Pomezia Notizie 2014 9

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00040 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti on line (annuo, € 40; sostenitore € 60; benemerito € 100; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intesta-to al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libe-ra, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro compe-tente è quello di Roma.

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Anno 22 (Nuova Serie) – n. 9 - Settembre 2014 - € 5,00

Crisi della Stampa

MORTE DE “l’Unità” ?

AL primo agosto, niente più l’Unità nelle edicole? Il punto interrogativo è perché au-

spichiamo si trovi un marchingegno che ne consenta ancora la pubblicazione.

L’avvenimento è, per noi, pena grande. Non perché eravamo suoi lettori, ma perché,

quando muore una Testata giornalistica - e storica, come lo è il quotidiano fondato, nel 1924,

da Antonio Gramsci - , è sempre un pezzo di libertà che muore e la Cultura che s’impoverisce.

Ma non c’era modo di salvarla. Come non ci sarà modo di salvare centinaia di altre Testate,

che non vengono più lette, giornalmente abbandonate, cioè, dai propri lettori, perché cocciuta-

mente settarie e perché non hanno saputo ve-

ramente rinnovarsi nel corso degli anni, che

non significa bella carta, colore, fotografie e

via elencando, ma servizi onesti, non adulte-

rati, che sanno veramente raccontare il mondo

e la sua quotidianità.

Una Testata ha diritto di vivere finché viene

acquistata e letta, non tenuta in vita artificial-

mente attraverso le sovvenzioni, come avvie-

ne oggi per tutte, dal Corriere della sera in

giù.

Perdonateci l’orgoglio, ma dovrebbero se-

guire l’esempio di Pomezia-Notizie, la quale,

per non morire, non avendo avuto mai finan-

ziamenti di alcun genere, né pubblicità, nel

1993 ha effettuato una rivoluzione copernica-

na, riducendo il suo formato, abbandonando

settori che non ricevevano più il dovuto inte-

resse dei suoi lettori (dei suoi, perché ogni

Testata ha i suoi lettori) e dando ampio spazio

alla Cultura che, in Italia, è il bene più a por-

tata di mano, ma anche il più disprezzato dal-

la politica!

l’Unità non ha saputo veramente rinnovarsi. Ha avuto solo rivoluzioni gattopardesche nel

D

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.2

All’interno:

Margrid Rooijakkers, di Ilia Pedrina, pag. 3

Le amorose sentinelle del Giordano, di Rossano Onano, pag. 6

Mario Santagostini: Felicità senza soggetto, di Giuseppe Leone, pag. 12

Ricordo di Maria Luisa Spaziani, di Luigi De Rosa, pag. 14

Bruno Rombi: Il viaggio della vita, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 17

I bambini tra le macerie dei bombardamenti, di Ilia Pedrina, pag. 20

Il dialetto: fonte prima della vita, di Leonardo Selvaggi, pag. 23

Gli americani e il maialino, di Aida Pedrina, pag. 27

Al Signore sconosciuto, di Raffaele Cecconi, pag. 29

I Poeti e la Natura (Sandro Penna), di Luigi De Rosa, pag. 31

Notizie, pag. 41

Libri ricevuti, pag. 41

Tra le riviste, pag. 43

RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Anticlimax, di Luca Canali, pag. 33); Tito Cauchi

(Pensieri del sabato, di Rocco Cambareri, pag. 34); Tito Cauchi (Geppo Tedeschi, di Do-

menico Defelice, pag. 34); Carmine Chiodo (L’Obayifo, di Marcello Borghese, pag. 36);

Maria Antonietta Mòsele (Gherla e Cris, di Paolangela Draghetti, pag. 38); Maria Anto-

nietta Mòsele (7 favole... 7 colori dell’arcobaleno, di Georgia Chaidemenopoulou, pag. 39);

Maria Antonietta Mòsele (Stevenà amore mio, di Vittorio “Nino” Martin, pag. 39); Maria

Antonietta Mòsele (Il ronzio delle mosche, di Antonio Iademarco, pag. 40); Innocenza

Scerrotta Samà (Anime fuggenti, di Gianni Rescigno, pag. 40).

L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 44

Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 46

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Georgia Chaidemenopoulou, Domenico Defelice,

Themistoklis Katsaounis, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Edio Felice Schiavone, Leo-

nardo Selvaggi

corso dei suoi tanti anni, rimanendo, sostan-

zialmente e radicalmente settaria, fino al pun-

to, a suo tempo, di turarsi occhi naso e orec-

chie davanti ai crimini del Comunismo; ha

avuto sempre direttori proni al partito, o che

l’han trattata come vetrina del proprio io. In

questi termini, dunque - ma solo in questi

termini -, non meritava di andare avanti, co-

me non lo meritano - e, o prima o poi, faran-

no il botto - diecine di altre Testate.

“I quotidiani - afferma Giorgio Podomani,

che è stato Amministratore delegato de l’

Unità dal 2001 al 2008 e che, poi, ha fonda-

to Il Fatto - pensano di campare con rendite

parassitarie, come la pubblicità garantita,

contributi all’editoria enormi, badando po-

co al conto economico, illudendosi di essere

in una spiaggia riservata come il paradiso.

Oggi un giornale dovrebbe essere snello,

con meno assunti e più collaboratori. Un

giornale in salute deve guadagnare dall’ at-

tività tipica: cioè dalle vendite”. Oggi, se

non ci fossero finanziamenti e pubblicità -

aggiunge - “resterebbero in vita due o tre

giornali al massimo”.

Rinnovarsi davvero, dunque, e non perché

tutto rimanga come prima. L’esempio sta, an-

cora, nella nostra Testata, che, per venire in-

contro ai suoi lettori e collaboratori, dopo a-

ver dato più ampio spazio alla poesia e alla

letteratura in genere, alla pittura, alla musica,

è passato alla rete, dove essa (http:// is-

suu.com/domenicoww/docs/) può essere

sfogliata e letta, salvata e scaricata sul proprio

PC, stampata, o facendola stampare attraver-

so il menu (Download). Perché sempre, un

giornale - come anche un libro -, deve finire

di essere del suo autore, per divenire del letto-

re, patrimonio di tutti.

Domenico Defelice

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.3

MARGRID ROOIJAKKERS affronta la Stampa Olandese

sull'HOLLAND FESTIVAL 2014

dedicato a LUIGI NONO

e se ne lascia affascinare di Ilia Pedrina

RIMA del nostro incontro nel suo

splendido attico alla prima periferia di

Vicenza, su Luigi Nono e su Ingo Me-

tzmacher lei, Margrid Rooijakkers sapeva po-

chissimo, quasi niente, anche se la musica le

piace. Ammetto di essere vulcanica, trasci-

nante, coinvolgente, ma qui si tratta proprio

di interesse diretto, pieno, orientato a partire

dagli echi della stampa olandese sull'Holland

Festival 2014. dedicato a Luigi Nono, per ar-

rivare ad un'intesa tra le diverse terminologie

possibili con le due lingue a confronto. Mar-

grid conosce bene l'italiano, per questo ho ca-

pito che potevo chiederle questo favore, con

il cuore in mano, per Pomezia Notizie. Lei mi

ha detto: “Dobbiamo essere insieme a fare

questo lavoro!” Quattro articoli che le ho

chiesto gentilmente di tradurre ed io sono lì

con lei e registro tutto, non senza sollevare lo

sguardo, di tanto in tanto, ad osservarla in

volto, bella, dai lineamenti proprio delle o-

landesine da cartolina illustrata, bionda con la

frangetta lunga ed i capelli raccolti, dal corpo

sinuoso e slanciato, dallo sguardo d'un verde

laguna che t'incalza senza ambiguità. Parte

dal più importante, a tutta pagina, l'unico al

quale qui farò riferimento, con al centro la fo-

to di Luigi Nono sul battello, onde di schiuma

a lato: la firma è quella di Joep Stapel, sul

supplemento culturale di domenica 22 giugno

del NRChandelsblad 'Nono: klanken aan de

randen van het niets', 'Nono: suoni al limite

del niente', in cinque sezioni dense: 'Venezia',

'Spazio', 'Impegno', 'Prometeo', 'Silenzio'.

Fin da subito Margrid si ferma sul termine

'randen' e non è soddisfatta né dal termine

'bordo' né da quello di 'confine', l'uno usato

per le stoffe e altro, l'altro per i territori. È

contenta quando le propongo 'limite'. Sul

'niets' poi ci siamo soffermate non poco, per-

ché può essere sia il 'vuoto', che il 'nulla', che

l' 'assenza'. L'articolo riporta brevi tracce su

Nono e gli altri due musicisti, diventati poi

molto famosi, Pierre Boulez e Karlheinz Sto-

ckhausen, dopo aver lasciato spazio all'espe-

rienza diretta del maestro Metzmacher, che

incontra Nono a Berlino nel 1988, durante l'

allestimento del 'Prometeo' e che dichiara

come Nono annoti nella partitura 'silenzio as-

soluto': “... per questo motivo quello che se-

gue acquista peso, importanza. Io mi impe-

gno di tirare più a lungo possibile queste cal-

me. Non c'è niente di più divertente ('leuker')

di una calma allungata... È stato l'incontro più

importante della mia vita, una specie di ele-

zione, di risveglio (een opwekking)...”. È ri-

conoscente a Pierre Audi, direttore per undici

anni dell'Holland Festival, per aver desiderato

con tutte le sue forze la realizzazione di que-

sto mini-festival tutto dedicato a Luigi Nono,

prospettiva da anni nelle sue priorità più insi-

P

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.4

stenti: è un progetto molto laborioso, ma se c'

è uno spazio dove ciò può funzionare, questo

è proprio il Gaushouder.

In 'Venezia' (Venetië), la prima sezione, Sta-

pel traccia il profilo di Luigi Nono, che ritie-

ne il più importante compositore del secondo

dopoguerra in Italia e parte da Venezia, dalla

targa che c'è sulla sua casa alle Zattere, dove

è nato ed è morto nel 1990, 'maestro di suoni

e di silenzi', dalla sua famiglia, dalla ricca bi-

blioteca del suo papà, con tantissimi esempla-

ri di dischi e dipinti (spiego a Margrid che ciò

è vero perché Virgilio, mio fratello, mi ha da-

to un volume originale sulla Biennale del

1932 e sono presenti quadri del suo nonno,

Luigi Nono, tra quelli di Francesco Paolo Mi-

chetti e c'entrava anche D'Annunzio). Il gior-

nalista cita ancora Metzmacher: “Tutto a Ve-

nezia suona diverso tutto è meno rumoroso,

non ci sono macchine ed anche perché l'acqua

è onnipresente e fa rimbalzare il suono assor-

bendolo. L'acustica è completamente diversa

da quella alla quale siamo abituati e questo è

stato molto determinante per Nono, per la sua

carriera”. Stapel torna su Venezia, sugli spazi

di San Marco, sulle sperimentazioni al suo in-

terno portate avanti nel Cinquecento da An-

drea e Giovanni Gabrieli con i cori misti

spezzati, dislocati a diversi piani di altezze ri-

spetto ai fedeli, per ottenere tutti i possibili ef-

fetti di spazialità dell'acustica.

In 'Spazio' ('Ruimte') Stapel precisa: l'orec-

chio sente tutt'intorno, anche ciò che proviene

da dietro le nostre spalle, ma noi ci siamo au-

toridotti questa capacità, obbligando l'orec-

chio a sentire la musica solo dal nostro ango-

lo di visuale, con noi seduti di fronte al podio.

Poi passa agli studi di Nono con Bruno Ma-

derna, suo amico, proprio sulla musica rina-

scimentale, saltando insieme tutto quanto era

legato alla musica classico-romantica: da Ga-

brieli Nono ha imparato la tecnica della com-

posizione in blocchi ma è soprattutto con i

gruppi di cori spezzati misti che la sua musica

diventa non solo suono nello spazio, ma lo

spazio stesso è come parte integrante della

composizione. “Quello che Nono voleva non

si può descrivere”, è ancora Metzmacher a

parlare, “una certa particolare qualità del suo-

no, con tecniche di realizzazione innovative.

Sono molto felice della collaborazione con il

direttore del live electronics André Richard,

che ha lavorato tantissimo con Nono ed è sta-

to come il depositario, il custode del Santo

Graal. André Richard ha fatto il progetto spa-

ziale del Gashouder, con i musicisti posizio-

nati a diverse altezze intorno al pubblico, così

la musica con grande precisione viene proiet-

tata nello spazio.

In 'Impegno' ('Engagement') viene tracciato

il coinvolgimento sociale e l'impegno politico

del musicista veneziano ed anche qui Stapel

lascia parlare Nono stesso, Metzmacher ed in

particolare i contenuti del 'Canto sospeso'.

In 'Prometeo', Stapel spiega che il sottotito-

lo 'tragedia dell'ascolto' rimanda a quella tra-

gedia che si prova nell'ascoltare, nel sentire,

non nel vedere, opera composta da un ' Pro-

logo' e da una sequenza di 'Isole' divise tra si-

lenzi e suoni effimeri. Il parallelo con Venezia

si impone: una città di isole con confini fles-

sibili, con le vene d'acqua che l'abbracciano

in spruzzi ondosi, invadendola ('dooraderd en

omspoeld door water'). Nel cuore del ' Pro-

meteo' sembra che musica si fermi comple-

tamente, quasi come non avesse più la possi-

bilità di andare avanti: “È la crisi che viene

guidata e composta”, sostiene Metzmacher,

“ci si può immaginare che Prometeo, tra rivo-

luzioni e contrasti arrivi ad un momento di

disperazione ('vertwijfeling'), senza sapere

più come andare avanti. La terza, la quarta e

la quinta isola sono composte di frammenti a

singhiozzo, bloccati. La mia esperienza,

quando dirigo, è come quella di essere spinto

verso un deserto ('een woestenij') di macerie e

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.5

di distruzione ed anche per l'ascoltatore la co-

sa non è molto semplice. Ma una volta che sei

riuscito a passare, a superare questo stato, hai

una grandissima gratificazione. La straordina-

ria bellezza alla fine del Prometeo non sareb-

be mai la stessa cosa senza questi immensi

vuoti, la catarsi mai così potente”. Riprende

Stapel a sottolineare che Prometeo è una figu-

ra rivoluzionaria, ma nell'Opera è come se

non fosse presente, non c'è azione né interpre-

te, anche il testo è a malapena seguibile, a

parte quel 'Ascolta!' che ritorna tante volte.

In 'Silenzio' ('Stilte') Stapel si chiede quanto

possa essere dolce il silenzio quando diventa

inudibile. È stato rimproverato a Nono che

nel suo ultimo periodo egli è diventato apoli-

tico, ma Metzmacher non è d'accordo. La lot-

ta di Nono contro il nostro uso arido, povero

dell'ascolto è stata come una forma di prote-

sta contro la svolta che stava prendendo la vi-

ta pubblica: ha cercato di stimolare la perce-

zione dell'orecchio con dei suoni al limite del

niente, perché risvegliare l'ascolto, secondo

Nono, significa anche risvegliare l'uomo. Ne-

gli Anni '80 il silenzio è diventato sempre più

importante nei lavori di Nono, al limite dell'i-

nudibile ed utilizzava l'elettronica per dare

forma a questi limiti. Sul muro di un conven-

to in Toledo, Nono si è fermato su un afori-

sma: 'caminantes, no hay caminos, hay que

caminar'. A partire da questo appello, per evi-

tare le strade già percorse, Nono ha composto

la Trilogia pezzo per pezzo, per spazi diversi

e cori e strumenti posizionati differentemente.

Questi 'Caminantes' sono fatti di misteriosi

sussurri e di pseudo-pause gravide di suoni,

in lontananza con esplosioni tuonanti. 'Cami-

nantes...Ayacucho' è stata l'ultima composi-

zione di Nono e la preferita di Metzmacher:

“Per me questo pezzo non è un requiem. Ogni

volta, nuovamente mi sorprende come vento

che mi butta a terra”. Si conclude così l'arti-

colo di Joe Stapel.

“Il tuo interesse per le lingue è grande”,

dico a Margrid, “ti appartiene questa capaci-

tà di interagire tra differenti contenuti per ar-

rivare ad un risultato che ti dia soddisfazio-

ne.” Mi risponde con un sorriso: “Questo è

vero! Io ho ascoltato un brano, non è musica

facile, con questi articoli ho capito di più

questo musicista.” Ha tanti problemi in fa-

miglia, ma trova tempo per me, su Luigi

Nono e sull'Holland Festival di Amsterdam.

Allora penso a lui, a Luigi Nono, a noi che

siamo come due collinette rispetto alle vette

elevate rappresentate da Martin Buber e

Franz Rosenzweig, quando insieme, amici

nella parola, si mettono a tradurre e ad in-

terpretare il testo della Torah: la comunica-

zione diventa investigazione schietta, la pa-

rola è colta come esperienza di vita e la feli-

cità, la gioia dell'essere d'accordo si cesella

in bagliori di luce.

Ilia Pedrina

SOGNO DI UNA SERA

DI FINE PRIMAVERA

Mi piace pensarti

seduto in poltrona

che leggi il giornale

con me che in poltrona

a te di fronte leggo

tranquillamente un libro.

La radio accesa

trasmette un concerto.

Sarebbe stata

una delle tante, possibili

belle serate

se ti avessi cercato prima

senza aspettare tanto.

Ed ora posso

solo sognare,

mentre sola

su questa poltrona

leggo un libro e ascolto

la radio che trasmette

la bella

Sinfonia in do di Bizet

suonata

forse con te fra i violinisti

dall’Academy of St.Martin-in-the-Fields

diretta da Neville Marriner.

Mariagina Bonciani Milano

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.6

Dalla Fontana della Vergine

alla Terrazza di David LE AMOROSE

SENTINELLE DEL GIORDANO Appunti a braccio dalla Terrasanta

di Rossano Onano

ER vincere la paura di volare, Emy

sussurrava: “Se l'aereo cade, almeno

moriamo insieme”. A bordo, il servi-

zio è stato inappuntabile.

26.12.2013

“Togliti i calzari, perché questa che cammi-

ni è una terra santa”. Gabi ricorda la frase di

Dio a Mosè, e spiega: “In questa terra biso-

gna lasciare qualcosa!”. Non è, forse, che in-

vece bisogna prendere qualcosa? Sarà che l'

Occidente è predatore.

Gabi è arabo, israeliano e cristiano. Riesce a

convivere con tre culture e tre religioni. Co-

me tutti i sinottici, quando spiega è ridondan-

te. Il suo sincretismo è a volte curioso, ma af-

fascinante 1.

Emy, in aereo, è stata molto brava.

Il paesaggio, da Tel Aviv a Nazareth, è un

insieme di dune verdi e bianche. Calcare e

case a 2 massimo 3 piani, dal medesimo dise-

gno architettonico. Sembra ci sia la giusta mi-

sura fra rispetto dell'ambiente, e rispetto dell'

uomo.

27.12.2013

Nazareth, Chiesa della Fontana della Vergi-

ne. Passa per il cortile un prete greco- orto-

dosso. “Mi fa spavento”, dice una vecchietta

del gruppo, con ciò intendendo che la corpo-

ratura e la barba e il costume con copricapo

rigido e buio le incutono soggezione, quasi

riverenza. In effetti, il nostro bravo Don An-

tonio, per l'età e qualcosa di fanciullesco,

soggezione ne fa poca.

La Chiesa è costruita sull'antica sorgente,

ove la Madonna raccoglieva l'acqua. Dove ha

conosciuto Giuseppe. L'idea che l'angelo ab-

bia dato l'annuncio alla fontana, anziché fare

irruzione nella camera di una vergine, mi

sembra molto poetica. Gli ortodossi greci se

ne sono appropriati.

Il Monte Tabor è memorabile solo per il

vento che lo batte. E per l'architetto italiano

che ha disegnato la memorabile chiesa. E'

bello sapere che anche noi abbiamo fatto

qualcosa di biblico.

Il resto è poco convincente. Come del resto

l'episodio della Trasfigurazione, con Gesù che

parla di soppiatto con Mosè ed Elia, e dice

agli apostoli: “Non spargete la voce in giro”.

Fino ad ora, il vero incontro è stato con S.

Giuseppe, alla Chiesa della Nutrizione. Capi-

sco la venerazione di Padre Uccelli per Giu-

seppe: è un grande santo, senza trasfigurazio-

ni spettacolari, silenzioso 2.

Soprattutto meravigliosi sono gli ulivi.

“Può venire qualcosa di buono da Naza-

reth?” “Quando tu eri sotto l'albero di fico, io

già ti conoscevo”. Questo fatto fra Natanaele

e Gesù mi era ignoto, andrò a rivederlo. Gesù

sa usare l'inespresso: scrive sulla sabbia e

cancella, parla a tutti perché uno solo capisca.

A cena ho chiesto a Emy se fosse il caso di

risposarci. Emy è persona soave ma pratica:

“Lo sai che queste cerimonie non mi sono

mai piaciute” 3.

28.12.2013

Con qualche difficoltà trovo in Giovanni l'

episodio di Natanaele. “Sotto l'albero di fichi”

mi evoca qualcosa di torbido o sconveniente.

Invece, Gesù annota: “Ecco un israelita che

non dice il falso”. Sotto l'albero di fichi Nata-

naele ha detto qualche verità.

Il lago di Tiberiade e il Monte delle Beati-

P

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.7

tudini, o pianura che dir si voglia a seconda

dei punti di vista. Il Monte delle Beatitudini è

pianura per i monti circostanti, e monte benché

minimo per la depressione su cui si stende il

lago. Il più pacifico che io abbia mai visto.

Le Beatitudini, pronunciate durante la Mes-

sa da campo sul Monte, non mi hanno fatto

particolare impressione. Colpa della folla.

Sono un animale che ha bisogno di solitudine,

per pensare. Sarà anche che il giardino che

circonda la Guest House è trasformato in un

luogo di bellezza agricola artificiale, cachi

banani manghi e altre faccende tropicali.

Troppa grazia, rispetto a: Beati i poveri. Però

sono io che cerco la coerenza. La vita non

bada a queste cose.

Il Tempio della Moltiplicazione dei pani e

dei pesci è tenuto dai Benedettini tedeschi.

Nessuna giardineria, cartelli che invitano al

silenzio rispettoso, disatteso dai visitatori in

comitiva. Una comitiva giapponese canta sul

cortile una laude in latino4. E' straordinario

come i Giapponesi possano essere così nume-

rosi in un luogo così estraneo alla loro cultu-

ra, per giunta cantando in latino. All'interno i

Benedettini tedeschi riscoprono le icone bi-

zantine e proteggono il pavimento a mosaico.

Il pavimento a me sembra romano, per il di-

segno d'animali. A chi spetti l'esecuzione, non

so. Gabi, sulle nozioni storiche, è abbastanza

approssimativo. Sulle spiegazioni teologiche,

Emy dice di lui: “E' uno che aggiusta un po'”.

Sul Lago di Tiberiade pilota ed equipaggio

issano bandiera italiana sulla barca, invitano a

cantare l'Inno di Mameli. Immagino facciano

la stessa cosa per qualsiasi nazionalità, ma la

loro gioia è sincera, molto entusiasmo da loro

a noi, e da noi a loro. Più canterini e ballerini

gli anziani, rispetto ai giovani telefonofili.

Gesù è un buon affare per tutti. Tre milioni

di turisti l'anno, su una popolazione di otto,

garantisce un reddito pro capite discreto, da

addebitare esclusivamente al turismo.

Infatti, Sacellum primatus Sancti Petri. Un

solo francescano come custode, di indefinita

nazionalità perché silenzioso. Sa che a spie-

gare pensano le guide turistiche, non intral-

ciare i lavori. Bisogna ammettere che i reli-

giosi di ogni sito non approfittano affatto per

incassare con questue santini artigianato voti-

vo eccetera. Gabi spiega: “Perché Pietro è

scelto come capo degli apostoli da Cristo, no-

nostante sia persona di scarsa fede, che moz-

za le orecchie ai soldati, che tradisce al canto

del Gallo? Perché è umile. Riconosce Gesù,

sulla riva di Tiberiade, e si rivolge a lui spo-

gliandosi delle sue sicurezze”5. Sarà. Fatto è

che Giovanni racconta di Pietro che dice agli

altri: “Io vado a pescare”. Pietro non chiede il

permesso, comanda lui. Pietro è già un leader,

Gesù lo sceglie come leader per questo. Gesù

è persona pratica, ci mancherebbe.

Cafarnao, unico luogo archeologico vero

visitato fino ad ora. Merito di due francescani

italiani, studiosi di archeologia biblica. I

Francescani fiutano il posto, lo comprano,

scavano. Trovano la Sinagoga del V secolo,

costruzione bizantina con il candelabro a sette

braccia sopra un capitello. I Cristiani del V

secolo consentono quindi agli Ebrei di costru-

ire una grande Sinagoga. Che sorge del resto

sulle rovine della Sinagoga del I secolo, fatta

edificare da un centurione romano. E' conso-

lante sapere che i Cristiani dell'epoca siano

stati tolleranti e generosi.

Gesù, scappato da Nazareth dove i cittadini

volevano ucciderlo, si rifugia a Cafarnao. Qui

compare in pubblico dicendo: Io sono il pane,

chi non mangia di questo pane eccetera. In

cinquemila fra gli ascoltatori scappano, ad a-

scoltare restano in dodici, che diventano gli

apostoli. Pietro, a proposito di leadership,

parla per tutti: Va beh, noi restiamo. Non so-

no convinti, ma vogliono credere. La fede

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.8

come atto volitivo. Credo quia absurdum,

credo sia Tertulliano. Mai nominato fra i filo-

sofi o i padri della Chiesa. Ingiustamente.

29.12.2013

Sabato sera dopo cena, Messa con rosario

nella Chiesa dell'Annunciazione. Il rosario in

3 lingue, una delle quali l'italiano per via dei

Francescani custodi del luogo. La funzione in

latino, unica vera lingua internazionale, al-

meno in liturgia. La cadenza del latino ha

qualcosa di solennemente logico. L'ho odiato,

da studente, per via dell'ampollosità di Cice-

rone. Il latino medioevale, barbarico e forte, è

stato un amore successivo.

Gerico ha due primati: la città più bassa del

mondo, - 400 m, questo primato è sicuro.

L'altro, incerto: sarebbe in lizza con poche al-

tre per essere considerata la città più antica

del mondo, resti di 10.000 anni fa, mattoni

polverizzati che formano colline artificiali6.

Nelle botteghe, datteri buonissimi. I commer-

cianti tengono aperti i bagni, così da attirare

clienti. Diversamente dai nostri, che allonta-

nano i clienti tenendo chiusi i bagni.

Vox clamans in deserto. Ho sempre pensa-

to: voce di chi parla e non è ascoltato. Invece,

il deserto è il luogo dove Dio parla all'uomo;

oppure, dove l'uomo parla a se stesso7. Vox

clamans in deserto: voce prepotente, voce

d'amore. Gerico nel deserto. Con quattro sor-

genti d'acqua, era impossibile non passare da

e per Gerico.

Il Giordano. Tutti l'hanno trovato piccolino.

Io più grande. Questione di aspettative. Sol-

dato giordano sulla riva sinistra, soldatessa i-

sraeliana sulla riva destra. La soldatessa è una

bella figliola. Possono sorridersi, soldato e

soldatessa, nei momenti contrassegnati dall'

assenza di turisti8.

Gerico, Monte delle Tentazioni e Mar Mor-

to sono la voce che declama nel deserto. Sulle

rive del Mar Morto, in costume da bagno in

dicembre, le donne guardavano il mare inna-

turalmente silenziose. Il bagno turistico è ret-

to da palestinesi. Tutti quelli incontrati fino ad

ora sono persone gentili, sembra abbiano tutti

un'ottima predisposizione per gli affari. La

faccenda “qui non si fanno sconti”, in uso fra

i mercanti occidentali, qui non esiste. Il com-

merciante dice: “dieci”. Tu rispondi: “cinque”.

Alla fine, se non è la via di mezzo, molto facile

che sia “cinque”, segno che va bene così. Nelle

“Mille e una notte” colpisce una frase, riferita a

tutti i mercanti raccontati da Shahrazad: “aveva

imparato l'arte di vendere e comprare”. L'arte

del commercio è contrattazione. Come in poli-

tica. Peccato che in politica i Palestinesi non

siano così evoluti come in commercio. La

controparte, del resto, non scherza.

Qumran è uno dei luoghi più suggestivi che

io abbia mai visto. Ma i Rotoli del Mar Morto

sono stati liquidati un po' alla sveltina. A Gabi

gli Esseni non sono simpatici9.

La Messa nel deserto offre uno scenario

troppo suggestivo per essere sincero. “Libe-

riore spectaculo permotus, in me ipsum inte-

riores oculos reflexi”. Ma quello era Petrarca.

Incredibile come tutti quanti guardino le dune

nel deserto e rivolgano a sé gli occhi interiori.

Bisogna essere molto romantici, oppure ab-

bastanza isterici. Don Antonio ha celebrato

Messa con appunto il deserto sullo sfondo.

Era, lui sì, trasfigurato. A fine Messa, un

bambino astuto gli si è avvicinato per offrire

la sua mercanzia. Il Don ha aperto il borselli-

no per dare del suo, non so se abbia preso

qualcosa. L'ho ammirato molto.

E' triste, in fondo, non potersi permettere

un'icona bizantina originale, antica.

30.12.2013

Splendida l'Icona della Natività, nel Tempio

di Betlemme, accanto alla porta che conduce

alla Grotta. Fasulla, secondo il palestinese

guida di Nazareth. Sembra di capire che fra

Nazareth e Betlemme esista una certa rivalità,

quanto a importanza cristologica. Comunque,

l'icona bizantina raffigura Madonna Giuseppe

e Cristo in fasce, di fronte alla grotta. L'aper-

tura di questa grotta, spiega Gabi, assomiglia

all'apertura della grotta del Sepolcro. A me

sembra che assomigli all'imene lacerato di

una vergine. L'artista bizantino non poteva

usare coscientemente una simbologia così e-

spressiva. Inconsciamente, però, sì. Se l'ime-

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.9

ne di Maria rimane vergine, a lacerarsi è stato

il velo del mondo, squarciato dall'avvento del

piccolo Salvatore.

Le donne hanno trovato più affascinante

una leggenda bizantina, per la precisione rus-

sa. Una colonna della navata maggiore con-

serva tre buchi a forma di croce. Si tratta delle

dita della Madonna che, colta dalle doglie del

parto, si è appoggiata alla colonna, lasciando

il segno delle sue dita. Il segno prefigura il

destino del Figlio.

Lo Status Quo deciso dopo la guerra di

Crimea ha svantaggiato gli Ortodossi Armeni,

che nella guerra specifica non hanno avuto

peso. Capisco i cazzotti che qualche volta vo-

lano fra Armeni e Greci Ortodossi, sostenuti a

suo tempo dallo Zar di Russia in persona.

Fossi armeno, ci starei male anch'io nel vede-

re che i Greci hanno la gestione esclusiva

dell'Altare Maggiore. I Francescani, silenziosi

e discreti, non fanno a cazzotti con nessuno, e

gestiscono i piani inferiori10.

A otto Km da Betlemme c'è il sito dell'an-

nuncio degli angeli ai pastori. I pastori in quel

luogo si sono svegliati; io ho avuto la tenta-

zione di addormentarmi, la tensione del viag-

gio si sta allentando. Ho resistito al sonno con

molta buona volontà11.

Giovanni Battista in prigione manda a dire

a Gesù: “Sei tu quello che aspettiamo, o dob-

biamo aspettare un altro?” E' assalito dal

dubbio, sottinteso: che Messia sei, visto che

io sono in carcere? Gesù risponde con una ci-

tazione, mi sembra di ricordare di Isaia, dove

si parla di prigionieri che saranno liberati. O

Gesù sbaglia previsione, oppure profetizza la

liberazione di Giovanni tramite decollazione.

Nella Chiesa di S. Giovanni Battista l'archi-

tetto francescano Barluzzi (da verificare il

nome, cercare notizie biografiche) si fa affre-

scare ai piedi della Vergine, fra la folla orante,

abiti moderni e volto rivolto verso il pubbli-

co. Rinascimento.

31.12.2013

Nella notte, dall'albergo si sono sentiti spa-

ri, botti, canti, urla. Tutti hanno sentito, io no.

Il vantaggio di essere ipoacusico. Anche, il

vantaggio di dormire il sonno dei giusti. Al

mattino ci hanno spiegato che Israele ha libe-

rato alcuni prigionieri politici palestinesi. Gli

spari erano quindi botti di gioia. E' interessan-

te vedere come, ignorando le cose, tragedia e

festa siano la stessa cosa.

Gerusalemme vista dal Monte degli Ulivi è

straordinaria. Nessun architetto superstar l'ha

finora rovinata. La Basilica dell'Agonia, buia

dentro per sintonia col dolore di Cristo, spetta

ancora a Barluzzi12. Una signora chiede:

“Dov'è la Mecca?”. Gabi non si scoraggia, e

continua a parlare di Cristo, con grande fer-

vore.

La Tomba della Madonna è una bufala.

Laudi, Messa mattutina e Compieta tutti i

giorni, più devozioni e rosari improvvisati in

itinere, sono una razione francamente impro-

ponibile. Troppe pratiche devozionali di-

straggono dal dialogo con l'Altro.

Nel Santo Sepolcro Gabi rilegge il processo

a Gesù. Mi sorprende perché cita Tertulliano,

che aveva non dico santificato ma quasi Pon-

zio Pilato. Il Prefetto, in effetti, cerca in tutti i

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.10

modi di salvare Gesù, il quale si condanna da

solo non smentendo la voce che lo diceva Re

dei Giudei. La lettura di Tertulliano è sor-

prendente. E' lo stesso Tertulliano che impo-

sta il problema della fede con la formula

“credo quia absurdum”. Dal momento che è

assurdo, devo per forza esercitare la fede. La

fede come atto volitivo. Tertulliano è più mo-

derno di noi, che la faccenda del rapporto fra

fede e ragione non l'abbiamo ancora digerita.

Non so se Tertulliano sia Padre della Chiesa,

credo di no. Del resto, non è santo.

Il Tempio del Santo Sepolcro è sconcio o

sublime, a seconda della lettura che la fede (la

volontà) sceglie di esercitare. La cosa subli-

me, fra tutte: due monaci della Chiesa Etiope.

Il più vecchio seduto come in trono lungo il

passaggio dei fedeli. Guarda davanti a sé,

immobile, senza guardare nessuno. Gli Orto-

dossi invece si danno da fare. I Francescani

sono, al solito, presenti ma sobri.

1.1.2014

Festa di capodanno in albergo. Alla compie-

ta, dichiarazione collettiva di ringraziamento.

Assomiglia ai gruppi di autocoscienza in psi-

chiatria, dove ciascuno confessa le proprie

inquietudini. Qui, ciascuno ringrazia per ciò

che ha ottenuto da Dio. Bisogna ammettere

che funziona bene, ci si convince a vicenda

che il mondo è buono. Sonia, a compieta ul-

timata, si avvicina ad Emy e a me per ringra-

ziarci: “Mi commuovo ogni volta che vi vedo

andare così insieme, così d'accordo”. Deve

aver avuto problemi coi genitori. Oppure, o-

pinione di Emy, col moroso che le ha dato di-

spiaceri. Emy si è commossa, mi ha chiesto

poi per tre volte il nome della ragazza. La

memorizzazione dei nomi non è il suo forte.

Questa mattina, da solo, passeggiata fuori

dall'albergo, in attesa che gli altri si sveglias-

sero. Avevo bisogno di stare un po' da solo.

Al Muro del Pianto, ho provato più fastidio

che fascinazione. Troppa coreografia, troppi

pianti. Un uomo che piange è già faticoso da

reggere, un uomo che si sforza di piangere è

sconcio, una folla che fa finta di piangere una

cosa non sopportabile. I Giudei dicono di noi

le stesse cose, di fronte alle nostre coreografie

al Santo Sepolcro. E' il prezzo da pagare per l'

identità di gruppo. Da noi, è perfino in di-

scussione l'identità di genere, figuriamoci.

Da quel che ho capito, il Muro del Pianto

non è poi l'unica parte rimanente del Tempio,

come dicono i nostri media. Ma la parte occi-

dentale della spianata che sosteneva il Tem-

pio. Sulla via d'ingresso, prima del controllo,

una ragazza in veste lunga e rossa suona il vi-

olino, con la faccia rivolta al Muro13.

2.1.2014

Ultimo giorno. La stanchezza supera, or-

mai, la curiosità.

Tommaso detto Didimo non crede alla Re-

surrezione. Gesù: “Metti la mano nel mio co-

stato”. Lettura consueta: beati coloro che cre-

deranno senza vedere. Non è il messaggio

importante. Invece: per trovare Dio non bi-

sogna aspettare la sua rivelazione, ma mettere

il dito nel dolore del mondo. Altro che le pro-

cessioni rituali.

Non mangiare l'agnello nel latte di sua ma-

dre. Lettura ante Christum: non mangiare l'a-

gnello quando ancora beve il latte della ma-

dre. Dio ecologista. Lettura post Christum:

non mangiare le carni insieme al formaggio.

Troppe proteine, Dio igienista. In ogni caso,

Dio sa quel che dice, tu non sai perché lui lo

dice, ma lui sì.

Da S. Pietro in Gallicanto veduta della vec-

chia città di David. Case a terrazze degradanti

verso una conca centrale. Si capisce come

David, dalla sua terrazza, vedesse Betsabea

fare il bagno. Si capisce anche come Betsabe-

a, con la coda dell'occhio, vedesse di essere

osservata. L'amore di Dio per David suo ser-

vo è inspiegabile. Oppure spiegabile benissi-

mo: David è incontinente e ascetico, meschi-

no e valoroso, guerriero e poeta. David è tutto

fuorché ignavo, o monocorde.

Sole e caldo a gennaio, verso Tel Aviv. La

terra dove corre latte e miele, definizione

molto generosa. Dove converge la storia dei

secoli, del Figlio dell'Uomo, dell'uomo14.

Rossano Onano 1 - Gabi è la guida turistica. Come arabo, simpa-tizza per i Palestinesi; come israeliano, simpatizza

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.11

per i figli di David; come cristiano, simpatizza per

il dialogo, in ciò critico verso i Palestinesi e verso i

figli di David. Insomma, una personalità comples-sa.

2 - Padre Pietro Uccelli, missionario in Cina ai

primi del '900 e successivamente rettore a Vicenza della Missione Saveriana, usava dire che San Giu-

seppe fosse l'economo dell'Istituto. Quando i suoi

apostolini necessitavano di qualcosa, mettiamo di patate, metteva una patata ai piedi di una statuetta

di S. Giuseppe dicendo: “Pensaci tu”. Subito dopo,

garantiscono ancora i Padri Saveriani, arrivava in Istituto un camion carico di patate. Di Padre Uc-

celli è in corso il processo di beatificazione.

3 - Alludevo all'insana abitudine di celebrare da-vanti all'altare l'anniversario di matrimonio.

4 - I turisti giapponesi vestono all'europea. In ciò

differenziandosi dai turisti cinesi, che vestono all' americana.

5 - Nel Vangelo di Giovanni, Pietro taglia l' orec-

chio destro al servo del sommo sacerdote. Negli al-tri evangelisti l'episodio è citato, ma non attribuito

direttamente a Pietro. Quanto all' apparizione di Gesù, dopo la resurrezione sul lago di Tiberiade,

Giovanni garantisce che non sia stato Pietro a ri-

conoscere il Maestro, bensì “quel discepolo che Gesù amava”. Il quale si rivolse appunto a Pietro

dicendo: “E' il Signore!”.

6 - Anche un vecchio cammello, paziente, che porta in giro i turisti. Soprattutto i bambini ne sono affa-

scinati.

7 - Questione di temperamento. Rispetto alla sma-nia attuale per la compartecipazione corale, inau-

gurata dai Papa Boys, a me torna più produttiva la

tradizione monastica: il silenzio. 8 - Il Battista rimaneva assente dai miei pensieri,

sostituito da una fantasia laica: il soldato e la sol-

datessa, di opposta divisa, che amoreggiano fra lo-ro. La fantasia mi sembrava molto edificante.

9 - Ho provato a stuzzicarlo buttando lì un'ipotesi

avventurosa letta non ricordo dove: “Uno storico

dice che il Battista e Gesù fossero Esseni. “No!”,

ha risposto Gabi, infastidito.

10 - Il pellegrinaggio è stato preceduto e accompa-gnato da una raccomandazione insistente. Il relato-

re dell'Agenzia: “Non dite a nessuno: non sarebbe

meglio mettersi d'accordo?”. Don Antonio: “Non dite a nessuno: non sarebbe meglio mettersi d'ac-

cordo?” . Gabi: “Non dite a nessuno: non sarebbe

meglio mettersi d'accordo?”. Di fatto, nessuno di noi aveva intenzione di rivolgere una domanda si-

mile a chicchessia. Mentre trascrivo gli appunti è

in corso la ripresa delle ostilità, con bombarda-menti reciproci fra Striscia di Gaza e dintorni.

11 - Per la verità, mi ha sottratto al sonno la visio-

ne di una coppia indecente: un uomo anziano, però

vestito da giovane, affettuosamente accompagnato

da una badante giovane, però vestita da anziana. 12 - Ho verificato. Antonio Barluzzi (1884-1960)

apparteneva a una famiglia di architetti, che da di-

verse generazioni lavorava per il Vaticano. Seguì il fratello Giulio a Gerusalemme, dove questi aveva

l'incarico di progettare l'ospedale italiano. Non

trovo riscontro che fosse francescano, come vor-rebbe Gabi: era, questo sì, persona d'intensa spiri-

tualità, conduceva vita monastica e appartata. Ne-

gli ultimi anni di vita, perso un occhio durante un' operazione di cataratta, viveva nei conventi.

13 - Ho pensato al violinista di Chagall, a sua volta

ebreo. La cupa concentrazione della ragazza mi ha dissuaso dall'identificazione.

14 - In aeroporto, il militare addetto al controllo

dei bagagli mi chiedeva quale lingua io conoscessi, oltre all'inglese. “Latino!”, ho risposto. Così, per

vedere l'effetto che fa. “Oh, latino!”, ha commenta-

to il militare, con molto rispetto.

GAZA

Agosto, 2014

Designada por un dios

unilateral

Gaza se vuelve arena

y su gente es degollada

como corderos sin altar.

En cada bombardeo

una multitud se muere

sin la compasión del mundo.

Sin embargo, los niños palestinos

todavía alimientan el sueño

de algún día ser libres

en su propia tierra.

Teresinka Pereira USA

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

16.8,2014

Delrio assicura che il Governo non metterà

le mani nelle tasche degli Italiani. Questa

volta - precisa - se ci sarà bisogno, a pagare

sarà lo Stato. Alleluia! Alleluia! Ma, se non

noi, chi sarà mai, per Delrio, lo Stato?

Domenico Defelice

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.12

MARIO SANTAGOSTINI

Felicità senza soggetto di Giuseppe Leone

RA il ’60, qualcuno / parlava di ster-

minate domeniche. / L’Olona non era

stata / ricoperta. Si sentivano le radio /

da argine a argine. / L’odore dell’acqua oleo-

sa di benzina / arrivava fino a uno, due isolati

/ più lontano. Anche allora, vapori d’agosto

nei cortili. / Pensavo: non amo me stesso, /

amo questi anni, / la loro felicità senza sog-

getto” (34).

Da questa breve poesia, che presta il titolo

alla raccolta di Mario Santagostini ( Felicità

senza soggetto, Lo Specchio Mondadori, Mi-

lano, 2014), è possibile ricavare quella che si

dice giusta chiave di lettura per interpretare

rettamente la condizione esistenziale dell’ au-

tore. Condizione tipica, a guardar bene, del

disagio di vivere dell’uomo d’oggi (il poeta),

“coinvolto in una sorta di sinistra mutazione

antropologica”, il quale, consapevole come

mai dei mali del proprio tempo, in testa l’ in-

quinamento, si sente condannato a vivere un

presente irrespirabile, che sopporta solo in

nome di generose utopie, in un groviglio di

contraddizioni che lo inducono a rinunciare al

sogno di una personale felicità in cambio di

un ideale storico più universale.

E quel che è peggio, senza una ragione

comprensibile, tanto che appare quasi assurdo

cercare spiegazioni della realtà come dell’ i-

deale. Lo avverte bene il poeta: “Ancora a-

desso, non mi è chiaro / quale disegno stava

/ dietro all’occupazione delle case / nei primi

anni Settanta. / E a tutte le forme di autoridu-

zione, / o d’esproprio” (10).

Evidente, in tutto questo, il peso della cul-

tura del novecento in genere, che Santagostini

non nasconde agli occhi indiscreti di critici e

lettori, citando i nomi di coloro che ebbe co-

me maestri: da Pascoli a Sereni, a Sironi, a

Hopper; e più segnatamente, della filosofia

materialistica, se scrive che il novecento gli

“ha insegnato / anche a pensare / a una se-

conda Milano. Con stadi, / casermoni con vite

operaie” (43).

Il libro è ricco d’immagini intrise di tristez-

za: “sono tornato a Cinisello… / un motocar-

ro scoperto portava via un cane” (38), oppure:

“La strada finiva nei campi. / Intorno, stavano

/ degli abiti logori, lasciati da chi era passato.

/ E sapevano di benzina” (38); ma anche di

dolente e amara riflessione, come l’opinione

che la politica abbia ormai lasciato tutto, “an-

che le case / Gescal, il quartiere, Lenin” (13);

o l’idea che il futuro ci avrebbe riservato un

mondo senza il lavoro, dove “… i corpi / ci

sarebbero serviti a poco, / quasi niente” (9);

oppure, ancora, la speranza sulla fine della

circolazione delle merci, “… se il loro riciclo

/ non fosse l’ennesima, / rassegnata forma di

resurrezione” (11).

Non sono stilemi di un esercizio letterario

fine a se stesso, ma spie attendibili di una psi-

cologia tormentata, di una visione della vita

senza prospettive consolanti, in un luogo, per

di più, dove “anche la politica ha fallito” (45).

Dicono molto a tal riguardo i versi con cui si

chiude il libro: “Certo, qui una volta, si crea-

va / poi si è passati al vivere. / Adesso, aspet-

tiamo” (94).

Dicono molto, ma forse non tutto. E infatti

il poeta, in qualche verso prima, nota che o-

E

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.13

ra, a Cinisello come a Sesto, “l’aria è… /

buona solo per grilli”, e, al pensiero del mon-

do che ci attende, non si fa troppe illusioni. Si

convince che bisogna aspettare e, pur nel tra-

vaglio del vivere quotidiano, li studia e li giu-

dica in silenzio questi “ animali sciatti, e in

fuga da tutto”, adatti per quell’aria “povera d’

ozono” e attaccati, oltretutto, al “loro mondo

/ che se lo tengono stretto”.

Ripetere – d’accordo con quanto si legge

in una nota sulla seconda di copertina - che

Mario Santagostini ripercorra liberamente, in

questa silloge, “il tempo della sua formazio-

ne”, non nascondendo il richiamo della “mi-

steriosa forza della materia” che pure lo attra-

e, è dover ammettere che la sua ispirazione

nasca in un rapporto osmotico fra storia e

biografia, in una dialettica di spinta e contro-

spinta tra occultamento e svelamento. Da una

parte, un poeta che cede alla storia i suoi dirit-

ti d’autore disconoscendone la paternità delle

proprie azioni; dall’altra un poeta, che facen-

do i conti col Novecento, ora alle spalle,

giunge al suo incasso, si fa per dire, facendo

uso di parole come capitalismo, merci, co-

munismo, materia, case Gescal, case Aler.

Tutte parole che Leopardi avrebbe bandito

dalla sua “repubblica”, perché troppo legate

al reale, ma che non costituiscono un proble-

ma per Santagostini, consapevole, com’è, che

le urgenze della poesia odierna sono di tutt’

altra natura. Sono quelle legate all’ interpre-

tazione del cumulo di macerie che il capitali-

smo ha innalzato ovunque fino al cielo e che

richiedono al poeta capacità d’inventario e

nuovi lessemi perché sia in grado ora di “de-

stare i morti” e “riconnettere i frantumi”:

“Dalle ossa - egli dice - non capisco se è stato

/ una tortora caduta / oppure era un coniglio

femmina. / se volava, non volava. / O se un

miracolo/ ha voluto che fosse tortora / e coni-

glio, insieme. / Che passasse due vite” (93).

Un rebus, ma solo apparente, dal quale il poe-

ta, novello angelo della storia costretto a

guardare il mondo col viso rivolto al passato

mentre corre inarrestabilmente verso il futuro,

presto se ne esce, intitolando Postcreatura l’

ultima sezione del libro, una parola con la

quale può definire questa “nuova umanità”

frutto di ibridismo e contaminazione. Defini-

zione, oltretutto, di forte valenza simbolica

che sembrerebbe rimandare, per contrasto,

anche a Ungaretti, tanto a quella sua lirica

Come una creatura, quanto alla sua opera più

in generale concepita nel segno della “poesia

pura”, verso la quale il poeta, ora, non fa tra-

pelare alcun sentimento di nostalgia. Ne

prende, anzi, le distanze, perorando, con lo

stesso calore di Petrarca in confessione da-

vanti a Sant’Agostino, le ragioni della propria

ispirazione: “Ho amato la materia come un

mio simile / e continuo a farlo. / Poi, un crea-

re onnivoro / e sfasato m’ha portato qui, / do-

ve anche Dio esiste” (92). Non idealizza, solo

mette a nudo, qualora ce ne siano state, le sue

debolezze, rivelando che la sua poesia è stata,

in fondo, speculare alla realtà politica quale è

venuta manifestandosi fino ai nostri giorni.

“Qual meraviglia”, sembra volerci dire il poe-

ta, se il mio canto s’è prestato a tanto?

Giuseppe Leone Mario Santagostini - Felicità senza soggetto - Mon-

dadori, Lo Specchio, Milano, 2014, € 17,00. Pp.

112.

RODOLFO LEIRO

1921-2014

"Vivir es caminar hacia la muerte"

Rodolfo Leiro

Fue amigo cierto

tanto para el dolor

como para un pedazo

de alegría.

Lloro su muerte

sin lágrimas,

gritando adentro

para que el recuerdo

sirva de consuelo.

Rodolfo Leiro, te mando

una rosa fresca y viva

para celebrar tu victoria

al final del camino,

de la batalla honrada,

de la magia de tu poesía.

Teresinka Pereira

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.14

UN BREVE RICORDO DI

MARIA LUISA SPAZIANI di Luigi De Rosa

L 30 giugno 2014, a Roma, è mancata

Maria Luisa Spaziani, nota poetessa , va-

lente francesista e traduttrice, già docente

all'Università di Messina, e con una carriera

letteraria particolarmente brillante.

Era nata a Torino il 7 dicembre 1922 da

una famiglia agiata (il padre era un industria-

le) e fin da studentessa aveva fatto centro

nell'ambiente letterario dirigendo una piccola

rivista (Il Girasole, poi Il Dado) sulla quale

aveva pubblicato anche inediti di Penna, Sini-

sgalli, Pratolini, Saba... A 27 anni poi, nel

1949, aveva conosciuto Eugenio Montale,

che allora aveva 53 anni, e ne era nata un'af-

fettuosa amicizia, e un sodalizio letterario.

Nel 1956 il tracollo dell'azienda paterna l'a-

veva costretta a trovarsi un lavoro, e aveva

cominciato col fare l'insegnante in un Colle-

gio di Torino. Un giorno sarebbe arrivata alla

cattedra di Letteratura francese all'Università

di Messina...

Quando si è spenta aveva poco più di 91

anni, ma fino all'ultimo ha conservato in pub-

blico quel piglio simpaticamente battagliero e

giovanile che per tanti anni l'ha contraddistin-

ta, “mascherando” l'età reale non solo “to-

gliendosi” alcuni anni, ma anche con lo spiri-

to, il trucco, la squisita eleganza, soprattutto

con lo slancio del cuore tra il “fanciullesco” e

l'”astuto” (era pur stata un giorno, per Monta-

le, la “volpe”, e continuava ad usare, per la

corrispondenza, anche cartoline con l'imma-

gine di una superba volpe …).

Si è addormentata nella sua casa di Roma,

lasciando una figlia, Oriana, e una sorella,

Bianca. I funerali si sono svolti nella Chiesa

degli Artisti, a piazza del Popolo.

Per parlare dei suoi libri di poesie occorre-

rebbero altri libri (o quanto meno un Saggio

molto lungo e particolarmente approfondito)

ma qui non si possono non ricordare almeno

alcuni titoli : Primavera a Parigi (All'insegna

del pesce d'oro, 1954), Le acque del sabato

(Arnoldo Mondadori Editore, 1954), Luna

lombarda (Neri Pozza, 1959), Utilità della

memoria (Mondadori 1966), ed altri libri tutti

editi da Mondadori, quali L'occhio del ciclone

(1970), Transito con catene (1977), Poesie

(1979), Geometria del disordine (1981, Pre-

mio Viareggio), La stella del libero arbitrio

(1986), I fasti dell'ortica (1996), La traversa-

ta dell'oasi (2002), La luna è già alta (2006).

Numerosi altri libri di poesie sono stati pub-

blicati da Editori diversi (Crocetti, Pironti,

etc.).

Così come anche da altri Editori (Feltrinelli,

Einaudi, Bompiani, Garzanti, etc.) sono state

pubblicate sue pregiate Traduzioni.

La Spaziani ha continuato a scrivere fino

all'ultimo, instancabilmente. Perché se è vero

che la sua ultima raccolta di versi, L'incrocio

delle mediane, era uscita nel 2009, edita dalla

genovese San Marco dei Giustiniani, è pur

vero che stava portando a termine un'altra sil-

loge.

Ricordo che negli ultimi anni (dal 2005/

2006 in poi) aveva desiderato intensamente

di poter vedere tutta la propria produzione

poetica raccolta in uno dei preziosi Meri-

diani della Mondadori. Non pensava alla

morte, non la considerava più di tanto; nelle

sue poesie c'era piuttosto il trionfo della Vi-

ta, anzi della Bellezza nella vita. Però vole-

va provare la gioia di vedere finalmente

riuniti i propri scritti, soprattutto le proprie

poesie, in un unico volume, a partire dalla

citata silloge Le acque del Sabato, che ave-

I

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.15

va visto la luce nel lontano 1954. Questo

Meridiano è poi uscito, nel 2012, intitolato

L'opera poetica e curato criticamente da Pao-

lo Lagazzi. Mi ricordo che un giorno, alle so-

glie del Duemila, lei mi aveva detto “ Se scri-

vi al dottor Riccardi, salutamelo e ricordagli

anche tu che sto sempre aspettando di vedere

il mio Meridiano...” Non so proprio perché

mi chiedesse questa cosa, lei che aveva già

pubblicato tanto con Mondadori, e che non

aveva bisogno di chiedere niente a nessuno,

tanto meno a me che di fronte a lei ero prati-

camente nessuno (pur non essendo più un e-

sordiente, poiché avevo cominciato nel 1952,

ancora da studente, per poi pubblicare una

raccolta di poesie nel 1969 con un giudizio di

Diego Valeri , un'altra raccolta con prefazio-

ne di Giorgio Barberi Squarotti, e così via ne-

gli anni...). Eppure insistette, io scrissi al

“pezzo grosso” Riccardi, alla Mondadori,

“approfittando”...della situazione per man-

dargli in esame un mio libro di versi dattilo-

scritto, “Approdo in Liguria”. Riccardi mi ri-

spose con una bella lettera, garbatissima, lodò

la mia silloge e la mia poesia, ma infiorò la

risposta negativa dicendo che, per problemi

di programmazione editoriale della Monda-

dori, avrei potuto risolvere meglio il mio pro-

blema con un editore di... medio calibro. Cre-

do di sapere il nome del poeta che aveva op-

posto il pollice verso al mio manoscritto, ma

devo dire anche che non me ne importò nulla,

non ne feci assolutamente un dramma, anche

perché da molto tempo avevo capito come

funziona il “misterioso” mondo della Grande

Editoria commerciale nei confronti della stra-

grande maggioranza dei poeti contemporanei.

Ma qui il discorso ci porterebbe lontano.

Mentre la Spaziani avrebbe visto il suo so-

gno coronato dopo un'altra attesa di alcuni

anni, al mio libretto provvide parzialmente

lei, nel senso che, nella sua casa di Roma, ne

scrisse la prefazione. Il libro sarebbe uscito

nel 2006, per i tipi dell'ottimo Sandro Gros

Pietro, cioè per la Genesi Editrice di Torino

(risultando poi talmente fortunato da vincere

diversi Premi Letterari). La prefazione della

Spaziani, mi permetto di ricordare, comincia-

va così : “ Alla poesia di Luigi De Rosa au-

guro che nel tempo continuino le discussioni

avvenute a casa mia fra cinque o sei amici –

tutti allievi delle Muse, come si diceva un

tempo – che avevano visto su un tavolo una

sua raccolta di poesie fresche di stampa in

seconda edizione, Il volto di lei durante. Se-

condo la grammatica come si doveva leggere

quel titolo ? Si trattava di un volto duraturo ?

O a durare era tutta “lei”? Oppure voleva

dire: quel volto che splende, ahimè, per tutto

il tempo dell'amore, prima che “si stacchi la

spina”? Oppure ancora, in un gioco di ag-

gettivi e di avverbi, si trattava di un'allusione

assolutamente maliziosa, affidata a una delle

forzature o violenze o troncamenti espressivi

cui è giunta tanta poesia, prose e titoli degli

ultimi decenni come “ Un paese senza” di Ar-

basino...Non so se quella sera si sia giunti a

qualche conclusione, né saprei dire quale

preferisce l'autore, né se ce lo spieghi in un'

edizione recente , del 2005, della sua raccolta

del '90. Non è una curiosità di superficie,

perché quel bellissimo titolo ha la moderna

grazia dell'ambiguo e dello sfumato. Nel frat-

tempo l'autore ha scritto molto, in poesia e in

prosa, ha avuto importanti riconoscimenti, e

ora dà alle stampe le quarantasei poesie di

Approdo in Liguria...”. Tutto questo l'ho ri-

cordato semplicemente per tentare di dimo-

strare di che pasta fosse la Spaziani nelle sue

puntualizzazioni di poesia, e di poesia d'amo-

re per giunta. E di come attribuisse immenso

valore alla poesia e a chi la coltiva, e di come

nutrisse fiducia assoluta nell'arte. Un giorno

arrivò a dirmi che, nell'entusiasmo creativo,

era arrivata a scrivere diverse poesie nella

stessa giornata. Al che io ribattei che no, forse

una, non di più, e naturalmente non ogni

giorno. Al che lei aveva aggiunto stupita che

magari, di liriche, ne aveva scritte anche dieci

in un giorno, ma poi nessuna per una settima-

na...

Ricordo che la poetessa Spaziani l'avevo

conosciuta di persona a Bergamo, alla fine

degli Anni Novanta, in occasione di un im-

portante Convegno Nazionale sulla Poesia

organizzato presso l'Università di Bergamo

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.16

dal Cenacolo Orobico di Poesia (di cui allora

facevo parte, e che era allora presieduto da un

simpatico Docente di quell'Università, Gian-

franco Gambarelli, autore di un libro uscito

da Campanotto col titolo Anche i matematici

hanno un'anima ?). La poetessa era alloggiata

in un elegante albergo della Città Alta e, nelle

pause del Convegno, facevamo continue di-

scussioni sul fare oggi poesia, e sul ruolo del-

la Letteratura in questo mondo globalizzato

(e, per buona parte, disastrato). E lei, nono-

stante la non più verde età, era instancabile

nelle puntualizzazioni su questo o quel poeta,

su questo o quel movimento. In ogni caso,

guai a toccarle Montale (per il quale ha fon-

dato anche un Premio Letterario ed una Uni-

versitas Montaliana, con largo spazio per i

poeti giovani).

Il momento...critico veniva quando biso-

gnava alzarsi dalla poltrona e fare un po' di

cammino per andare a riprendere i lavori alla

sede del Convegno. Allora si apriva in uno

dei suoi smaglianti sorrisi, accettava il mio

braccio e vi si affidava con rara eleganza

femminile. Camminavamo così, lentamente,

nella solenne bellezza della Città Alta, e il

tempo sembrava, per me, essersi fermato.

Quando giungevamo nella severa aula uni-

versitaria, gremita di studenti pronti ad ascol-

tarla senza fiatare, lei si trasformava, e nella

declamazione dei propri versi dava fondo a

tutte le sue energie. Specialmente quando

parlava d'amore, suo argomento poetico pre-

ferito, si accendeva tutta.

Negli anni successivi l'ho rivista anche in

Liguria, a pochi chilometri dalla mia Rapallo,

e precisamente in occasione del Premio lette-

rario Maestrale, organizzato a Sestri Levante

(Genova) da Alberto Dell'Aquila (presidente,

allora, del Salotto Letterario San Marco).

Era sempre piena di vita, di curiosità, di

amore per la poesia.. Ricordava in pubblico

anche le “rose” liguri delle mie poesie, la ro-

sa rosa nel vento di gennaio, la rosa bianca

nel sole di febbraio...”Le rose di De Rosa !”

esclamava ridendo. E io ringraziavo, facendo-

le un...baciamano che in certi casi non sembra

démodé, nonostante i tempi che corrono.

Desidero ricordarla, infine, con una SUA

bellissima poesia dedicata proprio a una rosa,

al simbolo della bellezza fascinosa e precaria

che ci allieta prima che il mistero della morte

ci ghermisca. Qui c'è tutta la Spaziani. Fra il

mistero dell'origine e quello dell'eternità, in

mezzo, la Bellezza e l'Amore.

“Una rosa che sboccia

Ibernati, incoscienti, inesistenti

proveniamo da infiniti deserti.

Fra poco altri infiniti ci apriranno

ali voraci per l'eternità.

Ma qui ora c'è l'oasi, catena

di delizie e tormenti. Le stagioni

colorate ci avvolgono, le mani

amate ci accarezzano.

Un punto infinitesimo nel vortice

che cieco ci avviluppa. C'è la musica

(altrove sconosciuta) c'è il miracolo

della rosa che sboccia, e c'è il mio cuore.”

Luigi De Rosa

Il CANTO DELL’AMOR

J’aime darti un beso

lo so molto bene ότι σου αρέσω.

Vorrei diariamente chiamarti,

j’ai la pasión de parlarti.

Amore amore, dammi un bacione,

sulla bocca mia, ho trovato la vera ευτυχία!

I would like to give you un fiore.

Cuando no te veo me siento dolore.

Έχω για σένα αισθήματα πολλά,

desidererei fare con te πράγματα τρελά.

Amore amore, dammi un bacione

sulla bocca mia, το φιλί σου είναι αμαρτία!

Είσαι il mio grande amore.

Notre amor puó diventare superiore.

Όταν δεν με κοιτάς βαθιά στα μάτια,

il mio cuore γίνεται κομμάτια.

Amore amore dammi un bacione,

sulla bocca mia, το κορμί σου είναι αμαρτία!

Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.17

BRUNO ROMBI: IL VIAGGIO DELLA VITA

di Liliana Porro Andriuoli

’ apparso, per i tipi dell’Editrice “Le

Mani” di Recco (Genova) il libro ri-

capitolativo di tutta la produzione

poetica di Bruno Rombi, dal titolo Il viaggio

della vita, che subito si presenta come un li-

bro di molto rilievo dal momento che ci

consente di avere una visione panoramica di

un iter poetico che dura ormai da più di ses-

sant’anni e che ha dato frutti sicuramente

pregevoli per varietà e compiutezza.

Tale itinerario ha inizio (se si prescinde da

due plaquette di esordio, non antologizzate

dall’autore) con Canti per un’isola (1965),

un libro nel quale Rombi esprime tutta la

sua nostalgia per la Sardegna, la patria per-

duta, dalla quale partì giovanissimo per ap-

prodare a Genova, in cerca di fortuna. “Un

nulla è la magia del mio paese. / Solitudine

colora l’ esistenza” egli dice in Primavera e

in Morte del tempo soggiunge: “Ma, se an-

diamo lontano, / nostalgia ci conduce / sul

nostro mare”.

E’ questo però anche un libro di impegno

civile, dato che in esso è denunciata la triste

condizione che spinge i Sardi ad abbandona-

re la loro Terra per trovare altrove migliori

condizioni di vita: “I giovani se ne vanno /

ad ogni alba” (Autunno).

A Canti per un’Isola fece seguito nel 1975

Oltre la memoria, un libro nel quale ritorna

il tema dell’esilio in poesie come Alla mia

terra, ma nel quale la voce del Rombi si fa

più assorta e pacata: “Noi siamo / come fili

d’erba nel vento” (Noi siamo). E s’affaccia

qui per la prima volta in maniera diretta an-

che la tragica realtà della morte. Particolar-

mente toccante è In memoria del figlio Pao-

lo, una delle sue poesie più riuscite, scritta

in occasione della perdita di un figlio morto

al momento della nascita: “Quanto mi costa,

figlio, / questa tua morte / che si dilata nel

tempo / e dura ormai da giorni sconfinati”.

Venne poi Forse qualcosa (1980), un libro

dall’andamento poematico, nel quale il ver-

so tende ad assumere un movimento narrati-

vo, scritto dall’autore subito dopo un inter-

vento chirurgico il quale, sotto gli effetti

dell’anestesia, compie come un viaggio nell’

Aldilà, dove, attraverso varie avventure,

scopre alla fine Dio e “Il tempo del nostro

mutare nell’ immutabilità di Dio”. In verità

il contenuto della raccolta (“la summa di in-

tuizioni che mi hanno arrovellato negli anni,

tra contraddizioni ed errori”, come dice lo

stesso autore nel Post scriptum al libro) era

stato oggetto di lunghe meditazioni già in

epoca anteriore all’intervento, anche se la

sua stesura definitiva avvenne proprio in se-

guito ad esso.

Nello stesso anno (1980) Rombi pubblicò,

Enigmi animi, un libro di serrata sperimen-

tazione linguistica, specie per l’originale uso

di neologismi, quali “velopaco”, “oscuro-

lunghe”, “erbato”, “tramontalba”, “ombre-

pallide”, “ederati”, “zollati”, “mirtati”, “bril-

lucente”, ecc.; ma contemporaneamente un

libro in cui più prepotente si avverte l’ im-

pegno civile del nostro poeta, come appare

evidente sin dalla poesia introduttiva, Prei-

storia: “Nunc omnia dirada / il fumo

d’industrie / che fila un rito estraneo / ad

ogni nostro scongiuro”. Si vedano a tale

proposito anche Albe, quali? e Situazioni.

Ma in realtà questo libro è molto più com-

plesso di quanto possa a prima vista appari-

re, dal momento che nella stessa poesia epo-

nima troviamo alcuni delicati versi di stam-

po intimistico, dedicati alla moglie Rosalia

(“Amore, Rosalia, / … / Spero tu ignori per

sempre / i sentieri di fuoco / … / A separar-

mi dal consueto gioco / eccoti l’ombra di

uno sguardo”) e alla figlia Natalia (“Intro-

versa cadenza di parole / instauri, o figlia,

coi libri / muti alla tua solitudine”).

Come ho avuto infatti modo di chiarire al-

trove1, malgrado la complessità dei temi che

1 Liliana Porro Andriuoli, Poesia intimistica e civile

E

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.18

Bruno Rombi affronta nella sua poesia e la

varietà stilistica che li contraddistingue, due

possono considerarsi gli aspetti che meglio

lo caratterizzano come poeta: quello dell’

impegno civile e quello intimistico.

E nel filone intimistico si possono inqua-

drare i tre libri successivi, pervasi come so-

no dalla tristezza e dal rimpianto per la per-

dita delle persone care che ha privato il poe-

ta degli affetti più intensi, quello della ma-

dre e quello della moglie: L’attesa del tempo

(1983); Riti e Miti (1991) e Un amore

(1992).

L’attesa del tempo è da Rombi interamen-

te dedicato alla madre, con la quale egli sta-

bilisce un fitto colloquio in versi di ampio

respiro, che fanno assumere alla silloge un

andamento poematico: “Te ne sei andata con

l’ avvento della Primavera, / fiorita a nuova

vita serenamente, senza rumore, con discre-

zione. Ed il mistero è nostro, così come l’

amore che ci unisce più di prima, finalmente

puro, senza compromessi”.

Riti e Miti è invece suddiviso in due parti,

la prima delle quali (Riti) è dedicata alla

moglie da poco scomparsa: “Ed ora eccoci

soli / come cani randagi / per le strade del

mondo, / senza scopo la vita, / perché chi

colmava le ore / lunghe dell’esistenza / non

più ci sorride” (Ed ora eccoci soli).

Nella seconda parte del libro (Miti) Rombi

fa invece rivivere come fossero attuali alcu-

ne figure mitologiche in poesie quali Orfeo

oggi; Crono e gli uomini; Io, Pallante; A di-

spetto di Thànatos. Leggiamo l’incipit della

seconda di queste poesie: “Il Cielo non

s’accoppia più alla Terra / notturnamente / e

Crono divora tutti i figli / appena generati

dalla madre” (Crono e gli uomini), dove è

chiaro che il poeta ha lo sguardo rivolto sul

proprio tempo se la poesia così seguita: “In

giorni quali i nostri senza amore / temiamo

vendetta dal Padre / sempre più intorta / nel-

la scaglia di notte / che ci stringe”.

Il libro però nel quale Bruno Rombi si

in Bruno Rombi (Sabatelli, 1999).

confessa con maggiore immediatezza, rive-

lando appieno il suo animo è Un amore

(1992), interamente dedicato alla moglie

Rosa, che egli accoratamente rimpiange do-

po la sua scomparsa. La voce del poeta si fa

qui più lieve e sommessa nella piena del ri-

cordo, toccando le corde più fonde della sua

anima: “Ed ora come faccio senza te / a fare

lievitare una carezza / e ad accennare appe-

na a un solo bacio?” (VII); “Ecco ora un se-

gno / dell’esser tuo presente / alla mia vita /

nonostante tu sia molto lontana” (XII); “Ora

lentamente tu ti perdi / nel mio abbandono”

(XX); ecc.

Al versante prevalentemente intimistico fa

seguito quello del versante civile del libro

successivo, L’arcano universo (1995). E che

si tratti di una poesia civilmente impegnata

lo si scopre facilmente da testi quali Non più

il Calvario; Il girotondo che non amo; Sulla

piazza; Bimbi negati; ecc. Citiamo dalla

prima: “Non voglio risalire il Calvario / do-

ve si spense la gioia / del Cristo fratello / e

s’ accese l’appello alla vita / perché oggi la

vita non s’ama” e dalla terza: “Li vidi tutti

quanti sulla piazza / armati, e con corazza, /

i folli imperatori del momento”.

Altre poesie rivelano invece un evidente

ripiegamento interiore, come Un clown in

piazza, che così si chiude: “Un uomo solo

resta nella notte, / un uomo che resiste con

rancore / al logorìo d’un pianto quotidiano /

giammai esibito, sempre trasformato / in

lazzo acuto che gli rode il cuore”. Si vedano

anche a tale proposito altre poesie come E

poi piange; L’ oscura nemica; Il mio amore;

ecc.

S’incontrano però anche in questo libro

poesie estrose, ispirate dallo spirito faceto di

Bruno Rombi, portato talvolta a stupire per

la sua estroversa allegria, come A Pedro e

Garcia o Tamburi e trombe, che così inizia:

“Bandaradan, tamburi / cornamuse e tambu-

ri / tamburi e trombe”, ecc.

Venne poi Otto tempi per un presagio

(1998), un poemetto nel quale Bruno Rombi

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.19

riprende il tema del viaggio, che compie

partendo da un luogo concreto, i portici di

Sottoripa a Genova, per seguitarlo in un pa-

esaggio sempre più tormentato e irreale, nel

tentativo di pervenire ad un Eden dove, su-

perato ogni dissidio, divenga possibile rico-

struire su nuove basi l’umana convivenza:

“Ricomporremo senza dimensione / in pas-

sato, in presente e nel futuro, / il tempo del

non quando e del non dove: / l’Eden felice

del nostro nuovo incontro” (VIII).

Numerosi sono in questo poemetto i ri-

chiami della Commedia dantesca che ha e-

videntemente ispirato il nostro poeta; così

come le epigrafi che precedono ogni Canto

sono tratte dai Quattro Quartetti di Thomas

Stearns Eliot.

A Nivola, cantore della Madre mediterra-

nea (2001) è ancora un poemetto, nel quale

Rombi tesse le lodi di Costantino Nivola,

uno scultore sardo che ci ha dato opere di

indubbio valore, in particolare ispirandosi

all’ immagine della dea Madre, divinità co-

mune a molti popoli mediterranei. I versi del

Rombi ci offrono un’idea abbastanza precisa

del significato della sua opera.

Nuovamente ispirato al tema del viaggio è

Il battello fantasma (2001); e come sempre

accade in Bruno Rombi, questo viaggio di-

viene metafora della vita. I testi che formano

questo libro sono generalmente brevi, tranne

l’ultimo che costituisce un vero e proprio

poemetto, il quale dà anche il titolo al volu-

me. La silloge è percorsa da un sentimento

di rinnovata vitalità ed energia: “Così inizia

il viaggio / la mia avventura” (Io, mare); “Si

ridesta nell’anima l’attesa” (Mattina di feb-

braio); “Tre alberi sembrano d’oro / nel por-

to antico” (tre alberi); ecc. Ed è seguendo

“le rotte della speranza” che Rombi può

“trovare la forza” per “ricominciare / il vi-

aggio della vita”.

Tsunami (2005) è un nuovo poemetto

composto in occasione del maremoto del di-

cembre 2004, che portò morte e distruzione

sulle coste dei Paesi prospicienti l’Oceano

Indiano. Tale evento offre il destro a Rombi

per esprimere in versi tesi e vibranti il suo

pensiero sul mondo attuale, fondato sulla di-

suguaglianza e sullo sfruttamento dell’uomo

sull’ uomo. Un libro in altre parole di de-

nuncia civile.

Come il sale (2007) costituisce attualmen-

te l’ultimo libro2 di versi dell’Antologia, Il

viaggio della vita, di Bruno Rombi e ci ri-

propone il versante intimistico del nostro

poeta, non senza però alcuni momenti di au-

tentico sdegno civile, in testi quali Ho rac-

colto le belle parole o Il cielo aperto sull’

Irak, mentre momenti di schietto ripiega-

mento interiore sono costituiti da poesie

quali Il gioco con Dio e Amare a set-

tant’anni.

Terminata la lettura de Il viaggio della vita

ci si avvede di aver trovato un poeta certa-

mente valido e un uomo autentico, con i

suoi scatti d’ira e i suoi trasalimenti; i suoi

momenti di sdegno civile e i suoi ripiega-

menti sull’anima, ma sempre genuino nell’

espressione dei sentimenti e ognora dotato

di quell’estrosità e di quella capacità inven-

tiva che costituiscono le caratteristiche pe-

culiari della sua arte.

Liliana Porro Andriuoli

Bruno Rombi:IL VIAGGIO DELLA VITA (Edi-

zioni Le Mani, Recco, 2012, € 20,00).

2 Dopo il suo volume antologico, Bruno Rombi ha

scritto un poemetto intitolato La saison des Myste-

res, pubblicato n Francia nella traduzione di Moni-que Baccelli e con una Nota critica di André Ughet-

to. Tale poemetto costituisce una denuncia dei mali

del mondo moderno, che vengono da Rombi fusti-gati con violenza. Protagonisti ne sono il giovane e

il vecchio, che appaiono un po’ le controfigure di

Dante e Virgilio e che intraprendono un viaggio che porterà il giovane, attraverso una presa di coscienza

delle brutture che ci circondano, al loro superamen-

to e quindi alla salvezza. Il testo è scritto con un linguaggio elevato ed è ricco di riferimenti colti e di

elementi fortemente simbolici.

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.20

I BAMBINI TRA LE MACERIE

DEI BOMBARDAMENTI

GIOCANO ANCORA:

'LA TRILOGIA

DELLA GUERRA' DI ROBERTO ROSSELLINI

di Ilia Pedrina

L film, la sua sceneggiatura, le riprese, i

montaggi, i rifacimenti, i tagli. Il film

come prodotto finito profondamente pre-

parato ed atteso. Il film come testo e contesto

ripetibile nella sua completezza, là dove le

immagini e le scene, riprese da destra, da si-

nistra, dall'alto e da ogni altra possibile ango-

latura, intendono portare e riportare ancora,

dal passato al futuro, la testimonianza dello

sguardo che le ha legate ed avvolte insieme. Il

film come fenomeno che traccia gli eventi

nella loro cruda, schietta, quotidiana dinamica

di drammaticità. La 'Trilogia della guerra' di

Roberto Rossellini, testo edito da Cappelli nel

1972, contiene per la prima volta raccolti in-

sieme, tutti gli elementi che compongono la

sceneggiatura di 'Roma città aperta', sulla

quale Rossellini ha iniziato a lavorare nel

Gennaio 1945, incontrando difficoltà insor-

montabili per il reperimento delle pellicole e

quant'altro ed ora restaurato nel 2013 da Fon-

dazione Cineteca di Bologna: tutti ricordiamo

Anna Magnani che corre verso il suo innamo-

rato Francesco, catturato dai nazisti e viene

freddata dai colpi, così, sulla strada sotto gli

occhi del prete, un Aldo Fabrizi dolce e

drammatico ad un tempo, e del figlioletto,

con Romoletto e gli altri bambini, che ac-

compagnano la trama fino in fondo, fino a

quando osservano dietro la rete, in gruppo,

l'esecuzione di don Pietro. 'Paisà', del 1946,

strutturato in sei episodi, quasi volti differenti

di una stessa realtà italiana, quella legata al

territorio che passa da un occupante, in ritira-

ta, ad un controllo di truppe d'altro genere:

uno degli episodi riprende la vicenda del mili-

tare americano nero, ubriaco, che si fa guida-

re dal bambino che ha la fisarmonica a bocca

ed accompagna lui mentre canta un lento

blues. I bombardamenti, le esplosioni, le uc-

cisioni, per rappresaglia, per violenza di faida

e di intestino, per diritto d'odio sono parte in-

tegrante del discorso sulla nuova libertà, tema

ad incrocio di tanti lavori di Rossellini, che

anche con questa pellicola privilegia la spon-

taneità della relazione, quella vista dagli oc-

chi dei bambini, dei giovani delle ragazze che

s'innamorano, dei militari, dei partigiani e dei

fascisti. Dalla Sicilia su su fino a Napoli, a

Roma, a Firenze, lungo il Po. Si, quei bambi-

ni che presto, molto presto impareranno a ca-

pire e a sopravvivere. 'Germania anno zero',

del 1948, poesia della sofferenza provocata,

dettagliata in riprese indimenticabili, come

quando il ragazzetto, Edmund, dopo essere

stato rifiutato dagli altri coetanei che conti-

nuano a giocare a palla tra le macerie, ha il

cuore gonfio, attraversa strade e percorsi di

macerie, guarda in alto e ascolta il suono dell'

organo che proviene da una cattedrale e tutto

intorno segnala la violenza e la brutalità di

una distruzione che per ora è senza alternati-

ve, e che può essere testimonianza uguale e

ripetuta per tantissime città d'Europa. Ed-

mund, che ha una croce troppo pesante per le

sue fragili spalle, si sta dirigendo verso altri

stabili disabitati, in silenzio, lo sguardo dall'

alto su quel mondo distrutto. Sullo sfondo,

nel sonoro, il suo nome gridato da chi lo cer-

ca. Non tornerà più a casa perché sceglierà il

vuoto. Durante un'intervista reperibile su

'youtube' il regista si spiega e ritiene che il ci-

nema deve svolgere una funzione socialmente

utile, sul piano educativo e su quello della vi-

ta civile di relazione; quel cinema che nel suo

farsi esce dagli stabilimenti e si mette in azio-

I

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.21

ne lungo le strade, nelle piazze, negli interni

dei palazzi tra scale e ballatoi e stanze; quel

cinema che intende essere strumento nuovo

per dire la realtà, per interpretarla dal lato dei

fatti, degli eventi, delle circostanze e che dà ai

protagonisti un ruolo vero, indiscutibile, cia-

scuno osservato e ripreso secondo un inten-

dimento ben ragionato: poi le industrie del ci-

nema verranno ad impossessarsi anche di

queste modalità innovative, non paludate, ma

è con questi lavori che la strada viene aperta.

Sostiene Roberto Rossellini:

“...Quando faccio un film, per un certo perio-

do l'accompagno, sono capace, ma non per

tutti, di vederlo e di rivederlo quindici, venti,

volte, poi improvvisamente non ce la faccio

più neanche a guardarlo...quando c'è la proie-

zione di un mio film e mi invitano, io sto fuo-

ri nel corridoio ad aspettare. Non ho la forza

di vederlo, ed è ormai da tanti anni che non

vedo più né Roma, città aperta, né Paisà, né

Germania anno zero.... sono i sentimenti quo-

tidiani quelli che occupano di più il mio spiri-

to. Posso comunque non ricordarmi i film, ma

sono intimamente convinto che tra quelli e

tutta la mia attività successiva ci sia un lega-

me logico perché gli interessi che mi hanno

sempre animato sono strettamente connessi...

Lo sforzo che facevo era di prendere coscien-

za degli avvenimenti nei quali ero stato im-

merso, dai quali ero stato travolto. Era l'esplo-

razione non solo di fatti storici, ma proprio di

atteggiamenti, di comportamenti che quel cer-

to clima, quella certa situazione storica de terminavano. Anche allora sentivo il bisogno

di essere ben orientato a capire le cose; ecco,

questo è il punto, questo è quello che mi

muove ancora oggi: partire dal fenomeno ed

esplorarlo e far scaturire da questo liberamen-

te tutte quante le conseguenze, anche politi-

che; non sono mai partito dalle conseguenze e

non ho mai voluto dimostrare niente, ho volu-

to soltanto osservare, guardare obiettivamen-

te, moralmente, alla realtà e cercare di esplo-

rarla in modo che da essa scaturissero tanti

dati dai quali si potevano poi trarre certe con-

seguenze... E se ora mi fa piacere sapere che

vengono pubblicate le sceneggiature di Roma,

città aperta, Paisà, Germania anno zero non

credo sia un piacere né mondano né superfi-

ciale, ma perché, bene o male, mi sono sem-

pre battuto seriamente per le cose che facevo

e di conseguenza, a volte, ho sopportato il pe-

so di dure incomprensioni, ma non per questo

mi sono ritirato da quelli che erano i miei ide-

ali, quella che era la mia lotta, tutt'altro.”

(Roberto Rossellini: 'La trilogia della guer-

ra', Roma città aperta - Paisà - Germania

anno zero. Dal soggetto al film - collana ci-

nematografica - Ed. Cappelli, Bologna, 1972,

L'intelligenza del presente, pp. 13-15)

Questo testo consente di tenere tra le mani

elementi di un canto di sguardi tra amore che

è istinto a salvaguardia della continuità della

vita e tremore, terrore che è istinto di fuga

dalla morte provocata e che improvvisa scop-

pia da ogni lato: le immagini riportate servo-

no da filo e traccia che conduce ai momenti

dei film che ognuno di noi ha nella memoria

e che più hanno segnato la storia del cinema

italiano. E pagina dopo pagina si entra nel

tessuto connettivo del film che si sta co-

struendo, in fotogrammi, con indicazioni dei

numeri delle sequenze e delle modalità di ri-

presa che rinnovano l'interesse per questa de-

cifrazione senza intermediari. Un solo esem-

pio, da 'Roma città aperta'.

“662. P.P. La pistola viene puntata a sin. Sul

capo di Don Pietro e parte il colpo. 33 -1''9

663. M.F. I bambini abbassano la testa. Inizio

musica. 65-2''17

664. P.A. Don Pietro, la testa riversa, è morto.

Si avvicinano il prete e gli agenti, mentre il

plotone esce di c. a d. 114-4''18

665. P.P. Marcello, triste, china lo sguardo.

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.22

53-2''5

666. P.P. Altri bambini abbassano gli occhi

75-3''3

667. (come 664) I due agenti controllano se

Don Pietro è morto. Poi lo slegano 160-6''16

668. M.F. abb. Quasi tutti i bambini, di spalle,

cominciano ad allontanarsi dalla rete. 62-2''14

669. M.F. Solo Marcello e un altro ragazzo

sono rimasti accanto alla rete. L'altro ragazzo

abbraccia Marcello e si allontanano insieme,

di spalle, seguiti in pan. A sin. 219-9''3

Dissolvenza incrociata....” (R. Rossellini, op.

cit. pag. 114).

È il 1972 e il giorno 27 Dicembre gli ame-

ricani bombarderanno Hanoi, nel corso della

guerra del Vietnam: ho incisa nella mente l'

immagine della bambina vietnamita nuda che

corre disperata, il terrore negli occhi, o l'altra

dei soldati americani intorno ad un corpo di

bimbo steso a terra, uno di loro ha il coltello

in mano, la punta a contatto con la pelle di

quel giovane torace innocente. Luigi Nono

aveva già scritto tra il 1965 e il 1966, su testi

scelti da Giovanni Pirelli, 'La floresta é jovem

e cheja de vida' , ma in questa circostanza,

con Maurizio Pollini, insieme, denunceranno

senza mezzi termini le violenze di questa

guerra, aprendo così, con lettura di un appel-

lo, il concerto. Concerto che non avrà luogo.

Ilia Pedrina

APPENDICE

(La Vita)

Il cuore si sparpaglia tra speranze,

eventi, versi... come del sensibile

riverso, intenso, intriso del servire,

del fare, dell’offrire...

Dolore-amore - ancestrale cariàtide,

colonna antica, portante d’Acropoli...

di solenni strutture e di sofismi

aperti a giochi genici, variabili

di parole acrobatiche, magari

futili... stretti ideali, compagni

atavici, sublimi,

ligi, fedeli assoluti del giorno

fuggente, infinitivo, mascherato,

oltre il Tempo informale,

intrigante nel vuoto inavvertibile,

cespuglioso, avvolgente,

viscido, inestricabile,

torvo della palude,

dell’inimmaginabile pensiero.

***

Briciola, cara e buona cagnolina;

compagna accorta... Delicata poggia

bavoso il muso al passo tardo, lento

della stagione cadente,

a guisa di saluto... intimo bacio

urente, tacito augurio di vita...

e cancellare l’ansia,

l’attesa obliqua, trepida...

Tarda l’ora, l’istante decisivo...

irreversibile, totem lontano,

magico, intravvedibile...

- benché niente di troppo,

assoluto, di nuovo... -

triste lasciarsi, Briciola,

allontanarsi nel momento più

bello... nel meglio... nell’acme del bene...

quando più ancora profondo, istintivo...

si vivono remote, misteriose

bibliche piagge assuefatte, di là

ed oltre l’orizzonte...

Comprendere movenze

superbe, fantasmatiche...

e sguardi penetranti,

fedeli, acuti, vigili,

meravigliosi, taciti...

come il magico buio

di Luna inconfondibile

sul sonno dei fanciulli...

Immaginarti in attesa, distesa,

accovacciata, o ansiosa, con lo sguardo

fisso e lontano... incerto,

chissà, ai piedi d’un loculo distorto

e gobbo, disadorno;

d’una lapide spoglia, desolata...

sul filo sibilante

d’Eolo millenario...

sino all’Eternità,

estremo appuntamento consonante.

Edio Felice Schiavone

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.23

IL DIALETTO: FONTE PRIMA DELLA VITA

di Leonardo Selvaggi

I

’ESSENZIALITÀ dei sentimenti u-

mani che non hanno tempo. Gli umo-

ri, la vicinanza alle cose, ai sapori.

Commissione con l’ambiente, il sapido, l’

amaro, il dolce, il miele. Le sensazioni pro-

dotte dagli alimenti naturali. La natura delle

cose, l’intimo nostro. Il dialetto è alle radici

delle nostre espressioni, dei moti spirituali e

fisici in un insieme inestricabile, con natura-

lezza, integrità di forma e contenuto. Il nostro

vivo ambiente, non c’è copertura o camuffa-

menti. L’essenziale, acqua pura, il cristallo

che riflette le nostre sembianze. La casa,

l’odore e l’umido delle pareti che sembrano

avere sangue e respiro, il fumo e le ombre

delle persone attorno al focolare. Uniti, come

tenuti insieme, dalla vischiosità che è nel dia-

letto, pieno di labbra, di palato, di saliva, a

volte chiuso nella bocca. Il mio dialetto è di

un paese agricolo in limiti ristretti, denso di

modi semplici dei contadini, con echi lontani

mi è rimasto nell’animo. Io mi diverto a tro-

vare legami con il greco antico attraverso le

etimologie. Il dialetto rende l’azione, i modi,

le assonanze, fa andare vicino ai nostri luo-

ghi, fa vedere le cose minute, tutto ciò che

non può fare la lingua livellata, meccanica,

sempre più arida, schematica, muta, senza

occhi, standardizzata, ridotta a scheletro sen-

za fisionomia, quasi voce inarticolata, astrat-

ta. Fa trovare le nostre tracce, fa andare in

fondo alle sorgenti. Lo troviamo nel sangue,

nelle ansie, in un senso di sospensione nelle

viscere e in un certo viluppo fibroso dentro l’

addome. L’attesa angosciata fa parlare il dia-

letto, che vibra per tutta la persona. Il dialetto

si esprime quando meno si parla, quando ci si

addolora, ci si esalta, quando cadiamo in pro-

strazione. Nei moti interiori, nell’istinto, nei

bisogni di soccorso, nell’attaccamento alla vi-

ta, nella materialistica attrazione verso il rude,

aspro, nelle sovrapposizioni esistenziali. Nel

dialetto troviamo le necessità, i nostri luoghi

amati, i momenti quando siamo nati, guizzan-

ti, nudi, di distacco dalla placenta. Il dialetto è

inestirpabile come il quartiere dove si è vissu-

ti di una grande città, come il piccolo paese

natio in un tutt’uno con i ricordi. Non è no-

stalgia, è soltanto sentirsi nel flusso delle ve-

ne, con i significati intrinseci, legati, amal-

gamati come croste su di noi, ossificati con la

terra che ci appartiene.

II

Il dialetto ci fa stare nel particolare, quasi

massificati con l’inserimento nella complessi-

tà dei rapporti e nelle matrici. Minimizzati,

ma diffusi, per rivoli diversi, allungati, spa-

ziati. Il dialetto è profondità, è voce sotterra-

nea, sa di liquido, di sostanza, di pane nero, di

biade, di terre arate, tra siepi, che si stendono

all’orizzonte, che nel silenzio hanno le loro

fisionomie. Ci fa stare fermi, ossia pienamen-

te vitalizzati, spogli, vivi, radicati con l’ es-

senza delle cose. Significa resistenza, cortec-

cia dura, al’intemperie senza limiti, con tutto

ciò che è di tutti. I dialetti si uniscono, in con-

tinuità, con richiami reciproci alle antiche

lingue, alla classicità. Il dialetto è naturalezza,

è istintivo, complessità espressiva. E’ come

avere una matassa nella mente che si dipana,

si pensi alle commedie venete di Goldoni, al-

le donne protagoniste in particolare, ogni pa-

rola reagisce ed emette altro dire. Colori, og-

getti visibili, insieme pittura e rappresenta-

zione. E’ arcaicità, ha il senso della mitologia,

delle metamorfosi, è panteistico, vive di an-

tropomorfismi, consonanze, suono, è la radice

forte delle lingue. La poesia ai tempi nostri

disamorati, alienati senza colloqui, con sterili

linguaggi, adulterati trova vita all’aria aperta

che si respira con il dialetto, eloquio fluido e

fecondo, vibrante di primigenio. Il dialetto ti

porta a pensare tutto, è dotato di intuizione,

come dire di moto spontaneo, di fine penetra-

zione. La mente con le parole dialettali ha una

freschezza che sa di giovanili impeti, in libero

flusso, si esprime, con la lingua. Spesso ha

delle forme di occlusione. Il dialetto conosce

L

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.24

la povertà, la semplicità, non gli abbellimenti,

la contentezza del poco, la gelosia, l’ attac-

camento alle cose, è legato alle consuetudini,

noi siamo lieti di quello che vediamo, che ci

passa per le mani. E’ voce che si porta in lon-

tananza. Naturalezza sostanza pura, contiene

visioni ampie sulla realtà, questo spiega la

scorrevolezza delle parole confacenti ai pro-

pri pensieri.

III

Ha aspetto silvestre, flessibile come il giun-

co, diritto come un pollone, furtivo, agile,

snello, scorazza all’aperto, coprendo superfici

e rendendo feraci i luoghi di dimora. Il dialet-

to, terra e piante in una commistione di lingua

e germogli. E’ la terra nei crepacci, negli av-

vallamenti, nell’umido degli anfratti, ove mu-

schio ed erbe minuscole vivono ancora i mo-

menti della Creazione. Esprime l’uomo spro-

fondato nell’amarezza, in quelle circostanze

che sanno di tutto, di ilarità e di mestizia, di

pianto e di visioni che ci incatenano. Avverte

con la sua sensibilità i moti magici e la tra-

smissione di flussi magnetici, vede le relazio-

ni tra sentimenti, persone e luoghi. Paura, su-

perstizione, miseria dell’uomo, felicità e do-

lore insieme. Il dialetto ama la vita. I senti-

menti di amore si tengono con lussuria in esul-

tanza vitale: senza età è il dialetto, una prima-

vera persistente che ritorna, nelle forme una

morbidezza che si dilata e si sviluppa intorno.

Predilige la gente semplice, i modi della im-

mediatezza, conosce i patimenti e le privazioni,

le pietre dei sentieri e i passi affaticati. I giorni

stretti come catene che non lasciano passare i

mutamenti voluti. Una figura amabile, lieta e

melanconica, viene attorno, come un capriolo

sui pendii, sollazzevole, fremente si affaccia

dalle rupi. Non è soltanto il limitato, ha una

intensità, una presenza discontinua, non ha la

linearità della lingua, lo vediamo incolto, per

lo più nelle campagne e nei paesi, ma anche

nelle città, nei centri studi che ne esaminano

la ricchezza, la sintesi e le capacità esplicati-

ve. Lo si sente nel fruscio fra le canne, vestito

sulla sponda di un fiume di ruvidi panni di fu-

stagno. Per i campi assolati, attratto dalla bel-

lezza della Natura, in libertà, zampilla come

acqua di sorgente. Il dialetto non ha cambia-

menti, non si fa influenzare dai neologismi,

come i ciocchi del focolare, tronchi resistenti

con vecchia vita, indurita, pietrificata.

IV

Non si nasconde, appare con espressione

modesta, sottovoce, fugge ostentazioni, lo

avvertiamo nella sua sostanza vera con multi-

forme presenza. Come un reperto conosce

tutto, passato e presente. Non è ipocrita, ti

spinge a dire i fatti come sono, a scrivere co-

me si parla, addensa nella sua natura espres-

siva coerenza e carattere, prende dall’uomo la

parte più vera, superando i modi moderni, di

aberrazione, di tergiversazione e di sotterfugi.

E’ di coloro che spassionati dicono senza re-

ticenze. Sembra una persona negletta, umile,

va a rintanarsi in luoghi appartati. Immutabi-

le, nato con un’esistenza uniforme, tutto d’un

getto, è in parallelo e in unicità di costrutto

con l’uomo, Il dialetto nella sua autentica esi-

stenza, senza coperture falsificate, con la sua

vitalità e il suo mondo di virtù, di laboriosità,

con mezzi costruiti dall’uomo di intelligenza

pura, al di fuori di adulterazioni. Il dialetto è

spazio, vita insita in noi. E’ l’uomo nella sua

integrità, con la lingua si hanno modi livella-

trici, di sotto scopri la voce naturale, quella

che si estende dappertutto, la trovi vivida,

come germinazione spontanea. S’infiltra, si fa

squillante in tutta la sua trasparenza. Il dialet-

to, come volontà e riflessione, è passionale, si

accalora, si eccita, viene con dolcezza attor-

no, conosce di molti la parsimonia e l’ordine,

vede gli oggetti come persone, li dispone col-

locandoli in posizioni vive, in modo che ti

guardano fissi, immobili ti seguono. Schietto,

pare con grinze, faccia scarna con sofferenze

e giudizi pieni e nel tempo stesso con gote ro-

see, riso luminoso. Fa scrivere con sfumature,

va per il sottile, con ritorni, con avidità e-

spressiva, sempre non contento di quello che

si fa. Mai soddisfatto, pensa di non aver detto

tutto, di quello che viene afferrato dalla men-

te. L’eloquio abbondante che sa di floridezza,

ha respiro ampio e la generosità delle mani

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.25

che vanno incontro, detesta le parole aride,

chiuse che adombrano un corpo privo di moti

liberi, pallido, illanguidito. Si pensa che io

scriva in dialetto, invece, porto il dialetto nel-

la lingua, rendendola rigogliosa, con contenu-

ti allungati e debordanti, come per rinsangua-

re e togliere la limitatezza dei movimenti. Il

dialetto scorre come fiume straripante, tutta l’

acqua per i campi, tocca la superficie intera.

Copre tutto, non c’è un posto che rifiuta. Il

dialetto si espande, ha suoni ed assonanze,

esprime con facilità tutti gli aspetti della vita,

viene a trovarsi in ogni piegatura, è sottile,

passa nelle strettezze, si rende flessibile.

V

Tra miserie, sentimenti forti che non hanno

paura, fracassamenti, lotte sociali vive la sto-

ria dell’umanità nelle generazioni, tradizioni

e costumi. Umorose le parole, dentro c’è tut-

to, amore, paziente attesa, tanta piacevolezza,

briosità, pronti i detti proverbiali che vengono

fuori nel momento, una saggezza ammassata,

la vedi nascosta, tacita, ma salta subito, sve-

glia sulla bocca. La rettitudine, vuole che ci si

comporti bene, si mantenga intatta la parola

data. Il dialetto è la voce viva e attiva che non

ha infingimento, che sente dentro la vicinanza

con gli altri, tutta la naturalezza dei tempi

passati, gli affetti la famiglia, il paese, la

campagna e la Natura con gli animali e gli

uomini. Ti spiattella, ridendo, tutto quello che

c’è da dire, meglio essere maltrattato e avere

insegnamenti che non considerato con modi

falsi. La voce dialettale come un gesto, una

smorfia, riesce a dire tutti i pensieri, è la voce

del cuore, delle spaccature del nostro corpo,

viene da ogni dove. Tutto l’insieme, l’uomo

con le sue virtù, con l’amore verso il prossi-

mo, con le debolezze, con le certezze. Noi

parliamo, si può dire sempre in dialetto, an-

che se ci esprimiamo in lingua: quando siamo

in noi, in solitudine, spersi, angosciati. E’ po-

esia dell’essenzialità, dei rapporti fra noi e il

Creato. Va con le pulsazioni, corre nelle ve-

ne, passa per tutto il corpo ed esce come in-

saporito. La mente come un sacco si svuota,

tutto dice il dialetto. Scintillante al sole, con

la gente, con i fatti, leggende, caratteri, trova

quello che desidera, non è laconico né erme-

tico. Mi vengono in mente le figure di Plauto,

i visi ingenui e vivaci, sempre amabili. Si

sentono voci per le strade, si vedono persone

nei vicinati. Il dialetto tira tutto fuori, fa senti-

re, vibrare le radici. Cambiamo subito veste e

aspetto se dalla lingua passiamo al dialetto, si

lascia la posizione rigida per prendere quella

disinvolta e sciolta. Il discorso si fa lungo

rappresentativo, con gesti e sorriso, le forma-

lità abbattute, un modo franco e gioviale. Dal-

la pelle che è pura sottile corteccia traspare

sempre il semplice, il denudato. E’ scorrevole

e limpido, pare ruscello fra le pietre nel silen-

zio del mattino fra i pini e i passeri lussuriosi

in fermento. Un modo cordiale spinge a par-

lare: colloquio, intercomunicabilità, ascolto,

insegnamento si prende da chi sa di più.

VI

Il dialetto nei paesi, nei borghi, nelle città

perde sempre più vigore. L’immigrazione di

stranieri ha prodotto sconvolgimento, sovrap-

posizioni che sminuiscono le varie identità

locali. Il dialetto del tempo passato che conti-

nuiamo ad amare, rimasto in poche tracce, ri-

specchia le doti di umanità in tutti gli aspetti,

sentimenti, rispetto per le persone, reciprocità

di generosi apporti. I dialetti e la lingua si te-

nevano in un certo parallelismo, si rafforza-

vano a vicenda. L’uomo si ritrovava dentro

con rettitudine e lealtà. Oggi con l’epoca tec-

nologica l’automazione porta via ogni forma

di naturalezza, genera malevolenza che tiene

irritati gli animi. Tanti divorzi fanno disgre-

gamento. La violenza impera con diffuso ma-

terialismo e malcostume. Il disamore per la

Natura rende svigoriti, dà solitudine e senso

di frammentazione. Si vuole ricostruire l’

uomo con le sue antiche attitudini, le conna-

turate esistenzialità di vita. Il recupero dei

dialetti che fa riavere interezza e immediatez-

za di sentire. Non si amano gli artifici, le pa-

role dicono quello che si pensa quando hanno

incisività, al di là della labilità della lingua

che viene a mancare di radici, che si manife-

sta volubile, non tenendo quelle fondamenta

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.26

fatte profonde di materiale misto, ammassato

con ogni forza. La finezza di pensiero in lin-

gua si rende spesso difficile, se si esprime

viene con costruzioni studiate. Il dialetto tra-

sporta pensieri con agilità, con un certo piace-

re, non ci si stanca di colloquiare, diversa la

lingua è quasi traduzione, non è voce sponta-

nea che arriva dalle latebre del nostro io. Ar-

caico, arcano, fatto di intrecci, essenziale, in-

teriore, s’immette nei flussi che non si sanno

da dove arrivano e dove terminano. Come

una pianta con matrici e ramificazioni nel li-

mo denso, un corpo sano e florido senza

schematismi. Il dialetto che fa viva l’ espres-

sività contribuisce molto ad alimentare la no-

stra lingua. Ha una istintività pura, senza dot-

trina e sovrapposizioni, sa indovinare, presa-

gire, orientarsi. Il buon senso, la saggezza dif-

fusi. Non c’è materiale metallico, fuso con

più elementi, è omogeneo, limpido, una sola

natura possiede, quella che fa parte della vita

di comunità intere, in consustanzialità e in

comunanza di intenti. Ha forti legami con la

nostra identità, si è creato un luogo ridente,

una felice oasi nel deserto, vivendo sperdi-

menti. In un tutto armonico ha raccolto la vita

piena e fragrante. Denso di saggezza di popo-

li nel tempo e nello spazio, è la voce vera

dell’uomo con il suo ambiente e le sue pas-

sioni. Oltre alle caratterizzazioni di costume

predominano in gran parte nei dialetti del

passato la sopportazione, il senso dell’ equili-

brio, la speranza, il sapersi industriare nei

momenti critici della vita. Tanta giocondità

negli animi, non si abbattono mai, sempre

una forza interiore li sorregge. Nella espressi-

vità dialettale tanto esteso l’ amore per la Na-

tura, ci si sente aperti alla bellezza dei pae-

saggi, lo spazio è tanta vita. La passione di

vivere è serenità, saper vedere lontano. Sem-

pre lesti, con ordine si svolgono le attività di

ogni giorno. Intelligenza fine dei contadini,

contentezza, applicazione infaticabile nei me-

stieri. Il dialetto resistente nei secoli, oggi con

il mondo rurale sfiorisce sempre più, in lan-

guide, sminuzzate tracce. Altre virtù, le vere,

l’inganno, l’egoismo, l’ambizione che vedo-

no il prossimo come preda da abbattere. La

vita della gente di una volta, gran parte aperta

e schietta, sapeva di genuinità, rara la negli-

genza come l’arroganza e le sconcezze trion-

fanti nei nostri giorni. Solarità, momenti idil-

liaci, sfolgoranti di amore e di briosità, pieni

di aria frizzante e di cielo azzurro, La pace e

la quiete sostituite da chiasso confusionario

stanno per perdersi nel nulla. Abbiamo paesi

che paiono reclusioni sperse in orgoglio e av-

vilente senso di noia. Con il dialetto parlato

nella sua pienezza e originalità senza adulte-

razioni renderebbe la nostra lingua vivificata

con espressività ricca, morigerata, priva di

qualsiasi involgarimento. La vita ritornata ri-

gogliosa, ampia, virtuosa, con dignità limpida

e chiara senza ibridismi, senza decadimenti

né disarmonicità nei modi di essere, sempre

più vivo il senso di comunanza e di reciproci-

tà, con rispondenze connaturali che fanno ri-

trovare imperative, le fondamentalità dei

principi umani.

Leonardo Selvaggi

APPUNTO... GENETICO

Assoluta vergogna,

menefreghista e chiara,

eccellente egocentrica la Scienza

inoppugnabile, quando giustifica,

facilita, promuove catastrofici

mali, atroci sevizie, dettagliate,

minute, inutili, cocciute, làide

vivisezioni malvagie, incivili,

selvagge, barbare, ferocemente

strazianti: vile assassinio verace

a Tavolino, allo Studio inumano,

maramaldesco, torturante, sadico,

storico... in nome dell’Homo Sapiens.

Scherzo. Gioco ridicolo (o maligno?!)

accettare, discutere

l’inverosimile “Quid” della Scienza

imprevedibile, oltre l’assurdo...

Oppure, ...nel bisogno egemone - ahi noi! -

del saggio Homo Sapiens

“Necessitate est”.

Edio Felice Schiavone Santo Spirito - Bari

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.27

CURIOSITÀ CULTURALI:

GLI AMERICANI

E IL MAIALINO di Aida Pedrina

A maggioranza degli americani ha

sempre avuto una grande passione per

le tenere e succulenti carni del maiali-

no e in particolare per una delle sue parti più

grasse: il Bacon (qualcosa fra lardo e pancet-

ta). Da secoli il Bacon è essenziale compo-

nente della prima colazione Americana; il

Bacon affumicato e soffritto fino a diventare

croccante, è buonissimo e spande un aroma

intorno da far venire l’acquolina in bocca: fin

qui tutto bene.

Ma come al solito, quando certi americani

sentono una grande passione per qualcosa,

nessuno li ferma: si buttano a pesce per far

conoscere, elevare, promuovere e soprattutto,

marchetizzare l’oggetto della loro passione.

Naturalmente, dato che qui si tratta di sempli-

ce carne di maialino, le cose diventano un po’

bizzarre; ma che importa, milioni di persone

adorano il Bacon e allora perché limitare e

soddisfare questo struggente desiderio solo

alla prima colazione? Perché non fare gli ap-

passionati del Bacon ancor più felici facendo

possibile che il sapore e l’aroma del Bacon

siano sempre presenti da mane a sera e perché

no, anche di notte durante incontri romanti-

ci?

E qui gli ingegnosi americani, abituati da

secoli non solo a soddisfare sempre e senza

indugi – o scrupoli – le loro passioni, ma an-

che a trovare modi inverosimili per godere

ancor più delle cose amate, e soprattutto, per

ricavarne un mucchio di soldini, impongono

immediatamente il Bacon sul mercato. Prima

di tutto arrivano le magliette stampate sul pet-

to a caratteri grandi che vanno dal moderato:

“I love Bacon”. Al più drammatico e ango-

scioso: “Eat Bacon or die” cioè: “Mangiar

Bacon o morire”. Poi si pubblica un libro di

ricette che pone questa sublime grassosità del

maialino a un livello quasi artistico: “Fifty

shades of Bacon“ cioè, “Cinquanta Sfumature

del Bacon” (di Ben Mayre e Jenna Jonhson).

Allo stesso tempo, sono creati il “Bacon Vo-

dka” e cioccolatini ripieni di ganache al

Bacon (Vosges Haut Chocolat). Dato l’ e-

norme successo di questi prodotti, il Bacon si

fa sempre più strada spronato dagli interpre-

neurs americani che con grande iniziativa, si

domandano: perché limitare il Bacon a solo

cibo, bibite e dolcini? Ed ecco apparire in ne-

gozi specializzati “Archie Mcpee Bacon so-

ap” ( saponette con profumo di Bacon); “Mr,

Bacon’s Bacon flavored toothpaste” (dentifri-

cio con sapore al Bacon); “Accountrements

Bacon Lip Balm” (pomata per labbra al

Bacon); ovviamente non può mancare l’ Ac-

qua di Colonia: “Bacon fragrance by Farggi-

nay” (profumo con fragranza di Bacon). E

adesso viene il bello. Come se non bastassero

queste stranissime prove della loro passione

sfrenata, gli amanti e promotori del Bacon

tutti presi da sublime intuizione e alata creati-

vità, decidono di estendere il fascino del

Bacon non solo alle dimore: “Boss Bacon-

scented Candles and Air Fresheners” (candele

e profumo rinfrescante per le stanze all’aroma

di Bacon), ma anche — e qui si cade nel grot-

tesco — all’intimità personale: “J &D’s Ba-

conlube Massage oil and personal Lubricant”,

cioè: “Olio per Massaggio e per Lubrificazio-

ne intima”… Se lo sapesse il maialino!

A questo punto, salterà senz’altro agl’occhi

che, per la maggioranza, il buon gusto, la di-

gnità e la moderazione non hanno posto ono-

rifico nella cultura Americana: VERISSI-

MO!! Per fortuna, il successo delle iniziative

L

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.28

pazzesche e i loro assurdi e inutili prodotti

come questi del Bacon - e ce ne sono a mi-

gliaia!- è di brevissima durata; gli americani,

in generale, sono molto volubili e si stancano

presto di qualsiasi cosa: in men che non si di-

ca, si sentono annoiati a morte di tutto ciò che

era e faceva parte della loro GRANDE PAS-

SIONE; se a qualcuno venisse in mente di

chieder loro: “E il Bacon?” questi amanti ap-

passionati direbbero: “What bacon?” “Oh,

that is old already!” (Quale bacon? Ah, ma

quello è già cosa vecchia!), e subito ricomin-

cia la perenne corsa verso il nuovo; nuove i-

dee bizzarre, nuovi prodotti inutili, nuove

struggenti passioni.

Addio maialino!

Aida Pedrina

LA BELLA POESIA

La bella poesia quando la leggo

mi scorre nelle vene

come il buon vino, che mi scalda

quando lo bevo

e mentre il vino

genuino

mi scalda il corpo,

la bella poesia

mi scalda l’anima

e mi fa bene al cuore.

Mariagina Bonciani Milano

CITTÀ DI NEVE

Arabeschi grigliati

imbrigliano i tetti

tu bella ed elegante

ti rivesti di luce

come una sposa.

Attendi l'ora più bella.

Le tue guglie svettano

preziosi gioielli ricamati

di cristalli.

Sei nel cuore o città di neve.

Adriana Mondo Reano, TO

GUERRA CIVILE

Guerra senza un pizzico di romanticismo.

Paure dentro le trincee.

Le parole escono morte,

spente dalle labbra.

Gli elmetti e le armi buttati

fino al punto di non vederli più.

Topi enormi, sporchi, neri,

divorano le carni

dei soldati feriti

che sono moribondi dentro lo smog.

Mosche cavalline sputano veleno nelle ferite

di quelli che aspettano soltanto la morte.

Guerra! Orrore! Paura!

Le reti metalliche legano

strettamente i miei sogni.

Vogliono strangolarmi.

Visi illividiti e sudati,

sotto la luce del grande sole

che copre tutta la volta celeste.

La mia bocca è secca!

Non riesco ad articolare

nemmeno una frase semplice.

Chiedo solo un papavero tenero e tutto

rosso,

dentro il grigio orto del mio cuore.

Misericordia!

Il vento boreale pieno di freschezza,

tira fortemente

per scacciare per sempre

la guerra civile della mia anima.

Porta la promessa

della regia della serenità

in una pace eterna.

Chi vorrebbe parlare adesso in modo

prolisso

degli avvenimenti brutti

dell' età dell'adolescenza?

Dobbiamo per sempre essere grati

dell'oblio dei brutti istanti passati!

Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemeno-poulou

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.29

AL SIGNORE SCONOSCIUTO

di Raffaele Cecconi

Sconosciuto Signore a cui dobbiamo

ciò che è stato e forse sarà

quando sarà giunta infine

l’ora di partire

lascia ch’io porti con me

il sorriso delle persone amate

come un ricordo da serbare

per l’ultima volta

nel paese del freddo.

Con un bacio a chi resta.

IL POETA GRACILE

Mi piacerebbe ogni tanto vedere i poeti, so-

prattutto coloro che si considerano tali, non in

giacca e cravatta, maglione e blu jeans, quan-

do parlano davanti a un microfono con l’aria

di sacerdoti ispirati. Mi piacerebbe vederli a

casa quando sono in mutande e si lavano sot-

to la doccia non più superbi dispensatori di

eloquenza ma poveri pennuti privi di ali. Ri-

dotti al minimo i loro discorsi, spesso conditi

da vane sonorità, potrebbero finalmente mo-

strarsi per quello che sono: dei semplici uo-

mini ricoperti di stracci buoni spesso a na-

scondere miserie.

Mi piacerebbe insomma vedere il poeta nu-

do. E’ forse così che ha voluto dipingerlo Lu-

ca Signorelli nel notissimo inferno del Duo-

mo di Orvieto. Anche se qui, uomini e donne,

appaiono forti e muscolosi nella loro danna-

zione. Mentre il poeta nudo, privo di questo

vigore, io lo sento diversamente debole e gra-

cile. A volte lo vedo addirittura smarrito in un

proprio inferno. Oppure se preferite, in un pa-

radiso di parole pronte a disperdersi.

VENEZIA IN AGRODOLCE

Per molti aspetti Venezia dà spesso l’idea di

una vecchia prostituta. Ricca di mirabili pa-

lazzi, di musei e opere d’arte, è anche imbrut-

tita da una quantità di negozi che vendono

paccottiglia ad uso turistico accanto ad altri

che offrono abiti firmati destinati a una mino-

ranza di tacchine di lusso.

Boutiques e pizzerie, ristoranti e agenzie di

viaggio, fanno di Venezia una vetrina dove

ogni tanto per ragioni di quattrini, più che di

cultura, s’inseriscono manifestazioni interna-

zionali. Lo straniero infatti a Venezia è di ca-

sa da sempre. Eppure nonostante l’ interna-

zionalismo la sensazione è che questa città sia

dominata da una mentalità ristretta. Sarà col-

pa dell’insularità. Certo i veneziani sono iso-

lati da secoli e questo si riflette parecchio nel

loro carattere. Gli uomini più dell’amicizia

praticano un’epidermica bonarietà che si e-

saurisce di solito con la sosta all’osteria. Si

beve un’ombreta insieme, cioè un bicchiere

di vino. E molto più in là non ci si spinge. I

rapporti umani sono spesso superficiali e nel-

la casa di un veneziano non si è invitati fa-

cilmente. Il popolo nel parlare ama la scurrili-

tà e manda volentieri a ramengo i morti o li

mortacci tuoi come dicono a Roma. Se poi

osservate le veneziane quando fanno gli ac-

quisti mostrano spesso, non tutte naturalmen-

te, modi e toni sfiziosi. Gli stessi negozianti

veneziani dicono dei loro clienti che sono ro-

gnosetti. E questo giudizio sentito tante volte

è significativo essendo un voto dato da citta-

dini a concittadini.

Dopo cinquant’anni che vivo qui devo rico-

noscere che questa città mi ha dato molto non

solo con le sue pietre e i sortilegi prospettici.

Si tratta di una città che amo anche perché è

sull’acqua. Perché nelle sue calli per fortuna

non vedo automobili. Anche se poi, malgrado

questi lati per me positivi, non mi riesce sem-

pre di essere indulgente nei confronti del ve-

neziano medio. Perché dal mio punto di vista

il veneziano medio pecca sovente di facilone-

ria. Erede di una tradizione e di consuetudini

che nei secoli fecero di Venezia un grande

emporio, una città di mercanti e meretrici, gli

è rimasta nel sangue un’apatia levantina in-

sieme a una grandeur ostentata e a volte gi-

gionesca. Al di fuori di Venezia, dicevano i

nobili di una volta, i signori, tutto il resto è

campagna. E davano a questa parola un senso

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.30

chiaramente spregiativo.

Il buon Goldoni, e lo nomino con rispetto,

credo che perdonerebbe queste mie osserva-

zioni. Io penso infatti che il veneziano medio,

per il temperamento e la chiacchiera, frater-

nizzi abbastanza agevolmente con un napole-

tano, ma meno facilmente con un dalmata

come me. E qui, parlando appunto da dalma-

ta, devo dire che Venezia in questo senso, la

Serenissima Repubblica, non solo ci ha dato

molto ma moltissimo. Perché i veneziani, al

di là dei loro difetti, hanno avuto certamente

anche tanti meriti. Nessuno lo nega. Infatti

per aver creato tanti palazzi, tanta ricchezza

d’opere d’arte, significa che sono stati molto

abili e intraprendenti. Evidentemente hanno

saputo amministrasi e lottare. Hanno saputo

sviluppare i loro commerci e i loro traffici:

rubando talvolta, a piene mani, come del re-

sto facevano anche altri perché con la sola

modestia e parsimonia nessuno si arricchisce,

nessuno cresce, nessuno brilla e passa alla

posterità. Se accade è solo raramente.

Ma questa, possiamo concludere, è la storia

di tutte le conquiste e di qualsiasi grande ci-

viltà d’Oriente che d’Occidente.

Raffaele Cecconi

PER GLI ALTRI CHE VERRANNO

Emanuela,

Clelia ed io, al tuo annuncio,

“Gran gioia!”

abbiamo saputo solo dirti.

Non un bacio, un abbraccio.

Blindati, come sempre, alle effusioni,

al canto degli affetti.

E’ stato ed è così con i figli,

con Riccardo,

per i quali darei anche la vita.

Ho pregato e prego Dio

per gli altri che verranno.

Domenico Defelice

LA VITA SPACCATA A METÀ

Al razionale rimani attaccato,

sei dentro il filo spinato:

non passi avanti chiaro e deciso,

tanto spazio possibilità tagliate.

L’irrazionale fa andare di soppiatto,

tergiversando nei luoghi attorcigliati

come verme sottile.

Non ti vedi, sfuggente

tra ombra e luce camaleontico.

Questa vita spaccata a metà,

nel razionale rimane ferma,

uguale sottile, condotta ordinata,

spostamenti non si fanno.

Paradosi non ci sono che portano

ai fatti colpevoli. Sopra lineari superfici

naturali azioni.

Tutto entro i limiti che contornano

il cammino sempre voluto.

All’aperto, ai confronti la parola estesa.

Il razionale riafferma

la sua natura, non muta il carattere,

la forma non si scompone.

Non esiste varietà di anni vissuti,

resistenza a dare quello che si vede.

Con presenza subitanea

si amplifica l’uniforme comportamento.

Tutto dentro travasato, insieme

unito deterso, atti combaciati

in cerchio coprono le fosse.

Contatti giusti senza occhi bianchi

di felino. Il seme sulla terra

a prendere il suo sviluppo, ci si incontra,

ritornati a vedersi di fronte.

Leonardo Selvaggi

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

2/8/2014

Sulle spiagge, la gente si indigna se un

bambino gioca sollevando sabbia o facendo

un po’ di rumore; nessuno si scompone se, a

correre e a sollevare sabbia, è un animale.

Alleluia! Alleluia! Veramente un’estate da

cani!

Domenico Defelice

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.31

I POETI E LA NATURA - 35

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

VITA E POESIA IN

SANDRO PENNA

( 1906-1977)

LA CONSOLAZIONE

DELLA NATURA

er la maggioranza degli uomini la vita

e la letteratura (meglio, la poesia) sono

due cose diverse, anche se a volte pos-

sono incrociarsi, o addirittura abbracciarsi.

Ma per alcuni la vita e la poesia coincidono a

tempo pieno.

Il primo esempio che mi viene in mente è

quello del famoso critico letterario Carlo Bo

(Sestri Levante 1911 - Genova 2001).

Secondo Bo, Autore della Storia della Let-

teratura Italiana edita dalla Mondadori, e col-

laboratore del Corriere della Sera fino alla

morte, la Letteratura senza la Vita non ha a-

nima, e la Vita senza la Letteratura non ha

nessun senso (Diario aperto e chiuso 1932/

1944).

Anche Sandro Penna, nato a Perugia il 12

giugno 1906 da famiglia borghese, avrebbe

voluto fortemente che poesia e vita andassero

d'amore e d'accordo. Ma per lui tra le due co-

se c'era un vallo invalicabile. Quando scrive-

va poesie ( o ne parlava) era felice. Ma nella

sua vita di tutti i giorni dominavano tristezza

e delusione, solitudine e angoscia. Il fatto è

che il ragioniere di Perugia non riusciva a far

andare d'accordo le due cose come avrebbe

fatto il ragioniere di Genova (Montale). An-

che se non è affatto sicuro che per Montale

tutto filasse liscio. Anzi.

Il fatto è che Penna non era soltanto un poe-

ta di primo piano, ma anche un omosessuale

dichiarato che voleva essere accettato per ta-

le in ogni circostanza, e poiché la società del

tempo (e non solo quella degli Anni Trenta)

non lo accettava, egli rifiutava sdegnosamen-

te di integrarsi in una società che lo respinge-

va. Non era certo un bel vivere. Solo la Poe-

sia lo aiutava a stemperare il dolore quotidia-

no. Ed era già molto, anche se per lui era

sempre troppo poco. La storia è piena di poeti, scrittori e artisti di

fama omosessuale (basterebbe citare Saffo,

Shakespeare, Oscar Wilde, Pasolini...e tanti

altri). Ma forse pochi hanno sofferto come

Penna per il rifiuto sociale di un certo “osten-

tato” erotismo (in poesia) nei confronti di

giovanissimi (come se la poesia e l'arte greca

non fossero mai esistite...). Ne conseguiva

che lavorava poco e straccamente, scrivendo

saltuariamente e precariamente per qualche

giornale o rivista, o addirittura facendo vari

mestieri. Arrivò perfino a provare la miseria,

tanto che qualcuno, im-

pietosito, giunse a chie-

dere un sussidio econo-

mico pubblico che lo sol-

levasse da tale stato.

Un esempio del potere

consolatorio che sul suo

animo ipersensibile ve-

niva esercitato dalla poe-

P

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.32

sia lo troviamo in queste due liriche. Voluta-

mente brevi, ma intense, non ermetiche ma

chiare e intelligibili (come quelle del suo poe-

ta più ammirato e sincero amico, il triestino

Umberto Saba) :

“ Il mare è tutto azzurro

Il mare è tutto azzurro.

Il mare è tutto calmo.

Nel cuore è quasi un urlo

di gioia. E tutto è calmo.”

“Notte : sogno di sparse

Notte: sogno di sparse

finestre illuminate.

Sentir la chiara voce

del mare. Da un amato

libro veder parole

veder sparire...- Oh stelle in corsa

l'amore della vita ! “.

Luigi De Rosa ___________________________________

___________________________________

COME OCEANO

Come oceano

mormora e s'increspa

strana sinfonia.

Tesse il sogno

fanciulla ignara

bianca regina.

Luce e gemme

da lecci e platani

perduti sensi.

Una farfalla blu

é morta nella pioggia

un triste giorno.

Raggi dorati

trafiggono alberi

breccia sui rami.

Piccola onda

attratta dalla viva

lambisce sabbia.

La brina scioglie

gocciolano le foglie

gelida neve.

Notte d'agosto

ebbra di guizzi

scalda la luna.

Nuvole nere

sfarinano in cielo

briciole d'oro.

Adriana Mondo

LA PUREZZA DEGLI OCCHI

Siamo rimasti come prima. Nulla ci ha toccato,

l’orgoglio e l’inflessibile contegno.

I malevoli hanno riso sulle lacrime cadute

nella polvere e dove più le amarezze

erano secche e bruciate. Escrementi buttati

sopra le mani rotte e doloranti

per tutte le angustie passate

e i malesseri di anni lunghi.

L’indolenza ha tenuti quelli venuti dopo,

spinti da nessun movimento, fermi hanno dormito

per terra, ora sono avanti.

Tutto hanno saputo afferrare

dai mutati costumi, vuoti

l’intestino, il cervello e la faccia dura.

Non ho trovato gli asini,

amici allora degli uomini.

Contenti di essere nati,

i tempi usciti da albe primitive

sapevano di purezza

del viso e dei pensieri il candore.

Le strade con le fosse di terra battuta.

Gli occhi si guardavano rimirando legati,

fermi con vicinanze in cerchio

alle appartenenze intorno.

Lucentezza nell’aria, in noi attoniti

e felici una sola anima correva dentro.

La vita ci era limpida e leggera,

quasi l’uno dietro l’altro si andava insieme.

Smembrati si vive, l’angoscia

miseria morale e solitudine porta,

l’uomo che muore,

nell’aspetto individuale non lo incontri

negli occhi, neppure lo vedi vicino.

Leonardo Selvaggi Torino

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.33

(Disegno di Serena Cavallini)

Recensioni

LUCA CANALI

ANTICLIMAX

Biblioteca dei Leoni, Treviso, 2014, € 12,00

L’otto giugno 2014 è morto a Roma Luca Canali, noto latinista, poeta, narratore e saggista. Era nato

in questa città il tre settembre 1925, dove si era lau-

reato con una tesi su Lucrezio, relatore Ettore Para-tore, di cui è stato assistente.

Profondo studioso dei Classici, ha scritto saggi

molto importanti su Cesare e Lucrezio ed ha otti-mamente tradotto Virgilio. E’ stato anche un valen-

te poeta, autore di numerosi libri di versi, scritti con

differenti stili. Le sue principali raccolte sono: Un’ altra stagione (1959); La deriva (1979; Il naufragio

(1983); Toccata e fuga (1984); Giuro di dire

(1985); Fasi (2002); Alla maniera di (2006); Lampi (2011); Su di me fuoco amico (2012).

Molti sono anche i suoi romanzi, più direttamente

autobiografici, di cui ricordiamo: La Resistenza im-pura (1965); Il sorriso di Giulia (1979); Autobio-

grafia di un baro (1983); Spezzare l’assedio

(1984); Amate ombre (1987); Diario segreto di Giulio Cesare (1994); Nei pleniluni sereni (1995);

Pietà per le spie (1996); Cronaca di follie e di a-

mori impossibili (2004); Fuori dalla grazia (2008); L’interdetto (2009).

Ha pubblicato inoltre La dismisura (1993), uno

studio di poetica letteraria e nello stesso anno, ha curato una imponente Antologia della poesia latina.

Ha insegnato, dapprima a Roma e poi, per quin-

dici anni, letteratura latina a Pisa, prima di abban-donare la cattedra per una grave forma di nevrosi.

Di lui è da poco uscito nella Biblioteca dei Leoni,

con prefazione di Paolo Ruffilli, un libro di versi

dal titolo Anticlimax che costituisce il suo canto del cigno e sul quale perciò vogliamo un poco soffer-

marci. E’ questa una silloge composta da testi che

fermano vari momenti di vita dell’autore, da lui tra-scritti sulla pagina con singolare abilità e che paio-

no espressione di una difficile condizione esisten-

ziale. Si tratta comunque di una poesia che s’ im-pone alla nostra attenzione per la sua ferma pro-

nuncia e per la lucida forza del dire.

“Non illudermi con fiabe di girifalchi / su rotte dalle larghe scie..” (Un’allegra disperazione I);

“Turbina il caos nel candore / d’una magnolia” (Ivi,

V); “Tentazione è la falsa umiltà / di guizzare come trote fra i ciottoli / nell’acqua d’un torrente” (Ivi,

VII).

Particolarmente efficaci sono in questo poeta, che è anche un validissimo studioso del mondo classico,

certe poesie che a quel mondo si ispirano, come

Enea, che viene presentato con brevi tratti signifi-cativi: “Prigioniero dell’involucro dei doveri / … /

con le dita del figlio in pugno / … / Solo nelle tem-peste / … / credette di essere / libero di scegliere il

rito / dei gesti…”. Si veda anche Turno che nasce

dalla stessa radice ispirativa. Con un simile linguaggio, quanto mai incisivo e

convincente, affiora qui la natura, nelle sue crudeltà

e nei suoi momenti di calma: “La vipera striscia con tenerezza / a guardia dei suoi nati”. E c’è anche

la frase che assume il valore di una sentenza: “La

morte / non conosce grandezza se non nella sua so-litudine” (Ivi, XII).

In questo libro dalla varia tematica trova posto

anche l’invocazione a Dio: “Signore risparmiami il calor bianco / della follia, concedimi le basse ten-

sioni / tra l’omicidio e l’ascesi…” (XV); “Signore,

aiutami a vivere / nell’assenza d’oblio e nell’oblio / della consapevolezza” (XVI).

Poeta colto, Canali rivela talora l’eco delle sue

molte letture, come avviene nelle poesie di Un’ al-

legra disperazione, la sezione in esame, che trae il

titolo dalla poesia XXI, la quale inizia: “Piove con

allegra disperazione / sui binari della STEFER” e che subito richiama alla mente la “serena dispera-

zione” di Umberto Saba, nonché la “straziata alle-

gria” di Giorgio Caproni. Nuove e corpose sono inoltre in lui le immagini,

come: “Meduse assonnate dalle rosse palpebre”

(XXII); “davanzale in un linguaggio / di seleniti” (XXV); “angelo dei buldozer” (XXVI); “mattutine

/ serenate della morte” (XXIX).

Talora poi il suo verso si fa più agile e fluido, come avviene in Alla notte, dove leggiamo: “Nobi-

le notte dal materno / grembo / … / Tu patria / dei

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.34

sogni e degli insonni / rovelli dello spirito e dei sen-

si. / Anche morire in te è più facile / che nel tuo e-

stroso, berciante, / carnevalesco fratello, / il gior-no”.

E’ questa una poesia della sezione Ultimi versi

agli uomini, dove troviamo anche un’altra poesia dal contenuto più lieve, Tramonto: “Grigie coppie

di anziani / a brevi lenti passi / s’avviano – l’uno al

braccio / dell’altra – su vie diverse / che tutte con-ducono a un’unica, imminente / fine”.

Le amanti è una sezione nella quale s’incontrano

donne volitive e impudiche, dotate di una prorom-pente vitalità, caratteristica che le contraddistingue

e in un certo modo, pur con le dovute differenze, le

accomuna. Personaggi, animali, piante contiene poesie dalle

quali emergono figure di uomini di Lettere o piante

e animali di cui è colta la peculiarità, come avviene di Pietro Aretino, che “fu unico … / a trasformare

in cristallo / purissimo il fango / dell’osceno, pas-

sando al / calor bianco di una / travolgente catarsi / verbale” o di Giuseppe Gioacchino Belli, “allucina-

to, / atrabiliare genio della lingua”, il quale si servì di uno “stupendo” dialetto “che mai / nessun volgo

ha parlato”.

Vengono poi gli animali, come la starna, spiata dagli “occhi cupidi” del cacciatore, “lo scarabeo

suicida” che “zigzaga sull’asfalto” e gli “splendidi

fiori” che agonizzano “recisi e stretti in un / vimi-ne” per la delizia degli uomini; ecc.

E per finire chiude il libro, con forti, vivide im-

magini, come quella di un incidente automobilistico avvenuto durante una gara: “Al penultimo giro / di

pista sulla / dirittura proprio sotto / il palco d’onore

il pneumatico / sinistro esplode…” o quella dell’ amico creduto vivo e che era invece “trapassato da

due / anni suicida” o ancora quella del feretro che

“buca / l’assolato mattino di gennaio”. Ma si veda anche: “Oh il bacio rapito dietro / un capitello co-

rinzio…”, che tocca corde più lievi.

Sono questi i suoi ultimi versi e si può ben dire

che egregiamente lo rappresentano nella sua intima

personalità, complessa e tormentata, lucida e ironi-

ca, pietosa e crudele; capace di vedere con acutezza di sguardo nel groviglio misterioso della vita per

trarne con arte sottile alte parole e profondi pensie-

ri.

Elio Andriuoli

COLLABORATE E ABBONATEVI

SOLO ON LINE, senza, cioè, la copia

cartacea. In periodo di crisi, risparmiamo

carta e denaro.

ROCCO CAMBARERI

PENSIERI DEL SABATO Antonio Carello Editore, Catanzaro 1983, Pagg. 48, Lire 5.000

Pensieri del sabato è raccolta del poeta calabrese Rocco Cambareri, 36 componimenti senza titolo,

ma numerati, quasi per lasciare al lettore di scoprire

il non detto. O forse, chissà, sarà stato per scoprirsi egli stesso, poiché fin dall’inizio sembra non partire

ma essere giunto ad una considerazione: “da quan-

do sciacquo e risciacquo/ pensieri in un lavabo.” Egli procede descrivendo le sue riflessioni in pochi

versi, con tinte che rivelano stati psicologici di chi

affronta la quotidianità preso da ansie; si vorrebbe interrogare il futuro, ma occorre essere concreti.

Sembra che attanagliati da pensieri ispidi fra le

strade di Madrid, desideroso di quiete naturale, gu-stata da bambino, in cui si vede rinascere. La felici-

tà sembra a portata di mano, ma è fuggevole, qual-

cosa lo impedisce, come una pena mortifera che ci portiamo dentro. Ne dà la motivazione: “M’annero

perché vivo,/ mi rodo perché amo.” (20) un passo razionale, quanto lirico, che rivela la chiave di lettu-

ra della sua poetica, ma anche una sottile verità sul

comportamento umano rassicurante, pur nella pro-pria sofferenza.

Una caratteristica versificatoria è l’uso dilettevole

delle parole che servono come contrappeso agli “specchi deformanti” dei pensieri. Come un ritro-

varsi nello stadio di Santiago Bernabeu o alla corri-

da nell’arena; forse insegue un’ombra sulle Ande o tra le Sierre, luoghi che lo separano da Lisbona: “È

vespero e m’è dolce/ tracciare sillabe d’amore,/

caparbio interesse stuolo/ di sogni o versi strazia-ti,” (31). Ma i sogni volano e svaniscono diventano

parole che volano come quelle sigle bisillabi tra-

smesse dalla radio Nato ed Onu, Eni, Iran e Ira; egli invoca una parola semplice rassicurante, altrimenti

preferisce il silenzio su questa Terra che definisce

uno “sbadiglio dell’Universo.” velato e confuso,

con sprazzi di luce in cui rivede “Gesù/ che roso

sanguina/ nell’orto del Getsemani.”, e la vita conti-

nua.

Tito Cauchi

DOMENICO DEFELICE

GEPPO TEDESCHI Le petit moineau, Roma 1969, Pagg. 74

Domenico Defelice nella premessa al saggio

Geppo Tedeschi, dichiara che in occasione del 60-mo compleanno (1967) del “più grande poeta della

Calabria”, scrittore fecondo di opere poetiche e di

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.35

prosa, ha riunito propri articoli, precedentemente

pubblicati su riviste, in sei capitoli. E, in seguito, vi

ha aggiungendo una trentina di pagine riguardanti “Cento e più giudizi” sulle proprie opere. Riferisce

che Nino Pensabene giudica la poesia del Tedeschi

“vitale sostanza, ricerca e mezzo di espansione spi-rituale” (pag. 9). Il Nostro svolge uno studio che

meriterebbe, dico senza esagerazione, di essere ri-

proposto, unitamente al Poeta, suo conterraneo: ot-time le analisi, struggenti le poesie. Riflettere sul li-

bro, comporterebbe una maturazione interiore, edu-

cazione ai sentimenti e, non meno, farebbe forma-zione poetica.

Domenico Defelice apre intrattenendosi su tre

momenti lirici, dei quali non posso privarmi di cita-re almeno gli inizi, a pag. 10: “Il vecchio mandria-

no, curvo più de l’orizzonte, avanza sulla strada

maestra e polverosa. Avanza mugolando ordini a l’

armento che, spesso, si sbranca” (G. T., Nuvole e

polvere); “Il vasaio, disteso supino sul vuoto carro, torna, lieto, al paese.” (G. T., L’anfora incrinata); e

“Un contadino, dalla testa calva e lucida come un

sasso di ruscello, zappetta un filare di melanzane.” (G. T., Salire, salire). Così da meritare, Geppo Te-

deschi, di essere definito “l’usignolo dell’ Aspro-

monte”. Domenico Defelice con ammirazione di-chiara di non avere timore di ripetersi nell’ afferma-

re che “nelle sue liriche v’è tutta la purezza incan-

tata di uno sguardo innocente” (13) di un animo capace di mantenersi fanciullo. Spesso i suoi sog-

getti sono animali come a significare la sua “repul-

sione a rivolgersi all’uomo” (14), le cui descrizioni li fanno saltare dalle pagine stampate, come nel ca-

so rivolto all’amico pittore scomparso Lorenzo

Viani: “Singhioz-zarono/ i tuoi

pennelli,/ fatti di

piume d’angelo,/ dietro spesse ten-

dine di ricordi./ Poi si accesero,

come ceri,/ per

vegliare il tuo corpo/ d’atleta

del colore.” (16,

Tedeschi). Geppo Tedeschi

gode la stima di

validissimi critici italiani e stranieri

fra cui Giovanni

Bitelli che lo de-finisce “un mac-

chiaiolo sintetico

e polposo”; così Giulio De Rossi,

Sandro Venturini,

Luigi Vita, il so-

pracitato Nino

Pensabene. Altre-

sì Francesco Pe-drina ne richiama

le doti oratorie, su

cui Domenico Defelice si sof-

ferma ampiamen-

te in nota, rife-rendo che Geppo

Tedeschi non ha

ceduto alle lusin-ghe di F. T. Ma-

rinetti, “pur ve-

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.36

nendo dal Futurismo, ha saputo poi riaccostarsi alla

tradizione” (21, certo Erbi). Il Nostro prende in e-

same la lirica ‘Oro di ricordi’ che, dice, essere forse la più conosciuta, ove è palese la nostalgia del Poe-

ta che si immerge nella natura; considera la poesia

‘Fanciullo solo tra i campi’, in cui il Poeta si imme-desima nei semplici animali come l’uccello, impri-

gionato in una trappola, mentre egli lo è della poe-

sia. Stupenda analisi in cui il Defelice rileva l’ ef-fetto provocato dagli stornelli che il volatile ripren-

de nonostante tutto, come “ascoltare una voce per

non sentirsi smarrito”, un comportamento simile a quello umano, soprattutto dei bambini, poiché ciò

serve per sfatare il male in tutte le sue forme, “non

fa che dimostrarci come l’animo del Tedeschi sia pieno di candore, com’egli sia rimasto fanciul-

lo.”(25).

Il Nostro ne sente l’affinità spiegando che “La Calabria non può essere considerata al di fuori dei

suoi paesi arroccati sui monti del suo sole e dei

suoi pomeriggi arroventati.” (26), che stimolano il pensiero. Può accadere che sognare troppo renda

infelici; come può accadere, a chi viva di ideali, di invidiare la vita semplice perfino di un bifolco, pur

di allontanarsi dalle molestie della città. Ecco per-

ché si è mossi da compassione verso i mendicanti, il Poeta ama spaziare l’infinito, ama il silenzio che

gli parla più dei suoi simili. C’è prevalenza dei co-

lori e dei suoni naturali, in armonia con l’essere umano, come per es.: “Mugolò il cane./ Cadde

qualche frutto/ da l’albicocco./ Si destò una rana./

Cantò una nota./ Ripiombò nel sonno.” (31); com-menta Domenico Defelice che in questi versi c’è la

rapidità dell’azione e la serenità che accompagna le

immagini. Geppo Tedeschi, come si è detto, si immedesima

nella natura, nel senso di sentirsi come essa, così

con la fine dell’estate “piange la misera fine dell’ uomo”. Domenico Defelice commenta che la vita è

come la primavera, è come il volo delle rondini che

ritornano; come il “pianto del grillo indifeso”; è

come “le cicale che cantano roche”. Infine, conclu-

de: “La poesia di Geppo Tedeschi è senza fronzoli,

senza cerebralismi e d’una straordinaria sintesi” (35); è un autore del suo tempo, semplice ed equili-

brato, una misura che gli proviene dalla classicità

dei luoghi in cui ha vissuto, e, simile a Leonida di Taranto, si rivolge agli umili, a cose e persone, co-

me specchio della natura.

Mi prendo la libertà di commentare quanto Do-menico Defelice si senta apparentato a Geppo Te-

deschi, nativo di Oppido Mamertina (Reggio Cala-

bria) l’11 agosto 1907, oltre che per l’appartenenza al territorio anche per essere accomunato agli stessi

interessi naturalistici, tanto da ricordarlo in varie

occasioni, considerandolo un valido rappresentante

della sua Calabria e nutrendosi di questo cantore in-

sieme ai suoi amici della gioventù, come Rocco Cambareri. Ecco perché il Nostro giudica che “Ac-

compagnarci ai poeti significa realizzare il regno

dello spirito.” (pag. 7). Mi immagino il Poeta, bambino in un periodo storico particolarmente deli-

cato, soffrire i rigori della Grande Guerra prima e

vivere gli effetti del Secondo Conflitto. Il desiderio di un ritorno alla natura primigenia, semplice e de-

gli umili, doveva impregnare tutta la sua esistenza,

di un paesaggio antropomorfo.

Tito Cauchi Immagine: Una delle 15 lettere di Geppo Tedeschi da

Domenico Defelice donate all’ “Associazione Geppo

Tedeschi” di Oppido Mamertina, in occasione del Con-

vegno tenuto in quella città il 28 dicembre 2013.

MARCELLO BORGESE

L’OBAYIFO DI ROSARNO

Ediz. Città del Sole Reggio Cal. 2014, pp. 267, €15.

Marcello Borgese è nato a Polistena. Laureato in

Economia e Commercio, per vari anni ha collabora-to con la cattedra di economia Politica presso l'Uni-

versità di Reggio Calabria. Poi ha lavorato presso

vari enti pubblici territoriali come dirigente e revi-

sore dei conti. Il suo primo romanzo, Rosa canina,

venne pubblicato nel 2006, e ha avuto una menzio-

ne speciale al premio letterario "Procida Isola di Arturo - Elsa Morante" nella XXI edizione dell'an-

no 2007.

Protagonista di questa nuova e interessante opera narrativa dello scrittore calabrese è il giovane afri-

cano Abeiku che vive tra i rifiuti tecnologici ai

margini di una discarica di Accra, non ha nessuno, dorme in un vecchio freezer e si sfama rimestando

tra i rifiuti in cerca di qualcosa di utile da rivendere.

E' solo un ragazzino, che desidera ardentemente il calore di una famiglia e che nel sonno ha ancora

paura dell' "obayifo", minacciosa figura mitologica

da sempre agitata come spauracchio dai più vecchi. Dimenticato dal mondo come tanti suoi coetanei,

con loro condivide la stessa esistenza di miseria, so-

litudine e fumi velenosi esalati dalla discarica, che mietono ogni giorno vittime giovanissime. Abeiku

sa perfettamente che quei fumi lo uccideranno, per-

ciò sogna l'Europa e un lavoro: una occupazione qualsiasi, sufficiente a mangiare tutti i giorni e ave-

re un posto dove poter dormire. Cosi, dopo anni

passati ad accumulare i soldi necessari, decide di fare il grande passo e quindi affrontare il viaggio at-

traverso il deserto e il canale di Sicilia. Comincia

allora il suo peregrinare di clandestino, spostandosi

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.37

di città in città, ovunque gli venga offerto un lavo-

ro, incontrando amici e perdendone altri, finché non

approda a Rosarno, dove parecchi sono gli africani che vivono nelle baracche di cartone nella speranza

di racimolare qualche spicciolo con la raccolta degli

agrumi e assicurarsi un pasto. Qui Abeiku conosce un anziano rom che fa il robivecchi, detto appunto

Ferrovecchio non mafioso ma amico e a distanza

della mafia. Questo rom si guadagna la vita rime-stando trai rifiuti della fiumara come appunto face-

va il ragazzo ganese Abeiku ad Accra (Abeicku è in

patria uno scavanger, uno spazzino). Il giovane a-fricano e il rom italiano diventano subito amici. Vi-

vono nella stessa baracca, dividendo le spese. Ma il

destino però è dietro l'angolo e presto a Rosarno si alzeranno le barricate e si accenderanno - come è

ben noto - quelli che sono i fuochi della rivolta.

Comunque tra pregiudizi e soprusi, 'ndrangheta e i-stituzioni sorde e indifferenti, una storia in cui la

condizione umana "si declina nelle sue svariate

forme di disperazione, stupidità, orgoglio e vendet-ta". L'opera narrativa si presenta articolata su due

quadri ben fusi tra di loro. Il primo che attiene al giovane africano e al suo viaggio da Accra in Italia

e poi il suo arrivo a Rosarno (secondo quadro) e

qui l'africano conosce lo zingaro, qui agisce la ma-fia ma ci son pure, anche se pochi, persone che

cercano di aiutare questi poveri africani. Il romanzo

è una vera e propria testimonianza, ma pure denun-cia di ciò che è avvenuto a Rosarno. Tutti dovreb-

bero leggere e meditare ciò che ha scritto Marcello

Borgese. L'opera per come è scritta e per la sua ma-teria e argomenti si lascia leggere tutta d'un fiato, ed

è introdotta significativamente da alcuni versi di

Quasimodo, quelli che si riferiscono a Uomo del mio tempo (poesia che appartiene alla silloge poeti-

ca "Giorno dopo giorno): "Sei ancora quello della

pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo. Eri nel-la carlinga,/con le ali maligne, le meridiane di mor-

te,/ t'ho visto - dentro il carro di fuoco,/ alle forche,

alle ruote di tortura". Orbene, ecco l’inizio dell'av-

vincente e interessante romanzo di Borgese: "I

rumori metropolitani si perdevano sordi nell’aria

ovattata. I ragazzi si aggiravano tra scocche di computer, carcasse di frigoriferi e acque luride del-

la laguna, muovendosi accorti nella fuliggine che

offuscava lo spiazzo senza alberi e senza Dio" (p. 9): Con linguaggio sempre chiaro e ben aderente

agli argomenti di volta in volta trattati vengono pre-

sentati fatti, avvenimenti tragici, caratterizzati da miseria, sopraffazione, da sfruttamento dell'uomo

sull'uomo. Affiora un quadro mosso da violenza, da

miseria, squallore. Il giovane africano cerca dispe-ratamente di salvarsi e prima di arrivare in Italia ne

passa di tutti i colori. Tutto sommato ci troviamo di

fronte a un romanzo ben amalgamato, ricco di si-

tuazioni, di personaggi, di situazioni contrastanti tra

di loro che mettono bene in evidenza la condizione tragica in cui vivono gli africani non solo nei loro

paesi ma pure quando vengono in Italia e capitano a

Rosarno. Un romanzo complesso ma che vuole es-sere come un monito per le istituzioni a fare vera-

mente qualcosa di concreto per queste persone che

vivono una vita veramente poverissima e degradata. Perciò l'unica preoccupazione del giovane africano,

l'unica sua aspirazione è quella di avere un posto di

lavoro, un decente posto di lavoro per poter vivere in modo decente appunto. Abeiku è solo e non "co-

nosceva l'Italia, non conosceva suo padre e imma-

ginava Dio come un vecchio seduto sulle nuvole. Sì! Un arzillo vecchietto che dall'alto li osservava e

arrabbiandosi rispediva a terra i vapori fetidi sotto

forma di ceneri sulle teste degli scavanger, sulle ba-racche e sulle strade sterrate dello slum Old Mada-

ma della periferia di Accra” (p. 9). Abeiku sa solo

che è un africano solo e disperato, che vive in mez-zo alla miseria e in un ambiente squallido e letale

per la sua salute: certamente Abeiku è il personag-gio principale di questa opera ma leggendo ci si

imbatte in altri - il già citato rom Ferrovecchio che

solidarizza con i poveri come lui, siano essi africani o bulgari o italiani: essi si incontrano nella sua ba-

racca e qui ognuno porta qualcosa da mangiare: qui

si raccontano le loro pene e la loro vita. C'è la figu-ra umanissima del dottore di Bertolino che aiuta

tanto, per quel che può fare, questa povera gente, e

ancor altri volontari. Ma ciò non è sufficiente. Le istituzioni latitano e poi la mafia imperversa: fa in

negativo la sua parte. Non mancano i caporali, non

mancano quelli che sfruttano gli africani, facendoli lavorare tanto e pagandoli poco e se si ribellano su-

bito vengono messi con minacce e modi brutali a

tacere. Poveri da un lato ed emergenti mafiosi dall' altra parte che menano una vita ricca e ogni sera

bevono champagne e commettono soprusi e si di-

vertono a prendere a mitragliate le lampade del pa-

ese oppure gli africani che son sorpresi a fare i loro

bisogni lungo la strada. Però essi poi si ribellano e

succede ciò che si sa. Di cui han parlato tutti i gior-nali: la rivolta di Rosarno. La colpa di tutti. Co-

munque, leggendo l'opera si vengono a conoscere

fatti e vicende veramente dolorosi e tragici. Un'ope-ra, questa di Borgese, intrisa di miseria, di povertà,

di tragedia ma che presenta pure una umanità ve-

ramente ammirevole, una umanità, quella dei pove-ri che tra di loro si comprendono e cercano di capi-

re dove va la società, il mondo. Marcello Borgese

con linguaggio sempre chiaro e penetrante presenta fatti e situazioni. Eccone alcuni: "Dai prendiamolo,

così li saliamo il miccio". Il nero si impaurì e cercò

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.38

di scappare, ma lo afferrarono in due mentre un ter-

zo gli scese i pantaloni. Melo prese una manciata di

terra e gliela cosparse sul pene mentre lo sventurato si dimenava, "laissez-mois s'il vous plait" implorò

con le lacrime agli occhi. "Ah ah Ah" rise Melo.

“Basta, lasciatelo” disse Roy. “Vattene! Dai! E non pisciare più per strada, hai capito?" (p. 196: I due,

Roy e Melo sono mafiosi); "Il dottor Mario (...) vi-

sitò un bambino bulgaro e rilevò un'asma bronchia-le, allora si mise a rimescolare tra le confezioni

messe alla rinfusa finché trasse due prodotti antia-

smatici di quei campioni gratuiti per i medici e li consegnò alla donna dagli occhi neri come olive.

Questa li fissò, poi scrutò il bambino e ancora il

medico come se volesse interrogare. "Sì, vai tran-quilla, vanno bene" (p. 197); "Si fermò un pulmino

e senegalesi e nigeriani si accalcarono e si spintona-

rono per afferrare le maniglie degli sportelli che non si aprirono perché c'era la sicura.

Il caporale scese e ad alta voce disse: "Io ne pren-

do dodici, però voglio cinque euro ciascuno. Il pro-prietario ve ne dà venticinque".

Serpeggiò un malcontento e qualcuno gridò: "C'est un vol! C'est un vol!"

Quattro o cinque si avventarono su quelli che sta-

vano per montare e li bloccarono: "Il ne faut pas monter|Il ne faut pas monter!" "Non volete salire?"

disse il caporale. "Allora col cazzo che lavorerete,

né oggi né mai. Va bene?" (p. 213); e infine: "Una sera all'imbrunire arrivò il biondino su una macchi-

na sportiva. Il vecchio e Abeiku erano nella baracca

e sentirono chiamare. "Chi è?" disse Ferrovecchio.

"Amici, amici, compare Damiano, sono io, Anto-

nio". “Ahhh! Entra pure, ti offro un bicchiere di chia-

renza, lo vuoi?"

"No, no, compare senza offesa, ma devo andare subito. Sono venuto a dirvi che il vostro compito è

finito, l’amico si è trasferito".

"Va bene, io qua sto, se volete qualcosa, all'espo-

sizione. Scusami, posso farti una domanda? A noi

ci ha presentato il nipote di zì Tuti ma, se è lecito,tu

a chi appartieni?" "Io sono il figlio della benedetta anima di Mico

Diportuvalli, come lo chiamavano, ve lo ricordate?

Quello che l'hanno sparato proprio al ponte del Boccio", (p. 185).

Il romanzo presenta termini specifici e particolari

che afferiscono e alla vita africana e alla parlata delle cosche mafiose. Cosi si incontrano sovente

termini, che poi son spiegati nel Glossario che figu-

ra al termine dell'opera. Come "spiritaro" che era un lavorante che toglieva lo spirito dalle bucce di a-

rance e mandarini; "schiticchiata" che significa ce-

na tra amici; "scarpe lucide” che è nomignolo per

indicare i giovani mafiosi che ostentano vestiti fir-

mati e gioielli; "scavanger" è lo spazzino; "sherba" è un piatto libico di carne in zuppa di verdura molto

pepata; "cedi" è la moneta ghanese; "casanza" è nel

gergo della 'ndrangheta il carcere; "drinn" è la pianta del deserto di cui si nutrono i dromedari; "e -

waste" sta per "eletronic waste " vale a dire rifiuti

dell'elettronica; "complimento" è il regalo; "adin-kra" è una stoffa ghanese; “Ashanti" è un grande

gruppo etnico dell'omonima regione Ashanti del

Ghana. Ecco ancora "banku" per pastone di manio-ca con sugo; "batick" è il tessuto colorato con una

particolare tecnica; e infine, solo per segnalarne al-

cuni di questi termini, ecco "attivare (partecipare at-tivamente e assiduamente alla vita della società o-

norata) e "accavallare" che significa nel gergo della

mafia armare. Marcello Borgese si riconferma uno scrittore non

prolifico ma significativo e di prim'ordine. Per cre-

dere leggere e meditare su quest'opera, felice e per lingua e per argomenti. Un romanzo di denuncia e

di altissimo significato umano.

Carmine Chiodo

PAOLANGELA DRAGHETTI

GHERLA E CRIS

L’Autore Libri, Firenze, 2013

Molto graziosa è la favola scritta da Paolangela

Draghetti intitolata “Gherda e Cris” (L’Autore Libri Firenze, 2013, pagg. 72, € 10,00) che, come

suggerisce fin dall’Introduzione l’Autrice, può es-

sere drammatizzata o realizzata in cartone animato – grazie ai dialoghi, alle didascalie e ai canti inclusi

– non solo, ma vengono date indicazioni sullo sce-

nario, sull’ambientazione e sulla suddivisione delle scene.

La trama consiste nella storia di un amore bello

ma impossibile tra la cicala Gherda - che è attiva di

giorno, mentre di notte dorme – verso il grillo Cris

il quale invece è di notte che rimane sveglio a can-

tare. E’ infatti nell’imbrunire che Gherda vede e subito si innamora di Cris, il quale entra nella casa

dell’Uomo, e purtroppo ci rimane rinchiuso anche il

giorno seguente. Poiché Cris sarebbe morto soffo-cato per mancanza di aria, non riuscendo da sola a

liberarlo, Gherda chiede aiuto a vari animaletti, pu-

re suoi nemici, in cambio di propri favori, e così riesce a farlo uscire dalla casa, salvandogli la vita.

Ma Cris non sa per merito di chi è stato salvato, e la

sua contentezza la esprime abbracciando una bella grillina. Gherda li vede e ne rimane male. Provve-

derà la Luna a spiegare a Gherda che gli animali

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.39

preferiscono quelli della loro stessa razza; ma come

la consolerà – anche se si tratta di una consolazione

piuttosto misera! - lo lascio scoprire a voi quando sarete giunti a leggere la fiaba fino in fondo.

Una canzone finale riassume l’intera storia.

Questa favola vuole mostrare fin dove riesce ad arrivare un cuore innamorato, anche se poi verrà

deluso dovendo sottostare alle rigide leggi della Na-

tura. Vengono inoltre elogiate la generosità d’ ani-mo e la collaborazione.

Maria Antonietta Mòsele

GIORGIA CHAIDEMENOPOULOU

7 FAVOLE...

7 COLORI DELL’ARCOBALENO

Aletti, 2013

La scrittrice greca Giorgia Chaidemenopoulou

ci presenta “7 Favole… 7 Colori dell’arcobaleno”

(Aletti Editore, 2013, pagg. 70, € 12,00), fiabe tutte vincitrici di primi premi a concorso, le quali – pur

ambientate in un mondo di fantasia - esaltano i reali valori morali, la Natura e il rispetto dell’ambiente,

la cultura e la salvaguardia della salute.

Ad esempio, ella si serve del racconto di un ca-vallino per invitare i figli ad obbedire ai genitori e a

metterli in guardia da quelle persone malvage che li

possono portare al vizio e alla droga. Esalta la bon-tà e l’amore che valgono più della bellezza, e che

sanno superare ogni forma di invidia. Nel terzo epi-

sodio – alquanto originale - che parla di un libro dalle pagine vuote, invita i ragazzi ad istruirsi e ad

impegnarsi nello studio, così da poter arricchire le

proprie conoscenze culturali e riuscire ad esprime-re, anche per iscritto, le proprie idee.

Altre fiabe illustrano lo sconvolgimento della na-

tura e del clima (con descrizioni anche cruente) a causa dell’uomo il quale, però, poi si ravvede e tut-

to rinasce e rifiorisce nel migliore dei modi.

La Scrittrice, inoltre, attraverso il racconto di una

gara fra animali, ci tiene ad indicare una sana edu-

cazione alimentare, in modo che i bambini vincano

la tendenza ad essere golosi. Come già detto, raccontando favole e sogni così

immaginifici, l’Autrice però ha un intento didasca-

lico altamente positivo e concreto. E, per essere ul-teriormente incisiva verso i lettori, umanizza ani-

mali ed alberi facendoli parlare; non solo, ma nei

loro discorsi diretti, li fa esprimere con versi poeti-ci, spesso rimati.

Le illustrazioni - tutti disegni di ottima fattura –

rappresentano i momenti più significativi di ciascu-na fiaba.

Maria Antonietta Mòsele

VITTORIO “NINO” MARTIN

STEVENÀ AMORE MIO

Cenacolo Accademico Europeo, 2014

Vittorio “Nino” Martin, il poeta pittore che già

conosciamo, ci fa ora pervenire la silloge poetica “STEVENA’ amore mio” ( Cenacolo Accademi-

co Europeo, 2014, pagg. 54, e.f.c.), dedicata al suo

paese d’origine che ha sempre tenuto nel cuore e, dopo l’emigrazione all’estero per lavoro, è ritornato

ad abitare, trovandolo però, trascurato. E da subito,

amaramente, ne spiega il perché: <il cuore intorpi-dito/ dal benessere,/ fa smarrire/ le radici e valori>.

Egli ricorda con nostalgia il passato: la vita sem-

plice e bonaria della gente, ma ricca di sani princì-pi; la nonna che accudiva i bisnonni e i nipotini; le

belle feste paesane; il ponte “gioiello di bombonie-

ra”; l’osteria sempre animata dalla varietà degli av-ventori; i ricami delle merlettaie; i duri lavori dei

muratori e degli agricoltori; l’allevamento dei bachi

che producevano ottima seta: tutte memorie della giovinezza, alcune rimaste in qualche fotografia.

E subito l’Autore, considerando il suo paese di ie-ri “borgo gioioso” e quello di oggi divenuto, dopo

la guerra e dopo il terremoto, un “rudere meravi-

glioso”, abbandonato da quasi tutti, si domanda come sia possibile provvedere a tanta rovina: nean-

che i migliori professionisti riescono a capire se è

preferibile abbattere tutto, ricostruire o ristrutturare. Oltre al degrado, oggi, c’è corruzione fra le perso-

ne; “ora, al ponte degli innamorati/ faccio incontri

indesiderati”; perfino le feste tradizionali sono fin-te, falsate. E dilagano consumismo e spreco di mo-

bili ed interi arredi.

Ora Martin è pensionato: si improvvisa casalingo e giardiniere; raramente viene richiesto dai compa-

esani, se non per far fare a loro bella figura; ma egli

serba sempre nel cuore l’onestà, il senso del dovere, la solidarietà, gli affetti famigliari. E poi parla del

dialetto ”sentimentale/ arabesco musicale,/ acque-

rello pittoresco/ malizioso furbesco” che attualmen-

te viene parlato soltanto da nonni e bisnonni, men-

tre è un modo per identificarsi, un vero patrimonio

linguistico, un “pezzo forte da salvare”. Sono tutte poesie scritte in rima, con qualche e-

spressione anche scherzosa; ma proprio usando l’

ilarità, Martin denuncia l’attuale degrado materiale e morale del suo paese che lo fa rattristare.

Alcune recensioni con giudizi di vivo apprezza-

mento chiudono la silloge. Le sue opere artistiche qui raffigurate – sia quelle

a colori che quelle a carboncino – fanno risaltare la

rilevante vena pittorica e l’immediatezza - associata alla sicurezza – del tratto della mano.

Maria Antonietta Mòsele

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.40

ANTONIO IADEMARCO

IL RONZIO DELLE MOSCHE

Prima Comunicazione Sociale, 2013

La figura di un bimbo dalla folta chioma bionda,

tagliata in modo “stravagante”, fa da copertina al libro di Iademarco Antonio “Il Ronzio delle Mo-

sche” (Prima Comunicazione Sociale, 2013, pagg.

86, € 12,00). E’ questa un’autobiografia in prosa, in cui l’ Au-

tore vuole ricordare i fatti più salienti della sua fan-

ciullezza e come viveva la gente allora. Era il peri-odo successivo alla 2^ guerra mondiale: gli adulti

provvedevano alla ripresa della vita svolgendo tutti

i lavori: di muratore, di fabbro, di boscaiolo, di fa-legname, di coltivazione dei campi (di cui l’ Autore

fornisce dettagliate e simpatiche spiegazioni ed in-

formazioni) e dei vigneti, e della cura del bestiame (preso in prestito da altri); alcuni lavoravano alla ri-

costruzione della galleria ferroviaria; ma “tanto la-

voro, poco guadagno”. Tra la gente c’erano solida-rietà e collaborazione, per cui spesso si barattava

lavoro con prodotti pronti. Molti emigravano all’ estero: Venezuela, Belgio, Argentina, Germania…

I neonati dormivano in culle di fortuna, ottenute

da oggetti raccattati qua e là, e poi adattati allo sco-po (la culla dell’Autore era di latta ritagliata, e

quella del fratello era una vecchia sella d’asino). I

bambini aiutavano come potevano: sorvegliavano gli animali al pascolo, davano una mano nei lavori

agricoli, andavano alla fontana varie volte al giorno

per rifornire di acqua la famiglia. E il figlio mag-giore (è il caso dell’Autore) doveva aiutare più de-

gli altri fratelli. Come detto, i bambini si dovevano

accontentare di giocattoli semplicissimi, trasfor-mando oggetti e materiali recuperati chissà dove.

Però, riuscivano a trovare un po’ di spazio per di-

vertirsi, per fare qualche marachella e scherzi anche cattivelli. La scuola era lontana e, per non consu-

mare le scarpe, si andava a piedi nudi; inoltre, non

c’era tempo per studiare a casa, e i maestri erano

severi, quanto i genitori stessi. L’Autore, per non

gravare di spese scolastiche la famiglia, si ritira dal-

la Scuola di Avviamento, ancora più lontana, e fa domanda per diventare carabiniere.

Se all’inizio il “ronzio delle mosche” - che lo

Scrittore da piccino sentiva tutt’attorno all’albero di ciliegie mature – gli ricordano la guerra, ora invece,

il finale “ronzio delle api” gli risulta di consolazio-

ne dall’avere costruito per questi utili animaletti una bella arnia.

Inoltre, se nell’Introduzione l’Autore ci prean-

nuncia il proprio trasferimento “Oltre Confine” – che durante tutta la suggestiva narrazione del libro

il lettore dimentica – alla conclusione dell’opera,

quasi inaspettatamente esso viene ribadito: egli par-

te per l’estero con “la valigia di cartone”.

Maria Antonietta Mòsele

GIANNI RESCIGNO

ANIME FUGGENTI

Genesi Editrice, 2010

IN GIANNI RESCIGNO “IL CAMMINO

DELLA VITA IN UN MINUTO” - Eterno “il

cammino della vita/ raccolta in un minuto.”(p.16) Un minuto in cui, Gianni Rescigno riesce a far rivi-

vere il proprio passato, l’unità intima del passato,

collocandolo nella sfera magica del tempo ritrova-to, con immagini turgide di realtà, nella cui profon-

dità il diviso e il disunito si dischiudono insieme al-

la rinascita e alla resurrezione. Solamente colui il quale s’immerge nel ricordo può restare, perché il

suo ricordo si trasforma nel profondo della contem-

poraneità. Solamente colui il quale vive nel ricordo può fermare anime fuggenti e ascoltare il suono di

quell’istante in cui l’elemento terrestre deve aprirsi all’infinito e all’ignoto. Solamente chi si ferma nel

ricordo può pensare alle vicende quotidiane intrise

di orrore a volte, disumano ma, anche a coagulare visioni liberatorie sotto la spinta psico-emozionale

dell’esistenza a ritroso. Versi d’incantevole ariosità

sono quelli in cui Gianni Rescigno rivive con struggente malinconia le illusioni e le delusioni del-

la sua esistenza e trova conforto contemplando

“uomini seduti/ in cerchio sotto i noci” e le “donne a mezzogiorno” mentre “tiravano su dal pozzo il

vino”. (p.39), oppure quando “ all’alba/ ci chiama-

va la campana/ E si andava a ritrovar le stel-le.”(p.71) Tratti di realismo e di significati mistici si

conciliano perfettamente in “Requiem” per Ninì e

la sua “croce lasciata su una strada qualunque” (p.38) e per Norberta mentre in coma profondo a-

scolta “celeste voce” e fissa “una luce che a noi

sfugge.”(p.32) Ed il tutto espresso con lucida anali-

si psicologica ed il fervido slancio dell’anima, che

anela a trasformarsi in canto.

Innocenza Scerrotta Samà

AI LETTORI

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POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.41

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE PREMIATA MARIAGINA BONCIANI - Ap-

prendiamo che la poesia TRAMONTO, di Maria-gina Bonciani, pubblicata nel numero di Maggio

di P.-N., ha vinto il primo premio alla XLVI Edi-

zione del concorso SILARUS. Complimenti vi-

vissimi.

***

L’ITALIA DI SILMÀTTEO - E-mail del 13.08.2014 da Giuseppe Leone, Pescate (LC): Caro

Domenico,ti faccio avere questa mia recensione

[vedere pag.12 - n.d.r.], mentre qui a Lecco piove come in pieno inverno, a suggello di una stagione

climaticamente anomala, un po’ come quella politi-

ca che tu stai descrivendo magistralmente nella tua “Italia di Silmàtteo”. Permettimi di farti i compli-

menti per questo tuo poemetto eroicomico, forse l’

unico genere letterario rimastoci per descrivere la nostra italietta. Il tuo Renzusconi, per il suono e la

sua ibrida composizione etimologica, ma non solo,

anche per il senso del grottesco che lo ispira, mi ri-manda al Bonito Napoloni di Charlie Chaplin, im-

mortalato nel suo Grande dittatore. “Se tutto va

bene (per l’ eroe del nostro tempo, il corsivo è mi-o), siamo rovinati”, recitava il titolo di un filmettino

di qualche anno fa. Non ci resta che piangere? No,

neanche. Perché qui, ora, in Italia c’è la sospensio-ne del tragico e tutto è volto in parodia. Non sem-

bra tragica neppure questa pioggia, che nonostante

stia venendo giù quasi ininterrottamente da questa primavera, non crea più i disagi di una volta: i fiumi

non esondano, le montagne stanno dove sono, i ma-

ri non rimandano indietro l’acqua.

Allegria di naufragi, allora, come ammoniva il poe-

ta. Un abbraccio, (...),

Giuseppe

Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI ENRICA GNEMMI - Requiem - a cura di Paolo

Zoboli - In copertina, a colori, “Cristo giudice e la Vergine”, affresco nella Cappella Sistina di Miche-

langelo Buonarroti - Ed. Interlinea, 2014 - Pagg.

108, € 12. Allineando le parti di un’ideale Messa di Requiem (negli occhi il grande affresco michelan-

giolesco, nell’anima la musica di Mozart e di Ver-

di) la Gnemmi conduce una dolorosa, straziata me-

ditazione sul male della storia, con lo sguardo tutta-

via rivolto allo sfolgorante ritorno finale del “giusto

indifesa follia che disarma, apre i cuori, perdona ai fratelli caini, sacrificio riparatore”.

**

GAETANO DONIZZETTI - Don Pasquale - Dramma buffo in tre atti, libretto di Giovanni Ruf-

fini e Gaetano Donizzetti. Ricostruzione della ver-

sione per mezzosoprano (San Pietroburgo, 1845). Prima esecuzione in tempi moderni. Don Pasquale -

Lorenzo Regazzo; Malatesta - Gabriele Nani; Erne-

sto - Emanuele D’Aguanno; Norina - Federica Car-nevale; Un notaro - Yiannis Vassilakis; Orchestra

di Padova e del Veneto, Coro Dodecantus (maestro

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.42

del coro Marina Malavasi), Direttore Giovanni Ba-

tista Rigon. Teatro Olimpico di Vicenza. Regia di

Franesco Bellotto. Bongiovanni, 2014. **

LEONARDO SELVAGGI - Il percorso letterario

di Vincenzo Vallone - Saggio - Edizioni Eracle, 2014 - Pagg. 124, € 13,00. Leonardo SELVAGGI è

nato a Grassano (Matera) e risiede a Torino. E’ sta-

to dirigente superiore del Ministero per i Beni Cul-turali. Scrittore, poeta, saggista, ha ottenuto nume-

rosissimi premi ed è collaboratore d’importanti te-

state editoriali. Ha curato sei antologie di poesia contemporanea. Della sua attività letteraria hanno

scritto centinaia di critici su giornali e riviste. Il

Centro di Studi e Ricerca “Mario Pannunzio” gli ha conferito il Premio Speciale del Presidente della

Repubblica per la letteratura 1988. Il 13 giugno

1989 gli è stata conferita l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.

Tra le opere, in versi è prosa, si ricordano: Le Om-

bre (1955); Diario poetico (1964); Frammenti (1970); Desiderio di vivere (1973); Vent’anni di

poesia (1975); La transizione (1978); Lo sradicato ed altri scritti (1986); Pagine di un anno (1988); Le

radici del’essere (1990); L’ultimo dei romantici

(1991); La croce caduta (1993); Le feste degli altri (1993); Il mattino dell’ufficio (1993); Franti pensie-

ri d’autunno (1994); Poesie in due tempi (1996);

Eterne illusioni (1997); I giorni del baratro (1998); Realtà e poesie (1998); Michele Martinelli, La terra

di Lucania e la sua gente negli anni cinquanta

(1998); La poesia nel Dialogo Serale di Francesco De Napoli (1999); Stimolazioni e colloqui (1999);

Arpeggi di mare - Saggio etico su “pensieri di sab-

bia” di Graziano Giudetti (1999); Sugli assetati di ordine e di giustizia (2000); Francesco Lo Monaco

(2001); Saggi sulle “Poesie di Francesco Brugnaro”

(2001); Brandisio Andolfi in “Alberi curvi d’acqua” (2001); Lontano è il tempo della notte

(2001); Andrea Bonanno pittore e saggista dell’

uomo nella sua essenzialità primordiale (2002);

L’amore sopra il precipizio (2002); Vita e pensieri

(2002); Poesie nella tempesta (2002); Nicola Festa

il classicista sommo della Basilicata (2002); I tempi felici (2002); Iddio non conosce gli uomini (2002);

L’altra valle (2003); L’anima e gli echi lontani

(2003); Il divorzio e l’amore (2003); Storia e auto-biografia (2003); La poesia di Carmine Manzi nella

sua ultima evoluzione (2003); Ruggero Bonghi

(2003); Brandisio Andolfi cantore dei tempi nostri (2003); Il nostro tempo (2004); Alle fonti

dell’essere (2004); La terra tutta ci prende (2004);

Poesie di sempre (2004); Sui sentieri del cuore di Maria Teresa Epifani Furno (2004); Tra crisi di

transizione la poesia di Amerigo Iannacone in sti-

molazioni etico-sociali (2004); AA. VV. Rino

Cerminara nel secondo Novecento letterario italia-

no (2005); L’indignazione poetica (2005); Luigi Pumpo - Poeta della vita e della Natura (2005); Gli

Italiani eterni immigrati (2005); Letteratura di ieri e

di oggi (2005); Personaggi e storia umana (2005); La costante lunare e spirituale nell’ars poetica di I-

sabella Michela Affinito (2005); Polvere di ossa

(2005); Vincenzo Rossi voce rappresentativa del ‘900 (2005); Lo specchio del cielo - Poesie 1996-

2005 (2005); Bruno Giordano cantore dei nostri

tempi (2005); La poesia di Amerigo Iannacone (2006); La critica di Leonardo Selvaggi sull’arte e

sulla letteratura frenniana (2006); Estrosità imma-

ginativa e Armonia poetica di Anna Aita (2006); Dalle poesie di Antonio Vitolo: il cuore antico

dell’uomo in sentimentalità ed eterno amore

(2007); Natura ed umanità (2007); Dalle opere di Antonio Angelone ritornano i pensieri e le amarez-

ze dei grandi meridionalisti (2007); Umanità e

grandezza lirica di Carmine Manzi (2008); Le dol-cezze della vita (2008); Dai mosaici alle poesie

(2009); Il mio esilio (2009); Domenico Defelice e le sue opere etico-sociali (2009); Giudizi critici “Le

avventure di Fiordaliso” di Antonio Angelone

(2009); Poesia e tradizione nelle opere di Antonia Izzi Rufo (2009); Le poesie di Giovanni Cianchetti

(2010); Alle fonti dell’essere e della vita - saggio

sull’opera di Vittorio Martin (2010); Vittorio Mar-tin poeta e pittore (2010); Nunzio Menna; Opere e

attività culturali (2010); Il fantasma e altre poesie di

Vincenzo Rossi (2010); Nel Diario di Domenico Defelice giovinezza e poesia (2011); Pantaleo Ma-

strodonato nella vita e nell’arte - Profilo critico del-

lo scrittore-poeta (2011); La poesia di Francesco Terrone (2012); Il dissolversi dell’uomo moderno

(2012); Luce e saggezza nella poesia di Pasquale

Francischetti (2012); Le commedie dialettali di An-tonio Angelone (2012); Antonio Angelone e il suo

mondo ideale (2013); Le opere di Nunziata Ozza

Corrado (2013).

**

LEONARDO SELVAGGI - Lontano è il tempo

della notte - Tipografia La Fenice, 2001 - Pagg. 200, s. i. p.

**

LEONARDO SELVAGGI - Realtà e Poesia - In copertina, a colori “Figura in nero di Gigi Chessa -

Edizioni Cronache Italiane, Salerno 1998 - Pagg.

144, s. i. p. **

LEONARDO SELVAGGI - I giorni del baratro -

In copertina, a colori, opera di Renzo Enrione - E-dizioni Cronache Italiane, Salerno 1998 - Pagg.

190, s. i. p.

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.43

**

LEONARDO SELVAGGI - Le radici dell’essere -

EDS, 1990 - Pagg. 182, L. 10.000. **

LEONARDO SELVAGGI - Nicola Festa Il classi-

cista sommo della Basilicata - In copertina, a co-lori, Matera, Piazza Vittorio Veneto; all’interno,

numerose foto in bianco e nero - Edizione dell’ U-

nione di Convergenza Universale, Nettuno 2002 - Pagg. 112, € 7,75.

**

LEONARDO SELVAGGI - Le ultime pagine del

Duemila - Prospettiva PE Editrice, 2001 - Pagg.

68, L. 10.000.

** LEONARDO SELVAGGI - La poesia di France-

sco Terrone - I.R.I.S. Edizioni, 2012 - Pagg. 102,

s. i. p. **

LEONARDO SELVAGGI - Ruggero Bonghi In

cinquant’anni di storia italiana - Prospettiva edi-trice, 2003 - Pagg. 46, € 7,00.

** LEONARDO SELVAGGI - Il mattino dell’ufficio

- In copertina, a colori, Biblioteca Nazionale di To-

rino - Edizioni Tigullio-Bacherontius, 1993 - Pagg. 156, L. 12.000.

TRA LE RIVISTE SETTIMANE MUSICALI AL TEATRO OLIM-

PICO - XXIII Settimane Musicali al Teatro Olim-

pico - 25 maggio - 25 giugno 2014, Vicenza Teatro Olimpico. Il volume (ché tale deve essere conside-

rato: 178 pagine) contiene, fra l’altro, l’intero li-

bretto di “Così fan tutte” di Wolfgang Amadé Mo-zart (Salisburgo 1756 - Vienna 1791). Le pagine da

160 a 172 riguardano “I Protagonisti”, con le esau-

rienti schede di ben 26 artisti: Giorgio Appolonia,

Luis Bacalov, Giancarlo Bianchetti, Mario Bru-

nello, Alberto Boischio, Marco Bussi, Alessan-

dro Cammarano, Pierluigi Comparin, Alexan-

der Gadjiev, I Polifonici Vicentini (coro), Oksana

Lazareva, Andrea Lucchesini, Raffaella Lupi-

nacci, Claudio Marino Moretti, Angelo Nasuto, Orchestra di Padova e del Veneto, Giorgio Puglia-

ro, Lorenzo Regazzo, Giovanni Battista Rigon,

Adelina Scarabelli, Christian Sebastianutto, So-

nig Tchakerian, Pietro Tonolo, Arianna Vendit-

telli, Alvise Vidolin, Daniele Zanfardino.

* IL CONVIVIO - Trimestrale di poesia arte e cultu-

ra fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza

Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Ca-

stiglione di Sicilia (CT) - Riceviamo il n. 57 (apri-le-giugno 2014), ricco, come al solito, di articoli,

recensioni, poesie, notizie. Tra le moltissime firme,

segnaliamo quelle di nostri collaboratori: Orazio

Tanelli (“Manfredi: La salvazione dantesca”), An-

gelo Manitta (“Tommaso Romano. Tempo dora-

to”), Nazario Pardini (“Angelo Manitta: Volubile cosmo. BIG BANG La vita dello Zodiaco II”), l’

indimenticabile amica Maria Grazia Lenisa

(“Canzone XIV”). E poi, ancora, Antonia Izzi Ru-

fo, Andrea Pugiotto, Leonardo Selvaggi, Giu-

seppe Manitta (“Michele Frenna”), Enza Conti

(“Aldo Cervo: Antonia Izzi Rufo tra soggettivismo lirico e neorealismo”), Maria Vadalà (“Vittorio

“Nino” Martin - Stevenà, amore mio”), Domenico

Defelice (“Antonia Izzi Rufo - Paese”). Allegato, il supplemento CULTURA E PROSPETTIVE, n. 23

(di 192 pagine), con le firme di: Giuseppe Manit-

ta, Bruno Bartoletti, Giuseppe Sergi, Giuseppe

Cappello, Leonardo Selvaggi, Maristella Diletto-

so, Franco Pignotti, Rossano Onano (sul saggio di Anna Aita per Domenico Defelice), Antonio

Crecchia, Salvatore Agati, Silvana De Carretto,

Nazario Pardini, Anna Aita, Biagio Scrimizzi, Anna Salvaggio, Sandro Angelucci eccetera.

*

VERNICE - Rivista di formazione e cultura, diretta da Claudio Giacchino - Genesi Editrice - via Nuo-

ro 3 - 10137 Torino -Riceviamo il n. 50 (aprile

2014), di pagine 352. Tra le tante firme, non pos-siamo non rilevare quelle di Sandro Gros-Pietro

(che intervista Nevio Nigro), Luigi De Rosa, A-

driana Mondo, Piera Bruno (Ieri e oggi: un antie-roe turco, il Novellino, l’Italia), Nazario Pardini,

Aurora De Luca, Domenico Defelice, Elio An-

driuoli, Liliana Porro Andriuoli, Marina Carac-

ciolo, Innocenza Scerrotta Samà, Liana De Luca

(Personaggi bergamaschi negli scritti di D’ Annun-

zio), Anna Vincitorio, Edio Felice Schiavone ec-

cetera.

*

RASSEGNA SICILIANA DI STORIA E CUL-TURA - Dr. Tommaso Romano - ISSPE, via Mes-

sina Marine 445 - 90123 Palermo - Riceviamo il n.

37 (gennaio-aprile 2014) di pagine 160. Tante le firme: Maria Patrizia Allotta, Pietro Attinasi,

Umberto Balistreri, Domenico Bonvegna, Salva-

tore Bordonali, Manuela Coniglio, Franco

D’Angelo, Luigi Antonio Fino, Michelangelo In-

grassia, Saverio La Paglia, Giuseppe La Russa,

Gaetano Marabello, Antonio Martorana, Vito

Mauro, Antonino Palazzolo, Francesco Paolo

Pasanisi, Domenico Passantino, Gianfranco

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.44

Romagnoli, Tommaso Romano, Antonino Sala,

Maria Antonietta Spadaro, Franco Trifuoggi,

Piero Vassallo, Lucio Zinna. *

MAIL ART SERVICE - dr. Andrea Bonanno -

via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN) - Riceviamo il n. 86 (giugno 2014), del quale segnaliamo: Andrea

Bonanno (Brevi considerazioni sulla 55esima edi-

zione della Biennale d’arte di Venezia). *

NUOVO CONTRAPPUNTO - Trimestrale di poe-

sia ed arte, diretto da Silvano Demarchi - via della Zecca 9 - 39100 Bolzano. Riceviamo il n. 2 (aprile-

giugno 2014). In copertina, grafica di Vanna Verdi

- All’interno: Elena Bono, Giuseppe Cassinelli, Davide Puccini, Bruno Bartoletti, Rosa Elisa

Giangoia, Piera Bruno, Leopoldo Gamberale,

Rita Muscardin, Elio Andriuoli. *

L’ERACLIANO - Organo mensile dell’Accademia

Collegio de’ Nobili - Dr. Marcello Falletti di Vil-

lafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci

(Firenze) - Riceviamo il n, 195-197 (aprile.giugno 2014), ricco anche di belle fotografie a colori. Ci

piace segnalare: “Al lupo, al lupo” di Gian Giorgio

Massara; “Lorenzo Casamenti, una vita spesa per l’arte”, di Mariagrazia Orlandi; “Intervista al ve-

scovo di Carpi S. E. Mons. Francesco Cavina”, di

Carlo Pellegrini; “Apophoreta”, di Marcello Fal-

letti di Villafalletto.

*

BRONTOLO - mensile satirico umoristico cultura-le fondato e diretto da Nello e Donatella Tortora -

via Margotta 18 - 84127 Salerno - Riceviamo il n.

222-223 (giugno - agosto 2014), sul quale, tra le tante vignette e racconti allegri, troviamo le firme

di Elena Mancusi Anziano, Nello Tortora, Mo-

nica Fiorentino. *

IL CENTRO STORICO - organo dell’ Associazio-

ne Progetto Mistretta, Presidente Nino Testagros-

sa, responsabile Massimiliano Cannata - via Li-

bertà 185 - 98073 Mistretta (ME) - Dal n. 5 - 6

(maggio - giugno 2014), segnaliamo: “Viaggio in Cina”, di Fabrizio Di Salvo; “Nebrodivesi, l’ os-

servatorio privilegiato del poeta”, di Ida Rampolla

del Tindaro; “Gabriel García Márquez (1927 - 2014)”, di Gaetano Di Bernardo Amato; eccetera.

Belle le foto, per lo più a colori.

* LA GAZZETTA DI BOLZANO - periodico di in-

formazione arte cultura attualità, diretto da Franco

Latino, responsabile Eugen Galasso (che firma gran parte degli articoli) - Casella postale 96 - Bol-

zano 1 - 39100 Bolzano - Riceviamo il n. 44, sul

quale troviamo i nostri amici Tito Cauchi, Luigi

De Rosa, Silvano Demarchi, Innocenza Scerrot-

ta Samà. *

NUOVO DOMANI SUD - periodico di informa-

zione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, resp. Pierfranco Bruni - Via S. Caterina 62 -

89121 Reggio Calabria. Del n. 4 (luglio - agosto

2014) segnaliamo: “Cultura e storia italiane nel messaggio lirico-futurista del poeta Geppo Tede-

schi”, di Fortunato Aloi.

* ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivi-

sta fondata da Giacomo Luzzagni; direttore re-

sponsabile Stefano Valentini, editoriale Natale

Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - Ca-

sella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Ri-

ceviamo il n. 115 (3° trimestre 2014), del quale se-gnaliamo: Can che abbaia (il pittore Natale Benti-

voglio, nome d’arte Cagnaccio di San Oietro), di

Natale Luzzagni; A 200 anni dalla nascita: Taras Shevcenko, di Luigi De Rosa; Ted Hughes: Lettere

di compleanno, di Elio Andriuoli; Percy Bysshe Shelley e l’elegante lirica del dolore, di Liliana

Porro Andriuoli; Intervista a Simonetta Agnello

Hornby, di Pasquale Matrone; eccetera. Inoltre, ancora, le firme di: Stefano Valentini, Rosa Elisa

Giangoia, Rossano Onano, Laura Pierdicchi,

Sandro Angelucci, Liana De Luca.

L’ITALIA

DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice

Settima puntata*

E’ scontro. Alla Procura di Milano

si sbranano fra loro i magistrati.

Alfredo Robledo s’è scagliato

contro il suo capo Bruti Liberati

perché il processo Ruby fu assegnato

a quella kamikaze Boccassini.

Un processo condotto senza prove

dall’Ilda e i suoi delfini,

sicché quel bunga bunga,

che svergognò l’Italia in tutto il mondo,

il 18 di luglio1, immantinente,

è stato capovolto a tutto tondo.

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.45

Berlusca viene assolto

sia dall’aver corrotto funzionari,

che dall’aver scopato minorenni:

netto ribalzo della prima istanza

che gli è costata fiumi di denari.

Ora i tanti Formigli ed i Travaglio,

che su libri, TV, quotidiani,

a lungo e duro hanno battuto il maglio,

dovrebbero scusarsi

e non affastellare pali e frasche,

continuando a fare i caimani.

Silmàtteo sul cammino ha meno sassi

in vista di riforme al gattopardo

che lo vede affiancato a Berlusconi.

Province riciclate2,

Senato dei trombati e dei corrotti

col patrocinio dell’immunità,

pasticcio della legge elettorale,

sembrano più vicini,

non gli danno pensieri. Ora è dall’Europa

che pare gli provengano bordate.

Molti sono gli Stati

ad osteggiar la nostra Mogherini3,

sicché la votazione è rimandata

a settembre, mese del ripescaggio,

come da noi avveniva nel passato

per certi nostri allievi birichini.

Intanto è un’ecatombe d’immigrati

nel bollente Mar Nostrum;

le carrette stracolme

di donne e di bambini,

di tanti cristi in croce, disperati,

calano a picco.

Ormai, son più di mille morti all’anno.

Trenta euro spendiamo ad immigrato

al giorno e senza porre fine al dramma.

Ma che siamo, minchioni?

Perché non cambiare strategia,

fermare alla partenza quei barconi

e chiudere i fondi a chi ci specula

mungendo a questo fiume di milioni?

Purtroppo, in Parlamento

si continua il gioco

dei veti e dei distinguo

(e non solo al Senato ormai in trasloco).

Il governo fa il duro, alza la voce

perché si sente debole, né sa

come abbassar la disoccupazione.

L’assai scarso lavoro che rimane

è senza dignità,

in sfregio netto alla Costituzione.

Non esiste lo Stato.

Ad Aprilia, in provincia di Latina,

due padri di famiglia,

di luglio, una mattina,

asfissiati son dal percolato4.

Per fare almeno un po’ di sacrificio

la Camera rinuncia a tre palazzi

disdicendo l’affitto.

Ma, essendo noi un popolo di pazzi,

ecco che gli straccioni deputati

invocano l’indennità d’ufficio!

A quanto pare, a questi poveretti,

per tenere i contatti con la gente

non bastano lo scranno in Parlamento,

lo smartphone, il personal computer,

il telefono ed il telefonino

che li tengono schiavi ogni momento.

Domenico Defelice

(7 - continua) * Riassunto delle precedenti Puntate - Una notte

d’estate, Berlusca erutta, attraverso un suo attributo,

per una condanna definitiva. In Germania, Angela Merkel è in sofferenza per una perdurante stitichez-

za (in senso economico e specialmente nei nostri

confronti). Silmàtteo Renzusconi, nominato Segre-

tario del PD., il quale, vuol combattere contro l’ au-

sterità dell’ Europa a direzione teutonica. Ai primi

di febbraio, un altro terremoto scuote la politica ita-liana: Alan Friedman rivela che, sei mesi prima del-

le dimissioni di Silvio Berlusconi, Napolitano e

Monti avevano tramato per defenestrarlo. A febbra-io, Letta è sostituito da Renzi. L’inizio sembra tra-

volgente, ma è tutta una manfrina in attesa delle e-

lezioni europee, che assegneranno al PD il 40,8%. Ma anche dopo, nei confronti dell’Europa a guida

Merkel, Renzi appare fin troppo ... conciliante: l’

Italia ingoierà ogni medicina che le verrà proposta! Berlusconi è condannato ai servizi sociali. Roma,

simbolo della Nazione, è nel caos. Anche per una

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.46

partita di calcio ci son pistolettate. Esplode il caso

dell’ExPo milanese e viene enfatizzata la decisione

del Sindaco di Pomezia di diversificare la merenda ai giovanissimi allievi delle scuole pubbliche. Il

Parlamento, a dispetto della crisi, spende denari

pubblici in corsi per parrucchieri messa in piega al servizio di deputatesse e senatrici. La mobilità nella

pubblica amministrazione è una farsa, le leggi non

hanno valore, la Nazionale di calcio si sbraca e, nel-le processioni, Madonna e Santi si ... inchinano da-

vanti alle case dei mafiosi.

NOTE

1 - 2014.

2 - Dal Decreto Legge n. 90, fine luglio 2014: “...gli oneri contributivi, i permessi retribuiti, i

rimborsi spese per la partecipazione alle riunioni

degli organi provinciali, nonché delle associazioni di rappresentanza, per gli incarichi di presidente

di Provincia, di Consigliere provinciale e di com-

ponente dell’assemblea dei sindaci sono a carico della Provincia”! Capito? Le Province non saran-

no abolite, ma trasformate in carrozzoni peggio di prima e più onerose! E’ l’esperienza a confermar-

lo.

3 - Federica Mogherini, attuale Ministro degli E-steri italiano, è stata candidata, dal nostro Gover-

no, ad Alto rappresentante per la politica estera

dell’Unione europea. Ad osteggiarla sono, in par-ticolare, i Paesi dell’Est europeo, che la giudicano

troppo filo-russa. Ma il filing che oggi Matteo

Renzi ha con la Francia di Hollande, fa ben spera-re in una soluzione a favore dell’italiana.

4 - Il 28 luglio, nell’impianto Kyklos di Aprilia

che produce compost, Roberto Papini e Fabio Li-sei, entrambi di San Lorenzo Nuovo (Viterbo),

sono soffocati dalle esalazioni del percolato men-

tre lavorano sulle autobotti.

ABBONAMENTEVI E COLLABORATE

solo on line, SENZA RICEVERE, CIOÈ,

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Benemerito ... € 100

Inviare il materiale da pubblicare via e-

mail:

Defelice.d@tiscali.it

LETTERE

IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice)

Carissimo Direttore,

oggi è mercoledì 16 Luglio e mi trovo a Mi-

lano, in partenza in treno, sul così detto 'Re-

gionale Veloce', con destinazione Vicenza.

Dovrò scendere a Verona e cambiare ancora

per arrivare a casa perché, da qualche mese,

anziché percorrere la linea Torino-Milano-

Venezia senza tanti problemi, tra regioni non

si sono messi di comune accordo per favori-

re i clienti, che sempre pagano. Se uno ha

fretta, deve prendersi le frecce, arrangiarsi a

spendere, avendoli in tasca, o subire un cal-

do infernale ed aver la netta sensazione che,

dato l'affollamento di questo mezzo, di soldi

per permettersi una 'Freccia' ce ne siano ben

pochi: adesso puoi pagarti anche questa e

sederti per terra, forse ti faranno qualche

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.47

sconto. Ho tra le mani, e mi ristora non poco

tra l'afrore sudoroso mio e di tanti miei simi-

li, con bimbi e non, il libro che il prof. Ro-

berto Mordacci mi ha donato, congedando-

mi con gentilezza dopo il nostro colloquio,

nel suo ufficio di via Olgettina. La dedica la

scopro soltanto ora, così tutto il contesto che

mi sta intorno quasi magicamente scompare

e rifletto. La dedica era già stata preparata,

perché non l'ho visto scrivere; qualcosa di

me già sapeva, perché la sua segretaria Mar-

zia De Masi, affabile e graziosa la sua parte,

gli aveva indicato le mie intenzioni e richie-

ste; certamente il ruolo che egli svolge al

'San Raffaele', come Preside della Facoltà di

Filosofia, provenendo da originalissimi per-

corsi interni alla Filosofia Morale, alla Bioe-

tica, alle Scienze Umane associate ai recen-

tissimi traguardi raggiunti nelle Neuroscien-

ze, lo rendono particolarmente aperto e di-

namico, efficiente e dall'intelligenza in fer-

mento, in prospettiva. Sul suo testo: 'Ragio-

ni personali' - Saggio sulla normatività mo-

rale - , Carocci Editore, Roma, 2008, leggo

la dedica:

“A Ilia Pedrina con gratitudine e stima.

RM”. Sono termini questi, come tu ben sai,

carissimo Direttore, che non si usano senza

pensarci su, così, con quella consuetudine

piatta che li priva di senso. Provo meraviglia

e mi apro al dettato che caratterizza il testo.

Sono 10 Capitoli e si muovono teoricamen-

te, praticamente e storicamente intorno all'

essere umano che agisce in circostanze pra-

tiche, concrete, esprimendo tutta la sua u-

manità, fatta di razionalità, di emozioni, di

desideri e di intenzioni volte a realizzarli,

per essere 'felici': da Aristotele a Hume, a

Kant, a Hobbes, fino ad arrivare a Hegel e a

Nietzsche. Questi i passaggi necessari per

raggiungere i due ultimi centri di chiarifica-

zione del percorso messo in atto: il Capitolo

9 - 'Natura, intuizioni, sentimenti e procedu-

re. Il dibattito contemporaneo' ed il Capitolo

10 - 'Ragioni personali, realismo morale e

pratiche di personalizzazione' complessi e

dettagliati come richiede questo nostro tem-

po, che attraverso la globalizzazione, non

solo delle merci e dei denari, impegna ad as-

sumere responsabilità di livello intenso, non

certo previste a tali quote d'ansia oppure a

sottostare ad una sorta di appiattimento in-

differente, accada quel che deve accadere....

Con il tuo impareggiabile lavoro dramma-

turgico 'Silvina Olnaro' hai sottolineato il

drammatico intreccio di intenti soggettivi,

emozioni, ragioni del cuore e ragioni della

ragione, obblighi e procedure del Potere co-

stituito che si inseriscono nel più privato ed

intimo territorio del 'fine vita', quel momen-

to atteso per tutta la vita che, consapevol-

mente, gli antichi saggi, non solo d'Occiden-

te, amavano prefigurare nella mente e prepa-

rare coscientemente. 'Morire dopo Harvard',

scrive Hans Jonas, sottolineando come le

tecnologie degli espianti d'organi siano an-

date di pari ampio passo insieme con quelle

del mantenere in vita la persona che è in

coma e che, senza l'ausilio delle macchine,

morirebbe subito dopo, facciamo alla grande

dopo una manciata di minuti. Certo i tra-

pianti non avvengono da cadavere, come si

suol dire, ma non tutti lo sanno e mio mari-

to, il caro 'Humbert', infermiere professiona-

le, ha patito non poco nel Reparto Rianima-

zione dell'Ospedale di Vicenza, quando gli

'esperti' arrivavano in elicottero con la

'valigetta' e l'organo da espiantare, insomma,

non era fresco fresco di giornata! Facciamo

alla grande una manciata di minuti, dico:

non è stato così per Eluana Englaro, che è

morta di fame e di sete perché la sua agonia,

staccate le prese di corrente delle macchine,

è stata vissuta ancora per giorni.... Ed il tuo

lavoro va a toccare, in modo coraggioso e

spietato, tutte le trame ed i risvolti più segre-

ti dei personaggi che ruotano intorno a Sil-

vina, ormai senza coscienza vigile ma sem-

pre 'in vita'! Dobbiamo riprenderlo in mano

e metterlo in scena, carissimo: anche al prof.

Mordacci piace il teatro e scrive lavori e li

presenta, il prossimo a Bergamo, con pochi

elementi ma con temi di forte attualità. Gli

manderai il tuo 'Silvina Olnaro? Si, si. Lo

farai, perché lui ha alle spalle anche tutta

questa precisa consapevolezza dell'agire

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.48

umano e delle tensioni ad esso sottese che,

attraversando i secoli, ci hanno preparato ad

affrontare la nostra quotidianità ed inoltre è

sensibile nel guidare le emozioni verso una

concreta costruzione di senso, quella che

rende la vita dignitosa e degna d'essere vis-

suta. In Svizzera si sono aperte le porte per

chi vuole autonomamente gestire il proprio

'fine vita', come ha scelto di fare l'indimenti-

cabile Claudio Magri. Tempo prezioso, infi-

nito, quello dalla tua casa alla tua tomba, in

conflitto tra ragione che ha deciso e tensione

emotiva che spinge sempre a tornare sui

propri passi: in quei momenti basterebbe la

carezza e lo sguardo di uno sconosciuto che

incrocia il tuo, e questo gesto ti fa rinascere,

se lo lasci agire. Sullo sguardo e sul suo po-

tere taumaturgico, carismatico, di vera gra-

zia, Roberto Mordacci ha scritto le sue pagi-

ne più belle, più cariche di verità e di desi-

derio, anche se interne alla cornice teoretica.

Nell'altro suo libro 'Rispetto', che mi son fat-

ta arrivare, a conclusione del paragrafo

'Ringraziamenti' leggo: '...A Monica grazie

per avermi sostenuto con discrezione in que-

sta ulteriore fatica. E a Francesco un grazie

speciale per l'entusiasmo contagioso con cui

ha seguito questo strano lavoro del papà.'

Torno indietro con il pensiero a Povolaro e

mi rivedo bambina mentre correggo le bozze

dei libri di papà...

A Milano volevo fermarmi dalla mia zia e-

gittologa, Carla Cartone, che sempre assai

volentieri legge la tua cara creatura e che mi

ha promesso di lasciarsi intervistare: con la

filovia si passa per Piazzale Loreto, là dove

due corpi di ammazzati appesi a testa in giù

sono stati violentati dalla folla con ogni

mezzo. Sandro Pertini ha pianto, era tra la

folla, ma ha pianto. Sfogo della folla infero-

cita su corpi che non sentono più niente.

C'era il piede straniero sopra il cuore ed altri

morti erano stati abbandonati nelle piazze, là

dove l'erba era dura di ghiaccio e nelle orec-

chie avevi l'urlo nero della madre che anda-

va incontro al figlio, crocifisso sul palo del

telegrafo, spinto, sfracellato fino a lassù dal

boato delle bombe che hanno distrutto Mila-

no, nell'Agosto del 1943. E poi ancora, quel-

la stessa mano, ragionante contro l'umano,

va a bombardare Dresda, a guerra finita, una

città illuminata a giorno, proprio perché la

guerra era finita, il peggio, si diceva, era

passato.... Le ragioni di una ragione disuma-

na, contro l'essere umano: come individuar-

le? Come sradicare questo veleno infernale

che ha sua matrice nell'arrogante diritto di

gestire la così detta democrazia su tutto l'or-

be terraqueo, che trova ossigeno nella so-

praffazione e nella programmazione non

mascherata di eventi nefasti? Dopo la di-

struzione ecco che arriva la ricostruzione e

la dipendenza economica, gli Stati ed i loro

popoli, affranti e decimati, devono essere

orgogliosi di ricevere gli 'aiuti umanitari' ma

Luigi Nono a Darmstadt aveva ben capito

con invidiabile chiarezza che il denaro del

Piano Marshall nel gestire anche le attività

culturali nella Germania del Secondo Dopo-

guerra e altrove, doveva soprattutto servire a

tacitare le coscienze e a far sì che la musica,

l'arte tutta e quant'altro fossero espressione

di singoli egoismi autoincensantisi, piuttosto

che si validasse un'esperienza collettiva,

comunicativa e significativa proprio perché

costruita in condivisione. Questa forza ha

messo in campo Luigi Nono e questa ten-

sione ancora arricchisce chi intende essere e

rimanere umano. Ti ho detto, e non in segre-

to, che voglio un'Europa da Lisbona a Vla-

divostok con la Russia al suo interno, una

preziosa architettura di popoli e di idee, 600

milioni di persone, circum circa, come dice

Leporello nel 'Don Giovanni' mozartiano,

con autosufficienza energetica fino a chi sa

mai quando, grazie alle ricchezze del sotto-

suolo russo. Ma no, no di certo, l'Europa de-

ve essere suddito fedele depresso e represso,

silenziosamente, degli Stati Uniti e da Ca-

meron parte l'obbligo per tutta Europa di ri-

vedere il Trattato Nato, perché con la Russia

non si deve avere a che fare! Per la questio-

ne dell'Ucraina. E la Cortina di Ferro, dal

Baltico al Mar Caspio, non dimentichiamo-

lo, l'ha disegnata Wiston Churchill, perché

ci sia una separazione efficace, stabile, volta

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.49

a far perdurare guerra e conflitto, a partire

da una volontà imperiale, coloniale che non

si è ancora diluita un poco! Ci sarà un sum-

mit a Newport nel Galles il 4 Settembre

2014 e gli Europei devono decidere

compatti, ma Michael Dummett, grande,

gigante della Filosofia Analitica, mi dice nel

suo 'On Immigration and Refugees' -

Thinking in Action, che mi è arrivato per

posta e che è del 2001, nel Capitolo Terzo

che: “British politicians, negotiating with

other members of the European Union, are

accostumed to say, 'We are doing this be-

cause it is good for Britain', or 'we shall de-

cide whether to support or veto this accord-

ing as we conclude that it is or is not in the

interest of Britain...” (pag. 47). Certo i loro

politici sono soliti considerare quanto sia

vantaggiosa questa o quest'altra decisione e

firma per la Gran Bretagna, guai però se gli

altri ragionano alla stessa maniera: l'Europa

Unita deve essere tale, non a partire dai po-

poli grandi o piccoli che siano, ma a partire

dalla finanza! Ciò rende ragione e dà pieno

vigore a tutto il lavoro accuratissimo di quei

due eroi che hanno scritto 'Il Golpe Inglese',

Cereghino e Fasanella, che prima o poi arri-

verò ad incontrare. Putin rimane molto per-

plesso ed intanto chiude la borsa alle com-

messe industriali che erano già state concor-

date per circa un miliardo di Euro con le in-

dustrie italiane e prende accordi con Xi Jin-

ping per gas e quant'altro.... Allora tutta l'a-

nalisi storica portata avanti con serio scrupo-

lo ed annose ricerche dal prof. Aron Shai

sull'Imperialismo Inglese e Francese dal

1949 al 1954, rispetto alle loro industrie in

Cina, che dettaglia le caratteristiche di un

'Imperialism Imprisoned', mi aiuta a capire

tante cose che hanno attanagliato l'attenzio-

ne e la penna del nostro Machiavelli e che

ora mi ritrovo sotto tiro, perché questo è il

mio tempo e ci devo essere dentro, consape-

volmente.

Carissimo, son passati giorni, mi son messa

a studiare i testi del prof. Mordacci, quello

di Dummett, la 'Trilogia della guerra' di

Roberto Rossellini e altro e proprio ieri, il 3

Agosto ho incontrato il giovane pittore

Giapponese che si firma Cokkun Vich, ospi-

te del Vergilius Resort, in territorio vicenti-

no, dove trovano riparo ricche famiglie di

arabi e arabo-israeliani e ortodossi, con tutta

la loro prole: i suoi lavori, in lucida lacca

coloratissima, chiamano la gioia a partire

dal disastro del terremoto di Kobe, del 1995.

Tutto viene spazzato via ed allora lui, diciot-

tenne, costruisce dei ventagli e vi dipinge le

immagini delle zone della città che non ci

sono più e li regala proprio a quelli che abi-

tavano quelle zone così loro, facendosi ven-

to nelle case di latta, perché manca l'aria,

possono respirare e ricordare. Allora gli ho

parlato subito della giovane Giapponese A-

tsuko, ma questa è un'altra storia, intensis-

sima, che ti racconterò. Le sue strade bian-

che, nette, che attraversano il quadro dal

basso verso l'alto, tra agglomerati di case

coloratissimi e cuoricini sulla bianca traccia

del fumo dai camini, quel simbolo universa-

le del cuore che batte, perché prova emozio-

ni: interpreto di netto e a voce alta che il

bianco pieno è il percorso del vuoto Zen,

che serve a cogliere la tua interiorità più

profonda, per metterti in cammino ed incon-

trare l'altro, gli altri, il loro sguardo... pensa,

carissimo, che Vik si è messo in cammino da

Shanghai e dopo un anno è arrivato ai confi-

ni del Pakistan, da solo, per trovare se stes-

so, quel se stesso che è sempre davanti a lui,

affinché il cammino continui. E ancora Lui-

gi Nono mi parla da dentro e mi indica come

avere nostalgia del futuro. Eventi naturali,

come questo di Kobe, o come lo tsunami

che ha spazzato via Sendai, là dove viveva

Atsuko con la sua famiglia, e poi disastri

provocati, come i bombardamenti di Hiro-

shima e Nagasaki, che hanno stravolto, con

il concorso della ricerca scientifica sofistica-

ta sulla scissione dell'atomo come su armi

chimiche batteriologiche e quant'altro, il

rapporto tra gli esseri umani, le guerre e le

armi da guerra. Non vorrei più smettere di

dialogare con te ma è proprio pensando a te,

alla tua vita, alla tua forza interiore nelle av-

versità, alla tua sincera e piena capacità di

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.50

amare e di lottare, anche perché viva d'ossi-

geno puro questa 'nostra' creatura di carta,

alla tua Poesia, è proprio pensando a tutto

questo che trovo ancora l'audacia indomabi-

le di mettermi in cammino.

Ti abbraccio.

Ilia

Carissima Ilia,

il problema del trasporto locale è drammati-

camente all’ordine del giorno e a nulla val-

gono le tante inchieste sulla carta stampata e

le televisioni. Il Governo e le Ferrovie dello

Stato forse neppure le leggono e le vedono,

perché a capo di tutte le Istituzioni non ci so-

no uomini e geniali, ma soltanto burocrati

buoni a nulla, preoccupati d’incassare, men-

silmente, favolosi stipendi, alla faccia dei veri

lavoratori che con la magrissima paga non

riescono a sbarcare il lunario; retribuzioni,

le loro, che sono più che schiaffi in faccia, fe-

roce umiliazione per coloro che, addirittura,

un lavoro non ce l’hanno. Al Governo e nelle

Istituzioni c’è gente che mira solo al proprio

tornaconto, che non ha idea dei veri bisogni

dei cittadini e non progetta. Che senso ha l’

alta velocità se poi, i viaggiatori, per spostar-

si dalla propria abitazione alla stazione della

Tav, debbano impiegare ore e ore e spendere

molti soldi? In un “Alleluia”, su queste stesse

pagine del luglio 2013, l’ amico scrittore

Rossano Onano ironizzava sul fatto che, uti-

lizzando il treno veloce, un abitante di Reggio

Emilia possa raggiungere Bologna guada-

gnando 10 minuti. Infatti, non è una vera e

propria presa per i fondelli se, per raggiun-

gere la stazione dell’alta velocità, il reggia-

no, rispetto al vecchio tipo di trasporto, ne

debba impiegare in più 34?

Ma, a ben riflettere, il reggiano si trova in

uno stato di privilegio se rapportato a uno

del Sud. In Calabria, per esempio, non esiste

l’alta velocità, né altro. Perfino le frecce pro-

venienti da Roma, arrivate a Battipaglia,

spesso si trasformano in treni lumache, con

fermate di fronte ad ogni casa che incontra e,

spesso, anche davanti a un campo di cavoli.

Diventano, cioè, lentissimi treni locali e, tutto

ciò, lungo la costa tirrenica. Perché nell’ in-

terno non ci son ferrovie, ma, solo in qualche

zona, scassate e sporche corriere con una

corsa al giorno, che non si sa quando arriva-

no né quanto ripartono, sicché un povero di-

sgraziato, per fare dieci km., impiega, se gli

va bene, una mezza giornata. Ha senso l’alta

velocità? Ed anche tu sei una privilegiata ri-

spetto a una tua collega del Sud. Tu puoi se-

derti per terra e scordare, per un po’, la

drammaticità di “tutto il contesto che (ti) sta

intorno”, leggendoti il libro ricevuto in dono

dal tuo amico Roberto Mordacci. Sì, perché

sui pochi treni del Sud, non sempre trovi lo

spazio per startene su due piedi; lì, nulla è

cambiato da più di cinquant’anni. Era così

quando ne avevo dodici e son venuto per la

prima volta a Roma. Ricordo di aver fatto

tutto il tragitto precariamente appollaiato

sulla grossa valigia ancorata vicino allo

sportello. Chi saliva, spesso mi dava un buf-

fetto a mo’ di carezza. Giunto a Termini, non

solo il mio collo era tutto indolenzito, ma le

mie spalle e pure la mia testa. Dovresti leg-

gere, a proposito, la prima scena del mio

dramma La mania del coltello. Francesco a-

veva l’incubo delle manate sul collo e sulle

spalle dategli in segno d’ affetto.

Perché ricordarmi Silvìna Òlnaro? Quel

dramma è stato tale per me anche scriverlo e

indignazione dopo. Molte richieste da parte

dei lettori, due edizioni nello spazio di pochi

mesi. Articoli elogiativi, solidarietà, promes-

se... All’improvviso, più nulla. Le compagnie

teatrali si guardano bene, oggi, dallo scom-

mettere sui nuovi autori. Nessun teatro si ar-

rischia. Tutti puntano sul sicuro, sulle opere

già collaudate dei soliti Grandi. Ma, così fa-

cendo, non ci sarà mai rinnovo, ricambio e

l’odierno scrittore di teatro la messa in scena

se la sogna. A meno che non abbia agganci,

denari, legami di sangue con le persone che

contano, con le lobby che dominano l’ uni-

verso intero. Forse è stato sempre così, ma,

di certo, non a un tale livello.

Tu sai come la penso in quanto a fine vita.

Sono un credente. Per me non può essere in-

terrotta a piacimento e non posso condividere

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.51

la vera e propria industria che si è sviluppata

in proposito. In Svizzera è già fortissima. E

poiché, nel mondo, chiudono i grandi stabi-

limenti metalmeccanici, chimici, le attività

commerciali; poiché le nuove tecnologie e l’

informatica non hanno dato i posti di lavoro

prospettati, possiamo ugualmente fregarci le

mani e sorridere: ecco, finalmente, la nuova

e vera fonte di lavoro: la gestione delle nuove

imprese “dalla tua casa alla tua tomba”, con

prevedibili, sostanziosi sconti per i tanti di-

pendenti. Alleluia! Alleluia! Saranno aziende

votate all’espansione continua, se è vero che

in Svizzera - dove, come già detto, esistono -,

i soli Italiani, che vi si recano a morire, negli

ultimi anni son quintuplicati.

Piazzale Loreto è simbolo della bestialità

umana. Alla morte, bisognerebbe portare ri-

spetto, anche a quella del più feroce nemico,

che si combatte, che si deve combattere con

tutte le forze e, all’occorrenza, con tutti i

mezzi, ma non più quand’è cadavere. Ogni

violenza - sull’uomo, sugli animali, sulle cose

- è già oscurantismo, ma quella sull’ essere

morto è autentica barbarie, retaggio di pri-

mordi. Anzi, allora, forse si era meno feroci,

se è vero che Achille, dopo aver ucciso Ettore

e, nel pieno dell’ira, trascinatolo intorno alle

mura di Troia, ne ha consegnato il corpo al

povero padre e senza pretesa di riscatto. In

lui, cioè, c’era un barlume di luce, la pietà

ch’è mancata e che manca sempre in coloro

che, a freddo, ammazzano o si abbandonano

allo strazio di cadaveri.

Ed ecco, cara Amica, senza volerlo, io e te

siamo debordati in poesia: io ricordando

Omero, tu il nostro Quasimodo:

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Insomma, l’eterna malattia dell’uomo, la

guerra e la sua innata ferocia, la sua bestiali-

tà; l’uomo dal “Ramo nudo” di geriniana

memoria, così magistralmente commentato

dal tuo Papà:

Tanto pieno diluvio di ferocia

mai disciolse barbarie:

per quanto scenda nei tempi più foschi.

POMEZIA-NOTIZIE Settembre 2014 Pag.52

Dove ti volgi è sangue.

(Giuseppe Gerini, “Dentro celeste sponda”)

E l’Europa, per secoli immenso campo di

battaglia, nulla ha imparato dalla storia e

non ha attenuato il suo egoismo. Se da più di

sessant’anni gode una relativa pace, non è

perché ha capito la lezione impartita da mi-

lioni di morti, ma per un effimero benessere

economico, che ogni giorno si fa sempre più

labile. Una pace che non è maturazione di

coscienze, cioè, la sola che porterebbe a una

vera e duratura unione di popoli; “un’ Euro-

pa da Lisbona a Vladivostok” è difficile rea-

lizzarla finché sono vivi i tanti egoismi. Ri-

cordo il generale De Gaulle, che voleva non

un’Europa, ma la sola Francia, da “Dunker-

que a Vladivostok”! Più egoismo di così? E,

se a dominare le nazioni del nostro vecchio

continente è un tale spirito, come possiamo

pretendere che altri, Stati Uniti compresi,

possano avere a cuore l’ unione europea, la

vera, al di sopra del solipsismo dei singoli

Stati? Non è assurdo, agghiacciante, che si

continui a uccidere e a distruggere per poi

far finta di ricostruire?

Non è bestiale? Ma, a voler tutto ciò, son solo

gruppi di feroci caimani, mai sazi di accre-

scere il proprio potere e la propria ricchezza,

dimentichi che anche per loro ci sarà il “fine

vita”. Scatenano odio, insanguinano la terra,

si affaticano “a far perdurare guerra e conflit-

to”. Solo un pugno di ingordi criminali, capi-

sci? Il mondo, tutto il mondo, deve unirsi per

definitivamente emarginarlo. Sta qui l’ essen-

za della tua e della mia lotta.

Domenico Immagini:

Pag. 46, Roberto Mordacci “ 51, Salvatore Quasimodo e la copertina del

volume Giuseppe Gerini di Francesco Pedrina,

stampato nel 1964 dalla Casa Editrice Trevisini di Milano. Questo autentico cimelio reca la dedica di

tutto pugno: “A Domenico De Felice, il cui de-

mone poetico non impazza né traligna. Francesco Pedrina. Padova, 21 giugno 1968”.

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

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nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-

tella si intende un foglio battuto a macchina da

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to è necessario un contributo volontario. Per

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zione. I libri, per recensione, vanno inviati in

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