Upload
domenico
View
263
Download
8
Embed Size (px)
DESCRIPTION
Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice
Citation preview
mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA
Anno 23 (Nuova Serie) – n. 12 - Dicembre 2015 - € 5,00
LA CITTÀ DI GENOVA
NELLA POESIA DI
CAPRONI (1912-1990) di Luigi De Rosa
IORGIO Caproni era nato il 7 gennaio 1912 a
Livorno, in corso Amedeo (sulla casa è stata ap-
posta una lapide: “Qui nacque Giorgio Caproni
/ Poeta delicato e forte come la città/ che lo vide nasce-
re”) , ma già all’età di dieci anni (nel marzo 1922) si era
trasferito a Genova, perché suo padre Attilio, ragioniere,
era stato assunto da un’industria locale. Il piccolo Gior-
gio, dopo avere completato la scuola elementare alla
“Canevari”, aveva frequentato le medie alla “Antoniotto
Usodimare”. Mentre il diploma di maestro lo avrebbe
conseguito privatamente, la laurea in Lettere e Filosofia
gli sarebbe poi stata conferita honoris causa nel 1984
dall’Università di Urbino. Ma torniamo alla media perché, contemporaneamente, studiava
violino e composizione all’Istituto musicale “Giuseppe Verdi”. Lo studio appassionato della
musica, pur se molto faticoso, gli aveva consentito di stringere amicizia col poeta e critico
letterario Tullio Cicciarelli,
per molti anni giornalista al
“Lavoro”. Per non parlare
delle prime letture poetiche
con altri amici, studenti di
violino come lui. Ma mentre
lo studio della musica (era
entrato a far parte dell’ Or-
chestra del Teatro Regio di
Torino) si sarebbe rivelato
un impegno troppo logoran-
te, tanto da costringerlo ad
abbandonarlo, la passione
G
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.2
All’interno:
Dobbiamo smetterla!, di Domenico Defelice, pag. 5
Orlando Sora in un libro di Giovanna Rotondo, di Giuseppe Leone, pag. 7
Echi e sussurri di G. Busca Gernetti, di Marco Onofrio, pag. 9
Salvatore Porcu, l’uomo e il sociologo dalle cento battaglie, di Domenico Defelice, pag. 15
Martino Zanetti e la donazione al Vittoriale degli Italiani, di Ida Pedrina, pag. 18
Due poemetti di Nazario Pardini, di Maurizio Soldini, pag. 23
Un canto che ha il sapore dei sogni, di Marina Caracciolo, pag. 26
Rachele Zaza Padula: Sancta Teresia Benedicta a Cruce, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 28
La personalità poetica di Elena Milesi, di Paola Insola, pag. 33
Francesco Brunetti e “Il volo di una piuma”, di Luigi De Rosa, pag. 35
La città di Pechino, di Leonardo Selvaggi, pag. 36
Addio, Antonia!, pag. 39
I Poeti e la Natura (Lord Byron), di Luigi De Rosa, pag. 42
Notizie, pag. 54
Libri ricevuti, pag. 57
Tra le riviste, pag. 59
RECENSIONE di/per: Elio Andriuoli (Occasioni e percorsi di letture: Studi offerti a Luigi
Reina, di Raffaele Giglio e Irene Chirico, pag. 44); Tito Cauchi (Echi e sussurri, di Giorgi-
na Busca Gernetti, pag. 45); Tito Cauchi (Una raccolta di stili, di Isabella Michela Affinito,
pag. 47); Tito Cauchi (Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affinito, pag. 48);
Tito Cauchi (Sogni, di Mariagina Bonciani, pag. 48); Tito Cauchi (Voci del passato, di An-
tonia Izzi Rufo, pag. 49); Roberta Colazingari (Probabilmente sarà poesia, di Isabella Mi-
chela Affinito, pag. 51); Roberta Colazingari (Lettere, di Maria Grazia Lenisa, pag. 51);
Giovanna Li Volti Guzzardi (Il buio e la luce, di Eugenio Morelli, pag. 51); Giovanna Li
Volti Guzzardi (Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affinito, pag. 52); Roberto
Rossi Testa (Echi e sussurri, di Giorgina Busca Gernetti, pag. 53).
Isabella Michela Affinito, Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Lorella Borgiani, Giannicola
Ceccarossi, Colombo Conti, Domenico Defelice, Michele Di Candia, Eloisa Massola, Adria-
na Mondo, Teresinka Pereira, Laura Pierdicchi, Leonardo Selvaggi
per la letteratura si era impadronita di lui e
non lo avrebbe più lasciato fino alla morte.
Passione che gli si era accesa nel cuore già
diversi anni prima, tanto da indurlo a scrive-
re: “Il baco della letteratura lo presi alle
elementari. Ho ancora un quadernino con un
racconto rimasto a mezzo. Poi scrissi versi
oscurissimi, che oggi si direbbero d’ avan-
guardia. Buttai via tutto e ricominciai a silla-
bar da capo, dopo i Surrealisti, il vecchio
Carducci. Leggevamo molto, io e un altro
amico violinista. Lo choc più grosso lo pro-
vammo quando comprai gli Ossi di seppia
nella edizione Ribet, 1928. Chi era Montale ?
Lo scoprimmo da soli, come avevamo scoper-
to Ungaretti, Cardarelli, Valéry, Apollinaire,
Machado, Lorca, ecc. ecc…
…Mi incontrai per la prima volta con Ossi
di seppia intorno al ’30, a Genova, e subito
quelle pagine mi investirono con tale energia
(come poi Le occasioni e La bufera che con-
trariamente all’opinione di molti critici con-
sidero il frutto maggiore di Montale), da di-
ventar per sempre parte inseparabile del mio
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.3
essere, alimento e sangue della mia vita, in-
dipendentemente e al di sopra dei riflessi, be-
nefici o malefici, che tale poesia ha potuto
avere sui pochi e poveri versi che ho scritto.
Montale ha per me il potere della grande mu-
sica, che non suggerisce né espone idee ma le
suscita in una con l’ emozione profonda, e
posso dire che egli è uno dei pochissimi poeti
d’oggi che in qualche modo sia riuscito ad
agire sulla mia percezione del mondo”.
Montale e Genova, Caproni e Genova. Per
questa città, che per lui è la Città, e che sta in
mezzo, tra la Livorno dell’infanzia e la Roma
della maturità (quanto rimorso, poi, per aver
lasciato Genova per Roma!), Caproni ha
scritto versi indimenticabili (così come, del
resto, per la amatissima Val Trebbia – si ri-
cordi, ad esempio, il volume Ballo a Fonta-
nigorda).
E’ stato lo stesso Caproni, del resto, a di-
chiarare pubblicamente, e impegnativamente,
la sua intima appartenenza a Genova: “Il pun-
to di stazione da cui guardo Genova non è
quello, scelto ad arte, del turista. E’ un punto
di stazione che si trova dentro di me. Perché
Genova l’ho tutta dentro. Anzi, Genova sono
io. Sono io che sono “fatto” di Genova. Per
questo, anche se sono nato a Livorno (altro
porto, altra città mercantile) mi sento geno-
vese. Per un uomo, si sa, la città che conta
non è quella della fede di nascita. E’ la città
dov’ha trascorso l’infanzia, dov’è cresciuto,
dov’è andato a scuola, dove è andato a don-
ne, dove s’ è innamorato e magari sposato: in
breve, è la città dove s’è formato…”
In questa sede, per ovvii motivi di spazio,
devo restringere l’ attenzione ad alcuni mo-
menti della presenza di Genova nella poesia
di Caproni.
Si veda la poesia “ Sirena”:
“La mia città dagli amori in salita,
Genova mia di mare tutta scale
e, su dal porto, risucchi di vita
viva fino a raggiungere il crinale
di lamiera dei tetti (…)
tralasciando, quindi, il resto della Liguria, e in
particolar modo quella parte della Liguria di
montagna (Gorreto, Rovegno-Loco, Fontani-
gorda, etc.) che lo vide giovane maestro ele-
mentare innamorato, alle prime prove con la
grande poesia.
A proposito di Genova città, si veda anche
Stornello:
…Le case così salde nei colori
a fresco in piena aria,
è dalle case tue che invano impara,
sospese nella brezza
salina, una fermezza
la mia vita precaria.
Genova mia di sasso. Iride. Aria.
Forse una delle poesie più note di Caproni è
L’ ascensore:
…Quando mi sarò deciso d’andarci, in para-
diso
ci andrò con l’ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo…
ma sicuramente la sua composizione più ori-
ginale, che di questa città, carica di storia e di
bellezza e di virtù civiche, vorrebbe dire tutto,
ma proprio tutto, è Litania. Qui Caproni si
sfoga in un esercizio virtuosistico raffinatis-
simo sulla rima, come se si lanciasse in un
frenetico assolo paganiniano al violino.
La composizione, compresa nella raccolta Il
passaggio d’Enea (1943 - 1955), si estende
da pag. 180 a pag. 187 del volume “Tutte le
poesie” dedicato da Garzanti Editore a Ca-
proni nel 1983.
La sua lunghezza mi costringe a selezionare
alcuni versi, fidando nella comprensione de-
gli amici lettori e sperando di cogliere i fiori
più rappresentativi:
“...Genova di ferro e aria , / mia lavagna,
arenaria... Genova mia tradita, / rimorso di
tutta la vita... Genova di solitudine, / stradu-
cole, ebrietudine... Genova grigia e celeste.
/ Ragazze. Bottiglie. Ceste... Genova tutta
tetto / Macerie. Castelletto... Genova che mi
struggi, / Intestini. Carruggi... Genova mer-
cantile, / industriale. Civile... Genova tutta
cantiere. / Bisagno. Belvedere... Genova di
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.4
torri bianche. / Di lucri. Di palanche... Ge-
nova in salamoia, / acqua morta di noia...
Genova nome barbaro. / Campana. Montale.
Sbarbaro... Genova di sentina. / Di lavatoio.
Latrina... Genova di petroliera, / struggi-
mento, scogliera... Genova d’acquamarina,
/ aerea, turchina... Genova d’aglio e di rose,
/ di Pré, di Fontane Marose... Genova
dell’Acquasola, / dolcissima, usignola... Ge-
nova viva e diletta, / salino, orto, spalletta...
Genova di piovasco, / follìa, Paganini, Ma-
gnasco... Genova che non mi lascia. / Mia
fidanzata. Bagascia... Genova illuminata, /
notturna, umida, alzata... Genova di Sotto-
ripa. / Emporio. Sesso. Stipa... Genova di
Porta Soprana / d’angelo e di puttana... Ge-
nova che non si dice. / Di barche. Di verni-
ce... Genova di Villa Quartara, / dove
l’amore s’impara... Genova mia di Sturla, /
che ancora nel sangue mi urla... Genova
d’argento e stagno. / Di zanzara. Di scagno...
Genova di magro fieno, / canile, Marassi,
Staglieno... Genova bianca e a vela, / spe-
ranza, tenda, tela... Genova sempre umana,
/ presente, partigiana... Genova della mia
Rina. / Valtrebbia. Aria fina... Genova sem-
pre nuova. / Vita che si ritrova... Genova
palpitante. / Mio cuore. Mio brillante... Ge-
nova dell’Acquaverde . / Mio padre che vi si
perde... Genova di singhiozzi, / mia madre,
Via Bernardo Strozzi... Genova di lamenti. /
Enea. Bombardamenti... Genova disperata, /
invano da me implorata... Genova di Livor-
no, / partenza senza ritorno... Genova di tut-
ta la vita. / Mia litania infinita.”
Ma Genova ha corrisposto a questo grande
amore? Sì, e non solo concedendo al poeta la
cittadinanza onoraria nel 1985, ma anche inti-
tolandogli il Largo Giorgio Caproni, su al Ri-
ghi, nel 1993, quindi a poca distanza dalla sua
morte, avvenuta a Roma il 22 gennaio 1990.
Caproni è tumulato nel piccolo cimitero di
Loco di Rovegno, accanto alla adorata moglie
Rosa Rettagliata (la Rina delle poesie). In
occasione, poi, dell’apertura in città di un im-
portante Convegno sulla sua poesia, è stato
presentato in Comune, a Palazzo Tursi, il vo-
lume “Frammenti di diario”, edito da Gior-
gio Devoto, che già nel 1986 aveva pubblica-
to un altro libro importante, Genova a Gior-
gio Caproni.
In Frammenti di diario il poeta, povero
maestro elementare al battesimo del volo e
della “vita pubblica” ma intellettuale autenti-
co e sincero, esprime tutta la sua amara delu-
sione per la strumentalizzante (anche se allet-
tante) politica del Partito Comunista di quegli
anni nei confronti degli intellettuali e della
cultura, in occasione di un viaggio nel 1948 a
Wroclaw, in Polonia, per il “Congresso Mon-
diale della pace”.
Ricordo, anche, che all’inizio del Duemila
gli è stato dedicato dalla Regione Liguria un
Parco Culturale, la cui sede, con la ricostru-
zione del suo studiolo e dei suoi “luoghi”, è
stata offerta dal Santuario di Montebruno.
Luigi De Rosa
Qui sotto: Domenico Defelice, Parziale ve-
duta dell’ex Municipio di Anoia (RC), china,
1961
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.5
Editoriale
DOBBIAMO SMETTERLA! di Domenico Defelice
IAMO tutti Francesi!
Dopo l’ennesima strage, l’ennesima
masturbazione mentale, psicologica.
No, non ci accontentiamo degli slogan, né
del cordoglio apparentemente unanime per
tacitare momentaneamente la nostra co-
scienza. La condivisione del dolore, non po-
ne fine alla mattanza d’innocenti. Cordogli,
cortei, solidarietà per le vittime, vicinanza ai
popoli interessati, non sono - ripetiamo - che
momentanee masturbazioni mentali. È av-
venuto dopo l’undici settembre 2001, è av-
venuto prima e dopo, tutte le volte che una
strage ci ha svegliati dal nostro torpore e la
commozione si è sempre evaporata subito,
come spesso avviene per le nebbie mattuti-
ne. E non ci contentiamo neppure dei pacifi-
sti a giorni alterni, dogmatici, che deplorano
soltanto la guerra, ma non propongono alcu-
na soluzione. Via i sentimentalismi a inter-
mittenza e spesso sfacciatamente ipocriti.
Basta con gli anatemi, le minace roboanti,
gli slogan infiniti degli “stranieri a casa pro-
pria”.
Occorrono i fatti. E i fatti che bisogna fare
in fretta non è l’armarsi e partire, non è lo
scaricare tonnellate di bombe, che uccidono
raramente i responsabili, i colpevoli, ma
macellano sempre popolazioni inermi, don-
ne e bambini innocenti. I fatti sono assai po-
chi, urgenti e categorici.
Dobbiamo smetterla di vendere armi. An-
zi: dobbiamo smetterla di costruirle.
Dobbiamo smetterla di fare i gendarmi.
L’Italia è il principale Paese europeo per mi-
litari sparsi nel mondo. I militari se ne stiano
a casa propria: gli Americani in America, i
Francesi in Francia, gli Inglesi in Inghilterra,
i Russi in Russia, gli Italiani in Italia. Al
massimo, l’aiuto va donato su richiesta, non
andandoci di proposito, solo pensando che
così si fa del bene, rovesciando governi,
sconvolgendo costumi e, tradizioni e sotto
sotto - ma a volte anche scopertamente -,
agendo su comando, a favore di lobby dai
colletti bianchissimi e da mani e denti gron-
danti sangue invocante vendetta.
Dobbiamo smetterla col voler abbattere i
dittatori grandi e piccoli, per poi crearne o
farne crescere di nuovi e forse peggiori. Ad
abbatterli siano gli stessi popoli, gli unici
deputati a fare rivoluzioni che possano ar-
recare un qualche frutto duraturo e più
umano.
Dobbiamo smetterla di dire che siamo in
guerra con i terroristi. Si può essere in
guerra tra Stati che hanno un territorio,
non tra uno Stato e bande di assassini. Dire
che siamo in guerra, è dare a costoro valo-
re di Stato. Vigilare, lottare per annientarli
non significa scatenare una guerra.
Dobbiamo smetterla di esportare la de-
mocrazia (e, poi, la nostra, superlativa-
mente corrotta e violenta!). La vera demo-
crazia non si esporta, non è una merce di
scambio; essa deve sorgere dalla mente e
dalla coscienza degli uomini, non dalla
imposizione, dalla forza. La vera democra-
zia non è fiore sgargiante e conturbante,
ma delicato e la sua forza è la moderazio-
ne. Democrazia non significa totale libertà.
S
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.6
“Il massimo della sicurezza è in effetti ga-
rantito dalle dittature come la Russia di Sta-
lin e la Germania di Hitler - scrive Carlo
Nordio su Il Messaggero - che controllava-
no tutto e tutti. Il massimo della libertà, di
converso, coincide con l’anarchia, dove
ognuno fa quello che vuole.”
Dobbiamo smetterla di volere imporre le
nostre idee, i nostri usi, i nostri costumi, le
nostre tradizioni. Costumi, usi e tradizioni
sono frutto di stratificazioni millenarie ed è
giusto che siano particolari per ogni popolo.
Non si può livellare il mondo, renderlo or-
rendamente piatto e artificiale.
Dobbiamo smetterla di volere imporre il
nostro tenore di vita, che non è né il miglio-
re, né il più ideale.
Dobbiamo smetterla di voler imporre la
nostra fede, il nostro credo.
Dobbiamo smetterla di accarezzare serpi
con l’idea manifesta o tacita di utilizzarli
contro l’avversario di turno.
Dobbiamo smetterla di essere ipocriti.
Pomezia, 15 novembre 2015
PACE, FRATELLI!
“L’umanità deve porre fine alla guerra, o la
guerra porrà fine all’umanità”.
John F. Kennedy
Sono simile a te, fratello negro
e tu sei come me, fratello giallo;
sono simili a noi l’albero, il cane...
Lasciamo che le bocche dei cannoni
siano nidi agli uccelli e l’armi
non più la morte rechino,
ma canti di nuove vite e frulli d’ali.
Pace, pace, fratelli! Sogni d’angeli
avremo questa notte se il nostro cuore
è puro; niente puntelli:
sarà l’amore a guardia delle porte.
Domenico Defelice
Da Canti d’amore dell’uomo feroce, Ed.
Pomezia-Notizie, 1977.
Immagine a pag. 5: Domenico Defelice: “Le
favole hanno occhi di pietra”, china, 1961.
“ I nostri alberi “.
Lirica dedicata unicamente al Direttore Do-
menico Defelice, scritta per encomiare il
Suo libro, tutto naturalistico, dal titolo Albe-
ri? I Suoi alberi li ho accostati ai miei, tratti
dal mio libro di poesie, pubblicato dalla Ca-
sa Editrice EVA di Venafro, dal titolo Dalle
radici alle foglie alla Poesia, e ne è venuta
fuori un’unica lirica che è quella seguente.
Nei nostri alberi
scorre una linfa
notturna, sangue di luna
che si liquefa solo nelle
vene dei poeti che in ogni
albero vedono sé stessi.
Vedono nei tronchi corpi
di San Sebastiano trafitto
per amore da stagioni che
lo hanno fatto diventare
santo sotto Diocleziano,
perché gli alberi sono
soldati destinati a combattere
ogni giorno. I nostri alberi
si assomigliano e si riprendono
al sole, hanno bisogno delle
nostre parole per entrare in
ogni poesia come una stanza
da riempire di foglie, di terra,
di malinconia, perché l’estate
è un soffio e i nostri alberi
lo sanno. Sanno che li
abbiamo amati e li amiamo
ancora, altri libri riusciremo
fare su di loro se la luna ci
accompagna col suo sangue
che in noi scorre. Abbiamo
innaffiato i nostri sogni e
sono nate altre forme di
foglie, tu hai una quercia è
vero, io soltanto radici
nascoste eppure abbiamo
celebrato così tanto – ma
mai abbastanza – i nostri
carissimi amici Alberi!
Autrice Isabella Michela Affinito Fiuggi
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.7
Un’originale lettura dei dipinti di
ORLANDO SORA NEL NUOVO LIBRO DI
GIOVANNA ROTONDO di Giuseppe Leone
MAGGIO a Orlando Sora. Artista
del Novecento è il titolo del volume
che Giovanna Rotondo ha pubblicato
in questi giorni con La vita felice, il secondo
con la casa editrice milanese. Dopo Non è
colpa di Pandora edito allo scadere del 2014,
un racconto-saggio su un percorso di terapia
di gruppo per i famigliari dei pazienti in trat-
tamento per sostanze che creano dipendenze,
la scrittrice lecchese torna a far parlare di sé,
raccontandoci della sua attività di modella
nello studio dell’artista Orlando Sora a Lecco.
Si tratta di “un’affettuosa rievocazione”
del pittore di origini marchigiane giunto nella
cittadina lariana all’inizio degli anni Trenta,
in 162 pagine, che raccolgono, seguite o pre-
cedute da un commento dell’autrice, un’ ot-
tantina circa di dipinti fra nudi, studi, schizzi
e disegni, opere giovanili, affreschi, composi-
zioni, paesaggi, quasi tutti, ad eccezione di
quelli dei suoi esordi, scelti “con l’ausilio
della memoria e degli avvenimenti di quel pe-
riodo che va dalla fine degli anni Cinquanta
all’inizio degli anni Settanta. Che cosa sia, o meglio, che cosa voglia es-
sere questo libro, lo precisa la scrittrice stessa
già nella premessa, affermando che non vuole
essere un catalogo. E in effetti, il volume che,
per le dimensioni e la prima di copertina recan-
te una delle due composizioni della Fanciulla
con l’ombrellino, sembrerebbe rimandare pro-
prio alla forma di un catalogo, risulta essere
tutt’altra cosa. Basta leggere in prefazione che
il testo è una testimonianza preziosa che getta
una nuova luce sull’opera di Sora, per intuire
che il suo andamento muove nella direzione
ora del racconto ora del saggio.
Cosa che non è di poco conto a proposito
di un’autrice che intende l’arte dello scrivere
come percorso di conoscenza e di presa di co-
scienza progressiva. Come in questo libro,
dove lei parla e scrive in nome della sua espe-
rienza di modella e non come una storica
dell’arte. Non può che avvantaggiarsene la
sua scrittura sempre fresca e immediata e la
sua ricerca, anch’essa spontanea e istintiva fi-
no a rovesciare il tavolo della tradizione. Ne
deriva che è lei, la modella, a ritrarre Orlando
Sora. Lo descrive “magro tuttavia possente,
con un viso che sembrava scolpito nella pie-
O
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.8
tra, capelli ricci e neri con qualche filo grigio,
occhi scuri e penetranti” (19-20); e non solo,
lo ritrae anche mentre è all’opera: “Lui dipin-
geva assorto, indietreggiando spesso dalla te-
la per osservare con occhi socchiusi la com-
posizione… continuava a mescolare i colori
sulla tavolozza e a dipingere con i gesti di
sempre, se qualcuno gli avesse parlato, l’
avrebbe guardato con occhi assenti” (19); per
terminare, infine, con un profilo intorno alla
sua moralità di artista onesto e sincero, oltre
che di marito fedele e padre affettuoso.
Omaggio a Orlando Sora è, allora, un li-
bro col quale la scrittrice rivisita, modifican-
doli, il ruolo e la funzione della modella nell’
arte figurativa. Ignorata per secoli e, quando
non è stata ignorata, sinonimo di prostituta, la
modella acquista ora un volto, e con esso una
nuova identità che rivela quanto la sua pre-
senza pesi nell’economia dell’ispirazione
dell’artista.
Per cui, è vero quello che scrive Gian-
franco Scotti nella sua perfetta e illuminante
prefazione: che “il racconto ci restituisce la
figura di Orlando Sora, la sua carica umana,
le sue debolezze, le sue convinzioni e le sue
ostinazioni” (9); e che l’autrice, “affascinata
dalla personalità dell’uomo e dell’artista… è
riuscita ad avvicinarsi alla pittura, a com-
prenderne la forza e la bellezza, a imposses-
sarsi dei linguaggi dell’arte, ad amarla nelle
sue infinite declinazioni”; ma è altrettanto ve-
ro che la Rotondo, con la sua testimonianza
di modella, faccia arrivare al lettore, in egual
misura che il pittore con i suoi quadri, l’ im-
magine nitida e limpida di sé come donna e
come scrittrice, facendo presto diventare que-
sto suo libro “un medaglione di letteratura
che incastona due biografie”.
Sì una biografia di Sora, questo Omaggio,
ma anche un’autobiografia della Rotondo,
perché l’autrice, mentre passa in rassegna la
galleria dei quadri dell’artista “per raccontarci
una storia, per metterci a parte delle sue sen-
sazioni al momento dell’esecuzione, per rive-
larci che cosa il pittore pensava delle sue ope-
re, perché ne amava alcune e ne trascurava al-
tre” (10), trova anche il modo per inserire al-
tre sue personali riflessioni, tra cui, il dubbio
se lui amasse sempre le donne che erano le
sue modelle o posavano per lui (21); se l’
opera d’arte figurativa sia ispirata dall’artista
o dal soggetto che si fa dipingere; se quando
l’artista dipinge, esprime ciò che vede o si la-
scia guidare dalle sue sensazioni; o se, appa-
rendo serena e sorridente in un dipinto e in un
altro turbata e confusa, ciò è dovuto a come è
lei in quel momento o è influenzato da ciò
che avverte dentro di sé (33).
Tutte domande che, se da un lato offrono
spunti per un approfondimento dell’opera di
Sora, dall’altro – ripetiamolo - gettano luce
sulla personalità di una modella che sa intera-
gire con l’artista per il quale posa, che vive
con lui “in grande empatia” e col quale “si
trasmettevano le reciproche sensazioni senza
raccontarsele” (29); che non si stanca mai di
porre altri interrogativi a lui e a se stessa:
“perché non dipingi i fiori più spesso?” (73),
“come mai ti chiamano maestro?” (77), “co-
me fai a dipingere l’espressione delle perso-
ne?” (83), “perché eviti di far vedere le tue
composizioni?” (105).
Dunque, una scrittrice vera, Giovanna Ro-
tondo, autentica anche in questa sua recente
pubblicazione che non manca di riconfermare
quanto di nuovo e di personale aveva già fat-
to notare in Non è colpa di Pandora, dove già
salde apparivano le strutture portanti della sua
letteratura: uno stile impersonale capace di
narrare dall’interno l’argomento dell’opera e
una scrittura come esperienza e trama del vis-
suto.
Giuseppe Leone Giovanna Rotondo - Omaggio a Orlando Sora. Ar-
tista del Novecento - La vita felice, Milano, 2015, pp. 162. € 20,00
OMAGGIO MADRE
La madre giammai
tiene pena per se stessa.
Il suo tempo è infinito
e ogni momento di sonno
è un pezzo di paradiso.
Teresinka Pereira USA, Trad. Tito Cauchi (Italia)
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.9
ECHI E SUSSURRI di GIORGINA BUSCA GERNETTI
di Marco Onofrio
IORGINA Busca Gernetti è una “so-
gnatrice dell’essere”; ma non si perita
di appartenere anche al divenire,
scandagliando le profondità nascoste dalla
maschera apparente. Cerca l’eterno nel tem-
po, e questo è il movimento del suo sguardo:
inseguendo la chioma della sua stella, affonda
gli occhi in cielo e scopre l’iridescente com-
plessità che innerva ogni atomo del mondo.
Le materie e le energie innumerevoli della to-
talità – orizzonte sempre irraggiungibile –
vengono da lei articolate sotto forma di scan-
sione puntuale dei singoli portati, cioè di ana-
lisi infinitesime delle sfumature, di apperce-
zione dei passaggi nevralgici, di lettura delle
soglie critiche, e così ricondotte – attraverso
le innumerevoli stratificazioni dello sguardo –
ad essere poesia, nella condensazione eidetica
ed epistemica dell’esperienza che il percorso
delle sessantaquattro composizioni qui rac-
colte svolge e racchiude, a mo’ di sintesi
esemplare.
Il segnacolo di questo percorso è già nel ti-
tolo. Gli echi ci introducono al cosmo dell’
“eterno ritorno”, ovvero a un’idea fondamen-
tale di immutabilità ciclica nell’ imperma-
nenza. C’è un residuo ontologico al fondo del
perenne divenire, per cui «tutto scorre come
un fiume», ma ciò che è accaduto è incancel-
labile (neanche Dio può far sì che non sia ac-
caduto): resta e ritorna per sempre. I sussurri
alludono alla vocazione linguistica (tra lo
svelarsi semiotico e il ritrarsi simbolico) del
reale, per cui tutto comunica incessantemen-
te, liberando l’essenza del proprio essere ed
emettendo il segnale della sua presenza, nella
conferma temporale dello spazio. Il vento, ad
esempio, è «affabulante», racconta le fatiche
degli uomini, la sofferenza eterna della vita. E
le stelle sono «trama di miti / intessuta d’
eterno»: linguaggio cifrato di «segni arcani»
che «effondono una casta / ineffabile quiete»
e, insieme, un brivido di orrore.
Il presupposto della poesia è la disposizione
all’ascolto. Occorre raggiungere il silenzio,
cioè staccarsi dalle sovrastrutture, gli inganni,
le false voci dell’io. Svuotarsi delle interfe-
renze. Trasformarsi in «orecchi che ascolta-
no», come scrive Rilke citato in apertura di
libro: solo così è possibile ritrovare la «trac-
cia infinita» del «Dio perduto». Il silenzio, in
realtà, è pieno di magie segrete da sfogliare
come infiorescenze, «voci impercettibili»,
brividi, fremiti, riverberi. Il silenzio parla e
sussurra con le «mute vibrazioni del tempo»
che il poeta percepisce e raccoglie, iniettan-
dole dentro le parole. Ecco perché il percorso
poetico nasce dalla notte (“Fiori della notte”
si intitola la prima sezione) intesa come spo-
liazione, sprofondamento, varco per raggiun-
gere l’essenza. La notte è sacra, è madre, è
amica. La poetessa aspira ad annullarsi nel
suo alveo originario, in guisa di regressione
uterina: «Accoglimi nel seno / del tuo corpo
materno, sacra notte». La notte, inoltre, è un
simbolo spirituale che esprime, suggestiva-
mente, un’ascesa dentro la discesa: occorre
affrontare e attraversare l’ombra per placare
le «tenebre dell’anima», poiché «solo nel
G
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.10
buio» può spalancarsi la radura luminosa
dell’essenza. È nel buio, peraltro, che «ger-
mina il seme»: «la gemma nel buio / la vita
dalla morte attende». Impossibile rinascere,
se prima non si è disposti a morire. Giacché
la realtà è impastata di metamorfosi, è un ca-
leidoscopio di energie impegnate nella tra-
smutazione eterna della materia. La “machi-
na” del divenire è come la bocca di un’ im-
mensa impastatrice che tutto rimescola inces-
santemente: «Tutto trascorre dalla vita a mor-
te / da morte a vita forse in altra forma» in un
ritmo cosmico di «vita e morte, rinascita e
ancor morte», come il ciclo delle stagioni. Al
centro di questa metamorfosi c’è il Logos, il
plesso nodale che raccorda le energie e il rag-
gio multiverso delle loro direzioni. È la divi-
na necessità: «la mole / che grava sulle cose»,
le regge da dentro e le fa andare come devo-
no. La stessa forza per cui nella clessidra i
«granelli di sabbia non si fermano. / Non c’è
parola magica / per interrompere quel flusso
tragico / della vita che fugge inesorabile».
Lo sguardo del poeta funge da raccordo oli-
stico tra le figure del nascente che sorgono
(«tenera foglia danzante nel vento»; «parola
che sboccia»; «vibrante a nuova vita») e quel-
le moriture che scompaiono («Si sta spe-
gnendo quella luce fioca»; «eco vanescen-
te»): le ricompone in superiore armonia dia-
lettica, oltre il conflitto dei loro contrari. È
questa la dimensione creativa che spinge
Giorgina Busca Gernetti al confronto ineludi-
bile con il rischio dell’Aperto (ἄπειρον) senza
appigli, e quindi anzitutto col pensiero della
morte (il pensiero dei pensieri) che tutto azze-
ra, ogni cosa riconducendo alla verità. Ecco
allora l’effimero dei giorni come sogni, o bol-
le inconsistenti di sapone, e la vita brevis, la
«lotta del vivere» e lo sforzo «vano». Ecco la
consapevolezza di essere «un nulla» nel tutto
«immenso e vago» che fugge «verso un bara-
tro oscuro, un nero abisso. // Abisso che spro-
fonda in un abisso». Ed ecco il «vuoto ama-
ro», il «carcere / d’amarezza», l’«abisso dell’
animo straziato» che opprime l’uomo solo:
solo perché incapace di scendere a patti con
le ipocrisie e le maschere del vivere sociale;
solo, come visse e morì Cesare Pavese.
Eppure la vita «trova un varco tra gli osta-
coli / più avversi». Non tutto è perduto! Scri-
ve Rilke nei Sonetti a Orfeo che le immagini
della realtà e ogni minima cosa esistente, in
qualunque momento del tempo, appartengono
«al Tutto, al radioso disegno». Quali sassi
opporre al Vuoto per circoscrivere lo spazio
umano del focolare? Anzitutto l’amore, il ta-
lismano che dà senso e sapore all’esistenza:
«Buia è la vita senza amore, è vuota / come
guscio, in inverno, di cicala». Il calore e la
dolcezza dei sentimenti («anni di baci e tene-
re carezze») proteggono il cuore dalla minac-
cia del gelo cosmico, che incombe per legge
di entropia. C’è poi il conforto delle ricordan-
ze: «Memorie mie, ombre vaghe dei sogni, /
tornate ad affollare questo vuoto, / (…) torna-
te a me, fermatevi: / in voi la salda mano che
m’afferra, / la sola dolce voce che mi salva /
dal baratro, dal buio / del mio silenzio eter-
no». Affondare il cuore nella memoria signi-
fica sublimare la perdita di ciò che pure è or-
mai inafferrabile, per ritrovarlo magicamente
“salvo” nel dominio struggente del canto; i
versi, così – rinnovando l’illusione di un tem-
po inalterato – sciolgono i lacci del distacco
“retorico” e si effondono, con trasporto inti-
mistico e sincero, sotto forma di confessione
privata, ovvero dolente catarsi elegiaca. Così
è, ad esempio, per le bestiole perdute dell’ in-
fanzia: il boxer Artù, il topolino Francis, e
soprattutto il canarino Lillo: «Ti ho sentito
cantare come prima / della tua amara morte
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.11
(…) / Lillino mio adorato, torna ancora / nei
miei sogni, ti prego, canta e vola! / (…) il
dolce tuo piccolo corpo / che solo immobile
ho potuto stringere / tra le mie mani, freddo e
senza vita. / Solo allora ho baciato cento volte
/ la tua soffice, amata “palla gialla”. / Ritorna
Lillo! Torna nei miei sogni!». Dove, peraltro,
ha modo obliquamente di rinnovarsi la mito-
logia orfica della Ποίησις come termine idea-
le che, nel suo oggetto, «solo immobile»
(cioè soltanto come “forma” estratta dalla
“vita”) è possibile raggiungere e afferrare:
Orfeo ha bisogno di perdere Euridice, voltan-
dosi a guardarla, per averla – finalmente sicu-
ra e ferma – nell’eternità.
Affidarsi a cose che non ci sono più come
ad appigli di «salda mano» significa porre su
fondamenti invisibili la realtà più autentica
del proprio tracciato evolutivo e, in questo,
corrispondere alla propria vocazione poetica
costitutiva. Il muro della memoria viene per-
corso a ritroso, perlustrato in ogni andito e
addirittura oltrepassato, fino a sfiorare il ri-
flesso del suo coté “metafisico”: ed ecco il ri-
cordo senza tempo della condizione prenata-
le, la nostalgia della pienezza perduta, astratta
in quintessenza, nella deriva di una «musica
celeste / ignota alla mia mente, ormai lontana
/ dall’assordante musica terrena». E c’è poi,
al pari del ricordo, il rifugio del sogno, dove
accade l’ignoto, la misteriosa apertura del se-
gno che si svela.
La condizione umana si definisce nel dub-
bio “amletico” «Vita o esistenza?». Usare la
cultura per trasfigurare la propria natura evo-
lutiva, completando l’opera di Dio, ma con
ciò stesso aprire i canali energetici a una sen-
sibilità più acuta, vasta e dolorosa; oppure ac-
cettare di essere “sereni” in quanto più vicini
all’animale? Vengono subito in mente luoghi
celebri della nostra cultura, come il «fatti non
foste» della Commedia (Inf. XXVI) o la natu-
ra umana indeterminata e libera di cui argo-
menta Giovanni Pico della Mirandola (De
hominis dignitate, 18-23). Ugualmente e pro-
fondamente umani sono sia lo slancio evolu-
tivo verso l’ignoto, proteso alla maggiore co-
noscenza; sia la tentazione dell’oblio, il biso-
gno di perdere i confini e confondersi con le
cose. Ecco, da un lato, l’ansia metafisica che
induce il poeta a bramare il vertice, come at-
tratto da turbini svettanti di ascensione, per
cui l’anima che anela all’infinito è «albatro
puro assetato d’azzurro», e si dibatte nel car-
cere della materia, e sente la terra non come
patria ma doloroso esilio dal cielo, e chiede
all’Angelo di liberarla dai lacci dell’angoscia,
di spezzare le catene, di farla vagare libera
«oltre le bianche nuvole» per raggiungere la
pienezza della verità; dall’altro, con movi-
mento opposto e complementare, il cupio dis-
solvi dove tuffare l’immensa stanchezza di
esistere e resistere («Dormire a lungo. Forse
un sonno eterno / piuttosto di una scheggia
d’atra vita») fino ad abbracciare la smemo-
rante quiete del non essere: «la pace io atten-
do, / il Nulla, piuttosto, nell’Oltre, / purché
svanisca quest’atra amarezza, / quest’ ango-
scia che l’anima tormenta». Sono qui i nutri-
menti simbolici – ovvero il retroterra percet-
tivo e gnoseologico – da cui sgorgano certe
composizioni intessute di ricerca conoscitiva,
di scavo infinitesimo, di struggente chiarifi-
cazione autologica.
La lirica di Giorgina Busca Gernetti ha in-
cisa, negli apici del suo “entusiasmo” panico
e del suo ardore creativo, una radice “epica”,
di apertura cosmica e meditazione metafisica,
che utilizza la parola per consentire alle cose
di manifestarsi, di incarnarsi in suono. Il
mondo appare alle parole in ragione della lo-
ro capacità di circoscrivere “un” mondo, anzi:
di farsi mondo. Ecco ad esempio, particolar-
mente riuscita, una rappresentazione ritmica e
fonosimbolica del fiume: «Scorre lento il mio
fiume tra i piloni / del ponte che due terre op-
poste unisce / mentre l’acqua le scinde e le
lambisce / con lutulenta e grigia acqua fluen-
te». O la pittura viva e benigna del mare:
«turchino, azzurro, smeraldino / lamella cal-
mo nell’aurata luce. / Indaco vivo segna l’
orizzonte / dove il cielo s’inarca e bacia l’
onda». O il farsi di un tramonto sullo Jonio:
«Ma fu il tramonto. Il mare s’imbruniva /
sempre più rapido verso il crepuscolo (…) / Il
buio invase la distesa equorea / la rena scura e
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.12
fredda, la scogliera / ormai invisibili».
Le cose salgono vivide dalla pagina poiché
distillate dopo lunga macerazione e raccolte
nel pieno della loro maturità. A un certo pun-
to è possibile leggere una metafora della con-
dizione del poeta nella figura del pescatore
ligure assetato davanti al mare: «Arde la gola
di sete nel vento / che gonfia le vele su strade
azzurre». Le «strade azzurre» sono le infinite
rotte percorribili nell’oceano dell’Essere: il
pescatore, uso di mare e temprato dalle tem-
peste, non si lascia paralizzare dall’enigma
del possibile, né scoraggiare dal vento che
brucia, ma impara proprio dai rovesci a bere e
assaporare il «vino d’oro», cioè la quintes-
senza della vita. La poesia, anzi, è specchio
della vita e della memoria: come il vento, che
«non è soffio solamente, / ma spirito vivente
che riecheggia / ciò che ascolta nel suo vaga-
re intrepido». Si scrive per vivere: la poesia è
una delle forme più alte e autentiche di vivere
l’esistenza.
Giorgina Busca Gernetti interpreta un tipo
di canto che raggiunge la potenza delle sue
visioni attingendole da una sorgente arcana e
profonda, dimorante nei pressi dell’Essere,
oltre la soglia dei sentieri fallaci, il rumore
delle chiacchiere, la crosta delle inutili appa-
renze. Sfondare la superficie significa adden-
trarsi nel regno polisemico della complessità,
senza dirimerne le aporie o fugarne le ambi-
valenze. Cade per conseguenza la barriera di-
visoria tra dentro e fuori, ricordo e sogno,
soggetto e mondo. È allora che, da lì in poi, si
esplora il buio. Si affrontano baratri. Si per-
cepiscono misteri. Si raccolgono sgomenti. Il
fuoco mentale è uno specchio interiore che
rende traslucido lo sguardo e dona la forza di
sfiorare corde profondissime, per musiche
sublimi. Le cose “ascendono” nel canto del
poeta, sorgono nel suono illuminate.
In questo libro si celebra ampiamente la po-
tenza trasfigurante del canto, che il poeta non
inventa a capriccio, ma raccoglie dal cuore
stesso delle cose, e ascolta, e trascrive con fe-
deltà necessaria, come sotto dettatura, impos-
sibilitato a fare altrimenti. La musica «nasce
nell’animo» come un «soffio divino» che
«sfiora labbra ridenti». Il poeta deve abban-
donarsi confidente al cuore delle cose, se
vuole che esse gli porgano il cuore – per con-
fidenza, per sovrabbondanza di energie. Chi
rimane chiuso nella gabbia gelida dell’ intel-
letto resta ognora precluso ai doni della rive-
lazione. Ecco prevalere il cupio dissolvi sullo
slancio metafisico (o forse coincidere en-
trambi in unica tensione?), da cui il bisogno
irrefrenabile di con-fondersi ai colori (quelli
del cielo e del mare: «nell’azzurro / e nell’
indaco puro m’abbandono»; o quello vegetale
della terra: «Nel verde la mia anima s’ im-
merge / e s’annulla in un magico naufragio»),
di unirsi all’abbraccio del mare «m’annullo,
mi trasformo / quasi marina creatura io fossi /
per la divina equorea metamorfosi»), di «di-
menticare tutto» nella luce dell’Acropoli di
Atene.
Si avverte l’amore sconfinato che Giorgina
Busca Gernetti, forse a contrappeso dell’ ori-
gine padana, nutre per la dimensione geogra-
fica e storica del Mediterraneo. Natura e cul-
tura in accordo di “echi”, racchiuse e oltre-
passate nella superiore sintesi umana. Ecco il
vento, il sole, l’acqua (elemento primordiale,
«grembo materno», origine «fremente di for-
za / vitale»), e la bellezza sublime del mare,
dove l’anima «si ridesta / alla serenità, alla
dolcezza» e il cielo benigno «sorride e avvol-
ge il mondo»; e allora il «meriggio dell’ Ella-
de assolata», l’ora divina e panica delle appa-
rizioni, e l’infinita solitudine di Capo Sou-
nion, già cantato da Byron; e la Grecia del
Mito – Corinto, Micene, Olimpia – che ha
posto le pietre angolari dell’Occidente, con il
fascino dell’antichità, lo splendore dei secoli,
le rovine che parlano al tempo di memento
mori («ogni pietra (…) / mi ammonisce / che
tutto ha fine, tutto divien polvere») signifi-
cando la loro eternità («La sacra Olimpia (…)
/ è solo bianca polvere che il vento / nel silen-
zio disperde. // Ma nel silenzio echeggiano
parole / eterne»).
L’attrazione per il mondo classico non è so-
lo questione di gusto, di educazione estetica,
ma obbedisce a un impulso etico fondamenta-
le: la ricerca della pace, dell’armonia, del “ri-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.13
torno a casa” («Vorrei avere anch’io una mia
Itaca») alla fine della deriva «verso oscuro
abisso», laddove invece esistere è «vagare
senza rotta certa». E allora «dimenticare la
disarmonia / (…) abbandonarmi / e perdermi
nel favoloso Mito» che non è qualcosa di re-
moto e irrecuperabile, ma un nucleo «palpi-
tante» poiché eternamente vivo dentro noi.
C’è un movimento doppio e talvolta simulta-
neo, sul “nastro trasportatore” della percezio-
ne poetica: se il presente sprofonda fino alle
scaturigini del mito, il mito può a sua volta
emergere dal presente, attualizzandosi nell’
attimo del suo manifestarsi. Come quando l’
autrice si sente chiamare tra la folla della Pla-
ka ad Atene: «Giorgina, vieni! Sono Mene-
lao». C’è un sospiro nostalgico senza tempo
all’origine del porsi sospeso di questa scrittu-
ra, in equilibrio precario tra incanto e disin-
canto. Gli echi e i sussurri del mondo con cui
si entra in risonanza conducono alla «quiete
assorta» del presagio, a un “allarme” di stupe-
fazione. Emergono irradiazioni oniriche, figu-
re, epifanie, «sagome traslucide», attraverso
cui ha modo di apparire il «colore del sogno»,
la «mistica parvenza», «l’incanto di magico
oblio», l’«estatica felicità». La percezione
oscilla tra l’«eco del ricordo» e il «sogno del
presente», entrambe le dimensioni trasuma-
nanti, apportatrici di gioia e profondità. Ma la
luce apollinea è turbata dall’inquietudine del-
le «voci difformi»: l’«arcana armonia» è tan-
to più efficace e convincente quanto maggio-
re è la lotta sostenuta per con-tenere la dialet-
tica degli opposti (la vera cultura classica na-
sce dall’agonismo).
Niente potrebbe rivelarsi, tuttavia, se l’ au-
trice non confidasse nella natura orfica della
poesia, ovvero nella capacità da parte del
poeta-seduttore di cogliere la pulsione musi-
cale delle cose, per cui le cose – ascoltandole
con passione – sciolgono spontaneamente
(come i capelli una donna, prima di fare l’
amore) il loro “canto”, il suono metafisico
che ne traduce la presenza e ne diffonde
ovunque l’energia. Ecco dunque l’«arcana
musica» degli astri, l’«aria-sinfonia» della lu-
ce atmosferica, l’«arpeggiare melodioso» del
vento sul mare, il «lento / ritmato salmodia-
re» delle onde sul bagnasciuga, lo sciacquio
che mormora «parole dolci-amare», e la «mu-
sica serenante» delle spighe «ondeggianti nel
vento carezzevole», e i campi di papaveri
«squillanti». Il tempo che tutto divora e che di
ogni cosa cancella anche le tracce, non può e
non deve impedire il godimento della bellez-
za, della vita nella pienezza dei suoi aspetti
buoni e dolci (pur fra tanti calici amari), poi-
ché spetta anzitutto alla bellezza, da ultimo,
vincere la morte. Il tempo impera tiranno su
ogni cosa dell’universo, eppure – con tutto
ciò – non è in grado di «spegnere / la voce del
poeta». Non a caso il libro si conclude con
una sezione interamente dedicata alla cele-
brazione del potere orfico della parola, l’
«eterno canto di Orfeo», musica dolcissima e
profonda, poesia d’amore e morte, che avvin-
ce la natura e vince il tempo: «Ovunque è
poesia. Ovunque guardi / con animo com-
mosso ed occhio attento / (…) // Orfeo risor-
to, non mai morto Orfeo. / Perenne il canto
suo nella natura, / nel cielo, nelle stelle, nella
luna / (…) Ovunque è poesia. Eterno è Or-
feo». Orfeo è simbolo di consonanza e inter-
sezione dell’uomo nel cosmo, poiché mette in
equilibrio natura e cultura: la natura canta dal
momento che il poeta canta, ovvero gli con-
sente di cantare giacché lui a sua volta gliene
dà modo.
Credere in Orfeo significa mettere in gioco
“tutta la natura” insieme a “tutta la cultura”:
per questo l’autrice, che tende alla coltissima
naturalezza del suo particolare «dolce stile
eterno» (vale a dire alla quintessenza del lin-
guaggio poetico italiano) può permettersi,
senza stonare, cultismi e arcaismi come [ie-
male] [germine] [lungi] [dianzi] [atra] [rube-
scenti] [virenti] [sacerrimo] [pelago], e varie
forme apocopate di parole più comuni; non si
tratta di veli esornativi, né tanto meno di
ostentazioni professorali, quanto piuttosto di
attributi storici di precisione, utili ad armare e
rendere saporosa, prensile e sempre aderente,
una lingua priva di impacci, che procede di-
ritta allo scopo, nulla al ver detraendo, dove
sembrano ricapitolarsi e rivivere secoli di sto-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.14
ria e di cultura. Il respiro naturale di tale di-
mensione poetica è – verrebbe da dire “ov-
viamente” – l’endecasillabo, sia pur giocato
sulle pause d’interpunzione e sulle spezzature
sintattiche, e alternato ad altri versi funziona-
li. Il retroterra “classico” e “letterario” (con
gli infiniti echi di letture assimilate) non sof-
foca il vitalismo innato della voce poetica,
con la sua impronta inconfondibile, ma anzi
la fortifica, dandole corpo e peso di memoria,
attraverso un ritmo interiore che solidifica l’
apertura in fondamento. L’armonia finale non
è un guscio prezioso sovrapposto da fuori, ma
il frutto organico di una conquista umana,
esercitata nell’arduo tirocinio dello stile.
Con questo libro di classico nitore, intriso
di umori romantici distillati e plasmato al
fuoco liquido di una passione purissima,
Giorgina Busca Gernetti propone un itinera-
rio poetico dirompente e felicemente inattua-
le, nella misura in cui non rinuncia a priori al-
la dicibilità del mondo, alla fede nella parola,
alla possibilità di affrontare con efficacia, la-
sciando una traccia, i temi più importanti. Ed
essere inattuali, in tempi di insulso minimali-
smo, è forse quanto di meglio possa augurarsi
oggi un poeta.
Marco Onofrio Prefazione a: Giorgina Busca Gernetti, Echi e sus-
surri, Polistampa, collana Sagittaria, Firenze 2015, pp. 120, € 10
CARE IMMAGINI
Oscilla veloce
con nostalgica premura
la bramosia del sapere …
viaggiano sui binari i dotti
ricercando un passato intenso di parole.
Care immagini
nel vortice di una danza
inducono a sperare
un’indomabile ambizione.
Mentre scorrono ai fianchi della vita
paesaggi ridondanti di natura
accattivante melodia si erge sull’orizzonte
del finire di un giorno che attende la sera.
Insonni nella notte carezzevoli lemmi
accompagnano le grazie di un sogno
vestito di versi
tra le pieghe del tempo
un sopito sospiro si risveglia
e travolge come fiume in piena
brandelli di un’amara esistenza
povera d’amore … ricca di poesia.
Lorella Borgiani Ardea (RM)
TRA L’ERBA PRIMA
Tra l’erba prima
l’inizio ebbe il vanto
di tenerci fuori del tempo.
E già l’amore era sovrano.
Ora accompagno la tua solitudine
per riempire il baratro che incombe.
Mano nella mano uniamo
i passi nel poco che resta.
Nella finzione leggeri
mentre le cellule gravide
hanno breve respiro.
Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
7/11/2015
Finora, abbiamo solo avvelenato le campa-
gne con intrugli vari e pesticidi; ora, però,
finalmente, grazie a una direttiva europea,
abbiamo un ottimo rimedio per la lotta agli
insetti - Alleluia! Alleluia! -: mangiarceli nel
piatto, ben salati e conditi!
Domenico Defelice
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.15
SALVATORE PORCU L’UOMO E IL SOCIOLOGO
DALLE CENTO BATTAGLIE di Domenico Defelice
N volume nel quale il nostro mensile
primeggia in citazioni: almeno una
trentina di volte, segno di quanto
spazio Pomezia-Notizie abbia dato a Salvato-
re Porcu e a tanti altri personaggi che hanno
avuto con lui contatti o sostenuto vere batta-
glie. Ed è su Pomezia-Notizie che lo stesso
Cauchi, autore del saggio, legge di Salvatore
Porcu prima di avere la fortuna di conoscerlo
di persona e godere, poi, per anni, della sua
inestimabile amicizia. Un giorno si dovrà pur
scrivere la storia di questo nostro mensile, na-
to come testata locale e poi assurto a rivista
internazionale, perché conosciuto ed apprez-
zato in tutto il mondo e sul quale sono appar-
se in gran numero firme importanti.
Il sociologo Salvatore Porcu, studioso atten-
to di problemi umani ed esistenziali, quali la
politica, la religione, la lingua, la disoccupa-
zione, l’omosessualità, l’aborto, ha pubblicato
con noi articoli che hanno avuto rinomanza,
reazioni pro e contro, ma sempre improntati
alla massima onestà, perché assolutamente
oneste sono state la sua esistenza e le sue in-
dagini e, quindi, ogni suo comportamento:
“la sua - scrive Cauchi - era sempre una po-
sizione chiara e netta, di una persona incor-
ruttibile, senza vie di mezzo”). Uno studioso a
tutto tondo, che ha fondato e diretto periodici
- come l’Ordinismo, per ben 20 anni - e col-
laborato a centinaia di testate, insistendo su
autentici suoi chiodi fissi fino a farli diventare
autentiche istituzioni: l’Unione di Conver-
genza Universale, la Fratellanza dei Popoli, il
governo Mondiale, il Comisalv, il Comincon-
trol e la lotta estrema tra il Bene e il Male.
Cauchi incontra, un bel giorno, personal-
mente Salvatore Porcu e questa conoscenza
diretta, tra lui, il sociologo e la moglie Signo-
ra Lina, si trasforma subito in autentica fratel-
lanza: “le visite si intensificano - racconta -
fino a cadenzarsi a un giorno stabilito a set-
timana (il sabato)”, sicché lo studioso sardo,
quasi centenario, decide di donare al nuovo
amico tutti i suoi faldoni contenenti scritti va-
ri, libri, riviste, appunti, lettere: una autentica
miniera che Cauchi, lavorando notte e giorno
per anni, ha ordinato e catalogato. Ed è da
U
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.16
questo pozzo che ora ha ricavato questo Sal-
vatore Porcu Vita, Opere, Polemiche, struttu-
rato in tre parti e in 20 capitoli complessivi.
Essendo lavoro collettaneo, qualunque tipo
di organizzazione può essere opinabile. Pur
mantenendo quasi in toto la struttura data da
Cauchi e la stessa cronologia, al posto suo,
noi avremmo collocato all’inizio i nostri scrit-
ti riguardanti l’autore sardo, cucendoli l’un l’
altro e ponendoli dopo le notizie biografiche
in modo da ricavarne un vero e proprio sag-
gio; poi avremmo fatto seguire l’antologia e
senza altri ulteriori nostri interventi.
Salvatore Porcu muore a Nettuno il 2 gen-
naio 2005 a quasi 99 anni (era nato il 23 gen-
naio 1906 a Gonnosfanadiga, in provincia di
Cagliari); l’anno precedente, il 16 agosto, a
101 anni, era morta la moglie, Lina Minozzi.
Uomo di fede incrollabile nei suoi principi -
scrive Cauchi - Salvatore Porcu “finisce per
rifiutare (...) quanto è contrario alla propria
morale o al proprio credo, attaccando bru-
talmente, come in una vera crociata, chi si
comporta e pensa diversamente, perdendo di
vista il valore del recupero dell’altra persona
(se di recupero si può parlare), pur dichia-
randosi aperto sempre al confronto”. Noi in
parte dissentiamo da questo giudizio. Porcu
non era un violento (“brutalmente”), ma un
mite, animato solo da una gran fede interiore
a favore dell’umanità e giustamente difensore
delle proprie idee fino a quando le ha ritenute
valide.
In alcune pagine quasi pedanti, Cauchi ci fa
sapere le difficoltà che ha dovuto sostenere -
immaginiamo assieme a moltissime spese! -
nell’ordinare quella montagna di carte a lui
donata. Un lavoro non del tutto concluso. So-
lo per trasportare il materiale, egli annota “di
avere riempito l’auto dieci volte”; più di
“200.000 tra carte varie, stralci di giornali
ecc. I faldoni accatastati a casa lungo una
parete hanno occupato circa 4 metri di lun-
ghezza per l’altezza di un metro; oltre a que-
sti pacchi, un altrettanto volume occupavano
le pubblicazioni a stampa di libri suoi e di al-
tri a lui dedicati e a vario titolo, o di raccolte
di giornali e riviste, molto rovinati dal tempo
e dal luogo ove erano stati prima tenuti a de-
posito (una baracca fra gli alberi)”. Questo
lavoro agevolerà sicuramente tutti coloro che
il Porcu hanno conosciuto e che - ci auguria-
mo - decideranno di ricordarlo come un tale
uomo ha meritato e merita.
Porcu è stato accusato d’essere di parte, del-
la destra estrema: “l’ordinismo - scrive Car-
melo Rosario Viola - è trasparentemente di
fibra fascista”. Falso. Egli amava solo la veri-
tà e la pace e ha lottato sempre per questo,
senza pensare a fede politica e a momentanee
convenienze. Era convinto che i guai dell’ in-
tera umanità non fossero conseguenza della
cattiveria dei popoli, ma della smodata cupi-
digia dei capi e del loro contorto narcisismo:
“se un nuovo conflitto scoppierà, non dovre-
mo certo credere che siano i popoli a volerlo,
ma piuttosto i capi, che non volendo o non
sapendo mettersi d’accordo ricorrono all’
azione bellica nel disperato tentativo di risol-
vere con tale mezzo le controverse questioni
internazionali”. “E pensare che basterebbe
un sincero spirito di collaborazione e di
comprensione dei pochi “Grandi” per dissi-
pare la foschia internazionale e ridare agli
uomini quella serenità tanto necessaria dopo
le distruzioni materiali e morali delle ultime
guerre”.
L’ampia battaglia, portata avanti per tanti
anni da Salvatore Porcu, ha avuto più succes-
so nelle coscienze che sulle pagine dei gior-
nali o sugli schermi televisivi. E si tenga pre-
sente il tempo in cui una tale battaglia è stata
combattuta, con la presenza in campo di due
grandi partiti entrambi corrotti e gesuitici: l’
uno, la DC, peggio dell’altro, il PCI, che han-
no entrambi letteralmente inquinato gli animi
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.17
degli italiani, asfaltando la loro moralità e la
loro coscienza, corrompendoli fin nelle radici.
Cauchi mette in risalto come Porcu si batteva
non solo perché fosse eliminata la guerra, ma
perché ci fosse anche “la cultura della pace,
del buono”; egli aveva “l’animo generoso e
idealista” (Gran Pavese, aprile 1959).
In questa antologia, figurano brani di molti
autori, come del già citato Carmelo Rosario
Viola, Dimitrij di Russia, Guerino d’ Ales-
sandro, Rino Pompei, Lydia Senes, Carmine
Manzi, Francesco Buttarelli, Enzo Gugliotta,
Giovanni Salucci, Giulietta Alfonsi, Lina Ga-
brielli eccetera, tratti da diverse testate, e bra-
ni anche anonimi o con pseudonimo, alcuni
dei quali possono essere facilmente attribuiti:
quello su Il Pungolo Verde è del direttore
Guido Massarelli e quello firmato Amog, di
AZ=Arte-Cultura, pure del direttore: Antonio
Magnifico.
Porcu affronta, in diverse riprese e pubbli-
cazioni, un problema da sempre endemico nel
nostro Paese, proponendo analisi e soluzioni
non sempre condivise, da noi come da altri,
quando afferma che “Vi è comunque un fatto-
re rilevante ad aggravare la disoccupazione:
la cosiddetta “scuola forzata”, che informa-
tasi all’erroneo e innaturale principio di for-
nire anche ai cittadini inetti allo studio il
massimo grado di istruzione scolastica, dà
luogo a una ingente massa di laureati e di-
plomati, ai quali le attività nazionali non so-
no in grado di fornire una occupazione”; e
non perché non siamo d’accordo che la scuo-
la non debba essere forzata, ma libera, per
scelta, dando, però, a chi la chiede, la possibi-
lità di frequentarla senza limitazione per ric-
chezza od altro: non siamo d’accordo, perché
il lavoro ci sarebbe, senza egoismo e volontà
perversa (perfino la miseria è fonte di specu-
lazione, perché permette la parvenza della
beneficenza, sulla quale tanti ci speculano) e,
principalmente, perché l’istruzione non do-
vrebbe servire solo per cercar lavoro, ma per
cultura e poi tutti dovrebbero essere disposti
ad accettare e svolgere qualsiasi attività, an-
che la più umile. Del tutto condivisibili sono,
invece, le sue analisi e i suoi rimedi sulla rac-
colta differenziata e l’utilizzo dei rifiuti e
sull’aspetto sociale del lavoro, ch’è necessa-
rio “sia per l’impiego di tutti i disoccupati,
sia per rendere più ordinata e confortevole la
vita dei cittadini”.
A non condividere tutte le analisi e le pro-
poste del Porcu c’è, in particolare, il filosofo
sociologo Carmelo Rosario Viola che, tra l’
altro, scrive: “Lo studioso Salvatore Porcu
consiglia “Come eliminare la disoccupazio-
ne” in un lavoro così intitolato conservando i
meccanismi che lo producono. Io credo nella
sua sincerità - conoscendolo ormai da troppi
anni - e ne sono oltremodo commosso, ma ri-
tengo che consigliare di applicare i meccani-
smi capitalistici con spirito socialistico (direi
cristiano) sia tanto gratuito quanto consiglia-
re la guerra con spirito antimilitarista - piut-
tosto che spiegare “come non fare la guer-
ra”!
Il Viola, che l’ha combattuto, ha, infine,
aderito all’Unione di Convergenza Universale
creata dal Porcu! Onesto, ha creduto nell’
onestà dell’avversario! Anche noi abbiamo
duellato con il Viola e anche verso di noi, in-
fine, è stato onesto riconoscendo la validità
del nostro parere sulle armi. Perché Viola era,
come afferma Porcu, un “assertore di un co-
munismo ideale, alieno da qualsiasi forma di
violenza e d’ingiustizia”, come lo stesso Por-
cu era un assertore del capitalismo ideale; in
entrambi, cioè, c’era, alla base di tutto, l’
idealismo, non l’egoismo e l’ipocrisia. En-
trambi hanno difeso le proprie idee fino a che
le hanno ritenute difendibili, per poi ricono-
scere ciascuno le ragioni, o alcune ragioni,
dell’altro. Entrambi, perciò, uomini e studiosi
di un alto valore morale.
Tito Cauchi, dando spazio, in questo volu-
me, alle idee e alle battaglie di entrambi, ha
contribuito ad approfondire la loro conoscen-
za, perché le battaglie di questi due sociologi
non hanno perso valenza e son da proseguire,
solo, all’occorrenza, correggendole.
Domenico Defelice TITO CAUCHI - SALVATORE PORCU Vita,
Opere, Polemiche - Editrice Totem, 2015 - Pagg.
304, € 20.
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.18
MARTINO ZANETTI, UOMO DI CULTURA
E D'IMPRESA,
DONA IL SUO INGENTE
PATRIMONIO
DANNUNZIANO
ALL'ARCHIVIO DEL
VITTORIALE
DEGLI ITALIANI. di Ilia Pedrina
UTTO ha inizio il 29 ottobre 2015,
quando al Grand Hotel et de Milan,
dove Gabriele d'Annunzio alloggiava
durante le sue soste in questa grande città,
l'imprenditore Martino Zanetti, titolare e
Presidente di Hausbrandt Trieste 1892, dopo
aver acquistato e letto circa tremila pagine
di manoscritti autografi di Gabriele d'An-
nunzio, dona tutto questo prezioso materiale
al Vittoriale degli Italiani, affidandolo al suo
Presidente, il prof. Giordano Bruno Guerri,
che da anni copre brillantemente questa ca-
rica perché ardito, competente, instancabile.
È una notizia che accende l'interesse degli
studiosi, dei ricercatori, degli Italiani e di
tutti quelli che in Europa e nel mondo hanno
fascinazione e memoria di esperienze e cose
d'ogni tempo: infatti Martino Zanetti
compenetra in sé le caratteristiche dell'im-
prenditore lungimirante ed al passo con i
tempi e gli spazi della globalizzazione, a
fianco di quelle legate agli studi ed alle for-
me varie dell'arte, come la musica, la pittu-
ra, la letteratura, la poesia, il teatro. Colgo
questa traccia dal comunicato stampa che mi
è stato fatto pervenire gentilmente da Gio-
vanna Zilio: “Martino Zanetti sin dalla gio-
vinezza si è appassionato alle opere di d'An-
nunzio e ne è diventato il maggior collezio-
nista, sia di opere originali edite, di testi sto-
rico-critici sul personaggio ed infine di testi
autografi. Oltre tremila fogli tra i quali le
lettere più importanti della formazione e del-
la maturità e 'La vita di Cola di Rienzo' nella
prima stesura autografa... Oggi Martino Za-
netti, in possesso di specifiche opere di rile-
vanza internazionale, oltre che di d'Annun-
zio, di Shakespeare, Ben Johnson e Inigo
Jones, dona al Vittoriale tutta la propria rac-
colta di documenti autografi di Gabriele d'
Annunzio: oltre tremila documenti originali
fra lettere dello scrittore alle sue amate, ma-
noscritti e discorsi pubblici del periodo
1882-1883 e 1936-1938, ritenendo doveroso
farle 'rivivere' nel luogo più appropriatamen-
te deputato, l'ultima dimora del Poeta. Un
patrimonio fino ad ora 'nascosto' che verrà
donato al Vittoriale proprio per dare nuovi
stimoli e nuove sensazioni a tutti gli appas-
sionati, desiderosi di conoscere al meglio il
maggior interprete italiano delle correnti di
pensiero e delle mode europee, tra le quali l'
esasperato sensualismo, l'estetismo raffinato
e paganeggiante, la tendenza a valutare la
realtà sociale e a prevederne gli esiti con un'
anticipazione quasi secolare”.
Sarà poi lo stesso Zanetti a chiarire: “La
passione per Gabriele d'Annunzio è nata al
momento della maturazione umana, quando
da adolescente ho cominciato a leggerlo e
immediatamente ho percepito l'abissale di-
screpanza tra quanto leggevo (e ne venivo
affascinato) ed una docenza ed una critica
storico/letteraria sistematicamente e cervel-
loticamente negative. Questo entrava in con-
flitto anche con le opinioni espresse da scrit-
tori non italiani, che altamente hanno ap-
prezzato l'opera di d'Annunzio (Hemingway
primo fra tutti). Ancora oggi, e me ne accor-
T
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.19
si già allora, durante la prima visita al Vitto-
riale, questo ha generato una noncuranza da
parte del grande pubblico italiano per uno
dei suoi 'cinque grandi delle lettere' (Dante,
Petrarca, Boccaccio, Leopardi e d' Annun-
zio). Nonostante l'attuale successo del Vitto-
riale per numero di visitatori e attività, per-
sistono antichi pregiudizi per le opere e la
vita del grande Poeta”. Il Comunicato Stam-
pa porta la data del 29 Ottobre 2015 e viene
arricchito da altre documentazioni importan-
ti sul Vittoriale e la sua storia, sulle innova-
zioni successive al 2008, quando alla sua
presidenza e guida si è posto il prof. G. B.
Guerri, come il Museo d'Annunzio Segreto
o il Museo d'Annunzio Eroe e molto altro
ancora, non dimenticando però il Premio del
Vittoriale, istituito nel 2011 ed assegnato a
personalità d'impegno e di alto profilo pro-
fessionale e sociale come Ermanno Olmi,
Paolo Conte, Umberto Veronesi, Giorgio
Albertazzi, Alberto Arbasino, Ida Magli.
Posso testimoniare con certezza che l'ac-
coglienza ricevuta nel corso del mio incon-
tro con G. B. Guerri e i conseguenti rapporti
con il personale dell'Archivio sono stati im-
prontati alla massima cortesia, competenza,
disponibilità e precisione efficace nel repe-
rimento del materiale ingente da me richie-
sto e della sua riproduzione digitale, mate-
riale che utilizzo via via con scrupolo e viva
passione, prima di darne concreta notizia in
prossime pubblicazioni.
Per dare una idea d'approccio a tutto quel
ricco materiale che il prof. Guerri si appre-
sterà ad analizzare proprio al Vittoriale, con
i suoi collaboratori, scelgo e riporto sezioni
di due lettere tra quelle che sono state inseri-
te nella documentazione a me pervenuta, in
fotocopia. La prima porta la data del 9 Otto-
bre 1883, da Villa: “Mia maga, è un mattino
freddo e grigio d'inverno. Ieri il sole ven-
demmiale inondava tutta la campagna e il
mare e mi scaldò per tutta la lunga via. Che
cavalcata stupenda nel pomeriggio mite e
limpidissimo, in faccia al divino e benigno
Adriatico! Stamane il cielo è cinereo, c'è
nell'aria un'umidità tediosa che s'infiltra
nelle ossa. Tu che fai? Sei lieta? Hai tu il
sole?...”
La missiva continua con toni dolci e pe-
rentori insieme, perché Gabriele non vuole
sentire l'ansimare ansioso di lei che gli chie-
de quando si vedranno, si, proprio, il quando
ed il dove e sostiene il vantaggio di evitare
la pena dell'attesa che potrebbe poi rivelarsi
vana. Infatti prosegue: “Mi domandi con in-
sistenza se verrò a Firenze in questo mese.
Chi lo sa! La miglior cosa è di fare a meno
d'ogni promessa e d'ogni termine fisso, così
non ci saranno ansie e disturbi. Probabil-
mente il mese di ottobre me lo faranno pas-
sare tutto qui; quando sarò a Roma allora
vedrò di venire, ma non prometto più nulla,
non fisso più nulla, nulla. Tu sai che deside-
rio intenso di te mi tormenta. Io cercherò di
rivederti in tutti i modi possibili, quanto
prima. Seguirò i consigli del nostro babbo:
quando sarò certissimo di partire, allora te-
legraferò il giorno avanti; e tu mi aspetterai
e mi aprirai le braccia e mi porgerai la boc-
ca che io bacio ora tutte le notti in sogno.
Dunque non mi chiedere più nulla della mia
venuta; abbi un po' di pazienza, mio povero
angelo....” (fonte: Documentazione su sup-
porto digitale, fornitami da Giovanna Zilio -
Ufficio Stampa della Hausbrandt-Zanetti -
Gagliardi & Partners). Per questa lettera
inedita e per tutto il resto del materiale ora
in mio possesso, ringrazio qui pubblicamen-
te e sinceramente il Presidente Zanetti, che
ha consentito a darmene informazione e co-
pia: infatti il mio lavoro sul pittore France-
sco Paolo Michetti, pubblicato su questa Ri-
vista nel mese di Settembre 2015, è stato
quasi una intensa, curiosa e vivida anticipa-
zione di questo sorprendente evento che si-
curamente coinvolgerà tantissimi esperti e
non solo, d'Italia e d'altrove. Si, perché il
rapporto d'amicizia tra Gabriele ed il pittore
d'Abruzzo s'avvia nel 1881 e proprio a parti-
re dai luoghi legati alla dimora di Francavil-
la a Mare del Michetti, che è già famoso ed
ha dodici anni più di lui, ben conosce Roma,
la Capitale, e molto se ne discosta, selvati-
co! 'Villa', luogo di intestazione della lettera,
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.20
potrà essere allora questa specifica località,
dove sorge il 'conventino': il citare l'Adriati-
co ne fa conferma e poi 'probabilmente il
mese di ottobre me lo faranno passare tutto
qui' indica il buon affiatamento che si è ve-
nuto a creare con l'amico e con la sua fami-
glia, anche se in questa lettera Gabriele non
ne fa menzione. Ne è prova quanto sostiene
Fabio Benzi nel suo prezioso contributo su
F.P. Michetti: “Il rapporto si stringe nel
1881, d'Annunzio appena diciottenne e Mi-
chetti già pittore famoso, probabilmente
nell'estate, che trascorre ospite del nuovo
'amoroso amico'. Il ricordo di quella lunga
estate, condivisa con il musicista Francesco
Paolo Tosti e con lo scultore Costantino
Barbella, lo pubblicherà poco più di un anno
più tardi, sul 'Fanfulla della Domenica' del 7
gennaio 1883, intitolandolo 'Ricordi franca-
villesi. Frammento autobiografico'.... Mi-
chetti è per lui un fratello maggiore, ma an-
che un esempio di come conservare ed
esprimere l'amore per le proprie origini ver-
nacolari traducendole in forma alta, traman-
dandone quasi 'etnograficamente' o meglio
antropologicamente, le forme espressive, le
storie, gli accenti anche linguistici: Terra
vergine (1882) e particolarmente Figurine
abruzzesi, trova in Michetti, piuttosto che in
Verga (che pubblica l'anno precedente I Ma-
lavoglia), il riferimento culturale più sostan-
zioso, l'esempio formale più consistente.
Michetti disegna per lui la copertina di Can-
to Novo edito da Sommaruga nel 1882....”
(F. Benzi, Corrispondenze con d'Annunzio,
in 'F. P. Michetti. Il cenacolo delle arti: tra
fotografia e decorazione, ed. Electa, Napoli
1999, pag. 91). Chiaramente nello scrivere
alla sua diletta maga Gabriele ha già con sé
la forza intensa che può dare un'amicizia
come questa, che lo apre ad incontri d'arte e
ad emozioni cariche d'ispirazione e di piace-
re estetico: c'è una distinzione, in questa let-
tera, tra il luogo da dove scrive e “...quando
sarò a Roma..”, perché di certo l'Adriatico
non è il Tirreno, ma Roma è più vicina a Fi-
renze, rispetto a Francavilla. E la maga?
Quali sembianze si nascondono dietro que-
sto soprannome? Sarà Giselda Zucconi o un'
altra ancora? Una cosa è certa e ce la con-
ferma Gabriele stesso in una lunga missiva
del 27 Marzo '81/'82 da Roma, con carta ar-
ricchita da disegni egizi, tra cui le piramidi o
l'obelisco: “Mia bella, bella, bella bimba
eccoti un bacio così lungo e fremente e so-
noro che la mamma farà gli occhiacci e sor-
ridendo di quel suo divino sorriso ci dirà
che bisogna mutar sistema (sottolineato)...
Non dar retta alla mamma, sai? Rendimene
cento altri di baci e tutti l'uno più lungo, l'
uno più caldo, l'uno più sonante dell'altro.
Come son contento di questa letterina lumi-
nosa, Elda mia.... Sai una cosa? Per causa
dei disegni del Michetti il mio volume non
potrà uscire che in Aprile e probabilmente
prima del 20, anzi certamente. La prima co-
pia voglio che esca il 19 o il 17, e te la
manderò subito. Che data memorabile! E
poi ardisci chiamare quel libro: il tuo Canto
novo (sottolineato)? Ma mio non è davvero,
non è, non è, non è! Io senza la tua dettatura
avrei continuato a far della robetta (sottoli-
neato) come quella del Primo vere (sottoli-
neato), né più né meno, te lo giuro sull'ani-
ma di Apollo Musagete!...” (fonte: materiale
documentario Fondo Zanetti/Hausbrandt).
Nel 2008 G. B. Guerri dà alle stampe per i
tipi della Mondadori, nella Collana 'Le Scie',
la prima edizione di 'D'ANNUNZIO - L'A-
MANTE GUERRIERO', un lavoro concepito
in tre movimenti cronologicamente succes-
sivi ed in 10 stazioni di vita e d'esperienza,
ben interdipendenti tra loro a rendere un
profilo chiaro e consistente di questo grande
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.21
immaginifico: L'ASCESA (I “Son venuto
fuori io, tutto io” (1863-1881) / II “Arriverò
alle utlime vette dell'arte e della Gloria?”
(1881-1889) / III “Prepariamo nell'arte con
sicura fede l'avvento del Superuomo” (1889-
1895); LO ZENIT (IV Eleonora: “Quale
amore potrai tu trovare, degno e profondo,
che viva solo di gaudio?” (1895-1904) / V Il
Vate: (“Voglio essere e sono il maestro”
(1904-1910) / VI L'esilio: “Io sono la putta-
na d'Italia che si odia per amore” (1910-
1914) / VII Guerra: “Io non sono un lettera-
to dello stampo antico in papalina e pantofo-
le” (1914-1918) / VIII Fiume: la “Città di
Vita” (1918-1921); IL DECLINO (IX Il
principe di Montenevoso: “Io son migliore
come decoratore e tappezziere che come
poeta e romanziere” (1921-1933) / X “L'o-
diosa vecchiezza” (1933-1938). Ora, con
questa preziosa donazione di Martino Zanet-
ti, un ingentissimo fondo di lettere, per la
precisione 232, a Giselda Zucconi (Elda o
Lalla), figlia del suo docente di lingue al
convitto Cicognini di Prato, dei primi anni
'80 ed altre 228 alla nobile Scapinelli Mo-
rasso, dal 1936 al 1938, e legate agli ultimi
mesi di vita del d'Annunzio, questo grande
impegno dello studioso Guerri si aprirà a
nuove e preziose sfaccettature prismatiche
che non andranno di certo a modificare il
volto del Vate nel suo insieme, ma consoli-
deranno ancor più e meglio quanto già è
emerso nel suo libro, in nuovi arabeschi e fi-
ligrane tutte tese, intessute, tracciate intorno
alle parole. Infatti per il primo periodo
Guerri sostiene: “... Poco gli importa che
nella lontana e quasi assopita Firenze del se-
condo Ottocento Elda langua per lui aspet-
tandolo invano giorno dopo giorno. Per ri-
trarsi Gabriele ricorre a un armamentario di
alibi eroici: il mondo del giornalismo roma-
no 'pieno di vigliaccherie', che lo costringe a
un lavoro matto e a lotte inenarrabili, le agi-
tazioni dell'invivibile metropoli, che gli fa
sperimentare 'tormenti nuovi'. I suoi tormen-
ti in realtà sono questi: il Carnevale romano,
trascorso a gozzovigliare insieme agli amici
abruzzesi giunti apposta nella capitale; fre-
quenti 'febbri torbide della sensualità'... da
cui non riesce a liberarsi; serate a teatro,
come quella al Valle, per assistere a una re-
cita di Sarah Bernardt, forse già sognando
che un giorno la grande attrice avrebbe reci-
tato le sue opere... Con le arti dell'istrione,
gli riesce il piccolo capolavoro del passag-
gio da carnefice a vittima. Gabriele si man-
terrà sempre fedele alla regola per cui in
amore, come in ogni altra schermaglia, l'at-
tacco è più redditizio della difesa. Nel frat-
tempo può mostrare a Elda la serietà e la
sincerità del suo sentimento, adducendo co-
me prova la dedica 'Ad E. Z.' che compare
nelle copie del Canto novo, appena ricevute
dal Sommaruga... Elda, la 'vergine purissi-
ma' (ma ormai non più), era una creatura del
tutto inadatta alla vicinanza di un giovane
con evidenti manie di grandezza... (G. B.
Guerri, D'Annunzio - L'amante guerriero,
op. cit. pp. 40-41).
Per il secondo ed ultimo periodo di vita
del Poeta, tra le insidiose e talora cupe spire
della dipendenza, del decadimento fisico,
della tensione di un Eros non più ubbidiente
alle sue fantasie, sfaldate anch'esse da una
routine che si propone e ripropone in spec-
chi deformanti, lo studioso G. B. Guerri, che
affronterà nell'immediato futuro anche que-
st'altro consistente carteggio del Fondo Do-
nazione Zanetti, scrive nell'ultima stazione
del suo libro: “ 'Quando sto male', aveva
scritto d'Annunzio all'architetto Maroni, il
10 novembre del 1926, 'divento più selvati-
co che mai. Non mi piace di mostrarmi.
Abomino l'esposizione della consunta Reli-
quia'. Le malattie lo
rendevano a volte
timido, lo costringe-
vano a ritrarsi da
nuovi corteggiamen-
ti, specie delle donne
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.22
più belle... Il repertorio dei suoi malanni era
vasto quanto quello dei suoi trionfi... Accen-
tuavano la sua mestizia le notizie, quasi quo-
tidiane, della morte di tanti compagni, ami-
ci, legionari o amanti che lo avevano ac-
compagnato nello spettacolo euforico della
sua vita. Passava giorni interi recluso nella
Prioria, l'edificio originario del Vittoriale,
senza ammettere alla sua presenza nessuno
della corte che lo circondava...” (G. B.
Guerri, op. cit. pp.297-298). In questi mo-
menti e nei periodi successivi di vita, dal
1936 al 1938, andranno inseriti quei conte-
nuti vibranti delle tantissime, ultime lettere
del Vate alla contessina Hevelina Scapinelli
Morasso, da lui soprannominata Manha,
Maja, Titti, Sthenele, Tormentilla, che gli of-
frirà senza riserve e senza ritegno la sua fre-
sca bellezza e verso la quale egli proverà
tensioni forti ancora e ancora, d'un Eros che
si avvia consapevole verso il tramonto.
Ilia Pedrina
EPPOI
Non innamorarti
amore mio
un' altra volta
perdutamente
di materialità.
Se guardi bene
poi diviene
altra forza
solamente
eppoi niente.
Ed è grande scoprire
che finanche il soffrire
è stato solo un gioco
e guardare
attraverso questo gioco
e vederlo sognare
e vedere
in tutto questo gioco
la Causa d' ogni Essere
e comprendere
le verità di questo gioco
o gradienti di bugie.
Ed è grande risolvere
l' automatico del gioco
e l'errare dell' identificare
e liberare
dall' inconsapevole gioco
ogni persona o Essere Spirituale
e sapere
che sempre in questo gioco
ci sono invitte Persone d' Infinito
eppoi riconoscere
che per tutto questo gioco
è ritornata La Risposta.
Michele Di Candia
SEMI DI CARDO
Semi di cardo svolazza il vento
su queste pietre
stanche e assolate,
posate dagli uomini
in remoti tempi,
delle loro vestigia la memoria.
Il panorama osservo
seduto su esse,
il rivivere immagino di questa città
che portò la bandiera
della gente Rasenna.
Tra i meandri dell’ignoranza
la scoprì la cultura,
attraverso l’amore
della conoscenza.
Risorse così
dopo lungo letargo,
sotto la terra graffiata dal vomere.
Voglio che sia lasciato qui…
a godermi così tanta bellezza,
in questo sogno
macchiato di lacrime.
Colombo Conti Albano Laziale
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.23
DUE POEMETTI DI
NAZARIO PARDINI di Maurizio Soldini
Il volo di Icaro
Attratto dai richiami del meriggio
volò alto,
alto volò toccando cime immense,
azzardi che gli umani
cercano con l’anima e la mente;
ma ci si può bruciare
se il volo è troppo arduo,
si annullano in abissi senza fine
le nostre identità;
sperderci oltre la siepe,
o in cieli fra le stelle
è un naufragio per la nostra essenza.
E tu Icaro,
privo di remeggi, a braccia nude,
senza appigli,
brancolasti in vertigini d’azzurro
quando l’astro di vita e di morte
ti rammollì la cera.
Cadevi impaurito,
risucchiato:
“padre, tu che mi hai dato il volo,
aiuta questo figlio, dagli l’ali,
che il cielo non mi regge
ed io sprofondo incauto negli abissi.
Padre, io sono qui,
corrimi incontro, arresta il mio naufragio,
tu puoi, con il tuo amore
e il tuo superbo ingegno”.
“Icaro, Icaro dove sei?
dove giace mio figlio eterni dèi?
Ditemi alfine! Ch’io sappia almeno
ove cercare; carne della mia,
figlio imprudente, dove il volo tuo
lontano dai miei occhi. Cosa fare?
che cosa potrà fare questo padre?”
Ma d’Icaro la bocca
fu chiusa dalle onde di quei pelaghi.
E quando il genitore
scorse le vane piume
sparse sull’acque a sfiorare gli scogli,
non poté che ergere un sepolcro
in terra d’Icaria.
Maledì la sua arte ed il destino,
gli azzardi degli umani, le imprese folli,
la violenza del cielo, il regno del sole,
maledì quella natura umana,
il suo continuo ardire e discoprire,
il suo coraggio eterno di sfidare
il mare nero, lo scoglio e le sirene,
quella pazzia di un fuoco che ci fa
scintilla degli dèi, impronta del divino,
bocci di libertà.
A colloquio con il padre. Il sogno
Baluginò il suo volto. Che lucore!
Era simile il cielo a quei mattini
in cui andavamo ad erpicare
il profumo di terra. Era mio padre.
Mi prese per la mano trepidante
e mi portò
a mirare i suoi spazi. Io non sapevo,
nella nuova coscienza, ch’era morto.
Mi apparve certamente perché stessi
sereno. Stava insieme - in un salone
immenso e somigliante vagamente
a quelli riportati negli affreschi
dei rinascenti artisti pontifici -
con persone serafiche. Una peluria
gli fluitava cadente ed abbondante
sugli omeri. Brillavano i suoi occhi
di un’altra dimensione. Stranamente
il soffitto sforava aperto un cielo
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.24
di luce biancicante: “Vorrei tanto
rivedere con gli occhi di un terreno
i nostri monti simili a puledri
rincorrersi tra i lecci ed i castagni
rutilanti ai tramonti. Vorrei tanto
trascorrere con te un tempo, pur breve,
per le cose del giorno e anche di più
vegliare una nottata tra i sentori
d’erbale umore estivo. Per esempio
nel campo dei covoni.” “Che ti prende?
Perché non puoi? Domattina farò
ch’io possa liberarmi dagli impegni
e andremo insieme,
tutto un giorno sul Serchio e poi sul piano
dei fulvi girasoli. Anch’io lo sento
questo bisogno in anima di vivere
di nuovo sprazzi e guazzi giovanili”.
“Guarda, figliolo, ch’io ti sono in sogno.
Quello che vivi è fumo ed io son qui
vicino solamente con lo spirito,
non col corpo. Son morto. Ti ricordi
quella brutta giornata di febbraio?
Io spiravo e tenevo la tua mano
nella mia tremolante. Dentro il cavo
ho sempre il tuo calore.” “Come faccio
a sapere che è tale?” “Puoi provare!”
“L’unico mezzo è quello di destarmi
per saperlo. Perché dovrei distruggere
l’occasione di un sogno veritiero.
Di un sogno che è realtà più di un reale
che non arriva a tanto. Che momento!
O sogno o realtà che importa, padre,
io ti rivedo, bello, fra quei marmi
così lucidi, vasti senza dubbio
ben di più degli scrimoli a cui noi
eravamo abituati. Con gli amici
a dissertare sui concetti astrusi
dei misteri del cielo e della terra.
Così importante mai ti vidi padre.
Che piacere.” “Figliolo tu hai ragione.
E’ rara l’occasione che in un sogno
si sappia di sognare e che per questo
si viva ben più a fondo un segmento
coscienti di un prosieguo del reale.
Sogniamo! E tutto sarà vero: tu
mi parli ed io ti corrispondo. Manca
una magia estrema. È in mio potere.
Ricostruirò quel tempo del passato,
e forse il più felice,
di quando dodicenne tu passavi
(tornando di città schivo e scorbutico)
all’ora di mangiare dalla vigna.”
“Rivedo tutto! Che magia! Sono
laggiù sotto il mio pioppo a rovistare
nella borsa del pranzo. Ecco ti chiamo.
Tu accorri trepidante poi mi abbracci.
Tre cose sulla scuola. E la tovaglia
sui crini di gramigna. Che bel pane!
Tu stacchi i pomodori e li zuppiamo
in picchiata nel sale.” “Vedi bene
come si mischia a volte col reale
l’immaginario.” “Si! Però per me
questo momento dice che tu esisti.
In quanto alla tua morte non ricordo;
perché dovrei svegliarmi?
Continuiamo a vivere così.
Nella magia di un sogno. Per domani,
quando torno da scuola, nella borsa
voglio trovare - diglielo a mia madre -
il pane fritto. Sai quanto mi piace!”
(Da Poemetti onirici, in Canti dell’assenza.
Milano. 2015).
Canto e intonazione di senso della vita, nel-
le more del mistero dell’esistenza, prendono
il lettore anima e corpo e lo accompagnano
sempre anima e corpo al cospetto dell’ emo-
zione attraverso mito e realtà. I sentimenti del
poeta si embricano con i sentimenti del lettore
e un fiume di sensazioni scorre nella melodia
che trascina nei vissuti dell’esistenza, che so-
no si del poeta, ma che pur tuttavia sono uni-
versali, e il lettore e commosso. Mosso in-
sieme alla trascendenza del vero del buono e
del bello dall’incipit che abita nella parola. Il
rapporto padre figlio lo ritroviamo nei primi
due componimenti. Un rapporto che è nella
vita e va oltre la vita nella permanenza dell’
eterno. E si riscalda nelle mani di una comu-
nione filiale e paterna che nonostante il fluidi-
ficarsi delle ali di cera che parla in metafora
della morte si rischiara nella luce immortale
dell’anima. Anima dell’uomo e anima della
poesia in un gioco continuo di relais metafo-
rici che ondeggiano dal significante al signi-
ficato in una circolarità ermeneutica che aspi-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.25
ra alle vette del sempiterno. Poesia appassio-
nata quella di Pardini, che spicca il volo verso
le mete sempre più alte sempre più mature di
una poesia che non può tradire il presente il
passato e il futuro. Nei passaggi della parola
di queste poesie vi è forma e sostanza. Vi è
tutto e ben condensato. Vi è anche la retorica,
ma non nell’accezione negativa a cui ci ha
abituato la modernità. Magari anche oggi,
oggi più che mai, fosse presente un pizzico di
retorica nella poesia! La retorica è il sale della
poesia, altro che. Nella poesia di Pardini, vi è
l’epica con la sua narrazione pacata e subli-
me. Vi è l’idillio. Vi è l’elegia. Vi troviamo l’
epicedio. Ma soprattutto c’è tanta lirica. Il
canto è elevato al di sopra di una ipostatizza-
zione di vita di vissuti di arte e anche, mi sia
concesso, di letteratura. Perché sì, contraria-
mente a quanto si afferma oggi, il passato
poetico, la tradizione, non può essere dimen-
ticata e in qualche modo il classico deve re-
stare nella contemporaneità. Pardini dimostra
quando scrive di conoscere l’arte. I richiami a
Pascoli, Carducci, Montale e soprattutto all’
amato D’Annunzio sono evidenti. Ma non
perché si possa parlare di un epigonismo. As-
solutamente. Pardini attualizza il canone clas-
sico e lo rivitalizza attualizzandolo magi-
stralmente nella sua poetica, che sembrerebbe
andare controcorrente nella misura in cui ol-
tre al recupero della tradizione sostanziale,
punta al recupero di una tradizione formale
alla ricerca del canto.
Oggi tanta poesia è volutamente impoetica,
alla ricerca di forme anti-liriche e giocate in
una dimensione materialista e sempre più na-
turalizzata. Non per criticare questo approc-
cio, comunque lecito e praticato talora anche
da chi scrive. Anche perché l’esercizio del
naturalismo in poesia e importante, nella mi-
sura in cui riporta in auge il corpo. Ma il cor-
po non può essere visto, fenomeno logica-
mente parlando, solo come Korper, ma va as-
sunto come Leib, nel senso che le persone
non hanno un corpo, inteso come oggetto, ma
sono un corpo. Noi non abbiamo, pertanto, un
corpo, siamo corpo. Necessario dunque as-
surgere dal corpo, da cui pur bisogna partire,
alla corporeità. E la poesia, come ho detto più
volte in altre sedi, volendo mirare ad una ri-
cerca in chiave esistenziale della verità, della
bontà e vieppiù della bellezza non può non
mirare alla ricerca delle fonti della persona
intesa come unitotalità somato-psichica-
spirituale, li dove lo spirito che riporta all’ es-
sere in chiave ontologica e metafisica ha una
somma importanza.
Pardini, ritengo, non teme questa scommes-
sa ed è per questo che la sua poesia non ha
paura di percorrere le strade dell’essere nel suo
senso più pieno e pertanto del sentimento, co-
me quando si distende nel canto nostalgico del-
la terza poesia rivolgendosi alla propria donna
nell’orizzonte di Amore. Di quell’ amore, che
insieme a cuore, sembrerebbero dover essere
banditi come sacrilegio dalla poesia di oggi.
Non so se sbaglio, ma la poesia ha bisogno di
ritornare al canto, ai sentimenti, alla vita intesa
come Erlebnis. Abbiamo bisogno oggi più che
mai che nella poesia dopo la desoggettivizza-
zione dalla modernità in poi, a partire da Bau-
delaire, si recuperi non solo l’ individualità del-
la lirica e del bel canto, ma vi si faccia sentire
in modo forte quello che è e significa persona.
Nazario Pardini, mi sia concesso, lo situerei
proprio in questa dimensione, che recupero
dalla dimensione personalista intesa nei termi-
ni filosofici dell’ esistenzialismo personalista a
la Marcel a la Mounier a la Ricoeur, che au-
spico possa un domani essere definita “poesia
personalista”. E di questa corrente, se cosi si
può chiamare, nella quale in qualche modo
mi piacerebbe essere pure collocato, Pardini è
un indiscutibile maestro.
Maurizio Soldini
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
8/11/2015
Sinistra Italiana, ennesima formazione poli-
tica che va a incrementare la “cosa rossa” in
opposizione alla “cosa verde-nera”. Alle-
luia! Alleluia! È tutto una panzana, se, non
credendoci neppure i fondatori alla Fassina,
hanno scelto il color di melanzana!
Domenico Defelice
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.26
UN CANTO CHE HA
IL SAPORE DEI SOGNI di Marina Caracciolo
NTONIO Bonchino, che con intelli-
gente passione introduce questo can-
zoniere d’amore firmato da Gianni-
cola Ceccarossi, appena uscito presso l’ edito-
re Ibiscos-Ulivieri di Empoli, rileva acuta-
mente l’assoluta musicalità di questa poesia:
più ancora che nelle precedenti raccolte, la
sostanza poetica pare sorgere qui dallo stesso
significante, dal suono e dall’eco delicata che
ne riverbera, come pure dalle immagini e dal-
le sensazioni che esse rifrangono. Viene in
mente appunto Claude Debussy, come scrive
Bonchino. Una delle più significative conqui-
ste della musica e della poesia del Novecento
– non solo francesi – è stata senza dubbio l’
emancipazione del suono, cioè il valore di per
sé acquisito dagli elementi fonici e timbrici,
che diventano autonomi, cioè indipendenti da
idee e concetti non più intesi come un impre-
scindibile riferimento. E non di meno siamo
portati a pensare ad un’ analogia con la musi-
ca di Debussy per il senso di fluttuante so-
spensione, di lievità estatica insito in questi
versi, che nel grande musicista francese è da-
to non soltanto dalla sua inconfondibile in-
venzione melodica ma anche, sul piano ar-
monico, dall’uso della scala per toni interi.
Bonchino si chiede perché il poeta non si
sia occupato lui pure di musica (come suo
padre, il celebre Domenico Ceccarossi, che fu
musicista e valentissimo solista di corno). Io
penso ancor più che i suoi versi, e in partico-
lare proprio queste brevi, bellissime poesie
della silloge Fu il vento a portarti, siano
quanto mai adatte alla musica: potrebbero di-
venire splendidi Lieder per voce e strumenti
in mano a compositori contemporanei come
Pierre Boulez o Aribert Reimann o Luciano
Berio, se quest’ultimo fosse ancora vivente.
L’autore non ricostruisce qui una storia d’
amore, non ripercorre un itinerario di vicende
ben definito che ne tracci passo a passo il
cammino fino al tempo presente. Egli disegna
piuttosto un mosaico di frammenti di figure e
di forme, di cui lui solo conosce tutte le tesse-
re; oppure una specie di mappa stellare, dove
i punti luminosi, con dimensioni e distanze
diverse, costituiscono un sentimentale firma-
mento senza confini, contemplato nel mo-
mento medesimo in cui lo presenta ai nostri
occhi in tutto il suo incanto.
La donna che è al centro di questo quadro –
e a cui il poeta di continuo si rivolge – pare
uscita ora da una canzone del Trecento, ora
da una graziosa pittura pompeiana, ora da un
voluttuoso ritratto di Gustav Klimt. C’è in
questi versi una rarefazione capillare, direi
una «distillazione espressiva» riconoscibile
ad ogni pagina. E vi si trova pure una sequela
di visioni che, nelle loro frequenti confluenze
sinestetiche, approdano ad una multistabilità
della percezione in grado, tuttavia, di non sot-
trarre nulla alla nitidezza del dettato.
Il poeta sembra attraversare pensoso un fia-
besco giardino colmo di alberi, di fiori e di
uccelli, senza mai perdere di vista questa fi-
gura femminile cardine dei suoi pensieri, la
quale, in perfetta armonia con l’ambiente che
l’avvolge – ora concreto ora metafisico ora
surreale – forma con esso una sorta di «pae-
saggio con figura».
Si scoprono in questo canzoniere poesie di
una bellezza esemplare, di una sensibilità
coinvolgente e fascinosa, dove la brevità stes-
sa dei versi non permette mai al raggio dell’
ispirazione di perdere anche di poco il suo
splendore:
Domani toccherò i tuoi capelli
annodati in lembi di caprifoglio
Con flebile sussurro
le tue labbra mi chiameranno
dal giardino dove fioriscono i mandorli
La figura (come accadeva con le donne an-
gelicate del Dolce stil novo) non è descritta, è
senza volto: eppure in questa assenza di rap-
presentazione il lettore la «vede» subito bel-
lissima: i lembi di caprifoglio, come fossero
le estremità di un nastro di seta, paiono av-
volgere in dolci nodi una lunga e morbida
A
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.27
chioma; il flebile sussurro evoca la malia di
un canto di sirena, così come di certo intenso
e dolce è il profumo dei fiori di mandorlo che
si sottintende nell’ultimo verso. Quel voler
toccare i capelli della donna amata, da parte
del poeta, raffigura il tentativo di fermare e di
rendere reale il sogno, di accertarne la verità,
di non lasciar dileguare il suo sortilegio.
Altrove il paesaggio (che si rivela non tanto
uno sfondo quanto piuttosto un incontrastato
protagonista di questo canzoniere) si delinea
in nitide pennellate e poi subitamente si tra-
sforma nel giro di pochi versi:
Dove ritagli di cortecce
disegnano frantumi d’acqua
questo scorcio di nuvole
che si colora di tortore e vigne
ha sete di brezze
Nella casa del silenzio
a sfogliare il tuo nome
è la rugiada
Il metro e il ritmo sempre differenti da un
verso all’altro creano un palpito inquieto,
come un’ansia di soffi odorosi e puri (sete di
brezze) che siano balsamo per l’anima. La
prima parte dipinge un luogo reale, luminoso
di colori e di baluginanti riflessi, che però
sparisce all’improvviso nei tre versi conclusi-
vi: qui appare una casa abitata da un misterio-
so silenzio, forse abbandonata. In essa gocce
di rugiada (che riprendono in miniatura i
frantumi d’acqua del secondo verso) paiono
cadere dall’esterno su pagine aperte: come il
limpido cristallo di una lente si posano sul
nome – mai abbandonato o dimenticato – del-
la donna amata.
Un sentimento sempre vivo, e proprio per
questo ansioso di eternità, si annida ovunque
nella trama delicata, talora evanescente di
queste poesie, e sembra respirare persino ne-
gli spazi bianchi che dividono i gruppi di ver-
si, così come la musica si esprime anche nelle
pause di silenzio che si alternano alle note o
che separano interi movimenti di una compo-
sizione. Ai piedi di questo costante amore –
tutto intriso della meravigliosa bellezza della
Natura – il poeta depone i frammenti di un
canto che ha il colore dei sogni ma, insieme,
il potere di sconfiggere ogni ingiuria del tem-
po e del disinganno; come deve essere, inve-
ro, un gioiello insostituibile e prezioso:
Forse andrai nel vento
a spargere cenere e granaglie
Ascolta
Non lasciare che si chiudano le palpebre
Lo sguardo che germoglia fili d’erba
è amore che non ha fine
Marina Caracciolo Giannicola Ceccarossi: FU IL VENTO A POR-
TARTI. Poesie d’amore. (Saggio introduttivo di
Antonio Bonchino. Empoli, Ibiscos-Ulivieri Edito-re, novembre 2015; pp. 60. Euro 12,00. In coperti-
na: La promenade, di Marc Chagall).
DOVE NASCE IL CIELO …
E scorrerà il mio sangue
alle finestre dell’antico dono
permeabile all’ascolto
stretta in una morsa di pianto
in seno all’anima
vincerò la mia battaglia
senza nessuna guerra.
Nell’incerto vivere
pacata, andrò verso l’oltre
affacciata sull’universo dei miei pensieri
in un arcobaleno di sogni
di pioggia e sole
ubriacherò il silenzio
di umili parole proprio lì …
dove nasce il cielo … tra le tue braccia …
Lorella Borgiani Ardea (RM)
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.28
RACHELE ZAZA PADULA:
SANCTA TERESIA
BENEDICTA A CRUCE di Liliana Porro Andriuoli
A figura di Suor Teresa Benedetta
della Cruce, al secolo Edith Stein, ha
attratto un numero sempre più vasto di
intellettuali e di persone comuni da un lato
per la sua attività di studiosa di problemi filo-
sofici e teologici, dall’altro per la sua perso-
nalità di Santa e per il coraggio con cui ha af-
frontato il martirio. Da non molto si è occupa-
ta di lei anche la poetessa potentina Zaza Pa-
dula in un dramma puntuale ed efficace inti-
tolato Sancta Teresia Benedicta a Cruce, in
cui vengono messi in scena gli ultimi anni
della sua vita claustrale, ad iniziare dal 1938.
Sono gli anni in cui, dopo l’avvento al potere
di Hitler, affermatosi nel 1934 come il padro-
ne della Germania, si era venuta a creare per
Suor Teresa Benedetta della Cruce, di ori-
gine ebrea, una situazione pericolosa che l’
aveva indotta a lasciare la sua Terra di origine
(la Germania, appunto) per non esporre a ri-
schio la vita delle sue consorelle.
Mi sembra però opportuno al fine di inqua-
drare meglio la complessa personalità di
questa eccezionale figura di donna e di com-
prendere appieno il suo originale cammino
verso la santità, quale ci viene presentato con
profonda penetrazione psicologica nel dram-
ma della Padula, iniziare con una breve pre-
messa sulla sua vita anteriore alla sua entrata
il convento.
Proclamata santa e martire, nonché Pa-
trona d’Europa, unitamente a Santa Brigida
di Svezia e a Santa Caterina da Siena, Suor
Teresa Benedetta della Croce è una delle fi-
gure più limpide del martirologio romano.
Nacque a Breslavia, nell’attuale Polonia
(che però all’epoca era ancora città tedesca),
nel 1891 e morì ad Auschwitz nel 1942. Di
famiglia ebrea, venne allevata secondo i prin-
cipi della religione israelitica; ma, dopo una
profonda crisi religiosa in età adolescenziale,
se ne allontanò, assumendo posizioni agnosti-
che, a volte addirittura atee.
Iscrittasi nel 1911 all’Università di Bresla-
via, si trasferì nel ‘13 a Gottinga, attratta dal-
le teorie di Edmund Husserl, uno dei filosofi
più influenti della prima metà del ’900, colui
che fu il fondatore della scuola fenomeno-
logica. Edith lo seguirà anche quando Husserl
otterrà la cattedra definitiva a Friburgo, nella
Brisgovia, e con lui si laureerà nel 1916, di-
scutendo una tesi sul Problema dell’empatia
e diventando sua assistente. Un incarico que-
sto che la sottoporrà ad un estenuante lavoro
di riordino degli appunti del maestro, disordi-
natissimi e per la maggior parte stenografati,
ma che tuttavia lascerà due anni dopo (1918),
per potersi dedicare al suo lavoro personale.
Tornò così a Breslavia presso la madre, do-
ve si dedicò all’insegnamento in un liceo
femminile, pur continuando ancora la sua
collaborazione con i filosofi fenomenologici
di Friburgo e seguitando ad approfondire
le sue riflessioni personali, a cui non aveva
L
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.29
mai trovato il tempo di dedicarsi negli anni
precedenti e che le frutteranno alcune pub-
blicazioni sullo Jahrbuch degli anni succes-
sivi.
Nel frattempo però qualcosa in Edith era
andata mutando: nella sua assidua ricerca
razionale stava avvenendo una graduale e
profonda maturazione spirituale, che la
conduceva lentamente verso il traguardo della
fede. Di grande importanza si rilevarono in
tale cammino il rapporto con il filosofo Max
Scheler, già da lei conosciuto a Gottinga e da
poco convertito al cattolicesimo, e l’amicizia
con i coniugi Reinach, di religione dichiara-
tamente cristiana1. Non meno importanti fu-
rono poi, nell’agevolare tale percorso di con-
versione al cattolicesimo, il rigore intellet-
tuale acquisito, o meglio sviluppatosi in lei,
con l’esempio offertogli da Husserl e l’ espe-
rienza di crocerossina fatta al fronte, in conti-
nuo contatto con la sofferenza e la morte.
Fu così che la razionale Edith cominciò ad
avvertire nel suo animo un’inquietudine e un
disagio sempre crescenti. Determinante per
compiere il passo definitivo verso la fede catto-
lica si rivelò però la lettura dell’ autobiogra-
fia di Santa Teresa d’Avila, compiuta per pu-
ro caso, durante una sola notte, nel 1921, men-
tre era in vacanza; una lettura che fulminea-
mente le aprì una nuova prospettiva di vita.
Il battesimo avvenne nel Capodanno del
1922; mentre l’ingresso definitivo nel Con-
vento delle Carmelitane di Colonia, dove as-
sumerà il nome di Theresia Bendicta a Cru-
ce, avrà luogo nel 1933.
Negli anni che intercorrono tra la conver-
sione e l’entrata in convento fu ritenuto op-
portuno da parte cattolica che Edith conti-
nuasse la sua attività di studiosa di filosofia.
Affrontò pertanto lo studio dell’opera di San
Tommaso d’Aquino, dedicandosi contempo-
raneamente all’insegnamento della lingua e
1 Edith rimase molto colpita infatti dall’eroico comportamento della vedova Reinach, sua amica,
la quale fu capace di trarre dalla contemplazione
del Crocefisso la forza di superare il dolore per la perdita del marito, dando la prova di una forte
testimonianza di fede cristiana.
della letteratura tedesca a Spira, presso le
suore domenicane di cui era ospite. E’ di que-
sto periodo la sua traduzione in tedesco del-
le Quæstiones disputatæ de veritate, che è
un’opera di rielaborazione di estremo interes-
se, attuata in una versione piuttosto libera ed
improntata ai concetti della moderna filoso-
fia. La sua ricerca si proponeva infatti l’
obiettivo di un confronto tra la filosofia di
Husserl e la filosofia medioevale di San
Tommaso; confronto che sfocerà nel libro
Essere finito ed Essere eterno, una sintesi tra
filosofia e mistica, che Edith riuscirà a com-
pletare soltanto nel Carmelo di Colonia2.
Fu inoltre relatrice in molte giornate di stu-
dio sia in campo filosofico che pedagogico,
tanto in Germania che all’estero, lasciando
numerosi scritti di alta dottrina e di profonda
spiritualità. Nel 1932 arrivò a conquistare an-
che il posto di docente all’Istituto di Pedago-
gia scientifica di Münster3 (conquista oltre-
modo difficile per una donna e ancor più per
una donna cattolica), che però dovette abban-
donare l’anno successivo, a causa dell’ ina-
sprirsi delle leggi razziali del tempo.
Fu allora che le si aprirono le porte del
Carmelo di Colonia, esaudendo così l’antico
suo desiderio di una vita dedicata a Dio.
E proprio qui, nel Convento del Carmelo di
Colonia, si apre il dramma della Padula, nel
momento in cui Suor Teresa sta esponendo
alla Madre Superiora la sua intenzione di vo-
lersi allontanare, insieme alla sorella Rosa, da
quel convento, per non mettere in pericolo, in
quanto ebree, le altre suore, esponendole alle
rappresaglie naziste. Siamo infatti verso la fi-
2 Nel convento Carmelitano di Echt nei Paesi Bassi Suor Teresa scriverà la Scientia Crucis (La Scienza
della Croce: Studio su Giovanni della Croce),
rimasto purtroppo incompiuto. 3 L’ingresso in Convento le fu rinviato per motivi di
opportunità, quali la necessità di ambientarsi nella
vita della nuova fede, di non urtare ulteriormente la madre, già profondamente dispiaciuta della sua
conversione, ma soprattutto per l’importanza
attribuita al proseguimento dei suoi studi (dal sito: .http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=SteinE.h
tml).
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.30
ne del 1938: ed è ancora molto vivo il ricordo
della “famigerata «Notte dei cristalli»” (la
notte fra il 9 e il 10 Novembre) che portò alla
distruzione di tante sinagoghe, di tanti negozi
gestiti da ebrei e alla morte di centinaia di es-
seri umani colpevoli soltanto di essere israeli-
ti.
La Madre Superiora, dapprima esita a sod-
disfare la richiesta di Suor Teresa, ma succes-
sivamente manda a chiamare il dottor Stre-
rath, medico del Convento, affinché l’aiuti
nell’impresa. Strerath, pur consapevole della
difficoltà che avrebbe incontrato, accetta l’
incarico di far fuggire Edith (ma lei soltanto e
non insieme alla sorella Rosa) e farle rag-
giungere il Carmelo di Echt, in Olanda,
che è pronto ad accoglierla.
Di grande suggestione in questo contesto
sono le preghiere della Madre Superiora a
Dio perché l’aiuti a salvare una consorella la
cui vita “è preziosa perché prezioso è il suo
spirito” e la preghiera a Gesù di Suor Teresa
la quale, preoccupata per il suo futuro così in-
certo, Gli chiede, come Egli stesso aveva
chiesto al Padre Suo nell’Orto degli Ulivi, di
allontanare da lei il calice amaro della soffe-
renza.
Giunge frattanto il Natale e l’atmosfera si fa
meno tesa anche fra le suore. Il dottor Stre-
rath si reca finalmente da loro per gli accordi
definitivi; ma alcuni soldati tedeschi, richia-
mati dal suo guardarsi intorno con fare piutto-
sto circospetto, lo seguono e fanno irruzione
nel Convento. Fortunatamente la loro visita
non ha conseguenze spiacevoli, perché lo tro-
veranno accanto al capezzale di Suor Maria
Ausiliatrice, che è davvero moto malata.
Il progetto comunicato da Strerath prevede
che la fuga di Suor Teresa avvenga per mezzo
di un camioncino, guidato da un dissidente
tedesco, il quale non condivideva “le stragi e
la violenza” a cui erano “costretti a macchiar-
si i suoi compagni”. Raggiunta la frontiera,
avrebbero poi tentato di entrare in Olanda at-
traverso sentieri impervi, proprio durante la
notte di Capodanno, in cui probabilmente la
sorveglianza sarebbe stata meno accurata.
Commovente è l’addio di Suor Teresa da
Rosa e dalle altre consorelle e significative
sono le parole del Coro che commenta l’
azione: “Come la luce dell’alba si leva / … /
così nel chiuso del chiostro ombroso / l’ ani-
mo tuo fervente si aprì alla Parola”; il che
contribuisce a rendere l’atmosfera ancor più
suggestiva.
Il secondo atto ha inizio nel Carmelo di
Echt; protagoniste le due sorelle Stein, essen-
do ormai anche Rosa riuscita a raggiungere
Edith in Olanda. L’atmosfera è serena e le due
sorelle si scambiano parole affettuose. Rosa ri-
conosce l’autorevolezza e la saggezza di Edith,
mentre questa esalta la “silenziosa grandezza
delle anime semplici” come quella di Rosa. D’
altra parte la vita a Echt, almeno per qualche
tempo, scorrerà serena e le due sorelle potran-
no abbandonarsi ai ricordi, evocando la loro
giovinezza. Si scopre così come Edith sia an-
cora tormentata dal rimorso per aver fatto sof-
frire, con la sua conversione al cattolicesimo,
la madre, ebrea convinta e praticante.
E, in un veloce flash-back, compare sulla
scena anche la madre, la quale esprime tutto il
suo dolore per quella conversione che tanto l’
ha amareggiata. Le sue parole sono: “Prima la
filosofia non ti permetteva di aspirare al divi-
no, ora una inaspettata svolta della tua vita ti
porta lontano da me, da noi, in una dimensio-
ne in cui non posso né voglio raggiungerti”.
Edith fu infatti combattuta a lungo tra la gioia
di seguire Dio, al quale spesso si rivolgeva
con la preghiera, e “la fedeltà all’amore ma-
terno” del quale fortemente avvertiva il ri-
chiamo. Dio alla fine vinse, ma il suo animo
ne fu lacerato.
Tra le figure evocate nel libro c’è anche
quella di Hans Lipps, un giovane che un tem-
po, col suo fascino, aveva conquistato Edith;
“un incanto giovanile” che però svanì, non
appena ella venne a sapere che Lipps era già
sposato. E fu proprio questa delusione ad
aprirle “le porte del Cielo”4.
4 “Cominciai a sentire il fascino di uno sposo più
grande e potente che mi attirava con la forza del
suo sacrificio”, sono le parole con cui Edith ricorda il proprio passato, nelle rievocazioni con Rosa (p.
32).
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.31
Gli eventi esterni però incalzano e la pace e
la tranquillità anche a Echt hanno breve dura-
ta: il 1° settembre 1939 ha infatti inizio la Se-
conda Guerra Mondiale e la Germania nazista
occupa proditoriamente l’Olanda. Ancora una
volta Suor Teresa Benedetta della Croce e sua
sorella Rosa sono in pericolo. Suggestivo è
qui l’intervento del Coro, che ha immagini di
grande efficacia, come quella del capriolo che
corre inseguito da famelici cani, raffiguranti
la Gestapo: “I cacciatori a cavallo / vestiti di
panno e di cuoio / liberano i cani che, senza
guinzaglio, / ringhiando rincorrono la preda. /
Il povero capriolo, ora fugge / ora cerca ripa-
ro tra il fitto fogliame / ma i cani famelici lo
stanano, / lo spingono nella piana / dove alla
posta ci sono i padroni” (p. 33).
Gli avvenimenti si succedono rapidamente:
il 12 ottobre 1941 Suor Teresa apprende la
notizia, che profondamente l’addolora, della
morte di Hans Lipps sul fronte orientale; e,
nell’aprile dell’anno successivo, entrambe le
sorelle Stein, insieme a tanti altri ebrei, ven-
gono convocate a Maastricht. Sono interroga-
te da un capitano di polizia, che con modi
bruschi ed arroganti chiede loro la ragione per
cui non portano cucita sull’abito “l’iniziale
rossa che sta per Jude”, né la stella di Davide,
che sono i segni distintivi della loro apparte-
nenza alla razza ebraica e dei facili mezzi di
riconoscimento. Edith pronta risponde che
obbedirà a quella richiesta, ma soltanto in os-
sequio alla Volontà Divina e non per sotto-
missione ad “un potere che persegue la vio-
lenza e la discriminazione”; dopo di che esce,
non dando il tempo al capitano di reagire. Le
due sorelle si allontanano, ma sono molto
turbate, perché sanno di essere ormai alla
mercé dei loro nemici.
L’atto si chiude con le parole del Coro che
preannuncia la tragicità dell’imminente futu-
ro: “Viene ululando un vento di tempesta: / le
cime degli alberi sconvolte / ne assecondano
la foga, / le nubi s’addensano sui monti”; e
così seguita: “Verranno i signori del male / a
oscurare la pace e l’innocenza, / a rapire i so-
gni dell’animo / e devastare i cuori e le co-
scienze” (p. 37).
All’inizio del terzo atto la Priora del Carme-
lo di Echt avverte Suor Teresa dell’ imminen-
te pericolo e l’invita a salvarsi fuggendo con
la sorella nel Carmelo di Pãquier, nei pressi di
Friburgo, in Svizzera.
Teresa dapprima rifiuta quella fuga, ma poi,
per la salvezza di Rosa, acconsente. Vengono
avviate così le trattative, le quali sembrano
procedere per il meglio, quando il 2 agosto
1942 le SS bussano alla porta del Convento
per arrestare entrambe le sorelle Stein: Teresa
e Rosa hanno soltanto cinque minuti per
prendere le cose da portare con sé e, mentre
stanno ancora salutando le consorelle, vengo-
no sospinte dai soldati verso l’uscita.
Si distingue in questa scena per la sua bru-
talità un soldato che vorrebbe percuoterle, ma
viene fermato da un ufficiale della Gestapo. È
Franz Heller, un compagno di studi di Edith a
Gottinga, il quale la riconosce ed insieme rie-
vocano un passato ormai lontano, in cui ebbe-
ro anche parecchie divergenze ideologiche.
Franz però ha sempre ammirato, e tuttora
ammira, il rigore e l’onestà intellettuale della
sua vecchia amica e vorrebbe aiutarla: “Vo-
glio salvarla, non perché è ebrea, non perché
è diventata una fervente cattolica, ma per la
sua superiorità intellettuale e culturale che ho
sempre invidiata” (p. 43). Ma Suor Teresa si
oppone: comincia infatti ad avvertire dentro
di sé che è giunta ormai la sua ora e vuole
“morire con il suo popolo e per il suo popo-
lo”; e pertanto si affida totalmente alla volon-
tà di Dio. Toccanti sono le parole con cui
Edith rifiuta l’aiuto dal vecchio compagno di
studi: “Ho tanto freddo al cuore. Lasciami al
mio destino. Perdonami. Anch’io, talvolta,
con la mia intransigenza ho fatto sì che il no-
stro rapporto amicale si deteriorasse. Addio,
ti auguro di non essere solo quando verrà la
tua ora” (p. 44). E così, insieme agli altri, le
due sorelle si avviano verso la deportazione e
il martirio.
Duro è il viaggio sul treno dei deportati,
molti dei quali, presi dallo sconforto, si ribel-
lano al loro destino. Così è di Rosa la cui fede
per un istante vacilla, ma che prontamente
viene invitata dalla sorella a guardare più in
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.32
alto e ad accettare la prova alla quale Dio la
sottopone. E così è pure di Davide, un altro
deportato che, avendo udito il loro discorso,
esprime tutto il suo dolore e la sua acrimonia
per la tragica fine della sua famiglia e il crollo
delle sue speranze, Edith ha parole di pace e
di conforto anche per lui, giungendo perfino a
raccontargli le vicende che l’hanno portata
dall’ateismo alla fede. Un dialogo che dimo-
stra la capacità dell’autrice di cogliere i per-
sonaggi nei loro aspetti più peculiari, rivelan-
done l’intima essenza.
Intanto il viaggio continua, con l’intervento
del Coro, che commenta l’azione, sinché il
convoglio giunge a Westerbork, in Olanda,
per raggiungere Auschwitz il 9 agosto 1942.
Durante tale viaggio Suor Teresa si distingue
per la sua opera di assistenza morale, specie
nei confronti dei bambini, e per la sua gene-
rosità e il suo altruismo, sino al momento in
cui (ed anche qui il Coro ha alte parole) il
convoglio giunge alla meta, dove un altopar-
lante ordina a tutti di spogliarsi, per entrare
nel capannone delle docce, nel quale una
pioggia mortale porrà fine alle loro sofferen-
ze. Mentre si avviano al martirio, un cono di
intensa luce scende su di loro e li avvolge di
un’atmosfera sovrumana.
Termina così un dramma dal quale emerge
netta la figura di Santa Teresa Benedetta
della Croce, un’intellettuale e una santa di
alto rilievo, che Rachele Zaza Padula ha
rappresentato in maniera esemplare con
questo suo lavoro, condotto con rigore ed in
modo quanto mai efficace. D’altra parte la
Padula è ormai già nota al suo pubblico per
aver scritto altri testi teatrali di notevole im-
pegno, come i drammi: In casa dell’ Illu-
strissimo Don Carlo Gesualdo, dialogo tra
Maria D’Avalos e Madre Sveva (1997);
Gherardo della Porta (2004); Francesco di
Messer Pietro di Bernardone (2008) e più
recentemente Oscar Arnulfo Romero (2014,
con cui lo stesso anno ha vinto il Premio
“Città di Potenza”.
Liliana Porro Andriuoli RACHELE ZAZA PADULA: SANCTA TERESIA
BENEDICTA A CRUCE (Osanna Edizioni, Veno-
sa, 2011, € 10,00)
I
Oggi c’è poco vento
Ma quando salirà a dipanare
le piume delle rondini
scioglierà cera dai miei occhi
Ti rivedrò allora
con un cesto di viole fra le dita
Giannicola Ceccarossi Da Fu il vento a portarti - Phalaenopsis Ibiskos
Ulivieri, 2015.
II
Dove ritagli di cortecce
disegnano frantumi d’acqua
questo scorcio di nuvole
che si colora di tortore e vigne
ha sete di brezze
Nella casa del silenzio
a sfogliare il tuo nome
è la rugiada
Giannicola Ceccarossi Da Fu il vento a portarti - Phalaenopsis Ibiskos Ulivieri, 2015.
OPPRENSIONI ED AIUTI
Stellante è la pazienza mia
come e più d'una stella
che nonostante tutto
ad illuminar continua
anche s'è ben differenziare
la pazienza
dal timore o titubanza
e l'aiuto
dall' opportunismo
o condiscendenza
perché...
Servire è un dovere
Amare è un potere
ed è mio il Volere.
Michele Di Candia Inghilterra
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.33
LA PERSONALITÀ POETICA DI
ELENA MILESI di Paola Insola
LENA ha lasciato questo mondo il 9
ottobre 2O15 dopo una lunga malattia,
sofferta in tre fasi di "sfide" documen-
tate nei suoi ultimi libri: ALLA RIVA (2005),
SISMO/GRAFIA, CON PAUSE (2O12), IL
QUADERNO DELLA SFIDA (2O14). Ma-
lattia vissuta con la ferrea volontà di resistere
per portare a termine l'inventario e la colloca-
zione delle opere del marito, l'artista GIU-
SEPPE MILESI.
IL QUADERNO DELLA SFIDA è dunque
l'ultimo libro che ha concesso agli Amici. Mi
piace parlarne ora, con la fotografia di Elena
intenta a leggere quel quaderno colorato che,
a suo tempo, l'ha chiamata ad affrontare la
pagina in modo particolare e speciale, ade-
guando temi e scrittura alla diversa colora-
zione del quaderno, alternando le sfumature
degli stati d'animo e delle emozioni.
Tra le cose ricevute da Elena dagli anni '80
(lettere, cartoline, biglietti/manifesto con le
opere del marito) l'attenzione si ferma su una
cartolina, inviatami da Roma, con una missi-
va affettuosa e l'immagine della Pietà di Mi-
chelangelo. Sapendo la sua storia ho accolto
il messaggio. Anche Elena ha tenuto tra le
braccia un figlio (bambino ) privo di vita.
PER NERI (stralcio da una pagina "viola")
Lioli', intatto spirito beato
costantemente accanto
d'aria t'abbraccio, forte stringendoti
al mio cuore stanco di sempresempre
inseguirti vagabondo per i cieli.
La penso nella casa di Bergamo, vicino al
suo amato Pitt (così chiamava il marito pitto-
re) con le pareti tappezzate di quadri-colore.
In quella stanza ha voluto chiudere gli occhi:
(da una pagina "arancione")
A ravvivare la casa, tutti
i colori della tua tavolozza
: predominanti i rossi degli arancioni
(......)
Color d'arancia i tuoi cartoni
supporto di ragazze belle
Color d'arancia le sciabolate
di luce sulle tele.
Nelle pagine "verde scuro"
ritrovo il suo fiume che in altra
poesia (26 agosto) ha ripercor-
so sulla chiatta, provando la
"familiarità d'infanzia":
La mia Adda! Tra mille acque
che vanno, la riconosco.
Non mi confondo
: alle chiuse schiuma bianca
un andare verde-terso, placido
maestoso, fra disabitate rive
verde bosco.
Nelle pagine "verde chiaro"
colloca i prati, le gemme della
primavera che sanno "ricreare
un'ombra/della felicità perdu-
ta", la verde campagna lom-
barda e l'autunno che ritorna:
"Squilla nel verde l'oro, emer-
ge/come luce, inno alla gioia".
E
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.34
Poi, nelle "pagine blu" pronuncia notte, lu-
na e ricordi di giorni lievi nella sua "casetta
sulle ruote nell'eden di Pallante":
E a notte la luna che argentava
il mare, quando camminavano
- stupore di liquido mercurio -
nell'argento dell'acqua.
Nella mia scelta in questa commemorazio-
ne, solo flash di una vita sofferta e ritrovata,
in parte, nell'amore, nella parola, tra i colori
del marito, nell'abbraccio totale con la natura.
La personalità poetica di Elena Milesi si av-
vale di un caleidoscopio vastissimo di sfuma-
ture e di forme, distinti dalla sua individuali-
tà, dalla sicurezza apportata da un ampio ba-
gaglio culturale e da un forte anticonformi-
smo critico.
Una forte indignazione è dettata nel suo
precedente libro: SISMO/GRAFIA.CON
PAUSE, testimonianza di un mondo decaden-
te, dove il sismografo del poeta registra scon-
volgimenti e lacerazioni morali, sismi di di-
sperata condizione umana, registrati dall'utili-
tarismo che sfibra la terra, macera le menti,
mitiga il senso di reciprocità. Il poeta può
vincere con "la parola non distratta" realiz-
zando la comunicazione.
E Poesia possa turbare il mondo
scuotendolo decisa.
A noi cammini accanto
tenendoci per mano.
Ciao Elena, noi Amici ti pensiamo felice. I
tuoi versi li portiamo con noi "quando si an-
nulla il mondo / canta l'universo".
Paola Insola
A DANTE
Sono trascorsi ormai settecent’anni
dal giorno doloroso dell’esilio,
quando alta levasti la tua fronte
per abbracciare con un solo sguardo
cielo e terra, l’abisso e lo splendore;
e fu dono sublime la parola
che ti recò la pace ed il perdono.
A noi, persi nei transiti di un tempo
feroce, è un chiaro bene ed è conforto
ripetere i tuoi versi e ripercorrere
il tuo viaggio, dal baratro alle stelle.
La tua luce ci giuda e la speranza
che infonde la tua fede nell’Eterno.
Perduti in questo nostro triste inferno,
dal fondo della tenebra che avanza,
in te troviamo una nuova certezza
ed un porto sicuro ove approdare,
dopo le insidie di un infido mare
e le ardue fatiche di un cammino
oltre il quale ci additi la Salvezza.
Noi lo guardiamo: è sempre più vicino
quel tuo porto; è di fuoco la speranza.
La tua Fede è un acciaio che non si spezza.
Elio Andriuoli Napoli
IL SILENZIO DEI GABBIANI
Sviolina l’arte
il sapere dell’anima.
Bussa leggero
spirando sogni
il silenzio dei gabbiani.
Lorella Borgiani Ardea (RM)
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.35
FRANCESCO BRUNETTI E
“IL VOLO DI UNA PIUMA” di Luigi De Rosa
UÒ esserci forse qualcosa di più leg-
gero, e lieve, di una piuma? Più porta-
to, per natura, al volo, alla dolcezza,
alla libertà? Forse è l'anima?
Solo un poeta e narratore profondamente
“lirico” e “affabulante” come Francesco
Brunetti, medico scrittore (nato a Sestri Le-
vante, Genova, ma residente a Chiavari, a
soli dieci kilometri) poteva far assurgere una
soavissima piuma ad un ruolo centrale in un
libro di poesie. E si tratta di una piuma che,
in una fascinosa fotografia di Guido De
Marchi, campeggia sulla copertina, libran-
dosi al di sopra di più comuni nuvoloni
bianchi su sfondo blu.
La silloge è strutturata in due parti: la pri-
ma comprende venticinque Piume, la secon-
da ventiquattro Poemetti (petits poèmes,
piccole poesie...). Il tutto è preceduto da una
presentazione critica Al lettore a firma di
Elvira Landò, di Chiavari, già docente di
scuola superiore e dirigente scolastico, poe-
tessa e critico letterario.
Che la “piuma” sia un aiuto efficace per
individuare il senso dell'esistenza generale
(dell' uomo come di tutti i componenti del
nostro pianeta e dell'Universo intero) è un
fatto indiscutibile. L'Autore, da poeta auten-
tico, ne è fermamente convinto.
L'assunto poetico viene portato avanti da
Brunetti con encomiabile e commovente
passione (non disgiunta, qua e là, da “sfini-
mento” dell'anima) anche in un altro libro,
anch'esso edito da Internos di Chiavari
(www. internosedizioni.com) intitolato
Strane idee sul volo di una piuma, anch'esso
ottimamente presentato dalla Landò.
Questo testo, che si presenta, originalmente,
come un racconto in versi, è stato presentato
con successo (sempre dalla Landò) anche in
pubblico, nell'ambito dei Venerdì letterari del
Salotto Letterario “Nuova Pen(n)isola San
Marco”, il 6 novembre scorso, nella Bibliote-
ca Civica di Sestri Levante.
Non si può commentare agevolmente una
scrittura come è quella di Brunetti in queste
due opere. Una scrittura che è, al tempo
stesso, realistica e visionaria, spoglia e lus-
suosa, anelante e rassegnata, speranzosa e
disperata. Una scrittura per la quale, assai
efficacemente, la suddetta presentatrice ha
scritto, fra l'altro: “... Brunetti dice, con pu-
rezza che sembra povera, ma è scarna e
compiuta, il sentimento del tempo con il suo
rubare e restituire, la caducità degli oggetti
e delle esperienze, l' imprescindibile esigen-
za di un tu in cui specchiarsi...e lo sguardo è
vivo perché vi si può aggrappare, e anche
la nostalgia, il dolore di un passato il cui ri-
torno desiderato o violentemente imposto
diventa figura umana, si fa compagna in-
travista nell'ombra, misteriosa presenza a
cui dare del tu, in un dialogo frammentato
ma ritornante...”.
Aggiungerei soltanto che, oltre alla “piu-
ma”, il mezzo e l'interlocutore
principe per Brunetti è il “ma-
re”. Poeta del mare, egli può
essere considerato, a buon dirit-
to.
Egli dimostra di conoscere e
di possedere, sul piano umano e
artistico, l'elemento mare in
tutte le sue implicazioni più
importanti, da quella estetica a
quella psicologica, da quella
simbolica a quella sentimentale.
Luigi De Rosa
P
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.36
LA CITTÀ DI PECHINO FRA LE PRIME NEL MONDO
di Leonardo Selvaggi
I
ECHINO, capitale della Repubblica
Popolare Cinese, supera gli 11 milioni
di abitanti, ha un’estensione di 17.800
kmq, compresa tra due fiumi, il Peh Ho a est
e lo Yungting Ho a ovest. A 43 metri sul li-
vello del mare, ha un porto naturale sul mar
Giallo a 110 km a nord ovest di Tientsin. La
stagione migliore per visitare Pechino è
l’autunno. Ha un clima di tipo continentale.
D’inverno i venti freddi provenienti dalla
Mongolia fanno scendere la temperatura sotto
zero. L’estate è caldissima. Pechino è situata
a nord est, a ridosso della Grande Muraglia,
costruita a difesa del pericolo delle invasioni
mongole. Ha una lunga storia; vicino alla cit-
tà, nel 1929, in una grotta sono stati trovati i
resti dell’ “Uomo di Pechino”, il Sinanthro-
pus pechinensis, un ominide vissuto circa
600.000 anni fa. I primi insediamenti abitativi
risalgono al II millennio a.C.. Centro dello
stato feudale di Yen dall’VIII al V secolo
a.C.. Pechino dal nome Chi distrutta nel 226
a.C. risorge come Yen nel 70 d.C. Viene det-
ta, poi, Nan-ching dagli invasori Kitai, che ne
fanno la loro capitale meridionale. Per gli Ju-
rcen dal 1153 Chung-tu, cioè “capitale del
centro”. Nel 1215 i Mongoli, guidati da Gen gis Khan, conquistano la Cina settentrionale.
Pechino devastata e qualche decennio dopo
ricostruita dal suo successore Kubilai Khan
che occupa l’intero paese. Abbiamo la Khan-
balik, “la città del Khan”, e in cinese Tai-tu,
cioè la grande capitale, la Cambaluc di Marco
Polo. Pechino in questo periodo diventa un
centro ricco e splendido, di forma quadrata e
cinta da mura, che Marco Polo conosce e de-
scrive nella sua opera “Il Milione”. Ancora
oggi un ponte vicino alla città viene indicato
come il ponte di Marco Polo, fra i tanti luoghi
di cui parla il viaggiatore italiano. Pechino
subisce conquiste, distruzioni e lavori di forti-
ficazioni, attuati dalle diverse dinastie che si
succedono. Nel XIII e XIV secolo, durante il
dominio della dinastia mongola degli Yuan,
la città rimane capitale dell’impero. Nel 1368,
liberata dal dominio mongolo viene chiamata
Pei-ping “Pace del Nord”. Tale denomina-
zione è conservata fino al 1421, quando ri-
tornata ad essere capitale, dopo che i Ming
hanno provvisoriamente trasferito la sede
dell’impero a Nanchino, la città assume la
denominazione di Pei-ching “Capitale del
Nord”. All’epoca della dinastia Ming (1368-
1644) Pechino acquista la sua forma stabile e
il suo aspetto monumentale, imperiale, so-
prattutto nella prima metà del XV secolo. In
questo periodo si ha un piano di ricostruzione
urbanistica ed architettonica, che dà la fisio-
nomia dell’intera città come appare oggi. I
palazzi costituiti da due piani non devono es-
sere superati dalle abitazioni. La vecchia città
è una vasta distesa di case basse di colore gri-
gio. Le dimore imperiali hanno muri rossi,
terrazze di marmo, tetti gialli. I templi, come
altezza e come colori, sono uguali ai palazzi
dell’ imperatore, denominato il “Figlio del
Cielo”.
II
Nel 1860 al termine della guerra anglo-franco
P
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.37
cinese la capitale è occupata, fino alla firma
del trattato di pace, dalle truppe delle potenze
straniere. Nel 1912, al momento della Re-
pubblica, Pechino viene dichiarata capitale.
Nel 1927, instaurato il governo di Kuo-
Mintang, la capitale trasferita a Nanchino e
Pechino di nuovo chiamata Pei-ping. Dopo l’
occupazione dei giapponesi nel 1937 al 1945,
alla loro capitolazione, torna ai nazionalisti,
nel 1949 entra l’esercito di liberazione. Il
nuovo governo comunista ridà alla città il
nome di Pei-ching e diventa capitale della
Repubblica Popolare Cinese. La città impe-
riale cambia, si apre al popolo, viene realizza-
ta la grande piazza Tien-an-Men, la piazza
della pace celeste, circondata da imponenti
edifici pubblici. La più grande piazza del
mondo, ci sono state le immense adunate al
tempo di Mao-Tse-tung, oggi seppellito in un
mausoleo al centro della stessa piazza. Dal
punto di vista urbanistico Pechino è una città
composita: nella parte interna comprende un
nucleo antico, costituito da due città murate,
la città tartara a nord e la città cinese a sud.
La prima detta anche “Città proibita” o “pur-
purea”, vietata un tempo a chi non faceva
parte della Corte. Ricchezza di colori e lus-
suose decorazioni. I tetti di brillante ceramica,
terminano agli angoli con le figure del drago
e di altri animali sacri come il leone, la gru, la
tartaruga, raffigurati in bronzo e in pietra. Gli
edifici sono di colore rosso, verde, giallo.
Due volte all’anno, al solstizio d’inverno, a
piedi l’imperatore percorreva la strada che
congiunge la città proibita al tempio del cielo,
compiva gli atti religiosi più importanti dell’
antica Cina. Gli abitanti, chiusi nelle loro ca-
se, non dovevano vedere l’imperatore che an-
dava al tempio a chiedere il favore del cielo
per la prosperità della Cina. Attorno un gran-
de parco. Oggi sia la città imperiale che il
tempio del cielo, di forma rotonda, con la cu-
pola di legno intagliata e colorata, sono fre-
quentati dai Cinesi in grande folla, ogni gior-
no. Tutta questa parte monumentale ricorda il
tempo passato che testimonia l’arte e la labo-
riosità del popolo cinese. Nei palazzi imperia-
li hanno sede vari musei, storico, delle anti-
chità, delle ceramiche e porcellane, geologi-
co, di arte primitiva cinese, paleontologico.
Davanti all’ingresso della “Città proibita” si
trova la già nominata piazza Tien-am-Men,
divenuta il centro spirituale della nuova Cina,
in cui vengono celebrate le principali feste e
ricorrenze della Repubblica. Nelle vicinanze
si trovano i templi principali di Pechino: quel-
lo della Terra, della Luna, del Sole, dell’
Agricoltura, il tempio di Confucio. Templi
insigni che risalgono alle epoche Ming e
Mancia (XV e XVI sec.).
III
Attraversiamo la città cinese con i caratteri
orientali, è centro commerciale. Qui sorge il
tempio del Cielo, una delle più belle costru-
zioni di Pechino. Alla periferia si trova il Pa-
lazzo d’Estate, costruito dall’imperatrice Tzu-
hsi in uno splendido contorno naturale, ornato
con padiglioni e fontane di gusto francese
della prima metà del XVIII sec. Ricordiamo
le tombe dei Ming sulle colline a nord della
città e l’altro segno del passato imperiale, la
famosa Opera di Pechino, che mantiene viva
la tradizione teatrale cinese. Nelle sue rappre-
sentazioni non contano tanto il testo e le sce-
ne, ma la mimica, il canto e le acrobazie degli
attori truccati, dai costumi elaborati e colorati.
Durante la Rivoluzione Culturale molto del
passato è stato ripudiato. Pechino è la capitale
di una grande potenza mondiale con un forte
tasso di crescita economica. Attorno al vec-
chio centro ci sono quartieri moderni, zone
industriali, pur prevalendo il carattere politi-
co-amministrativo. Al di là dei templi, dei
monasteri, Pechino continua ad ampliarsi
sfruttando la sua posizione geografica, all’ in-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.38
crocio tra Cina settentrionale, Manciuria e
Mongolia. L’area urbana si è allargata spe-
cialmente verso nord-ovest, raggiungendo il
Palazzo d’Estate con quartieri residenziali e
universitari e verso est con quartieri industria-
li ricchi di stabilimenti siderurgici, meccanici,
tessili, chimici, conciari, della ceramica, del
vetro, della gomma, della seta. Pechino oltre
ad essere la capitale è centro culturale. Ci so-
no quattro Università, la Biblioteca Naziona-
le, la più grande del paese, l’Accademia delle
Scienze e istituti scientifici. Legata alle tradi-
zioni, ha un artigianato famoso in tutto il
mondo. Importante nodo di comunicazioni,
oltre ad un aeroporto internazionale, abbiamo
un’ampia rete ferroviaria e stradale, 13 linee
di metropolitana che congiungono l’area in-
dustriale con quartieri residenziali. Un porto
fluviale all’estremo nord del Canale imperia-
le. Numerosi sono stati dal 1949 in poi gli
ampliamenti e i progressi in ogni settore, ap-
portati dal governo comunista alla città, che si
pone oggi per importanza fra le prime del
mondo.
Leonardo Selvaggi
WHOIS A S.C.
Le tue mani non conoscono pietà
né vergogna.
Non lo senti –
che non ti sopporto,
che il tuo peso è una tomba
sopra il mio petto.
Mi schiacci il seno,
tagli il mio respiro
in mille frammenti di nero.
Ti dicevo: lasciami,
lascia che torni a danzare
in questa casa che non amavo –
che non sapevo di amare.
E tu mi schiacciavi, mi schiacciavi,
spalancavi le mie ginocchia,
togliendomi fiato e sangue –
era come morire in una scatola
(sono un fiore di gelsomino
da nascondere sotto la neve)
mentre io avrei voluto ridere e ridere,
fino a provocare
terremoti colorati tra le pareti
e danze di scarabei sul balcone.
Ma tu mi stringevi
e mi stringevi –
mi supplicavi di chiamarti Amore
e mi colpivi, mi colpivi forte
perché mi adoravi:
senza volto, senza braccia,
non potevo difendermi
né respingerti.
Oh, pietà, pietà –
ti dicevo –
io voglio vivere,
imparare a gioire di quella leggerezza
che non è mai appartenuta
al mio sonno,
alle mie giornate d’inverno.
Lo ripetevo di continuo,
senza soste per prendere fiato,
ma tu non ascoltavi –
non ascoltavi mentre facevi
a pezzi il mio corpo,
i miei risvegli,
le mie elitre perdute. Ti dicevo: lasciami,
lascia che torni a danzare –
ma tu mi chiudevi
e mi chiudevi per sempre, Amore.
Eloisa Massola
IL CROCO
I Quaderni Letterari di
POMEZIA-NOTIZIE
Il numero di questo mese è dedicato a:
ANNA TROMBELLI ACQUARO
EMOZIONI SPARSE AL VENTO
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.39
ADDIO ANTONIA,
SORELLA D’UN’INFANZIA
DI FATICHE
Mentre si stava per andare in macchina
(lettori e collaboratori sanno che tra il di-
ciotto e il venti di ogni mese chiudiamo con
la raccolta del materiale da pubblicare), ci
giunge la triste notizia che venerdì 20 no-
vembre 2015, presso l’ospedale di Polistena
(RC), è deceduta Antonia Defelice, sorella
maggiore del nostro Direttore.
Donna semplice, umile, gentile, ha tra-
scorso l’intera esistenza al servizio della fa-
miglia: il marito Giuseppe Corigliano - uo-
mo splendido e allegro, stroncato, purtrop-
po, anni fa, da un male incurabile - e i figli
Rita, Mariannina e Costantino.
Specialmente verso quest’ultimo sono an-
date le sue attenzioni, perché offeso fin dalla
nascita per colpa di un dottore che certa-
mente non sapeva usare il forcipe. Accanto
alla perdita del marito, la vicenda di Costan-
tino è il fatto più doloroso che ha scandito i
suoi giorni e che il fratello Domenico
adombra nella lirica “Sorelle d’una infanzia
di fatiche”, che qui intendiamo riportare.
Mentre porgiamo le nostre condoglianze,
ai figli e a tutti gli altri parenti, anche a no-
me dei nostri lettori e collaboratori, chie-
diamo al nostro Direttore un qualche ricor-
do.
“Sono stato sempre lontano dal mio paese
per ragioni di studio e di lavoro - ci dice - e
perciò, con lei, come con tutti gli altri, ho
trascorso solo pochissimo tempo. Ma, in-
sieme, abbiamo goduto l’infanzia, insieme
abbiamo faticato (lei sempre più di me) e in-
sieme abbiamo sofferto le ristrettezze di un
periodo assai triste per l’Italia intera: la dit-
tatura e la guerra; eravamo insieme allorché,
nelle campagne di Baldes, tra gli ulivi e gli
aranceti, dal cielo ci son piovute le bombe.
A dare la stura ai ricordi, riempiremmo pa-
gine. Accenno, perciò, solo a due fermo
immagine, a due vere e proprie fotografie
della memoria: Antonia bella e prosperosa
nelle compagne di Baldes, mentre, alla vigi-
lia del suo matrimonio, saliva, per un viotto-
lo tortuoso, la collina in cima alla quale sor-
geva la casa colonica: in testa, in fila india-
na, c’era mio padre, a seguire mia madre e
poi Antonia, sprizzante felicità. Il fermo
immagine memoriale è nei pressi di un pero
- che non faceva mai frutti, soffocato com’
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.40
era dall’ombra degli ulivi giganteschi -; di
questa pianta di pero accenno nel racconto
“La fonte canora”. Il secondo fermo imma-
gine è sulla scala di fronte all’orto nella
grande casa di Anoia. Le rare volte che
scendevo da Roma al paese, immancabil-
mente ci si sedeva sui gradini assolati, spes-
so attorniati dai bambini. Si parlava sempre
poco, essendo sempre stati, i nostri, in fami-
glia, linguaggi interiori, del cuore. Ed ora
che Antonia se ne andata, la rivedo ancora
più nitida, seduta su quella scala, in silenzio,
“a contemplare in cielo” le nuvole, “giganti
illimiti e bizzarri” che tanto l’attraevano e
mi attraevano, dalle quali sicuramente, ades-
so mi guarda e ci guarda. Addio, Addio, An-
tonia, sorella cara d’una infanzia affabulata
e di fatiche!”
(n. s. p.)
SORELLE
D’UNA INFANZIA DI FATICHE
Se nella notte esco a contemplare
alto il pallore della luna astata
sull’eucalipto, panico mi assale
della tua spettrale solitudine.
La torre illuminata
daga è nel cielo d’onice
e statica mi appare
la nube della ferriera
piegata sui Colli Albani.
Dove sono i tuoi figli?
Rannicchiati negli alveari,
umiliati dal trauma dell’esilio.
Tu, rapinata, fredda,
tradizioni non hai, Pomezia,
affetti, radici che li addolcisca,
un passato per farti amare.
Sorelle d’una infanzia di fatiche,
questo vostro fratello
divorato dall’ansia,
che fuggire ha dovuto
la nostra terra d’odio e di rancore,
ignoto vive in questo luogo
assediato dalle fabbriche,
ove anche i morti se ne vanno quieti,
furtivi quasi, quasi senza dramma;
ove si fa l’amore complessati,
attenti che non scocchi scintilla
d’occhi ceruli in grembi levigati.
Vive affratellato ai vinti,
eterno attore della parte scomoda,
in lotta eterna alla nuova genìa
che si dilania il cuore per un cane,
ma getta i bimbi dentro i cassonetti.
Vive sognando un filo d’erba
coperto di rugiada
come quando a mae-
stri aveva uccelli,
alberi, acque, le rane
dello stagno.
Sorelle radicate nel
cuore
vi penso sotto il noce
dell’orto
a dare un senso alla
mia poesia.
E tu, Antonia, schian-
tata dal dolore
per quel tuo figlio
umiliato dalla nascita.
La tua infinita pena
senza echi
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.41
è per gli altri, come sarà la morte,
allorché disperati e soli
saremo con noi stessi
se la fede non viene a conforto,
a schiuderci la porta dell’eterno.
Sorelle di lotte ciclopiche,
di paure e vertigini,
di fame e di silenzi,
parlate ai vostri figli
della nostra infanzia avvelenata,
della tristezza negli occhi delle capre,
del mio e vostro sudore,
delle pesanti ansie delle notti...
Vogliatemi bene.
Ch’io possa avere qualcuno che lotti,
dopo la mia morte,
ad affermare la mia poesia.
Domenico Defelice
da: Nenie ballate e canti (1993)
LA ROSA
Splendi in silenzio,
di luce divina,
sarà il vento
a posare sui tuoi petali
il profumo degli angeli,
e tutti i colori dell'iride.
Mi dà pena l'atroce brevità
del tuo esistere,
pur se con la tua grazia
mi porgi un lieve dono di serenità.
Ti accolgo qui nell'anima mia
per un attimo di vita celeste.
Adriana Mondo Reano, TO
IL VERO SUONO
Le nuvole volano basse oggi,
ascoltano gridi selvosi
dove sfociano sentieri.
Il vecchio abete sta sveglio
e pensa, all'ombra delle rocce,
vicino a grigi cespugli.
Li vedo avvolti
nel rigore del vento,
nella pausa del tempo,
capaci di raccogliere
il vero suono e percepire
l'inverno che attende,
opaco nell'assorta malinconia.
Adriana Mondo
(Senza titolo)
Ti hanno stretto forte
con ruvido spago robusto.
Le ginocchia, i polsi.
Le tue risate turchesi
tramutate in smorfie di carta.
Ti volevano pentito e rabbioso,
minuto e impaurito – di certo
non impazzito d’amore,
non liberato,
non ubriaco di rugiada
e della luce della luna
e delle stelle.
In tutti i modi hanno provato
a tenerti lontano dal mio grembo,
dalla terra che ti stringe
e ti consola,
dall’acqua che ti partorisce
in cicli perpetui.
Hanno annichilito il tuo seme
così come ora impallidiscono
davanti al mio sangue.
E fremono, imprecano per conoscere
l’intima frequenza di ogni nostro spasimo.
Ma la luce è di perla
sull’acqua,
cola lungo le mie gambe.
E’ il silenzio,
mia anima di giada,
infine il silenzio.
Moriremo d’amore
al dodicesimo rintocco –
e saremo noi la grande vibrazione,
l’ultimo colpo di lombi,
il cielo madido
che si riversa fertile
sul nostro unico orizzonte arrossato.
Eloisa Massola Casale Monferrato VC
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.42
I POETI E LA NATURA - 50
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
La Natura senza l'uomo,
secondo la poesia di
LORD BYRON (1788-1824)
“C'è un piacere nei boschi senza sentieri,
c'è un'estasi nella spiaggia desolata,
c'è vita, laddove nessuno si intromette,
accanto al mare profondo, e alla musica del
suo sciabordare:
non è che io ami di meno l'uomo, ma la Natu-
ra di più.”
Sembrano scritti oggi questi versi, come
estremo desiderio di solitudine e di riposo
per le orecchie e per la mente, e di reazione
alla folla onnipresente, che si “intromette”
dovunque, che occupa tutti gli spazi. E invece
sono stati scritti da lord Byron, più di duecen-
to anni fa.
George Gordon Noel Byron, più noto come
Lord Byron, ebbe enorme influenza tra i poeti
romantici inglesi. Non ebbe un'infanzia feli-
ce, orfano di padre a soli tre anni, e afflitto da
un'umiliante zoppìa per un difetto ad un pie-
de.
La sua poesia avrebbe creato addirittura una
moda, che si sarebbe diffusa più in Europa
che in Inghilterra, venendo considerata l'es-
senza del Romanticismo, o addirittura del
“byronismo”.
Esordì a diciotto anni, con una silloge
stampata a proprie spese, Versi effimeri
(1806) seguita un anno dopo da un'altra, inti-
tolata Ore d'ozio.
Fino al suo capolavoro, Don Giovanni
(1819-1824) si mantenne fedele ad una for-
mazione letteraria classica, snobbando qual-
siasi innovazione, specie formale.
Insofferente, comunque, delle strettoie della
vita in società, Byron tenne uno stile di vita
anticonformista, tendente ad uscire dalle re-
gole della morale comune. Non tollerava
neppure i rilievi dei critici letterari (specie se
non inglesi) con i quali polemizzava aspra-
mente (acquisendo, così, improvvisa notorie-
tà). Esprimeva, con estrema chiarezza, quell'
atteggiamento del poeta considerato “roman-
tico”, con una poesia intrisa di malinconia, ir-
requietezza, incontentabilità, ribellione (oggi
si direbbe, anche, contestazione). Con l'amore
sempre drammatico, se non tragico: con l'e-
strema sensibilità e propensione a lasciarsi
sedurre dalla Bellezza...
Non ebbe bisogno di lavorare per vivere,
perché da un prozio ereditò un cospicuo pa-
trimonio (oltre al titolo nobiliare).
Nel 1809, a ventun anni, partì per un viag-
gio di due anni in Spagna, Portogallo, Alba-
nia, Grecia.
Tra varie opere, scrisse anche una sorta di
autobiografia, Il pellegrinaggio del giovane
Aroldo, che tre anni dopo, nel 1812, ebbe un
successo incredibile.
Fu però preso di mira dalla stampa borghe-
se, fu accusato di una condotta matrimoniale
scandalosa, nonché, addirittura, di avere una
relazione “incestuosa” con la sorellastra Au-
gusta Leigh. Fu preso di mira dagli ambienti
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.43
evangelici e pietistici, tanto che si risolse ad
andare in Svizzera, dove ebbe una figlia (che
poi morì) da Claude Clermont.
Nel 1816 lasciò per sempre l'Inghilterra, e si
trasferì a Milano, poi a Venezia, e al seguito
di un'altra donna, Teresa Gamba, si trasferì a
Ravenna. Quivi, convinto dal fratello di Tere-
sa (e dalla stessa Teresa, che era una patriota)
entrò nella Carboneria, ma, dopo il fallimento
dei moti del 1821, andò con Teresa in esilio a
Pisa.
Nel 1823 si imbarcò a Genova, per mettersi
a capo della rivolta della Grecia per l'indipen-
denza dalla Turchia.
Nel gennaio 1824 era a Missolungi, ma, in-
soddisfatto dei greci, non aveva minimamen-
te combattuto con le armi.
Morì di febbre reumatica (o, secondo alcu-
ni, di meningite) a soli trentasei anni.
Se rileggiamo, molto lentamente, i cinque
versi di Byron che ho riportato all'inizio di
questa puntata, (tipico esempio di lirica con-
versativa di fine Settecento...) possiamo fare
molte considerazioni e riflessioni personali
sul concetto di Natura e sul rapporto (almeno
a parole) del poeta Byron con la stessa. E tut-
to ciò, si badi, tra la fine del Settecento e i
primi anni dell'Ottocento, quando erano anco-
ra lontani il turismo di massa, la rivoluzione
industriale, la motorizzazione generalizzata.
E' difficile, ai nostri giorni, trovare nel
mondo cosiddetto “civilizzato”, boschi senza
sentieri che trasmettano “piacere”, o addirit-
tura spiagge desolate, senza alcuna presenza
umana (ma dove, proprio per questo, “c'è vi-
ta”), spiagge che procurino un'”estasi” poten-
do ascoltare in assoluto silenzio il musicale
sciabordìo della risacca, vicino ad un mare
profondo e, naturalmente, puro. (Le eventuali
eccezioni confermano la regola).
Luigi De Rosa
LA CONVIVENZA È LAVORO
L’amore non si muove fuori,
ha luoghi reconditi,
in fondo all’animo luccicano
stagni di acqua con fresche erbe.
Nodi incastrati in un amalgama.
Non vuole la superficie,
terra appiattita che si estende.
Né le parti diritte come di metallo.
Il calore viene di sotto
dentro cavità intense di memorie e di tempo.
L’amore fonde tutto, nella casa
allineati gli oggetti con gli occhi di fronte,
viviamo in fila insieme.
Senza fatica avanti nel nostro mondo
con integrata vicinanza.
Linee parallele corrono veloci, l’occhio
in lontananza scruta orizzonti,
sente le ali addosso, raddoppiate le forze.
Il lavoro senza termine, pure la convivenza
di strumenti ha bisogno
per limare le punte scheggiate.
Non andiamo per le nuvole, la via
semplice si allarga con le naturali spinte.
Quando la dimora è sventrata
la strada è dissestata. I pensieri
sono andati per tutti i passi errati.
I momenti felici parvenze svanite,
visti i passaggi di serpi
dentro gineprai oscuri. Ci siamo trovati
senza linfa abbattuti
in un campo incolto, profughi
sotto un cielo all’improvviso ottenebrato.
Leonardo Selvaggi Torino
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
23/11/2015
Solo perché Bassolino ha deciso di correre
le primarie per fare il sindaco di Napoli (per
la terza volta), il PD è andato in paranoia:
non sa come togliere di mezzo i ferrivecchi.
Alleluia! Alleluia! Basterebbe regolamenta-
re le primarie, escludendo chiunque abbia
già coperto cariche pubbliche a livello locale
e nazionale per almeno due legislature.
Domenico Defelice
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.44
Recensioni
RAFFAELE GIGLIO E IRENE CHIRICO (a cura di)
OCCASIONI E PERCORSI DI LETTURE:
STUDI OFFERTI A LUIGI REINA
Guida Editori, Napoli, 2015, € 45,00
E’ d’uso presso le Università che allorché un cat-
tedratico lascia l’insegnamento gli si dedichi un li-
bro contenente degli scritti in suo onore. Ciò è av-venuto anche per Luigi Reina, insigne docente
presso l’Ateneo salernitano, al quale in occasione
del suo pensionamento, è stato dedicato un volume intitolato Occasioni e percorsi di letture – Studi of-
ferti a Luigi Reina, a cura di Raffaele Giglio e Ire-
ne Chirico.
E’ questo un tomo di oltre ottocento pagine, che
raccoglie ben 45 saggi, i quali spaziano da Dante a
Leopardi, da Carducci a Di Giacomo, da Sinisgalli a Pavese, da Rea a Jovine, ecc. Si tratta di studi di
notevole interesse, a cominciare da quello introdut-
tivo, Lettura di Inferno XXXVIII di Pasquale Stop-pelli, che parla del cerchio dei fraudolenti nella no-
na Bolgia dantesca, dove si trovano i seminatori di
scandalo e di scisma, tra i quali vi sono Maometto, Pier da Medicina, Curione e Bertan de Born. Il sag-
gio si contraddistingue per un’accurata ricerca delle
fonti e per un’analisi approfondita del testo studia-
to.
Altri saggi si trovano in questo libro dedicati a
Dante, quali quello di Emma Grimaldi, “Nel primo aspetto de la bella figlia”, Paradiso, XXVII e quel-
lo di Gennaro Mercogliano, La figura di Catone
Uticense. Non essendo però possibile dar notizia di tutti i 45 saggi contenuti in questo volume, ne ri-
corderemo soltanto qualcuno, come quello di Rena-
to Ricco, Didone nella tradizione umanistica, che
richiama specificamente il Landino e gli altri uma-
nisti che si occuparono di Didone, come Coluccio Salutati e Maffeo Vegio. Segue un diffuso riscontro
con Ludovico Ariosto e con Torquato Tasso e altri,
compiuto con un’accurata analisi testuale. Leopardi, il poeta lirico e la «meridionalità nel
tempo»: dall’infelicità del Tasso al «male» nell’
arcano universo è di Rosa Giulio, la quale in questo saggio affronta il problema del primato della poesia
lirica rispetto alle altre arti e persino alla filosofia,
in quanto non la «ragion pura», ma il «pazzo fuo-co» dionisiaco riesce a raggiungere la verità. Viene
poi un approfondimento del concetto di noia come
elemento contrario alla «vita vitale», che troverà sviluppo nel Canto notturno di un pastore errante
nell’Asia.
Uno studio sull’interesse di Giosuè Carducci per l’opera di Giuseppe Parini è contenuto nel saggio di
Carmine Chiodo Sul Parini del Carducci, nel quale
questo studioso si diffonde sul saggio carducciano Storia del «Giorno», dove “il mondo pariniano si
pone come il momento di rinascita del sentimento
nazionale” e di “educazione al libero pensare”, con
un “severo e forte accento morale”. Chiodo eviden-
zia inoltre come il Carducci dia “notizie importanti per capire il poeta brianzolo e la sua arte”, ponendo
l’accento sulla sua “simpatia per le classi umili e
oppresse”. Da segnalare tra questi saggi è anche quello di
Raffaele Giglio Una probabile fonte pittorica per
un sonetto del Di Giacomo, nel quale viene indaga-to il mondo “degli ateliers dei pittori napoletani tra
fine Ottocento e primo Novecento”, per pervenire
alla conclusione che il sonetto di Salvatore Di Gia-
como Ll’acciso sia stato ispirato dal quadro di Vin-
cenzo Capparelli intitolato L’ammazzato, che tratta
il medesimo tema: la morte di un uomo in un duello notturno.
Giglio commenta: “I due veristi, il pittore e il
poeta, con l’ausilio del loro «sentimento», hanno rappresentato due momenti di una vita partenopea:
ai toni e alle sfumature dei colori della tela il poeta
sostituisce la musicalità dei suoi versi, un ordito di parole e di aggettivi che egualmente suggeriscono
agli occhi del lettore quella veridicità maggiormen-
te visibile nella pittura”. E il raffronto riesce quanto
mai probante.
Un meditato confronto tra le tragedie che trattano
del mito di Medea, rispettivamente di Euripide, di Seneca e di Corrado Alvaro è compiuto da Carlo
Alberto Augieri nel suo saggio Medea, una “madre
di paese”. Corrado Alvaro e la “ri-scrittura” an-tropo-narrativa del mito, dove la tragedia alvariana
Lunga notte di Medea viene esaminata in profondi-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.45
tà, per trarne l’intimo significato, che è quello di un
testo radicato nell’ambiente contadino in cui nac-
que, con tutte le sue tradizioni millenarie e i suoi codici di comportamento ancestrali.
Scrive a questo proposito Augieri: “La Medea al-
variana rimane «misericordiosa», conserva la «pie-tà» della «madre di paese»”; e soggiunge: “Medea
non sale in cielo sul carro alato del Sole (Euripide),
né su un carro guidato da una coppia di draghi (Se-neca), ma rimane nel luogo tragico, redento dalla
parola popolare, paesana…”. Molto interessante è
inoltre quanto dice Augieri circa “il fuoco paesano della Medea alvariana (che) è sola testimone «sen-
sibile» di quanto accade in casa”. Ne risulta uno
scavo molto illuminante in una realtà drammaturgi-camente finora poco indagata.
Le particolari virtù dello stile di Emilio Cecchi
sono egregiamente messe in luce da Rossana Espo-sito in un saggio intitolato Emilio Cecchi viaggiato-
re, nel quale questa studiosa osserva come la “scrit-
tura di viaggio (di Cecchi) si fonda su una partico-lare dialettica ricordo-rimorso che mette in primo
piano l’esigenza di verità e di moralità dell’autore”.
L’Esposito esamina partitamente i libri di Cecchi, a
cominciare da Messico, che “rappresenta non solo il
suo primo libro di viaggio, ma anche una scoperta di stile e di ritmo, attraverso una prosa che riesce a
fondere la scrittura giornalistica con la scrittura let-
teraria”. Venne poi America amara; un libro “ostile e cau-
stico, soprattutto nei confronti dell’urbanistica ame-
ricana e in particolare dei grattacieli”, nel quale è presente e piuttosto diffuso “il gusto sepolcrale di
Cecchi”; e venne Et in Arcadia ego, resoconto di un
viaggio compiuto da Cecchi in Grecia, cui fecero
seguito Appunti per un periplo dell’Africa e Vaga-
bondaggi, libri che sono accuratamente esaminati
dall’Esposito, la quale conclude il suo saggio os-servando che Cecchi “ha nobilitato il genere del re-
portage letterario e pertanto si può considerare,
come aveva già intuito Giorgio Luti, un classico del nostro Novecento”.
Di notevole interesse è anche in questo volume il
saggio di Francesco D’Episcopo Angelo e demonio nel romanzo “Signora Ava” di Francesco Jovine, nel
quale D’Episcopo evidenzia l’importanza, attraverso
un’analisi approfondita del romanzo, che in esso ha il
motivo religioso, ovunque affiorante. Emblematiche
sono a tale proposito le osservazioni che il
D’Episcopo fa sulla figura di Don Matteo, “il quale, come prete, viene talvolta assalito da ambiguità e
dubbi sulla giustizia divina…” e quelle su Pietro Ve-
leno, il protagonista della vicenda, il quale, “giova-ne e forte come la natura che lo ha partorito, sogna
di farsi monaco per poter aiutare gli altri”.
Penetranti sono a questo proposito anche le nota-
zioni di D’Episcopo su Concetta Minobla, “una
vecchia che non può essere nominata «strega»” e quelle sulla natura “carica di misteriose presenze”,
che scandisce il ritmo di tutta la seconda parte del
romanzo. Molti altri saggi vi sono in questo libro degni di
attenzione, ma poiché, come già si è osservato, non
ci è consentito di esaminarli tutti, ci limiteremo a citare qualche titolo, come: Viaggiatori italiani a
Pompei dall’unità d’Italia al secondo Novecento, di
Pasquale Sabbatino; Da Giulio Camillo a Jorge Luis Borges. Il teatro della Memoria di Leonardo
Sciascia, di Carmelo Spalanca; Creazione artistica
e reminiscenze filosofiche nel “Mestiere di vivere” di Pavese, di Rossella Rossetti; Dei giardini (e di
altro) nel “Gattopardo”, di Nicola D’Antuono;
Voci lucane come in repertorio, di Mario Santoro; L’ultimo Rea, tra «invenzione» e «combinazione».
Appunti per una lettura intertestuale di “Ninfa ple-
bea”, di Raffaele Messina; Nel mondo di Abraham B. Yehoshua, di Dante Maffia.
Un libro di molto pregio Occasioni e percorsi di letture, contenente Studi offerti a Luigi Reina, che
rende omaggio a un Cattedratico illustre in occa-
sione del suo pensionamento, il quale ha al suo atti-vo non solo una vasta produzione di critica e sto-
riografia letteraria tra il Quattrocento e il Novecen-
to, ma anche una produzione di narratore, che si è andata sviluppando negli anni, a cominciare dal
racconto lungo L’anello del Capitano (Napoli,
1991), per continuare con il romanzo Storia di Rico (1992); Una vita da ex e vari racconti in volumi an-
tologici o riviste: Chambre de bonne; La fotogra-
fia; I giorni dell’arcobaleno (anche in traduzione
inglese); oltre al romanzo in corso di stampa Una
Renault amaranto: tutte opere letterarie di notevole
pregio.
Elio Andriuoli
GIORGINA BUSCA GERNETTI
ECHI E SUSSURRI Edizioni Polistampa, Firenze 2015, Pagg. 120, € 10
Giorgina Busca Gernetti è nata a Piacenza, di
formazione umanistica è stata docente di Letteratu-
ra Italiana e Latina; scrittrice di racconti, saggista e
poetessa, ha conseguito una novantina di qualifica-
zioni tra primi premi e titoli prestigiosi. Questa rac-colta, Echi e sussurri, rappresenta il suo decimo li-
bro di poesia, ha in copertina il ritratto presunto di
Saffo; si articola in cinque sezioni, tutte anticipate da citazioni di versi di Rainer Maria Rilke, e sono:
Fiori della notte, Alba dell’anima, Seduzioni, Im-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.46
magini elleniche, Il canto di Orfeo. I versi - endeca-
sillabi continui o scanditi da settenari, altri versi
della tradizione classica, raramente in metro libero - raccolti in strofe consentono una certa scansione
della voce e del silenzio, uniti al refrain ne amplifi-
cano echi e sussurri; rendono gradevole la lettura. In quarta di copertina, abbiamo una nota critica a
firma di Franco Manescalchi, il quale sostiene che
il percorso poetico della Poetessa risente della me-tafisica di R. M. Rilke, attraversa le terre della sua
vita giungendo finalmente nelle coste elleniche ap-
prodando nei luoghi di Saffo e Orfeo. Il critico ne sottolinea la vena neoromantica, gli echi di Foscolo,
Leopardi, D’Annunzio, come pure il linguaggio
moderno di Cesare Pavese. Difatti incontreremo, l’esule solo e pensoso, i muti dialoghi dinanzi a una
tomba, l’invocazione alla luna alla quale chiede
quale sarà la sua sorte. Nella prefazione, Marco Onofrio definisce la Poe-
tessa “sognatrice dell’essere” pur riconoscendole l’
attitudine allo “scandaglio” psicologico, difatti “Gli echi ci introducono al cosmo dell’eterno ritorno
(…) I sussurri alludono alla vocazione linguistica”.
Con tutto ciò intendendo che bisogna predisporsi
all’ascolto di ciò che ci circonda, entrare in sintonia
con i fenomeni, nel continuo ripresentarsi delle sta-gioni, essere aperti al senso della morte, rinnovando
la vita attraverso la memoria e quindi giungere alla
poesia. Processo catartico, percepibile nelle elegie per i suoi animali domestici cui era affezionata (ca-
ne boxer Artù, topolino Francis, canarino Lillo).
Troviamo nello scavo della materia vivente il desi-derio di libertà, di abbattimento delle inferriate del
carcere, per librarsi in alto. Abbattere il limen com-
porta fondere sogno e memoria, ricordo e realtà,
fugare le brume della sua terra. Nell’ultima sezione
usa “cultismi e arcaismi” (iemale, germine, lungi,
dianzi, atra, pubescenti, virenti, sacerrimo, pelago e figure retoriche).
Questi sono i versi incipitari: “Quando scendi in-
vocata,/ o cara sera amica,/ si placano le tenebre dell’anima/ nell’ombra tua serena.” E la serenità
viene agognata ovunque per fugare le proprie incer-
tezze in una lotta impari con il tempo vorace, vorti-coso e ingannevole che ci lascia soli. In una sorta di
comunanza di sentimenti, osserva la tomba di Cesa-
re Pavese, la scarna pietra e l’epitaffio di due date
ove regna “Sacro silenzio intorno e solitudine.”
(pag. 25); in un muto dialogo paragona la vita senza
amore ad un guscio vuoto che vuole riempire del sogno, motivo su cui ritornerà (a pag. 44). “Anima
mia intristita e trasognata,/ a che la vita se non ve-
di un segno/ palese che ti mostri/ qual via seguire nel percorso oscuro/ della triste esistenza?” (31).
Durante la notte i ricordi del passato ci sovrastano
e ingigantiscono le ombre dei fantasmi, si vive un
dialogo che diventa soliloquio in cui il dubbio lace-
ra l’anima. E, forse, le uniche voci che Giorgina Busca Gernetti ascolta, sono le sue stesse (che di-
ventano echi). Nel desiderio di rinascere invoca l’
Angelo numinoso. Sentendosi partecipe della natu-ra, ne sente il canto come carezza, ne diventa rugia-
da, corteccia, foglie, lacrime; ascolta le voci del
vento come note musicali (che diventano sussurri). Echi e sussurri che, a loro volta, diventano versi
poetici, suoi amici. Così si abbandona alle emozio-
ni e si lascia trasportare dalle ali di una farfalla in un susseguirsi di luoghi: a Capo Palinuro, nel
Tyrrhenus, nella Maremma ove ode il frinire di ci-
cale, respira “Profumi intensi e caldi qui m’ ine-briano/ tra pini e mare, tra gerani e glicini.” (pag.
52). Vede l’Argentario verde e vivo e, risalendo la
Penisola, in dedica a Valerio, ricorda i “rugosi” pe-scatori liguri. Con altro volo assiste al tramonto sul-
lo Jonio, sente su di sé le folate di scirocco, il vento
che sussurra parole. Su questo versante ricorda a Gabriele D’Annunzio la “Nostalgia delle greggi/
dorate nel vello lanoso” (61). Evoca personaggi e
immagini, come Franz Schubert, “Nuvole bianche
vagano nel cielo,/ serene anch’esse sopra verdi
chiome” (62); o “cogliere fiori/ nel giardino di Mo-net.” (63); odorare un fiordaliso.
Giorgina Busca Gernetti immagina la sua pianura
emiliana perdendosi nel suo orizzonte, segno di in-finito, di libertà; forse desidera anche disperdersi,
fare scorrere i pensieri come quelli del suo fiume,
confondersi con le rondini volteggianti nel cielo, raccogliere mazzetti di fiori nei prati come si usava
da bambini. Forse tutto ciò è frutto del sogno di una
bambina che al suo risveglio si vede sola: “Sperava
la fanciulla d’incontrare/ il Padre suo vivente
nell’oscuro/ bosco di lecci antichi quando…// Sva-
nisce il fatuo sogno meridiano.” (66). Le immagini elleniche, costituiscono una sorta di
rivisitazione del mito greco, meritevole di una trat-
tazione a parte, una sorta di vasto panorama didatti-co, in cui affondano le nostre radici culturali. Ivi, a
mio parere, imperano pensieri di morte. Da una vi-
sione sull’Acropoli d’Atene, la Poetessa rivive l’ antico mito, pare assistere alla morte del padre in
guerra, alle lacrime della madre. Evoca il mito di
Teseo e del Minotauro, il clangore delle armi a Ma-
ratona, a Troia; fra gli eroi ode Menelao invocarla,
e lei gli asciuga le lacrime per il tradimento di Ele-
na. A George Byron dice di percorrere le stesse sue orme; evoca la morte di Egèo che “si scagliò/ per l’
errore fatale di Teséo”. Rivivono Giasone, Medea,
Glauce figlia di Creonte, la maga Circe e altri. Pare di ascoltare il canto di Pindaro, di interrogare
l’oracolo di Delfi pronunciato dalla Pizia, sul pro-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.47
prio futuro. Pare invocare l’Itaca lontana, sogno ir-
raggiungibile. Più volte nomina Kore, i Misteri
Eleusini; il pensiero della morte diventa incalzante. La vicenda di Euridice e Orfeo, ne è un esempio,
ninfa e cantore appena sposi vengono separati dal
fato; la loro storia è fatta rivivere attraverso il canto che ha impietosito perfino le pietre. E a vivere so-
pra ogni cosa è la poesia; ma la nostra confida:
“Anch’io, dolce mia Saffo,/ vorrei essere morta!” (pag. 104). Il lettore allora viene colto dal bisogno
di urlare: “Giorgina!”
Trasportato dalle emozioni che Giorgina Busca Gernetti è riuscita a suscitarmi con Echi e sussurri,
mi prendo la libertà di pensare a una sorta di ritorno
al passato antico, che noi consideriamo favoloso, un passato che si riflette nell’età bambina per recu-
perare una fanciullezza forse poco vissuta. Il pen-
siero della morte può diventare mezzo di conoscen-za attraverso ulteriore indagine storica e scavo psi-
cologico, per ritrovare se stessi. Non vorrei stravol-
gere il percorso fino adesso seguito, ma penso che miti e luoghi riverberino il suo alter ego e penso
che la Poetessa si senta vicina alle figure femminili
soprattutto come: Medea, Euridice, Saffo; tutt’e tre
accomunate da un amore impossibile.
Tito Cauchi
ISABELLA MICHELA AFFINITO
UNA RACCOLTA DI STILI
15° volume, Carta e Penna Editore, Torino 2014,
pagg.40, S.i.p.
Isabella Michela Affinito, poetessa, scrittrice e
saggista frusinate, ha un curriculum di tutto rispet-
to, vantando collaborazioni e premi grazie ad una
cinquantina di opere, dalla stessa illustrate, fra le
quali Una raccolta di stili (15° volume). Le pagine presentano una orlatura artistica. La silloge com-
prende 14 componimenti, generalmente di pari
struttura, preceduti da brevi descrizioni, riguardanti pittori e qualche aneddoto, come è nel climax dei
tre interventi d’apertura dell’autrice.
Nella prefazione spiega la scelta del quadro del pittore-filosofo C.D. Friedrich, in copertina, dalla
stessa rielaborato, un Viandante visto di spalle, me-
tafora per significare che l’immagine vada condotta
con l’intelletto, facendone un binomio con l’altro
filosofo tedesco I. Kant. Si sofferma ampiamente su
Antonio Ligabue che accomuna a Henri Rousseau per lo stile naїf, a Van Gogh per il carattere e a
Henri Matisse per le tinte aggressive. Il terzo scritto
riguarda Renato Guttuso, pittore antifascista legato alle questioni sociali della sua terra, la Sicilia, intel-
lettuale di spessore correlato ai torinesi Carlo Levi e
Norberto Bobbio, ai fiorentini Mario Luzi e Paron-
chi, allo spagnolo Pablo Picasso. Seguiamo la Affi-
nito passo, passo e in breve, omettendo le barre se-paratrici.
Camille Pisarro (1830-1903) e La bergère; la No-
stra descrive la fanciulla e commenta “ Il neoim-pressionismo è vicino: lo vede la pastorella col fru-
stino, vagheggia mentre controlla il suo lavoro, forse
pensa a una vita senza la terra. “ ; con ciò eviden-ziandone le aspirazioni e la fatica del lavoro. La Poe-
tessa si chiede come mai il Pisarro non le abbia dato
un nome; forse, aggiungo io, perché la Pastorella si fa emblema del destino di molte donne.
Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) e Gli ombrel-
li; inizialmente impressionista; la Affinito commen-ta che riparandosi sotto gli ombrelli, le persone in-
trattengono brevi o lunghi discorsi in attesa che
spiova. Jean-François Millet (1814-1875) e Le spi-golatrici ; si caratterizzò sempre per lo stile rurale,
legato alle proprie origini: “ Raccolgono le preziose
ariste lasciate sul campo dopo la mietitura: un do-no per i più poveri “, che trasmette un messaggio su
reali condizioni sociali.
Umberto Boccioni (1882-1916) e La città che sa-
le; vicino ai futuristi; “ il suo perimetro fin dall’ ini-
zio è stato quello della metropoli, al nitrito dei ca-valli si è sovrapposto il fischio dei treni e della ve-
locità in generale. “ Giorgio Morandi (1890-1964)
e la Famiglia di bottiglie; semplicità di stile, ove il vetro appare trasparente e le bottiglie raggruppate
diventano metafora della famiglia umana. Monet e
La stazione Saint-Lazare; sul finire dell’Ottocento, “ La città si industrializza, ma la situazione è im-
pressionista, la velocità più tardi cambierà il desti-
no di questo stile affezionato all’imprecisione. “,
giustificando la denominazione della corrente im-
pressionista.
Caspar David Friedrich (1774-1840) e il suo Stile romantico che aleggia entro una leggera foschia,
orizzonti, albe e tramonti, e uccelli che sostano sul-
le croci. . Pablo Picasso (1881-1973) e l’Arlecchino e la sua amica; i due saltimbanchi non sono felici,
recitano un ruolo nel palcoscenico che è la vita: “
Tutto ciò è una vacua commedia umana munita di inutili accessori. “ Silvestro Lega (1826-1895) fra i
macchiaioli insieme con Telemaco Signorini e
Giovanni Fattori, nello Stile pergolato; dove il per-
golato sostituisce una stanza dove le donne si intrat-
tengono.
Vincent Van Gogh (1853-1890) e i Rami di man-dorlo in fiore; metafora della vita in dedica al neo-
nato Vincent figlio del fratello Theo, difatti: “ Sen-
tiva in quell’albero da frutto la vita riprendere il suo corso, la linfa accelerare dentro le vene calde
dei rami. “, così dava tregua alla sua depressione.
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.48
Leonardo da Vinci (1452-1519) e le sue Ali del Co-
dice sul volo degli uccelli; genio indiscutibile di tut-
ti i tempi. Isabella Michela Affinito ha il merito di fare rivi-
vere alcuni pittori e le loro opere, offrendo occasio-
ne di rilettura di queste, gli stati d’animo che le ca-ratterizza, Una raccolta di stili, i mutamenti sociali;
le moltitudini che popolano le stazioni. Particolare
poesia esprime quando si identifica in un quadro astratto, pensando alla spiritualità che emanano i
castelli raffigurati da Kandinskij e quando sente
Venezia come un quadro mai finito, un titolo che parla da solo.
Tito Cauchi
ISABELLA MICHELA AFFINITO
PROBABILMENTE SARÀ POESIA IL Croco/ Pomezia Notizie ottobre 2015, Pagg. 20,
1° Premio Città di Pomezia 2015
Isabella Michela Affinito nativa del Frusinate si
sente figlia del Sud, vantando origini pugliesi; in
questa raccolta mostra di essere innamorata della
Sicilia, dei suoi templi e delle vestigia greche. La
Poetessa precisa che le poesie della presente raccol-ta “iniziano tutte con la P”.
Domenico Defelice, nella presentazione, ne esalta
i versi indicando l’apparente gioco espressivo, pro-prio dell’immaginazione dei fanciulli, la capacità di
far parlare gli alberi (Egli ne sa qualcosa per averne
scritto in più occasioni, per es. L’Orto del poeta, o anche Alberi? col punto interrogativo). Aggiungo
che si percepisce tale capacità espressiva e di im-
medesimazione nei vari elementi offerti dalla natu-
ra, come si vedrà più avanti.
La versificazione di Isabella risulta semplice,
chiara e distesa nel senso letterale, ma piena di simboli. Nel componimento d’apertura, a un certo
punto leggiamo: “Diffingo/ per sentire la loro voce/
che spiega la strana/ scrittura, cos’è che hanno/ redatto e perché? Non è/ vero che non hanno occhi/
e non vedono le epoche,/ sanno tutto e poi scrivono/
solleticati nelle foglie”. Basterebbe solo questo bra-no per esaltare il pregio della poesia della Affinito e
giustificare il conseguito 1° Premio Città di Pome-
zia 2015.
Innamorata della classicità, non manca di citare
filosofi e personaggi della mitologia, di adoperare
terminologia dell’architettura dei templi. Il suo è un eco-linguaggio, nel senso della pulizia della parola,
oltre che metaforico per rivelare i moti dell’anima,
così: il mare, il lago, una superficie metallica, fanno da specchio, e sono occasione per soffermarsi sulla
natura come fonte di ispirazione per poeti e per pit-
tori. Così immagina Icaro che nella ricerca di liber-
tà è andato troppo vicino al sole e in questo inutile
tentativo trova la morte. Seguendo il suo percorso poetico osserviamo, per esempio, un’antica anfora
che è momento per evocare i tanti idiomi che le
hanno parlato; oppure le cime dei monti, un aquilo-ne, una pietra che chissà che non sia passata di ma-
no in mano fin dall’antichità.
Osservando i templi agrigentini confida: “io figlia di ninfe/ e di sirene ascolto/ le leggende che/ il Me-
diterraneo mi/ racconta durante le/ sue cobaltiche
procelle.” (pag. 11) e prosegue sentendosi “anoni-ma/ tra i rami nodosi/ che l’inverno crocifigge/ sul
Golgota dell’Italia.” Si paragona alle cariatidi per
la fatica di sostenere il peso delle parole. Gli alberi, che comunicano per voce di Isabella,
offrono un ventaglio di visioni che sembrano decli-
nare in un simbolismo mesto. Così i petali stanchi e le lacrime colore rosso antico. “Noi non siamo/ del
mondo lunare, non/ c’è cipria che possa farci/ asso-
migliare alle anime/ chiare che di notte/ ricompon-gono il cerchio del / perdono.” (pag. 17). La silloge
Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affi-
nito, ha una chiusa che mi sembra molto significati-
va: in essa la Poetessa richiama la “natura morta” dei
quadri, così vivida che sembra uscire dalla “cornice”. Ebbene la comparazione conduce all’ identificazio-
ne: è come rivendicare la propria vitalità, urlare che
la natura (sua) non è affatto morta. La storia è affidata agli oggetti come l’anfora, una
pietra, oppure l’albero, i petali. Essi raccontano e la
loro voce “probabilmente sarà poesia”, da cui il ti-tolo della presente raccolta. Tutti gli elementi intor-
no alla Nostra comunicano qualcosa e forse lo fan-
no per lei. Le piante e il loro apparato, nella loro
caducità diventano metafora del tempo che passa e
delle cose eterne. La Poetessa si pone al loro ascol-
to. Il suo percorso poetico è costellato dal silenzio che le sta intorno, per penetrare nell’essenza delle
cose. Icaro può rappresentare il desiderio di elevar-
si; ma, come sappiamo, né può salire più su, né può volare quanto vuole. Lei ha sedimentato il suo vis-
suto umano, ma ha trovato la sua dimensione poeti-
ca, sospesa come l’aquilone tenuto con un filo.
Tito Cauchi
MARIAGINA BONCIANI
SOGNI Il Convivio, Castiglione di Sicilia (CT) 2015, Pagg. 48, € 8,00
Mariagina Bonciani, poetessa milanese, ormai di-simpegnata da attività lavoro, libera i sentimenti in
un angolo speciale che si chiama poesia, ed in que-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.49
sto caso ai Sogni, così come il titolo della silloge
cui non poteva mancare l’illustrazione omonima in
copertina di Vittorio Matteo Corcos, del 1896 (Donna dal fascino fine Ottocento, con lunga veste,
guanti fino al gomito, seduta su panca: osserva pen-
sierosa). Giuseppe Manitta nella prefazione richiama la
bellezza insita nella visione onirica, da luogo dell’io
intimo diventa luogo del ‘tu’ “di una persona scomparsa e amata, come il più volte invocato To-
ny o la stessa figura materna.”; ciò permette di
crearsi una dimensione soprannaturale. La Poetessa si nutre di sogni; il suo linguaggio ri-
ferisce di sogni, ma essi sono e lasciano qualcosa di
indefinito e qualche volta se ne riaffaccia anche so-lo un frammento in modo destabilizzante, che le
scuote il corpo. I sogni consentono di abbattere mu-
ri e fare cose impossibili, ci fanno incontrare le per-sone care altrimenti irraggiungibili. La Nostra sa
che comunque, un giorno anche Lei farà parte di un
sogno e non avrà più bisogno di sognare. “Anche stanotte/ sei ritornato.// Col tuo violino/ suonavi
Sarasate/ ed io dall’alto/ (di un palco o di una fine-stra?)/ ti ascoltavo.” (pag. 11); ma senza riuscire a
parlargli, a vederlo in viso; in un disperato tentativo
ne invoca il nome, senza riuscire a superare la bar-riera e il sogno svanisce.
Sentiamo la Nostra vicina perché ci accomuna in
un sentimento, quello del rammarico, per non avere detto alcune cose quando si poteva farlo. In un dia-
logo silenzioso Ella dice a Tony tutto quello che
non ha potuto dirgli in vita, comunicargli il suo amore (I love you!). Tuttavia prova conforto, e in
questo estende il suo abbraccio al padre e alla ma-
dre anch’essi volati in cielo. Tony è morto tre anni
prima. Ne evoca i momenti più belli, i luoghi visita-
ti, il “Sogno di una notte di mezza estate” di Men-
delssohn, “il suono/ struggente e suggestivo di un violino./ È il Notturno per archi di Borodin./ Lo
esegue/ l’Academy of St. Martin-in-the-Fields./
Forse sei tu il solista…” (22, puntini di sospensione nel testo).
Quante volte nella realtà ci capita che vorremmo
riaddormentarci per riprendere un bel sogno. Sogni, sì, ma ad occhi aperti, sotto sorveglianza. Ai sogni
non si comanda, ma quelli sotto vigilanza possono
costruirsi con nostro piacimento. Tuttavia accade
veramente che il volto profondamente amato, non
si riesca ad immaginarlo. I versi toccano le corde
sottilissime dell’anima facendole vibrare con suoni impercettibili. Immagini, suoni, visioni sono inde-
finiti. Il sentimento non si può incanalare a diffe-
renza del sogno pensato. È straziante. È la sublima-zione di un grande desiderio d’amore. Si affida al
sogno ad occhi aperti. Accetta di vivere in un mon-
do parallelo certa che un giorno si incontreranno.
In chiusura Mariagina Bonciani fa presente di
avere riproposto componimenti facenti parte di pre-cedenti raccolte, oltre ad alcuni inediti. Sogni è sil-
loge che si aggiunge alle quattro sue precedenti, che
ho avuto il piacere di leggere e recensire, e che nel caso presente ho potuto riscontrare; in particolare è
palpabile il senso della perdita e tanta bellezza inte-
riore.
Tito Cauchi
ANTONIA IZZI RUFO
VOCI DEL PASSATO Raccontarsi, Edizioni Tigulliana, Santa Maria Ligu-re (GE) 2015, Pagg. 52, € 10,00
Antonia Izzi Rufo insegnante in pensione è nata a Scampoli (Isernia) e risiede nella vicina Castelnuo-
vo al Volurno; pedagogista per formazione è porta-
ta a soffermarsi su particolari aspetti della società umana per coglierne aspetti peculiari che esaltano
le mutate condizioni nel tempo suo e in quello at-
tuale. Voci del passato, è raccolta in prosa fra una
cinquantina di sue pubblicazioni; in copertina: me-
galiti (Menorca). Composto con l’acribia di un obiettivo fotografico e scorrevolezza espressiva,
con delicata impronta pedagogica ma priva di toni
moralistici, con l’uso discreto della comparazione e semplicità stilistica. Si rivela donna d’altri tempi, di
forte tempra, essenziale nel dire e nel fare. Rari so-
no gli atteggiamenti compassati, fra tanto Raccon-tarsi, come precisa nel sottotitolo, pochissimi sono i
riferimenti anagrafici, come vedremo.
Marco Delpino, nella prefazione, cita Giuseppe
Pontigia “La nostalgia spesso si alimenta, più che
di ricordi, di amnesie.” Definisce i ricordi come
“Frammenti di vita in un soffio di vento” depositati nell’anima che aspettano solo di essere ripescati per
riprodurre emozioni e, nel caso di Antonia Izzi, ri-
proporre profumi di casa e del luogo che la videro bambina.
L’Autrice apre il suo lungo excursus semplice-
mente con questo pensiero: “i suoi movimenti, all’ ordine ribelli, sono senza spazio tanto celere è la
velocità con cui si compiono: sono folgori magiche.
Se, però, una preoccupazione t’assilla o un’ ango-scia ti tormenta, esso s’arresta a meditare” ecc.
Nei borghi rurali la vita incomincia alle prime luci
dell’alba e al canto del gallo. Gli esseri viventi si ri-conoscono anche senza essere visti, attraverso gli
“scalpiccii degli zoccoli, ragli e belati”, l’ abbaiare
dei cani. All’atmosfera agreste e pastorale si affian-cano temi di antropologia culturale, con squarci ar-
cadici (madri e giovinette che attingono acqua alle
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.50
fontanelle, il ruscello che fluisce, i fiori che emana-
no un profumo vitale, ecc.).
Antonia Izzi Rufo respira poesia, fin dall’ infan-zia, pur fra moltissime privazioni, nella mancanza
assoluta delle comodità attuali, quando si viveva
compartecipando con la natura, non sprecando nul-la; perfino le scie di sterco degli animali lasciate al
loro passaggio, venivano raccolte per farne conci-
me. La gente si industriava in mille modi, massima era la solidarietà soprattutto nell’immediato dopo-
guerra. Vivere fra le macerie, in case diroccate, in
mezzo al tugurio, per anni privi dello stretto necessa-rio, in assenza o scarsezza dei servizi sanitari, anche
fra i benestanti. L’uso di non chiudere le porte di ca-
sa, l’emigrazione soprattutto per l’America general-mente per non ritornare. Le famiglie erano numerose
e allargate ai nonni, bisnonni, trisnonni e ai parenti
più prossimi; mentre oggi ciascuno di noi è un’isola; allora tutti si raccoglievano intorno al camino o alla
radio o alla tv dei primi anni, mentre oggi abbiamo
tutto ma non siamo appagati da niente. Antonia alla quarta elementare riceve dal padre il
libro Le fiabe dei Grimm e di Perrault, rimanendo-
ne affascinata, così che il genitore la invogli a leg-
gere e a studiare; seguirono altri libri, come Cuore,
Pinocchio, Piccole donne, I ragazzi di via Pal, Ven-timila leghe sotto i mari e nel prosieguo nasce l’ in-
teresse per i romanzi rosa. Oggi in occasione della
laurea le famiglie spendono quanto per un matri-monio; così riferisce che lei e il marito, giovane
coppia, si presentano per discutere la tesi: per loro,
benché emozionati, si trattava di un giorno come un altro. Accenna a qualche notizia autobiografica, per
esempio che sua nonna si era sposata all’età di 14
anni, così le famiglie erano molto numerose; la No-
stra gioca con il nipotino (pag. 24), l’esperienza
dell’insegnamento (34); l’infanzia in compagnia
della sorella Rita e del fratello Galdino (47). Oggi più che imparare i mestieri casalinghi, occorre im-
parare le istruzioni degli elettrodomestici.
Ricorda che i luoghi pubblici (strade, piazze, spiagge) erano luoghi di accoglienza e di condivi-
sione; gli antichi rimedi per la salute; la preghiera
della sera; il rispetto verso i più grandi, anche se estranei; adesso c’è un abisso rispetto a settant’anni
fa. Oggi il paese non c’è più, è deserto, i campi so-
no abbandonati. I metodi educativi dei genitori era-
no esagerati, all’insegna del detto: “Mazzate e pa-
nelli fanno i figli belli”; oggi c’è il rischio che l’ in-
segnante perda il posto per un semplice richiamo all’alunno. Cucina e condimenti, forno pubblico,
pasta in casa, rammendare e cucire; oggi non più
effluvi di fiori, fragranza dei campi, perfino l’aria sicuramente odora di smog.
Antonia Izzi, con estremo realismo parla dei biso-
gni fisiologici espletati in condizioni precarie, all’
ombra di un albero o dietro un vecchio rudere (coa-
diuvati con foglie e sassi, la carta igienica non era stata ancora introdotta). Sputare per terra era cosa
usuale anche dentro casa, però per essere considera-
to “persona civile, perbene”, la Nostra dice che bi-sognava “strofinare con la scarpa la saliva o l’
espettorato e disperderne la traccia”, dico è un po’
come si continua a fare con il mozzicone di sigaret-ta; in seguito inventarono le sputacchiere e aggiun-
ge altri particolari.
Osserva quanto, la nostra lingua, a parte residui dialettali, sia inquinata da inglesismi (una volta de-
nominati barbarismi), senza curare meglio la nostra
lingua; commenta la genesi delle differenze dialet-tali attribuendole alle attività lavorative. Ricorda il
servilismo della gente più modesta come retaggio
dell’età feudale. Quando si partiva i saluti fra fami-liari erano brevi, senza baci se non qualche abbrac-
cio o stretta di mano fra uomini; oggi sbaciucchia-
menti e parole si sprecano, ma sono volatili, durano quanto un soffio.
Antonia avverte della necessità del recupero della
cultura arcaica, poiché non è tutta da respingere. I
matrimoni si festeggiavano in famiglia e con sem-
plicità, mentre oggi non ti bastano centomila euro per la cerimonia, vestiti, pranzo, luna di miele.
Piangiamo miseria ma non vogliamo rinunciare a
nulla, nemmeno al superfluo. In questo disgrega-mento di valori, la memoria affiora con nostalgia, al
paragone di oggi si rimpiangono le piccole cose e
se prende un po’ di malinconia, non c’è da ramma-ricarsi poiché il cuore è sereno e la poesia ci viene
in soccorso. I ricordi lontani vengono depurati dalle
immancabili amarezze, ponendo solitamente in
un’aurea l’età dell’infanzia.
La lettura di Voci del passato si rende piacevole
perché si alternano quadretti descrittivi di miseria, oggi inconcepibili, con altri riquadri didascalici,
con istanti di relax che ci riportano nella vita odier-
na della Scrittrice. Definire i vari “frammenti di vita” come semplici flashback, sarebbe riduttivo, ritenerli
componenti di un romanzo sarebbe pretenzioso; in-
vece costituiscono un album fotografico non privo di sana educazione ai sentimenti. Descrive stati d’animo
che mutano a seconda delle circostanze, frutto della
sua formazione culturale e professionale, su cui co-
munque non indugia. L’ultimo rigo del libro si con-
clude così: “Si corre, si ha sempre fretta, il tempo
per sostare a dialogare non c’è più.” Quanto sopra esposto può sembrare scontato, al-
meno ai nati dei primi anni Quaranta del secolo
scorso. La letteratura del genere è ricca, ma giova soffermarvisi per la piacevolezza espositiva e per-
ché non guasta ricordarlo alle nuove generazioni: il
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.51
Cielo ci scampi da una carestia! Potremmo fermarci
qui e non comparare per lunghezza d’onda la moli-
sana Antonia Izzi Rufo con gli scrittori contempo-ranei, per esempio con il compianto Carmine Man-
zi di Mercato San Severino (Salerno) per la saggez-
za descrittiva dei costumi di quei tempi, oppure Leonardo Selvaggi trasferitosi a Torino da Grassa-
no (Matera), ma rimasto legato alla sua terra lucana
della quale si porta attaccati alla pelle gli odori e la ferace natura; oppure possiamo nominare Domeni-
co Defelice calabrese di Anoia (Reggio) trasferitosi
a Pomezia, per ricordare come gli affetti si mante-nevano blindati in un riserbo incredibile e i senti-
menti si tenevano inespressi quasi stessero in pri-
gione.
Tito Cauchi
ISABELLA MICHELA AFFINITO
PROBABILMENTE SARÀ POESIA
(INIZIANO TUTTE CON LA P)
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2015
Quattordici poesie che, incredibilmente, hanno
tutte il titolo che inizia con la P. Sarà un caso oppu-
re è voluto? Non ci è dato saperlo, ma quel che è certo è che la Affinito, in questa raccolta, guarda al
mondo con occhi di bambino.
Un fanciullo che anima tutte le cose che lo cir-condano, a cominciare dagli alberi: “Differenziati
fogli con la scrittura dai tanti rotondi, non indicano
la vetustà degli alberi, non è una simbologia, scri-vono così da millenni in pochi sanno capire quei
discorsi cerchiati…Non è vero che non hanno occhi
e non vedono le epoche, sanno tutto e poi scrivono
solleticati nelle foglie…”.
Fa lo stesso anche con ogni forma d’acqua: che
sia lago, stagno, fiume o mare la Affinito-bambino li trasforma in specchi, come quelli della Regina
Grimilde di Biancaneve.
Ma non finisce qui, sono animate le anfore, gli aquiloni, le pietre, i capitelli e i templi della valle
più famosa della Sicilia, che lei ama particolarmen-
te, sentendosi pienamente donna del sud, anche se poi è nata in Ciociaria.
Nella raccolta, inoltre, c’è un omaggio a Picasso e
alla sua Guernica e a Giorgio Morandi e alle sue
bottiglie.
Un linguaggio che nasce da dentro, dalla sponta-
neità di un fanciullo che vede tutto con occhi curio-si. Un fanciullo che si lascia coinvolgere da tutto
ciò che lo circonda, raccontandolo con una serie di
impulsi capaci di attirare l’attenzione di chi lo ascolta e, in questo caso, lo legge.
Roberta Colazingari
MARIA GRAZIA LENISA
LETTERE
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2015
Ancora un omaggio a Maria Grazia Lenisa,
scomparsa nel 2009 a causa di una brutta malattia. Domenico Defelice pubblica su Il Croco di Lu-
glio 2015 l’intero epistolario che si è scambiato ne-
gli anni passati, fino al momento della malattia, con la poetessa.
Una promessa mantenuta, come si legge nella
premessa, un modo per rendere pubblico e “distri-buire” il cuore e l’anima della poetessa a tutti colo-
ro che l’hanno stimata ed apprezzata e, perché no,
farla conoscere a chi non si è mai avvicinato alla sua poetica, alla sua scrittura.
Il fitto epistolario va dal 1974 al 2003 e vi si ri-
trova di tutto: idee, commenti, suggerimenti, de-nunce appassionate, gioiose, cariche di dolore, de-
scrittive del sistema letterario a volte amato a volte
odiato e così via. Ha lasciato un bel contributo al mondo letterario
la Lenisa, che ha sempre desiderato vivere in un
mondo parallelo a quello terrestre e vi è riuscita
creandosene uno tutto suo con la poesia. Questa co-
sa la rimarca anche in una delle tante epistole a De-felice, significativa anche per capire come sia riu-
scita ad affrontare con coraggio la malattia che non
le ha dato scampo: “Devi sentirti forte e fiducioso: se vacilli sul tuo lavoro, cosa si potrà mai fare?
Non sono io a dirti che vale, ma tu prima devi es-
serne convinto”. La bellezza di questa raccolta epistolare è che le
lettere sono state riportate così, senza correzioni o
adattamenti per la pubblicazione: sono scritte di
getto, con passione, verso un amico carissimo a cui
poter confidare tutto, anche quello che magari non
si riesce a confidare a se stessi: “L’atto di scrivere una lettera non deve essere con i veri amici formali-
tà, ma raccoglimento”. Come dire: verba volant,
scripta manent!
Roberta Colazingari
EUGENIO MORELLI
IL BUIO E LA LUCE
(THE DARK AND THE LIGHT) NARCSSUS
(Collection of poems) – Testo inglese a fronte –
(Facing-page translation) STREETLIB. 2015
Eugenio Morelli è un medico, poeta, scrittore,
saggista e critico d’arte.
Ha pubblicato tanti interessantissimi libri che fanno tutti bella mostra alla biblioteca dell’
A.L.I.A.S.
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.52
Questo suo libro di poesie, è un dono prezioso,
perché le sue poesie sono tutte preziose, parlano al
cuore, alla natura, al cielo e dappertutto con vibran-te passione, ogni verso è un canto d’amore che pe-
netra nelle radici dell’anima e la fa fiorire con mille
sfumature. “Parole e parole/ inseguivo/ per riempire/ spazi
vuoti/ fuori/ e dentro di me. “Da Uomo e poeta”
pag. 18. Parole che esprimono tutto ciò che il Nostro, con-
serva dentro di sé, con la speranza di una vita mi-
gliore per un uomo vero. Il Dott. Eugenio Morelli, sa come curare i suoi
pazienti con le medicine giuste per le varie malattie,
ma le sue poesie, sono un vero toccasana per guari-re sintomi di mali oscuri, danno emozioni che fan-
no bene e danno energia e calore e la forza di vive-
re, tanto entusiasmo nel leggere i suoi pensieri che fanno dimenticare le avversità che ogni giorno ci
assalgono e consumano la mente: “Onora/ il tuo ul-
timo giorno/ anche se terribile/ e tragico/ da maledi-re/ il primo/ in cui sei nato”. Da “L’ultimo giorno di
vita” pag. 62.
Ogni sua poesia è uno stralcio di vita, bagnata di
gioia o di tristezza, ma che dà la calma dei sensi e
la medicina adatta per la tranquillità del vivere quo-tidiano.
In tanti scriviamo poesie, in tanti pubblichiamo
libri che non si vendono, ma ci aiutano ad esternare i nostri sentimenti, scrivere è una malattia incurabi-
le, ma che si cura scrivendo tutto ciò che il cuore
detta, è il cuore che ci comanda e ci sprona, e ci suggerisce i versi da mettere sui fogli.
Il Nostro Poeta, scrive poesie che sanno curare l’
anima, il cuore, la mente di chi ha la grande fortuna
di poterle leggere. Ogni sua lirica fa bene, è la vi-
tamina perfetta che dà la sensazione di navigare in
un cielo azzurro, con il sole che ci scalda, o con le stelle e la luna che illuminano il nostro cammino, in
questo percorso fatto per cercare di vivere bene nel
nome della vera poesia, che il nostro Autore ci re-gala con questo libro che incanta il lettore, anche
per chi legge l’inglese.
Giovanna Li Volti Guzzardi
Australia
ISABELLA MICHELA AFFINITO
PROBABILMENTE SARÀ POESIA
(Iniziano tutte con la P)
1o Premio Città di Pomezia 2015 - IL CROCO - I
quaderni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2015
Isabella Michela Affinito, bravissima poetessa,
scrittrice, filosofa, critica d’arte ecc. che anche in
Australia abbiamo ammirato, perché i suoi versi
hanno conquistato i nostri lettori, anche la Giuria
del Concorso Internazionale dell’A.L.I.A.S. che le ha assegnato degli importanti Premi, è stato un
evento straordinario averla come partecipante pa-
recchi anni fa. La nostra corrispondenza è durata per qualche anno, un’amicizia meravigliosa che poi
si è interrotta, certamente per i suoi molteplici im-
pegni, ma l’abbiamo seguita nelle sue recensioni, articoli e qualche sua poesia pubblicata in qualche
rivista che, immancabilmente arriva dalla nostra
Italia, per farci sentire italiani, italiani più di chi vi-ve in Italia. La nostra lontananza ci lega all’Italia
perché le nostre radici sono rimaste costì per sem-
pre. La nostra simpatica Autrice ha vinto il Concorso
Città di Pomezia con la silloge: “PROBABILMEN-
TE SARÀ POESIA” La sorpresa incredibile è che tutte le poesie cominciano con la P. Un Premio meri-
tatissimo e avere IL CROCO, supplemento della ri-
vista POMEZIA-NOTIZIE, che il nostro Direttore Dott. Domenico Defelice, come sempre c’ invia, è
un dono prezioso, apprezzatissimo, che ci colma
tutti di una immensa emozione, tutti i nostri poeti,
scrittori e pittori dell’A.L.I.A.S. sono molto affe-
zionati a POMEZIA-NOTIZIE e IL CROCO, che arriva sempre puntuale per colmare i nostri cuori di
gioia, nel tuffarci tra le pagine con tanto entusiasmo
e tanta ansia, e non vediamo l’ora che arrivi il no-stro turno per poter imprimere nella nostra mente le
frizzanti e importanti notizie e le belle poesie di
Autori che ci affascinano con il loro afflato incon-dizionato, inebriante di multiformi messaggi.
Questo stupendo IL CROCO, con le bellissime
poesie di Isabella Michela Affinito, ci ha ammanta-
to di splendore. Lo splendore che ogni poesia porta
con sé, per trafiggerci con le lance delle emozioni e
dei puri sentimenti. Ogni poesia è un racconto, un’immagine luminosa ridondante di riflessi miste-
riosi, un legame dolcissimo con la natura che si
espande aldilà di ogni riverbero di luci e colori, che è lo stimolo della sua fervida fantasia che non ha
confine: Vengono fino/ a me le essenze/ di una ter-
ra/ arata dal sole/ e dallo scirocco,/ io figlia di ninfe/ e di sirene ascolto/ le leggende che/ il Mediterraneo
mi/ racconta durante le/ sue cobaltiche procelle. /Se
non fossero/ le zagare a riempire/ il cielo di profu-
mi/ che circolano fra/ le colonne sicule/ dei templi
agrigentini,/ forse non giungerebbe/ a me il ritratto
di/ quella valle sacra/ circondata d’aurea/ greca e i mostri/ dello stretto sarebbero/ soltanto parte /di un
poema.” da “Profumo di Sud” Pag. 11.
Liriche splendenti, flash di storie vissute nel ri-cordo del tempo passato, che stupiscono il lettore,
che rimane estasiato dallo stile libero del racconta-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.53
re, che travolge il cuore e fa volare la fantasia con l’
Autrice, che di ogni poesia fa un film da seguire
con attenzione in ogni particolare, per rimanere im-presso nell’abbraccio delle vicende, che vibrano di
struggenti visioni e avvenimenti del passato e del
presente. Complimenti e auguri, carissima Isabella Miche-
la, dell’importante 1o. Premio Città di Pomezia
2015, IL CROCO, ci ha regalato la stupefacente realtà di averti ancora una volta con noi, i tuoi in-
dimenticabili, cari amici dall’Australia.
Giovanna Li Volti Guzzardi
Australia
GIORGINA BUSCA GERNETTI
ECHI E SUSSURRI Polistampa, Firenze 2015, pp. 120, € 10
Cara Giorgina,
grazie del bel libro che mi hai mandato. L'ho ap-prezzato davvero molto: per la prefazione, final-
mente un testo non di circostanza ma di degnissima
e intelligente introduzione ai versi, e per le tue poe-
sie, che presentano, almeno a mio giudizio, una
temperatura emozionale ancora più alta del solito. Certo, il linguaggio controllato e severo fa giusta-
mente da filtro a troppo facili effusività; però si ve-
de bene che la cultura non è tutto l'ubi consistam del tuo lavoro, ma semplicemente il supporto che
rende possibile alla poesia ed all'emozione di mani-
festarsi. E lo mostrano in modo particolare i testi su Pavese e sui tuoi animali, almeno per me che ho nei
"Dialoghi con Leucò" uno dei miei Vangeli e vivo
con animali da quarant'anni. Insomma, questo è un
libro di ispirazione, ma non soltanto; dopo l'ispira-
zione che ha propiziato la stesura delle poesie è
evidentemente intervenuto un montaggio che ha trasformato una sequenza di bei testi in un vero li-
bro, cosa questa alla quale non moltissimi poeti
pensano, ed ancora meno riescono a realizzare compiutamente. La sezione "Immagini Elleniche",
inoltre, sembra portare positive novità nella tua
poesia, almeno per come la conosco io. Questo li-bro mi appare pertanto come in movimento verso
successivi sviluppi, sviluppi che le eccezionali dif-
ficoltà di questo disgraziato momento storico non
sono evidentemente in grado di arrestare.
È, ribadisco quanto detto qualche giorno fa, un se-
gno felice non solo per te e il tuo lavoro, ma rap-presenta la speranza di una possibilità di futuro per
tutti noi.
In bocca al lupo e i saluti più cordiali, Roberto
Roberto Rossi Testa
POESIA
La poesia parla attraverso le mie mani.
Si rivolge a te
e cammina
con le mie parole.
Esse raccontano il mio vissuto,
nei momenti liberi,
sono vertigini nel labirinto
di questa vita.
Teresinka Pereira USA, Trad. Tito Cauchi (Italia)
IL VIALE DELL’AMICIZIA
C’era un calore umano, un’allegria
genuina e spontanea in quel viale,
un fanciullesco meravigliarsi
ed un tranquillo godere
di cose esotiche vicine.
In quel lungo viale fiancheggiato
da costruzioni innovative,
avveniristiche ed eccentriche,
c’era una folla amica e festosa
e c’era, un po’ a lato
e in mezzo a un lago,
immenso un albero illuminato.
Chiamavano il viale
“Decumano”
e l’albero
“Albero della Vita”.
Ma in realtà il viale era il viale
dell’amicizia
e la sua casa,
Expo 2015, sembrava
la casa della pace.
Mariagina Bonciani Milano
AVVISO
AI COLLABORATORI
Per evitare costose ristampe, si prega di in-
dicare, inviando il materiale da pubblicare,
il numero delle copie IN PIÙ desiderate.
Grazie
La Direzione
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.54
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE L’ANIMA FUGGENTE: di Rescigno il racconto
infinito - Il Circolo IPLAC (Insieme Per LA Cultu-
ra), nella persona del Presidente Roberto Mestro-
ne e il curatore Sandro Angelucci, con il consenso e la partecipazione dei familiari, hanno svolto un
Convegno in onore del poeta Gianni Rescigno, il
24 ottobre 2015, alle ore 16,30 presso il Teatro del Complesso Monumentale dei Dioscuri al Quirinale,
in via Piacenza 1, Roma. A condurre è stata Sonia
Giovannetti; le relazioni critiche sono state di Sandro Angelucci e Franco Campegiani; gli in-
terventi e le trasposizioni musicali di Giacomo Pa-
nicucci; le letture di Loredana D’Alfonso e Paolo
Di Santo.
***
MISTRETTA TRA MEMORIA E FUTURO - Il 7 novembre 2015, organizzato dall’Associazione
Culturale Progetto Mistretta - Presidente Dott. An-
tonino Testagrossa - con il patrocinio della Città di Mistretta, si è tenuto un Incontro con la contessa
Rosemarie Tasca d’Almerita, sul tema MI-
STRETTA TRA MEMORIA E FUTURO: “ALLA RICERCA DELLE RADICI”. Sono intervenuti:
Professoressa Maria Grazia Lo Cicero (Regista),
Professoressa Rosalba Imburgia (esperta di musi-
ca), Signora Carmen Parra (Pittrice messicana),
Signora Germaine Gomez (critica d’arte di Città
del Messico). Nel dibattito “Architettura, Storia, Identità: scopriamo i nostri palazzi” sono intervenu-
ti l’Architetto Angelo Pettineo e il Prof. Giovanni
Travagliato (storico). Moderatore, Massimiliano Cannata, direttore de Il Centro Storico. La manife-
stazione si è aperta con i saluti del Sindaco di Mi-
stretta e del Presidente del Circolo Unione.
***
L’INPS RICONOSCE ALLO SCRITTORE
RUDY DE CADAVAL LA CONDIZIONE DI
CIECO PARZIALE - Nel gennaio passato e con decorrenza 1° aprile 2014, l’INPS di Verona ha ri-
conosciuto a Rudy De Cadaval - all’anagrafe Gian-
carlo Campedelli - la condizione di cieco parziale, accordandogli la relativa prestazione.
Siamo lieti che l’Istituto Nazionale della Previden-
za Sociale abbia riconosciuto lo stato pessimo della vista che da anni affligge il caro amico, ma intima-
mente, profondamente addolorati perché, per un
uomo come lui - ma, in realtà, per chiunque -, esse-re fortemente condizionato con la vista comporta
disagi e dolori: costituisce, insomma, un autentico
calvario. Ma Rudy De Cadaval è stato sempre di forte carattere e siamo certi che saprà reagire per
quanto è necessario, continuando a darci splendidi
versi. La leggenda vuole che anche Omero fosse cieco. E noi, avendo lavorato per 12 anni con i cie-
chi del Sant’Alessio di Roma (la nostra dispensa
ISE - Informazioni Socio-Economiche e Diritto del
lavoro - giunta, con ripetuti aggiornamenti alla VI
Edizione, è stata pure tradotta in Braille proprio per i ciechi), conosciamo la tenacia de non vedenti e
degli ipovedenti e la loro volontà di non farsi con-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.55
dizionare dalla menomazione.
Su Rudy De Cadaval, tra l’altro, negli anni novanta
del secolo scorso, abbiamo scritto uno dei nostri saggi migliori, nel dicembre 2005 poi pubblicato
assai male (bozze non corrette e una breve meno-
mazione) dall’Istituto Editoriale Moderno di Mila-no. Anche per queste ragioni, quel saggio merite-
rebbe una ristampa, contribuendo, così, a mantene-
re vivo il nome di questo poeta, scrittore, attore, sceneggiatore eccetera, che ha frequentato celebrità
internazionali del calibro di Ernest Hemingway,
Enzo Biagi, André Mourois, Giuseppe Ungaretti, Giacinto Spagnoletti, Natalino Sapegno, Claudine
Auger, Leonida Repaci, Catherine Spaak, Ursula
Andress, Novella Parigini, Ira Fürstemberg, Julie Christie, Giovanni Comisso, Gina Lollobrigida,
Giuseppe Saragat, Iva Zanicchi, Fred Bongusto,
Lionello Fiumi, Salvatore Quasimodo e qui ci fer-miamo perché l’elenco ci porterebbe a riempire il
giornale. Sul nostro amico, molti di costoro firmano
pagine encomiabili. Diamo qui, per i nostri lettori più giovani (i “vec-
chi” lo conoscono bene!), una sintetica scheda, in
gran parte tratta da Wikipedia. Rudy De Caedaval
nasce a Verona da Giovanni Campedelli, operaio
delle Ferrovie dello Stato, e da Carolina Elvira Car-li. Autodidatta, inizia a scrivere versi nella giovane
età. Nel 1959 pubblica la sua prima raccolta “Kock-
tail di poesie”, con cui vince il Premio D’Amico. Rimane però sconosciuto fino al 1964, anno in cui
viene scoperto da Giuseppe Ungaretti. Nel corso
della sua carriera frequenta circoli letterari e cono-sce numerosi esponenti del mondo artistico e cultu-
rale: della sua opera si sono occupati vari autori tra
cui: Ungaretti, Quasimodo, Montale, Silone. Le sue
opere sono state recensite su testate nazionali e va-
rie riviste specializzate, tra cui “La Fardelliana” e
“Sìlarus”, che gli ha dedicato una lettura per il 60° anniversario della sua attività letteraria. Il suo nome
è inserito in numerose biografie (come Orazio Ta-
nelli, Rudy De Cadaval, New Jersey, Rutgers uni-
versity Press, 1988). Alcuni suoi testi sono stati
pubblicati dagli editori Guanda e Giannotta. Ha col-laborato con la Società Letteraria di Verona fin da-
gli anni Settanta. Scrittore prolifico e poliedrico, è
autore anche di articoli, interviste, saggi e due opere cinematografiche: insieme a Nicolò Ferrari scrive la
sceneggiatura del lungometraggio “Laura nuda”
(1961), per la regia dello stesso Ferrari; è inoltre au-tore della sceneggiatura del documentario “Le isole
della laguna veneziana” (1989), con la regia di
Francesco Carnelutti e la fotografia di Dante Spi-notti, trasmesso da Raiuno per RAI DSE (Diparti-
mento Scuola Educazione), oggi Rai Educational.
Le sue opere sono registrate e catalogate presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
Onorificenze - Letto e apprezzato anche all’estero,
ottiene vari premi e riconoscimenti, tra cui la “Pen-na d’Oro” (1968) dall’Académie des Poètes de
France. Nel 1968 riceve anche l’Attestato di Bene-
merenza e Medaglia D’Oro dal Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat. Nel 1977
vince il premio “Limone Arte e cultura” e il 20 di-
cembre dello stesso anno la Medaglia d’oro, confe-
ritagli da Lorenzo Calabrese, Assessore alla Cultura
della Provincia di Verona. Nel 1978 e nel 1989 gli viene conferito a Roma il “Premio della Cultura
della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Nel
1980 vince il premio “Lago d’Iseo” per la sua rac-colta “Schiavo 1933”. Nel 1981 le edizioni La Vite
di Catania pubblicano la cartella di acqueforti
“Omaggio a Rudy De Cadaval” dell’artista Stefano Puleo, con scritto di Domenico Cara. Nel 1985,
presso l’Università René Descartes di Parigi, l’
Académie Internationale de Lutèce, presieduta da
Marceau Costantin, lo insignisce della Medaglia
D’Oro. Nel 1989 il Presidente delle Repubblica Ita-
liana Francesco Cossiga gli conferisce l’ Onorifi-cenza di Cavaliere per meriti letterari. Nel 2006 il
Sindaco di Verona Paolo Zanotto gli consegna la
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.56
“Medaglia D’Oro della Città per l’Attività Lettera-
ria”. Nel 2010 il Professor Hadaa Sendoo
dell’Università di Ulaanbaatar (Mongolia), fondato-re del World Poetry Almanac, gli assegna il “Merit
Award” per il contributo artistico e culturale dato
alla World Poetry. Poetica - Influenzato dagli anni della seconda Guer-
ra Mondiale, vissuti da bambino, la prima parte
dell’iter poetico di De Cadaval è caratterizzata da toni drammatici e impegno civile, in un realismo li-
rico dai forti contrasti esistenziali. Il linguaggio di
rottura degli anni ’70 colloca De Cadaval tra coloro che fanno della poesia un mezzo rivoluzionario
dell’anima. È collocato tra i molti “irregolari” delle
nostre Lettere che hanno movimentato la vita multi-forme della scrittura. Le sue opere nascono dallo
stesso impulso e dall’intenzione ideologica che sot-
tendono il suo discorso poetico: la povertà, l’ ingiu-stizia, i soprusi, visti e sofferti come scandalo
esemplare dell’attuale realtà politico-sociale. Alla
comparsa dei versi di “Terra di Puglia”, una delle poesie contenute nella raccolta “L’ultimo chiarore
della sera” (1965), alcuni critici non a torto avvici-
nano implicitamente ai dannati della terra i “sotto-
uomini” di cui il poeta si fa “storico” e portavoce:
era ed è tuttora il recupero della civiltà degli emar-ginati.
Opere - Cocktail di poesie (1959), Calvario della
mia vita (1962), L’ultimo chiarore della sera (1965, prefazione di Carlo Betocchi), Stagione delle ma-
linconie (1966), 23 Liriques contemporaines (1968,
traduzione di Janne Legnani e prefazione di Andre Maurois), Schiavo 1933 (1979, prefaqzione di Pao-
lo Ruffilli), Et après... (1981, traduzione e prefazio-
ne di Solange De Bressieux), Poesie d’amore
(1983, prefazione di Roberto Sanesi), Colloquio
con la pietra (1985, prefazione di Roberto Sanesi),
L’albero del silenzio (1988), Il muro del tempo (1998), Viaggio nello specchio della vita (1994,
prefazione di Giancarlo Vigorelli), Muro di pietra
(2000), International Poetry (Madras, India, 2003), Mi assolvo da solo (2004), L’ultimo uomo (2004),
Selected Poems of Rudy De Cadaval (2010, tradu-
zione di O. Manduhai, Ulaanbaatar, Mangolia), Dove senza di loro (romanzo, 1978) e poi i raccon-
ti: Capodanno (Pandora, Cosenza, febbraio 1967),
Una mattina a caccia (Il Corriere del Giorno, Ta-
ranto, 27 settembre 1970), Laura (Il Corriere del
Giorno, 17 ottobre 1970), La solitudine dell’uomo
fiume (Il corriere del Giorno, 30 ottobre 1970), 2 novembre (Il corriere del Giorno, 3 novembre
1970), Capodanno (Il Corriere del Giorno, 31 di-
cembre 1970), Un uomo nel mare (Il Corriere del Giorno, 22 gennaio 1971), Sogno (Il Corriere del
Giorno, 21 febbraio 1971), L’ultimo incontro (Il
Corriere del Giorno, 28 aprile 1971), Il lampadario
diabolico (Il Corriere del Giorno, 25 maggio 1971),
Storia d’amore vietnamita (Il Corriere del Giorno , gennaio 1974), L’ultimo incontro (Il Corriere del
Giorno, 28 febbraio 1974), La vendetta (Il Corriere
del Giorno, settembre 1974), La penna turchese (La Procellaria, Reggio Calabria, ottobre 1986), L’ esta-
te di Anselmo (Percorsi d’Oggi, Torino, novembre
1986), Il mio mare (Percorsi d’Oggi, luglio 1989), L’angelo d’ebano (Silarus, Battipaglia, aprile1998),
La legenda di Bay of Chaleur (Alla Bottega, Mila-
no, marzo-aprile 2001), Anche il paradiso ha la sua tristezza (Alla Bottega, maggio-agosto 2001), Lo
strozzino (Alla Bottega, luglio-ottobre 2003), L’
amante d’ebano (Alla Bottega, novembre-dicembre 2003), Flop (Alla Bottega, gennaio aprile 2004),
Incontri amorosi particolari (Alla Bottega, maggio-
agosto 2004), Il mistero della saletta privé (Alla Bottega, settembre-ottobre 2005), L’onorevole (Al-
la Bottega, maggio-agosto 2007). Come si vede,
sono tanti e meriterebbero di essere raccolti in un bel volume.
Saggi - Chiaroscuri nella poetica di Omàr Khayyam
(1963), Hemingway letterato e personaggio nella
leggenda (1970), Mostri Sacri (1977), Orizzonte
per parole - Biografia critica sul premio Nobel Vi-cente Aleixandre (1981, prefazione di Domenico
Cara), Simboli e realtà nella poesia di Salvatore
Quasimodo (1983, prefazione di Gilberto Finzi), Ezra Pound (1986), La vita “recitata” di Oscar Wil-
de (1988, prefazione di Ugo Ronfani), Sogni e real-
tà di Emilio Salgari (1992), Faulkner (1998), Kaf-ka: un testimone inquiietante (2006), Pasolini - L’
odio ingiusto nei confronti del padre (2012).
Testi teatrali - Ho condannato il mio amore (1960),
La prima amante (1963), La gioia di tradire (1963),
I condannati: i figli del Dio d’Israele (1973).
Discografia - Un poeta, una donna e il mare (1984, poesie di Rudy De Cadaval lette da Arnoldo Foà,
con musiche di Evelie Kherr, assoli di tromba di
Cappy Lewis). Tralasciamo l’enorme bibliografia, tra articoli, en-
ciclopedie, libre e antologie, siti elettronici eccetera.
Un grosso nome, un artista a tutto tondo, come si vede, Rudy De Cadaval e noi, alla conoscenza di un
così importante artista, siamo orgogliosi di aver
contribuito; anzi, a confronto di molti (ma i cui
nomi sono certamente più prestigiosi del nostro),
che hanno scritto solo pagine (anche se belle e acu-
te), la nostra fatica è stata veramente grande.
D. Defelice
***
PREMIO NAZIONALE DI POESIA “IL FIO-
RE” - Sabato 28 novembre alle ore 17,30, presso il
Centro Civico “Il Fiore” di Chiesina Uzzanese, in
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.57
via XXV Aprile, la Segreteria del Premio del Co-
mune ha presentato la 30a Edizione del Concorso
per l’anno 2016. Madrina dell’evento è stata la poe-tessa Ilaria Parlanti, vincitrice della 29a Edizione
del concorso stesso. È seguito un aperitivo per tutti
i presenti e si è proseguiti, poi, con una cena presso il Ristorante Giuliani. A dare il patrocinio e la col-
laborazione al Premio gestito dal Comune di Chie-
sina Uzzanese sono stati: l’Accademia Collegio de’ Nobili - Istituzione storico-culturale fondata nel
1689 -; l’Istituto Statale Professionale per l’ Indu-
stria e l’Artigianato A. Pacinotti; l’Istituto Com-prensivo Statale Don Lorenzo Milani; la Scuola
Primaria di Chiesina Uzzanese; la Scuola Seconda-
ria dello stesso Comune; le Scuole Primaria e Se-condaria di Ponte Buggianese. Per chi volesse par-
tecipare, diamo l’indirizzo de L’ERACLIANO, l’
organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobi-li, Presidente Marcello Falletti di Villafalletto:
Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (FI), e-mail:
[email protected] Chiedere regola-mento.
***
CONDOGLIANZE AD ALFIO ARCIFA. Gran-
de e insopportabile è il dolore per la perdita, spe-
cialmente quando i genitori si vedono precedere dai figli. Niente e nessuno può sopperire al vuoto che si
viene a formare. Esprimo il mio affetto all’amico
maestro Alfio Arcifa, direttore de Il Tizzone, alla sua consorte e ai loro cari tutti, per la dipartita della
figlia Pina, avvenuta il 22 luglio 2015. Pina Arcifa
è stata vicedirettore della stessa testata, da lei illu-strata, per molti anni; secondogenita ha raggiunto la
sorella Agata Maria venuta a mancare il 25 agosto
2011. Sono certo di interpretare i sentimenti di do-
lore e di stima del prof. Domenico Defelice diretto-
re di Pomezia Notizie, dei collaboratori e lettori del-
la rivista pometina.
Tito Cauchi
La notizia luttuosa ci addolora profondamente. Il
caro Amico Alfio Arcifa non ha avuto certamente una vita facile, fin dall’infanzia; ha patito come
tanti l’immane tragedia della Seconda Guerra, par-
tecipandovi; ha lottato e lotta ancora per l’ affer-mazione della libertà in tutti i campi e per la cultu-
ra; ha scritto opere di poesia e prosa e lavori di
critica che lasceranno tracce; ha diretto e dirige importanti, notissime testare come Il Tizzone; è sta-
to ed è un validissimo operatore culturale: una esi-
stenza spinosa e intensa, la sua, e la perdita delle figlie, come afferma l’amico Cauchi che ce ne dà
notizia, è di quelle laceranti che non potranno mai
rimarginarsi. Assieme alla grande famiglia di Po-mezia-Notizie ci uniamo nelle condoglianze, ab-
bracciandolo, pregandolo di continuare nelle sue
lotte, per la Poesia, nella volontà e nell’aiuto di
Dio.
D. Defelice ***
PREMIO LETTERARIO ITALO-RUSSO RA-
DUGA per giovani narratori e traduttori - È sta-ta indetta la settima edizione del Premio Letterario
Raduga. L’iniziativa è rivolta ai giovani narratori e
ai giovani traduttori dalla lingua russa. Il Premio è promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia. La
partecipazione è gratuita. Al miglior narratore sarà
conferito un premio in denaro pari a Euro 5000,00. Per il miglior traduttore il premio previsto è di Euro
2500,00. I cinque migliori racconti verranno tradot-
ti in lingua russa e pubblicati con testo a fronte in un prestigioso volume che sarà distribuito sia in Ita-
lia sia in Russia. La scadenza è il 20 gennaio
2016. Associazione Conoscere Eurasia Per scari-care il bando: http://www.conoscereeurasia.it/ cate-
gory/eventi/premio_letterario_raduga Per ulteriori
informazioni: Associazione Conoscere Eurasia. e-mail [email protected] tel. +39-045-
8020904, Polina Chunina
LIBRI RICEVUTI PASQUALE MONTALTO - DOMENICO TUCCI - Il Dialetto Della Vita - Il Sogno La Vita La Bel-
lezza - In copertina a colori, “L’Abbondanza”, gra-
fica acquerellata di Alice Pinto; Una “silloge dop-pia” - come precisa l’editore Antonietta Meringola
nella Presentazione -, contenente le raccolte poeti-
che di due Autori, dal doppio titolo, arricchite dalle grafiche di due Artisti” (Alice Pinto e Giulio Tuc-
ci); Prefazione di Pasquale Montalto e Bonifacio
Vincenzi; le grafiche all’interno sono a colori e in bianco e nero; in calce, nella “Breve antologia criti-
ca”, firme di Pasquale Montalto, Luigi Pellegrini,
Francesco Mandrino, Eugenio Maria Gallo, Flavia Lepre, Vincenzo Rossi, Tito Cauchi eccetera -
Apollo Edizioni 2015 - Pagg. 156, € 10,00. Pasqua-
le MONTALTO è nato ad Acri (CS) il 16 maggio 1954. Laureato in Psicologia all’Università La Sa-
pienza di Roma. È dipendente della Comunità
Montana “Destra Crati” in Calabria. Tra le tante sue opere ricordiamo: “L’amore dell’Alba Sociale”,
“Libertà e Persona”, “Ricerca d’Amore”, “I, You,
We, You, Others (Io, Tu, Noi, Voi, Altri)”, “Glass Bits (Schegge di vetro)”, “Il tempo perde la sua cul-
la”, “Luci ed Ombre”, “Profumi sapienti” (1989).
E’ inserito in più di 40 antologie. Centinaia gli scrittori e critici che si sono interessati alla sua ope-
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.58
ra. Domenico TUCCI è nato a Petrizzi (CZ) nel
1952, dove risiede. Laureato in Medicina e Chirur-
gia. Ha svolto la sua professione presso vari ospe-dali e ASL. Si interessa di tossicodipendenza e pre-
valentemente di quella alcoolica. Ha fondato varie
Associazioni e collabora con molte altre. Ha pub-blicato diverse opere, tra cui la silloge poetica “Il
guaritore ferito” (2005 e ha dato il suo contributo a
molte opere letterarie, tra cui: “Fragranze e Profu-mi” di P. Montalto e O. Ciapini (1996), “Agenda
del Poeta” (2001 e 2002), “Pagine per la mamma”
di Tatiana Pacella (2003) eccetera. **
AA. VV. - Chiudo gli occhi... Piccoli autori in vo-
lo “Sulle ali di una pagina” - Premio Maria Mes-sina XII Edizione 2015 - Sezione Fiabe - Copertina
e illustrazioni all’interno a colori - Edizioni Asso-
ciazione Progetto Mistretta Il Centro Storico, Mi-stretta 2015 - Pagg. 116, s. i. p.. Il volume, in carta
patinata, c’è stato inviato dal Dott. Nino Testa-
grossa, Presidente dell’Associazione. Si tratta di “una raccolta di fiabe e racconti - come leggiamo
in quarta di copertina -, scaturiti dal laboratorio di scrittura “Sulle ali di una pagina”, realizzato
dall’insegnante Mariangela Biffarella, con un
gruppo di alunni delle classi Quinte della S. P. dell’ Istituto Comprensivo “Tommaso Aversa” di Mi-
stretta, nel corso dell’A. S. 2014 - 2015. Una sim-
patica raccolta, interamente illustrata dagli alunni, premiata alla XII edizione del Concorso letterario
“Maria Messina”, sezione fiabe.” L’introduzione è
della Professoressa Maria Grazia Antinoro, Diri-gente scolastico; Prefazione di Mariangela Biffa-
rella; alunni coinvolti: Andreanò Pier Francesco,
Antoci Elena, Catanzaro Sofia, Cimino Mattia,
Lipari Marika, Marchese Manuela Grazia, Ma-
rinaro Ilenia, Oddo Giulia, Ortoleva Giorgia,
Prestigiovanni Gabriele, Ribaudo Sharon, Spin-
nato Lucrezia, Testa Ginevra. Per essere più pre-
cisi, il primo e il secondo brano (“Nonna Carolina e
la coperta magica” e “Il duca arrogante”) sono fir-mati da “Noi e la mastra”, rimandano, cioè, a lavori
di gruppo; “Guastadisegni” è firmato da Ilenia Ma-
rinaro, “Abbracciavento” da Giorgia Ortoleva, “Morgana la maestra-maga”da Sofia Catanzaro, “Il
super armadio” ancora da Giorgia Ortoleva, “La
cuoca golosa” da Ilenia Marinaro e Sofia Catanza-
ro, “L’albero e l’elefantino” da Giorgia Ortoleva,
“Il maialino Pigly vuole volare” da Lucrezia Spin-
nato, “La farfalla e il suo amico” da Lucrezia Spin-nato, Marika Lipari, Giulia La Ganga, Ginevra Te-
sta e Mattia Cimino, “Ultrafiori” da Ilenia Marina-
ro, “La maestra maga” da Ginevra Testa, “Andy la streghetta” da Giorgia Ortoleva, “L’altalena magi-
ca” da Gabriele Prestigiovanni, “Pappacena” da
Giulia Oddo, “La maestra e la strega” da Elena An-
toci, “La maestra streghetta e l’alunno maghetto”
da Lucrezia Spinnato, “Lo sciopero dell’armadio” da Marika Lipari, “La maestra pazzerella” da Pie-
francesco Andreanò, “Incantalupo” da Mattia Ci-
mino, “Camilla e la matita magica” da Giulia Od-do, “La penna magica” da Sharon Ribaudo, “Nella
tana della coniglietta” da Manuela Marchese. Come
si può notare dalla ripetizione di alcuni nomi, tra questi alunni ce ne sono di veri e propri dotali, ai
quali auguriamo di voler coltivare il dono che pos-
siedono, di non smarrirsi tra le tante vuotaggini del-la quotidianità. E si nota anche il carisma che le
maestre si sono conquistate, se è vero che più di
una volta soggetto delle fiabe e dei racconti son proprio loro.
**
ISABELLA MICHELA AFFINITO - Una raccol-
ta di stili - 15° volume - Prefazione dell’Autrice,
della quale sono anche due schede sulle mostre di
Antonio Ligabue e Renato Guttuso - In copertina, a colori, “Viandante sul mare di nebbia” di C. D.
Friedrich rielaborato graficamente e pittoricamente
dalla Affinito - Ed. Carta e Penna associazione cul-
turale, 2015 - Pagg. 40, s. i. p.. Isabella Michela
AFFINITO è nata in Ciociaria nel 1967 e si sente donna del Sud. Ha frequentato e completato scuole
artistiche anche a livello universitario, quale l’ Ac-
cademia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987 - 1991, al termine della quale si è specializza-
ta in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo
conto, approfondendo la storia e la critica d’arte, letteraria e cinematografica, l’antiquariato, la foto-
grafia, la storia del teatro, la filosofia, l’egittologia,
la storia in generale, la poesia e la saggistica. Nel
1997 ha iniziato a prendere parte ai concorsi artisti-
co-letterari delle varie regioni italiane e in seguito
ha partecipato anche a quelli fuori dei confini d’ Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia
Letteraria Italo-Australiana Scrittori di Melbourne.
Ha reso edite quasi 50 raccolte di poesie e un vo-lume di critiche letterarie, dove ha preso in esame
opere di autori del nostro panorama contemporaneo
culturale e sovente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolo nella società odierna e del pas-
sato, delle problematiche legate alla sua travagliata
emancipazione. Con “Da Cassandra a Dora Maar”
(2006) ripropone le infinite donne da lei ritratte nei
versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stes-
sa. Inserita in moltissime antologie, tra cui l’ “Enci-clopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia”
(2003), “8 Marzo” (2004), “Felicità di parole...”
(2004), “Cluvium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) eccetera. Sempre sul tema della donna ha
scritto un saggio sulla poetessa Emily Dickinson.
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.59
Pluriaccademica, Senatrice dell’Accademia Inter-
nazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collabo-
ratrice di molte riviste, è presente in Internet con sue vetrine poetiche. Tra le sue recenti opere: “In-
solite composizioni” - vol, VIII (1972), “Viaggio
interiore” (2015), “Dalle radici alle foglie alla poe-sia” (2015).
**
ISABELLA MICHELA AFFINITO - Il mistero
Dickinson - Seconda edizione aggiornata con in-
tervista immaginaria - In copertina, a colori, ritratto
di Emily Dickinson ritoccato a mano dalla stessa Affinito, usando colori a cera, pennarelli permanen-
ti e colori a tempera - Carta e Penna Editore, 2015 -
Pagg. 88, € 10,00. **
TITO CAUCHI - Salvatore Porcu Vita, Opere,
Polemiche - In copertina, a colori, “elaborazione oligraphic 2015”. Ottimizzazione redazionale di
Gianfranco Cotronei - Edizioni Totem, 2015 -
Pagg. 304, € 20,00. Tito CAUCHI, nato l’ 11 ago-sto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Co-
mune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività pro-
fessionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettu-
no. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime
emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005),
“Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio
figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015).
Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone”
(2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Ange-lone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei
mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna,
2014), “Profili critici” (2015). Ha inoltre curato la
pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha par-
tecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie,
al chiuso e all’aperto. E’ incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia
della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel
“Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013) ed in altri ancora; collabora con mol-
te riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recen-
sioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (Inter-
national Writers and Artists Association) nel 2010 e
nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di
Poesia Edita Leandro Polverini, giungo alla quinta
edizione (2015). Ha avuto diverse traduzioni all’
estero. **
GIORGINA BUSCA GERNETTI - Echi e sussur-
ri - Prefazione di Marco Onofrio; In quarta di co-pertina, nota critica di Franco Manescalchi - Edi-
zioni Polistampa, 2015 - Pagg. 120, € 10,00. Gior-
gina BUSCA GERNETTI, scrittrice, ma soprattutto
poetessa, è nata a Piacenza, laureata in Lettere
Classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è stata docente di Letteratura Italiana e
Latina nel Liceo Classico di Gallarate (VA), città
dove vive. Ha studiato pianoforte nel Conservatorio musicale di Piacenza. Ha pubblicato i volumi di
poesia: “Asfodeli” (1998), “L’isola dei miti” (1999,
1° Premio Bagheria-Palermo), “La luna e la memo-ria” (2000), “Ombra della sera” (2002), “La memo-
ria e la parola” (2005, 1° Premio Pisa), “Parole
d’ombraluce” (2006), “Onda per onda” (2007), “L’anima e il lago” (2010, 1° Premio Città di Po-
mezia; 2° edizione, con nota dell’Autrice, 2012),
“Amores” (2014). Inoltre: “Itinerario verso il 27 agosto” (saggio su Cesare Pavese, 2009; 2° edizio-
ne 2012), “Sette storie al femminile” (racconti,
2011, 2° edizione 2013). Molte sue poesie sono ap-parse su antologie e Blog, come su Blog e riviste
specializzate (cartacee ed elettroniche) sono apparsi
suoi saggi di vario genere. È socia di molte Acca-demie e Centri culturali; ha partecipato a Convegni
di Poeti e a Incontri con l’Autore. Ha conseguito
più di settanta Premi, tra cui due Medaglie del Pre-
sidente della Repubblica Italiana, tre Medaglie
d’Oro, due Trofei e dieci Premi per la Cultura.
TRA LE RIVISTE MOSAICO DI PACE - Rivista mensile promossa da Pax Christi e fondata da don Tonino Bello, di-
rettore Alex Zanotelli - via Petronelli 6 - 76011 Bi-
sceglie (BT) - [email protected], www. mo-saicodipace.it Riceviamo il n. 8 (settembre 2015),
con firme importanti, oltre quella del direttore: Fa-
bio Corazzina, Alberto Zoratti, Maurizio Maz-
zetto, Giuseppe De Marzo, Rosario Lembo,
Francesco Comina, Mauro Castagnaro, Tonio
Dell’Olio, Vittoria Prisciandaro, Alessandro
Marescotti, Patrizia Minella, Maria Simona Bo-
rella, Stefania Granata, Eugenio Morlini, Maria
Francesca Pricoco, Giancarla Codrignani, No-
berto Julini, Giannino Piana, Simone Morandi-
ni, Simona Prete, Floriana Cerniglia.
* MAIL ART SERVICE - Bollettino informativo
dell’Archivio “L. Pirandello”, diretto da Andrea
Bonanno - via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN). Rice-viamo il n. 91 (settembre 2015), dal quale segna-
liamo: “La città allucinata di Vincenzo Di Oronzo:
una poetica ricognizione sull’inconscio e le poten-zialità trascendenti della nostra anima”, di Andrea
PMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2015 Pag.60
Bonanno e “Andrea Bonanno - Il romanzo e la ve-
rifica trascendentale”, di Tito Cauchi.
* FIORISCE UN CENACOLO - Rivista mensile in-
ternazionale di Lettere e Arti (una delle più vec-
chie: 76 anni!), Organo Ufficiale dell’Accademia di Paestum, fondata a Carmine Manzi, direttrice re-
sponsabile Anna Manzi - 84085 Mercato S. Seve-
rino (Salerno) - [email protected] Rice-viamo il n. 7-9 (luglio-settembre 2015), dal quale
segnaliamo “Il ritorno di Tommaso” di Anna
Manzi, tre saggi del nostro collaboratore Leonardo
Selvaggi (“Nicolaj Vàsilevic Gogol il cantore del
romanzo russo”, “Maria Teresa Epifani Furno Inse-
guendo l’Aquila” e “Seneca presente in tutti i tem-pi”), pezzi a firma di Orazio Tanelli e Anna Aita,
nonché versi di Teresinka Pereira nella versione
italiana di Simonetta Genova, Neusa Zanirato e Angelo Manitta.
*
SOLOFRA OGGI - La Voce di chi non ha Voce, direttore Raffaele Vignola - e-Mail: solofraog-
[email protected] Riceviamo il n. 10, ottobre 2015. Ri-
cordiamo ai nostri lettori che l’abbonamento annua-
le è di sole 18,00 Euro.
BUON NATALE 2015 ! e...
FELICE ANNO 2016 !
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
30 righe per 60 battute per riga, per un totale di
1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito
www.issuu.com al link:
http://issuu.com/domenicoww/docs/
___________________________________
ABBONAMENTI (con copia cartacea)
Annuo... € 50.00
Sostenitore....€ 80.00
Benemerito....€ 120.00
ESTERO...€ 120,00
1 Copia....€ 5,00
ABBONAMENTO solo on line:
http://issuu.com/domenicoww/docs/)
Annuo... € 35
Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Do-
menico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071
Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103
2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPII-
TRRXXX Specificare con chiarezza la causale
___________________________________
POMEZIA-NOTIZIE
Direttore responsabile: Domenico Defelice
Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice
Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice
________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Tal-
madge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529
USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti
Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC
3034 - Melbourne - AUSTRALIA
________________________________________
Stampato in proprio