
e opererà
togliendomi l’infame
sensazione del ricordo che ondeggia
nella mia mente illeso.
E nel fronteggiare del dolore
la ragione inasprirà nuovamente il riso
amaro della mia inettitudine.
Susanna Pelizza Roma
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.20
LA CALABRIA
SI RACCONTA di Carmine Chiodo
a Calabria si racconta>>
è un libro di racconti
scritti da dieci scrittori
calabresi, che appartengono ad aree geografi-
che diverse della regione, hanno pure età va-
rie ma che comunque tutti dimostrano di ave-
re le carte in regola, e ci hanno dato ottimi
racconti di vario argomento, che attengono
pure alla regione. Alcuni di questi scrittori
sono noti altri si stanno affermando e impo-
nendo sulla scena letteraria. Ecco i nomi con i
relativi titoli dei lorio racconti. Carmine Aba-
te (<<Prima la vita>>), Giuseppe Aloe (<<La
voce dell’aguzzino>>), Gioacchino Griaco
(<<Laura, un ruolo perfetto>>), Domenico
Dara (<<Della vera storia di Ciccio Morta),
Mimmo Cangemi (<< Bruno nella stanza
>>), Annarosa Macri (<< Due barche inna-
morate >>), Serena Maffia (<<Tra alti e bas-
si blu>>), Caldo Perri (<< U’porceddu i ma-
tra’ Arcangelo >>), Olimpo Malarico
(<<L’anima del sangue>>), infine Peppe Vol-
tarelli (<<L’idea>>). Racconti diversi per sti-
le e contenuti e temi ma comunque tutti belli
dai quali emergono alcuni tratti e avvenimenti
della Calabria, e ad apertura ecco Carmine
Abate col suo racconto che ha come tema gli
emigranti che sono arrivati alla terra, al paese
dove è nato lo scrittore, Carfizzi (provincia di
Catanzaro) e qui, in queste pagine lo scrittore
dà voce a uno di questi disperati che come è
arcinoto intraprendendo viaggi pericolosi che
alcune volte sono viaggi verso la morte in
mare. È arrivato a Carfizzi un gruppo di que-
sti emigranti <<un giorno di maggio. E lo ri-
cordiamo bene, ché la mattina c’era stata la
festa del corpus domini>> (p.9). E agli abi-
tanti del paese, gli emigranti che <<saranno
stati una ventina, da vicino sembravano gio-
vani sotto i vent’anni >> (v. p. 11). Uno di
questi emigranti racconta il suo viaggio che lo
ha portato a Lampedusa, un viaggio che costa
caro e poi molti emigranti rimangono con po-
chissimi soldi o senza nulla: <<quasi tutti i
soldi spesi per viaggio>>. E poi i commenti
degli abitanti del paese, comunque alcuni di
questi disperati, che fuggono da guerre, fame,
miseria, trovano un lavoro e una situazione
abbastanza dignitosa. Ben orchestrato e arti-
colato il racconto di Dara in cui viene rievo-
cato un uomo particolare calabrese. Ciccio
Morta, il quale cosi veniva salutato dai suoi
paesani: <<Faciti passara |Faciti passara!>>.
Con questa <<gridata >> ogni mattina Ciccio
veniva mentre faceva ingresso nella bottega
(v. p. 50). Storie e fatti d’altri tempi che tal-
volta hanno dell’incredibile e sono raccontati
- come qui - con una lingua che è un impasto
di termini italiani e dialettali. Comunque que-
sto racconto ci dice che la Calabria, che in
Calabria è avvenuto tutto ciò, che sono, che
sono vissute tali persone, che ha operato tale
umanità, tali uomini come Francesco Morata-
loro, divenuto leggenda col nome di Ciccio
Morta, che mori alla venerabile età di novanta
e passa anni, e tutti erano convinti che ad uc-
<<L
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.21
ciderlo fosse stato quel famigerato ago <<che
gli bucò il cuore>> (p. 50). Interessante il
racconto di Perri in cui si parla di un porcello
e tale racconto ci riporta al tempo del dopo-
guerra, al <<venti dicembre del 1945 >> . La
scena si svolge in un rione ove c’è una grande
animazione perché si celebra il primo Natale
del dopoguerra. Lo scrittore affidandosi al vi-
vido e comunicante dialetto richiama tutta
una serie di scene quotidiane che si svolgeva-
no nel paese, ed ecco il <<vecchio postèro>>
che aveva deciso di uccidere il maiale e <<ar-
rigistrare u purceddi nello slargo della sua ca-
setta bianca, distante un centinaio di metri dal
mare>>. Poi ecco ancora i <<ragazzi con le
orecchie rosse e gli occhi umidi e spiritati >>
che aspettavano con eccitazione e terrore l’
inizio delle torture del povero animale. Intan-
to giocavano a salta cavallina: << Ciceri cotti
cotti cotti, fave arrapate arrapate arrapate,
scarrica, scarrica, scarrica sta cannata!>> (p.
93). Un racconto che richiama figure e parla-
te dialettali di un tempo, in questo caso scene
e persone che attengono alla uccisione del
porco, che veniva scannato da <<Turuzzu u
chiacheri>> (da Salvatore il macellaio), che
era un uomo mite, <<malinconico e impac-
ciato>> ma pure era una persona pratica, ope-
rativa, allegra quando doveva uccidere il
maiale. Una storia anche comica: a un certo
punto il maiale scappa e andò a finire in mare
e dopo tanta fatica, data pure le condizioni del
mare, la preda veniva ripescata, e cosi tra
canti e suoni si concluse quella fredda giorna-
ta invernale e il porco era stato ripescato, e la
guerra <<era appena finita>> (v. p, 101) e se-
guono ancora le scene che animano i vicoli:
le note <<della chitarra battente di zze Gnaz-
za>>, i canti <<acuti e sanguigni di zza Glo-
ria e zza Maria, accompagnati con lo zuco
zuco>>, e con il Natale ricomincia la vita.
I rimanenti racconti hanno un’altra andatura
e fisionomia, storie tragiche talune, altre inti-
me. In questi racconti è presente la Calabria,
o città di essa. Cosenza nel racconto di Aloe,
la città viene definita come <<una donna che
non ti ama. Pensi di possederla e ne sei pos-
seduto>> (p. 21). Qui è presente un casentino
che non abita più in questa città ma che vive a
Milano e ogni tanto ritorna nei luoghi natii, ai
quali pensa spesso e rimane incantato, solo a
pensarli. Mai il calabrese recide il cosiddetto
cordone ombelicale che lo tiene legato alla
sua terra. Aloe descrive molto bene e in modo
intimo il suo rapporto con la città natale e
questo racconto di Aloe è intimo, fluido,
mentre Criaco ci racconta la storia di Laura,
che si innamora del conte di Cassano e il pa-
dre della ragazza, Bruno viene a sapere delle
ignominie sulla figlia e sulla <<propria ma-
dre>>. Si sa in Calabria, e non solo in questa
regione, un tempo i conti, i baroni erano pre-
potenti e commettevano tanti soprusi e stupri.
Storia portata in teatro, il varietà della vita.
Il racconto di Gangemi parla o meglio ci
presenta una situazione particolare, quella di
un tal Lorenzo che era <<abituato al buio, da
ragazzino aveva fatto compagnia al nonno
mentre sviluppava le foto, e al padre, prima
che si montasse la testa e prendesse una stra-
da parallela, e pretenziosa - Pure a se stesso
qual era lui a sviluppare>> (v. p. 60). La sto-
ria di Lorenzo e della sua famiglia, quel nome
che era <<Lorenzo all’anagrafe don Renzo
fuori>>. Una storia di un fotografo. Da parte
sua la Macri ci racconta un viaggio particola-
re in Calabria: una storia d’amore, e successi-
vamente Serena Maffia ci presenta una storia
tragica, la morte di una donna, un amore, una
vita sempre caratterizzata da difficili rapporti
prima col marito poi con un altro uomo, e in-
fine lo scrittore caccurese (ma nato a Croto-
ne) Olimpio Malarico, che in un bel racconto
ci presenta la storia di Antonio Pasculli:
<<ogni agosto, l’otto agosto, da non so quanti
anni, vado a trovare Antonio Pasculli, unico
inquilino di un casello a due piani, distante un
paio di chilometri da Caccuri>> (v. 102). Ma-
larico con fantasia e tocchi realistici, espressi
con fine e suggestivo linguaggio, narra, fa
riemergere certe forme di vita e dì umanità di
un piccolo paese nel quale egli è vissuto e
quindi ne porta fortemente impressi certi per-
sonaggi, avvenimenti e ore e note di paesag-
gio. Malarico ama e privilegia il suo paesino,
Caccuri ora in provincia di Crotone, anche se
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.22
lo scrittore è nato a Crotone ma è vissuto da
ragazzo in paese, ora vive lontano ma spesso
ritorna ai cari luoghi e persone, ma egli è ma-
gna pars con altri dello splendido e significa-
tivo <<Premio Caccuri>>, che si svolge tutti
gli anni, nel mese d’agosto, appunto nel paese
di Caccuri, ove accorrono, data la rilevanza
dell’iniziativa culturale, parecchie persone dei
paesi limitrofi. Malarico ritorna alle sue
<<rughe>>, ai cari vicoli e <<vinelle>> del
paese, e ne ricorda forme di vita e personaggi,
come dicevo prima, creando un impasto sug-
gestivo e delle trame e pagine narrative pre-
gne di poesia e di belle risonanze sentimentali
che alimentano i suoi deliziosi racconti, come
questo dal titolo <<L’anima del sangue >>.
Qui viene evocata, tra le altre cose, << la pe-
riferia sperduta di Caccuri>>: << Alla perife-
ria sperduta di Caccuri e soltanto per un gior-
no, mi faccio un regalo: mi spoglio, e sono io
libero, affrancato dagli obblighi>> (v. p.
104). Caccuri ha fatto e fa continui <<rega-
li>> alla memoria dello scrittore. Ben conge-
gnata e narrata questa storia che ci racconta lo
scrittore che sa mescolare abilmente ambiente
realtà e fantasia, sa combinare i vari piani del
reale e della fantasia. Storia di due amici,
quasi fratelli siamesi, che fanno varie espe-
rienze, varie peregrinazioni in Italia e fuori.
Un racconto che allude a varie vicende e an-
che a fatti drammatici, un racconto armonico
nelle sue parti, nel quale si parla ovviamente
della Calabria, dei suoi prodotti tipici, del suo
clima, del suo sole, un sole calabrese, i cui
raggi sono come <<stiletti che non risparmia-
no nulla a nessuno>>. I prodotti della terra
calabra son presenti, come dicevo poco fa,
ecco i vini, quello di Cirò, poi i frutti rossi
con le spine, e poi si passa al silenzio assolu-
to, <<devastante, un silenzio che puzzava di
bruciato>>, e poi ancora il sole agostano che
accompagna i pensieri e i ricordi dell’io nar-
rante, ora in preda all’agitazione per un sogno
terrificante, ad esempio (a tal riguardo si leg-
ga pag. 108). Si trovano, tutto sommato, in
questo racconto i luoghi del paese, le sue ca-
se, il suo castello, già ricordati e visualizzati
in altre sue opere dallo scrittore, che ora si
abbandona al racconto di altre storie e mo-
menti particolari di vita umana e di stagioni.
Ecco il castello, visto da sinistra o destra. Un
castello, quello del paese, che è un <<tiranno
che esercita il potere sulle case circostanti>>
mentre, per contrasto, quella di Antonio è
modesta, semplice, possiede il necessario per
vivere e poi il <<tempo sembra essersi arre-
stato ai primi anni sessanta>>. L’ io narrante
va alla ricerca dell’amico del sogno all’anima
del sangue, il cui pilastro è rappresentato da
Antonio Pasculli, che poi muore e muore
guardando l’amico come <<un padre che ab-
bandona suo figlio. Come un padre vuole te-
nere intatta l’anima del sangue>> (v. p. 114).
Una storia ambientata <<fra i castagni e le
ciaule del paese>>. Aspetti reali del paese,
aspetti e presenze reali che hanno accompa-
gnato vari momenti di vita e di avvenimenti
svoltisi nel tempo. Comunque attraverso que-
sti racconti si coglie la vita, la dimensione
umana della Calabria, che ha una storia mil-
lenaria. Tante vicende di uomini, di donne,
tanti ambienti, tanti colori e stagioni ben rit-
mati in questi dieci racconti, <<frutto della
sapiente scrittura di alcuni fra i più apprezzati
scrittori calabresi>>, che ci presentano varie
storie, alcune sognate oppure una realtà vissu-
ta oppure immaginata e tutto svolgendosi in
una terra di nome Calabria.
Carmine Chiodo AA.VV.: La Calabria si racconta. Prefazione di Pi-no Aprile, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015, pp.
126, € 12,00.
ENERGIA DEL DOVE
Il tuono che illumina
la faccia contrita
Il tempo che scandisce
il polso tremante
In quel luogo del sentire
sei giunta
Quel che l’energia muove
è intensità irrequieta del dove
Filomena Iovinella Torino
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.23
EDOARDO SANGUINETI (1930-2010)
LA CULTURA
DELL’INDIPENDENZA di Salvatore D’Ambrosio
ARLARE un poco dei poeti contempo-
ranei, ma di quelli che ormai sono tra
chi non c’è più come Edoardo Sangui-
neti, conviene per la quasi totale assenza di
qualcosa di veramente valido e innovativo
nella produzione poetica odierna.
Vedo oggi, ma forse mi sbaglio abbondan-
temente, un ripiegamento, un accartoccia-
mento su posizioni poetiche, anche se talora
pseudo-innovative, tendenti a un certo con-
servatorismo.
C’è oggi una tendenza a riverniciare, più
che creare, per non dispiacere il buon giudi-
zio del critico del momento, che come tutte le
prime donne vuole rubare sempre e comun-
que la scena, anche quando la sua recitazione
è di pessima qualità.
Parlare di Sanguineti non è cosa facile, per-
ché non fu una personalità facile, essendo in
controtendenza e in polemica con tutti. Lungo
fu lo scontro dialettico con Pasolini.
La sua ribellione non è votata all’ isolamen-
to, anche se poi lo dovrà subire, ma di apertu-
ra a realtà nuove con una precisa cronaca dei
comportamenti dei nuovi ceti, in rapidissima
ascesa.
Edoardo Sanguineti sembra seguire nel suo
racconto poetico, l’antesignano Nanni Bale-
strini che fu il creatore del TAPE MARK:
poesia elettronica ottenuta mescolando mate-
riale linguistico con lo scopo di rompere la
struttura di tutte le proprietà linguistiche.
L’intento è quello di risvegliare il cervello
dell’uomo odierno, che quotidianamente è
immerso, anche consapevolmente, in luoghi
comuni e nella ripetitività di atti e parole.
Sanguineti rifiuta anche la ricerca apparente
del verso bello. Cerca piuttosto di proporre
immagini che eccitano la fantasia, con il suo-
no delle parole a volte anche in stridente con-
trasto tra loro.
(… è la soddisfazione, è vero, che produce
putrefazione)): - [Stracciafoglio-1980]
La poesia del Sanguineti è dettata dal biso-
gno di andare controcorrente; è una poesia
che penetra nella prosa fino a mimetizzarsi
con essa. Opera il Poeta una sliricizzazione
con un verso lungo, adoperando a tratti un
linguaggio elitario, quasi a-comunicativo.
Reinventa la catena sintgmatica. La struttura
codificata è malvista. Rifiuta la mummifica-
zione delle buone maniere letterarie, della
grafica standardizzata. Il verso deve essere
sovversivo, audace, desemantizzato e fuori
dalla logica per dare al lettore la libertà di
percepire in autonomia. La poesia ha il verso
spezzato e disarticolato proprio per interrom-
pere quella linea di continuità culturale, non
tanto o non solo per scandalizzare, ma meglio
per innovare, o per andare più in profondità,
per coniare espressioni verbali di estremo do-
lore e sofferenza di fronte alla cecità dell’
uomo che non vede l’estrema sofferenza dell’
universo, che conquista un benessere crescen-
te a fronte di un aumento della pena del vive-
re.
L’angoscia, il dolore che è dentro toglie
senso, confonde la mente, partorisce parole in
disordine rappresentando la realtà di quel
momento mentale così come è.
L’umanità perde tensione emotiva, si assue-
fà alla perdita di autonomia, diventa indiffe-
rente, crea nuove forme di schiavitù come il
P
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.24
silenzio-assenso o il concorso-in colpa, che
capovolgono tutti i principi sia di legge che
morali. Saltano così le basi delle regole mora-
li e legislative che sono al fondamento di una
civiltà. La poesia chiusa nel romitaggio della
tecnicità e delle sofisticazioni di una élite cul-
turale che si culla tra l’ordinario e il pianifica-
to non gli interessa, ovvero non serve alla sua
voglia di non stare in silenzio. La parola del
verso deve avere la capacità di oltrepassare il
limite della pagina bianca del libro, deve pe-
netrare le menti e restituire le ragioni dell’
esistenza.
Provocatoriamente il linguaggio nelle sue
opere risulta disarticolato fino all’ipotesi di
una destituzione della logia sintattica. La sua
scrittura confezionata ed intessuta di idiotismi
colti, di ironica corrosività, di dialoghi che
oggettualizzano la quotidianità di più bassa
lega, è anticipatrice di una cultura del limo
che va stratificandosi nel popolo italiano: fa-
vorita in questo da una televisione di scarsi
contenuti in quanto improntata alla pura eva-
sione o per meglio dire al culto di una estetica
preponderatamente edonistica.
La sua allotria, come capita spesso nella
cultura italiana, è vista con invidia più che
come una forma di superiorità letteraria dalle
forti connotazioni innovative.
Il suo sperimentalismo attira non poche cri-
tiche da parte di Pasolini, che sulla rivista “Il
Punto” non riconosce che solo a se stesso la
capacità di fare vero e proprio sperimentali-
smo.
La quale cosa dà un poco fastidio a Sangui-
neti, sentendosi relegato ancora di più nella
sua solitudine di poeta orgoglioso di una sua
libertà di stile.
Nel programma della neoavanguardia inve-
ce, Sanguineti è figura centrale per il suo ten-
dere verso l’estetica di Pound; per l’uso della
psicoanalisi nei suoi testi; del plurilinguismo
presente; di una punteggiatura piena di paren-
tesi e due punti.
Due a parere mio sono le raccolte più matu-
re e significative della sua poetica: POST-
KARTEN con la materia prodotta dal 1972 al
1977 e STRACCIAFOGLIO del periodo
1977-1979.
In queste raccolte è evidente la forte neces-
sità del narrare, del raccontare, del comunica-
re.
L’insieme è realizzato in modo stringato,
quasi didascalico o per meglio dire come se si
stesse scrivendo una cartolina postale. Non a
caso la titolazione Postkarten. Si raccontano
le cose della giornata viste, vissute, conside-
rate: così come un tempo si scriveva prima di
andare a letto, la giornaliera cartolina alla fi-
danzata o alla famiglia, per chi ne aveva una.
Vengono fuori dei resoconti di viaggio o di
pensieri, liberi viaggiatori della sua mente.
Il percorso poetico di Sanguineti è nuovo
ma complesso già a partire dalla pubblicazio-
ne del Reisebilder, avvenuta nel 1972. E con-
tinuerà anche dopo. Sarà per tutti gli anni “70
del secolo scorso, il poeta più interessante e
polemicizzato in quanto la sua arte poetica in-
teragì non solo con la realtà letteraria di que-
gli anni, ma anche con quella politica e socia-
le. Anni importanti i “70, anche per la sua
carriera di professore universitario prima a
Salerno e poi a Genova. In questa città si im-
pegna anche politicamente in prima persona
venendo eletto da indipendente, per le liste
del PCI, a consigliere al comune. Travaglia-
tissimo ma vitalissimo percorso letterario il
suo, come il nostro Paese che riesce ad essere
sempre a galla per l’opera instancabile di per-
sonalità artistiche, che il caso o la fortuna,
poche volte la bravura, fa diventare di primo
piano o relega, il più delle volte, in troppi
stretti dimenticatoi.
Salvatore D’Ambrosio
DANIEL
Vorrei cavalcare l’onda,
l’onda più lunga del mare,
come Daniel delfino sognante
che scoprì nel sogno
il suo mondo dorato,
per giungere oltre
l’orizzonte infinito nella libertà
del mare, per una vita perfetta.
Adriana Mondo Reano, TO
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.25
ANNA VINCITORIO: BAMBINI
di Liliana Porro Andriuoli
IÀ altre volte Anna Vincitorio ha
scelto l’infanzia, in particolare l’ in-
fanzia sfruttata o abbandonata, come
tema dei suoi versi. È del 2012 infatti la sua
traduzione di The cry of the children (Il pian-
to dei bambini) di Elisabeth Barret Browning,
una delle poesie sociali maggiormente note di
questa poetessa, che è tra le più apprezzate
dell’Ottocento inglese. In essa la Browning
denuncia lo sfruttamento del lavoro minorile,
compiuto nelle fabbriche inglesi agli inizi
dell’era industriale, che vide concentrate in
enormi opifici vaste schiere di lavoratori, e
sovente ancora fanciulli. Questa poesia ebbe
un notevole effetto dal punto di vista del pro-
gresso della società inglese per ché, letta in
parlamento, destò una tale emozione che con-
tribuì a far cambiare la legislazione in mate-
ria. Ed in verità forte è l’impatto emotivo di
questo testo, che inizia con una dolorosa con-
statazione: “Fratelli miei, ascoltate il pianto
dei fanciulli. / Piangono nel paese della liber-
tà / nel tempo libero dei giochi degli altri” e
seguita con tristi parole di pena: “La nostra
giovinezza è colma di affanni / niente abbia-
mo, solo i vecchi hanno le tombe”; “… tutto
il giorno trasciniamo il nostro carico amaro /
… / ora guidiamo tutto il giorno ruote di ferro
/ che nelle fabbriche si muovono giro, giro”;
ecc.
Di recente il tema dell’infanzia violentata e
tradita è stato ripreso dalla Vincitorio in una
plaquette intitolata Bambini (Perugia, Blu di
Prussia, 2016), che reca una Nota critica di
Nazario Pardini e un’Appendice di Sandro
Angelucci. In essa la poetessa agita diversi
problemi, attinenti tutti all’ignobile sfrutta-
mento dell’infanzia.
Le prime due poesie della plaquette sono
dedicate al problema dei “bambini-soldato”,
cioè a quei ragazzi che, non ancora diciotten-
ni, vengono impiegati come combattenti,
messaggeri, spie, o anche solo come facchini,
cuochi, o altro, nei numerosi conflitti che qua
e là fioriscono sul nostro tormentato pianeta.
Qualunque sia la giustificazione che si voglia
dare a tale ignominioso sfruttamento, non va
dimenticato che si stanno in tal modo privan-
do dei giovanissimi del diritto di vivere la
propria infanzia; e non va nemmeno trascura-
to il fatto che si si tratta di un problema che,
già diffuso più di quanto generalmente si pos-
sa credere, si sta generalizzando sempre di
più. Secondo l’Unicef, infatti, fermo restanti
le difficoltà di fare una stima ufficiale del fe-
nomeno, a causa della mancanza di informa-
zioni affidabili ed aggiornate, si presume che
siano circa 250.000 i bambini coinvolti nei
vari conflitti mondiali.
I versi della Vincitorio suonano dunque
come un monito che dovrebbe destare le co-
scienze di tutti coloro che rimangono indiffe-
renti di fronte a questa situazione e nulla fan-
no per opporsi al male che intorno a loro di-
laga. “Lampi negli occhi chiari, / perle tra il
G
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.26
rosso delle labbra / Nelle tue mani / la morta-
le stretta / del Kalašnikov / Dove la tua inno-
cenza? / … / Tu, senza guardare, avanzi / Tu,
senza ancora saperlo, / ti prepari a morire, /
… / è un gioco di scacchi / la baby armata: /
l’orgoglio la esalta / il sogno la rimpingua / la
realtà l’uccide” (Bambino in guerra). Ma è
certo che, come ci suggerisce la nostra poe-
tessa, il problema dei bambini-soldato va in-
quadrato in un più vasto contesto che è quello
della povertà e talvolta persino della miseria
che causano molti conflitti nel mondo; così
come avviene in Africa (specie in Paesi quali
il Niger, il Mali o la Mauritania), dove la ca-
restia genera spietate guerre intestine, fomen-
tate anche da conflitti religiosi e odi razziali.
“Il mistero accompagna / la vita e la morte /
di colonne di bimbi / scomparse nel silenzio /
… / Piccoli volti, / occhi immensi / pieni di
domande / Nessuna risposta” (Bambini invi-
sibili). Di fronte a queste tragedie noi rispon-
diamo troppo spesso con l’indifferenza, con-
clude la Vincitorio: “Siamo sordi alle imma-
gini” che purtroppo “non emettono suoni” e
non trasmettono “invocazioni d’aiuto”. È in-
fatti sufficiente “interrompere il video e spe-
gnere la luce” perché “Tutto torni eguale”;
come se il problema non esistesse più o addi-
rittura non fosse mai esistito (Ivi).
Un altro problema, e non meno doloroso, è
poi quello dell’abbandono dei minori, che so-
vente vengono lasciati dalle madri presso i
Conventi, talora anche appena nati: o perché
frutto di una gravidanza indesiderata, o a cau-
sa delle condizioni di estrema indigenza in
cui versano i genitori. I Conventi li accolgo-
no, senza che se ne conosca l’origine: “Due
braccia cieche / non hanno saputo trattenerti /
Due occhi vuoti di tragico pianto / ti hanno
visto inghiottire / tenero, indifeso, solo”
(Bambini abbandonati). E quell’abbandono
rimarrà come un marchio che segnerà tutta la
vita di quel piccolo essere indifeso: “Cosa
porti negli occhi, bambino? / Cosa porti sul
Cuore? / Un sacchetto, un santino, una meda-
glia…” (Ivi).
Non ultimo è poi il problema della violenza
sui minori, che emerge con sempre maggiore
frequenza nel mondo attuale e che occupa
ogni giorno gran parte della cronaca dei nostri
giornali. Ed appunto usuali fatti di cronaca
vengono evocati dalla Vincitorio nelle poesie
successive di questa plaquette: Cronaca; I
ragazzi dello zoo di Roma e White Christmas
a Coccaglio. Uno dei tanti reati contro la per-
sona, che purtroppo si ripete con dolorosa
frequenza, è argomento della prima: “Voci e,
all’improvviso, / due braccia e una morsa /
atroce, innaturale. / … / La fiducia violata
dall’inganno / Vinta l’antica pietà / per l’ in-
nocente inerme”.
Le due poesie che qui compaiono fanno in-
vece riferimento a due precisi avvenimenti, a
cui i giornali hanno dato largo spazio e dei
quali la Vincitorio riporta, nello stesso titolo,
il nome del quotidiano (“Repubblica” nella
fattispecie) e la data: 19 gennaio 2016 per la
prima e 20 novembre 2009 per la seconda
poesia.
I ragazzi dello zoo di Roma (è il titolo della
prima delle due poesie) trae lo spunto da un
reportage realizzato da Floriana Bulfon e da
Cristina Mastrandrea per conto dell’Unicef,
nel quale si mette in luce un fenomeno che ha
assunto ormai vaste proporzioni: quello dei
minori non accompagnati che sbarcano in Ita-
lia e che, dopo esservi approdati, “scompaio-
no nel nulla”, perché finiti nella rete di pedo-
fili, sfruttatori e altre categorie di delinquenti.
Uno di questi luoghi di ritrovo è quello della
Stazione Termini romana, dove i ragazzi si
concentrano in cerca di un rifugio e dove li
cercano coloro che approfittano della loro mi-
sera condizione: “Visi / dove lo sguardo parla
/ Li atterra il sonno / nei cunicoli / e benda i
loro sogni / Soli tra gli altri / prigionieri senza
sbarre / Mani d’uomo marchiano / la loro
giovinezza”. Il titolo del reportage ci rimanda
ad un altro evento analogo avvenuto nella
Berlino degli anni ’70, di cui allora molto si
parlò (e dal quale trassero argomento anche
un libro ed un film, Noi, i ragazzi dello zoo di
Berlino), consistente nella consuetudine di al-
cuni ragazzi della classe operaia o della me-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.27
dia borghesia di prostituirsi per comprare l’
eroina e vincere così il loro male di vivere.
Ad accomunare i due titoli è la felice metafo-
ra di una prigione esistenziale, rappresentata
dalle gabbie, senza alcuna via d’uscita, di uno
zoo.
In White Christmas a Coccaglio la Vincito-
rio agita il problema della discriminazione
razziale, prendendo ancora una volta spunto
da un altro fatto di cronaca, avvenuto a Coc-
caglio, un paese del bresciano dove, l’autorità
competente dispose, in seguito all’aumento
del numero degli immigrati, un maggior rigo-
re nei controlli, al fine di individuare coloro
che erano sprovvisti del regolare Permesso di
soggiorno. “L’ascia vibra / e pesante colpisce
/ per abbattere tutto / Alberga ancora / in al-
cuno pietà? / La pelle, vestito del volto / è più
scura, / bianca la neve / Aveva occhi azzurri /
Gesù Nazzareno? / Neri e cupi i capelli / di
Maria Maddalena / che Gesù perdonò / Per-
ché non guardare / fino al bianco dell’ ani-
ma…”. L’avvenimento ha avuto vasta eco,
anche perché avvenuto durante il periodo na-
talizio.
La plaquette si chiude con Dormi fanciullo,
una poesia che suona come un compianto fu-
nebre e del compianto ha la delicatezza e la
misurata parola: “Tu sorridi, forse / nel tuo
sonno / di tempi lunghi / come i silenzi”.
“Una plaquette intensa, emotivamente
umana”, questa della Vincitorio, Bambini,
come la definisce Nazario Pardini nella sua
Nota Critica introduttiva ai testi. Una pla-
quette nella quale l’autrice indaga a fondo e
con acuta sensibilità alcuni problemi altamen-
te sentiti, ma che forse non sono stati ancora
affrontati adeguatamente dai governi.
Certo, quello della Vincitorio non è che un
contributo dato per la soluzione di enormi
problemi che si presentano nel mondo attuale,
ma è offerto con purezza di cuore e soprattut-
to con quella freschezza di voce che da sem-
pre caratterizza il suo canto.
Liliana Porro Andriuoli ANNA VINCITORIO: BAMBINI - Blu di Prussia, Perugia, 2016
GIADA
Giada, dolce nipotina,
a due anni d’età
contagi entusiasmo di vita
con lo stupore luminoso
dei tuoi occhi
quando ti si svelano
sconosciute realtà,
con l’infaticabile esplorare
il mondo
per le molte tue curiosità,
con il riso e i gridi di gioia
che spandi a te attorno,
abbandonata contenta
all’amore che ricevi
nel quale cresci rigogliosa
come pianta
al calore del sole,
in un terreno ricco di umori.
In te ritrovo
la mia sorgente di vita,
i preziosi incanti dell’infanzia;
sai donarmi interiore giovinezza.
Caterina Felici Pesaro
CIRINNÀ
Navighiamo per poco ancora sopra una bar-
ca che affonda
La barca che affonda riposa sopra una lastra
di corallo
La lastra di corallo ha cozze e granchi erma-
froditi
I granchi ermafroditi hanno pene piccolo e
ciglia colorate
Le ciglia colorate sono aguzzi polpi centi-
mani
I polpi centimani assaltano la vetta di Zeus
pantocratore
Zeus pantocratore se la ride tracannando la
coppa di Ganimede
Minerva chiude nella corazza virile il picco-
lo ventre sterile
Rossano Onano Reggio Emilia
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.28
GIOVANNI BATTISTA RIGON
DIRIGE
ALL'OLIMPICO DI VICENZA
LA 'PETITE MESSE
SOLENNELLE' DI
GIOACCHINO ROSSINI di Ilia Pedrina
INGRAZIO Elisabetta Rigon, segre-
taria della XXV Edizione delle 'Set-
timane Musicali al Teatro Olimpico,
per avermi consentito di assistere per ben due
volte, nei giorni 4 e 11 giugno, alla splendida
esecuzione della 'Petite Messe Solennelle' di
Gioachino Rossini, opera conclusa a Parigi
nel 1863, nella versione originale per 12 voci
soliste, due pianoforti ed harmonium, diretta
da Giovanni Battista Rigon, anche direttore
artistico di tutta questa manifestazione, in col-
laborazione con il Conservatorio 'B. Marcel-
lo' di Venezia. Lo studioso e musicologo Ce-
sare Galla ha introdotto l'evento presso l'Odeo
del Teatro Olimpico, mettendo in luce parti-
colari interessanti della vita del compositore
ed in particolare di questo suo ultimo 'peccato
di vecchiaia'.
Gioachino Rossini interrompe la sua presti-
giosa carriera di compositore di opere semise-
rie, buffe e forse anche drammatiche con il
Guglielmo Tell (1829): ha trentasette anni e
sceglie Parigi per continuare a comporre, per
se stesso e per pochi intenditori, elevando il
pianoforte a suo strumento d'elezione.
Ecco in elenco le sezioni che compongono
l'opera, tratte dalla partitura stessa, in tutto
14:
Kyrie eleison (Andante maestoso) - Christe
eleison (Andantino moderato tutto sottovoce
e legato a cappella) / Gloria (Allegro maesto-
so) / Gratias agimus tibi (Andante grazioso)/
Domine Deus rex coelestis (Allegro giusto) /
Qui tollis peccata mundi (Andantino mosso) /
Quoniam Tu solus Sanctus (Allegro modera-
to) / Cum Sancto Spiritu (Allegro maestoso) /
Credo (Allegro cristiano) / Crucifixus (An-
dantino sostenuto) / Et resurrexit (Allegro) /
Preludio religioso (durante l'Offertorio, per
piano solo, Andante maestoso) / Sanctus
(Andantino mosso) per soli e coro a cappella)
/ O salutaris Hostia (Andantino sostenuto) /
Agnus Dei (Andante sostenuto).
Nella parentesi che si viene a creare tra il
Kyrie e la sua ripresa, ecco l'innovazione di
una tematica ardita e dall'andamento votivo:
il 'Christe eleison' è per solo Coro a cappella,
in disegno armonico intensissimo e senza ac-
compagnamento di strumenti. È proprio alla
figura del Cristo che Rossini riserva il suo in-
teresse pieno, penetrante, silente e segreto
perché interno all'elaborazione musicale, che
qui è fatta anche di parole.
La lingua latina, antichissima, si presta do-
cilmente a frangersi secondo le necessità
creative del compositore, che finalmente ha
scelto una dimensione tutta sua del comporre,
privilegiando una sintesi chiarissima, piena-
mente consapevole delle prestazioni vocali
dei suoi cantori. Certo erano stati aboliti per
legge vaticana i castrati e non a tutti andava-
R
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.29
no a genio le sonorità acidule e spezzate delle
voci bianche. I solisti, nelle voci di soprano,
alto, tenore, basso intervengono in parti riser-
vate a loro ed adatte ad introiettare nel pub-
blico, nel corso dell'ascolto, particolari effetti
emotivi e di tensione immaginativa vibrante.
Poi, nelle parti per Coro, essi si fondono nel
gruppo di tre, a formare una compagine quasi
cameristica, di inconsueta intensità. Io mi so-
no commossa più volte: al mio fianco era se-
duta la Mamma del Direttore Titta Rigon ed
anche lei era colpita e partecipe di tanto sa-
piente raccoglimento, pensoso e devoto in-
sieme, durante l'esecuzione del 'Preludio reli-
gioso', vero intimo testamento spirituale sen-
za parole, ad indicare un cammino che non
deve risultare marcia funebre. Poi le parole
'Amen' e 'Christus – Christe' occupano tante
battute per pagine e pagine della partitura, a
sottolineare in variazioni armoniche come
Rossini abbia voluto tenere sapientemente
sotto controllo anche le dissonanze, moder-
nissime e ben mimetizzate nel contesto. Se
non avessi studiato a lungo, con severa assi-
duità, la partitura del 'Prometeo' di Luigi No-
no, non sarei stata in grado ora di rilevare le
minime diffrazioni ed i sottili contrasti nell'in-
treccio delle differenti vocalità del coro. Ri-
porto qui, a conferma di quanto sto sottoli-
neando, alcune osservazioni fatte da Giusep-
pe Ungaretti circa le parole e le loro scansioni
sillabiche in poesia:
“La poesia è una delle arti del movimento.
Possiamo, anche oggi, immaginarla fusa in
una voce bianca o di baritono o di coro in
una polifonia; accompagnata dallo zufolo o
dal liuto e dalla viola, o dall'organo, o dall'
orchestra... Il numero non è un'opinione. È
insensato negare i rapporti, le proporzioni,
gli accordi, le simultaneità, le simmetrie, tutto
ciò che mette in grado di muoversi il disegno
melodico e l'intreccio armonico dell'opera d'
arte... Tra una sillaba e l'altra, tra una parola
e l'altra, tra un inciso e l'altro, tra un ritmo e
l'altro, tra un verso e l'altro, tra immagine e
immagine, tra il senso di ciascuna parola e il
senso dell'intera poesia, tra queste cose nette
Leopardi suscita un intervallo, un vuoto dove
si muovono scie, echi, svaniscono vibrazio-
ni...” (cfr. Luigi Nono e Giuseppe Ungaretti,
'Per un sospeso fuoco - Lettere 1950-1969'
ed. Il Saggiatore, Milano 2016, a cura di Pao-
lo Dal Molin e Maria Carla Papini, pag. 212,
postfazione, nota 27, tratta da G. Ungaretti
'Difesa dell'endecasillabo' (1927) ora in SI,
rispettivamente alle pagine 158, 159, 161).
Scelgo così di soffermarmi un poco sul te-
sto che ritengo particolarmente rilevante per-
ché parte integrante dell'antica liturgia me-
dioevale ed insieme attualissimo contesto di
una fiducia o fede concepita come lotta arma-
ta, nei confronti di un nemico, visibile o invi-
sibile che sia. La partitura rossiniana lo indica
come tredicesima parte, per soprano solo:
O salutaris hostia
qui coeli pandis ostium
bella premunt hostilia:
da robur, fer auxilium.
Uni trinoque Domino
sit sempiterna gloria,
qui vita sine termino
nobis donet in patria.
Tommaso d'Aquino, che Dante tiene in così
grande considerazione, ponendolo nel Paradi-
so tra i saggi, elabora questo canto interno al-
le lodi del mattino coincidenti con la celebra-
zione del Corpus Domini. Di sicuro Rossini
ha letto Dante ed il suo Paradiso, Cantica nel-
la quale san Tommaso è presentato nel cielo
del Sole, tra altre anime di beati e musiche e
passi di danza celestiali. Sono convinta che
egli abbia colto in profondità questa dolcezza
piena della composizione creativa dantesca
nel suo riverbero musicale, nella convinzione
di oltrepassare la costante così spesso da mol-
ti condivisa che ad essere felici quasi quasi
sia peccato, perché Cristo si è immolato per
noi, e questo ci deve portare a condividere la
sua sofferenza.
Scrive lo stesso Autore a conclusione dell'
Agnus Dei:
“Buon Dio, eccola terminata questa umile
piccola Messa. È musica benedetta sacra
quella che ho appena fatto, o è solo della be-
nedetta musica? Ero nato per l'opera buffa,
lo sai bene! Poca scienza un poco di cuore,
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.30
tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il
Paradiso...” (fonte Internet, alla voce 'Petite
Messe Solennelle').
Allora questa partitura rossiniana ci deve
entrare dentro come generoso dono del com-
positore, nella piena consapevolezza della re-
surrezione, dopo la passione. Si. Perché la
gioia della resurrezione deve vincere piena-
mente sulla sofferenza del sacrificio. Infatti,
se si rileggono tutti i ritmi indicati per l'ese-
cuzione dei differenti brani, non si incontra
mai un 'Lento', un 'Lentissimo', un 'Largo' o
un 'Adagio' e l'accurata direzione del lavoro
ha dato pieno risalto alla specificità dei solisti
e del coro, oltre che delle sonorità strumentali
programmate: Adriana Cimolin, Valentina
Corò, Miao Tang soprani, Valeria Girardello,
Huijiao Li, Ludovica Marcuzzi alti, Andrea
Biscontin, Diego Rossetto, Nikolay Statsyuk
tenori, Paolo Ingrasciotta, Francesco Toso,
Chenglong Wang bassi; all'harmonium Carlo
Emilio Tortarolo, ai due pianoforti rispetti-
vamente Alberto Boischio e Manuel Ghidini.
Per il risultato artistico di questa esecuzione
olimpica annovero l'evento della Petite Messe
Solennelle di Gioachino Rossini diretta da
Giovanni Battista Rigon tra le più prestigiose
interpretazioni esegeticamente rigorose e ca-
riche al contempo di afflato umano ed artisti-
co. Perché egli ha trasmesso al coro ed ai mu-
sicisti il suo intendimento intenzionale: quello
di interpretare la partitura dalla parte del suo
Autore; perché la sua guida sobria e consape-
vole dei temi trattati fa scoprire a ciascuno dei
componenti coinvolti, e quindi, in riverbero,
del pubblico tutto, la responsabilità di entrare
nel meccanismo della sospensione del tempo
e dello spazio, nella prestigiosa scenografia
del Teatro Olimpico, per far scaturire tutti i
segreti di questa opera d'arte musicale; perché
egli, nell'Amen, interno al 'Sanctus Spiritus' e
non solo, fa in modo tale che la vetta della
gioia venga raggiunta con la semplicità della
pura perfezione, mentre armonicamente le
voci si incrociano tra loro e si susseguono,
dando così, nell'ascolto, le stesse vibrazioni
emotive condivise.
Ilia Pedrina
NEI CAMPI
Il vento piange
nella campagna solitaria
romito va un bove lungo la strada
il fiocco di bambagia
si spezza
al trito gracchiare di una rana
moribonda.
Tra le foglie stridule
il lento strisciare
di una viscida vipera si avverte.
In cerca di una meta
il mio cuore va errando
tra le selve spinose;
si riposa sull’edera fiorita
che abbandonata la gelata tramontana
dello scorso inverno,
riscalda come una fiammata del focolare
l’eterna illusione.
Susanna Pelizza Roma
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.31
OLINTO DINI O DELL’ARMONIA POETICA
di Leonardo Selvaggi
I
La poesia ha mantenuto intatti i luoghi dei
propri sogni.
ISAVVENTURE, vita travolgente
non hanno interrotto la interiorizza-
zione dei pensieri, delle aspirazioni.
Le ferite sono state sopportate, anche se pro-
fonde, mai si sono viste fuori. Con orgoglio la
fine personalità scinde ciò che è stata l’ inci-
denza drammatica della realtà dalla caratte-
rizzazione che il lungo cammino dei giorni ha
prodotto sulla propria maturazione intellettiva
e sull’attività culturale nel progressivo anda-
mento delle inclinazioni natie. Una esteriore
serenità, un aspetto limpido, vitale. Il poeta
Olinto Dini, con la sua liricità ha saputo man-
tenere intatti i luoghi dei suoi sogni, l’amore
per la sua Garfagnana, rimasto intoccabile e
puro in tutto il suo peregrinare. Con nobile ri-
serbo ha tenuto nascosti il dolore della morte
prematura del padre e tutti i disagi sopravve-
nuti. La sua poesia non ha fatto trapelare la
minima traccia delle sue pene. A differenza di
Giovanni Pascoli che per tutta la vita ha por-
tato sul volto le amarezze della tragedia vis-
suta in famiglia, mai saputa celare. Per Olinto
Dini la realtà è stata soprattutto bellezza natu-
rale, che ha esercitato incanto; oggetto di rac-
coglimento e di meditazione. Olinto Dini nato
a Castelnuovo di Garfagnana il 25 gennaio
1873. Nei primi anni di istruzione lo vediamo
al Cicognini di Prato, poi al Liceo di Lucca,
infine all’Università di Pisa. Comincia la sua
attività di insegnamento in varie regioni, in
Toscana, in Emilia, in Lombardia, in Piemon-
te, in Liguria, in Abruzzo, in Basilicata. I suoi
diciotto volumi di poesia non parlano mai
della gente e delle contrade che ha conosciuto
ed osservato di qua e di là per l’Italia.
II
Aspra e bella la Natura della Garfagnana
con le Alpi Apuane.
Soltanto la Versilia sempre viva nella sua
anima, nei suoi meravigliosi versi. Le novità,
gli aspetti clamorosi visti fuori non l’hanno
per niente toccato. L’amore per il suo paese e
i dintorni, ricchi di colline e di borghi arram-
picati sui declivi, di torrenti cristallini dalla
freschezza primaverile, tra castagni e faggi.
Branchi di capre in mezzo alle piante sterpo-
se. Nel grande silenzio l’armonia dei canti
degli usignoli e delle capinere. Di notte grilli
in un altalenare continuo, ad ondate che van-
no e vengono da ogni direzione. Olinto Dini è
immerso in tutto questo ambiente, si amplifi-
ca e si diffonde la sua presenza, sembra un
fantasma che appare e scompare, tra gli alberi
dentro la musica del vento. Nella parte meri-
dionale la Garfagnana è costituita dalle Alpi
Apuane, che azzurre e irte impediscono la vi-
sta del mar ligure. Hanno la prepotenza e
schiettezza delle Dolomiti. È il regno dei fal-
chi e delle aquile. Azzurri spazi fra giogaie
senza contaminazioni. Hanno la densità delle
sostanze senza scorie, limpidi, quasi il vuoto
non esiste, il cielo e la terra si incontrano
scambiandosi le loro parti.
III
Il sentimento d’amore per tutto ciò che è
sublime e delicato.
La poesia di Olinto Dini si espande in tutta
la sua terra, vi trova alimenti, esprimendosi
con una originalità tutta personale. Nei versi
non si trova il minimo riferimento alla sua
D
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.32
cultura letteraria, nessuna traccia dei poeti
che nella Garfagnana hanno avuto una certa
presenza, quali Dante, Ariosto, Pascoli, Car-
ducci. Soltanto per somiglianza di gusti arti-
stici e anche per l’amore che ha verso la soli-
tudine della campagna, non certo per imita-
zione, si avvicina al Petrarca. Grande armonia
nei canti che quasi sempre sono brevi. Si in-
namora di creature vere, semplici, di bellezza
naturale, uguali ai fiori di mandorlo, nell’aria
luminosa d’aprile. La donna che vede passare
davanti alla sua casa, che chiama “Villino dei
sogni”, riempie la sua immaginazione.
“ È fresca come un’aurora,/ è forte come un
querciolo./ All’altura dove dimora / sale co-
me un capriolo./ Par che sfiori appena il suo-
lo.” Tutta un’interiorità che traspare attraver-
so un penetrante lontano sguardo, si ha l’ im-
pressione che l’anima esca fuori per ammira-
re e sognare. Versi asciutti, classici per misu-
rata musicalità e pienezza. Anche modernità
e snellezza notiamo tra forma e contenuto.
“Guardo la notte, e mi si fa notturno/ anch’
esso, il cuore, e i palpiti ne segna/ misterioso
il palpitìo degli astri”. Enrico Pea lo chiama
“l’usignolo di Val di Serchio”. Il sentimento
d’amore eterno, profondo, assillante, domi-
nante. Dalla “Casa dei sogni” in alto, a stra-
piombo sulle cave Olinto Dini come un’ aqui-
la, osserva, emanando dolcezza di suoni.
“Sono una sete d’amore; son come un beone
che sosti/ presso l’usata bettola ond’escon
fragranze di vini;/ e non ha un soldo”. Delica-
tezza dei pensieri sottili, passano liberi, pieni
di ritmo vagano attorno, rimbombano nell’
antro ampio del suo intimo. “Morbidezza di
muschio mi sento sotto la mano,/ mentre
amorosa sui tuoi capelli la passo e ripasso/
con lunghi indugi di fremito”. Nobiltà d’
animo, passionalità leggera. La poesia è la
sua vita, circoscrive il suo mondo, attorno tut-
to il profumo della bellezza amata.
IV
Poesia che non va dimenticata per purezza
di immagini e schiettezza ispirativa.
Le immagini con fierezza non toccate dalla
volgarità, soltanto incanto e sfolgorante luce.
La materialità degli attimi brevi di piacere si
tiene lontana. Olinto Dini, un poeta di grande
cultura, di riflessione. Eternamente posseduto
dal senso della giovinezza, che rifiorisce in
ogni momento. La sua poesia arriva alle Alpi
Apuane, dalla intuizione, da una mente scevra
da pesi di turbamento, tutta immersa nel si-
lenzio e nella pace dei campi. Poesia elevata,
sonora, amata con grande devozione in sinto-
nia con tutto ciò che di sublime, di gentile, di
bello, di caro esiste. Poesia immacolata, niti-
da, fresca, splendente, considerata ormai fuori
moda, dimenticata, non la trovi in nessuna
antologia, non è ricordata in nessuno degli at-
tuali dizionari letterari. La forza sentimentale
dal reale va in pienezza spirituale. “Squassa
ed insieme odora il nembo d’aprile l’annosa /
selva ov’io vado; così l’amore nel vecchio
mio cuore”. Armonia schietta fra le selvagge
boscaglie attorno alla “Casa dei sogni”, ab-
biamo perle e oro rispetto ai versi aridi con-
temporanei, sordi di musicalità nel fragore
delle città, davanti alle espressioni scontente,
piene di inquietudini, di alienazioni, di lercio
materialismo. In Olinto Dini una metrica che
corrisponde alla vitalità intima senza l’ombra
degli artifici. Poesia di intensa sensibilità che
va ad incontrarsi con quella di D’Annunzio,
di Pascoli e di Carducci. Non è derivazione,
ma un puro ritrovarsi insieme, quando si è
nelle altezze dell’assoluto.
V
Versi armoniosi e di classica concisione.
Tutti i volumi di poesia testimoniano indi-
pendenza piena da tutti gli autori che poteva-
no considerarsi suoi maestri. Del tutto perso-
nale e maturata negli anni. La poesia è fatta
soprattutto dalle parole, dai modi di costruire
il periodo, dalla musica delle strofe e dalla
indefinibile armonia che fa dei versi il respi-
ro, sempre inafferrabile e intraducibile. Tro-
viamo in Olinto Dini precisione di grande ar-
tiere, aduso al lavoro della lima, lapidarietà
come quegli artigiani della Versilia che lavo-
rano le pietre dure. Tutti belli , perfetti, ispira-
ti i Canti, sembra che escano da una sorgente
che non conosce impurità. Dulces ante omnia
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.33
Musae. “In questa cristallina aria invernale /
tutto risalta netto./ Non potrei senza pena /
pensare all’impreciso e il disuguale. /Ogni
mio sguardo è una gioia serena / che m’ ap-
paga di un senso di perfetto”. L’ordine, frutto
di riflessione e di misura. Un maestro di poe-
sia dalla mano leggera. Pare che nello stesso
tempo un pennello, un cesello, una bacchetta
magica scuotino simmetrie, dolcezze di toni e
di stile. La poesia di Olinto Dini sa di scaturi-
gine naturale, vista come acqua che zampilla
fra arbusti, nascosta fra il fogliame. Non vie-
ne dai suoi studi umanistici, ma dalle sensa-
zioni e dagli occhi che sono lance appuntite,
spinte lontano. Ha affinità con il Leopardi per
l’intimità delle ispirazioni e per l’amore delle
forme concise, essenziali, trasparenti, senza
sovrappeso, non ci sono lacune, ombre, tutta
completezza: non si può togliere una parola
né fare sostituzioni. La poesia viene dai luo-
ghi natii, filtra attraverso l’interiore, in un
rapporto spirituale, intuitivo-estetico con l’
ambiente esterno è imitazione della Natura,
del vero. Basta stare a Castelnuovo qualche
tempo per capire i canti di Olinto Dini. La
voce del fiume Serchio la si sente nei versi.
VI
Dal “Villino dei sogni” la presenza del Poe-
ta in spiritualità diffusa.
Nel “Villino dei sogni” immutabile la sua
presenza, che rimane estesa, intatta per tutta
la Versilia. Leggiamo l’epigrafe posta sulla
parete. “Olinto Dini comunicò agli uomini le
gioie dell’anima e tanto più semplice e umile
fu la sua vita tanto più in alto con l’ ispirazio-
ne delle muse fu sollevato agli splendidi pa-
radisi del sogno dalla robusta ala della poe-
sia”. La bellezza dei paesaggi tutta nelle ope-
re. Il dominio delle Alpi ha impressionato
sempre il poeta: veri muraglioni, prepotenti,
massicci, come una violenta espressione di
rupi, dalla terra al cielo. La Garfagnana, di-
versa dalle altre parti della Toscana, in gran
parte feconda, rende serenità e gaudio allo
spirito. La poesia di Olinto Dini erompe dall’
anima, si riempie di azzurro, si fa durezza
adamantina, resistenza nel tempo. Riporto di
continuo versi, sono di una fattura impareg-
giabile, di una immediatezza difficile a ri-
scontrarla in tanti altri autori. “Guardo mon-
tagna dov’aquila / ha covo, ed in essa m’
esalto;/ e dico e ridico al mio cuore:/ conserva
quest’apuo vigore;/ ed esso miri sempre in al-
to”: Il mondo esterno come quello interiore è
fatto di luci e di ombre. I sorrisi delle fanciul-
le inondano la vita di Olinto Dini, mettono
sopra un’aria carezzevole, colori e dolcezze
che sanno di nettare e di petali, di farfalla che
sfiora e fugge. “ Questa fanciulla è un riso / di
fresca levità / che par fatto di cielo e di rugia-
da”. L’eterna fanciulla del suo sogno che ve-
de passare e che sente nei palpiti del suo san-
gue, un bene irraggiungibile, luce fuggitiva,
che crea estesa malinconia.
VII
Penetrabilità intellettiva e fine sensibilità ai
palpiti più sottili.
La poesia si fa ancora perfezione, sensibi-
lità che coglie tutti i particolari, le visioni
più diafane. Pittura non soltanto, ma musica,
quando si osservano l’aurora, il tramonto, le
notti di luna. Penetrabilità intellettiva, una
attenta lettura delle meraviglie del Creato,
solo Olinto Dini entra nella dinamicità dei
momenti che si vivono nella Natura, che
portano passaggi, trasformazioni. Serenità e
un certo ottimismo l’hanno sempre domina-
to con il senso del mistero passa ognora dal-
lo spirituale al bello della vita terrena. At-
traverso gli anni ha mantenuto una leggerez-
za primaverile, sempre nella luce dei merig-
gi, aleggiando nell’aria dietro voci e profu-
mi. Conosciuto e apprezzato durante i suoi
progressi artistici, poi subito caduto nell’
oblio. Di certo la sua poesia è di elevato va-
lore, sarebbe bene riavvicinarsi nei tempi
che viviamo, violenti, disamorati, privi di
sensibilità e di umani sentimenti. Olinto Di-
ni, poeta di grande levatura della prima metà
del ‘900, impeccabile autore di versi stu-
pendi, che sanno prendere da ogni parte i
palpiti più sottili. A vederlo, appare dal vol-
to tutto altero, quasi immobile, un fine sorri-
so lo pervade, tutto proteso con la vivacità
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.34
dell’ intelletto e dei sensi. Elegante, di raffi-
nata correttezza, tutto presente con entusia-
smo davanti alle cose ammirevoli. Le sue
tristezze le ha tenute dentro, concependole
aspetti secondari della vita, importante è sta-
re vicino alle grandi realtà, nelle forme de-
gne e vigorose, quelle che hanno essenziali-
tà e fondamentalità esistenziali. Olinto Dini
trova la felicità nelle solitudini meditabonde,
nei luoghi della Garfagnana, amati giorno
per giorno.
VIII
L’Arte è Vita in processi continui intuitivo-
estetici.
Pubblica il primo volumetto di versi “Alcu-
ne poesie” nel 1900 a ventisette anni, ottiene
incitamenti da Angiolo Orvieto e da Giovanni
Marradi. Con l’editore Bemporad di Firenze
nel 1902 “Poesie”, con Lapi di Città di Ca-
stello, 1909 “Fremiti e sogni”, nel 1914 “Due
vite”, cui fanno seguito, citando solo alcuni
titoli, tutti editi da L’ Eroica di Milano, “Vita
e sogno” 1920, “Natura e anima” 1926,
“Ombre e fulgori” 1929, “Dal mio romitag-
gio” 1932, “Voci della mia sera” 1937, “Con-
trasti e armonie” 1948, “Dal villino dei miei
sogni” 1950. Le sue liriche hanno avuto nei
primi anni struttura classica e rime tradiziona-
li. Pochi sono i sonetti che ha scritto. Negli
ultimi volumi abbandona quasi del tutto l’ ar-
chitettura complessa della strofa. Non biso-
gna dire che si concede ai modi libertari della
moderna avanguardia. Acquisisce una mag-
giore disciplina, intensità e asciuttezza soprat-
tutto. Dalle note cupe alle più trasparenti,
sempre fedele all’ispirazione, schietto nei
pensieri e nelle immagini, senza mai cadere
nei formalismi. Perfezione da esteta, mai
freddezza. Le sue liriche in lampi di sintetici-
tà passate attraverso una attenta elaborazione.
Sono gemme: limpidezza e nel contempo
passionalità. Con Olinto Dini l’Arte è Vita,
dentro di essa ha costruito un altro se stesso,
prendendo il materiale dal vero dei fatti e dal-
la Natura. Muore a Castelnuovo il 16 marzo
1951.
Leonardo Selvaggi
QUESTO BASTANTE
Volteggia nell'aria
parola che nutre
parola che crea
carezze leggere
che porta agli abbracci
abbandonati.
Un bacio poi schiocca
da labbra vogliose
e sopra un sorriso
spande nel cielo
lo sguardo di luce
d' ammirazione
lo sguardo di luce
di compassione
e si condivide...
l' essere.
Oh l' amore l' amore
questo bastante
non è mai troppo o troppo poco.
Michele Di Candia Inghilterra
SCIROCCO
Morde il mare quest'oggi lo scirocco.
S'avventa sulla riva e brucia l'anima
delle palme imploranti. Poi si schianta
sulle arrese facciate delle case.
A chi l'ascolta narra antiche storie
di pirati e naufragi e bianchi approdi
per incanto dissolti. Gli occhi inseguono
nubi veloci correre nel cielo.
Le incendierà il tramonto col suo fuoco
e sarà nulla il battere dell'ora.
Elio Andriuoli Napoli
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.35
DOMENCO DEFELICE E LA SUA POESIA ANIMATA DA
URGENZA SOCIALE IN UN SAGGIO DI
CLAUDIA TRIMARCHI di Marina Caracciolo
OPO Anna Aita (Domenico Defelice.
Un poeta aperto al mondo e all’
amore, Il Convivio Ed., 2013),
un’altra studentessa della Facoltà di Lettere
dell’Università degli Studi di Roma Tor Ver-
gata, Claudia Trimarchi, si è laureata (dicem-
bre 2015) con una tesi sull’opera poetica di
Domenico Defelice. Impresa, come sempre,
non facile, data la vastità e i molteplici aspetti
della produzione letteraria di questo autore.
L’autrice illustra nelle prime pagine il signi-
ficato del titolo che ha dato al suo lavoro: «La
poesia assume una funzione catartica, in
quanto libera dalle mediocrità e dalle incon-
gruenze dell’umana esistenza, e rigeneratrice,
poiché – lasciando intravedere realtà altre, ol-
tre la pura fenomenica – edifica uno “spazio”
nuovo in cui è possibile riscattare la pena di
vivere in ben altre infinite possibilità di vita».
La poesia configura dunque nella parola una
nuova dimensione e insieme un superamento,
una sorta di rivincita, con una funzione fon-
damentale non soltanto costruttiva ma anche
salvifica. La scrittura poetica rappresenta –
prosegue infatti la Trimarchi – «una fune di
salvezza a cui aggrapparsi saldamente nel
perpetuo susseguirsi delle stagioni e delle vi-
cissitudini dell’esistenza».
Il saggio comincia risalendo all’infanzia e
all’adolescenza dello scrittore, trascorse in un
piccolo paese della Calabria, dove, a contatto
con la natura selvaggia dell’ambiente, prende
vita pian piano la fervida immaginazione che
più tardi si sarebbe trasformata in attività poe-
tica. Così vengono illustrate le sue prime rac-
colte di versi, dove, in uno stile molto curato
ma ancora soggetto all’influenza dei classici
– uso privilegiato dell’endecasillabo, frequen-
te comparsa della rima e gusto per la struttura
del sonetto – l’autrice ravvisa l’affiorare di
due temi fondamentali: l’amore, vagheggiato
e per lo più non corrisposto, per la donna e l’
acuta nostalgia del Sud, l’amore sconfinato
per la propria terra lontana (Defelice, a vent’
otto anni, si trasferì dalla Calabria a Roma,
stabilendosi poi a Pomezia dal 1970).
Soprattutto il secondo di questi temi conti-
nuerà a percorrere come un leit-motiv tutta l’
attività, non solo poetica, dello scrittore; per-
tanto Claudia Trimarchi ha modo di diffon-
dersi con intelligente competenza sui vari
aspetti – storici, politici e sociali – della co-
siddetta «questione meridionale», dal mo-
mento che Defelice ne ha rivissuto tutti i gra-
vi problemi nel profondo del suo animo con
una intensa e lacerata condivisione.
È appunto il prevalere dell’aspetto profon-
damente umano e sociale a costituire lo spar-
tiacque, il passaggio alla seconda, più matura
maniera dello scrittore, dove, abbandonato lo
stile «passato» che caratterizzava i versi ele-
giaci e amorosi della giovinezza, trionfa la
lindura espressiva dei moderni versi liberi,
spontanei, comunicativi, tanto lontani da echi
stilnovistici, petrarcheschi o leopardiani,
quanto da un astratto e criptico ermetismo.
Rimane immutata, invece, la certezza del po-
tere trasfigurante della poesia. La Trimarchi
cita in proposito le bellissime parole di Defe-
D
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.36
lice tratte da Le poetesse e l’amanuense
(1996): «… anche una ruvida pietra, se sfio-
rata dal soffio di un animo arcano, può acqui-
stare la bellezza del sogno».
Con il proseguire della sua indagine, l’ au-
trice cita diversi componimenti e si sofferma
in profondità sui differenti temi della poesia
defeliciana, fra cui quello religioso, che si di-
stingue per una bontà e per una pace inequi-
vocabilmente francescane, con utili compara-
zioni atte a rilevare prerogative, rimandi, ri-
poste sfumature. Soprattutto nella poesia
animata da un’urgenza sociale, di certo pre-
ponderante nella scrittura di Defelice, la stu-
diosa sa rilevare con acutezza «il senso di an-
goscia e di consapevole impotenza, di abban-
dono e di solitudine impenetrabile che nasce
dalla dolorosa constatazione dell’ immutabili-
tà delle vicende che segnano la storia della
gente del Sud». E proprio da questa sofferta
cognizione nasce spontaneamente «l’urgenza
di denunciare i conflitti sociali, la corruzione
e il malcostume, di farsi interprete dell’ansia
di riscatto di generazioni abiette e umiliate,
prigioniere della paura e del ricatto […]». Ed
ecco allora che, come per un necessario con-
trappeso, il vagheggiamento di un’altra, di-
versa esistenza in grado di curare gli affanni
del vivere quotidiano, ritorna a farsi strada fra
i versi del poeta. Nei «Canti d’amore dell’
uomo feroce» Defelice scrive, rivolgendosi
ad un amico: «Quando tu ed io, Amico
/ambasce più non avremo, / lungo ioniche ri-
ve, sul rosso / tuo battello veleggeremo / col-
loquiando d’erbe e d’uccelli…»; e qui, in una
trasparenza, per così dire, di diafani vetri
smerigliati, pare affiorare la memoria di un
celebre sonetto di Dante rivolto all’amico
Guido Cavalcanti: «Guido, i’ vorrei che tu e
Lapo ed io / fossimo presi per incantamento /
e messi in un vasel che ad ogni vento / per
mare andasse al voler vostro e mio /…».
Lasciando in ombra la produzione narrativa
e drammaturgica, di cui tuttavia fa cenno, l’
autrice passa, nell’ultima parte, a trattare, con
numerose esemplificazioni, l’attività di criti-
co, sia letterario che d’arte, di Domenico De-
felice. Mentre sottolinea il suo merito nel vo-
lere «dar voce a scrittori ed artisti contempo-
ranei ingiustamente relegati nel silenzio a
causa dell’odierna realtà critico-editoriale che
[…[ è votata al dio denaro», esalta in lui non
solo la capacità di scoprire attraverso la sua
indagine aspetti di un’opera, sia essa poetica
o narrativa o pittorica, che il lettore/ spettato-
re, e talora persino colui che l’ha creata, non
sarebbero in grado di riconoscere a prima vi-
sta, ma anche la sua fondamentale dirittura
nel mettere in luce la vera arte, dove essa
realmente esiste, sapendo però agire costan-
temente con equilibrio e obiettività, vale a di-
re senza illudere un autore con eccessivi in-
censamenti oppure, al contrario, annientarlo
con indebite stroncature.
Claudia Trimarchi conclude infine il suo
saggio – corredato, tra l’altro, da frequenti e
opportune citazioni tratte da diversi altri lavori
che sono stati pubblicati su Defelice – con un
meritato elogio riferito allo scrittore ma anche
all’uomo, scrivendo: «è persona onesta, schiet-
ta e semplice; e, fruendo la pienezza poetica
che pervade la sua vastissima e policroma ope-
ra, il lettore non di rado si commuove, piace-
volmente appagato dal cogliere la caratura mo-
rale, lo spessore umano prima ancora che arti-
stico, l’acutissima sensibilità di un uomo since-
ro e leale, integro e coerente con se stesso e
con gli altri. E quando il lettore si commuove è
segno che l’autore ha toccato le sue corde più
intime e che ha fatto vera arte».
Marina Caracciolo La funzione catartica e rigeneratrice della poe-
sia in Domenico Defelice. Saggio di Claudia
TRIMARCHI (Il Convivio Ed., Castiglione di Sici-lia, 2016; pp. 133, € 13,00). Pag. 35: C. Trimarchi
e Defelice all’Università di Roma Tor Vergata su-
bito dopo la discussione della tesi, il 15/12/2015.
DOLORE ALLARGATO
Il nostro dolore del presente
c’induce a rivivere nel ricordo
i personali dolori del passato;
si unisce ad essi,
diventa dolore allargato.
Caterina Felici Pesaro
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.37
ANTONIA IZZI RUFO LA CASA DI MIO NONNO
di Tito Cauchi
NTONIA Izzi Rufo è nativa di Sca-
poli (Isernia) e risiede a Castelnuovo
al Volturno frazione di Rocchetta. La
professione di insegnante e l’indirizzo di
formazione in Pedagogia, hanno caratterizza-
to buona parte della sessantina delle sue ope-
re, di vario genere (narrativo, poetico, saggi-
stico). La sua esperienza vissuta, è evidente
nella recente raccolta di diciotto racconti tra
cui l’eponimo La casa del nonno, che posso-
no considerarsi un solo unico romanzo peda-
gogico.
Angelo Manitta nella prefazione, definisce
la Nostra, “scrittrice a tutto tondo” che ha il
pregio di avere l’espressione limpida e poeti-
ca con i suoi richiami alla natura. Sono motivi
volti a invogliare i più giovani al recupero
della storia che inevitabilmente richiama la
seconda guerra mondiale (vissuta dai nostri
padri o nonni), i costumi sobri o poveri, le ri-
strettezze economiche del periodo post-
bellico, e temi pressanti di attuale realismo.
La voce narrante, generalmente appartiene
al genere femminile, spesso è in prima perso-
na, segno di autobiografismo o comunque di
una esperienza vissuta da vicino Le case del
luogo erano povere, prive dei servizi sanitari,
l’ acqua si andava ad attingere presso le fon-
tanelle del paese, si tenevano orinali (vasi da
notte) entro i comodini e mazzetti di lavanda
dappertutto per contrastare i cattivi odori. Per
strada si raccoglieva lo sterco degli animali
per farne concime.
Si badi nel proseguo ai numeri: le donne
(ragazze) erano destinate al matrimonio a
quattordici-quindi anni e nel corso della vita
coniugale partorivano dodici-quattordici figli;
come nel caso di Flavia, destinata dai genitori
a contrarre matrimonio con Marco, senza co-
noscersi e frequentarsi, ma solo vedersi in ca-
sa in presenza dei genitori o di una zia “zitel-
la” a far da guardia (pag. 92). Nei paesi non
esistevano cicli scolastici completi, così le
elementari spesso terminavano alla terza o al-
la quarta classe, mentre per la quinta ci si re-
cava nei paesi vicini più attrezzati e spesso
privatamente; e questo valeva soprattutto per
le femmine. Esistevano le ‘sputacchiere’. Ed
oggi?
Nel racconto d’apertura, La casa di mio
nonno, uno dei più ampi, in verità Antonina
Izzi, ci parla dei quattro progenitori e delle
vicende del loro tempo. Erano tempi in cui la
necessità costringeva le famiglie a non cedere
ai sentimenti affettivi e i figli crescevano in
autonomia.
I nonni paterni sono Antonia ed Emidio: la
nonna quando si è sposata aveva quattordici
anni, aveva avuto quattordici figli ma ne so-
pravvissero solo otto e allo stato attuale
(2016) ne rimane uno solo di novantasette
anni. Il nonno faceva il procaccia postale e
con un calessino si recava a Colli Volturno, a
ritirare la corrispondenza; aveva una bottega
alimentare gestita dai figli. Alla sua morte la
Nostra, ancora piccolina, spesso andava a
dormire dalla nonna, facendole compagnia e
compiacendo suo padre. Narra di un cugino
che perse un braccio e riportò gravi conse-
guenze ad un occhio, avendo giocato con or-
digni esplosivi disseminati per le campagne.
A
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.38
I nonni materni, vivevano in una casa molto
ampia e comoda. Nonno Antonio era serio e
taciturno, faceva il guardaboschi, camminava
con fucile e cane, nel paese di Scapoli, posse-
deva vari ettari di terreno, le donne di fami-
glia gestivano una trattoria. Nonna Celidonia
era morta nel periodo della prima guerra
mondiale a seguito della “spagnola”; essendo
la primogenita, zia Nice, già sposata, fu sua
madre di quindici anni a prendersi cura dei
fratellini e della casa. Il nonno alla morte del-
la moglie volle costruirsi una casa in cima a
un eremo, vicino al cimitero per stare in
compagnia della sua donna, cosa che ha fatto
fino ai suoi ultimi giorni; trascorrendovi not-
turni colloqui. La nipotina l’andava a trovare
felice di quell’incanto naturale.
I ricordi che ci riportano alla fanciullezza si
vivono felici perché esprimono spensieratez-
za (anche se non sempre). Così Antonia Izzi
Rufo dice che erano gran festa per i piccoli,
luoghi come San Rocco; le stagioni si susse-
guivano ritmate, e costituivano momenti di
gioco la vendemmia, la spannocchiatura; in
quelle circostanze le zie Elvira e Filomena,
allora nubili, offrivano vino e biscotti fatti in
casa, adulti e bambini partecipavano a titolo
gratuito. I tempi felici proseguivano durante
la raccolta delle olive, seguita a fine anno
dall’uccisione del maiale come da tradizione;
poi si rinnovavano la Befana, e così Pasqua e
Natale.
I racconti brevi sono come parentesi che a
volte continuano pressoché nello stesso hu-
mus ambientale e altre volte sono una sorta di
divagazione come quella futurista che ci porta
alla fine del terzo millennio, dove Laura e
Stefano (pag. 29) fra i pochi superstiti di uno
scombussolamento nucleare-biologico- chi-
mico, passano da una vita totalmente automa-
tizzata ad una primitiva. Oppure il ripiego
(pag. 32) di Cristina che si emancipa con lo
studio, diventa infermiera e sposa il collega
Mauro; essi raggiungono il benessere, i loro
figli giungono a laurearsi; ma lei andata in
pensione viene presa da smania o solitudine e
senza avvedersene finisce per tradire il mari-
to, fin quando prendendone coscienza si rifu-
gia nella preghiera; ma il matrimonio era nau-
fragato.
Antonia Izzi Rufo ci dà una bella storia,
quella del giovane Oscar, finché l’Io … non
decide (pagg. 36-63), sia pure con esito triste.
Un ragazzo benestante, svogliato negli studi,
fin quando, già adulto, non scopre la sua di-
mensione umana nella passione della chitarra
e raggiunge la fama internazionale incidendo
CD musicali. La fidanzata, o ‘ragazza’, Licia,
riesce a laurearsi in medicina, e a sposarsi,
ma rimane senza figli e assiste con abnega-
zione il marito ammalato fino alla morte. Per
un caso fortuito i due s’incontrano ed un gio-
vane prete, don Mario, fa da tramite per coro-
nare due sogni, uno è il raggiungimento del
diploma che purtroppo il padre novantenne
colpito da demenza non era in grado di ralle-
grarsi, e l’altro è l’unione dei due maturi in-
namorati, che dura poco per sopravvenuta
morte della donna, malata terminale. Brutta
fine, rimane il ricordo e il dialogo con l’ im-
magine di lei al cimitero, fin quando lui esce
dal torpore, esortato da don Mario e dagli
amici del gruppo musicale e così ritrova la
sua ragione di vita. Pregevole è il commento
psico-sociologico: “Il sentimento agisce nell’
ombra e determina le nostre fobie future, le
nostre angosce, i nostri sbagli, la nostra in-
dolenza.” (pag. 38).
In diversi racconti abbiamo considerazioni
sul dramma senile e su chi perde l’autonomia
fisica ed è costretto ad affidarsi agli altri, spe-
cialmente ad estranei, sia pure in strutture at-
trezzate per anziani, dove “Al primo ‘scontro
casuale’, scoppia la ‘sopportazione repres-
sa’…” (pag. 64). Oppure riscontriamo le
preoccupazioni da parte di una anziana signo-
ra che riguardano il futuro dei nipoti, laureati
o diplomati, è difficile trovare un lavoro. Od
anche una nonna che sprona Marco, giovane
sano e forte, colpito dal morbo di Crohn, che
infine riesce a dare un senso alla vita dedi-
candosi a dipingere, così che gli “sgorbi” lo
fanno uscire dall’apatia, lo “spleen” di cui
parlava Baudelaire. Il pellegrinaggio di Rosa,
a San Giovanni Rotondo per invocare da Pa-
dre Pio, la fine dei dolori del figlio Ivan gra-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.39
vemente ammalato; ma al suo rientro il figlio
si lancia da un ponte mettendo fine al suo
supplizio, mentre la donna si scaglia contro il
Santo. L’Autrice commenta: “Forse la don-
na, nell’inconscio, aveva realmente pregato il
Santo di far morire Ivan piuttosto che co-
stringerlo a sopportare un male irreversibile
che evolveva sempre più.” (pag. 81).
Antonia Izzi Rufo ne La casa di mio nonno,
riferisce che al tempo della seconda guerra,
nel 1943, aveva dieci anni; allora i tedeschi
facevano rastrellamenti per la manodopera e
per le derrate alimentari specialmente nelle
campagne. E queste due evenienze erano ac-
cadute a un giovane, Lucio, il quale dopo vari
mesi riesce a scappare, affamato, come pos-
siamo immaginare, e le sue condizioni peg-
giorano perché durante il rientro, per un caso
fortuito si immerse nelle acque gelide per sal-
vare un vecchio amico, Peppino, che non sa-
peva nuotare. Il suo precario stato di salute,
non migliora, nonostante le cure prodigate a
casa da una infermiera, Angelina, che se ne
era innamorata. Quando Lucio muore la gio-
vane ha voluto realizzare una scia di confetti
azzurri come il cielo per tutto l’ultimo tratto
terreno del giovane ventiduenne, spendendo il
suo patrimonio.
Alcune vicende mi fanno commentare che
non bastano millenni di progresso per rag-
giungere una convivenza veramente civile.
Penso che una nota prevalente riguardi la so-
litudine, conseguenza del bisogno d’affetto
che si riversa, per esempio, sugli animali co-
me sulla cagnolina Rosy, sulla gattina Cleo-
patra e sulla capretta Argentine nella quale
Valentino cerca compagnia; a volte si soppe-
risce con una fiaba come quella che fa sogna-
re Lilla. A volte si realizza un sogno d’amore
come quello di Maria per Eros, con famiglia e
figli, e una buona posizione sociale; ma tutto
ciò non basta e dopo espedienti per combatte-
re la solitudine trova compagnia nella nipote.
In questa raccolta, mi sembra che tutti i gran-
di amori, finiscono male: il mondo va alla ro-
vescia.
Tito Cauchi ANTONIA IZZI RUFO - La casa di mio nonno, Il Convivio Editore, 2016, Pagg. 144, € 13,50
LA SOLUZIONE
Dove chiunque
in qualche modo
può essere aiutato
e può aiutare...
eppoi ritorna la quiete
l' attività e l' amicizia.
Dove ognuno riabilita
la propria abilità
di essere fare ed avere
solvendo quel problema
o quella domanda posta.
Dove ogni persona
può conoscere Sé Stesso
ritrovando la propria
comprensione
sfera d' azione
e Liberazione
ed ogni Religione
l' amor delle persone.
Scientology È La Soluzione.
Michele Di Candia Inghilterra
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
19/6/2016
Da Roma a Torino
Raggi Appendino*:
due belle signore
spadaccine in fiore
colpito han di fino!
Domenico Defelice * Virginia Raggi e Chiara Appendino elette a
sindaco della capitale di oggi e di quella di ieri.
Alleluia! Alleluia!
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.40
LA POESIA DI
DOMENICO DEFELICE
HA UNA FUNZIONE
DI CATARSI E
DI RIGENERAZIONE (Un bel libro di
Claudia Trimarchi sul poeta calabrese di Pomezia)
di Luigi De Rosa
pagina 25 del suo bel Saggio sull'o-
pera poetica di Defelice, uscito nel
marzo 2016 (per i tipi de Il Convivio
Editore, direzione di Giuseppe Manitta)
Claudia Trimarchi, che con lo stesso, ma in
forma di tesi, si è laureata in Lettere – nel di-
cembre 2015 – all'Università di Roma-Tor
Vergata (con l'esimio prof. Carmine Chiodo
come Relatore), si legge:
“ Accade che il Defelice giornalista, accorto
osservatore del mondo contemporaneo, in-
contri il Defelice poeta, il quale non si ferma
alla realtà visibile ma attraverso l'incantesi-
mo dell'Arte, la trasfigura, evocando ciò che
della realtà è interpretabile solo poeticamen-
te: “A noi, che amiamo la poesia e ne faccia-
mo pane di vita...ogni cosa ha un altro volto
sconosciuto alla realtà di ogni giorno... anche
una ruvida pietra, se sfiorata dal soffio di un
animo arcano, può acquistare la bellezza del
sogno...”
Guardando il
panorama
dell'opera de-
feliciana
dall'alto della
Torre del
Tempo Tra-
scorso, ci ac-
corgiamo che
c'è un Defelice
poeta di zuc-
chero, poeta d'
amore (dolce
come il famoso Stil Novo) per la Donna e per
la Natura, e c'è un Defelice poeta di assenzio
e di spada che satireggia aspramente su per-
sonaggi e situazioni che offendono l'onestà e
la giustizia; c'è un Defelice paladino dei buo-
ni e degli onesti e c'è un Defelice guerriero
implacabile, che lotta con la penna e con la
propria vita concreta contro la corruzione e le
mafie.
In una fin troppo rapida sintesi si può indi-
care, nella vasta opera letteraria del Defelice
(un calabrese di Anoia, nel reggino) trapianta-
to dal 1964 a Roma e dal 1970 a Pomezia)
una prima fase di ricerca, in cui i contenuti
vengono espressi con forme che ancora risen-
tono della grande poesia classica; seguita da
un'ulteriore fase, che, ripudiando l'Ermeti-
smo, si avvicina significativamente al Reali-
smo Lirico di Aldo Capasso; per poi giungere
infine, negli anni della maturità artistica, ad
una forma più smagata e pensosa sul versante
della poesia dei buoni sentimenti, e ad una
poesia civile infiammata, di satira mista a pa-
rodia, o addirittura colpi di scherno, per quan-
to pietosi perché consapevoli della pochezza
umana a fronte della maestà dell'eterno. Resta
il fatto che la poesia di Domenico Defelice,
vista e assaporata nella prospettiva di una vita
spesa per la letteratura e le arti figurative, ap-
pare per quella che è, cioè la espressione, sin-
cera e pura, di un poeta ed artista genuino ed
autentico che si è fatto da sé tra mille sacrifi-
ci, aperto al contributo letterario di chiunque
purché sia valido e in buona fede; lontano,
comunque, da qualsiasi confraternita lettera-
ria che sia delimitante e condizionante.
Trovo bellissimi quei due “esergo” firmati
da Defelice stesso sul carattere ardente della
propria poesia della maturità artistico- lettera-
ria:
“Chi crede che nell'orto del poeta crescano
erbe rare, fiori variopinti, alberi tropicali:
chi crede che vi scorrano acque fresche e vi
cantino uccelli, non conosce il poeta. Nell'or-
to del poeta crescono spine, fiori avvelenati e
gli alberi proiettano ombre inquiete: nell'orto
del poeta scorre il sangue della gente affama-
ta e l'unica voce è l'urlo della rivolta.”
A
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.41
“Ora i miei versi e la mia prosa bruciano.
Nel mio orto non conto le nuvole e non ci so-
no tettoie. Il sole screpola i crani, nel mio or-
to, e i veleni d'intorno convergono impetuosi
nella mia penna.”
Defelice ha lavorato con perseveranza e te-
nacia per una vita intera, anche fondando e
dirigendo, fin dal 1973, tra mille difficoltà, la
rivista “Pomezia-Notizie”, efficace strumento
riconosciuto di elaborazione e diffusione del-
la cultura, forse “modesto” nella forma este-
riore ma oltremodo prezioso e insostituibile
nella sua funzione di valorizzazione della
Letteratura e dell'Arte.
E tutto ciò con l'umiltà e la consapevolezza
dei poeti veramente grandi, senza assumere
atteggiamenti tanto spocchiosi quanto fasulli.
Egli ha messo la propria vena poetica e arti-
stica al servizio di una missione civile e cultu-
rale sempre permeata di onestà e di aspira-
zione tenace alla giustizia (sostanziale, non
formale).
E c'è riuscito. Attraverso gli anni non gli
sono mancati i riconoscimenti – anche da par-
te di critici di grande valore, non legati a car-
rozzoni fasulli al servizio di mode ed interessi
formalmente letterari ma sostanzialmente
centri di potere.
Uno di questi riconoscimenti gli proviene
dal prof. Carmine Chiodo, Docente all'Uni-
versità di Roma-Tor Vergata, giustamente de-
finito da Giuseppe Manitta, nella sua centrata
Prefazione al volume della Trimarchi, “un
critico che ha preferito sempre fare “ricer-
ca” lungo territori più o meno noti della no-
stra letteratura, a partire dalle origini fino ai
giorni nostri.”
Nelle 132 pagine del suo agile ma nutrito
volume, contenente, come detto, la propria
tesi di laurea, Claudia Trimarchi ha sintetiz-
zato, con abilità e sensibilità, l'Ortus (senza
acca, nel senso latino di nascita, origini, vita)
di Domenico Defelice. Ha individuato e lu-
meggiato i “Motivi lirici ricorrenti nella poe-
sia defeliciana”, tra autobiografia ed univer-
salismo. Ha illustrato con efficacia ed acume
la “Questione meridionale” e la funzione del-
la parola poetica “al servizio di un'urgenza
sociale”. Infine, dentro l' Hortus, ha dedicato
la conclusione del suo lavoro ai parallelismi
tra l'opera poetica di Defelice e l'opera pitto-
rica di Gazzetti, Scutellà e Mallai. Per lungo
tempo, e con ardente passione, Defelice è
“andato per quadri”, frequentando e studian-
do pittori i cui dipinti hanno avuto un'influen-
za non secondaria sulle sue poesie.
L'opera si conclude con una utilissima Bi-
bliografia dello scrittore e artista Defelice
(Poesia, Prosa, Saggistica, Articoli) nonché
con una Bibliografia su di lui, altrettanto uti-
le, per conoscere quanto hanno scritto altri
Autori sulle sue opere.
Luigi De Rosa Claudia Trimarchi -La funzione catartica e ri-
generatrice della poesia di Domenico Defelice –
Il Convivio Editore – pagg. 133 – € 13
ANNIVERSARIO
Sedevamo in silenzio sotto il platano
grande del parco a primavera. Il cielo
ornavano le nubi del tramonto.
Era l'ora suasiva, quando lieve
si fa la luce e sfrecciano i rondoni,
in un crescendo di gioiose strida,
gli ultimi voli.
Io pensavo: ecco, un'altra
stagione si consuma e non so quante
te ne serba la vita che già imbianca
il tuo capo e da te fugge.
Il tuo occhio
inquieto si volgeva a contemplare
le obliose apparenze, quasi coglierle
tutte volesse in un estremo abbraccio
dell'anima protesa a possederle,
innanzi della tenebra che incontro
fitta e veloce ti correva. In cuore
sentivo un peso ed un'oscura pena.
Trascorso è un anno. Oggi mi pare lieta
quell'ora che sentii triste. Ormai brucia
senza di te la festa della sera.
Elio Andriuoli Napoli
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.42
LEGGENDO POESIE DI
NAZARIO PARDINI di Aurora De Luca
l suo continuo ardire e di-
scoprire,/il suo coraggio
eterno di sfidare/il mare
nero, lo scoglio e le sirene,/ quella pazzia di
un fuoco che ci fa/scintilla degli dèi, im-
pronta del divino,/bocci di libertà” (da Il vo-
lo di Icaro). È la poetica del tempo imper-
fetto, il canto lirico del passato in divenire,
brumoso, opaco, il verbo di una velata ma-
linconia, dell’azione che faceva ed ancora
fa. Il primo testo, “Il volo di Icaro”, ha la
maestosità ritmica della poesia epica, ed è
forse, per mio modo d’intendere, la vela
spiegata dell’intera raccolta: la giovinezza
dell’uomo è arditezza e follia, un “volo
troppo arduo” che ci sperde in “cieli fra le
stelle”. Segue ad essa “Elegia per Lidia”,
cos’altro se non il sentimento? Si apre così
già il tempo imperfetto “ed oltre i davanzali
le tue mani/coglievano gli steli delle stelle.”,
l’azione che si perpetua dietro le spalle.
Quasi a dire la rapidità del tempo, un volo
per l’appunto, una vista di bellezza dall’alto,
un balzo d’onnipotenza durante il quale la
corporeità è pari all’invincibilità dell’anima.
Subito dopo il tempo imperfetto. E iniziamo
a parlare chiudendo gli occhi, aprendo buchi
da cui tirare fuori emozioni più forti, imma-
gini più vivide che promettano al futuro
“avelli riempiti di colori” dove “danzeranno
beate le fiammelle,/ linguiformi falò, apri-
ranno i cieli”. Che ad un tempo imperfetto si
accosti un tempo futuro è immagine poetica,
di ciclo, di superamento del limite. I testi
che seguono si fanno pieni di belle immagi-
ni, di fragranze, di suoni, di echi che ribat-
tono, di schiamazzi e scalpiccii “E pensare,
ricordi?, che riuscivo/ a silurare il cielo colle
pietre/convinto di bucare anche le nubi”.
Belli gli enjambement che lasciano al verso
ancor più visioni: quel “riuscivo” gonfia la
chiusa dell’intera poesia e le dà il peso degli
anni. “L’albero gemma. Inflorescenze can-
dide/ si aggrapperanno ai rami come figli/ ai
seni delle madri. L’aria si apre […] Ritorna-
to/ sono per rivedere il primo verde [...] La
cimasa/ si fletteva ai garriti delle rondini”: il
poeta ritorna e ritorna a Primavera, quando
l’aria si apre. Presente, Imperfetto e Futuro
giocano e tessono con fili sottili, e non c’è
più freno, il tempo dissolto vaga. Le sonori-
tà si fanno rotonde, l’andamento si dilata, le
immagini rievocano. Possiamo ben sentire il
suono degli zufoli e leggere nella mente i
propositi segreti della classe: siamo anche
noi dissolti nel tempo, abbiamo alle spalle le
ali di Icaro, canne alle golene e “Davanti
[...] c’è un guado,/ un guado che riporta/
quest’uomo ormai attempato/ all’altra spon-
da”. Ma se tutto sembra navigare in cose che
non hanno più presenza, che non sono più,
ecco che “Il peso delle pietre” ci fa riaprire
gli occhi: “E ci portiamo dietro questo peso/
di pietre graffite da nomi/ di padri e di ma-
dri/ volati all’azzurro/[…] Lo porterò con
me oltre quel fiume/ quel sacco di pietre ag-
grappato alle spalle, / lo renderò leggero, lo
renderò una piuma […]” Il poeta torna ad
inneggiare ad Icaro, alle sue ali, cui però
pone il peso di un’intera vita, e all’audacia
giovanile accompagna sogni maturi, visioni
di completezza: “Mi è nemica/ la mancanza
di forza e di energia/ che l’anima possiede e
se ne invola/ lasciando attero a terra/ l’invo-
lucro che più ormai ne è vela”. Il ritmo poe-
tico si è fatto sincopato, non rapido, né ap-
puntito, quasi a seguire il battito più forte di
un cuore vivo. In particolare “Il peso delle
pietre” e “Volerei felice fra le reste” (da cui
ho tratto i versi precedenti) hanno l’ anda-
mento di una canzone commista di violini e
bassi, ma rap. Il tutto si chiude con “Fiume”
e una domanda : “Lo sai tu dove corri?”, l’
idea tanto umana che la conoscenza difetta,
e l’idea tanto divina che la conoscenza rende
immortali.
Aurora De Luca
Il volo di Icaro
Attratto dai richiami del meriggio
[…] i
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.43
volò alto,
alto volò toccando cime immense,
azzardi che gli umani
cercano con l’anima e la mente;
ma ci si può bruciare
se il volo è troppo arduo,
si annullano in abissi senza fine
le nostre identità;
sperderci oltre la siepe,
o in cieli fra le stelle
è un naufragio per la nostra essenza.
E tu Icaro,
privo di remeggi, a braccia nude,
senza appigli,
brancolasti in vertigini d’azzurro
quando l’astro di vita e di morte
ti rammollì la cera.
Cadevi impaurito,
risucchiato:
“padre, tu che mi hai dato il volo,
aiuta questo figlio, dagli l’ali,
che il cielo non mi regge
ed io sprofondo incauto negli abissi.
Padre, io sono qui,
corrimi incontro, arresta il mio naufragio,
tu puoi, con il tuo amore
e il tuo superbo ingegno”.
“Icaro, Icaro dove sei?
dove giace mio figlio eterni dèi?
Ditemi alfine! Ch’io sappia almeno
ove cercare; carne della mia,
figlio imprudente, dove il volo tuo
lontano dai miei occhi. Cosa fare?
che cosa potrà fare questo padre?”
Ma d’Icaro la bocca
fu chiusa dalle onde di quei pelaghi.
E quando il genitore
scorse le vane piume
sparse sull’acque a sfiorare gli scogli,
non poté che ergere un sepolcro
in terra d’Icaria.
Maledì la sua arte ed il destino,
gli azzardi degli umani, le imprese folli,
la violenza del cielo, il regno del sole,
maledì quella natura umana,
il suo continuo ardire e discoprire,
il suo coraggio eterno di sfidare
il mare nero, lo scoglio e le sirene,
quella pazzia di un fuoco che ci fa
scintilla degli dèi, impronta del divino,
bocci di libertà.
Elegia per Lidia
Ritornerai tra gli alberi e sui campi
quando l’autunno
lacrime d’ambra
gocciola a terra,
fiore di stagione.
Brillava di passione
l’occhio cielo
ed oltre i davanzali le tue mani
coglievano gli steli delle stelle.
Quando il profumo volerà per terra
(che sepolta ti tenne
per mill’anni)
ritorneranno i fiori inebrianti
di giovani corolle ricamati.
Tingeranno caverne, forre e prati,
vinceranno l’odore della morte.
Lontano sarà il giorno dell’addio
ed il viola dei tappeti al muro
che tennero la bara del tuo rosa
trapunterà di vita la campagna.
L’assenzio spargeranno nelle stanze
che videro i tuoi crini
sciolti a caso
fiori rinati
che più sul nostro suolo noi vedemmo.
Si apriranno gli avelli
e fauni belli amanti dell’amore
suoneranno negli incavi nascosti
flauti imprestati
dagli angeli dei cieli.
Non ci saranno veli
a coprire l’innocenza.
Squilleranno le trombe i Serafini
ed ai confini dei mari
compagnia ci faranno le bellezze
che le brezze mortali di nascosto
rapirono le notti
negli abissi.
Fissi negli occhi i giorni leggeremo
di quando si correva
sopra i sogni
stanchi giammai di abbracci e di carezze.
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.44
Sui colli danzeremo,
sopra le acque
al tinnire frequente
che mai tacque
l’aria imbevuta
dei nostri desideri.
E attorno ai cimiteri anime bianche
sugli avelli riempiti di colori
al canto degli uccelli variopinti
danzeranno beate e le fiammelle,
linguiformi falò, apriranno i cieli.
Lo stradone di scuola
Sono i solchi carrabili sbilenchi
che incidono il tuo corso anche se pieni
delle spoglie giallastre del settembre.
Lo stradone di scuola. Eppure perdi
le verdi scaglie come un serpe obliquo
in cuore alla campagna e mi dilati
i cigli luccicanti di rugiada
per rivestirmi il seno del fruscio
della carta di un libro. Mormorava,
con la voce un po' rauca dei suoi righi,
parole che levavano lo sguardo
sul volto del maestro. Sempre primo
con la bici coperta di fanghiglia
e i gancetti alle balze, mi rapiva
da quello scantinato padronale
che gocciolava sogni sopra il banco.
Giungevo infreddolito, ma la porta
chiudeva fuori sguardi sulle zolle
verdeggianti di aprili anche a dicembre.
Che lanciavamo sassi ti ricordi?
Erano così veloci che anche i falchi
restavano di stucco nel sentirli
sibilare nell’aria. Si sperdevano
e ancora non li ho visti ricadere.
Senz’altro hanno percorso un bel tragitto
se dura più del tempo di una vita.
Bella gara. Presa proprio di petto.
Depredavamo i pioppi di forcelle
per fionde che affondavano radici
nel terriccio dell’anima. Mi provo,
quando nessuno vede, ad impugnare
un cimelio di fionda. Da un tuo ciglio
miro dritto alle cime e scaglio il sasso,
ma guardo attorno e quasi mi vergogno
per come vola basso e poi ricade.
E pensare, ricordi?, che riuscivo
a silurare il cielo colle pietre
convinto di bucare anche le nubi.
Sera di casa mia
L’albero gemma. Inflorescenze candide
si aggrapperanno ai rami come i figli
ai seni delle madri. L’aria si apre
chiara nel cielo. Sfioriranno i gigli.
I narcisi sui prati e sopra i fulgidi
balconi di paese. Ritornato
sono per rivedere il primo verde
che evade con il raggio del mio prato
il fumido maggese. Nelle ataviche
gesta dei paesani o nei cortili
dai cimoli macchiati che si affacciano
alle crepe dei muri, degli aprili
voglio vedere il volto e respirare
l’aria buona di casa. Ascolterò
i primi piedi scalzi di un bambino
nella strada sterrata tra i rondò
dei cipressi giganti. Là i verdoni
covavano già le uova per le estati.
E i passi di mio padre ammorbiditi
dai tappeti terragni ormai sbocciati
alla vita novella. Sarà là
che poi mi recherò coi miei amici
sui rami debordanti
dei ciliegi maturi. Alle pendici
correremo in peduli per sfidare
la corsa della vita ove una casa
attendeva alla sera il mio ritorno
con guance affaticate. La cimasa
si fletteva ai garriti delle rondini
puntuali agli aprili ed io gridavo
litigioso con te fratello mio
paziente per la luce che spegnevo.
Non sarà più la sera che calante
annuncia solo un giorno che va via
coi suoi colori vecchi. Declinante
il segno non sarà della mia vita
volta a rammemorare. Alla natura
riaprire le finestre di un ostello
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.45
non varrà che annunciare alle mie mura
colori di serate ritrovate.
Non chiedermi perché
Non chiedermi perché sono venuto
a trovarti di nuovo. Sarà forse
perché qualcosa provo
ancora dentro me.
Sai!, non è molto che pensavo
all’ultimo saluto. Ti ricordi?
Era sul mare, il cielo cinerino
di un settembre un po’ stanco accompagnava
un melanconico addio. Eppure
io non credevo che un lungo patrimonio
potesse rivelarsi così fragile
come la bruma pallida d’autunno.
Il cielo si rompeva ad occidente
e il sole grosso e fervido, alla sera
di quel giorno impossibile, tingeva
il tuo volto diverso. Mi ero sperso.
Non ritrovavo più la strada amica,
la strada di una vita. Sono qui.
Non chiedermi perché. Sono venuto!
Ho ancora dentro l’anima
il sole di una sera,
il mare quasi calmo, un volto stanco,
e una bàttima lenta a misurare
un tempo troppo pigro per chi soffre.
Sarà forse l’amore. Chi lo sa.
Eppure c’è qualcosa che ha guidato
quest’animo rigonfio di ricordi
tra i fiordi del passato. Ma non chiedermi
di più. Accetta un mio saluto. E vado.
Davanti a me c’è un guado,
un guado che riporta
quest’uomo ormai attempato
all’altra sponda.
Il peso delle pietre
E ci portiamo dietro questo peso
di pietre graffite da nomi
di padri e di madri
volati all’azzurro.
Di pezzi di muro
tatuati da dita intrecciate di sogni
per dire: “Ti amo.”
Di gerle di sere
d’incontri d’amore
corrose da acide piogge di tempo.
Di sguardi di lava volati nel cielo
e tornati a pesare.
E di forza rocciosa
sgretolata da ore, da giorni
in pese parole
restate nell’animo
e poi andate a sostare.
Lo porterò con me oltre quel fiume
quel sacco di pietre aggrappato alle spalle.
Lo renderò leggero,
lo renderò una piuma,
per fargli guadare quel fiume,
per farlo volare.
L’abbraccerò con tutto il suo sapore
di terra coltrata, di verde di mare,
di luce di sole, di perse parole
per non farlo morire.
Il fiume
(…)
Ti perderai tra poco nel clangore
dell’irruente mare, ed il tuo salice
ti guarderà sparire. Non t’inganni
il profumo allettante; presto vane
saranno quelle immagini di sponde
in spazi senza fine. (…).
Avresti mai pensato, al rampollare
bisbigliante dei gorghi tra le fresche
chiazze sorgive di finire amara-
mente dentro voragini sì avare?
Nazario Pardini
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.46
CHE COSA INTENDO
PER POESIA di Nicola Lo Bianco
A cosa nasce che la poesia antica,
greca e latina, ha un linguaggio sem-
plice, accessibile, immediatamente
comprensibile, pur nella profondità e nell’ al-
tissimo esito poetico?.
Mi domando: si può ritornare a questa sem-
plicità? E come? Sotto quali forme?
La letteratura in genere, pur con esiti di alto
valore poetico, rimane ancora lontana e chiu-
sa in se stessa, cioè prerogativa dei letterati e
dei cultori, e come tale viene percepita in ge-
nere dal popolo, voglio dire dalla comunità
civile nel suo insieme, cioè come qualcosa di
estraneo, che non gli appartiene, perché i suoi
strumenti e l’uso di questi strumenti, anche se
gli argomenti sono ad esso pertinenti, non so-
no i suoi e sono lontani dalla sua sensibilità
ed esperienza.
La ricerca, per ridare alla poesia funzione
civile ed attendibilità presso la società civile
è, secondo me, quella che accorcia la distanza
nell’uso del linguaggio, oltreché nella scelta
delle tematiche.
Il modo dei cantastorie credo sia quello che
può rinnovare questo “patto” tra poesia e so-
cietà civile: e perciò il modo della narrazione
con cadenza recitativa, ritmica, dove gli ele-
menti prosodici interni alla narrazione siano
ben strutturati ed evidenziati.
Lo stile e il linguaggio non possono essere
che il parlato, la strutturazione quella dell’
oralità còlta nel suo procedere, al di là o al di
qua degli schemi grammaticali, normativi
propri della scrittura in prosa.
Intendo la poesia come Rapsodia, come il
canto del rapsodo, del cantore popolare, come
voce di un racconto corale, analoga all’ im-
personalità verghiana, ma fuori degli schemi
descrittivi propri del romanzo.
Non, quindi, un romanzo in prosa, ma un
racconto poematico o frammenti di un poema
in prosa.
La rima non va cercata, è intrinseca al detta-
to poetico, spontanea, si colloca da sola dove
vuole, è più assonanza risonanza, eco, suono
che si specchia, che non sillabario preconfe-
zionato, il che non esclude che la rima ci pos-
sa anche essere, ma trovata da sé, involonta-
ria.
Non propriamente la rima, ma il ritmo, la
clausola, l’andamento musicale.
I protagonisti di questa poesia rapsodica
non possono che essere gli esclusi, gli emar-
ginati, gli scartati, i barboni, i ”mutoli”, i “pa-
ria”, lì dove c’è ancora un forte senso della
vita combattuta a mani nude, col corpo e con
la mente, dove si deve pensare alla sopravvi-
venza, con la tentazione del suicidio, con la
morte fisica o morale: la bellezza risiede
nell’autenticità, al di fuori del “mercato”. So-
no “belli” perciò i derelitti, i clandestini, i car-
toneros, gli intoccabili, i solitari, gli eremiti, i
monaci, le monache di clausura, il perdente
che ritrova se stesso.
Dice il mio amico poeta drammaturgo
Franco Scaldati, purtroppo scomparso, "La
bellezza è dei vinti. Il futuro non è dei vin-
citori, è di coloro che sono in grado di vive-
re” La poesia è nelle cose, esiste a prescindere,
non è una creazione singolare, individuale, è
semplicemente una scoperta, una rinascita, un
portare alla luce quell’elemento: il problema
è sentire e guardare per scoprire, tutti possono
percepire, tutti possono scoprirsi poeti nel
senso della scoperta.
E, perciò, non è necessario un linguaggio
particolare, “il linguaggio poetico”, ma il lin-
guaggio quotidiano, parlato, trovato ovunque
ci siano uomini che parlano, il linguaggio è
loro, sono loro i poeti, solo che non se ne ac-
corgono, non se ne rendono conto. Ascoltia-
mo, parliamo, ma non percepiamo, non ritor-
niamo a riflettere su quello che ascoltiamo o
diciamo: è come se lasciassimo perdere, se
abbandonassimo lungo la strada, quel mare di
poesia che è intrinseco al parlare.
Quello che si dice poeta, scopre questa poe-
sia, questo linguaggio poetico, lo pone in evi-
denza, lo organizza per addensarne il signifi-
cato e lo stato d’animo.
D
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.47
Tutto l’apparato retorico che in genere ac-
compagna la comunicazione poetica o non
c’è, o anch’esso è intrinseco a quel linguag-
gio spontaneo.
In questo senso non c’è ricerca della figura
retorica, ecc., ma piuttosto della prosodia,
cioè di tutto ciò che scaturisce dall’uso spon-
taneo del linguaggio che contiene movenze
gestualità atmosfera tonalità, colore, ecc. che
ricreano l’immagine così come è nata, il
frammento di realtà così come s’è presentato,
così come è stato percepito da chi osserva, la-
sciandolo nella sua spontaneità, nel racconto
dei presenti o del narratore o di quanto e co-
me se ne dice.
E’ dal modo di dire, di pronunciare, di
scandire la parola, la frase o il periodo che si
danno un di più di informazioni, così come
avviene nella recitazione teatrale o nell’
ascolto dal vivo del narratore o dell’ interlo-
cutore, il quale, come il cantastorie, aggiunge
molto alla parola con il gesto, l’ intonazione,
il silenzio, la mimica facciale.
La letteratura descrittiva non credo che ab-
bia futuro: il di più letterario non è più. La
letteratura non può essere data dalla sovrap-
posizione della parola o della lingua alla real-
tà, sarebbe una letteratura solo per la casta dei
letterati.
Il mio scopo è quello di rendere partecipi
tutti, tutti gli strati sociali, alla poesia, alla sua
comprensione ed accettazione nell’ambito del
circuito culturale.
E’ la direzione dell’oralità, ma quale orali-
tà?
L’andamento prosodico della scrittura deve
ricreare l’ambiente, la situazione, l’ora, il
paesaggio, ecc.
Tutto questo non deve essere descritto, ma
fatto immaginare indirettamente.
La descrizione è una sovrapposizione, un
punto di vista, una scelta di immagini e pie-
ghe narrative propri di un’altra cultura, un al-
tro modo di guardare e sentire la vita o l’ ac-
caduto, una curiosità umana e letteraria, inte-
ressante, ma distaccata, non emotivamente
coinvolta e coinvolgente.
In “Centanni di solitudine.”, la narrazione,
anche se in terza persona è poematica, si di-
pana come linguaggio e punto di vista ed
immagini, emersi dalla collettività, o da chi si
presume presente e protagonista.
Insomma, l’intenzione nella mia poesia è
quella di eliminare quanto più possibile lo
scarto tra parola e cosa: come se il lettore
stesse assistendo di presenza a quanto accade,
con tutto ciò che questo significa in termini di
ricreazione delle percezioni sensitive indiret-
te, una sinestesia dettata dal risvolto prosodi-
co della scrittura, non una organizzata “fin-
zione”, ma “funzione”.
La poesia con un frammento di realtà dice
molto, moltissimo di ciò che potrebbe essere
e che non è; è un’aspirazione, un sogno, un
desiderio, una ricerca di innocenza, di un al-
tro modo di essere contro la realtà presente,
chiama in causa indirettamente la coscienza,
ciò che nell’affanno del vivere quotidiano
scompare, non ha la forza di realizzarsi. Il
bello è un frammento della vita in posizione
statica, di quiete, che non ha possibilità di es-
sere altro da se stesso. Anche una formula
matematica o fisica che fissa una legge uni-
versale è bella.
Nicola Lo Bianco
UNDERSCORE
Vanno contraendosi
parole
per ke_
tempo non basta +
X cose da fare:
nella sostanza 0_
optima res
per vincere l’isolamento;
cmq vada_
se appari
sei +
dell’essere
e non vai
mai
in stand-by_
Salvatore D’Ambrosio Caserta
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.48
Il Racconto
A MIO PADRE di Anna Vincitorio
A casa era silenziosa. Piena di mobili,
di oggetti. Ancora permeata d’ invisi-
bili presenze. Passavo da sola lunghi
pomeriggi nell’ultimo tepore del tardo autun-
no. Ricercare, selezionare, cosa conservare.
In uno degli armadi Biedermeier dell’ ingres-
so che s’imponevano nella penombra col loro
antico splendore, ho trovato una scatola rossa
e un pacchetto legato con nastri azzurri. La
scatola era piena di antiche foto, alcune a me
sconosciute di personaggi lontani nel tempo,
altre che avidamente prendevo tra le mani per
ricostruirne il percorso. Ti ho ritrovato, padre,
bambino col berretto con su scritto Andrea
Doria, il viso serio, lo sguardo intenso. Chissà
cosa osservavi. Tanti racconti mi tornavano
alla mente legati alla tua infanzia di discolo.
Una volta rovesciasti una damigiana di rosso
di Puglia sul corredo di tua madre e fuggisti,
agile, inseguito da tuo padre infuriato che ti
scagliava dietro una forma di pane. Il tuo ri-
fugio, quando potevi, erano i nonni. Ma so-
prattutto lei, la nonna che ti serrava tra le
braccia e ti portava a spasso negli aranceti di
famiglia a Rodi Garganico. Amavi nascon-
derti dietro le alte persiane e le porte finestre
per riapparire dopo lunghi richiami, con
enormi baffi di marmellata. Nessuno mi di-
sturba e i miei occhi e le mani vagano tra tut-
te quelle foto; ora ti osservo, giovanotto ele-
gantemente vestito, con un completo spezza-
to, una paglia con gros grein, il viso compun-
to e l’aria a dandy. Tenera la dedica: “A mia
nonna venerandola”. Lasciasti la tua Puglia
per studiare a Napoli. Vivevi presso una ve-
dova e so che alle volte, preso dalla fame,
prendevi dal tegame che bolliva, mestolate di
fagioli che servivano parzialmente a saziarti.
Pazienza se il tegame continuava a bollire
semivuoto. Amavi andare alle aste e ti sof-
fermavi su antiche tazze, vasellame di pregio.
Eri dotato di senso estetico, ammiravi il bello;
arrotondavi le tue entrate facendo la compar-
sa al San Carlo con la tua splendida voce di
baritono. Ti sentivi vicino anche ai poeti ma
nei tuoi occhi verde azzurro brillava la luce
dell’avventura, della irrequietezza.
A quei tempi si amava la patria, gli ideali, l’
odio per il nemico e tu partisti, ragazzo del
’99 per la guerra. Battesimo del fuoco a di-
ciotto anni. Scontri alla baionetta, canti pa-
triottici e, nelle pause, sempre affamato, finivi
le scorte di cibo. Un obice ti colpì schiaccian-
doti il polmone che lese il tuo cuore. Ma tutto
questo non ti fermò. Proseguivi il tuo cammi-
no studiando e lavorando. Ogni lavoro ti
coinvolgeva all’inizio, poi l’ entusiasmo sce-
mava e tu ne provavi un altro arricchendoti di
nuove esperienze. Adesso guardo due foto
della mamma da te gelosamente conservate;
una di lei a sedici anni col viso puro e perfetto
nella sua giovinezza e l’ altro di lei donna col
sorriso malioso da te vista presso una contes-
sa napoletana, amica di famiglia. Ti rapì quel
sorriso a labbra dischiuse, quel ricciolo ca-
priccioso sulla fronte. Riuscisti, data l’ amici-
zia, ad avere l’ indirizzo. Taranto, Via Fede-
rico di Palma, 129 e giunse una tua lettera al
mio nonno. Per te quell’incontro fu un punto
fermo voluto dal destino. Adesso apro il pac-
chetto dai fiocchi azzurri. Ci sono tante lettere
con le buste ingiallite dal tempo, una sopra l’
altra. Se sono lì ed io le ho trovate forse è
giusto anche che le legga; potrò in esse scor-
rere la tua vita, quella di mia madre, molto
prima della mia venuta al mondo. Nelle lette-
re prendono corpo, emozioni, speranze, dolo-
re. “Napoli, 8 aprile 1934: Pina mia, creatura
adorabile, infinitamente cara; sorriso di pri-
mavera sfolgorante di luce, corolla che si
schiude al tepore dei primi raggi della vita;
olezzo, profumo soave, inebriante d’amore
intenso e sanato; tale sei per me. Così ti ho
desiderato, come ti voglio: vita della mia vita,
faro luminoso del mio pensiero, meta di tutte
le mie mete. Ti stringo fortemente al cor mio
nel palpito saturo d’amore infinito e di in-
commensurabile passione che brucia il san-
gue e le vene. Io ti amo quanto non può esse-
L
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.49
re concepito dalla mia stessa mente e tutto
questo è merito della tua infinita bontà, della
tua profonda dolcezza di sentire. Sono queste
tue spirituali doti di sentimento che eccelle
che mi confondono e ti elevano alla dignità
dell’Ideale. Sei il mio orgoglio... Raccolta, in
disparte tu ascolti pensosa e quasi trepidante
questa voce che al cuore t’infonde vieppiù il
sentimento che è tutta la tua passione e, nelle
armonie recondite dell’arcano, volgi le tue
amorose pupille alla fuga luminosa dei tuoi
sogni dorati... Ti sento vicina, respiro l’alito
del tuo amore che mi aleggia d’intorno...
Un’armonia che mi circonda come questa
primavera che: - Brilla nell’aria e per li campi
esulta/si ch’a mirarla intenerisce il core -
(Leopardi) in cui tutte le cose si baciano ri-
create dalla rugiada brillante al sole nascente
dell’aurora candida come l’abito vergineo ed
il velo che indosserai da sposa tutto confuso
col candore della tua anima...”. “Franz mio
tanto caro, ...Spero sempre nel tuo amore. Io
ti voglio tanto, tanto bene e pensarti riempie il
mio cuore di dolcezza. Fra pochi giorni sare-
mo uniti per sempre...” nei racconti di mia
madre la vostra vita a Napoli in Piazza San
Luigi: davanti Marechiaro, dietro la collina.
L’assalto la sera della civetta. Per mamma un
oscuro presagio; poi la perdita del bimbo che
attendeva. Ancora come sospese, padre, le
note della tua voce echeggiavano arie d’ ope-
ra. Nell’ etere ritengo rimangano impressi ac-
cadimenti importanti di ognuno. Il ricordo è
materia tangibile anche sotto il peso degli an-
ni. Tra le carte ritrovate, un po’ strappato e
ingiallito il tuo diario di navigazione. Il tuo
entusiasmo per le novità acuito dalle difficol-
tà del quotidiano ti portarono all’ avventura.
“0,30 - 9 novembre 1936 - in navigazione.
Nessuna preoccupazione per me... e se non
avessi avuto il conforto dell’ esperienza mo-
rale dei compiti di chi è a capo della famiglia,
nessuna altra forza avrebbe determinato la
mia decisione necessaria in questa svolta del-
la mia vita. La famiglia è parte integrante del-
la Patria...” Fu l’inizio di una avventura verso
quell’Africa vagheggiata prima di conoscerla.
In un pulviscolo d’ oro lentamente si dissol-
vevano Castel dell’Ovo, Posillipo, palazzo
Donn’Anna cupo come la leggenda dei suoi
misteri, una parte importante della tua vita,
padre; ma la necessità irrinunciabile di nuovi
spazi, la ricerca di un lavoro diverso tra popo-
li indigeni, quel rullare di tamburi incessante
che ti catturava, i violenti colori di quella
nuova terra ti allontanavano dalla tua sposa
che aveva accettato a cuore stretto il tuo tem-
poraneo addio. Ho letto e riletto il tuo diario.
Guardavi sempre le lancette dell’orologio.
Segnavano un tempo diverso. Nuovi doveri;
la tua vita era impostata all’organizzazione di
un lavoro complesso: Direzione trasporti e
Traffici - Mogadiscio. I tuoi racconti detta-
gliati sullo sbarco; la nave definita mastodon-
tico cetaceo che si ridesta stacco dopo un
lungo sonno e la partenza verso l’Italia nuo-
vamente ma senza di te che hai scelto delibe-
ratamente un diverso destino. Osservo vec-
chie foto in bianco e nero: tu col volto ab-
bronzato, calzoni alla zuava e stivali. Dietro
di te sorridente un’ombra scura. Il tuo giova-
ne attendente che si era affezionato a te. “Tu
stare a me come mio padre e mia madre e di-
fendere da Gim (l’invisibile demonio tenuto
lontano dal ritmico sbattere di due sassi tra le
mani)”. Parlavi sempre del caldo afoso del
giorno e delle notti fredde. Ti era compagna
soltanto una coperta ma mai, così dicevi, una
qualche bella indigena; nei tuoi occhi soltanto
la visione della sposa nella casa solitaria sulla
collina di Posillipo con gli occhi velati di
nebbia e lacrime volti verso il mare che nell’
attesa cresceva a dismisura. Ripensavi a quei
fazzoletti bianchi che, simili a gabbiani, salu-
tavano la nave. Gli occhi dei soldati volti al
porto e alla riviera in dissolvenza, vedevano
sparire a poco a poco un mondo conosciuto
per affrontare quell’ignoto che molti avrebbe
annientato. Ti senti fondamentalmente solo,
avvolto da una moltitudine che non ti appar-
tiene; hai scelto quell’ingaggio per un ipoteti-
co futuro migliore, per le stellette da ufficiale.
Vagheggi luoghi temperati e ti vedi accanto
la sposa protetta da un cappello di paglia che
resiste a quel caldo estraneo ed accetta una
vita completamente diversa alle sue abitudini.
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.50
Sono solo tuoi vagheggiamenti; lei ti è fedele
ma lontana; col ventre in cui sboccia una
nuova vita, ma le tue mani, il tuo viso non ci
sono e nemmeno la tua voce; solo albe e tra-
monti che si ripetono implacabili in quella
grande Napoli che quasi la schiaccia. È timi-
da, impaurita; vede il suo uomo oppresso da
mille pericoli. Teme quel lontano popolo a lei
ignoto, ostile, che l’Italia vuole colonizzare.
Avverte un pericolo indefinito e crescente e l’
insopportabile separazione, da lui. Tutto que-
sto ha cambiato la sua vita. Puntuali si susse-
guono le lettere. Il tempo ha cancellato il pro-
fumo di esotico che le avvolgeva... “Si mani-
festa la possibilità di essere trasferito nella
zona di Addis Abeba dopo la nomina a uffi-
ciale di complemento allo scopo di permet-
termi di espletare il servizio in una zona nuo-
va dove il soggiorno dell’europeo è delizioso
per il clima mite e costante. Molte in Etiopia
le possibilità speculative per iniziare una vita
soddisfacente. Spero che tu comprenderai l’
eventualità di una tua vita futura qui con me
in questa terra che sento di amare per i suoi
soli abbaglianti e per i suoi incandescenti
tramonti. Ti amo con tutta la dedizione della
mia anima; sei il mio Angelo, creatura adora-
bile. Sappi che il tuo cuore amante è fiamma
che non si spegne né per lontananza, né per
morte. Ti bacio e ti desidero incondizionata-
mente; per il bambino che porti in te, scegli
nome di tuo piacimento; sarà la nostra creatu-
ra! Ti bacio e ti desidero incondizionatamen-
te. Il tuo Franz”. “24 giugno 1937. Dopo la
tua ultima con la notizia ferale della morte
della nostra bambina e della precarietà del tuo
stato di salute non ho più pace. Avverto
l’infinità del mare che ci separa e non riesco
più a svolgere il mio lavoro con l’entusiasmo
iniziale; vedo solo il tuo viso, la tua tristezza
acuita dalla mia lontananza... Ti bacio e ti
chiedo perdono per non essere accanto a te.
Tuo Franz”.
Riordino tute le lettere e le fermo nuova-
mente coi nastri azzurri. L’avventura africana
di mio padre si concluse col suo rimpatrio,
causa una grave infezione contratta (ameba e
dengue) che lo colpì. Il mare infinito ora ri-
prendeva una sua dimensione e col volto pal-
lido e scavato vedeva i luoghi da lui amati e
familiari avvicinarsi. L’ancora con un rumore
sordo toccò il fondale. Lo sbarco e l’inizio di
una nuova vita. Dopo anch’io feci parte di
quella nuova realtà e l’affetto che ci unì a
lungo è perdurato, struggente, invisibile an-
che molti anni dopo la tua morte. Ti amerò
sempre e spero che un giorno, non so quando,
mi tenderai la mano.
A mio padre:
Il tempo ha spezzato quelle scale
dove il celeste bagliore si spense
con un grido
fluidi calarono i falchi sul sole
e fu ombra di parole pensate, mai dette
Tu ora non più sembianza ritorni
voce azzurra di dentro e schiudi le mani
al mistero
(da Trama verde sull’aria - Edizioni Hellas
1986)
Anna Vincitorio
Qui sotto: Béatrice Gaudy - Nel cuore se-
greto del bosco.
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.51
I POETI E LA NATURA - 57 -
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
La foglia, e la capra, di
Umberto Saba (1883-1957)
mberto Poli (in arte Umberto Saba)
nacque il 9 marzo 1883 a Trieste,
nella stessa terra di Italo Svevo,
Scipio Slataper, Giani Stuparich. Sarebbe
poi morto di infarto a Gorizia, nella Clinica
San Giusto, nel 1957.
La madre, Felicita Rachele Cohen, era
un'ebrea tutta dedita alle pratiche religiose e
ai piccoli commerci. Il padre, Ugo Edoardo
Poli, era un discendente da una nobile fami-
glia cattolica veneziana.
Quando ebbe il figlio Felicita Cohen, che
nel frattempo era stata abbandonata dal ma-
rito, mise il piccolo Umberto (ebreo perché
di madre ebrea) a balia presso una contadina
slovena, Peppa Sabaz. Il piccolo si affezionò
moltissimo alla balia anche perché questa, a
differenza di sua madre, aveva un tempera-
mento espansivo, allegro, caloroso (e aveva
perso il proprio unico figlio). Il cognome
Saba sarebbe derivato da Sabaz. Secondo al-
tri, invece, deriverebbe dalla parola ebraica
“saba”, che sta ad indicare il pane. Per tutta
l'infanzia il poeta fu tormentato da questo
duplice amore , quello per la madre (che lo
trascurava) e quello per la balia (che lo ado-
rava).
Ma tutta la vita di Saba è marchiata, co-
munque, dalla infelicità esistenziale e dal
dolore di vivere col timore continuo, più che
di morire, di perdere la ricchezza rassicuran-
te dell'affetto della moglie Lina e della fi-
glia.
Chi non ricorda la poesia La foglia, dove
queste idee e queste paure sono espresse
con una efficacissima metafora, tratta dalla
Natura: quella di una foglia caduca, para-
gonata alla precarietà angosciosa della vita
di un uomo? Le linee essenziali della sua
angoscia derivante dai traumi infantili lo
avrebbero poi portato, un giorno, all'incon-
tro illuminante con la Psicanalisi di Sig-
mund Freud.
Io sono come quella foglia – guarda -
sul nudo ramo, che un prodigio ancora
tiene attaccata.
Negami dunque. Non mi sia rattristata
la bella età che a un'ansia ti colora,
e per me a slanci infantili attarda.
Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce.
Morire è nulla: perderti è difficile.
Anche la Natura è permeata dal Dolore.
Anche la vita animale. Si ricordi, solo per un
esempio, la poesia La capra, dove Saba ar-
riva a paragonare la propria situazione esi-
stenziale con quella dell' animale, mansueto
come lui.
In Umberto Saba il sentimento della Natu-
ra ha un carattere spirituale e religioso. C'è
un profondo amore, simile a quello france-
scano, per tutte le creature della Natura, con
U
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.52
le quali il poeta sente un forte legame di af-
finità e di fratellanza. La rappresentazione
del paesaggio è legata alla rievocazione del
passato e di persone care, e altrettanto spes-
so gli elementi naturali assolvono un ruolo
simbolico rispetto alla vita umana.
“ Era sola sul prato, era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell'uguale belato era fraterno
al mio dolore. E io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria
in una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni male,
ogni altra vita.”
La comparazione tra la vita dell'uomo e
quella di un animale è lampante. Prigioniera
l'una (anche se con la pancia piena), prigio-
niero l'altro. Solitaria l'una, solitario l'altro.
Addolorata l'una, addolorato l'altro. Per quel
dolore esistenziale assoluto, quasi indefini-
bile ma reale, di sapore leopardiano, che
permea tutto il mondo dei viventi.
Impressionante, poi, la parola “semita” at-
tribuita al viso (non al muso) dell'animale.
Come se anche la capra fosse trattata , al pa-
ri di esseri umani, come un organismo vi-
vente “diverso”, e comunque di rango infe-
riore. (Ricordiamo che Saba, in quanto
ebreo braccato dai tedeschi, aveva trovato
solidarietà e rifugio in altri due poeti, Unga-
retti e Montale, che lo avevano ospitato in
casa loro).
Umberto Saba, però, non si ferma alla
semplice constatazione della presenza del
Dolore Assoluto. Egli fa derivare da questa
situazione il dovere morale e sentimentale
dell'amore fraterno e della solidarietà fra i
viventi. Un amore necessario, fra tutte le
creature, perché tutte derivanti da un unico
Dio.
Luigi De Rosa
FUOCO E CENERI
Immagini un uomo libero
sulle vie del mondo.
È quel pane morsicato,
per giorni di guerra,
rivolto a quei fratelli
che resistono con la stessa ferita,
truccati di bellezza,
quando l’alba ha soltanto la coda,
per una giornata fatta di
pena e d’inerzia quotidiana,
ecco allora ti mostra il tuo Cristo
e tu non lo riconosci.
Tu vedi solo i boia odierni,
sempre più assetati di vendetta.
Tu osservi i potenti, gerarchi mandati assolti,
a Santiago come a Roma.
Osservi ombre feroci, carnefici dell’anima,
e con loro la morte che avanza.
E poi rimane solo l’oblio,
che cade e si dissolve nei meandri di speranza
perduta nel nulla.
Adriana Mondo Reano, TO
Domenico Defelice - Foglie (1982) ↓
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.53
Recensioni
CLAUDIA TRIMARCHI
LA FUNZIONE CATARTICA
E RIGENERATRICE DELLA POESIA IN
DOMENICO DEFELICE IL Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT)
2016, Pagg. 136, € 13,00
La funzione catartica e rigeneratrice della poesia
in Domenico Defelice, è titolo della tesi di laurea in
Lettere di Claudia Trimarchi, voluta dal prof. Car-mine Chiodo di “Tor Vergata” di Roma, che indi-
rizza la ricerca su autori del nostro tempo. Come
aggiunge Giuseppe Manitta nella prefazione, ri-chiamando a sua volta un intellettuale trevigiano
dell’Ottocento, Giuseppe Bianchetti, “la lodevolez-
za di uno scrittore non mediocre è la capacità di co-niugare il sentire comune con i tempi e i luoghi in
cui egli stesso vive”. Ed è quello che fa il nostro
poeta calabrese, che porta addosso i problemi della sua terra, dell’intero Meridione e “soprattutto l’ ur-
genza sociale”.
Domenico Defelice è un uomo che si è riscattato a nome di tutto il Sud: scrittore, poeta, saggista, cri-
tico letterario e artistico, pittore, giornalista, diretto-
re del periodico Pomezia-Notizie da lui fondato nel 1973, operatore e organizzatore di eventi culturali,
mecenate, umile, ma con schietto orgoglio. La sua
produzione, nella scrittura e nella pittura, ne rispec-
chia la biografia e il percorso formativo; nelle liri-
che giovanili il sentimento d’amore si rivela panico, comprendente tanto la donna di cui si innamora,
quanto il suo paese, tanto la Natura tutta, entro una
cornice esistenziale velata di inquietudine, ma spo-glia del “male di vivere”, in cui rinsalda la sua fede
in Dio.
La neodottoressa romana Claudia Trimarchi in-
troduce la sua fatica dichiarando di fare leva su un
volume in particolare, L’orto del poeta (1991) sotti-le pubblicazione che raccoglie scritti nell’arco di ol-
tre trent’anni (1958/1989) nel quale “gran parte del-
le opere affonda le radici ideologiche”, oltre che biografiche. L’hortus ci restituisce il poeta- conta-
dino che coltiva le sue piante preferite; ed è qui il
senso della funzione catartica e rigeneratrice della poesia. Altresì l’autrice precisa di avere scelto di at-
tuare uno studio comparativo delle singole opere
esaminate, poesia e critica d’arte, per giungere alla fonte della sua creatività. Fa da guida ai quattro ca-
pitoli il saggio di Sandro Allegrini, Percorsi di let-
tura per Domenico Defelice (2006); troviamo an-che guida in Orazio Tanelli per altro saggio mono-
grafico (del 1983), nonché il contributo di altri au-
tori. Domenico Defelice nasce alle falde dell’ Aspro-
monte, il 3 ottobre 1936, da genitori contadini; vive
l’esperienza della guerra, conosce orrori e privazio-ni; nondimeno non perde la vitalità propria dei
bambini e la fervida fantasia, alimentata dalla cam-
pagna e dagli animali cui egli stesso portava al pa-
scolo. A Reggio Calabria consegue il diploma di
ragioniere e perito commerciale, nel 1964 lascia la sua regione e si trasferisce a Roma, e nel 1970 si
stabilisce nel comune di Pomezia. Senza mai di-
menticare le sue radici che si attaccano al luogo ameno Baldis che incontriamo in più luoghi, come
nella silloge Con le mani in croce (1962) in cui in-
dica il suo paese di Anoia come “caduto acciden-talmente dalla tasca di Cristo”.
Claudia Trimarchi evidenzia alcuni temi, come
quello delle migrazioni, nel dramma in atto unico
La mania del coltello (1963). La voce si libra come
il cuore comanda, senza badare alla rima di cui
aveva dato prova nella silloge Un paese e una ra-gazza (1964). Nel saggio al pittore e poeta Rocco
Cambareri, Un silenzio che grida (1968), Defelice
trova occasione per prendere le distanze dall’ Er-metismo; mentre ne La morte e il Sud (1971) è pre-
sente il tema sulla questione meridionale. Quanto
cova in corpo, matura, rivendicando il diritto-dovere di denotare le cose con il loro nome: così “il
pane, pane; il vino, vino”. Era il tempo in cui dice-
va di “andare a quadri” come il titolo di un saggio
del 1973. L’indignazione di Domenico Defelice
esplode nella silloge di Canti d’amore dell’uomo
feroce (1977), con prefazione di Maria Grazia Le-nisa, la quale vi individua il “Realismo Lirico” in
opposizione all’Ermetismo; dove “feroce” sta ad
indicare la fierezza del Poeta, come osserva Sandro Allegrini.
A questo punto il richiamo a Quasimodo, a Unga-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.54
retti, a Marinetti e ad altri che hanno aperto nuove
frontiere alla Letteratura, è d’obbligo. Defelice tro-
va occasione per prendere le distanze anche dall’ Astrattismo nell’arte. Claudia Trimarchi si sofferma
più diffusamente su alcune opere, che ho voluto
schematizzare in senso cronologico, come segue. ***
Un paese e una ragazza (1964) è volumetto in
cinque sezioni. Claudia Trimarchi evidenzia il “verso gentile” iniziale che ci richiama il Petrarca;
il “paesaggio dell’anima” del Defelice si rispecchia
nella Musa ispiratrice Maria e nel paese di Anoia. La Nostra sottolinea segni lirici dello sradicamento,
della solitudine e della nostalgia, che riecheggiano
“A Zacinto” del Foscolo, “A Silvia” del Leopardi (come rilevava l’amico pittore e sacerdote Eleuterio
Gazzetti), connotando la poesia come devozionale.
Nondimeno emerge un realismo magico alla Bon-tempelli nella figura fondamentale della “Venere”
Marcella in cui esplodono deità e terrestrità, con
prevalenza della femminilità in carne e ossa, anzi-ché eterea come una Laura petrarchesca o una Bea-
trice dantesca. Nella quarta sezione rivela una poe-
sia civile i cui frutti maturi anticipano il castigatore
come nelle opere To erase, please? (1990), Alpomo
(2000), Resurrectio 2004, ed altre ancora. Nel poemetto di chiusura, nel personaggio di Scalda-
panche, si rivela narratore di fabula con il soggetto
Marcella che gli sfugge alla maniera di Angelica dell’ Ariosto o di Erminia del Tasso.
La morte e il Sud (1971) tratta della questione
meridionale; si pone come crinale nell’età della scrittura tra quella giovanile e l’adulta, con la pre-
valenza dei temi civili distinguendosi nettamente
dalla produzione precedente degli anni Sessanta. Il
paesaggio naturalistico non assolve più a funzioni
edeniche, ma si copre di tristezza benché non ne
tradisca la magia evidenziata dalla Trimarchi quan-do richiama la tecnica del contrasto in alcuni pas-
saggi, per esempio nella “necessità di sottolineare
che ‘però era estate’ e c’era ‘anche’ il caratteristi-co stridio dei grilli” (pag. 62). In quanto alla seco-
lare depressione economica e culturale del Mezzo-
giorno, legata al conservatorismo e servaggio delle popolazioni, la desolazione è resa da un linguaggio
ben aderente alla situazione sulla scia dei maggiori
scrittori meridionali come Verga e Sciascia. Le fi-
gure sono scolpite e l’ambiente si fa arido, cupo,
s’affaccia il topos del serpente, l’angoscia, il torpo-
re che si abbatte sulla gente del Sud, la diffidenza verso il forestiero; il desiderio di riscatto della di-
gnità calpestata. Gli assassini “perdono la propria
fisionomia ed ogni tratto di umanità” dice la Tri-marchi (pag. 66). Occasione per soffermarsi sul
fenomeno mafioso della ’Ndrangheta, etimo elleni-
stico andragathos “uomo coraggioso, valente”, at-
tingendo a fatti reali di cronaca come il rapimento
di John Paul Getty nel 1973 o alla strage di Dui-sburg in Germania, nel ferragosto 2007, il soffoca-
mento delle libertà e della giustizia. Tutto ciò turba
il Defelice che denuncia senza arretrare, trovando sbocco nell’opera successiva.
Canti d’amore dell’uomo feroce (1977) mantiene
la parola poetica al servizio di un’urgenza sociale in cui la voce si scioglie e si fa meno cruenta. Il Defe-
lice rispecchia il volto di Nonno Domenico di cui
va fiero. La Nostra commenta quanto la ferocia sia in noi stessi come lascito ancestrale della nostra na-
tura; residuo, aggiungo, dell’uomo della foresta.
Ma il Poeta non sfocia in uno sterile pessimismo, bensì reagisce invitando ad amare la natura come fa
nel saggio dedicato al conterraneo amico e poeta
Franco Saccà (1980) e come farà ancora più recen-temente nella raccolta dedicata al nipotino Riccardo
nel 2015.
Nenie ballate e canti (1991) affronta il tema della tragedia umana, come nel caso della vicenda del
piccolo Alfredino Rampi, di cui denuncia la spetta-
colarizzazione; riproducendo in copertina il suo di-
pinto che rappresenta la piccola vittima, inghiottita
da un pozzo artesiano nelle campagne di Vermicino (Frascati, Roma). Per ammissione dello stesso Poe-
ta sappiamo che dopo tale vicenda non ha più toc-
cato pennello. Alberi? (2010) è la raccolta dove il punto interro-
gativo ha valore ironico, per dire che non si tratta di
semplici alberi, ma di persone, di anime. È dedicato ad amici poeti e artisti, fra cui compaiono Maria
Grazia Lenisa ed Ada Capuana (pronipote di Luigi
Capuana). Trimarchi pone la sua attenzione alla
origine delle parole e alla loro connotazione, così
richiama la poetica dell’orto medievale locus
amoenus, l’hortus conclusus, accostandolo all’orto-giardino di cui parla in una sezione della raccolta
Giustamente Nazario Pardini giudica Alberi? come
rifugio, “fuga da un mondo fattosi selva oscura” (pag. 113).
***
Claudia Trimarchi afferma: “Defelice non negava certamente la necessità di innovazione nel campo
delle Belle Arti ma incoraggiava verso un ‘nuovo’
che non ripudiasse però il passato, ma che ad esso si ancorasse” (pag. 96). Perciò, come s’è detto, si
pronuncia in favore su Quasimodo, ma non dei se-
guaci di Ungaretti, e nemmeno dei seguaci di Mari-netti, volendo significare che l’artista come il poeta,
non deve perdere il contatto con la realtà, ma la de-
ve interpretare, offrendo un servizio, divenendo un’ opera rigeneratrice per la sua caratteristica etica.
Da questo scaturisce una dichiarazione di poetica:
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.55
“l’assoluta assenza di timore di non compiacere e
nel bisogno di intendere la poesia come forza edu-
cativa all’utile in armonia con l’alto senso dell’ uomo” (pag. 57), accostandosi al Parini e al Giusti;
ciò che più sopra abbiamo coniugato con l’ onestà.
Nel senso della onestà di espressione, si è pro-nunciato nei seguenti saggi. In favore della poesia
di Geppo Tedeschi nel 1969; in favore della Pittura
di Eleuterio Gazzetti (1980) dai colori forti che par-tecipano del dramma della vita. Così nel saggio Sa-
verio Scutellà (1988), nelle opere pittoriche gli al-
beri sono antropomorfi somiglianti a corpi femmi-nili; il Defelice sostiene che il pittore “tenta ripristi-
nare l’equilibrio spirituale”. Così avviene ne L’arte
raffinata di Giuseppe Mallai (2004), ove si coglie la valenza socio-psicologica, le opere esprimono l’
incomunicabilità fra le persone del nostro tempo e
anche se esse vivono in “superaffollati palcosceni-ci”, ognuna sta in solitudine. Solitudine che nella
Trimarchi evoca i celebri versi del Quasimodo:
“Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole”. Non per niente il nostro poeta ha
scelto un’opera del Mallai per la copertina dell’
opera satirica Alpomo.
Claudia Trimarchi con La funzione catartica e ri-
generatrice della poesia in Domenico Defelice, mostra padronanza di conoscenza delle opere dell’
Autore, a tutto tondo, che sono di vario genere, ben
collegando le parti riuscendo a interessare il lettore. Nondimeno si può fare fatica ad orientarsi nella
ventina di opere trattate del Poeta e in aggiunta di
altre della bibliografia che lo riguardano, se non si disponga già di una certa conoscenza; perciò ho
preferito conferire un’impostazione schematica. In
tutti i casi ha offerto comparazioni e accostamenti
come per partecipare a un dialogo a distanza crono-
spaziale, dimostrando anche maturità di scrittura e
aggiungendo un tassello alla buona letteratura (Complimenti!).
Tito Cauchi
PASQUALE MONTALTO
DOMENICO TUCCI
IL DIALETTO DELLA VITA
IL SOGNO LA VITA LA BELLEZZA
Apollo Ed.ni, Cosenza, 2015, pag. 158, € 10,00.
Il libro presenta composizioni poetiche di Dome-
nico Tucci, medico catanzarese, e di Pasquale Mon-talto, psicologo cosentino, prefate da Antonietta
Meringola e Bonifacio Vincenzi, e con grafiche in-
terne di Alice Pinto e Giulio Tucci.
La poesia di Tucci piace in quanto piana e cor-
diale, una poesia non assolutamente complicata, ma
accessibile e armoniosa, sia nella lingua che nei
contenuti esistenziali, come quelle intitolate a Bru-no, a Ombretta e Gianfranco (Salute a te, Bruno/
auguri per questi/ tuoi anni belli, / per l’amore e l’
amicizia/ che ci dai …; Auguri, Ombretta, / auguri/ alla tua bellezza, / ai tuoi occhi sognanti, / alla ve-
rità …; Amico, perduto nel dolore!/Troverai/ la
speranza,/ il sogno/ e il domani?). La poesia accompagna la vita di Tucci, che mira
all’essenziale e in ciò consiste, mi pare, la qualità del
suo Io poetico. Tucci canta in modo naturale e spon-taneo, e le sue parole vanno diritte al cuore e all’
anima: non per nulla cuore e anima ricorrono in Tuc-
ci in coppia, come nel caso del componimento Cuore e Ubriaco di vita, dove si legge: Sono a casa, / il sa-
pore dolce/ di te/ scende nel cuore. / Sono ubriaco/
di vita/ e di te. / Io custode della tua anima. Le poesie di Tucci riflettono anche le sue compe-
tenze medico-psicologiche e colpisce la fluidità del
linguaggio semplice e suggestivo: Il vento porta profumo di rose …/Questo fu ed è il Karma. / Oltre
il tempo e lo spazio. / Io ti amo come un sublime sogno. Per raggiungere questi esisti espressivi, po-
sitivi e convincenti, Tucci, certamente ha limato va-
rie volte e con passione i suoi versi, che ampiamen-te riflettono i suoi pensieri, le sue sensazioni e sen-
timenti. Grati dobbiamo essere a Domenico Tucci
per averci regalato una poesia calda di amore, di anima e di vita. Sicuramente leggendo le poesie di
Tucci e di Montalto, la nostra mente, come giusta-
mente dice Antonietta Meringola, gioisce, così che il lettore riceve in dono autentici fiotti di sentita
poesia.
Convincente e profonda la poesia dell’acrese
Pasquale Montalto, che, con Tucci, presenta una
poesia di alto valore poetico. Poesie che sono carat-terizzate da una continua ricerca linguistica e che
promuove tutta una serie di metafore e di immagini
ben costruite, che danno suggestioni e producono pensieri. Montalto consegna alla poesia Scrivere
(pgg.53-59, con traduzione romena di M. Cristian)
la sua poetica, la finalità del suo scrivere poesia ap-punto. Difatti ci imbattiamo in versi come: Scrive-
re, perché, nel vortice/ la parola vera interrompa,
la cultura dell’inganno. / Scrivere per vincere/ sul buio della mente/ e scavalcare oscure chiusure, /
che non si conoscono/ e non permettono di vivere. /
E scrivi, scrivi, al posto di convertirti, / non ubria-carti di un’ideologia inconcludente. / La scrittura
meditativa, / vera oasi d’allegria per il passeggero
stanco, / che con leggerezza già guarda/ al gioco del giorno successivo.
Orbene, se si leggono bene queste poesie, Mon-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.56
talto presenta tutto ciò che è la sua scrittura, e che
forma per me il carattere primario di Voci dialettali.
E come sensibilità d’impegno alla vita quotidiana, attitudine meditativa e nomenclatura sentimentale
del poeta, eccone subito una prova lampante in Sto-
ria (pag. 60-61, tradotta in inglese da D. Montalto), dov’egli dice: Storie di amori difficili e tardivi, /
storie tradite nel cuore del risveglio. / Storie trava-
gliate come tante. E ancora in Nel cuore il dolore, si legge: Giudizi affrettati, / da quattro soldi al
mercato, /mi sfiorano, mi raggiungono, mi attacca-
no, / mi sconvolgono l’animo. E pure in Strade, ri-suonano questi versi: Strade di storie tristi/ intrise
di veleni cocenti, / con argini insozzati/ da cupe
sporcizie umane. Si confronti anche il “tieni dritta la meta, / oltre quel cancello reclusivo, / tara men-
tale dell’acefalo tecnologico” nella poesia dedicata
ad Alda Merini, con la dedica Per ogni mamma che ancora spera.
La poesia di Montalto è corposa, di sostanza,
scorrevole, e narra la vita nei suoi diversi aspetti. Una poesia varia e cambiante nei ritmi e argomenti,
ma tutto è ben orchestrato dall’Io poetante che si
insinua ovunque, per far emergere vari contenuti e
atmosfere.
Anche nella seconda parte Il dialetto della vita si
ammirano versi vivi e fluidi. Al riguardo si vedano
le poesie Alfabetiere, Una nuova storia, Natura, Amore, Donna del mattino. Qui la parola di Mon-
talto, riprendendo i versi della poesia Il dialetto del-
la vita, è vera, bella, libera, giusta. Nella stessa poe-sia si legge: Morbide scorazzano le parole, / con l’
impegno ritrovato, che costituisce uno dei tanti
pregi di questa Poesia del risveglio, dove a pagina
novantasei si legge: Il fogliame geme, a primavera,
/ mosso dal vento rubilante. /che scuote le esili
gemme. Poi in Donna del mattino il poeta canta: Colorata
bellezza sul tuo viso compare/ quando aurora si le-
va/ e di umido lascia la terra desertica/ … e del suo cuore ti aspetta il tepore. Montalto diventa libero
attraverso la poesia. E questo sentirsi libero lo porta
a scrivere versi autentici e originali. Bonifacio Vincenzi è nel giusto quando nella
sua condivisibile prefazione scrive che nelle sue
poesie c’è “luce”, ma pure colore e profumi, “c’è
l’aura nei luoghi, nelle persone e nelle cose”, ma
c’è anche tanta libertà di inseguire la sua vita e
quella degli altri, i luoghi che danno vita alle sue poesie.
*Carmine Chiodo
Roma, maggio 2016 *Docente di Letteratura presso l’Università di Ro-
ma Tor Vergata.
LUIGI DE ROSA
LA GRANDE POESIA DI
GIANNI RESCIGNO
il poeta di Santa Maria di Castellabate
Genesi Editrice, 2016 - Pagg. 188, € 14,00
Un saggio commosso, all’apparenza quasi im-
provvisato, per l’attualità, la tempestività e la
unanimità del coro di dolore alzatosi alla scom-parsa del poeta di Santa Maria di Castellabate, il
13 maggio 2015, e per l’enorme quantità di giudi-
zi, in quanto, De Rosa, preferisce far parlare gli altri più che se stesso. Infatti, già nelle prime pa-
gine egli rende noti alcuni echi di amici scrittori,
poeti e critici che, increduli, hanno ricevuto la fe-rale notizia: Giorgio Bárberi Squarotti (il maggior
critico di Rescigno, che ha prefazionato gran parte
delle sue sillogi, a partire da I salici, i vitigni e che, per la triste occasione, ha composto pure la
commossa poesia “Gianni”, nella quale fa quasi
una sintesi dei temi cantati da questo poeta), San-dro Gros-Pietro (l’editore di quasi tutte le sue
opere maggiori), Rossano Onano, Giorgio Agni-
sola, Francesco D’Episcopo, Franco Campegiani,
Maria Rizzi, Umberto Vicaretti, Pasquale Bale-
striere, Giacomo Panicucci, Sandro Angelucci, Paolo Bassani, Ninnj Di Stefano Busà, Giorgio
Linguaglossa, Mariella Bettarini, Liliana Porro e
Elio Andriuoli e, in particolare, Marina Caraccio-lo, che è stata la prima a tentare di esplorare a
fondo il mondo poetico rescigniano con il saggio
Gianni Rescigno: dall’Essere all’Infinito (2001). La Caracciolo sarà pure tra i primi a commemo-
rarlo sulle pagine di Pomezia-Notizie. Scrive De
Rosa a tal proposito: “Si tratta di un pezzo parti-
colarmente centrato, la cui collocazione potrebbe
anche trovare spazio nella parte del libro dedica-
ta agli interventi della Critica sulla poesia di Re-scigno, ma che letto qui, subito, ci dona anche la
commozione del ricordo dell’uomo, oltre che del
Poeta, così a ridosso dei giorni successivi alla sua dolorosissima scomparsa”.
Il volume di Luigi De Rosa, bello anche dal punto
di vista editoriale, oltre ad esaminare tutte le opere di Gianni Rescigno, ne illustra anche le varie tema-
tiche. È suddiviso in due parti: “I libri di poesia” e
“La poesia di Resigno nella critica letteraria”, nella
quale ultima si dà particolare attenzione ai saggi e
agli interventi di Squarotti e Caracciolo, ma anche
di Franca Alaimo, Sandro Angelucci e Antonio Vi-tolo.
De Rosa evidenzia come Rescigno abbia, nelle
sue opere, cantato sempre lo stesso ambiente straordinario (la Campania fertilissima, il salernita-
no-cilentano) con figure, immagini, personaggi in-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.57
dimenticabili per ricchezza umana e solidarietà cri-
stiana (la madre, in particolare, il padre); una terra e
“una Natura adorata, non ancora minacciata gra-vemente dall’inquinamento, prodiga di sapori e
profumi anche se esigente di sacrifici amari e di
“fatiche” a volte sovrumane”. E precisa: “La Natu-ra è nel suo mondo, è dentro la sua sensibilità e le
sue fantasie, anche nelle sillogi in cui il tema domi-
nante è il sofferto, ma alla fine fiducioso, rapporto con Dio, o l’amore, o la memoria, o gli affetti fami-
liari, o la pietas per gli umili e i diseredati e per la
fatica di vivere”. “Questo poeta del Sud raffigura la propria terra - scrive Teodoro Giùttari - scartando
ogni facile folclorismo, la esprime senza cantarla,
la proclama senza estetizzarla, con impegno civile ed umano, oltre che artistico e letterario”. Natura-
Terra che significa tutto, il paesaggio e chi sopra ci
vive: “Cintura di cemento alle spiagge/zitte/ respi-rano le ville senza fuoco./Attendono le domeni-
che/dei padroni/che non sentono colpa verso
Dio...”. Sono versi che troviamo in Torri di silenzio e che si riferiscono al paesaggio ferito dalle costru-
zioni dei ricchi per la villeggiatura, da gente sprez-
zante verso gli uomini e verso Dio, orgogliosa della
propria ricchezza, che cementifica le spiagge non
per necessità, ma per lo sfizio di passarci solo pochi giorni all’anno; case, cioè, praticamente abbando-
nate - “senza fuoco”, scrive il poeta, e perciò senza
vita. Una Natura-Terra che parla attraverso le cose e sprigiona l’eterno. Le foglie degli alberi sono pa-
role, per Rescigno, nel senso che parlano attraverso
il ticchettio che su di loro produce la pioggia o il fruscio del vento che le attraversa ed è così che ci
raccontano della caducità d’ogni cosa e delle stelle,
dell’umano pensiero e dei gabbiani, della vita e del-
la morte, della quotidianità e dell’eterno (“tra la
morte e il risveglio”).
Questo libro è un “viaggio all’interno della poesia di Rescigno”, le cui “tematiche portanti”
sono presenti già nel primo libro Credere, ma ap-
pena in germoglio e vengono sviluppate man ma-no, poi, negli altri. Rescigno “bolla e condanna l’
ingiustizia sociale. Sceglie quelli che lavorano,
con fatica; quelli che stentano; quelli che devono sbarcare il lunario tra mille difficoltà. Ma la sua
non è una protesta sociale violenta e classista”.
Tranne rari casi (si veda “Cominciò settem-
bre”), la poesia di Rescigno è ricca di aggettivi (lo
rileva anche Tombari), ma, come afferma Squa-
rotti, quasi sempre “senza eccessi”. Un libro stilisticamente veloce, questo di De
Rosa; gradevole nella lettura, che tocca i vari temi
cantati dal Rescigno, in particolare la fede, l’ af-fetto per genitori e figli, il prossimo; il tutto, però,
sublimato o, quantomeno, trasfigurato in un’ at-
mosfera visionaria. Ed è per questo che il canto
rescigniano è sempre nuovo e diverso anche
quando, in effetti, sta narrando il già detto.
Domenico Defelice
CLAUDIA TRIMARCHI
LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERA-
TRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DE-
FELICE
Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, € 13,00
La tesi di laurea di Claudia Trimarchi segue
passo passo il percorso esistenziale e poetico di
Domenico Defelice. Lo fa con appropriate cita-zioni, ricercate da tutte le sillogi che il nostro Di-
rettore ha pubblicato nel tempo: da quelle giova-
nili, spesso rispettose della metrica, alle ultime in verso libero e d’impronta più propriamente civile.
Cita spesso gli studi di Maria Grazia Lenisa e di
Sandro Allegrini che hanno sviscerato in profon-dità le opere del nostro autore.
La nativa Anoia, con i suoi paesaggi agresti, la
Calabria, con i suoi molteplici problemi, sono
spesso lo sfondo dei versi di Domenico Defelice e
l’ attenta critica lo evidenzia con mano esperta. Soltanto la poesia sa consolare la disperazione e
addolcire il pessimismo, davanti all’inaridimento
dei valori. Nella seconda stagione poetica di Defelice la
poesia è denuncia “al servizio di un’urgenza so-
ciale”. A volte la Trimarchi sente l’urgenza di ci-tare liriche particolarmente incisive nella loro in-
terezza (anche nelle note esplicative), per rendere
efficace e partecipe il suo discorso. Le citazioni
riguardano anche i saggi critici e i testi teatrali
scritti da questo autore che alterna all’idillio la
sua passione civile. Non mancano riferimenti alla predilezione di Defelice per la pittura, di cui è un
valido rappresentante.
Infine va sottolineata l’attività di mecenatismo, che viene realizzata (a partire dal 1973) attraverso
le pagine del mensile “Pomezia-Notizie”.
Vorrei riportare il giudizio conclusivo della Trimarchi su Defelice, da cui si può tratteggiare
esattamente la sua figura. “Lontano dai clamori
dei letterati e dall’autoreferenziale mondo intellet-
tuale, umile di carattere ma ferreo nelle proprie
convinzioni etiche, mai disposto ad alterare il
contenuto o la direzione del proprio pensiero per tenerlo sui binari della communis opinio, Dome-
nico Defelice non ha mai operato per il plauso del
pubblico, prediligendo l’urgenza di dire più che di pubblicare”.
Elisabetta Di Iaconi
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.58
CLAUDIA TRIMARCHI
LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERA-
TRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DE-
FELICE
Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, € 13,00
Una tesi di laurea in Letteratura italiana moderna
e contemporanea.
Siamo di fronte a un saggio seriamente condotto da Claudia Trimarchi. Approfondimento della vasta
opera di Domenico Defelice, autore poliedrico la
cui analisi ha investito più settori: drammaturgia, poesia, narrativa, pittura. Viene esaminata con de-
vota attenzione la produzione del poeta dagli anni
1958 e il 1989. Si parla di hortus conclusus, anche se il nostro autore non ha mai smesso di donarci sue
testimonianze sia in campo letterario che sociale.
È un poeta che non si stanca di percorrere con de-vota attenzione il difficile e controverso campo del-
la poesia. La laureanda Claudia Trimarchi affronta
in modo comparativo l’intera opera riportando di-rettamente le parole dell’autore. Felice intuizione
perché nei versi affiora la sensibilità e la forza del
poeta producendo un effetto emotivo diretto. Poeta,
Defelice che dalle sue origini contadine legate all’
Aspromonte, attinge forza solare tradotta in versi che assumono particolare vivezza pittorica:
“(...) La zagara m’investe,
ancora nei sogni parmi vagare (...) sotto le volte immense degli ulivi...
...
Scaverò con queste mani bianche le tue crete sonanti di conchiglie
e ascolterò i respiri ampi del mare,
da cui fremente nascesti,
seduto sotto le querce annose
in compagnia delle tue ninfe, amore”
Si analizza sia il meridionalismo tipico delle pri-me composizioni - “La morte e il Sud” che il per-
corso attraverso gli anni del boom; ci sono nei suoi
scritti riferimenti autobiografici ed eventi realmente accaduti (vedi saggio di Sandro Allegrini del 2006).
La nostra Claudia cerca di capire il segreto della
poesia di Defelice e ci riesce dandoci una visione ampia e pregnante del suo sentire come anima che a
sue spese ha realizzato scelte esistenziali.
Indicativo il frammento in “A Riccardo (e agli al-
tri che verranno)” Ed. Il Convivio - marzo 2015
pag. 40:
“Nonno dici alle nuvole di andarsene? Voglio il sole
Potessi comandare le nuvole! Andate!, dico a quelle nere
che coprono il cielo di gramaglie.
Ed esse vanno, (...)
Claudia Trimarchi affronta ogni sfaccettatura
dell’opera di Defelice istituendo collegamenti an-che tra pittori (Gazzetti, Scutellà, Mallai) e la poe-
sia del nostro.
L’arte è universale e deve comunicare; le parole devono essere semplici e naturali e la pittura tende-
re al concreto, al figurato, al poetico.
Tutto questo quando c’è una affinità anche latente tra poesia e pittura.
Si potrebbe concludere che Defelice ha vissuto
sin da giovanissimo per l’arte, la letteratura, senza però allontanare il suo occhio attento dal sociale.
Sono inoltre citati nella tesi critici di chiara fama
che hanno evidenziato “lo spessore umano prima ancora che artistico, l’acutissima sensibilità di un
uomo sincero e leale, integro e coerente con se stes-
so e con gli altri”. “E quando il lettore si commuove è segno che
l’autore ha toccato le sue corde più intime e che ha
fatto vera arte”. (Le poetesse e l’amanuense - 1966 pag. 33 di Domenico Defelice)
Anna Vincitorio
IL BOZZOLO DORATO
Il filo della vita,
ravvolto attorno a un bozzolo dorato,
chiude un oscuro baco.
È il grumo della pena che si cela,
pronto a involarsi, quando
potrà svanire il chiaro labirinto.
Andrà in frantumi il baco,
mentre si spargeranno in alti cieli
le rischiaranti luci.
Elisabetta Di Iaconi Roma
EUROPA
L’urlo dei corvi aleggiò lontano
quasi il pianto di una libertà sovrumana,
mentre moriva il canto di questa Europa
senza poemi,
muta di spirito degli uomini, poi
all’improvviso
s’udirono i passeri cantori di questa terra
saccheggiata;
i chiurli, i fringuelli il loro richiamo di fine
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.59
inverno,
cantori dei bucaneve e delle primule a consolare
questa Europa caduta nella galassia
dell’indifferenza,
per una morte quasi annunciata.
Dove sono le canzoni dei confini, delle foreste,
le voci delle onde e dei fondali, che tu Europa
non sai più ascoltare, dove sono?
Nella tua carne si dissanguano gli dei,
si inchiodano le stelle nel tuo cuore,
potrai essere terra che nella luce rinasce,
paradiso perduto al ritorno della vita,
potrai se lo vorrai con la tua anima, nella fede
dei tuoi uomini indomiti e guerrieri, per una
nuova generazione di speranza e futura felicità.
Adriana Mondo Reano, TO
MEZZOGIORNO
Fiumi fumiganti
di salsa verde
saporosi arrosti aromatici,
escono baldanzosi dall’osteria
mischiata di altre aromatiche fragranze.
Dal tavolo ilari parole
squarciano sguardi indifferenti
offrendo anche all’osservazione più distratta
motivi per riflettere
sull’inevitabile gaiezza
di un pranzo di mezzodì.
Mentre signore e signori
di abito leggero,
assurgono dal pasto
l’esser loro,
libero da frontiere
senza più confini,
nella spontaneità
e nella libertà di esprimersi,
acquisisce l’indissolubile
esemplarità di esistere.
Nel pranzo anche il cuore
si spoglia
di inutili affanni
per gridare alla campagna
il suon beato,
mentre da lontano a rintocchi lenti
un campanile squilla;
è triste solo l’aratro
che immune dal piacere mondano
inonda l’essere suo
dell’abbandonata utilità del mezzo.
Susanna Pelizza Roma
TEMPORALE A POPPI
Le piante squassate dal vento
ondeggiano sotto la pioggia
ed ora la nebbia nasconde
ogni cosa oltre l’orlo dei tetti
sui quali si affaccia guardinga
la ben riparata finestra.
Ed è così intensa la pioggia
che anche se è là, oltre ai vetri,
a me quasi viene la voglia
di aprire qui in casa l’ombrello.
Poppi, 12.6.2016, ore 20.30
Mariagina Bonciani Milano
IO E MAMMA
Non è un bambino,
è un uomo, già,
maturo, razionale,
normale ma con qualche
problema psicologico
che lo rende insoddisfatto di sé,
della vita che pure
è stata prodiga con lui:
l'ha dotato d'intelligenza,
prestanza fisica, attitudine
al sorriso e alla gentilezza,
in una famiglia l'ha deposto
agiata e affettuosa.
Schiva il trambusto, la folla,
la presenza frequente di estranei.
Sta bene con i suoi cari
e con essi ama restare,
uscire di casa, distrarsi,
viaggiare, andare al mare;
con i suoi familiari,
la mamma in particolare.
Ogni volta che questa gli consente
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.60
di passare un po' di tempo con lui
per una passeggiata
o un giro in macchina
o una breve vacanza,
è felice come non mai.
Lo vedi sereno, il viso disteso,
gli occhi che brillano
e i moti riflettono interiori;
e lo ascolti che narra estasiato
di loro due insieme
e intercala ogni parola, ogni frase
con <<Io e mamma>>
<<in paradiso>> in sua vece
il silenzio completa.
Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE POESIA: PREMIO DAMIAO DE GO'IS A
CORRADO CALABRÒ - Roma, 7 giu. (Ad-
nKronos) - L'università Lusófona di Lisbona ha conferito il riconoscimento Damião de Góis a Cor-
rado Calabrò per la sua opera poetica e per i valori
umanistici da lui affermati nelle sue molteplici atti-vità.
Damião de Góis fu un grande umanista portoghese
del '500. Condivise con i grandi spiriti cosmopoliti del suo tempo, e in particolare con Erasmo - del
quale fu grande amico -, gli ideali di rinascita della
cultura umanistica europea e promosse il Rinasci-mento in Portogallo, dove fu peraltro processato
dall'Inquisizione per le sue idee aperte e non con-
formiste.
La cerimonia della consegna a Corrado Calabrò della Medaglia-Riconoscimento Dãmiao de Góis ha
avuto luogo il 30 giugno a Lisbona, nell'Università
Lusófona, alla presenza dell'Ambasciatore d'Italia. (Nex/AdnKronos)
***
LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERA-
TRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DE-
FELICE - Riceviamo da Roma una E-mail (del
29/05/2016) di apprezzamento della tesi della gio-vane neolaureata - Carissimo, avevi ragione. Il li-
bro di Claudia Trimarchi è un bel libro, e Manitta
ha fatto bene ad accoglierlo nella sua rispettabile collana e a rendergli onore con la sua autorevole
prefazione. La Dottoressa Trimarchi ha esplorato,
con acume e partecipe passione, in più direzio-ni concomitanti, il tuo universo poetico, e ne ha
fatto emergere il senso e il valore. Auguro al libro
una attenta ricezione, e spero che presto facciano seguito altri scritti di critica letteraria. All'autrice
auguro un felice e operoso cammino, sia sul piano della realizzazione sempre più piena e gratificante
del Sé (nel senso junghiano del termine), sia sul
piano del lavoro letterario, per il quale possiede ot-timi strumenti e una notevole capacità di comuni-
care. Vedo che abita a Frascati, città che mi è cara
anzitutto perché vi abitava, e vi possedeva un affa-scinante studio presso la stazione ferroviaria, l'in-
dimenticabile amico Italo Alighiero Chiusano,
germanista, romanziere e poeta. E che mi è cara anche perché ho fatto parte per diversi anni del-
la giuria del premio letterario Frascati, ora intito-
lato ad Antonio Seccareccia, che pure ho conosciu-
to e di cui serba affettuosamente la memoria la fi-
glia Rita. La Giuria, alcuni anni fa, ha anche volu-
to onorarmi con un premio alla carriera. Credo che ora abiti a Frascati la mia collega Rosalma Sa-
lina-Borello, valentissima e coltissima comparati-
sta. Auguri di buona settimana a te e ai tuoi cari, anche da parte di Noemi, che vorrebbe inviarti un
suo scritto per "Pomezia-Notizie" che ha ospitato
in prima pagina la sua fotografia
Emerico Giachery
Scrive, da Verona, il 27.5.2016, Enrico Ferrighi -
un poeta che da lungo tace, ma del quale non pos-
sono essere dimenticate sillogi come “Dialogo dei
dispersi” (1984), “Arcobaleno” (1986) e “La crisa-
lide” (1993) -: ...L’autrice della tesi ha svolto il suo lavoro con serietà e obiettività dimostrando una
conoscenza profonda di tutta la tua opera. Sono
frequenti i riporti dei tuoi scritti, i richiami, i ri-mandi, i giudizi critici di altri astri del firmamento
letterario. Ormai manca solo il riconoscimento (e
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.61
lo spero veramente) del premio Nobel di Stoccol-
ma. In verità lo meriti perché hai speso una vita a
scrivere di Arte, Letteratura e quant’altro fa segui-to. Lodevoli il tuo carattere, la tua tenacia, i nobili
fini e gli ideali che ti sei proposto, onde portare
all’Umanità il sollievo catartico della Poesia, l’ Amore del Bello, e l’ansia di migliorare l’Uomo
nella sua integrità, assetato da sempre di Libertà,
di Giustizia.
Enrico Ferrighi
***
A.L.I.A.S. - SEMPRE PRONTA A RICORDA-
RE L’ITALIA- Domenica 22 maggio 2016, dalle
ore 12 alle ore 18, presso la Sede di questa beneme-
rita Associazione, a Melbourne, in Australia, si è tenuta una gran festa: TUTTI INSIEME per il
24mo anniversario A.L.I.A.S., con il benvenuto a
IL GIORNALINO LETTERARIO A.L.I.A.S., con scenette, poesie, mostra di pittura, presentazione di
libri e molte altre sorprese dagli Autori A.L.I.A.S.
per ricordare il 70mo anniversario della nascita del-la Repubblica Italiana. A presentare sono stati Gio-
vanna Li Volti Guzzardi - instancabile organizza-
trice di tutto - e i tanti amici che la affiancano.
***
CURRICULUM DI GIUSEPPE MANITTA - Giuseppe Manitta è il direttore editoriale de Il Con-
vivio Editore e caporedattore delle riviste Il Convi-
vio e Cultura e prospettive. Inizia a pubblicare gio-vanissimo, esordendo con la silloge poetica Meteo-
re di Luce (con saggi introduttivi di Domenico Ca-
ra, Pasquale Francischetti, Carmine Manzi, Nunzio Trazzera, Angelo Manitta, Il Convivio, Castiglione
di Sicilia, 2002), cui seguono i poemetti Sentieri d’
assoluto, poema-racconto, (con note introduttive di
G. Barberi Squarotti, D. Cara, L. Felici, C. Manzi,
A. Piromalli, Il Convivio, 2003) e Sul sentiero
dell’upupa (con introduzione di Arnaldo Bruni, Il Convivio, 2006). Contemporaneamente si dedica
all’attività divulgativa della narrativa italiana, dalle
origini al ‘900, pubblicando per la casa editrice Mursia del gruppo Mondadori due volumi in colla-
borazione con Angelo Manitta: A partire da Boc-
caccio. La novella italiana dal Duecento al Cin-quecento (Mursia, Milano, 2005) e Noi e il mondo.
La novella italiana da Pirandello a Calvino (Mur-
sia, Milano, 2006). Successivamente si concentra
quasi esclusivamente alla critica letteraria pubbli-
cando il saggio Stefano Pirandello e altri contem-
poranei (Il Convivio, 2007) in cui affronta princi-palmente la vicenda letteraria di Stefano, figlio di
Luigi Pirandello, proponendo alcune originali posi-
zioni critiche, e di autori come Giorgio Barberi Squarotti, Inisero Cremaschi, Giuseppe Conte, Ce-
sare Ruffato ecc… Segue l’antologia di poesia con-
temporanea Cento poeti per l’Europa del terzo mil-
lennio (in collaborazione con Carmelo Aliberti e
Angelo Manitta). L’anno dopo introduce e com-menta il poema di Carmelo Grassi, autore siciliano
del primi del ‘900, dal titolo Maria o La virago di
Motta Camastra di Carmelo Grassi (Infinity media, 2008). Sempre di interesse siciliano e la co-
direzione del Dizionario biobibliografico degli au-
tori siciliani. Ottocento e Novecento (Il Convivio, 2013).
Negli stessi anni lavora alla ricerca storico- biblio-
grafica che confluirà in Giacomo Leopardi. Percor-si critici e bibliografici (1998-2003), (Il Convivio,
2009, pp. CCXIII-322), opera che viene giudicata
di certa rilevanza dal mondo accademico e critico tanto da essere considerata in numerosi saggi critici
e curatele nazionali e internazionali (cfr. G. Leo-
pardi, Cantos a cura di Maria de las Nieves Muñiz Muñiz, Madrid, Catedra, 2009; Zibaldone di Pen-
sieri, a cura di Fabiana Cacciapuoti e un preludio di
Antonio Prete, Roma, Donzelli; Canti, a cura di Andrea Campana, Roma, Carocci, 2014 ecc.) non-
ché recensito in numerose riviste di italianistica
come Quaderni d’Italianistica (Official journal of
the Canadian Society for Italian Studies), Annali
d’Italianistica (University of North Carolina a Chapel Hill), Giornale Storico della Letteratura
Italiana (Università di Torino), La Rassegna della
Letteratura Italiana (Università di Firenze - Acca-demia della Crusca). Con il medesimo saggio vince
il premio Tulliola e giunge finalista al Premio Città
di Adelfia 2009 insieme a Riccardo Chiaberge per La variabile Dio (Longanesi), Silvio Biancardi, La
chimera di Carlo VIII (Interlinea); Aurelio Iori,
Stato senza gestione, (Guida); Augusto Gentili, La
bilancia dell’arcangelo (Bulzoni); Armando Mas-
sarenti, Staminalia. Le cellule etiche (Guanda). Nel
2015 ne esce la prosecuzione dal titolo Giacomo Leopardi percorsi critici e bibliografici (2004-
2008). Con appendice (2009-2012) (Il Convivio
2015, pp. CLIV-296). Medesimo interesse critico e rilevanza nel mondo
accademico suscitano le curatele sulla letteratura
italiana: Carducci Contemporaneo (Il Convivio, 2013, a cura di G. Manitta con scritti di Giorgio
Barberi Squarotti, Carmine Chiodo, Emerico Gia-
chery, Angelo Manitta, Alessandro Merci, Giaco-
mo Nerozzi, Pantaleo Palmieri, Elena Rampazzo) e
Boccaccio e la Sicilia (Il Convivio, 2015, a cura di
G. Manitta con scritti di Emilia Cavallaro, Anna Cerbo, Carmine Chiodo, Lilith Meier, Nicolò Mi-
neo, Ugo Piscopo, Federica Rando, Alessandra
Tramontana, Susanna Villari). Negli anni inizia a interessarsi anche all’opera del
poeta romeno Mihai Eminescu. Ciò comporta tutta
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.62
una serie di conferenze in varie università dell’Est
dell’Europa (Bucarest, Chişinău, Alba Iulia ecc.).
Alle stregua dei suoi studi è l’unico critico italiano ad intervenire assiduamente nelle varie edizioni del
congresso internazionale di studi su Mihai Emine-
scu che si svolge annualmente a Chişinău e i cui ri-sultati di ricerca sono stati pubblicati in riviste spe-
cialistiche italiane e straniere. Nel 2010 individua,
insieme ad Angelo Manitta, il codice di Rime del petrarchista cinquecentesco Antonio Filoteo Omo-
dei (Capponiano 139), chiarendo numerosi disguidi
filologico-testuali e biografici sull’autore (cfr. A. Manitta - G. Manitta, Il Codice autografo delle ri-
me di Antonio Filoteo Omodei (Cappon. 139), Il
Convivio, 2014). Passione costante rimane la poesia, di cui ha pub-
blicato L’ultimo canto dell’upupa (Il Convivio,
2011, con premessa di Giorgio Barberi Squarotti e introduzione di Carmine Chiodo), opera confluita
con variazioni nel più recente Il Giullare del tempo
(con prefazione di Francesco d’Episcopo, Il Convi-vio, 2013). Con questi testi è giunto tra i vincitori
del Premio Tulliola e del Premio Borgo di Albero-
na, nonché ha ottenuto una Publica Laus per la
poesia dalla Pontificia Università salesiana di Ro-
ma. Dal 2016 collabora con il Centro Leopardi dell’
Università La Sapienza di Roma e per la sezione
Primo Ottocento de La Rassegna della Letteratura Italiana (Università di Firenze-Accademia della
Crusca).
Stralci critici sulla sua poesia, tratti da recensio-
ni o prefazioni:
«Il poemetto dell’upupa e di tanti altri animali em-
blematici e avventurosi è molto bello per ricchezza
di immagini, visioni, ironia, fantasticherie, ansie e
speranze del cuore. È, a mio parere, un testo davve-
ro mirabile, originalissimo, fra mito e realtà attuale e drammatica, un risultato di straordinaria inventi-
vità. È una narrazione ansiosa e solenne, fra quoti-
dianità e visione, meditazione e passione, dolore e bellezza delle cose e dell’anima. Insomma il signi-
ficato del poema è l’originale reinvenzione della
struttura e dell’armonia, è un’opera che tende al su-blime, alla totalità, alla curiosità linguistica. Ad
esempio il ‘ziolare’ come verso onomatopeico del
grillo, io non ho mai sentito questa parola: il Pasco-
li usa ‘zirlo’, che è termine certamente toscano, op-
pure ‘cricri’ onomatopeico, questo diffusissimo. Sì,
la sua poesia è per fortuna molto lontana dai versi di moda, ma è pur vero che lettori attenti ancora
esistono, per mia esperienza. (Giorgio Barberi
Squarotti, Università di Torino, dalla Premessa a L’ultimo canto dell’upupa)
«Dotato di solida e varia cultura letteraria, Giusep-
pe Manitta la fa convergere in un poemetto, intito-
lato L’ultimo canto dell’upupa, in cui una consape-
vole perizia tecnica si pone al servizio di sensazioni e di emozioni che, tradotte in versi carezzevoli e
ammalianti, diventano un inno alla natura, seducen-
te perfino nei suoi ‘rovi riarsi’, nei ‘lampi di spini’, nella ‘bufera’ che ‘piove sul prunalbo’» (Andrea
Battistini, Università di Bologna, motivazione del
Premio Città di Alberona 2012). «Ma la Sua ambizione è altra o diversa. Se non in-
tendo male, vorrebbe allargare il perimetro del
montalismo verso una doppia polarità, riconducibi-le da una parte al mito, che così insistentemente ri-
torna; dall’altra a una quotidianità maculata di ne-
vrosi (l’insettofobia della zanzara), di cui si fa cari-co l’alter ego Archimede». (Arnaldo Bruni, Univer-
sità di Firenze, dalla Premessa a Sul sentiero
dell’upupa) «La sua poesia si colloca sulla frontiera più avanza-
ta della ricerca. Ricerca del l’accordo/antitesi, dell’
ossimoro che squarci il velo dell’abitudine che ci ottunde gli occhi, ma anche ricerca alchemica della
singola parola che risvegli un senso di pregnanza
obliterata (avaccio, orezza, berza, s’adima). Ricerca
attenta, preziosa, della parola non contaminata per-
ché le parole la seconda volta che vengono pronun-ciate perdono la loro magia, la loro forza evocatri-
ce. Lui sa che i contemporanei hanno ucciso Ome-
ro, Virgilio, Dante, Petrarca, Leopardi e cerca nuo-ve piste, che indica a tutti gli esploratori del verbo
che vogliano seguirla su un terreno che prende le
distanze dalla banalità. Fossero anche piste nel de-serto!». (Corrado Calabrò)
«Giuseppe Manitta è un buon studioso di letteratura
italiana e poeta, come attesta pienamente questo
suo felicissimo poemetto crepuscolare dal titolo L’
ultimo canto dell’upupa... A mio avviso questo
poemetto è avvincente e si lascia leggere ben volen-tieri per tematiche e stile, lingua che non è poi quel-
la che si legge in tanta poesia contemporanea. Di-
fatti è rarissimo leggere quei versi nella odierna poesia. Manitta scrive e usa una lingua letteraria,
ricca di richiami a grandi poeti del passato. Un no-
me per tutti: Dante. Sicuramente il poeta siciliano non vuole darci una poesia di moda e quindi ecco
che compone questo riuscito poemetto che è stato
lodato e giudicato positivamente da noti studiosi di
letteratura italiana... Oggi come oggi, molta poesia
è cervellotica, banale, si basa su imitazioni di poeti
noti e famosi. Direi che uno dei tanti pregi di questo poemetto consiste nel fatto che non è per nulla ba-
nale, ma è ben fuso, unitario. È un vero piacere leg-
gerlo, soffermarsi e ammirare le immagini che esso presenta». (Carmine Chiodo, Università di Roma
Tor Vergata, dalla Prefazione a L’ultimo canto
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.63
dell’upupa).
«Giuseppe Manitta scrive un “poemetto crepuscola-
re” e lo intitola L’ultimo canto dell’upupa. Va con passo sicuro e consapevole, con versi brevi util-
mente scanditi, con movimenti narrativi essenziali...
Predilige una dizione classica, e talvolta tende a impreziosire con qualche effetto di ricercatezza ec-
cessiva: “Lungo è il viaggio / della nave argheifon-
te / mentre tacciono gli alcioni / e l’aria blezza i cocci / delle campane”. Senz’altro un buon lavoro,
di spessore e pensiero» (Maurizio Cucchi, su La
Stampa) «Giuseppe Manitta... realizza un procedimento let-
terario quanto mai ardito e riuscito: combinare le
radici della sua terra, la Sicilia millenaria, con ra-gioni che appartengono al contemporaneo e al quo-
tidiano. Una prospettiva, realizzata a piene mani dal
conterraneo Salvatore Quasimodo in quello che si potrebbe in qualche modo definire suo “terzo tem-
po”, dopo la fondamentale e rivoluzionaria tradi-
zione dei lirici greci. Manitta, tuttavia, opera in proprio, costruendo progressivamente una persona-
le poetica, che, se risente ovviamente delle sue in-
tense letture e corpose esperienze critiche (si pensi
a Leopardi e Carducci), conquista una specifica di-
mensione espressiva, in cui il mito, il sacro, si mi-sura con la realtà, il quotidiano appunto, senza che
questo confronto generi un corto circuito nelle linee
di tensione del discorso poetico, anzi tutt’altro, con il risultato di una serie di effetti speciali, di natura
sinestetica e sintetica. Il poeta si avventura in un
continente empedocleo, dal quale ritaglia di volta in volta la propria isola “impareggiabile”, lasciandosi
affatturare dal canto di una sirena, che sa di mare,
di vento, di sogno, di desiderio, di abbandono e di
ritorno al flusso primigenio delle cose, che reggono
l’incerto, umano destino. Che è poi la poesia!».
(Francesco D’Episcopo, Università di Napoli Fede-rico II, dalla Prefazione a Il giullare del tempo)
«La sua raffinata ricerca linguistica, con la presenza
di lessemi antichi, è un segno di sensibilità moder-na e di fervida vocazione espressiva, e insieme un
giusto riconoscimento alla continuità della poesia
(ricordo in proposito un bel saggio del vecchio Croce premesso al celebre libro di de Lollis sul lin-
guaggio poetico italiano). Ma ciò che più colpisce è
il fluire poematico, la ‘melodia infinita’ del libro, e
insieme l’emozione mitica (il mito è archetipo pe-
renne, veduta umana) che da esso si sprigiona».
(Emerico Giachery, Università di Roma). «Il rincorrersi dei versi in queste pagine appare co-
me un luminoso accordo che tratteggia il poemetto,
tra elementi incalzanti che si aprono ad un canto decisamente sereno e coinvolgente. La conquista
delle immagini possiede il ritmo della canzone, tra
le improvvise piume di Icaro e lo stridore delle au-
to, tra le crepe del muro e le vertigini della nebbia,
tra l’armonia di una danza e il rossore degli aironi. La clessidra, lievemente sospesa tra le dita incerte,
affanna nel contare il tempo che inesorabilmente
scompone il respiro ed i riflessi. Ed il rito si ripete, in un pensiero più vicino alla visione che le cose
hanno di se stesse, in una alternativa sapienziale,
che le invocazioni sono capaci di elaborare. Il recu-pero di un realismo sottinteso prende forma, ed il
fenomeno delle metafore ha l’immediatezza della
grande sceneggiatura, coniata per una poesia da contemplare». (Antonio Spagnuolo)
«Il primo verso della raccolta credo sia significati-
vo: “All’alba Icaro ha perso le piume”, il sistema di riferimento della raccolta è quello simbolico ma le
scelte lessicali appartengono all’epoca del Dopo il
Moderno, si apre così una contraddizione tutta in-terna al dettato poetico tra due forze dissonanti e
divergenti con esiti senza dubbio positivi. Il collo-
quio con i grandi poeti del passato (Omero, Virgi-lio, Dante, Petrarca, Leopardi etc.) è un colloquio
mutilo, venato di malinconia che investe alche lo
stile della scrittura di questo agile libretto. Oggi la
fine del “mandato poetico” ha segnato anche l’
eclisse della presunta antinomia di continiana me-moria tra il genere innico e quello elegiaco; la di-
sparizione, di fatto, di una generazione di intellet-
tuali poeti in possesso di una cultura classica, con-seguenza di una situazione di pacifica equivalenza
agli interessi del mondo dell’editoria e delle reda-
zioni letterarie influenti. Ma il libro in esame, oltre alle qualità intrinseche, assume anche un valore di
critica a questo “giullare del tempo”, ad una età
ostinatamente avversa e ostile alla lirica» (Giorgio
Linguaglossa).
LIBRI RICEVUTI LUIGI DE ROSA - La grande poesia di Gianni
Rescigno il poeta di Santa Maria di Castellabate - In copertina, a colori: Santa Maria di Castellabate; all’interno, in bianco e nero, sei foto di Rescigno -
Genesi Editrice, Torino, 2016 - Pagg. 186, € 14,00.
Luigi DE ROSA, poeta e scrittore, saggista e recen-sore, di genitori partenopei ma cresciuto in Liguria,
vive a Rapallo (Genova), in pensione dal 2001. Tra
i suoi libri di poesia, “Risveglio veneziano ed altri versi” (1969); “Il volto di lei durante” (1990 e
2005), “Approdo in Liguria” (2006), “Lo specchio
e la vita” (2006), “Fuga del tempo” (2013), “Impe-ria Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa”
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.64
(2014). Sulla sua poesia sono usciti saggi e recen-
sioni su numerose riviste (tra le più recenti “Poe-
sia”, “Vernice”, “Nuovo Contrappunto”, “Ilfiloros-so”, “Paidèia”, “Nuova Tribuna Letteraria”, “Le
Muse”, “Pomezia-Notizie”, “Sentieri Molisani”,
“Veia gianca”. Nel corso della sua lunga militanza letteraria ha scritto numerose recensioni, prefazioni
e presentazioni, oltre a saggi e articoli su Eugenio
Montale, Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Gio-vanni Descalzo, Umberto Saba, Giovanni Giudici,
Giovanni Pascoli, Antonia Pozzi, etc. Mentre della
sua poesia si sono occupati, oltre ai prefatori (Diego Valeri, Giorgio Bárberi Squarotti, Sandro Gros-
Pietro, Graziella Corsinovi), molti altri critici e poe-
ti, tra i quali Neuro Bonifazi, Francesco Fiumara, Giovanni Cristini, Liana De Luca, Paolo Ruffilli,
Rodolfo Tommasi, Elio Andriuoli, Rosa Elisa
Giangoia, Piera Bruno, Domenico Defelice, Rober-to Carifi, Fabio Simonelli, Guido Zavanone, Liliana
Porro Andriuoli, Silvano Demarchi, Viviane Ciam-
pi, Francesco De Napoli, Pasquale Matrone, Clau-dia Manuela Turco, Francesco Graziano, Fulvio
Castellani, Lia Bronzi, Mauro Decastelli, Elvira
Landò Gazzolo, Danila Boggiano, Angelo Manuali,
Tito Cauchi. “Nell’uso di un linguaggio tanto cri-
stallino quanto rigoroso per il rispetto della forma e dei contenuti - scrive la Giuria del Premio “I Mu-
razzi” -, Luigi De Rosa mette a fuoco il dramma del
poeta moderno che ha acquisito la coscienza storica dell’inadeguatezza della parola letteraria a raccon-
tare il movimento e la densità del mondo reale, ma
che tuttavia non abdica al suo ruolo di anima sensi-bile e vigile della storia degli uomini e dei suoi
drammatici eventi personali e collettivi”.
**
AA. VV. - L’autodidatta. Rassegna Poesia Con-
temporanea XXII Edizione Artecultura 2005
Milano - Presentazione (“Non esiste diritto umano senza risparmio”) di Giuseppe Martucci; in coperti-
na, a colori: “Imput visivi” (tecnica mista - acrilici,
2005) di Fulpor - Fulvio Porcaro - Edizioni Arte-cultura 2005 - Pagg. 178, s. i. p.. Sono presenti:
Giovanni Abbruzzese, Isabella Michela Affinito,
Adriano Arlenghi, Dante Bambozzi, Augusta Ba-riona, Maresa Baur, Maurizio Barello, Vera Benel-
li, Marta Bercelli Brischetto, Bruno Alessandro
Bertini, Tiziano Bertrand, Elena Betta, Ermanno
Bighiani, Carlo Blagho, Ermanno Boffi, Fulvio
Bonacina, Rina Eugenia Bonanomi, Pier Luigi Bo-
nizzi, Maria Rosa Borgatti, Anna Maria Teresa Borrelli, Dario Borsotti, Ivana Bristot Martinenghi,
Marzia Braglia, Giuseppe Busia, Luisella Caielli,
Fabio Campadelli, Marisa Canetti, Maddalena Ca-palbi, Franca Carella, Luciana Carmello, Filippo
Carmeni, Dario Carrera, Domenico Cassano, Tito
Cauchi, Rosita Cecchettelli, Maria Chimenti Arena,
Angelo Ciucci, Gabriella Colletti, Mario Conforti,
Antonio Conserva, Luisa Cozzi, Valentina Danie-lis, Raffaele De Prisco, Patrizia De Ros, Calogero
Di Giuseppe, Giuseppe Di Giulio, Domenico De
Salvatore, Marco Ernst, Salvatore Errati, Diego Fantin, Mario Ferrario, Giampiero Folco, Sabrina
Forni, Emilio Franchini, Tiziano Maria Galli, Giu-
seppe Gambini, Elda Maria Garatti, Maria Gattulli, Daniela Ghinassi, Eva Ester Giovannini, Piera Giu-
dici, Luigi Giurdanella, Sergio Gradin, Grazia Gre-
co, Bruna Gruppi, Paolo Guerriero, Marisa Gutto-riello, Vincenzo C. Ingrascì, Giovanna La Donna,
Marinella Lamarca, Luciana Leone, Maria Assunta
Leone, Leonarda Letterato, Dora Liguori, Manueli-ta Lupo, Sebastiano Maccarrone, Maria Elena Mal-
fitano, Romilda Malinverno, Andreetta Manara,
Luigi Gaspare Marcone, Maria Giuseppina Mar-gherita, Liliana Marioni Boggio, Licia Massella,
Stefania Minotto, Dina Molteni, Alma Montesano,
Anna Laura Monzi, Margherita Motta, Massimo Muti, Veronica Murrau, Ottavio Negri, Pietro Ni-
gro, Katia Olivieri, Sergio Osimani, Antonietta Pa-
cella, Elvira Pacenza, Rosalia Pandolfo Bianchi,
Caterina Parisi Mehr, Umberto Petraroli, Gianfran-
co Pignaton, Anna Maria Piria, Anna Podda, Fulvio Porcaro, Domenico Porco, Simone Ravanini, Lu-
ciana Francesca Rebonato, Ermanna Rendi, Anna
Ricucci, Lidia Riera Panico, Salvatore Rizzi, Luca Rodilosso, Andrea Rossi, Anita Rota, Caterina Ro-
vatti, Giuseppe Sabino, Fausta Salati, Graziella Sal-
terini, Pietro Salvini, Giuseppe Sansone, Antonio Saracino, Paola Sarasso, Ines Savoca, Luca Sergio,
Ambrogina Sirtori, Zina Smerzy, Maria Luisa Ca-
stioni Sordi, Walter Storri, Laura Strani, Giuseppe
Talarico, Franca Trevisi, Dora Vardaci, Rudi Vero-
nese, Rosario Vesco, Giambattista Vignato, Danie-
la Zanutel, Giovanna Zappalà, Rosa Zappia, Mauri-zio Zorzetto, Antonio Zumpano. Autori dal Carcere
San Vittore di Milano: Gianluca Berti, Ugo Lattes,
Carmelo Lo Conte, Issa M’Bengme, Enzo Martino, Eros Monterosso, Andrade Silva Valdimar, Fausto
Dario Valentini, Giovanni Vitali. Dall’Ucraina:
Ivan Burmej, Oles, Lupij, Vasyl Riabyj, Ludmyla Rzehak, Mykola Zaruba, Ivan Trush. Le scuole:
Classe III scuola elementare statale Villa Sanguine-
ti di Rivarolo Genova, insegnate Cinzia Gugliotta
(Simone Bruzzese, Michele Chiappardi, Stefano
Gaezza, Emanuela Govi, Erica Ducoli, Francesca
Lesino, Riccardo Luciano, Gaia Morabito, Elena Medicina, Giulia Moscamora, Chiara Olmo, Giulio
Napoli, Roberto Verallo, Marta Totani, Rita Ubal-
dini) - Classe IV A scuola elementare statale Tom-maso Grossi di Milano, insegnante Daniela Zanutel
(Daniela Amendolea, Daniela Cani, Gianna Lucia
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.65
Castillo Roca, Amira Di Rocco (detta “Bimba”)
Angelo Di Rocco Di Guglielmo Roberto, Angelo
Di Rocco, Roberto Di Guglielmo, Jeric Justin En-daya, Ilham Et Tovizi, Angelo Ferri Celli, Simone
Giarratana, Giuseppe Minino, Wafa Moez, Denise
Sabino, Jonathan Tilaye, Mirko Torre, Mithila Warnakulasurija).
**
PANTALEO MASTRODONATO - Cavalcata al
Symposium - Cenacolo Symposiaco, edizioni
Symposiacus, 2016 - Pagg. 200, L. 2.500. Pantaleo
MASTRODONATO ha studiato in molte città ita-liane ed estere. Compiuti i suoi studi in Linguistica
e Filosofia classica presso l’ Università di Montpel-
lier, ha in atto dei lavori di studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabile sete di verità e di giustizia
lo condusse nel 1972 ad una profonda crisi religio-
sa, propugnando da allora in poi i valori di un cri-stianesimo genuino scaturito da un sistematico ap-
profondimento biblico per una imparziale valuta-
zione dell’epoca presente. Dirige la rivista “Il Sym-posiacus”. Tra gli ultimi suoi lavori ricordiamo
“Leucotea (Mimologia)” (2014), “Enciclopedia
Palatina” (antologia, 2014), “La force du divin dans
le monde” (2014).
** AURORA DE LUCA - Aspra terra e creazione
fertile nell’opera di Domenico Defelice - In co-
pertina, a colori, “La casa sulla collina”, biro e pa-stello (1980) di Domenico Defelice - Edizioni
EVA, 2016 - Pagg. 152, € 10,00. Il presente volu-
me è frutto della tesi di laurea in Letteratura italia-na, anno accademico 2014/2015 - Aurora DE LU-
CA è nata nel 1990. Risiede a Rocca Di Papa. Do-
po la maturità classica è trascorso un periodo di ri-
cerca personale, avendo frequentato la facoltà di
Giurisprudenza, per poi approdare alla facoltà di
Lettere. Nella sua vita si è sempre dedicata allo sport, praticando nuoto agonistico fino a divenirne
a sua volta istruttrice. Inizia presto a scrivere. Nel
2004 partecipa ai suoi primi concorsi letterari, rice-vendo ottimi risultati ed interessanti motivazioni
nelle sezioni studenti e dei giovani, con poesie sin-
gole. Molti sono stati i premi e i riconoscimenti ri-cevuti, la maggior parte delle poesie vincitrici è sta-
ta edita nelle antologie dei vari premi, il primo
“Marengo d’oro” a Genova, “Publio Virgilio Ma-
rone” a Roma, “Agostino Venanzio Reali” a Cese-
na, “Marillianum” a Napoli, “Città di Forlì” come il
più giovane valido concorrente e “Città di Mesa-gne” Puglia, a Mattinata “Santa Maria della Luce”
e con il “Convivio” ai Giardini di Naxos in Sicilia,
“Luigi De Liegro” Roma, “Akery” ad Acerra come premio assoluto giovani, con il “Parco dei Castelli
Romani” e tanti altri premi grazie ai quali ha avuto
l’occasione di viaggiare su tutto il territorio nazio-
nale. In seguito, nel 2006, si avvicina alla sezione
narrativa giovani, guadagnando anche in questo ambito l’attenzione delle giurie con premi e attesta-
ti. Nel 2007 compone la prima silloge poetica “In-
dice di idee al caleidoscopio” partecipando al pre-mio “Città di Pomezia” e ottenendo un buon piaz-
zamento, pubblicherà a gennaio 2008 nei Quaderni
letterari “Il Croco” supplemento alla rivista, con un grande successo di critica. Si sono interessati infatti
molti scrittori, con recensioni edite sulla rivista
“Pomezia-Notizie” diretta da Domenico Defelice, con la quale collabora assiduamente. Nell’ aprile
2010 pubblica sempre su “Il Croco” anche la sua
seconda silloge “Questi occhi miei” e la terza “Il tuo colore mare blu” nel 2011. Nel 2012 esce “Sot-
to ogni cielo”, nel 2013 “Primizie” e, nel 2014,
“Materia grezza” e un altro Quaderno Il Croco: “Cellulosa”. E’ presente, con un’opera poetica,
nell’antologia “Le altre forme delle donne”, curata
dalla scrittrice Anna Bruno, edita nel febbraio 2009 da Albusedizioni. Scrive e collabora anche con la
rivista letteraria “Il Convivio” di Castiglione di Si-
cilia (CT), diretta dal professore Angelo Manitta e
dalla scrittrice Enza Conti e con “Vernice” di Tori-
no, portata avanti da Sandro Gros-Pietro. Affasci-nata da tutto ciò che è arte, nel tempo libero le piace
creare, disegnare, dipingere e non ultimo leggere.
“Sotto ogni cielo” è stato presentato, il 15 dicembre 2012, nell’Aula Consiliare del Comune di Rocca Di
Papa, alle ore 16,30 dal critico d’arte, poeta e scrit-
tore Franco Campegiani, col l’intervento della pro-fessoressa Carla Giorgetti, moderatore Valeria
Quintiliani, attrice Ilaria Tucci. Presenti, oltre a un
qualificato pubblico, il sindaco Pasquale Boccia ed
il presidente della Pro-Loco. Ma anche gli altri suoi
lavori hanno avuto, qua e là, varie presentazioni.
TRA LE RIVISTE IL GIORNALINO LETTERARIO - Organo dell’
Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.), a cura di Giovanna Li Volti Guzzar-
di e Daniel D’Appio - 29 Ridley Avenue, Avonda-
le Heights 3034, Melbourne - Victoria - Australia - E-mail: [email protected] http://www.alias.org.au
Riceviamo il numero di maggio 2016 (in pratica, il
numero 2), ricco di poesie, di prose, di foto a colori, di notizie; si presenta così bello e simpatico, da non
fare rimpiangere l’Antologia che annualmente or-
mai pubblicava questa benemerita Associazione, che da sempre ha difeso e divulgato la nostra lingua
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e la nostra cultura in Australia, il cui emblema è l’
immagine di questo estremo e bel continente con
sovrapposta l’immagine del nostro altrettanto bello e vecchio stivale. Tra le tante firme presenti, evi-
denziamo quella del vero motore di tutto: Giovan-
na Li Volti Guzzardi, e poi di Daniel D’Appio, Biagio Presti, Emilia Squillace Chiodo, Vito Bu-
falino, Vincenzo Salemi, Teodino Ottavi, Anna
Trombelli Acquaro, Carmela Sacco Perri, Mimma Strangis, Carmela Rio, Victoria Brigu-
glio, Rina Rossi, Maria Raffaella Agricola, An-
gelo Mario Cianfrone, Nenè Amato, Maria Co-
reno, Marcherita Princi, Sandra Zampini Zan-
ta, Nilla Cosma, Vittorio Di Sandomingo, Nico-
demo La Rosa, Giovanni Belanti, Mariano Co-
reno, Connie Rossitto, Paolo Mazzarella, Maria
Turano Aprile, Carmelina Blancato Pelligra,
Salvatore (Sam) Mugavero, Carmela Rio, Gio-
vanni Composto, Nilla Cosma, Angelo Manitta,
Antonio Angelone e Giuseppe Barra.
LETTERE
IN REDAZIONE (Ilia Pedrina)
Carissimi Amici, che intorno al nostro Diret-
tore vi accingete a fremere sempre di passioni
e d'immagini, di poesie e di riflessioni, di
giudizi e di rispecchiamenti, nella fervida at-
tesa di veder pubblicati i vostri lavori, sempre
circostanziati e di pregevole livello, lasciate-
mi fare l'elogio del 'Domenicale', con 'ilSo-
le24Ore' della domenica ed in particolare del
numero uscito il 22 giugno 2016.
Mentre Vicenza è in preda ad una originalis-
sima fascinazione, il 'MuVi, Musica Vicenza
tra corti e palazzi', ideata e portata a compi-
mento da Sonig Tchakerian e dai suoi fedelis-
simi, come Pietro Tònolo, Paolo Birro ed altri
ancora, per aprire la XXV edizione de 'Le
Settimane Musicali al Teatro Olimpico, io mi
siedo al Caffé dell'Opera, sotto un antico por-
tico e con splendidi scorci su Palazzo Chieri-
cati, Piazza Matteotti e le mura del giardino
interno del Teatro Olimpico. Questa iniziativa
vede aperti alla musica prestigiosi palazzi del
Centro Storico, per la durata di tutto il pome-
riggio fino a sera inoltrata: il Colonnato di
Palazzo Chiericati, la Loggia del Capitaniato,
il cortile di Palazzo Trissino, l'Odeo del Tea-
tro Olimpico ed il pubblico può partecipare
liberamente, sia di passaggio sia come in pia-
cevole sosta, quella che fonde tra loro suoni
d'arte e di vita quotidiana.
Mi metto a leggere il piccolo libro allegato
'Racconti di Odessa' di Isaak Babel e l'inte-
resse per questa scrittura dettagliata, ironica,
con tratti di spietata precisione circa i com-
portamenti del Re e degli altri protagonisti del
Ghetto della Moldavanka mi prende dentro
un vortice di immagini, profumi, sapori, vo-
ciare grasso e progetti esplosivi, fin dalle
prime pagine.
Isaak Emmanuilovic Babel è ebreo e nasce ad
Odessa il 30 giugno del 1894, nel quartiere
della Moldavanka è assai intelligente ma per
causa dei pogrom è costretto al percorso da
autodidatta, ama la letteratura, il teatro, il
giornalismo, morirà dopo torture durante gli
interrogatori per volere di Stalin, che ha fir-
mato la sua condanna, perché Beria l'aveva
accusato di essere spia e traditore, di non sta-
re dalla parte della classe lavoratrice, di elo-
giare il banditismo in modo naturalistico e
romantico. Nel retro di copertina una sua ri-
flessione: 'Di tutta la famiglia restavamo sol-
tanto lo zio Shimon, pazzo, che abitava ad
Odessa, mio padre e io. Ma mio padre era fi-
ducioso verso le persone, le feriva con l'entu-
siasmo del primo amore, le persone non glie-
lo perdonavano e lo imbrogliavano.' E poi
ancora, nel breve profilo biografico: 'Il 15
maggio 1939 in seguito all'accusa di attività
antisovietica cospiratoria terroristica e spio-
naggio, subisce l'arresto e la confisca di nu-
merosi manoscritti, andati perduti per sem-
pre...Babel viene condannato a morte e fuci-
lato il 27 gennaio 1940...' (retro di copertina
della serie 'Racconti d'Autore', Isaak Babel,
Racconti di Odessa, Il Sole 24 Ore, domenica
22 maggio 2016)
La lettura di questa sua incredibile testimo-
nianza mi ha accompagnato per oltre due ore,
mentre nell'aria musiche Jazz ed altri intrecci
di note si inserivano nel variato cinguettio
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delle rondini, con nido e piccoli tra le basse
travi del portico. Chi vuole capire dall'interno
come farsi strada nel groviglio aspro di deci-
sioni violente e poco pulite, basta che segua
le tappe del successo di Benja Grid, il Re dei
re, il capo scelto per l'eccellente modo di far
violenza allo scopo di far rispettare gerarchia
e dignità del sangue. Cito: '... Un altro come
Benja il Re non esiste. Distruggendo la men-
zogna, cerca la giustizia, quella giustizia tra
virgolette e quella senza virgolette. Ma tutti
gli altri rimangono impassibili come gelatina,
non amano cercare, e non cercheranno, e
questo è ancora peggio...' (I. Babel, op. cit.
pag. 68). Nel volume I dell'Appendice dell'
Enciclopedia Treccani Babel è inserito a pa-
gina 232: qualche riga per dire che è scrittore
russo sovietico, che dal 1917 al 1924 è stato
soldato sul fronte romeno e che la sua prima
fama, rapida assai è dovuta a questa esperien-
za di vita militare, trasfusa in racconti pubbli-
cati in Italia nel 1932, con il titolo 'L'armata a
cavallo', a cura di R. Poggioli, a Torino. Dei
'Racconti di Odessa' l'ignoto compilatore del
profilo sostiene che si tratta di quadri realisti-
ci colti dalla vita quotidiana del quartiere
ebraico della Moldavanka, facendo in modo
tale però da associare al realismo della de-
scrizione anche quello della conversazione
dialettale, il tutto condito con elementi epici e
lirici. Non c'è scritto come e perché è morto,
ma era amico di Majakovsky e merita anche
lui un posto tra il 'Canto Sospeso' e i 'Cori di
Didone' di Luigi Nono. È chiaro allora: rin-
grazio in cuor mio ed ora pubblicamente, su
queste pagine di Pomezia Notizie il direttore
del 'Domenicale' Roberto Napoletano, perché
con l'aggiunta di 0,50 centesimi al prezzo del
quotidiano mi sto inoltrando in un mondo mai
prima esplorato, quello della malavita del
Ghetto di Odessa e delle sue ferree regole d'o-
ro per mantenere alto il livello della dignità,
della famiglia come del sangue.
Dalle ore 14 alle 17 interrompo la lettura per
recarmi all'Odeo del Teatro Olimpico. Assisto
così alla prova pubblica della 'Petite Messe
Solennelle (1863)' di G. Rossini, nella versio-
ne originale per 12 voci soliste, e guida tutti,
pianista ed 'harmoniumista' compresi, il diret-
tore Giovanni Battista Rigon. Nell'esecuzione
ufficiale ci sarà anche il secondo pianoforte.
Non conosco bene questo lavoro di Rossini
ma so per certo che il direttore è un rossinia-
no, ricercatore scrupoloso ed accuratissimo,
profondo nell'interpretare lo spirito di questa
particolare produzione parigina del Nostro.
Prendo appunti a matita sul librettino di Ba-
bel, in tutte le pagine vuote, senza sosta, affa-
scinata dall'incedere dei brani verso la glorifi-
cazione dell'Altissimo, dal Kyrie al finale
Agnus Dei, per contralto e coro: in questa
formazione i solisti fanno parte del coro e se
ne sciolgono per far emergere zone calde ed
emotivamente spiritualissime della partitura.
Mi accorgo subito che il sacro ed il profano
qui sono sapientemente calibrati, proprio per-
ché Rossini aveva ben capito che abbiamo so-
lo questo corpo e questa vita per entrare nello
spazio dell'anima e cantarne gli accenti in
fervore. Esco da questa esperienza come ca-
lamitata verso l'altrove, verso un bisogno se-
greto, interno e non cancellabile, di leggere la
partitura. L'indomani andrò di filato da Ro-
berto, della Diesse Copy, che conosce bene la
nostra Rivista perché me ne fa copie su copie,
quando mi servono, e lui mi stamperà questo
miracolo, disponibile gratuitamente per tutti
in rete. Rossini ha interrotto la sua splendida
carriera per dedicarsi alle composizioni per
pianoforte, da camera, per sale riservate ad
ascoltatori attenti, che sappiano capire: la 'Pe-
tite Messe Solennelle' è, come dice lui, il suo
ultimo peccato della vecchiaia.
Al pomeriggio di questa giornata, lunedì 23
giugno, sosto con Humbert, l'Adameva tede-
sco, presso il ristorante 'La Beccaccia', per un
caffè. Parlo di Isaak Babel e di Odessa e loro,
i giovani Misha e Gregorio Capnist, di antica
origine greco-caucasica, titolari dell'esercizio
aperto di recente, mi raccontano che questa
città sul Mar Nero è veramente bellissima, vi
sono stati qualche anno fa e mi diranno anco-
ra e ancora, perché volevano comprare uno
stupendo albergo d'epoca proprio nei 'Passa-
gen', di fronte alla Baia del Porto sul Mar Ne-
ro. Aggiungono al caffè il 'Mezzo e mezzo',
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un aperitivo della Nardini e dei biscotti fatti a
mano da Fatima, dolce marocchina da anni in
Italia con la sua famiglia. Misha dice, dopo
che ho sottolineato la fragranza di questo pa-
sticcino, al sapore di sesamo ed arachidi, in-
trovabile altrove: '...Lo chiameremo 'Shehe-
razade', come la bellissima fanciulla delle
Mille e una notte...'
Carissimi, da queste poche tracce ognuno
prenda il percorso che desidera e si metta in
cammino, tra le tragedie dell'oggi ed i reso-
conti storico-letterari, appassionati e veritieri
di qualche tempo fa, perché la tensione del
sapere e del governare gli affanni grazie a
quel distacco che la scrittura sempre richiede,
possa portare fino ai confini e ben dentro ai
territori umanissimi, quali quelli della Bellez-
za e dell'Armonia, là dove la natura ci ha po-
sti.
Un abbraccio devoto a tutti voi ed a te, caris-
simo Direttore, la mia riconoscenza piena.
Ilia
Qui sotto: Domenico Defelice - Crotone,
Portico Lara (Acquerello, 1961).
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
30 righe per 60 battute per riga, per un totale di
1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito
www.issuu.com al link:
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