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Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus DAL 2014 DAL 2014 SETTEMBRE 2014 Anno I Numero 4 edizione gratuita /11 Arduino Come rendere STAND-ALONE un progeo di Arduino è l’obievo di ogni maker che si rispe. In questo servizio vedremo come si fa /19 Arte A Milano una mostra sui fratelli Pollaiolo, ars minori rinasci- mentali ricchi di talento e fantasia /23 Automove Lorenzo Caddeo presenta la sua ulma creatura: la Enteles Nodachi 2014, rivoluzionaria per motorizzazioni e prestazioni

CADZINE n° 4, settembre 2014, ANNO I

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Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google PlusIl magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus

DAL 2014DAL 2014

SETTEMBRE 2014 Anno I Numero 4 edizione gratuita

/11 Arduino

Come rendere STAND-ALONE un progetto di Arduino è l’obiettivo di ogni maker che si rispetti. In

questo servizio vedremo come si fa

/19 Arte

A Milano una mostra sui fratelli

Pollaiolo, artisti minori rinasci-

mentali ricchi di talento e fantasia

/23 Automotive

Lorenzo Caddeo presenta la sua ultima creatura: la Enteles Nodachi 2014, rivoluzionaria per motorizzazioni e prestazioni

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La Comm. per progettisti, disegnatori tecnici ed appassionati La prima Community italiana, della piattaforma Google Plus sul CAD e le sue applicazioni, per

data di fondazione e numero di iscritti

BIM

CAD

CAD MEP

FEM

Linguaggi CAD

Modellatori 3D

Modellatori organici

Post produzione

Prog. edile

Altro software

Progettazione

Portfolios

A.N.T. Automotive

Stampa 3D

Concorsi

Curiosità

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NULLA SI OTTIENE SENZA SA-

CRIFICIO E SENZA CORAGGIO.

SE SI FA UNA COSA APERTA-

MENTE, SI PUÒ ANCHE SOFFRI-

RE DI PIÙ MA, INFINE, L'AZIONE

SARÀ PIÙ EFFICACE. CHI HA

RAGIONE ED È CAPACE DI SOF-

FRIRE ALLA FINE VINCE.

GANDHI

www: aforismi.meglio.it

LA METTO IN CORNICE

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speciali

HOME PAGE

Direttore responsabile: Salvio Giglio Redazione: Nicola Amalfitano, Antonello Buccella, Marco Garava-glia, Nunzia Nullo

Segretaria di redazione: Nunzia Nullo Redazione bozze: Nicola Amalfitano, Nunzia Nullo

Ricaricate le batterie con la pausa estiva e ripresi i vecchi e cari orari, più equilibrati e legati alla quotidianità lavo-rativa, si riparte con l'edizio-ne settembrina del magazine. Una bella aggiustatina alle varie rubriche della rivista e la creazione di un nuovo tem-plate, alleggerito e organizza-to, facilitano enormemente il

lavoro di impaginazione che ora è più intuitivo. La parte più pesante resta sicuramen-te il corredo di immagini per ogni articolo: creazione e/o ricerca, collocazione, dida-scalie fanno perdere un sacco di tempo e poi ci si mettono vari piccoli accidenti di cui non vi parlo e che fanno da preludio al mese di otto-bre! Ciliegina sulla torta è Youblisher che fa i capricci e ci mette anche 24 ore per

rilasciare il link di condivi-sione! Nonostante tutto non mi lascio scoraggiare, anzi questi piccoli grattacapi ser-vono da stimolo a cercare delle soluzioni alternative! :)

Diario di bordo

paesaggista

[pa·e·ṣag·gì·sta] sostantivo maschile e femminile Professionista specializzato nella progettazione, o sistemazione, di parchi e giardini.

rubriche PAG. 07 NEWS

PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio “E la chiamano estate...”

PAG. 11 ARDUINO di Salvio Giglio “Come rendere STAND - ALONE un progetto di Ar-duino”. I PUNTATA

PAG. 19 ARTE di Salvio Giglio “Le quattro dame dei fratelli Pollaiolo”

PAG. 23 AUTOMOTIVE di Lorenzo Caddeo “Enteles Nodachi 2014”

PAG. 29 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTA-ZIONE di Salvio Giglio “La cogenerazione con i gruppi turbogas”. IV PUNTATA

PAG. 35 CINEMA di Nunzia Nullo “Tartarughe Ninja”

PAG. 38 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio “Pier Luigi Nervi”

PAG. 43 INTERVISTA di Salvio Giglio “Antonio Martini”;

PAG. 53 INTERVISTA di Salvio Giglio “Gabriele Asero”

PAG. 57 LIBRI di Corrado Motta “Corrado Motta presenta: «Perché SketchUp?»”

PAG. 61 MUSICA di Nicola Amalfitano “La variazione ”

PAG. 65 NEW HARDWARE FOR CAD di Salvio Giglio “Il piatto termico di una stampante 3D ”. V PUNTATA

PAG. 71 COMPUTO METRICO di Giuseppe Vizziello “LeenO 3.10.1 Cosa c’è di nuovo?”

PAG. 73 FEM di Marco Garavaglia “Un’intervista sull'analisi funzionale”

PAG. 77 PRODUCT DESIGN di Everton Mar-tins “Dalle calzature alla gioielleria”

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HOME PAGE

Cos’è CADZINE è una rivista gratuita nata in

seno alla Community di “AutoCAD, Rhino & Sket-

chUp designer” per informare & formare disegnatori tecnici e

appassionati sul CAD ed i suoi “derivati”.

La pubblicità Le inserzioni pubblicitarie pre-

senti sono gratuite e sono create e pubblicate a discrezione della

redazione.

Per contattarci Vuoi segnalarci un argomento?

Vuoi suggerirci delle modifiche? Vuoi segnalarci degli errori?

Vuoi pubblicare un tuo articolo? Scrivi una mail a:

[email protected]

Vuoi saperne di più su questo progetto?

CADZINE è solo uno dei progetti crossmediali in corso legati alla

nostra Community… Visita il nostro sito

cadzine.jimdo.com e, se ti garba, collabora con noi

mettendo a disposizione di tutti e gratuitamente le tue cono-scenze. Sarai il benvenuto!

Segretaria di redazione: Nunzia Nullo Redazione bozze: Nicola Amalfitano, Nunzia Nullo

Impaginazione, pubblicità e progetto grafico: Salvio Giglio Editore: Calamèo (Hachette)

E’ consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci la copia. La pubblicazione è CopyLeft & Open Access ;-)

Pensandoci bene

Neolaureati: la necessità di mantenersi sempre aggiornati Al di la di quel che si è studiato all’università, un giovane professionista dovrebbe

sempre sentir viva la necessità di imparare nuove metodologie legate al proprio lavo-ro. È molto brutto vedere dei neo-laureati in discipline ingegneristiche timorosi, e spes-

so rinunciatari, rispetto a software innovativi come ad esempio quelli legati alla BIM, alla FEA, al GIS e alla modellazione 3D che, invece, potrebbero assicurare loro quella marcia in più per inserirsi lavorativamente, se non in Italia, almeno in un altro Paese.

Non è tutta loro la colpa, e di questo me ne rendo conto da solo, visto che spesso l’Uni-versità e la Scuola non riescono ad insegnare approcci reali col mondo del lavoro… Un motivo in più per rimboccarsi le maniche e non sminuire un titolo accademico al

rango di “inutile pezzo di carta” e dare una seria svolta al proprio futuro!

paesaggista

[pa·e·ṣag·gì·sta] sostantivo maschile e femminile Professionista specializzato nella progettazione, o sistemazione, di parchi e giardini.

corsi & tutorials PAG. 81 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM di Salvio Giglio “I punti chiave della procedura di esecu-zione per la pianificazione della BIM”. II PUNTATA

PAG. 85 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Salvio Giglio “Stabilire le unità di misu-

ra in SketchUp”. IV PUNTATA

PAG. 86 CORSO DI MODELLAZIONE GEOLOCA-

LIZZATA PER SKETCHUP di Antonello Buccella “Applicazione delle textures di rivesti-mento sul modello georeferenziato”. II PUNTATA

eventuali & varie PAG. 90 UMORISMO

PAG. 91 GIOCHI

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NEWS gli ultimi post prima di andare in stampa

Così recita il sottotitolo della pagina da cui è possibile scari-care il file zippato, per chiavetta USB, da cui estrarre il contenuto in una cartella: LibreOffice e LeenO già pronti da utilizzare su qualsiasi postazione Win-dows. Per agevolarne l’uso, è stata già impostata la Sicurezza delle macro su Medio, in modo tale che non se ne debba preoc-cupare l ’utente. Que-sta pacchettizzazione è stata realizzata utilizzando l’ultima versione stabile di LibreOffice tratta da winPenPack. S.G

Quando ho appreso la notizia dell’addio alla Ferrari di Luca Corde-ro di Montezemolo, ho avuto prima una stretta al cuore e poi un senso di sgomento pensando alla futura sorte del prestigiosissimo marchio che è tra quelli che meglio ci rappresenta nel mondo. Il timore è quello di veder banalizzare la produzione di questa storica casa automobilistica che

attualmente realizza solo 7000 esemplari all’anno. Inutile dire che si tratta di veri pezzi unici, curatissi-mi in ogni dettaglio e prodotti in uno stabilimento a misura d’uomo ove si fondono artigianato e tecnologia in modo superlativo. Cosa sarebbe del mondo Ferrari se il nuovo presiden-te pretendesse anche solo il doppio dell’attuale produzione? S.G.

E’ nato il progetto CTS (Comitati Tecnico Scienti-fici), voluto fortemente dalla sede di Confindu-stria di Gorizia e dall’Uffi-cio Scolastico Regionale (U.S.R.) del Friuli Venezia-Giulia. All’iniziativa han-no aderito anche molte importanti realtà indu-striali della Provincia di Gorizia e cinque istituti di istruzione secondaria su-periore tecnico professio-nali dell’Isontino. S.G

La Ribbonsoft ha rilasciato la nuova versione 3.6.4 di QCAD. Questo CAD 2D multi piattaforma include ora nuove ed utili features per la creazio-ne e modifica di disegni tecnici pro-fessionali come, ad esempio, design d'interni, disegno meccanico, dia-grammi ecc. QCAD può importare ed esportare file DWG e DXF ed ha nume-rosi strumenti per creare eclissi, pun-ti, linee, snapping agli oggetti ecc. Al programma è possibile aggiungere anche funzionalità e personalizzazio-ni tramite degli add-on di terze parti. Lo sviluppo di QCAD sta crescendo moltissimo e ha reso più completo e funzionale il software. Infatti questa nuova versione offre diverse correzio-ni di bug rendendolo molto più stabile e ben integrato nelle principali distri-buzioni Linux. La nuova distro inclu-de inoltre:

il supporto per importare file Design Web Format (DWF) da AutoCAD ancora, però, in fase di sviluppo;

il supporto per le spline di grado 1;

la nuova opzione per mantenere le specifiche di base di un dise-gno anche se questo viene modi-ficato;

l'introduzione del supporto per Teigha 4.0, la famosa piattaforma di sviluppo della Open Design Alliance;

i nuovi comandi da terminale.

QCAD è disponibile in due versioni: COMMUNITY e PROFESSIONAL che, ovvia-mente, includono maggiori funzionali-tà. Il software Pro lo possiamo anche provare per 15 giorni dopo di che passerà automaticamente alla versio-ne freeware. S.G.

Montezemolo ADDIO… e la Ferrari?

LeenO è anche portabile RILASCIATO QCAD 3.6.4

La prima foglia artificiale che produce ossi-geno consentirà lunghi viaggi nello spazio

Nasce il CTP per la Navalmeccanica in Friuli.

Julian Melchiorri, laureato alla Royal College of Art, rac-conta la sua invenzione: una foglia biologica sintetica con le stesse funzionalità di una vera. Questo permetterebbe viaggi di lunga durata nello spazio. Melchiorri spiega che "le piante non crescono in assenza di gravità. Al momen-to la NASA sta conducendo ricerche sui diversi modi di produrre ossigeno utili per lunghi viaggi nello spazio. Questo materiale potrebbe consentirci di esplorare lo spazio molto più di quanto possiamo fare ora". Il progetto è stato chiamato foglia di seta ed è stato sviluppato, nell’am-bito del corso di Innovation Design Engineering, dal Royal College of Art e dalla Tufts University che hanno messo a disposizione il laboratorio della seta. Questo materiale, che vive e respira proprio come una vera pianta, è for-mato da cloroplasti fissati su

di una matrice fatta di protei-ne della seta. Così, come in una vera pianta, tutto ciò di cui la foglia ha bisogno per produrre ossigeno è la luce e una minima quantità d’acqua. "La mia idea era quella di usa-re l’efficienza della natura in un ambiente antropizzato” spiega lo studente la cui am-bizione non si è esaurita qui. Melchiorri ha infatti realizza-to alcuni sistemi di illumina-zione basati su questo mate-riale, impiegando la luce sia per illuminare la casa sia per produrre ossigeno. Questo innovativo materiale potrebbe trovare ambiti interessanti anche per applicazioni archi-tettoniche esterne, co-me facciate e sistemi di venti-lazione. Il fogliame sintetico diventerebbe, così, un vero filtro vivente che assorbe e filtra l’aria sporca dall’esterno restituendola pulita nelle abi-tazioni. S.G

“Porta LibreOffice e LeenO insieme su pen drive sempre con te!”

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EDITORIALE

U no strano mese di ago-sto quello appena tra-scorso. Un agosto che si farà ricordare per la

pioggia e per il fatto che un italia-no su due è rimasto a casa! Ci era-vamo abituati al caldo torrido e afoso degli ultimi due decenni e al “consuma consuma” di condizio-natori e climatizzatori. Quest’anno quasi ci sono mancati quei bei blackout elettrici dovuti alla vetu-stà delle nostre linee elettriche, in alcuni casi più “anziane” dello scrivente, e quei meravigliosi ro-ghi creati dai soliti mafiosi e spe-culatori edili. Che dire, poi, del classico Eurostar bloccato in aper-ta campagna per almeno un giorno con i passeggeri intrappolati nelle lamiere roventi senza acqua ne viveri? O di quelle spettacolari co-de da esodo estivo sulla Salerno- Reggio Calabria? Vero vanto della nostra rete autostradale… Questa maledetta estate spartana, senza sole e scandali, cambi di governo e arresti di celebrità, sembra quasi che ci abbia voluto sbattere in fac-cia che l’epoca della “finanza crea-tiva”, del “bunga bunga”, delle “olgettine”, dei “furbetti del quar-tierino” sia finita! Non per una scelta politica, per un reale, sano e consapevole moto di rinnovamen-to delle coscienze di governanti e di governati ma perché siamo in qualche modo “intrappolati” in un nuovo conflitto mondiale 2.0 che si propaga a macchia di leopardo, lentamente e inesorabilmente. Un dramma che ha portato sulle coste meridionali del nostro Paese un qualcosa come un milione di per-sone e che ha falciato, nel periodo della tragica traversata della

“speranza”, circa duemila disperati di ogni età! Ah quelle belle estati passate tutte coca, scandali e di-scoteca, che fine avranno fatto! Vi ricordate quando un noto rampollo di una arcinota famiglia, oggi “emigrante” anch’essa all’estero, collassò dopo un coca party? Che tempi! Facevano notizia i bandana di certi personaggi politici che, tra una peripezia giuridica e l’altra, tra una cenetta “piccante” e un impe-gno di Stato, trovavano persino il tempo per rifarsi il look con un bel trapianto di capelli e una stiratina alle rughe! In una di quelle infuo-catissime estati, dall’altra parte dell’oceano, un gruppo di econo-misti “creativi” dava libero sfogo alle proprie visioni di un mondo nuovo e globalizzato con un’unica moneta e la flotta stellare… mentre un sinistro scricchiolio, prove-niente dai caveau delle loro ban-che, cominciava a farsi sentire con una certa forza! Sempre in quelle estati lontane, con l’abbronzatura a palla e il tatuaggione in bella mostra, come novelli divi del cal-cio, tutti muscoli e tette rifatte, al suono martellante dell’ultimo bra-no techno sparato dallo stabili-mento, comodamente debosciati sui nostri immacolati lettini sulle spiagge assolate, leggevamo spe-ranzosi, tra uno scandaletto di Co-rona e un topless della Rodriguez, che in Medio Oriente si combatte-va e si moriva in nome della “democrazia e della libertà” senza capire che invece tutto ciò avveni-va per tutelare i nostri interessi e quelli delle multinazionali del pe-trolio e del gas destabilizzando così un’intera regione! L’Occidente somiglia sempre di più ad un tos-sico dipendente, impazzito per la crisi di astinenza, che si aggira nervosamente con una pistola in mano tra la folla in cerca di soldi per farsi. Non siamo forse così

quando ci creiamo alibi e motiva-zioni, a dir poco infondate e biz-zarre, per assecondare la nostra inesauribile sete di risorse energe-tiche, la nostra brama di vendere armi, di seminare guerre a destra e manca, di cavalcare nel modo più bieco possibile l’indigenza e l’arre-tratezza di certi Paesi? In quelle torride estati passate ci sentivamo californiani felici e consumavamo più di quel che avremo potuto fare, orgogliosi del nostro italian life style, in cui consumare e indebi-tarsi era cool. Era talmente forte questo sentimento che, pensate, un tabaccaio di una località dell’I-talia centrale, per pagarsi il Ferrari e mantenere un certo stile di vita, “arrotondava” rapinando farmacie e benzinai! Come nel “Canto di Na-tale” di C. Dickens sembra che il fantasma delle estati passate ci ammonisca e ci inviti a guardare con maggiore attenzione ai proble-mi concreti che minano la stabili-tà della nostra struttura sociale; a dare un calcio, definitivamente, ad un modo di vivere che, spesso e volentieri, è un vero schiaffo alla miseria; ad essere più vigili, critici e partecipi alle vicende politiche locali, nazionali e continentali; ad essere più solidali e presenti con quegli Stati poveri, magari cancel-lando definitivamente il loro debi-to. Come sarà la prossima estate dipende, tutto sommato, da ciascu-no di noi, dall’impegno che ci met-teremo non solo nel conservare i soldi per le vacanze ma dalla som-matoria di tutti quei piccoli grandi gesti individuali e sociali che do-vremmo fare per migliorare le co-se… a partire da “come” e “dove” parcheggiamo, per passare a “chi” daremo fiducia e voti e terminare con la nostra presenza e parteci-pazione verso gli ultimi, senza guardare il colore della pelle ma quello, comune a tutti, del sangue.

di Salvio Gigl io

E la chiamano estate...

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ARDUINO

Q ualche tempo fa leggevo in un post su G+ la do-manda di un caro amico che si chiedeva come

rendere in qualche modo “definitivo” un suo progetto, svi-luppato sperimentalmente con il kit Arduino ONE, riproducendo su di un circuito stampato tutti i col-legamenti volanti che erano tem-poraneamente ospitati sulla tavo-letta mille fori breadboard del kit. Il post mi portò subito indietro ne-gli anni e mi fece ripensare a quando ero meno di un adolescen-te e alle tante ore passate letteral-mente a contemplare, in una oscu-ra cantinola condominiale, Sergio il fratello maggiore di un mio ami-co d’infanzia. Questo ragazzo, grande appassionato di elettroni-ca, si era iscritto all’Augusto Righi, un ITIS per periti elettronici, e nei

fine settimana dava libero sfogo alla sua creatività. Uno dei proget-ti più riusciti di Sergio fu un am-plificatore audio per il suo impian-to stereo domestico che realizzò pezzo per pezzo: dal mobile in le-gno esterno sino all’ultimo circuito dell’apparecchio. Quando Sergio scendeva in cantinola per lavora-re, noi ragazzetti ci mettevamo, in religioso silenzio, in un angolino e lo guardavamo, sen-za capirci molto, mentre lui traffi-cava con piastre ramate, acido, lucidi, decalcomanie, saldatore e i componenti elettronici di allora: i transistor! Alla fine, dopo una de-cina di weekend di lavoro, l’ampli-ficatore fu completato e non solo funzionava benissimo ma era an-che molto bello e potente! Ai nostri occhi Sergio, all’epoca diciasetten-ne, diventò un guru tecnologico, una sorta di dottor Procton di Go-drake! La sua parola per noi era

definitiva su qualunque problema tecnico: dalla catena allentata del-la bici al giocatolo che non funzio-nava più! Chiudo il libro dei ricordi con un sorriso e sono convinto più che mai che Arduino stia riportan-do nelle nostre case un qualcosa di molto bello ed utile, che sembrava sparito con l’avvento dei videoga-mes e dei computer, specialmente

per i ragazzi, dal momento che li impegna per giorni in cose intelli-genti che richiedono studio e tanta passione. Il post in questione mi ha anche ricordato la meravigliosa puntata di Report, in parte dedica-ta ad Arduino, della scorsa prima-vera e ho considerato che, proprio questo importante passaggio in stand alone di un progetto funzio-nante su Arduino, poteva anche essere occasione di guadagno. In-

I puntata

di Salvio Gigl io

Come rendere STAND-ALONE un progetto di Arduino

Il piacere di realizzare soli soletti un progetto svilup-

pato con Arduino e poi trasportarlo definitivamente

su un circuito stampato che abbiamo realizzato noi!

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ARDUINO

fatti, se pensate che il vostro pro-getto rappresenti una significativa innovazione tecnologica e ritenete che possa interessare a qualche azienda o voi stessi volete tentare la sua commercializzazione, dove-te inevitabilmente realizzare un circuito stampato e poi dotarlo della componentistica elettronica indispensabile al suo funziona-mento. Il prototipo vi servirà sia per il brevetto sia per le presenta-zioni presso le aziende a cui in-tendete venderlo. Molte Start-Up sono nate proprio così! Il rilievo del nostro progetto e lo sviluppo di un cliché per la sua stampa Il nostro primo obiettivo è la rea-lizzazione di un cliché cioè di una matrice da cui ricaveremo poi la nostra scheda stampata. Per fare questo dobbiamo renderci conto di come tradurre in piste di rame quei collegamenti volanti che ab-biamo realizzato sulla breadboard di Arduino, cosa che avverrà tra-mite un piccolo rilievo grafico del nostro progetto. Procuriamoci a tal proposito un blocco notes A4 qua-drettato, matite, gomma, due pen-ne biro con inchiostri diversi per distinguere le polarità del circuito

e che ci serviranno per ricalcare in bella copia lo schema finale, un righello, un metro flessibile da sar-ta e passiamo a disegnare su carta il circuito del nostro esperimento in due stesure diverse: con e senza componenti montati. Il primo ela-borato ci servirà per studiare la posizione dei componenti elettro-nici mentre il secondo ci farà capi-re in che modo dobbiamo realizza-re il circuito stampato per poterli collegare. Dai due bozzetti ricavia-mone un terzo, questa volta utiliz-zando il righello e la quadrettatura del foglio, ragionando in scala 1:1 e realizzando una bozza quotata della nostra scheda elettronica prima a matita e poi ricalcata con le penne di cui vi accennavo pri-ma. Finito di ricalcare, cancellate i tratti a matita. Dopo questa stesu-ra sarebbe opportuno riprodurre il tutto in un elaborato CAD molto preciso affinché la scheda defini-tiva sia affidabile e abbia un aspet-to professionale. Quale CAD sce-gliere? Una domanda che mi sono fatto anche io e le strade da segui-re sono veramente tantissime e dipendono dalle vostre doti grafi-che al PC. Teoricamente va bene qualunque tipo di software vetto-riale per ottenere il cliché neces-

sario alla stampa del circuito, per-sino il modulo di disegno contenu-to in Word! Se avete familiarità con AutoCAD o con qualunque al-tro programma di CAD tradiziona-le tanto di guadagnato… altrimenti, se avete un minimo di tempo da impiegare per imparare un buon software CAD dedicato proprio all’elettronica, vi consiglio KiCad che è una suite gratuita open sour-ce di software per il disegno di schemi elettrici e circuiti stampati della famiglia CAD EDA (Electronic Design Automation) sviluppato dal programmatore francese Jean-Pierre Charras. È un software con delle belle funzionalità, come l’edi-tor di schemi elettrici, il generato-re della distinta base per i compo-nenti nonché lo sbroglio circuitale del PCB. Quest’ultima funzione mira ad ottimizzare il vostro cir-cuito stampato, cercando di conte-nere il più possibile i suoi ingom-bri, tramite un attento posiziona-mento dei diversi componenti e curando il passaggio delle varie piste (anche di quelle che passano sotto i componenti) di cui è com-posto il vostro progetto. KiCad ha, tra l’altro, anche un buon visualiz-zatore di file Gerber che è il forma-to standard utilizzato per la produ-

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ARDUINO

zione dei circuiti stampati. Un file Gerber contiene informazioni per tracciare le connessioni elettriche, piste, fori vias1, la foratura e la fre-satura del circuito stampato. Ri-cordate in ogni caso una cosa mol-to importante e che vale sempre in campo elettrico ed elettronico: i componenti caldi del circuito non vanno mai addossati uno sull’altro per evitare surriscaldamenti ec-cessivi della scheda con conse-guenze dannose per il suo corretto funzionamento. Prevedete sempre una protezione a fusibili (per en-trambi i poli) per l’ingresso di ali-mentazione del vostro circuito: la spesa di pochi centesimi per un portafusibili e del relativo fusibile, non valgono il costo degli altri componenti e il tempo speso per realizzare il vostro progetto! Nella lista componenti prevedete anche un regolatore lineare di tensione a 5V.

Dopo la stampa e la prova del cir-cuito Immaginiamo per un attimo che abbiamo già realizzato la nostra sospirata scheda elettronica. La proviamo col beeper del nostro tester per verificare la continuità delle piste e dei fori vias e… FUN-ZIONA! Evviva, ma non è mica fini-ta qui! Come la mettiamo con i componenti? Scommetto che li volete prelevare direttamente dal-la breadboard di Arduino! No, per carità! Specialmente se siete alle prime armi vi consiglio di lasciarli lì fino al completamento e al col-laudo del circuito così potrete sempre confrontare il funziona-mento di quanto avete prodotto con quanto avete progettato. Vi suggerisco, invece, di compilare una bella lista, ordinata per cate-gorie (resistenze, condensatori, diodi, LED, connettori, morsetti, portafusibili, ecc.), di tutto il mate-riale necessario e, solo dopo che ve lo siete procurato e provato

TUTTO, passerete alla saldatura. Per quanto riguarda il processore, i chip di eventuali driver e circuiti stampati più piccoli (come gli shield Arduino) ricorreremo ai socket (zoccoli). Questi utilissimi componenti sono degli speciali tipi di connettore elettrico, con molti piedini e di varie forme, che vengono fissati sul circuito stam-pato e che ci permettono di instal-lare e disinstallare velocemente e manualmente, senza saldature, un circuito integrato, un circuito stampato più piccolo, ecc. realiz-zando così anche il collegamento elettrico tra i due componenti. Quando maneggiamo componenti elettronici è buona norma stare attenti alla presenza di eventuali cariche elettrostatiche che possia-mo produrre col nostro abbiglia-mento, specie se è sintetico, o in-dossando calzature con la suola isolante. Diventiamo dei veri e propri condensatori elettrici e la prova di ciò e quel sinistro crepitio

Tre schermate di KiCad: in alto la vista schema elettrico, al centro il visualizzatore di file Gerber e in basso il visualizzatore 3D

_______________________________________

1.Sono dei fori che si praticano nella scheda elettronica non per il collegamento dei componenti ma al solo scopo di mettere in comunicazione le piste di rame della faccia superiore del circuito con quelle della parte opposta. Dopo la loro realizzazione, questi fori saranno rivestiti galvanicamente dal rame che farà appunto da conduttore tra le piste presenti sulle due facce della scheda.

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ARDUINO

Lo spazio di lavoro deve essere ben illuminato, pulito, ventilato e privo di materiali infiammabili. Un braccialetto antistatico evita di far bruciare i componenti più sensibili con l’elettricità statica prodotta dal nostro abbigliamento

che possiamo ascoltare quando la sera ci svestiamo, togliendoci un capo in pile o in fibra sintetica; se siamo al buio addirittura possiamo intravedere quelle piccole scintille elettriche che scorrono lungo i no-stri vestiti quando li togliamo! Ec-co perché è sempre buona norma indossare capi non sintetici e pro-teggersi in queste occasioni con opportuni braccialetti antistatici che vanno collegati ad una buona massa metallica (MAI sul polo del-la terra dell’impianto elettrico do-mestico o ad elettrodomestici per-ché è molto rischioso), come ad esempio un termosifone, un rubi-netto, dei tubi idraulici a vista, ecc. Lo spazio destinato alla saldatura deve essere pulito e privo di mate-riali infiammabili. Proteggete con un foglio di multistrato o compen-sato il tavolo su cui lavorate, evite-rete liti in famiglia! Il locale deve essere sufficientemente ventilato durante la saldatura. Dopo aver saldato ordinatamente prima i vari socket (partendo sempre da quello più grande) passeremo alla salda-tura di tutti i componenti, verifi-

cando attentamente la loro polari-tà. Ricordate che al socket del pro-cessore è associato un clock, e cioè un quarzo da 16MHz, che colleghe-remo quanto più vicino possibile ai pin 9 e 10 del socket del proces-sore. Tra i piedini del quarzo e la massa del nostro circuito, deve essere prevista anche l’installazio-ne di una coppia di condensatori da 22pF facendo in modo che an-che il loro collegamento sia il più corto possibile! Ricordate che il numero del pin sul processore NON corrisponde MAI al numero del pin sulla scheda Arduino UNO, (ad es. il pin 13 di Arduino corri-sponde al pin 19 del processore). Al pin 7 collegherete l’alimentazione elettrica a 5V in CC proveniente dal regolatore lineare di tensione opportunamente protetto. Finita questa fase, verificheremo che sul-la scheda non ci siano impronte, pulviscolo, scorie di saldatura, pa-sta fissante, ecc. e passeremo al posizionamento prima dei chip più piccoli e, solo alla fine, installere-mo il processore Atmel ATMega-XXX (la sigla del processore che

abbiamo utilizzato sperimental-mente, solitamente 328) già pro-grammato. Per quest’ultimo avrete due possibilità di scelta: - estrarre il processore dal socket di Arduino UNO e montarlo su quello del circuito definitivo anche se poi sarete comunque costretti ad acquistare un secondo ATMega munito di bootloader2; - acquistare un processore vergine senza bootloader, inserirlo nel soc-ket di Arduino UNO e program-marlo usando un compilatore USB da collegare alla scheda stessa. Finalmente passiamo al PCB PCB è l’acronimo inglese di prin-ted circuit board che, in italiano, significa circuito stampato: il suo acronimo CS è molto utilizzato nei nostri ambiti industriali. La princi-pale funzione di un CS è il collega-mento elettrico e meccanico dei componenti e degli accessori in modo da costituire un sistema nel quale ogni componente trova una precisa posizione geometrica. Semplificando al massimo, si può dunque affermare che un CS è un

_____________________________________ 2. Nei processori ATMega esiste un settore riservato ai software “residenti” tra cui Bootloader. Quest’ultimo ha il compito di caricare all’avvio di Arduino un programma scritto da noi per un progetto nella giusta area del processore o di lanciarlo sempre nella giusta collocazione tramite sketch.

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ARDUINO

insieme di piste in rame "disegnate" su un supporto isolan-te i cui collegamenti stampati ser-vono per connettere tra loro i com-ponenti che costituiscono il cir-cuito elettronico stesso. Ci sono due tipologie di base di CS: a sin-gola e a doppia faccia; le facce so-no anche dette layer. Questa sud-divisione stabilisce se le piste di rame si trovano su una o su en-trambe le facce della scheda. Esi-stono tantissime tecniche per rea-lizzare circuiti stampati; in questi articoli però seguiremo quella tra-dizionale basata su metodi sempli-ci e ampiamente collaudati da in-tere generazioni di hobbisti: piste realizzate con la tecnica sottratti-va e ancoraggio componenti con foro passante e brasatura. Questi metodi sono a basso costo e facil-mente realizzabili a casa nostra. Prima di imparare a costruire un circuito stampato dobbiamo anzi-tutto conoscere da quali parti esso è composto nonché la loro funzio-ne.

Materiali per le schede Le schede ramate sono ricavate da grossi fogli di materiale isolante di circa 1,6 mm di spessore su cui è depositato, galvanicamente, uno o due strati da 35 micron di rame3 a seconda se si necessiti di una scheda a singola o a doppia faccia. I materiali isolanti principalmente impiegati sono due: resina fenolica (bachelite o

SRBP) che è un polimero ottenu-to per reazione tra fenolo e for-maldeide, più economico ma facilmente alterabile alle alte temperature;

vetronite (FR4 o vetro epossidi-co) che è un isolante composito, di colore verde traslucido, a base di fibre di vetro, disposte ortogo-nalmente fra loro e impregnate di resina epossidica, organizza-te in una apposita matrice di fabbricazione. Più costosa ma ottima per ogni applicazione.

Nei negozi di componenti elettronici troveremo basette vergini nel classico formato Eurocard da 100 x160 mm con uno o due strati di rame. Le schede vergi-ni hanno diversi nomi: schede ramate, cooper clad board, basette.

Schede a singola faccia Quando si devono realizzare CS con po-chi componenti si ricorre a delle basette a singola faccia. In queste esecuzioni, la faccia destinata ai componenti è definita lato componenti o top mentre quella de-stinata alle saldature è denominata lato rame o bottom. La componentistica elet-tronica, in questi casi, è vincolata alla scheda attraverso dei fori passanti la scheda da parte a parte, di adeguato dia-metro, che ospitano permanentemente i piedini dei vari elementi opportunamen-te saldati. Per designare questo metodo di applicazione dei componenti elettro-nici alle schede, gli inglesi hanno coniato l’acronimo THT da Through Hole Tech-nology cioè tecnologia a foro passante. In caso di circuiti abbastanza complessi, ma non al punto tale da richiedere l’ado-zione di una scheda a doppia faccia, si può ricorrere all’espediente dei jumper di rame (ponticelli) per scavalcare le piste e congiungere così elettricamente tutti i componenti. Schede a doppia faccia Quando un circuito stampato ospita nu-merosi componenti può essere vantag-gioso ricorrere ad una scheda ramata a due facce o dual layer. Lo sbroglio del CS

Da sinistra, una scheda in resina fenolica e con la superficie ramata; a destra, una scheda millefori in vetronite

3. Sul mercato, per applicazioni solitamente industriali, è possibile reperire anche schede con uno spessore di rame minore o maggiore ai 35 micron. Ad esempio, per circuiti con correnti molto elevate si ricorre a schede con rivestimenti di rame da 70 micron di spessore.

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con queste schede risulta molto più semplice poiché ci permette di stabilire il lato su cui è più conveniente far passare i vari segnali generati dai componenti. In queste realizzazioni, la foratura della scheda è una fase molto importante della progettazione del circuito poiché bisogna assolu-tamente evitare sia pericolose interferenze tra i circuiti presenti sulle due facce, sia corto circuiti con forature errate. Oltre ai fori di fissaggio, su queste schede è possibile riscontrare dei fori di vias: simili ad un rivetto metallico, con rivesti-mento ottenuto per deposito galvanico di rame, essi servono per la connessione elettrica delle piste presenti tra le due facce. Non sono di facile realizzazione a livello hobbistico e, per questo, vengono sostituiti da un semplice foro passante tra le due piste che si intende collegare. In esso verrà incastrato qualche millimetro di conduttore unipolare di rame rigido (come ad esempio quello che fa da anima nei cavi per antenne TV) succes-sivamente saldato sulle relative piazzole. Vedi TAV. 1. In commercio esistono anche opportuni microrivetti per realizzare questo tipo di connes-sione. Nelle prossime puntate spiegheremo an-cora più dettagliatamente la realizzazione delle schede, nel frattempo esercitatevi con Arduino e KiCad!

ARDUINO

TAV. 1 - Elementi essenziali di un CS ad UNA e DUE facce 1 e 2 Un CS ad una faccia ed i relativi particolari della sche-da. 3. Un CS a doppia faccia

4. Dettaglio di foro VIAS sezionato con rivestimento in rame. 5. Un foro VIAS realizzato con un apposito rivetto metallico. 6. Foro VIAS vuoto e assemblato con uno spezzone di ca-vetto unipolare rigido di rame

1

2

3

4

5

6

Continua

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ARTE

S pesso dimentichiamo di vivere nel più grande mu-seo a cielo aperto del Mondo. Noi italiani cono-

sciamo solo il nome di qualche grande maestro del passato e spesso sono i turisti a sorprender-ci: mi è personalmente accaduto che amici tedeschi conoscevano opere, musei e monumenti di Na-poli di cui noi ignoravamo l’esi-stenza! Eppure anche la storia dell’arte italiana è avvincente e ricca di personaggi che definire eclettici è poco e, tra i tanti famosi, ancor meno conosciamo i minori! Parlo per me e faccio riferimento ai due fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo il cui vero cognome è Benci. Romani, vissuti nel 1400, sono stati artisti a tutto tondo e al maggiore dei due sono attribuite tante opere pittoriche, sculture e anche pregiatissimi pezzi di fine oreficeria. In realtà su questi due personaggi la confusione è tanta e le differenze veramente poche: sin dai tempi del Vasari, il primo a creare confusione come giusta-

mente afferma il noto storico con-temporaneo dell’arte Aldo Galli, le attribuzioni errate hanno padro-neggiato su manuali ed enciclope-die. Una bella occasione, per am-mirare quattro capolavori pittorici dei due fratelli romani, la offre il Museo Poldi Pezzoli a Milano dal 7 novembre 2014 al 16 febbraio 2015 con l’esposizione di quattro ritratti di dame. Un modo per confrontare l’operato artistico dei Pollaiolo nell’ambito della loro bottega fio-rentina della seconda metà del Quattrocento italiano. Uno sforzo enorme per questo museo che, grazie anche al sostegno della Fondazione Bracco, propone tutti e quattro gli straordinari Ritratti femminili annoverati tra i capola-vori della ritrattistica fiorentina dell’epoca. Essi sono conservati alla Gemäldegalerie di Berlino, al Metropolitan Museum di New York, a Firenze nella Galleria degli Uffizi, oltre che presso questo mu-seo milanese dove la Dama costi-tuisce una delle opere-simbolo più celebrate. Il maggiore dei due fra-telli, Antonio, era anche il più ta-lentuoso e, infatti, il museo pre-senterà anche una serie di dipinti, sculture, disegni, incisioni, orefi-cerie e ricami. Essi daranno piena-

mente conto del talento multiforme dell’artista esteso all’attività della sua bottega, simbolo di una delle tan-tissime paroles appartenenti a quelle Corporazioni di Arti e Me-stieri italiane che si perdono in tempi remoti e che sono una straordinaria espressione della capacità tecnica e dell’inventiva raggiunte dall’alto artigianato fio-rentino nel pieno Rinascimento. Le attività artistiche di Antonio e Piero palesano la sostanziale in-differenza dell'ambiente artistico fiorentino verso le influenze pro-venienti dall'esterno. I Pollaiolo, infatti, rielaborano, secondo i pro-pri gusti personali e i loro ideali il linguaggio del Masaccio e del Bru-nelleschi. C’è qualcosa, se si sa leggere tra le righe delle loro ope-re, che caratterizza maggiormente le opere di Antonio mettendole in perfetto contrasto con lo stile del fratello minore Piero. Quest’ultimo tendeva ad una sua ricostruzione assolutistica e simbolica del mon-do, quasi nell’intento di offrire cer-tezze su solidi valori immutabili, celando quanto di mutevole possa esistere nella natura. Viceversa Antonio tese sempre ad esaltare questa mutevolezza, il divenire incessante di ogni cosa rappresen-

Le quattro dame dei fratelli Pollaiolo

1. Piero del Pollaiolo (?), Ritratto femminile, tavola 45,5x32,7 cm, Milano, Museo Poldi Pezzoli; 2. Piero del Pollaiolo (?), Ritratto femminile, tavola 45,5x32,7 cm, Berlino, Gemäldegalerie; 3. Antonio del Pollaiolo, Ritratto femminile, tempera su tavola 48,9x35,2 cm, New York, The Metropolitan Museum of Art; 4. Antonio del Pollaiolo, Ritratto femminile, tavola 55x34 cm Firenze, Galleria degli Uffizi

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di Salvio Gigl io

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2020

ARTE

Per impreziosire quattro vesti liturgiche con ricami di trenta storie della vita di San Giovanni Battista, una squadra internazio-nale di ricamatori lavorò per oltre vent’anni. In questa pagina uno dei ricami realizzati su di un disegno di Antonio Pollaiolo.

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ARTE

tato attraverso la riscoperta del dinamismo dell'arte classica. Egli comprese, infatti, che gli antichi non si erano semplicemente limi-tati a raffigurare corpi ben propor-zionati, solidi e plastici, ma anche a rendere il senso di movimento

delle loro azioni. All’iniziativa ar-tistica del Poldi Pezzoli partecipe-rà anche il Comune di Milano e altre istituzioni cittadine realiz-zando dei percorsi tematici comu-ni. Si sono resi partners del museo per questo progetto, istituzioni

prestigiose come l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il Museo del Louvre di Parigi, la National Galle-ry di Londra e il Museo Nazionale del Bargello di Firenze.

Antonio del Pollaiolo, Progetto per un monumento equestre a Francesco Sforza, 1484 (o 1474 - 1476), gesso nero, penna e inchiostro bruno, mm 224×216. Monaco di Baviera, Staatliche Graphische Sammlung

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AUTOMOTIVE

S alve a tutti! Voglio pre-sentarvi l'ultimo modello che ho realizzato per il mio brand: la Enteles No-

dachi 2014. CATEGORIA Studiata nei minimi detta-gli per quanto riguarda la disposizione di spazi in-terni ed esterni, la Nodachi si propone con 4,83 metri di lunghezza, meno lunga rispetto alla CL, ma capace di mantenere comunque uno spa-zio rispettabilissimo all'interno. Con l'impostazione tre porte e una coda leggermente prolungata, po-trebbe essere definita una fast-back ma l'impostazione che la car-rozzeria assume la lascia rientrare nella categoria delle grandi coupé, note per le alte prestazioni. UNA NODACHI PER TUTTI La Nodachi, diversamente dalle avversarie, cerca di proporsi in maniera più completa possibile,

offrendo anche allestimenti a bas-so costo, per andare incontro al grande pubblico, e puntando so-prattutto sui primati che quest'au-tovettura può conquistare grazie alle accurate scelte svolte in ambi-to tecnico. Non tradisce gli appas-sionati grazie ad allestimenti mol-to particolari che richiedono gran-de manutenzione, a fronte però di prestazioni superbe. Un'auto quin-di per tutti.

PERCHÉ 2014? Perché si chiama 2014? Che biso-gno c'è di scriverlo? Perché la No-dachi in questione è una versione moderna di una gran coupé realiz-zata negli anni Novanta, la Shogun Nodachi, presente sulla Warehou-se con il superbo allestimento Ri-sing Sun. La Nodachi ha immedia-tamente riscosso successo tra gli appassionati: qualcuno addirittura si è divertito a farne versioni da Touring; altri, invece, privatamen-

te mi hanno chiesto di rifare il mo-dello. Come si fa a contraddire un fan della propria auto? ESTETICA L'estetica è il segreto del successo della Nodachi. Ecco perché. FASCIA FRONTALE Del modello degli anni Novanta, la Nodachi 2014 ha mantenuto il frontale inclinato, mentre i fanali

sono stati allargati per do-minare, con uno sguardo imponente e aggressivo, la scena della strada. Il pa-raurti utilizza rifiniture metallizzate e possiede una fascia inferiore larga-

mente ribassata. DETTAGLI ANTERIORI Il marchio Nodachi e lo stemma della Enteles, incastrati tra i fanali, spiccano molto, quasi a indicare la firma di quest'autovettura. Sul co-fano vi sono dei pannelli traspa-renti che, similmente al Theatre View di altre autovetture, respin-gono i raggi solari impedendo il surriscaldamento delle parti illuminate.

di Lorenzo Caddeo

Enteles Nodachi 2014

La Nodachi si propone come un coupé di grandi

dimensioni, rivaleggiando la BMW Serie 6 e la

Mercedes CL, ma adottando delle soluzioni ben

lontane dall'ostentato lusso delle avversarie tede-

sche.

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AUTOMOTIVE

FIANCATA La Nodachi, come la sua antenata, porta sul fianco tagli e rifiniture che le conferiscono un senso di velocità anche da ferma. Le portie-re sono un mix di elementi perfet-tamente coniugati tra loro e l'inte-ra solidità della carrozzeria viene messa bene in risalto dalle notevo-li bombature del posteriore e della fascia inferiore. POSTERIORE La soluzione proposta dalla Ente-les, per quanto riguarda il poste-riore, è quella di riunire tutti i det-tagli in un unico scomparto. I fa-nali, le luci di posizione integrate sulla fascia nera (la cui valenza è solo estetica), la targa, le varie si-gle sono tutte riunite in uno spazio ricavato dal posteriore che appare così quasi "scavato". Il paraurti posteriore ha altre luci di posizio-ne, che ne accentuano la sportività e che risultano utili in strada so-prattutto in orari notturni, e una placca nera opaca (diffusore dell’auto) contenente l'uscita delle marmitte. Quest’ultima, mediante delle barre, ottimizza al meglio il

deflusso dell'aria, sfruttando l'ef-fetto Venturi. INTERNO Nonostante la struttura apparente-mente elegante, la Nodachi è stata pensata con uno stile minimalista, volto ad aumentare la semplicità d'utilizzo riunendo varie funzioni nel minor numero possibile di componenti . Il cruscotto è total-mente elettronico, equipaggiato di tachimetro capace di indicare la marcia inserita e di suggerire il momento ottimale per il cambio a seconda delle impostazioni scelte dal computer (risparmio benzina, guida sportiva o guida pulita). Il contagiri, infatti, oscilla dal verde al rosso, per indicare il momento in cui è consigliato cambiare mar-cia. Il numero di giri appare sulla fascia verde del contagiri stesso, in modo che il movimento degli occhi si riduca il più possibile, evi-tando così cali di concentrazione durante la guida. DAI DUE POSTI IN POI Nonostante l’impostazione sobria, con solo due posti, il tetto della Nodachi, anche se abbastanza

basso, può prevedere l’inserimento di un divanetto posteriore ribalta-bile che sacrifica solo una minima porzione di spazio della grande vettura. INSOLITA E COMUNE La forma della Nodachi è piuttosto comune a livello mondiale, con un assetto abbastanza sportivo e un corpo vettura grande che esprime velocità e robustezza allo stesso tempo. Allo stesso tempo, però, risulta insolita per le soluzioni estetiche previste, come la bomba-tura posteriore, notevole e tipica degli anni Novanta ma comunque ancora in voga, e lo sguardo magne-tico che il frontale riesce a trasmettere. DISTRIBUZIONE PESI Su quest'autovettura è stata rivolta particolare attenzione nella distri-buzione dello spazio e dei pesi . Il motore montato in posizione FM (Front-Mid), ossia tra l'asse delle ruote e l'autista, centra il peso dell'autovettura sull'interasse, mi-gliorando le prestazioni e il con-trollo della macchina stessa. Il rapporto di pesi è portato quindi a 55%-45%.

Il coloratissimo cruscotto della Nodachi 2014 dalle forme essenziali e minimalistiche

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AUTOMOTIVE

SPAZIO INTERNO L'abitacolo è confortevole, comodo e quindi dello spazio interno è dif-ficile lamentarsene. Il bagagliaio posteriore ha a disposizione il maggiore spazio possibile, grazie alla soluzione del paraurti ribassa-to. Il portellone, col vetro incluso, garantisce all'autista di poter tra-sportare con sé, con estrema co-modità, qualsiasi oggetto si voglia. CONSUMI E PESO Il 70% dei consumi di un'auto è dato dalla sua massa e dal bilan-ciamento dei pesi. L’assetto di questi ultimi permette, unitamen-te al tetto costruito in lega, un peso complessivo dell'autovettura di soli 1400kg. La versione Rising Sun dispone per il tetto di parti costruite in fibra di carbonio, così come anche alcuni pannelli della carrozzeria, determinando

un peso complessivo di 1340kg. MOTORI E PRESTAZIONI Una delle motorizzazioni importa-te dalla precedente versione è il 2.2L L4 DOHC. Quattro cilindri, se-dici valvole, montato longitudinal-mente, doppio albero a camme con una cilindrata di tutto rispetto, col-locato sempre prima dell'asse del-le ruote. PIACERE, SONO DOC! No, non è un errore: non ho dimen-ticato la H! IL DOHC deriva da quello usato nella Nodachi, con delle modifiche, anche molto con-sistenti, che l'hanno cambiato senza, tuttavia, stravolgere il pro-getto originale! Quest’ultimo era infatti aspirato, come tutti i motori dell'epoca. Il DOHC in questione, invece, utilizza un intercooler e un turbo con filtro dell'aria apposita-

mente costruito su misura e con materiali scelti apposta per otti-mizzare la fase di aspirazione. LA TRAZIONE VALE PER TUTTI! Come la legge, anche la trazione è uguale per tutti... i motori scelti. Il motore è montato frontalmente, mentre la trazione è posteriore sfruttando quindi un albero di tra-smissione che trasferisce la tra-zione e la potenza erogata dal mo-tore alle ruote posteriori. I NUMERI DEL DOHC Il DOHC utilizzato ha quattro cilin-dri, sedici valvole anche se dispo-nibile con diverse cilindrate: si parte dal 1.2L che eroga 90cv, per passare poi al 1.6L con 145 cv e l'appetitoso 2.2L Turbo, disponibi-le benzina o diesel, cambio auto-matico o manuale, con un numero

Tre snapshot, tratti dal modello di Lorenzo Caddeo, della Enteles Nodachi 2014 non renderizzata; le immagini restituiscono subito la pulizia del disegno piacevolmente retrò

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AUTOMOTIVE

Hydrogen propelled double Wankel engine

Ecco come Daniele S., autore di questo modello, descrive la sua creazione: “In un futuro prossimo, quando i combustibili fossili non saranno più disponibili ma la propulsione dei veicoli sarà ancora legata ai motori a combustione interna, questo propulsione ad idrogeno basato sul mo-tore Wankel potrebbe rappresentare una valida soluzione. Questo progetto prevede due motori ciascuno dei quali è a doppio rotore che adoperano come combustibile l’idrogeno più efficiente ed ecologico. Gli iniettori sono stati ubicati in modo da mantenere l’idrogeno ad alta pressione ed evitare che potesse bru-ciare prima di raggiungere la camera di combustione. L'olio lubrificante è, invece, iniettato direttamente nel collettore di aspirazione e il suoi effetto inquinante può essere eliminato tramite un convertitore cata-litico. I collettori di aspirazione e scarico sono stati pensati per essere seguiti da due turbocompressori in modo da migliorare l'efficienza del motore.”. (Traduzione ed adattamento dal testo originale in inglese). Per visualizzare in anteprima 3D dinamica il modello e fare il download utilizzate questo indirizzo: https://3dwarehouse.sketchup.com/model.html?id=b54a18883bd8134ad66d6c39dbee7fc9

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AUTOMOTIVE

di cavalli che resta lo stesso: 220CV a 6000 giri al minuto (rpm). IL NUOVO MOTORE DELLA ENTELES La Nodachi è una vettura rivolu-zionaria in quanto non si ferma a queste motorizzazioni interessanti ma comunque classiche. Infatti è il primissimo modello a montare il rivoluzionario OHV (valvole in te-sta) V6 Tsubasa, progettato diret-tamente da me e che, rispetto al V8 usato nella Nodachi nordame-ricana degli anni Novanta, è più grande (3.2L).

I NUMERI DEL V6 TSUBASA Il nome Tsubasa, in giapponese, significa ali e il V6 vuole esprime-re proprio questo senso di libertà. Per migliorare il regime, è stato adottato un doppio albero a cam-me che viene integrato, negli alle-stimenti più onerosi, da un doppio turbo. Il V6 Tsubasa è superiore al DOHC, dal momento che richiede una manutenzione minima nono-stante l’elevata potenza erogata, a fronte solo di una cilindrata mag-giore. SPIEGARE LE ALI Il 3.2L V6, disponibile anche con cilindrata ridotta (2.4L), ha una buona risposta e da all’utente la sensazione di essere costante-mente in movimento anche da fer-mo, col motore al minimo. Il 3.2L V6 è consacrato alla guida sporti-va, con 345 cavalli erogati a

7600rpm. Il 2.4L, fratello minore, eroga "solo", si fa per dire, 280 ca-valli a 5500 rpm. PER I VERI SPORTIVI PERÒ… Siamo arrivati al motore che farà discutere i lettori... una scelta par-ticolare che mette a confronto tan-ti pro e contro. WANKEL KINESIS Per l’appunto il motore più appeti-toso in assoluto della Nodachi è un quattro rotori Wankel Kinesis, mi-gliorato nella lega con cui è co-struito il rotore e nell'efficienza dello statore stesso. La dimensio-ne del motore è di appena 3.1L, una cilindrata contenuta. Grazie ai di-versi accorgimenti adottati nella scelta delle leghe per i vari compo-nenti del Wankel, la Nodachi inau-gura così uno dei motori più bilan-ciati e potenti. I cavalli erogati sal-gono così a 500 a 9000rpm, un nu-mero di giri alto per essere un Wankel: per questo dobbiamo però rin-graziare l'adozione di quattro rotori. CONSUMI LIMITATI Il peso della Nodachi con il Wankel si riduce e le vibrazioni inoltre vengono pressoché annul-late, dal momento che le parti in movimento sono poche. L'adozio-ne di un sistema refrigerante inol-tre fa sì che le escursioni termiche subite dai componenti del motore (il rotore in primis) siano più mor-bide possibili. SVANTAGGI RIDOTTI L'unico svantaggio del Wankel re-sta l'emissione di CO2, mentre l'e-missione di ossidi di azoto è molto limitata. Nonostante ciò, è stato dimostrato che è inutile utilizzare carburante con additivi su un Wankel, visto che è refrattario alla detonazione. Al giorno d'oggi, le benzine usano additivi per aumen-tare il N.O. ma è stato dimostrato che un Wankel con additivi che

vanno da 50 a 100 eroga sempre la stessa potenza. ACCORGIMENTI Affermare che il Wankel è più in-quinante di altri motori è una frase fatta. Il Wankel della NSU Ro80 lo era sicuramente. Il Wankel Kinesis della Nodachi sicuramente molto meno. La marmitta catalitica adot-tata, infatti, brucia gli idrocarburi incombusti e, grazie alle tempera-ture di combustione più basse, ri-duce l'emissione di ossidi di azoto, estr ema mente inquina nti . SORPRESA IDROGENATA Sulla Warehouse, ho scovato il progetto di un ragazzo (Daniele S. N.d.R.) che ha creato un propulso-re Wankel quadri rotore a idroge-no. Così ho deciso di sponsorizzarlo sul-la Nodachi che sarà presto disponibile con la versione Tipo Idrogeno. CONCLUSIONI La Nodachi è frutto di un progetto su cui ho speso molto tempo e che ha richiesto un enorme impegno. Anche l’allestimento motoristico è stato minuziosamente curato, caso per caso. Analogamente è stata considerata e trattata la distribu-zione dello spazio. Spero che il progetto vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate! La Nodachi non è un'auto che guarda al passato. Come il dio ro-mano Giano guarda al passato e al futuro, cercando di accontentare entrambe le parti.

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Sei STANCO di GUARDARE

queste scene in TV…

BASTANO SOLO

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

D opo aver parlato di coge-nerazione, sembra dove-roso rivolgere lo sguar-do ai generatori elettrici

azionati dalle turbine a gas, pro-prio come quelli installati nella nuova centrale elettrica imolese della Hera. Questa centrale appar-tiene, per definizione, alla catego-ria delle centrali termoelettriche a ciclo combinato grazie alla presen-za dei due gruppi turbogas della Turbomach, che ha allestito le uni-tà di generazione elettrica con tur-bine Rolls-Royce (mod. RB 211-T) opportunamente collegate a degli alternatori da 15kV, 30MWe pro-dotti dalla Brush. Questi gruppi turbogas sono dei propulsori ascri-vibili alla famiglia dei motori a

combustione interna. Essi sono impiegati per trasformare l'ener-gia chimica del metano in energia meccanica che si rende disponibi-le, sotto forma di potenza, al suo albero motore e può essere impie-gata in svariati campi come la lo-comozione e l’azionamento di: ae-rei, treni, navi, ge-neratori elettrici, veicoli industriali di grandi dimen-sioni, veicoli mili-tari, autoveicoli, ecc. Passiamo adesso a distinguere gli elementi basilari costituenti un gruppo tur-bogas: il compressore radiale, calettato

sullo stesso albero della turbi-na;

la camera di combustione si-tuata tra il compressore radiale e la turbina;

la turbina. Ogni insieme formato da compres-

sore, turbina e albero costituisce uno spool. Un gruppo turbogas, per sommi capi, funziona in questo modo: il compressore aspira l'aria esterna, la comprime e la immette nella camera di combustione ove viene miscelata col combustibile. L’ossidazione di quest’ultimo de-

termina un aumento dell'entalpia, ossia della corrente gassosa, che continua la sua corsa passando attraverso gli stadi della turbina cedendogli quell’energia generata dalla sua espansione. Il ciclo di Brayton descrive il funzionamento ideale delle turbine a gas in cui l’aria è compressa isoentropica-mente; la combustione avviene a pressione costante e l’espansione nella turbina, generata anch’essa

IV ed ultima puntata

di Salvio Gigl io

La cogenerazione con i gruppi turbogas

Non a caso gli impianti che, ottimizzandolo, sfruttano

il recupero di calore sono definiti impianti combinati,

dal momento che abbinano il ciclo Brayton-Joule del

turbogas con quello Rankine della turbina a vapore.

Fig. 1, spaccato di un tipico gruppo turbogas aeronautico (General Electric J85). 1) stadi del compressore; 2) camere di combustione e albero motore; 3) i due stadi di turbina. (Foto Wikipedia)

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

Diagramma 1,confronto sul piano T-S tra un ciclo Brayton ideale (linea conti-nua) e reale (linea tratteggiata). C: Compressore - T: Turbina - B: Camera di combustione.

Diagramma 2,rappresentazione sul piano T-S tra un ciclo Rankine ad alta e bassa pressione (compressioni ed espansioni non isoentropiche).

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isoentropicamente, giunge fino alla pressione di aspirazione. Nel ciclo reale accade invece che: la compressione non è isoentro-

pica, poiché è necessario un maggiore lavoro di compressio-ne per ottenere la stessa pres-sione di uscita;

la stessa espansione non è isoentropica dal momento che c’è minore lavoro di espansione disponibile a parità di pressio-ne di uscita;

le perdite di carico in camera di combustione riducono notevol-mente il salto di pressione di-sponibile per l’espansione e quindi anche il lavoro utile.

In ogni caso, valgono le considera-zioni fatte per qualsiasi altra mac-china termica, in cui un'alta tem-peratura di combustione produce un alto rendimento, come dimo-strato dal ciclo ideale di Carnot. Ricorderete, infatti, che esso dimo-stra che il rendimento sarà elevato quanto maggiore sarà la differenza tra le temperature massima e mi-nima del ciclo stesso. Il limite è legato alla tecnologia dei materiali che costituiscono la macchina cioè alla loro capacità di resistere sia al creep, lo scorrimento viscoso della corrente gassosa ad alta tem-peratura, sia alle elevatissime sol-lecitazioni meccaniche a cui sono sottoposte. Oggi, di conseguenza, la ricerca è tutta concentrata verso lo sviluppo di nuove tecniche per migliorare il raffreddamento dei componenti dei gruppi turbogas, come ad esempio le palette della turbina che sono tra quelli più sol-lecitati, per consentire loro di resi-stere in regime continuo a tempe-rature superiori ai 1300 °C. Nel ca-so delle nostre turbine di Imola, viene anche recuperato il calore allo scarico, altrimenti disperso inutilmente nell’ambiente, attra-verso dei rigeneratori (scambiatori di calore in grado di trasferire il calore dei gas di scarico all’aria compressa) prima della combu-

stione. Nella configurazione del ciclo combinato della centrale, la caldaia a recupero trasferisce il calore ad un sistema che alimenta poi una turbina a vapore. Inoltre, trattandosi di un sistema di coge-nerazione, il calore recuperato ser-ve per produrre anche l’acqua cal-da. Non a caso gli impianti che, ottimizzandolo, sfruttano questo recupero di calore sono definiti impianti combinati, dal momento che abbinano il ciclo Brayton-Joule del turbogas con quello Ran-kine della turbina a vapore. Nascita delle applicazioni indu-striali dei gruppi turbogas L’idea di un progetto per uso indu-striale di una turbina a gas comin-ciò a crescere subito dopo la se-conda guerra mondiale e coinvolse numerose case costruttrici, euro-pee, statunitensi ed asiatiche, già produttrici di turbine a vapore per applicazioni industriali: Brown Boveri, Sulzer, General Electric, Westinghouse, Mitsubishi, IHI, ecc… I progettisti dell’epoca, che avevano lavorato negli ultimi anni prevalentemente per l’industria bellica, si resero subito conto che la turbina a gas per uso industria-le, collocata ora in impianti fissi, doveva avere requisiti molto diver-si da quelli per le applicazioni per uso militare. Anzitutto, dato l’as-setto economico dell’immediato dopoguerra, rispetto ad un’applica-zione militare una macchina indu-striale doveva costare di meno e durare molto molto di più! Il primo problema fu risolto riducendo le dimensioni frontali della macchi-na, anche se questo avrebbe com-portato, tuttavia, una riduzione della portata di fluido evolvente. Per compensare questa perdita, si decise così di ottimizzare il lavoro utile per unità di massa di fluido (Lur = Δhur) diminuendo i valori del rapporto di compressione. Do-po le primissime esperienze, la nuova tecnologia cominciò a cre-

scere e, nel corso degli anni, i pro-gettisti si resero conto che, anche se si operava con rapporti di com-pressione non molto elevati, si realizzavano comunque delle tem-perature allo scarico più alte. Da qui il passo verso la nascita degli impianti combinati fu davvero molto breve! Infatti, l’elevata tem-peratura dei gas di scarico, aspetto inizialmente deleterio dei gruppi turbogas industriali, diventava ora per loro un vero e proprio punto di forza, poiché garantiva ottime pre-stazioni in combinazione con tur-bine a vapore. La durata e l’affida-bilità delle turbine industriali furo-no risolte semplicemente aumen-tando il dimensionamento degli apparati rispetto alle applicazioni militari ed aeronautiche. In defini-tiva, una macchina industriale è molto meno sollecitata termica-mente e meccanicamente perché deve ruotare molto di meno e, inol-tre, ha maggiore spazio a disposi-zione rispetto a quelle di altri cam-pi di applicazione. Oggi come allo-ra, i progettisti che si occupano di questo tipo di generatori hanno una maggiore libertà d’azione per quanto riguarda alcuni parametri progettuali correlati al posiziona-mento e alla dimensione della ca-mera di combustione. Questo com-ponente dell’impianto, infatti, spesso è unico per ogni applica-zione e può essere disposto anche verticalmente. In virtù delle loro particolari caratteristiche, le ca-mere di combustione per apparati industriali possono impiegare an-che combustibili di minor pregio rispetto a quelli utilizzati nei tur-bogas aeronautici. Per migliorare poi, sensibilmente, il livello del rendimento dell’apparato, conside-rando i valori di temperatura che lo caratterizzano, si ricorse alla tecnica della rigenerazione dei gas di scarico, oggi connotazione fon-damentale di questi gruppi. Da po-chi anni, vista la grande affidabili-tà raggiunta dalle turbine a gas

BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

TAV. 1. Tipologie principali di impianti turbogas a ciclo combinato

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

aeronautiche, alcuni costruttori hanno allestito speciali gruppi tur-bogas industriali modificando im-pianti aeronautici in cui l’ugello di scarico non è presente ed è sosti-tuito da un’ulteriore turbina di po-tenza che ha lo scopo di azionare l’utilizzatore: questo è proprio il caso dei gruppi Turbomach instal-lati dalla HERA ad Imola. Questi apparati innovativi trovano impie-go in tutti quei casi in cui il valore del rendimento dell’impianto as-sume un peso rilevante. Le dimen-sioni delle turbine industriali par-tono da impianti mobili trasporta-bili su camion sino ad apparati di elevata complessità, del peso di oltre 400 tonnellate, installati in ambito navale ed industriale. Le turbine di potenza di queste gran-di machine ruotano tra i 3000 ed i 3600 giri/min., a seconda della fre-quenza elettrica della rete da ali-mentare ed evitando così la neces-sità di adottare un riduttore. I fat-tori che incidono notevolmente sulla scelta di una turbina a gas a ciclo semplice rispetto ad un grup-po turbogas combinato sono: il costo di investimento inizia-

le molto più contenuto; il minor tempo di costruzione

degli impianti che va da poche settimane ad alcuni mesi per il ciclo semplice, contro gli anni di quello combinato;

la maggiore velocità nell’ac-censione e spegnimento, che richiede solo pochi minuti e che consente, quindi, di far fronte a picchi di richiesta re-pentini.

Tipologie impiantistiche delle cen-trali turbogas combinate Per capire meglio il funzionamen-to di una centrale a ciclo combina-to, proviamo a scomporla nei suoi elementi più semplici: una centra-le a gas e una centrale termoelet-trica tradizionale. Delle centrali a gas a ciclo semplice già sappiamo che, nella sezione di "scarico" del

calore verso l'esterno, i prodotti della combustione emessi hanno ancora un’elevata aliquota termica e sono, quindi, potenzialmente e ulteriormente sfruttabili. Delle centrali convenzionali termoelet-triche ricorderemo, sicuramente, che esse sfruttano una sorgente di calore sufficientemente elevata per creare del vapore ad alta pres-sione per azionare una turbina. Nella nostra centrale a ciclo com-binato, avremo che i gas di scarico, emessi dal ciclo Joule dopo essere passati nella turbina a gas ed aver prodotto la quantità di lavoro mec-canico richiesto, finiscono all'in-terno di uno scambiatore di calore per essere riutilizzati nella fase di riscaldamento, evaporazione dell'acqua ed espansione del vapore all'interno della turbina del ciclo Rankine. La principa-le connotazione del ciclo combi-nato sta proprio in questa differen-za di temperature caratteristiche tra i due cicli termodinamici. Que-sti impianti vengono anche defini-ti unfired, per la presenza di una caldaia a recupero senza bruciato-ri ausiliari. Quando invece i gas di scarico della turbina sono usati come comburente nei bruciatori della caldaia, gli impianti vengono definiti fired. Anche gli impianti turbogas combinati hanno delle tipologie costruttive che possono essere così riassunti: A. impianto combinato a recupero semplice, in cui tutta la potenza elettrica è generata dal lato gas, la quantità di vapore prodotto è de-terminata direttamente dall’uten-za e la combustione avviene in eccesso d’aria. La potenza termica disponibile è totalmente legata alla potenza elettrica; parzializ-zando il motore, si riducono en-trambi i flussi di energia in uscita. B. Impianto combinato con turbina a vapore a contropressione, in cui la generazione elettrica avviene sia sul lato gas che quello vapore con pressioni comprese tra i 40 e i 70 bar e temperature oscillanti tra

i 450 e i 500 °C. C. Impianto combinato con turbina a vapore a condensazione: in que-sto impianto avviene una produ-zione in eccesso di vapore che vie-ne parzialmente utilizzato per ali-mentare una seconda turbina a bassa pressione; a valle delle due turbine, un condensatore recupera il vapore e lo immette in una torre di raffreddamento. D. Impianto combinato con turbina a vapore e iniezione di vapore: in questo caso il vapore in uscita dal-la turbina prosegue verso la came-ra di combustione per fornire un ulteriore apporto calorico. Tra i tanti vantaggi di questo tipo di tecnologia prevale il minor con-sumo di combustibile fossile a pa-rità di energia prodotta: questo perché solo nella fase di riscalda-mento del ciclo a gas avviene una combustione di gas naturale (o altri combustibili); la fase di eva-porazione nel ciclo Rankine è ori-ginata dal recupero del calore di-sponibile nei gas di scarico della centrale a gas. In questo modo, con una minor quantità di combustibi-le, il rendimento dell'impianto au-menta se consideriamo il rapporto tra lavoro ottenuto e energia con-sumata (sotto forma di combusti-bile). Per una centrale termoelet-trica tradizionale, infatti, il rendi-mento oscilla intorno a valori del 40% mentre in una moderna a ci-clo combinato il rendimento supe-ra sempre il 50%, con punte del 60%.

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CINEMA E ANIMAZIONE

Tartarughe Ninja

I l prossimo 18 settembre arriva nei cinema italiani, dopo il debutto USA dell'8 agosto, il reboot live-action Tartarughe

Ninja, ispirato ai personaggi delle Tartarughe Ninja creati da Peter Laird e Kevin Eastman, che riporta i quattro eroi mutanti sul grande schermo a 30 anni di distanza dal-la pubblicazione del primo fumet-to. Si tratta del quarto film live-action, dopo la trilogia anni '90 e il film d'animazione in CG TMNT diretto nel 2007 da Kevin Munroe, dedicato alle celebri tartarughe. Esso si pone come una sorta di re-make del primo film, Tartarughe Ninja alla riscossa del 1990, mante-nendo, tra l'altro, lo stesso piacevo-le look dark. Il film, girato tra New York e la California, mescola sa-pientemente riprese live e CGI 3D ed è stato diretto da Jonathan Lie-besman, già regista de "La Furia dei Titani", che, con l'aiuto di An-dré Nemec, ha curato anche la sce-neggiatura. Il film viene ripreso con la tecnica della motion captu-re, mentre gli effetti speciali del film sono curati dalla Industrial Light & Magic; è il primo film sulle Tartarughe Ninja ad uscire in 3D. Le "turtles" realizzate, come abbia-mo detto, in CG e motion-capture sono interpretate da Alan Ritchson (Raffaello), Pete Ploszek (Leonardo), Jere-my Howard (Donatello) e Noel Fisher (Michelangelo) mentre il veterano Wil-liam Fichtner è la nemesi Shred-der. Il cast include anche Megan Fox nei panni della giornalista April O'Neil, Will Arnett in quelli del cameraman Vernon Fenwick e Whoopi Goldberg che, invece, sarà Bernadette Thompson, personag-

gio che, già dal nome, ricorda una versione al femminile di Burne Thompson, il boss del canale tele-visivo per cui lavorava April nella serie tv d'animazione anni '80. Questo film è stato concepito per accontentare una platea trasversa-le, per età e gusti, e il lavoro in CG e motion-capture sembra abbia dato i suoi buoni frutti nel rendere più "muscoloso" il look delle Tartaru-ghe che appaiono così “massicce” e meno cartoonizzate rispetto ai live-action precedenti. La buona notizia per i fan italiani delle tarta-rughe è che non dovranno aspetta-

re l'uscita a settembre per scoprire i segreti della realizzazione dei loro eroi: la Paramount, infatti, do-po anche il grandissimo successo negli States, ha reso disponibile una nuova featurette, sottotitolata in italiano, dal titolo Sul set con le tartarughe. Qui sia il regista che il cast ci spiegano come sia stata utilizzata la motion capture, una tecnica usata negli effetti speciali di molti film per riprodurre movi-menti realistici: in questo caso i quattro protagonisti indossavano delle tute, comprensive di gusci, ricoperte da alcuni marcatori. In questo modo i computer possono creare un'immagine stilizzata dell'attore riproducendo digital-mente i suoi movimenti che ven-gono "catturati" attraverso qualche decina di telecamere attorno a lui. Queste ultime mandano le coordi-

nate dei marcatori ai computer creando così un'immagine virtuale che riproduce i movimenti dell'at-tore. L'illustratore Kelton Cram ha reso disponibili anche alcuni dei suoi primi lavori per il film e, in un'intervista al sito CBM, ha spie-gato: "Il processo è stato molto pensato e ci sono voluti circa 6 mesi. Ho avuto la fortuna di lavora-re con Liebesman molto presto e di aiutare a progettare le Tartarughe in 2D. Una volta che sono state ap-provate le sagome di base e le idee, le abbiamo rapidamente trasferite in 3D, dove abbiamo scolpito e ri-

scolpito le diverse tartarughe più volte. A Liebesman è piaciuto mol-to lavorare sul software ZBrush con gli artisti e modificare a piaci-mento l'anatomia. Alla fine attra-verso questo processo è riuscito a realizzare esattamente quello che voleva". Non a caso ZBrush è un programma di grafica computeriz-zata che combina modellazione, texturizzazione e painting in 3D e 2.5D ed è usato come strumento di scultura digitale per creare modelli ad alta risoluzione (fino a milioni di poligoni e più, teoricamente illi-mitati) da usare in film, giochi e animazioni. È usato da varie com-pagnie, tra cui proprio la Industrial Light & Magic che ha curato gli effetti speciali del film. ZBrush usa livelli dinamici di altissima risolu-zione per permettere agli scultori cambiamenti globali o locali ai

di Nunzia Nul lo

L'oscurità si è stabilita a New York con l'arrivo di Shredder e il suo malvagio Foot Clan. Il male vuole avere il potere su tutto, dai poli-tici ai poliziotti. Il futuro si prospetta davvero brutto fino a quando non arrivano quattro fratelli emarginati, Donatello, Raffaello, Leo-nardo e Michelangelo, che abitano nelle fogne e scoprono il loro destino come Ninja Turtles. Le tartarughe dovranno lavorare con la giornalista April e il suo fantastico cameraman Vern Fenwick per salvare la città dal piano diabolico di Shredder.

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propri modelli. E' molto conosciuto per la facilità nella resa di dettagli a livello medio/alto, che vengono tradizionalmente resi con le bump map. La mesh dettagliata che ne risulta può essere esportata come displacement o normal map da usare nella versione low poly dello stesso modello. Una volta comple-tato, però, il modello può essere

anche convertito in background, diventando così un’immagine 2.5D. Questo termine, utilizzato nel ger-go degli sviluppatori di videoga-mes, fa riferimento a quelle tecni-che di rappresentazione degli sfondi realizzati in 2D ma che sul-la scena appaiono tridimensionali. Con questa caratteristica gli utenti possono creare scene estrema-

mente complicate senza appesan-tire la resa globale del proprio pro-cessore.

CINEMA E ANIMAZIONE

Negli ultimi due anni, all'interno del santuario ad alta tecnologia della Industrial Light and Magic, Pablo Helman, l'uomo che ha costruito una foresta vergine virtuale per l'ultimo film di "Indiana Jones" ed ha realizzato alieni alti 50 metri per "La guerra dei mondi", ha affrontato un nuovo compito ancora più difficile: la creazione di una versione digitale delle amate Tartarughe Ninja che interagiscono con realismo estremo con Megan Fox sullo schermo. In queste immagini due momenti di una sessione di motion capture per Ninja Turtles

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L a capacità di esprimere un’estetica propria, ves-sillo di un originale modo di gestire forme, strutture

e volumi, fondato su di un perso-nale pensiero della città e dell’abi-tare, non è una prerogativa degli architetti. Pensate a quanta anar-chia c’è nella figura di Pier Luigi Nervi, ingegnere e strutturista… Un esponente, insomma, di quella ca-tegoria di progettisti che operano sulle strutture di edifici immagi-nati da “altri”, gli eterni rivali: gli architetti! Al di là della battuta, in questa puntata mi sono sentito in dovere di parlare di un ingegnere, dal momento che a questa figura professionale non viene quasi mai riconosciuto un senso estetico, come se quei durissimi studi uni-versitari che affrontano per la loro formazione dovessero cancellare qualunque anelito estetico e for-male. Nervi dimostra quanto siano errate queste considerazioni con le sue straordinarie trame strutturali che diventano architetture affasci-nanti ed ardite. Se osservate qual-che particolare strutturale di un’o-pera di Nervi, vi trovate per un istante innanzi alla stessa conce-zione progettuale di certi edifici gotici in cui forma e struttura di-ventano un tutt’uno: travi e pilastri si combinano con elementi agget-tanti e superfici rientranti in un gioco continuo di sbalzi e chiaro-scuri. Grande architettura quella di Nervi che apriva la strada alle nuove tecnologie edili dell’epoca in cui il cemento armato veniva utilizzato non più solo come mate-riale strutturale ma era chiamato a

partecipare all’armonia della com-posizione architettonica. Pier Lui-gi Nervi nasce a Sondrio, il 21 giu-gno 1891 da genitori liguri. Il padre era un direttore postale e questa attività costringe la famiglia Nervi a cambiare più volte residenza. Luigi si iscrive alla facoltà di Inge-gneria dell'Università di Bologna, ove si laurea nel 1913. Appena ven-tiduenne, comincia la sua forma-zione professionale presso l'ufficio tecnico della Società per Costru-zioni Cementizie a Bo-logna ove apprenderà la risoluzione delle principali problemati-che strutturali. La pri-ma guerra mondiale lo vede in servizio nel Genio militare. Nel 1923, in società con Nebbiosi, fonda a Ro-ma la sua prima im-presa, la “Società per costruzioni Ing. Nervi e Nebbiosi” che, però, nel 1932 divenne Nervi e Bartoli. Nel 1924, spo-sa Irene Calosi, da cui avrà quattro figli: tre lo affiancheranno nel lavoro, mentre il quarto, Carlo Ner-vi, sarà oncologo in Roma. Nel 1920, vede la luce la prima struttura rea-lizzata da lui: il Ponte sul fiume Cecina nel comune di Pomarance (PI). Quattro anni dopo, a Napoli, realizza insieme all'inge-gner cav. Gioacchino Luigi Melluc-ci, nella centralissima Via Toledo, di fianco all’edificio della stazione di valle della Funicolare Centrale, il Teatro Augusteo inaugurato nel 1929. Nel 1930, vince il concorso per il progetto di un nuovo stadio municipale per Firenze Campo di Marte (attualmente Stadio Artemio Franchi): per la prima volta un suo

lavoro attira l’attenzione della cri-tica a livello internazionale. Que-sto grazie alla raffinatezza struttu-rale delle particolari scale elicoi-dali e la famosa Torre Maratona, senza contare l'impatto innovativo e coraggioso di mettere le strutture totalmente a vista. Fu particolar-mente lodata anche l'attenzione prestata per il contenimento dei costi di costruzione. Nervi si dedi-ca proficuamente anche alla ricer-ca di nuove tipologie costruttive.

Frutto di questi studi e il progetto per un albergo galleggiante, realiz-zato a quattro mani con l'architet-to Rubens Magnani ed esposto a Firenze nel 1932. In questo proget-to (non realizzato), Nervi e Magna-ni pensano ad una soluzione origi-nale che possa portare le vacanze, a prezzo contenuto in città marine o lacustri, a quelle persone che non hanno grandi risorse econo-miche. L’edificio galleggiante, da ancorare opportunamente al largo,

DESIGNER’s STORY

Pier Luigi Nervi

di Salvio Gigl io

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DESIGNER’s STORY

Esecutivo della pensilina per lo Stadio comunale "Artemio Franchi" di Firenze Campo di Marte , 1930

P. L. Nervi, G. L. Mellucci Cinema-Teatro Augusteo durante i lavori di costruzione, Napoli, 1924-1929.

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DESIGNER’s STORY

P. L. Nervi ed associati, Grattacielo Pirelli, Milano, 1962 Bus-terminal al George Washington Bridge (New York, 1962)

Olimpiadi di Roma 1960, Palazzo dello Sport

Hangar subterraneo di Pantelleria, 1935

Palazzo del Lavoro, Torino 1958 -’61

P. L. Nervi, R. Magnani Progetto di albergo galleggiante 1932

P. L. Nervi, E. Sottsass senior, Salone Torino Esposizioni, 1948

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DESIGNER’s STORY

dispone di 16 camere e relativi ser-vizi per la ristorazione e la balnea-zione. Nervi si occupa anche di aviorimesse per conto della Regia Aeronautica italiana e lo fa por-tando il cemento armato come materiale di costruzione in sosti-tuzione del legno (costoso e facil-mente infiammabile) e del metallo (costoso ed impiegato per l’indu-stria bellica). Ancora oggi è possi-bile ammirare, a Pantelleria, i fa-mosi hangar in galleria. La proget-tazione, tra il 1935 e il 1943, di due dei quattro hangar dell'Idroscalo di Orbetello, dei due dell'Idroscalo di Marsala e dei quattro dell'Aero-porto di Castel Viscardo ad Orvie-to, rivelerà pienamente il suo enorme talento e il suo finissimo intuito nell’applicare soluzioni innovative, come l’adozione di am-pie volte di copertura, innervate da archi incrociati di cemento, costituenti l'avveniristica ed ele-gante struttura geodetica. Questa strategia consentiva di ridurre il numero dei punti di appoggio ver-ticali e aumentava notevolmente le luci interne delle rimesse: ciò permetteva di ospitare grandi ae-rei o più aerei di piccole dimensio-ni, lasciando ampi spazi per la loro movimentazione e manutenzione. La rappresaglia nazifascista du-rante la ritirata distrusse le co-struzioni di Orvieto ed Orbetello! In queste realizzazioni seguì in un primo momento la tecnica tradi-

zionale con getto di calcestruzzo su centine; successivamente fece realizzare dei conci prefabbricati, collegati fra loro con getti di ce-mento nel corso della messa in opera, riducendo ancor di più i co-sti di costruzione. In buono stato di conservazione sono le aviori-messe siciliane presso l'idroscalo di Marsala e sull'aeroporto di Pan-telleria. Queste opere, grazie alla loro chiarezza compositiva, fanno di Nervi il simbolo dell'evoluzioni-smo architettonico italiano in quanto diventano elemento di continuità tra il grande passato artistico del nostro Paese ed il pre-sente. Questo aspetto dell’architet-tura di Nervi fu opportunistica-mente utilizzato dal regime fasci-sta per propagandare futuristica-mente il "progresso”. Nonostante i legami e la formazione orientata in parte al Razionalismo Italiano, Nervi, nell’immediato dopoguerra, decide di fondare a Roma, nel 1945, assieme a Bruno Zevi, Luigi Picci-nato, Mario Ridolfi ed altri grandi nomi, l'Associazione per l'Archi-tettura Organica. In questo parti-colare momento storico, in cui il Paese sentiva forte la voglia di rialzarsi, Nervi realizza un’opera molto significativa: il Salone per Torino Esposizioni, un luogo in cui la grande industria italiana espo-neva la sua ultima produzione. in questo progetto, Nervi impiega e sperimenta la nuova tecnologia

del ferro-cemento per realizzare la grande volta a botte trasparente. Dal 1946 al 1961, è professore inca-ricato di Tecnica delle costruzioni e Tecnologie dei materiali della facoltà di Architettura dell'Univer-sità La Sapienza di Roma. Tra il 1953 e il 1958, sovraintende alla realizzazione della sede dell'UNE-SCO a Parigi e ormai la sua figura è conosciuta a livello internazio-nale. Nel 1950, riceve una laurea Honoris Causa in Architettura a Buenos Aires; a questa seguiranno quelle di Edimburgo e Monaco (1960), Varsavia (1961), Harvard e Dartmouth College (1962), Praga (1966), Londra (1969). Nel periodo compreso tra 1956 e il 1961, è uno dei progettisti del Grattacielo Pi-relli a Milano e del complesso di opere per le Olimpiadi di Roma del 1960. Ancora del 1961 sono il Pa-lazzo del Lavoro per l'esposizione Italia 61 a Torino e la progettazio-ne delle Cartiere Burgo a Mantova. In ogni caso la sua opera più gran-de gli viene commissionata da pa-pa Paolo VI nel 1964: la costruzio-ne della nuova Aula delle Udienze Pontificie in Vaticano, tuttora nota come Aula Nervi. Muore nel 1979 a Roma all'età di 87 anni.

Aula delle Udienze Pontificie Roma, 1964

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INTERVISTA

Antonio Martini

C hi è Antonio Martini? Antonio è un sognatore, al quale il commerciali-sta continua a ripetere:

“Paghi le imposte come geome-tra!”. Da bambino volevo fare la guardia forestale. Da ragazzino, volevo girare l'Italia in bicicletta, da solo. Inutile dire che non ho fatto nessuna delle due cose. Da grande, desideravo diventare un buon progettista edile, diverso dai “risolutori di problemi” amici dei tecnici comunali, come per tanti anni è stato in Italia. Mi auguro che questa “crisi” risolva in parte questa spregevole usanza. Diven-tato grande (almeno all'anagrafe) è

caduto sulla mia testa, come su quella di tutti, il cambiamento epocale, di portata globale. Qual-cosa che molti continuano a chia-mare crisi. Io lo chiamo Cambia-mento. In questo colossale proces-so, in ultima analisi, ci si deve reinventare. Quasi totalmente. So-no cambiati i lavori, gli strumenti con i quali eseguirli e le esigenze della collettività, che comprende anche noi stessi. In definitiva: nuove opportunità. Domani? Ve-dremo. Quando hai cominciato a progetta-re? E' passione o lavoro? Ho iniziato a “progettare” quando avevo forse 10 anni, vedendo i can-tieri del papà, muratore, e volendo emulare quella realtà. Disegnavo abitazioni con corridoi lunghissi-mi, dove i bambini avrebbero po-

tuto divertirsi, giocando. Ora è solo un ingrato lavoro dall'aspetto me-ramente burocratico. E' invece passione quando c'è l'occasione di creare, progettare nel vero senso della parola. Verbo e creazione. Il lavoro dei cosiddetti “tecnici”, nel settore edilizio progettuale, è di-ventato ormai al 90%, quello di bu-rocrati che stampano inutili scar-toffie, senza aver creato assolutamente nulla. Personalmente, quando mi ca-pita di dover chiedere una parcella per aver “prodotto” un documento di per sé totalmente inutile, ma reso obbligatorio dalla stoltezza della politica italiana, mi sento un parassita, non un tecnico e, certa-mente, non un progettista. Per progettare, bisogna prima poter fare. E l'amministrazione pubblica italiana vieta la fattibilità di qual-siasi cosa. Se si prova a chiedere:

Fin dal nostro primo contatto in Community ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad una

persona vulcanica di cui non è facile elencare interessi, passioni, idee e con un enorme baga-

glio culturale. Antonio Martini è figlio del Veneto, una stupenda Regione che, animata da tante

virtù morali e bellezze naturali, riesce a forgiare in meglio il carattere delle sue popolazioni. In

questa simpaticissima e piacevolmente lunga chiacchierata, Antonio si racconta e ci affida il

suo accorato sfogo circa le sorti del nostro meraviglioso e trascurato Paese.

di Salvio Gigl io

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INTERVISTA

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INTERVISTA

«posso fare questa cosa?». La pri-ma risposta, automatica, è «no!». Poi, si inizia a discutere. Difficile conservare la passione in un simi-le regime. Ma ci proviamo. Quando invece c'è la possibilità di proget-tare un luogo, un edificio, allora c'è qualcosa di magico. Creare la for-ma nella propria mente, tradurla su carta, a beneficio degli altri che non possono leggerci il pensiero, e vederla poi iniziare, crescere, ulti-mare, così come l'avevi solo im-maginata, divenuta realtà... si, è qualcosa di magico. Vivi in una regione meravigliosa-mente, bella e ricca di architetture mozzafiato. Quanto ha inciso sulla tua formazione tutto ciò? Mi rendo conto di rovinare la poe-sia che irradia dalla domanda, e me ne scuso, ma mentirei se millan-tassi influenze ancestrali dall'ambiente in cui vivo. La realtà è che, fin dai tempi della scuola, l'ambiente so-ciale veneto imponeva “testa bas-sa e galoppare!”. Tale forma men-tis non doveva nemmeno essere esplicata. Si respirava! Quindi, ri-succhiati dal vortice in continuo movimento, ognuno seguiva quella che apparentemente sembrava la sua strada. Nel mio caso, edilizia, progettazione, immobiliare. Coniu-go al passato perché il mondo è cambiato, sotto gli occhi increduli di tutti. Ciò non toglie che, fin da ragazzi, ognuno di noi conoscesse almeno i beni architettonici prin-cipali, nel raggio di alcuni chilo-metri. Mete di gite domenicali, in pullman prima, in bicicletta poi, motorino e auto ancora dopo. Que-sto significa che padovani, e vene-ti in generale, ciclicamente torna-no a “fare un salto” in quei luoghi: con occhi e interessi diversi, a ogni età. Tali mete erano e sono: le principali Ville Venete, con i loro spettacolari giardini visitabili, co-me Villa Pisani a Strà e Villa Ca-merini a Piazzola sul Brenta, con il simbolico labirinto in siepe di bos-

so; la Rotonda del Palladio, e tutte le altre, disseminate nel territorio. Cittadine medievali, come Bassa-no del Grappa, Asolo, Arquà Pe-trarca. Ambienti naturali come i Colli Euganei, il Cansiglio e la co-sta adriatica. Se il contesto ha in qualche modo influenzato il mio modo di “vedere” l'ambiente co-struito, probabilmente lo ha fatto a livello sottile. Sul tuo sito sono pubblicate cose veramente belle ed utili per utenti ed operatori del settore. Quanto tempo ci hai messo per allestirlo? L’ho costruito su WordPress, tecni-camente sarebbe in effetti un blog. Credo però che un Blog degno di tale nome debba comprendere al-tre cose, che io non ho, almeno per il momento. Una su tutte: la possi-bilità per i visitatori di lasciare commenti. Alcuni mesi fa, provai ad attivare la funzione ma fui su-bito bersagliato dallo spam, male endemico della rete. Accadeva malgrado le contromisure prese. Poi, considerando la natura del sito e l'oggettiva scarsa probabilità di utenti che lasciassero commen-ti, ho disattivato l’opzione. Se ser-vono informazioni sui nostri servi-zi, prodotti e attività, l'email rima-ne ad oggi il canale preferenziale. L'allestimento non è mai finito. La stesura iniziale ha richiesto un anno, solo per poter dire «ok, è im-postato». Da quel momento è di-ventato un lavoro di aggiornamen-to praticamente quotidiano. Conti-nua evoluzione del mondo inter-net, sotto l'aspetto della grafica, della tecnica e dei linguaggi, sono a mio avviso i principali motivi che richiedono un lavoro quotidia-no, o settimanale al massimo. La grafica segue le tendenze, come la moda nell'abbigliamento. La tecni-ca evolve per progresso naturale. I linguaggi riguardano sia l'aspetto “antropologico” che quello della scrittura tecnica, come HTML, CSS, ecc.. Poi, senza ipocrisia, è oppor-

tuno dire che lo scopo ultimo di ogni sito web è quello di compari-re tra i primi risultati nei motori di ricerca, Google prima di tutto. Per ottenere questo, la prima regola è che il sito sia sempre messo a punto, sotto al cofano. Se i “robots” di Google non vedono attività in un sito, lo considerano statico, inerme, morto e, in quanto tale, probabilmente poco utile come risposta alle ricerche effettuate nel motore dagli utenti. Se proprio non si ha tempo e voglia di creare un nuovo post, o una nuova pagi-na, è consigliabile fare almeno qualche aggiornamento delle pagi-ne esistenti. Ha quasi lo stesso valore, perché viene riconosciuta come “attività” sul sito che, quindi, è presumibilmente seguìto e, vero-similmente, contiene informazioni aggiornate e utili. Ricordiamo che obiettivo di Google è dare risposte rapide, precise e coerenti, alle ri-cerche degli utenti. Il tuo primo contatto col CAD è stato in 2 o in 3D? Il mio primo approccio con il CAD, è stato senz'altro in 2D: AutoCAD di Autodesk. Credo fosse la versio-ne 10 o 11, non ricordo bene. Corre-va l'anno 1992. Acquistai il mio primo PC, con tavoletta, per l'uso del CAD. Per l'apprendimento, de-vo eterno riconoscimento al mio caro amico Marco Bragotto (non è in G+, inutile linkarlo, purtroppo). Mio compagno di classe all'Istituto per Geometri e, soprattutto, nelle infinite partite di ping-pong, con 25-30 partite a sessione, entrò in uno studio di ingegneria subito dopo il diploma. Qui, dopo una bre-ve gavetta al tecnigrafo, fu messo davanti allo schermo di un PC, a disegnare in AutoCAD. Entrambi eravamo appassionati di compu-ter, già dal Commodore 64. Quindi, per lui, fu questione di poco tempo e divenne capo sala disegnatori. Per darvi un'idea di cosa stiamo parlando, quello studio di ingegne-

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ria ha progettato tutte le nuove tangenziali di Padova, caselli auto-stradali, il passante di Mestre, ulti-mato pochissimi anni fa e di fatto progettato da questa persona, che posso annoverare come amico. Oltre a innumerevoli appalti pro-gettuali all'estero. Arrivò quindi il giorno in cui gli chiesi il favore di insegnarmi i primi rudimenti di AutoCAD. Lui era già stato segna-lato e preso, come docente CAD, a corsi serali finanziati dall'Europa. Non vi stupirà quindi sapere come si svolse il mio “corso”, che non dimenticherò mai. Una sera, dopo cena, vado a casa sua e mi mette di fronte al suo pc. Lui, se ne sta steso a letto, guardando il soffitto distrattamente, con le mani incro-ciate sotto la nuca. In quella posi-zione, inizia: «In alto a sinistra ve-di scritto DRAW, clicca, compare un menù, con scritto nell'ordine, dall'alto...» e mi elenca l'intero me-nù. Poi continua: «Seleziona LINE. In basso, sotto l'area del disegno, c'è il prompt, vedi scritto... e indi-ca...» e via discorrendo, senza guardare mai lo schermo. Una se-ra. Una sola sera e mi aveva inse-gnato a disegnare in CAD! I rudi-menti, certo. Da li in poi, è stato un continuo affinamento. Mi sono fermato prima dei lisp, che lui pro-grammava a occhi chiusi. Per me, era ben oltre il mio interesse. La parte più difficile è stato compren-dere il processo di stampa. Asso-ciare unità, millimetri e dimensio-ni della stampa effettiva. Come poteva un ammasso di plastica e aghi che punzecchiavano... saper sputare fuori una linea lunga 10 centimetri esatti? Per il 3D, invece, è stato un apprendimento diretto. Passione pura. O malattia. Dipen-de dalla prospettiva. 1993. In Auto-CAD, licenza LT, realizzo il 3D di una trifamiliare. I più attenti obiet-teranno: «ma LT non esegue il 3D». Non è del tutto corretto. LT non esegue i solidi e le operazioni boo-

leane ma riconosce lo spazio in 3 dimensioni, con la Z. Così, spo-stando continuamente l'UCS, ho fatto il modello tridimensionale con lo strumento... SHADE... Si, lo so, è da pazzi. Un triangolo alla volta, con i punti digitati in senso orario (o si inverte la normale del-la faccia) ho fatto quel lavoro che ora non rifarei nemmeno se paga-to in gettoni d'oro. 1995. Nella mia vita entra 3DStudio. Una decina di tomi, fagocitati d'un fiato, e ho as-similato i concetti di modelli, ma-teriali, scena, luci, ombre, anima-zione, key frame e post produzio-ne. Quali programmi di CAD utilizzi per le progettazioni? Non mi piace avere software crac-cati. Quindi, per il disegno 2D e 3D, uso ancora l'ultima versione ac-quistata, AutoCAD 2007. Adattata e personalizzata. Ho creato centi-naia di blocchi dinamici, raccolti nelle tavolozze strumenti, accele-rando di molto il processo grafico. Quando devo fare 3D, realizzo il modello in AutoCAD, per la veloci-tà e la precisione. Poi esporto il modello in altri software come SketchUp o Blender. SketchUp è molto versatile ma non mi piace particolarmente. Blender consente di ottenere risultati di ottimo livel-lo ma lo sto ancora studiando. Quale software ti piacerebbe ap-profondire? Dovrò necessariamente approfon-dire almeno due software: Blender, per i render e le animazioni, e un altro software, ancora da indivi-duare, per sostituire AutoCAD. Non voglio più saperne di Autodesk e della sua politica di vendita e ge-stione delle licenze, che trovo spregevole. Liberi di adottare la politica che preferiscono ma io prenderò un altro software, quan-do il mio 2007 diverrà totalmente

incompatibile con la generalità del mondo CAD. Qualche aneddoto divertente lega-to alla tua attività di geometra... Passiamo alla domanda successi-va? L'attività professionale di geo-metra offre ben poche situazioni divertenti, purtroppo. O forse sono io, troppo musone. Se me ne sov-venisse una, prima dell'avvio delle rotative, te la mando! Come vedi l'attuale situazione economica ita-liana? Di cosa ha bisogno il Paese per risollevarsi realmente? Ma quando arriva la domanda sui dro-ni? Mi trascini nel girone della po-litica. Rispondo come probabil-mente farebbe qualsiasi italiano. L'attuale situazione economica dell'Italia è la stessa del resto d'Europa. I paesi così detti “emergenti” erano auto che partiva-no da 0 km/h. Si portano a 60 km/h e si parla di boom. Facile. Europa e U.S.A. erano auto a 100 km/h già da tempo . Cosa mai si può fare, per andare più veloci, in una scala da 0 a 100, in termini di velocità? E del resto, non è nemmeno possibi-le pensare, di poter andare a 100, in eterno, senza correzioni. Pre-messo ciò, cosa serve per ripren-dere a crescere? Fermo restando che il mio è il parere del signor Mario Rossi, rispondo: coraggio e buon senso. Due cose che manca-no totalmente alla spregevole classe politica italiana. Solo loro possono cambiare le Leggi. Il po-polo può solo stancarsi, e agire brevi manu, il giorno in cui non ne potrà più. A dire il vero, non so se la politica italiana sia più sprege-vole o ignominiosamente stupida. Prima di tutto dovrebbe esserci totale, e sottolineo TOTALE, tra-sparenza di come, dove e perché vengono spesi i denari che i politi-ci (lo Stato è un'altra cosa) drena-no dalle tasche degli italiani. Pub-blicare on-line TUTTI i rivoli. Sono tanti? Ok, un po’ alla volta si arriva a pubblicarli tutti. Basta volere. A

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quel punto, gli sprechi, sempre additati ma mai individuati, ver-rebbero alla luce e sarebbe impos-sibile difenderli e mantenerli. Poi, userò una metafora presa dal mio ambito lavorativo, non volermene. In 60 anni, nell'illusione di miglio-rare il lastricato sul quale cammi-navamo, abbiamo pedissequamente continuato ad aggiungervi sabbia, ce-mento e acqua, per “irrigidire” quei punti che agli occhi di qualcuno sembravano troppo “liberi”. «Meglio regolamentar-li". Il risultato è che oggi siamo immersi, fino alle ginocchia, in una colata di cemento. Possiamo fare anche il minimo passo in avanti in queste condizioni? Co-raggio e buon senso per demolire questa colata, liberarci i piedi e le gambe per poter riprendere a cam-minare. La colata di cemento è data dalle decine di migliaia di leggi, partorite da menti più sensa-te che intelligenti, nonché dall'in-discriminata discrezionalità dei frustrati che siedono negli uffici pubblici. Immaginiamo un'Italia al punto zero. Iniziamo oggi ma con tutta l'esperienza maturata fino a ieri. Immaginiamo di abrogare, in un giorno, tutte le Leggi esistenti e, sulla scorta delle migliori espe-rienze nazionali ed estere, riparti-re da zero. Nuove Leggi, nuove re-gole, nuovi stili di vita sociali e lavorativi. Al passo con la realtà e non con le mazzette di politici e amministratori o con la mentalità distorta di taluni ortodossi che vorrebbero tutto bloccato e vinco-lato, senza saper nemmeno più spiegarne il motivo. Bene. Oggi potremmo scrivere quelle nuove Leggi e domani dire: «Popolo Ita-liano, da oggi, abroghiamo d'un colpo solo tutti i legacci e i paletti creati negli ultimi 60 anni (30.000 Leggi). Da oggi sono in vigore que-ste nuove, 3.000 in tutto, pensate per semplificare la vita a tutti e favorire sviluppo e benessere di ognuno.». Non è fantascienza sul piano della fattibilità. Lo è solo sul

piano politico. Nella migliore delle ipotesi, proverebbero a smantella-re le 30.000 Leggi, un articolo alla volta. Come dire che proverebbero a demolire la colata di cemento a colpi di spillo. Quando torneremo ad avere i piedi liberi per cammi-nare? Un intervento a costo zero per il governo che dia sensazione di buon senso e meno ansia nella vita di ogni italiano? Cambiamo gli assurdi limiti di velocità sulle strade! Limiti di 30 km orari, su un'extra urbana appena fuori Je-solo, hanno solo uno scopo, e non è la sicurezza di chi guida, ma le multe propinate con l'autovelox, da una pattuglia di carabinieri na-scosti nell'ombra, all'uscita da un dosso. E di esempi simili, potrem-mo farne a decine. Tutti a costo zero. Ma non lo faranno. E' un pae-se questo? Io me ne andrei doma-ni. Se una mente umana può con-cepire una cosa, significa che quella cosa può essere fatta. Basta volerlo. E non chiedetemi esempi, i vostri occhi stanno fissando un'oggetto che ne è la dimostra-zione. Cosa è cambiato nella professione del geometra in questi anni? Che cosa consiglieresti ad un giovane diplomato? La professione del geometra è mu-tata da quella di progettista di case e misuratore di confini nelle cam-pagne a quella di burocrate, pub-blico ufficiale, al servizio di sua maestà, l'Amministrazione Pubbli-ca. L'Amministrazione vara nuove leggi che si traducono invariabil-mente in nuovi adempimenti e costi per il cittadino. Raccontare questa cosa alla signora Maria è un onere che il politico ha vigliac-camente delegato in modo coatto ai tecnici, i quali si sentono ogni volta accusati, come se la Legge l'avessero fatta loro. Non solo, spesso la reazione del cittadino-cliente è quella del diffidente che ti guarda come se gli stessi rac-

contando una bugia, per estorcer-gli denaro in prestazioni profes-sionali che forse, in realtà, non sono davvero obbligatorie; sei tu, geometra, che provi ad approfitta-re. Come se non bastasse, dopo aver superato il sospetto di truffa aggravata, devi anche controllare che la signora Maria faccia quel che i burocrati hanno deciso; e se non lo fa, la devi denunciare. Devi denunciare, civilmente e penal-mente, il cliente che ti paga la par-cella. Ho già detto che me ne an-drei da questo assurdo Paese? Vie-ne naturale la risposta ai giovani diplomati: andate all'estero. Strap-pano applausi le belle parole del nostro giovane premier boy scout: «non andatevene dall'Italia» ma è troppo comodo pregare i giovani di restare, dopo aver tolto loro il futu-ro. Inoltre, il toscano, per ora, rie-sce solo a parlare, cinguettare e ragliare. Non ho ancora visto una sola azione tangibile. Francamen-te, dire: «datemi 3-4 anni di potere assoluto e poi se non riesco a mantenere l'impegno me ne andrò di mia iniziativa», mi sembra un proclama traducibile in: «fatemi intascare mazzette, potere, favori, stipendio e benefici, per 4 anni. Poi, dopo che avrò riempito i for-zieri, non sapendo più dove met-terli, sistemato amici e amici degli amici, potrò anche togliere il di-sturbo. Forse! Perché potrò sempre dare la colpa a qualcuno, per non essere riuscito a fare qualcosa.». Andate all'estero. In futuro, se pro-prio sentirete tutta questa nostal-gia del “Bel Paese”, e il luogo dove sarete vi sembrerà peggiore dell'I-talia, nessuno vi vieterebbe di tor-nare. Non ho mai sentito di emi-grati che volessero tornare ma non si sa mai. Perché voi dovete stare qui a sistemare i danni fatti da al-tri, perché proprio a voi? Non vi chiedono di restare qui perché promettono di darvi un Paese mi-gliore. Ve lo chiedono perché, se i giovani se ne vanno, il politico, un

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domani, non avrà più nessuno da spremere. La speranza è una bella cosa. Ma farsi prendere a calci una vita intera, dal proprio Paese, ”sperando” che prima o poi smetta, mi sembra stoltezza, non ottimi-smo. Troppo cinico? Va bene. Se è così gradevole, posso fare anch'io la sviolinata alla grande Italia, con tutte le sue potenzialità e la neces-sità di un pensare positivo, con la giusta speranza e fiducia. Tiriamo-ci su le maniche, smettiamo di lamentarci e diamoci da fare. Bel-lo. Ma cosa avrei detto, di vera so-stanza, alla fine? «Diamoci da fare, così la nuova classe politica potrà reiterare i vizi della precedente». Io amo l'Italia, inteso come terra, territorio e genti di ogni luogo, con il loro spirito e le loro tradizioni, per non parlare di cibo, vino e fan-tasia. Disprezzo, però, profonda-mente, ai limiti dell'odio viscerale, tutti i politici e la stragrande mag-gioranza degli amministratori pubblici locali. Dai Comuni alle Regioni. Ho visto personalmente schifezze inenarrabili. E ho visto solo cose infinitesimali, rispetto a quello che fanno. Li ritengo il gruppo di persone più spregevoli, viscide, disoneste e false che il cielo abbia mai visto sotto di se. Rubano, sotto gli occhi di tutti, e negano... negano! Lo si fa in ogni Paese, e sempre lo si farà, obiette-rà polemicamente qualcuno. «Certo - rispondo - ma c'è una mi-sura in tutto, anche nel rubare. Questi, hanno perso la misura dall'82, dopo la vittoria ai mondia-li». Lo Stato è come una colossale azienda. Cosa fa, se non gestire soldi, prendendoli e spendendoli? Entrate, uscite. Siamo nel 2014. L'amministrazione dei soldi non si affida a un politico ma a un mana-ger! Una persona che deve avere la preparazione giusta, non mi im-porta che sia di destra o di sini-stra. Il politico può decidere aborto si, aborto no. Divorzio si, divorzio no. Staminali si, staminali no. Non

può decidere, tuttavia, come e do-ve spendere denaro. Perché l'unica cosa che sa fare è mettere le mani nella cassa, per riempire le sue tasche e quelle di parenti e amici. Salvo poi inventare nuovi tributi, per coprire l'ammanco di cassa. Salvio saprà dove tagliare, il mio eccesso di infervoro. (Assolutamente NO! n.d.r). Consiglio più sobrio ai giovani di-plomati? Andate a lavorare gratis, in tanti posti collegati al lavoro che vorrete fare. Fissatevi un pe-riodo. Due, quattro, sei anni. Di-pende. Trovare lavoro sappiamo che è difficile, stare a casa a grat-tarsi? Liberi di farlo. Anche in que-sto caso, però, si chiede sempre esperienza. E' un circolo vizioso. Rompetelo. Per fare il geometra, è utile e necessario avere conoscen-ze su laterizio, acciaio, vetro, geo-logia, impiantistica, edilizia, ma-nagement, marketing, grafica, ge-stione e programmazione di un cantiere, catasto, topografia e mol-te altre cose. Andate per alcuni mesi, gratis, a lavorare in luoghi che realmente vi insegnino qual-cosa, in quanti più sotto-settori vi sia possibile. Senza, però, farvi sfruttare, cioè lavorare senza ap-prendere nulla. Se davvero avete la fortuna di trovare qualcuno che vi insegna un'arte, il vostro lavoro sarà già abbondantemente ripaga-to. Un bravo maestro, che vi inse-gna davvero il mestiere e i suoi trucchi, è impagabile. Se sceglien-do a vostro piacere e seguendo la vostra indole, avrete la fortuna di trovare molti maestri disposti a insegnarvi qualcosa (e lo intuirete spontaneamente se questo sta av-venendo oppure no), alla fine del periodo che vi siete prefissati, avrete ottenuto molto di più, ri-spetto al vagare senza meta in cer-ca di un lavoro che nessuno vi da-rà perché non avete esperienza. A quel punto, una discreta esperien-za l'avrete e sarà variegata! Il vo-stro servizio: prezioso. A buon in-tenditor...

Qualche tempo fa ti abbiamo visto alle prese con i droni per un rilie-vo... che sensazione hai provato a lasciare a casa la vecchia rullina metrica, blocco notes e matite? Ah, ecco la domanda sui droni. Salvio, perdonami, ma la cordella metrica era a casa da mo’. Da or-mai 12 anni, in valigetta c'è il Disto laser. Blocco notes e penna, inve-ce, resteranno in dotazione per un bel po’. L'uso dei droni affascina molto, come ogni novità. Per com-prenderne il funzionamento, però, ho impiegato un po’ di tempo. Da un lato, perché le risposte alle mie domande non erano chiarissime, dall'altro perché, in quanto novità, ho dovuto portare a termine alme-no il primo lavoro per capirne il meccanismo. Niente affatto intui-tivo. Quanto alle risposte poco chiare, talvolta ho avuto il sospetto che i miei collaboratori esterni non volessero divulgare il proprio know how e che, quindi, rispon-dessero glissando, o quanto meno, lo facessero mettendoci in mezzo alcuni fumogeni. Quanto al mec-canismo, ho dovuto mettere a fuo-co la differenza tra laser scanner e aerofogrammetria. Due tecniche parallele. I miei collaboratori usa-no la fotogrammetria, eventual-mente integrata dal laser scanner ove l'intervento lo richiedeva. La precisione è quasi assoluta. Tanto per iniziare, il drone non è ricon-ducibile solo ai multicotteri, quella sorta di UFO a 4, 6, 8 o 10 eliche, ma anche ad elicotteri e aerei ra-diocomandati. Su ognuno di questi può essere installato uno strumen-to, non solo fotografico, ma anche di altra natura: geologico, infraros-si, termocamera, ecc.. La tecnica dell'aerofotogrammetria, come sanno i geometri, si basa sulla stereoscopia delle riprese di un punto, appli-candovi la trigonometria. Il tutto, fatto su migliaia di punti, nel sito da rilevare. Alla fine, si otterrà, anche con questa tecnica, una nu-vola di punti da elaborare. Con un

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plus: abbiamo anche le foto, di tut-to. Tali foto, oltre all'elaborazione fotogrammetrica, fungeranno an-che da texture, fornendo i materia-li da applicare all'intero modello. L'unico limite/problema riscontra-to è legato alla risoluzione da otte-nere nel file finale. Le riprese sono ad altissima risoluzione: una nu-vola di punti e le textures, tenute al massimo livello, rendono inge-stibile il file. Si è dovuto trovare il giusto compromesso tra risoluzio-ne e potenza di elaborazione di un computer di medie dotazioni hard-ware. Cosa ne pensi della stampa 3D e della realtà aumentata? Potenzialità infinite. Oggi nemme-no immaginabili. Salteremo a piè pari la sala ologrammi, per arriva-re direttamente alla virtualità complementare alla realtà. Penso subito ai Google Glass, la cui tec-nologia è applicabile in qualsiasi settore; anche se i primi che mi vengono in mente sono Turismo e Immobiliare. Potrebbero sparire cellulari, smartphone e tablet, per-ché il concetto di Mobile potrebbe

essere interamente soppiantato dagli occhiali che, cosa non tra-scurabile, manterrebbero libere le mani: un auricolare all'orecchio e ogni comando gestito dal movi-mento della pupilla, con qualche interazione manuale. Ecco che avere qualsiasi informazione, in qualsiasi luogo, inerente qualsiasi cosa, sarà una realtà. Temo qual-che effetto collaterale a occhi e cervello ma temo anche l'inelutta-bilità di tale progresso. La stampa 3D credo darà moltissime nuove opportunità e cambiamenti ma non sarà altrettanto rivoluziona-ria. Realtà e progresso sono impre-vedibili. Potrei essere smentito su tutta la linea. Sei stato tra i primi ad aderire alla nostra Community (che tra poco compie 2 anni di vita) cosa ti spin-se all'epoca ad iscriverti? Una cosa molto semplice: nome della community e logo. Quando non si conosce una cosa, la si sce-glie per il motivo più istintivo: co-me si presenta ai nostri occhi. Co-sa nota da circa 50 anni agli esper-ti di marketing che spendono cifre

prodigiose per lo studio delle con-fezioni dei prodotti o le copertine di un libro. Mi hai chiesto perché mi sono iscritto, non perché ci so-no rimasto... Nel caso avessi di-menticato questa parte della do-manda, ti rispondo dicendo che sono rimasto perché tu sai tenere viva la community, dedicandovi tempo, lavoro e passione. Inoltre, sono presenti svariati talenti che contribuiscono alla conoscenza del CAD, attraverso i loro bei lavo-ri, e, tutto sommato, è un luogo piacevole anche solo per scambia-re due chiacchiere.

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Gabriele Asero

C hi è Gabriele Asero? Mi sembra strano dirlo ma da qualche giorno ho compiuto 30 anni! Sono nato a Catania ,

il 2 settembre, appena finita l’estate del 1984. Vivo ancora lì ove ho studiato come Capotecnico in Elettronica e Telecomu-nicazioni. Attualmente lavoro come gra-fico presso una serigrafia ma, per dieci anni, ho lavorato anche nel settore am-ministrativo di una piccola azienda loca-le. Fin dai primi giorni di Google Plus hai messo come immagine del profilo un brand "CAD 39"... Ma cosa significa? Allora, semplicemente “CAD” pro-viene da AutoCAD: è stato il primo software con il quale ho disegnato sin da scuola; “39” altro non è che il mio numero preferito insieme al “4”. Circa la grafica del logo, in sé e per sé, ricordo che stavo provando a comprendere il concetto Spili-nes in AutoCAD, ed è uscito fuori quel simbolo.

Da tanti dettagli si capisce che ami la Computer Graphic in ma-niera sviscerata... Quando è nato questo amore? Hai fatto qualche corso particolare? Disegnare mi rilassa, mi rilassa a lavoro e mi rilassa quando lo fac-cio normalmente a casa . E’ bellis-simo poter concretizzare un sem-plice pensiero in qualcosa di “visibile”: oggi, poi, con l’avvento delle stampanti 3D, si può toccare fisicamente il tavolo o la lampada che avete progettato! L’amore per il disegno è nato quando ancora lavoravo come impiegato; precisa-mente non ricordo quale fu la scintilla, installai in fretta e furia, sul PC dell’ufficio, AutoCAD LT, una release vecchissima. Solo do-po un annetto circa, ho frequenta-to un corso di AutoCAD in cui, con tutta sincerità, ho imparato prati-camente nulla. Sei mesi dopo per-si il lavoro, riduzione di personale. La tragedia della disoccupazione. Unica soluzione per non impazzi-re era quella di trovare nuova energia per andare avanti, una passione per fare trascorrere più in fretta le lunghissime ore: Auto-

CAD h24! La soluzione unica al momento era quella; poi ci presi gusto, i primi colori sullo schermo, anche solo quelli delle viste con-cettuali, le prime estrusioni 3D, i primi render. Poi è stato tutto un percorso in discesa, faticoso e ostico, ma l’ho fatto sinceramente con il cuore oltre che con la rab-bia. Cosa significa essere giovani crea-tivi al Sud Italia? Poco per non dire nulla. Il nostro lavoro è particolare: la gente è convinta che basta dire al PC “fai!” e il PC fa. Non è così. Per quanto riguarda la valorizzazione della creatività, penso che la situazione sia ancora peggiore. Al momento qui abbiamo problemi molto gravi, come nel resto d’Italia d’altronde, ma, ad ogni modo, mi sto accor-gendo che il gusto per il Made in Italy, e per le cose “belle”, sta sem-pre più fuori dal Sud Italia e più in generale dai confini nazionali. Parliamoci chiaro, ci stanno com-prando tutto, e ai loro prezzi! Il tuo storico "nemico" era 3D Stu-dio Max contro cui eri sceso in

Finalmente ho il piacere di intervistare il primo iscritto della nostra Community! Era “latitante” per motivi di lavoro ma sono riuscito a

beccarlo prima che sparisse nuovamente! Fin dai primi contatti rimasi stupito dalle sue realizzazioni e dal fatto che Gabriele avesse

imparato, tutto da solo, programmoni di CAD come AutoCAD e SolidWorks e che, non pago di tanto, continuasse a dichiarare guerra

ad altri software della portata di 3D Studio Max, sino alla vittoria. Impegnato da anni col volontariato militante, Gabriele è un bellissi-

mo esempio di gioventù “spesa bene”!

di Salvio Gigl io

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Un mondo di modelli e progetti…

Sfogliando il profilo di Gabriele ci si

rende conto della sua immensa pas-

sione per la modellazione 3D. Par-

tendo dai primi esperimenti su So-

lidWorks (in alto) passando per Au-

toCAD fino a 3D Studio Max, Gabrie-

le ha fatto suoi questi software! Qui

a sinistra Gabriele lavora alla sua

sfiziosissima “PACMAN LAMP” :D

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INTERVISTA

guerra... Chi ha vinto? Vero! Sinceramente, lo odiavo ma era colpa mia, perché non lo com-prendevo, poi ho imparato a capire i suoi difetti e ad amare i suoi pre-gi: così finalmente ci siamo potuti sposare anche se, sinceramente, l’amore mio ufficiale è un altro… Seriamente, non si finisce mai di imparare, io sono ancora agli albo-ri, o poco dopo. 3DS è fantastico nella sua complessità, fai tutto pe-rò devi conoscere bene le corde da far suonare. 3DS non vive di vita propria ma è animato da tanti altri piccoli software che lo rendono unico. Parlo di plug-in vari e dei motori di render con esso compa-tibili. Io, personalmente, ho prefe-rito farmi prima le ossa con un Mental Ray, poi sono passato a V-Ray. Bellissimo! Hai interessi a 360° sferici nella grafica digitale... Quale software ti ha rubato il cuore? Rispondo in maniera secca, diversamen-te (chi mi conosce lo sa) se iniziassi a elencarne tutti i pregi, non finirei più! Comunque è Solid Works. Sinceramente, per prima cosa mi sono innamorato del suo motore di render, molto simile a Keyshot (anche se di software house diverse). Sistemi di modellazione intuiti-vi, infinite possibilità in fase di schizzo, release di volta in volta migliorate e non con un semplice lifting all’interfaccia ma con l’introduzione di nuove funzioni con-crete. Chi è l'artista digitale che più ti ha colpito e perché... Sono tre i modelli cui io “provo” a fare riferimento: Marco di Lucca, che si occupa di modellazione or-ganica, per sue le fantastiche tex-tures: in parte ha costruito anche diversi personaggi del celebre film “Avatar”; l’architetto Giulia Calva-ni, conosciuta qui in Community, per il gusto fine e semplice dei suoi lavori; in fine, Franz Lami per l’abilità nell’uso della combo 3DS Max / V- ray .

Il volontariato umanitario è l'altra faccia di Gabriele Asero... Parlaci delle esperienze che più ti hanno formato... Ho iniziato nel 2004, facevo servizio di assistenza in mensa presso le Suore di Madre Teresa, qui a Catania. Da lì è inizia-ta la bellissima esperienza in Albania: ho prestato assistenza a persone diversa-mente abili in un paesino del nord che si chiama Rreshen. Quella terra mi è rima-sta nel cuore in tutti i sensi; ancora oggi, quando capita di essere triste, annuso della terra che ho portato dall’Albania, da Kalivaq esattamente. Da un anno circa, poi, ho iniziato a fare servizio in ospedale come Clown di Corsia, emozioni diverse ma bellissime. Donare semplicemente facendo ridere, si può chiedere altro? Sei molto giovane e come Lorenzo Caddeo ascolti musica della mia generazione... Da cosa viene que-sta passione? Lorenzo! Oltre che ascoltare “musica” disegna anche benissi-mo! E’ uno dei motivi per i quali hai il piacere di entrare in Com-munity e leggerne i post, sincera-mente. Io adoro il passato, l’unico motivo per il quale ancora paghe-rei il canone è per l’esistenza di Rai Storia, Rai 3 e Rai News. Io oggi parlo di noise, di blur, di am-bient occlusion mentre, una volta, c’era la matita! Il Colonnato del Bernini è stato fatto quando non c’era AutoCAD ed esiste ancora. Il passato siamo noi che viviamo nel presente e siamo anche futuro perché quello, in parte, dipende anche dalle nostre azioni quotidia-ne. E poi, dovrei preferire Salmo o “artisti” del genere a Giovanni Lin-do Ferretti? La musica è bella tut-ta, solo che a me quella convenzio-nale non piace, non mi rilassa per-ché non la riesco a capire. Dove trovo un testo scritto come quelli di Piero Ciampi, Bertoli o altri per-sonaggi del genere? Oggi basta che urli, vai da “Amici”, poi passi da Rai 2 e sei arrivato; durano un anno e poi neanche loro ricorde-

ranno di essere stati in sala d’inci-sione (se non fosse per i soldi che hanno incassato). Cosa vuoi fare da grande? Da grande, sarei felice se potessi continuare a fare ciò che sto fa-cendo adesso. Ho avuto modo di approfondire e lavorare quotidia-namente con il vettoriale, ho pro-dotto anche grafica 3D per l'alle-stimento di attività commerciali, ho realizzato delle grafiche per insegne, ho avuto modo di poterne fare le simulazioni. Insomma, se avessi dovuto pensarlo prima, mi sembrava impossibile. Dall'altro lato, devo confrontarmi però con una realtà ostica e dura! Come di-cevo prima c'è davvero molto po-co. Io intanto l'unica cosa che pos-so fare, e sperare, è lavorare e con-tinuare a studiare. Sei stato il primo iscritto alla no-stra Community... cosa ti colpì al-lora, cosa cambieresti e, in genera-le, cosa ne pensi di questo proget-to? Sinceramente, la prima cosa che catturò la mia attenzione fu il logo della Community. Per primo solo quello, poi ho pensato che avrei anche potuto ricevere un aiuto e che sarebbe potuta essere un’otti-ma fonte d’istruzione. Così è stato. Sicuramente ho imparato molto in Comm, ho avuto modo di confron-tarmi con professionisti seri e con apprendisti come me. E poi, come potrei immaginare che la Comm non esista! Ultimamente, sto dedi-cando meno tempo alla condivi-sione ma leggo comunque i post ogni volta che arriva la notifica sul cellulare, anche solo per curiosità. Della Community non cambierei nulla, solo un auspicio: che in tem-pi in cui tutto è "passeggero”, ARS non lo sia. Grazie mille Comm.!

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LIBRI

Corrado Motta presenta: “Perché SketchUp?”

E sistono software per il disegno 3D più professio-nali di SketchUp, che gestiscono meglio la

messa in tavola e sono in grado di disegnare automaticamente sfor-mi, smussi e raccordi e calcolano addirittura la deformazione del pezzo sotto sforzo. Quindi perché usare SketchUp? Facciamo alcuni paragoni : Il prezzo •Un software parametrico costa dai 3000 ai 6000 Euro e il suo ag-giornamento annuale dai 500 ai 1000 Euro. •SketchUp costa 450 Euro e l'ag-giornamento annuale 78 Euro. •Per iniziare ad usare un software parametrico serve un corso di 4 o 5 giorni da fare fuori casa con un costo che può variare da 1500 a 3000 Euro. •Per iniziare ad usare SketchUp servono 3 o 4 giorni da solo a casa

seguendo le istruzioni di questo eBook. Il tempo •Con un software parametrico ser-vono 4 o 5 mesi di tempo per riu-scire a sviluppare un primo pro-getto di una certa complessità. •Con SketchUp basta un 1 mese. L'hardware •Per far girare un software para-metrico serve un computer con almeno 12GB di memoria e una scheda grafica da 500 a 1000 Euro. •Per far girare SketchUp occorre un computer con almeno 2GB di memoria e una scheda grafica 400 Euro se vuoi gestire progetti con qualche migliaio di pezzi, altri-menti va bene qualsiasi scheda. La gestione dei Files •La maggior parte dei software pa-rametrici genera un file per ogni pezzo presente all'interno di un progetto, un file d'assieme e un file per ogni messa in tavola. Nel caso della Torre (vedi immagini allega-te) avrei avuto 257 file (uno per ogni pezzo disegnato), un file d'as-

sieme e 257 file di messe in tavola per un totale di 515 files che una volta creati è meglio non rinomi-nare e non spostare (questi file solitamente vengono spostati e rinominati con appositi software a pagamento chiamati PDM). •Con SketchUp ho un file d'assie-me con dentro tutti i 257 pezzi e un file di AutoCad con 257 messe in tavola, per un totale di 2 files che posso rinominare e spostare liberamente. Ovviamente con i software para-metrici se modifichi un pezzo nel progetto automaticamente si mo-difica la messa in tavola mentre con SketchUp devi ricordarti di aggiornare anche la tavola in DWG. Sui professionali le messe in tavola e la quotatura sono più ve-loci, con SketchUp devi preparare i pezzi nelle posizioni che ti servo-no, esportarli in DWG, poi aggiun-gere gli assi, le linee tratteggiate e poi quotarli. SketchUp comunque può interagire con molti program-mi parametrici perché la versione PRO è in grado di esportare e im-portare in vari formati 2D e 3D

di Corrado M otta

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LIBRI

(3DS, KMZ, DAE, FBX, OBJ, STL, STEP, IGES*) per questo molti lo usano per sviluppare velocemente la parte 3D che poi finiscono altro-ve. Ultimamente molte software house danno la possibilità di im-portare direttamente i file di SKP nei loro software. SketchUp si può anche personalizzare utilizzando Plugin (o script Ruby), con i quali è possibile aggiungere strumenti per eseguire funzioni specifiche o per semplificare attività altrimenti complicate. Sul web si trovano mi-gliaia di script gratuiti e a paga-mento realizzati dagli utenti per aggiungere le funzioni più dispa-rate. Questo e-book Guardando il sito di SketchUp, e navigando in rete, è facile rendersi conto che SketchUp è molto usato in tutto il mondo, anche in modo professionale. In Italia, invece, è considerato un software per gioca-re e pochi si rendono conto delle sue reali potenzialità. Ho scritto questo libro per mostrare come sono riuscito a sviluppare grandi progetti in modo professionale ottenendo risultati per nulla infe-riori a quelli ottenibili con soft-ware più blasonati. Nel libro inse-gno il metodo che utilizzo da anni, con spiegazioni facili, alcuni eser-cizi e qualche trucchetto per aggi-rare le mancanze di SketchUp. Lo scopo è quello di ottenere un risul-tato soddisfacente in poco tempo e con pochissime risorse. Per questo mi sono limitato a spiegare solo quello che serve per realizzare di-segni 3D precisi e ben organizzati, pronti per essere esportati e tra-sformati in disegni esecutivi su AutoCad o DraftSight tralasciando le funzioni estetiche o non utili a questo scopo. Il risultato è un in-sieme di istruzioni e concetti sem-plici, spiegati attraverso esercizi che possono essere eseguiti anche da chi è alle prime armi. In alcuni esercizi verranno disegnati pezzi di carpenteria metallica ma con lo

stesso metodo si può disegnare mobili o scale in legno, abitazioni in muratura e qualsiasi altra cosa. Io ho persino disegnato i fogli di carta da parati da applicate alle pareti di un museo, ricavando la quantità e la lunghezza esatta di ogni rotolo. Molte aziende in vari settori potrebbero trarre vantaggio imparando ad usare SketchUp in questo modo. Ultimamente l'ho insegnato a decine di persone e tutte si sono meravigliate di quan-to sia intuitivo e poi lo hanno usa-to in edilizia, in falegnameria, in carpenteria. Alcuni sono diventati disegnatori avviando un'attività da liberi professionisti. In sintesi Nella prima parte del libro c'è una presentazione del programma con alcune immagini di progetti, una descrizione dell'interfaccia, i re-quisiti minimi e l'hardware consi-gliato. Nella parte centrale ci sono le indicazioni per scaricare gli Esercizi che dovranno essere svol-ti e le spiegazioni per: Impostare le Barre degli Stru-

menti. Impostare i tasti rapidi. Capire come cliccare. Capire come selezionare. Capire come usare i Gruppi e i

Componenti. Organizzare l'area di disegno in

Zone. Capire i Layer e le Scene. Preparare le scene per l'espor-

tazione. Esportare. Poi nella parte finale c'è una de-scrizione delle funzioni dei Menù, degli Strumenti e delle Finestre che è utile consultare durante lo svolgimento degli Esercizi. Progettare Al giorno d'oggi per realizzare un buon progetto senza errori servo-no tre cose : 1. Le risorse, per risorse intendo i

soldi necessari per l'acquisto di un software di disegno 3D e di

un computer in grado di farlo funzionare egregiamente.

2. Le capacità che sono nella per-sona che usa il software; più il software è sofisticato e maggiori devono essere le capacità di chi lo usa.

3. Il tempo, quello necessario per disegnare tutti, ed intendo dire proprio tutti, i pezzi che com-pongono il progetto.

Poche aziende però riescono ad avere tutti e tre i requisiti, e nella maggior parte dei casi succede che, per mancanza di risorse, si opti per software 2D più economi-ci che non richiedono particolari capacità. Il risultato di questa scel-ta si trasforma però in errori di progettazione dovuti al fatto che, con il disegno 2D, non è possibile vedere in modo chiaro i dettagli più complicati. In altri casi invece, si punta all'acquisto di software 3D sofisticati ma difficili da usare e, per mancanza di capacità o per mancanza di tempo, si finisce per disegnare solo il grosso del progetto tralasciando i dettagli (i bulloni, i cavi, i tubi, gli accessori). Il risultato, anche in questo caso, si trasforma in errori dovuti alla mancanza di parti che durante il montaggio interferiscono e co-stringono a modifiche. Con Sket-chUp è possibile avere tutti e tre i requisiti, perché costa poco, è faci-le da usare e, in poco tempo, si possono disegnare strutture, im-pianti e macchine complesse con tutti i dettagli e senza errori! In questo libro insegno come usare SketchUp e come superare i suoi limiti attraverso spiegazioni ed esercizi pratici. Con SketchUp puoi fare molte più cose di quelle che ti aspetti.

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MUSICA

C omporre musica tramite variazioni su un tema è uno dei procedimenti più diffusi in ogni espressio-

ne musicale, sia colta che popola-re; in Europa, come specifica for-ma musicale, la variazione si affer-ma durante il periodo rinascimen-tale e nel tempo diventa uno dei generi più frequentati, utilizzato dai musicisti per mettere in risalto le loro abilità virtuosisti-che. Variazione, nella sua accezio-ne di cambiare, mutare, modifica-re, in ambito musicale assume il significato di riproporre un'idea musicale modificandola rispetto alla sua forma originaria; i proces-si di modificazione via via adottati nei riguardi di uno o più aspetti del tema iniziale (armonia, melo-dia, articolazione del contrappun-to, ritmo, timbro strumentale) pos-

sono svilupparsi fino a quando l'idea primigenia, diventata irrico-noscibile, è di fatto un'altra com-posizione del tutto diversa. Secon-do tradizione possiamo distingue-re tre procedimenti di variazione, dal più semplice al più complesso. L'ornamentazione è la modalità che, applicando figure melodiche o ritmiche, lascia pressoché inva-riata la struttura del tema che, per-tanto, rimane facilmente ricono-scibile. L'elaborazione è un proce-dimento più complesso dove il compositore interviene anche nel-la struttura del tema modificando le frasi, le proporzioni, le cadenze; tuttavia il tema originario è anco-ra, in qualche modo, riconoscibile. L'amplificazione ci presenta un brano che con il tema iniziale ha in comune soltanto lo spunto, un accenno al materiale da cui deriva. E' un procedimento che spesso troviamo come finale di una se-quenza di variazioni, in crescendo dalla pù semplice alla più elabora-ta; in questo caso l'ultima può es-

sere una fantasia, una fuga, una passacaglia o una ciaccona sulle prime battute del tema. L'uso della variazione inizia ad essere docu-mentato con il canto gregoriano, nel quale trova impiego con gran-de ricchezza di forme; nella salmo-dia, ad esempio, si passa gradual-mente da un testo elementare e sillabico alle complesse fioriture dei responsori e dei graduali. Nei primi anni del Cinquecento, parti-colarmente in Spagna e Inghilter-ra, iniziano ad affermarsi le varia-zioni strumentali da eseguire al liuto o con strumenti a tastiera e, in quest'ambito, grande rilievo an-dranno ad assumere i compositori tedeschi e gli italiani, con Girola-mo Frescobaldi il rappresentante più significativo. In molti Paesi europei il materiale tematico su cui intervenire è costituito quasi sempre da melodie e arie popolari; un esempio tra tutti: le innumere-voli variazioni sul tema della Fol-lia. Nella Germania protestante, peraltro, inizia ad affermarsi la

di N ico la Amalf i tano

La variazione

Una stampa con l’effige di Girolamo Frescobaldi

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MUSICA

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MUSICA

variazione su melodie di corale, che trova il più alto vertice nell'o-pera di Johann Sebastian Bach. Nell'età classica, le variazioni si espandono verso forme più libere e, oltre a costituire una forma au-tonoma, il tema con variazioni viene spesso impiegato nei movi-menti lenti delle sinfonie, delle sonate e delle composizioni came-ristiche. Nel Beethoven maturo, ad esempio nel quartetto per archi Op.127, nel secondo movimento della sonata per pianoforte Op. 111, e nelle Variazioni su un tema di Diabelli, le variazioni sono ormai così complesse da non avere più niente in comune con l'antica arte di ornare un tema. Ai primi del Novecento abbiamo un esempio emblematico della variazione tim-brica, il Bolero di Maurice Ravel, in cui la linea melodica, lo schema armonico e il ritmo sono presso-ché costanti per tutta la durata del brano, ma la strumentazione im-piegata varia continuamente, ar-ricchendosi di volta in volta. Con

l'avvento della musica dodecafoni-ca, sia Schönberg che Webern creano importanti lavori basati sulla variazione. Nel corso del No-vecento, oltre l’ambito della dode-cafonia, di variazioni si occupano anche Hindemith e Britten che, al suo brano più conosciuto, "The Young Person’s Guide to the Or-chestra", appone il sottotitolo "Variazioni e fuga su un tema di Henry Purcell".

In considerazione della vastità dell'argomento, questo articolo, lungi dal voler essere esaustivo, fornisce necessariamente una bre-ve sintesi che ne mette in eviden-za gli aspetti principali; lascio all'iniziativa del singolo lettore la facoltà di ulteriori approfondimen-ti, anche mediante le innumerevo-li, qualificate risorse disponibili in rete. Il concetto di tema con varia-zioni è efficacemente illustrato dal Maestro Raffaele Napoli in questo breve filmato:

http://www.scuola.rai.it/articoli/il-t e m a - c o n - v a r i a z i o n i / 5 2 7 8 /default.aspx

In relazione agli aspetti connessi con il Diritto d’autore, può essere utile la lettura dell'articolo "Le va-riazioni e le elaborazioni musicali nel Diritto d'autore", a cura dell’avv. Giovanni d’Ammassa su questa pagina WEB:

http://www.dirittodautore.it/la-guida-al-diritto-dautore/loggetto-del -dir it to -da utore/le -oper e-mu s i ca l i/ le - va r ia z i on i -e -l e-e l a b o r a z i o n i - m u s i c a l i / # . U -X2p9adnW8

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I n questa puntata ci occupere-mo degli HBP, letteralmente Heat Bed Platform. Le prime due parole, Heat e Bed, assu-

mono nella nostra lingua un certo significato: letto caldo! Subito la nostra fantasia si accende e la mente comincia ad evocare notti di sfrenata e travolgente passione tali da arroventare il nostro letto… Sono spiacente di dover brutal-mente stroncare queste piacevoli visioni, ponendovi dinanzi ad una semplice piastra quadrata, di una ventina di centimetri di lato, la cui funzione è solo quella di evitare che i primi strati di una nostra eventuale stampa in ABS, appena estrusi, si solidifichino troppo ve-locemente facendo così deformare il resto dell’oggetto! Girando sul web, in cerca di una traduzione orecchiabile, ho trovato frequente-mente “piatto riscaldato”… Non so perché, ma questo termine mi metteva una certa tristezza! Mi fa pensare, infatti, ai resti di un pranzo modesto conservati e rici-clati la sera per una cena da con-

sumare magari pure in solitudine! Ho pensato quindi che cambiare l’aggettivo “riscaldato” in “termico” avrebbe avuto un suono molto più tecnico, elegante ed intuitivo… Ec-co quindi piatto termico, di cui userò l’acronimo PT, per descri-vervi un componente molto impor-tante per una stampante 3D se si decide di utilizzare filamenti di ABS come materiale per la stampa. Infatti, molti siti specializzati non riferiscono evidenti miglioramenti in termini di qualità con il PT per prove effettuate con filamenti in PLA o polimeri simili. Lo sviluppo del PT ha una sua storia nel pur bre-ve arco di esisten-za delle stampanti 3D ed è ancora oggetto di ricerca da parte di aziende ad hobbisti. Alcune realiz-zazioni, molto empiriche, utilizza-no delle piastre di alluminio sotto di cui sono fissati, in “punti strate-gici”, cinque o più resistori, come potete vedere nella Fig.2. Questa soluzione comporta una serie di inconvenienti : Tensione potenzialmente peri-

colosa. Per riscaldare i resistori della piastra occorre una ten-

sione di una cinquantina di volt in corrente continua, quindi non più ELV. La tensione ne-cessaria ai resistori è generata da un ulteriore apposito ali-mentatore il cui acquisto au-menta così le spese generali per la costruzione, i consumi elettrici, il peso e gli ingombri della macchina.

Appesantimento strutturale. Il peso della piastra, anche se questa è molto sottile, non è un parametro trascurabile. Si con-

sideri che la piastra deve avere dei bordi laterali per proteggere i resistori. In alcuni casi i resi-stori sono alloggiati entro delle cave appositamente realizzate cosa che richiede fogli più spessi, pesanti e costosi oltre alla realizzazione dell’alloggia-mento per i resistori stessi. Il peso della piastra metallica in-cide notevolmente sulle presta-zioni di quelle stampanti che hanno la testina di estrusione

V puntata

di Salvio Gigl io

Il piatto termico di una stampante 3D

Un piatto termico è un componente molto importante specie se si

fanno stampe con filamenti in ABS. Senza di esso si rischierebbero

deformazioni significative alla base del pezzo, dal momento che

l’ABS, dopo l’estrusione, deve poggiarsi su di una superficie riscal-

data per evitare un brusco indurimento superficiale degli strati, cosa

che poi si paga con perdita di precisione e vistose deformazioni…

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ferma e la base di stampa moto-rizzata poiché i MPP di questa vanno sotto sforzo, soprattutto in caso di stampe pesanti, ac-corciandone notevolmente la durata.

Funzionalità termica insoddi-sfacente. Il calore prodotto dai resistori non è uniformemente distribuito lungo la superficie ma è localizzato solo in alcuni punti della piastra determinan-do così, tra un resistore e l’altro, dei gradienti termici che inci-dono negativamente sulla geo-metria del pezzo stampato in quanto le diverse temperature creano delle tensioni superfi-ciali nel materiale che non ri-sulta meccanicamente omoge-neo. Aspetto molto deleterio nel caso stiamo stampando pezzi a cui è richiesta un’estrema pre-cisione!

Il HBP stampato di Prusa Joseph Prusa, un giovane studente di ingegneria di Praga, ha risolto brillantemente il problema del PT ricorrendo, manco a dirlo, ad una tecnologia molto simile a quella dei circuiti stampati, di cui vi ho già accennato qualcosa in questo numero, nell’articolo per la rubrica ARDUINO. Non a caso il progetto di Prusa si chiama Heatbed PCB MK1. Prusa ha adottato un foglio di ve-

tronite, o di materiale ceramico refrattario, dello spessore di pochi millimetri, estremamente leggero e rigido. Il foglio è rivestito galva-nicamente di una lega Cu Ni, se-miconduttrice che oppone una certa resistenza al passaggio della corrente producendo il calore ne-cessario. L’HB di Prusa si alimenta con i soli 12 V in CC prodotti dall’a-limentatore della scheda. Ciascuna delle due facce di lavoro della pia-stra riporta un circuito che costi-tuisce un resistore a forma di ser-pentina; i due circuiti sono oppor-tunamente collegati in serie l’un l’altro. Uno strato di vernice epos-sidica rossa completa l’HBP PCB. Montaggio del HB PCB MK1 Il PT viene collocato, a quota op-portuna, al di sotto della testina/e di stampa (estrusore/i) su di un foglio di materiale isolante per evi-tare che il calore generato dal HB si trasferisca al telaio della stam-pante causando seri problemi alla macchina. Il sito della RepRap suggerisce di realizzare l’isola-mento termico con legno, cartone, panno di cotone o di lana di suffi-cientemente spessore. Da vecchio elettricista ho pensato che, anche se la tensione di esercizio è ELV, mettere dei materiali infiammabili a diretto contatto con parti elettri-che non è molto saggio! La soluzio-

ne migliore è adottare dei fogli di minerale isolante: la mica. Questo materiale, appartenente al gruppo dei ferrosilicati, è presente in com-mercio sotto forma di lastre, più difficili da reperire, o di fogli per forni a microonde, di facile reperi-bilità presso i rivenditori di ricam-bi per elettrodomestici normal-mente nel formato 30 x 30cm con spessore di 0,4mm. Con un paio, o più, di questi fogli potete rivestire un comune foglio di compensato utilizzando del silicone rosso per alte temperature come collante. Il silicone va opportunamente spato-lato sul foglio di compensato pri-ma della posa del foglio di mica. Occorre un giorno intero per otte-nere un incollaggio ottimale. Per la nostra Mendel possiamo utilizzare un foglio di multistrato da 10mm opportunamente rivestito di mica come base per il PT. Quando arri-veremo al cablaggio vi darò ulte-riori ragguagli su questo supporto. Il piatto termico necessita anche di un opportuno cablaggio per l’ali-mentazione elettrica, con condut-tori di sezione adeguata e opportu-namente isolati anche dalla tem-peratura. Si possono utilizzare tranquillamente: i cavetti per i ferri da stiro in

gomma siliconica rivestiti di tessuto;

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Fig. 1, retro di un piatto termico in alluminio Fig. 2, Joseph Prusa al lavoro

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NEW HARDWARE FOR CAD

cavetto con guaina siliconica e conduttori rivestiti di isolante siliconico tipo FG4G4;

conduttori unipolari rivestiti in isolante siliconico tipo H05S-K custoditi in una guainetta di tela siliconata.

I conduttori unipolari dovranno avere sezioni comprese tra 0,75 ÷ 1,5mmq, do-vranno essere adeguatamente capicor-dati con occhielli e vincolati al telaio della stampante con fascette stringifilo in te-flon da 3mm di altezza.

La gestione del PT Alla gestione del PT provvede la Arduino RAMPS 1.4 attraverso un sensore termi-co opportuno, il thermistor, di cui parlere-mo diffusamente nella prossima puntata in occasione degli estrusori. Un equipag-giamento ottimale per l’alimentazione elettrica di tutta la stampante è un buon alimentatore power supply 12V, 20A, 240W. Questa unità eviterà anzitutto di far passare troppa corrente nella scheda scongiurerà rallentamenti di stampa dovuti ai sovraccarichi e riuscendo a

fornire i 5A necessari ai MPP e gli 11A richiesti dal PT. La superficie del PT de-stinata alla stampa deve essere protetta con lastra di vetro o di materiale cerami-co. Lo spessore della lastra deve essere compreso tra 3 e 5 mm. Per fissare il PT alla lastra di vetro si può ricorrere anche a delle semplici clip per fogli, come vede-te in Fig. 3, che eviteranno tra l’altro un accoppiamento troppo rigido tra le parti. Continua

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Fig. 3, allestimento e componenti di un HBP. 1) esploso di un PT con PCB MK2; 2) cavetto per ferro da stiro ; 3) cavetti tipo FG4G4; 4) conduttori unipolari tipo H05S-K ; 5) guainetta siliconata; 6) capocorda ad occhiello.

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D opo poco più di un mese dal rilascio della versione 3.10.0 e con più di 160 downloads della stessa all’attivo, ho apportato delle correzioni al riordino

dell’elenco prezzi ed al controllo delle somme nel computo metrico, anche grazie alle segna-lazioni ed ai consigli di alcuni utenti. Ho intro-dotto nel menù LeenO la voce NUOVO… > NUOVO COMPUTO. Questo è solo un assaggio di ciò che ho intenzione di fare e cioè trasferire dal me-nù FILE > MODELLI al menù LeenO le funzionali-tà relative alla creazione di computi e listini nuovi, oltre a tutti quei documenti che sono di corredo alla gestione del computo metrico e della contabilità. A tal proposito inviterei gli utenti a raccogliere ed inviarmi documenti del tipo “verbale di assegnazione” piuttosto che “consegna” e così via. Ac-cetterò ben volentieri file in formato ODT da inglobare nel pacchetto. Ricordate che LeenO, ereditando tutte le potenzialità di LibreOffice, può proporsi come sistema integrato per la gestione degli appalti dalla progettazio-ne, all’assegnazione e fino alla esecuzione e chiusura dei lavori. A meno di ritocchi, comunque non sostanzia-li, la struttura del file di lavoro è ormai definitiva. Note di versione 3.10.1 Prime modifiche al menu popup. Correzione del “riordina” in Elenco prezzi. Correzioni nella riga riassuntiva in cima

al COMPUTO. Correzione delle formule di sommario della

contabilità in Elenco Prezzi: il calcolo adesso è diretto: quantità ×

prezzo = importo. il range di dati nel foglio

di CONTABILITÀ tiene conto dell’ulti-mo SALDO registrato.

Implementato un suggerimento per il salva-taggio subito dopo la creazione di un nuovo lavoro.

Correzione di bug minori. Per supportare il progetto LeenO come volonta-rio puoi contattare lo staff via mail all'indirizzo:

[email protected] Grazie per l’attenzione e alle prossime NEWS! :D

di Giuseppe Vizzie l lo

LeenO 3.10.1, cosa c’è di nuovo?

Tre snapshot della nuova release di LeenO

COMPUTO METRICO

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FEM

Un’intervista sull'analisi funzionale

I n questo articolo voglio ri-prendere un po’ il discorso matematico relativo alla FEA. Al lettore interessato, ma che

non ha mai avuto a che fare con l’analisi funzionale, chiedo di non farsi spaventare assolutamente dalle equazioni che seguono e di concentrarsi piuttosto sul “succo della questione”, che verrà eviden-ziato attraverso tutta una serie di interrogativi, a cui seguiranno le relative risposte…come una sorta di intervista all’analisi funzionale! All’inizio del nostro percorso con l’analisi numerica vi avevo detto che il FEM (Finite Elements Me-thod) è un metodo per risolvere numericamente un particolare tipo di equazione chiamata PDE – Partial Differential Equation, ovve-ro una equazione differenziale alle derivate parziali, la cui soluzione esatta (detta analitica) spesso e volentieri non è disponibile “in forma chiusa”. Poiché molti feno-meni fisici di tutti i giorni sono descrivibili attraverso una o più

equazioni di questo tipo, viene da se che ne discende un metodo di calcolo di una soluzione almeno approssimata è auspicabile come manna dal cielo! Del resto le vie della matematica sono infinite: se non possiamo calcolare la soluzio-ne esatta, almeno troviamo un si-stema per calcolare una soluzione approssimata. Ma allora viene spontaneo chiedersi: quanto è ac-curata questa soluzione numerica? E’ sempre possibile applicare il FEM? Se “virtualmente” creassimo una reticolazione infinitamente piccola la soluzione numerica e la soluzione esatta coinciderebbero? E così via… Per rispondere a que-ste domande consideriamo un problema modello: l’Equazione el-littica di Poisson bidimensionale con condizione al bordo di Diri-chlet, ovvero:

che in forma estesa e coordinate cartesiane appare così:

Questo problema descrive alcuni fenomeni fisici come il potenziale elettrostatico, la diffusione di un fluido o lo spostamento verticale di una membrana elastica. Come vedete, compaiono le derivate (parziali) seconde dell’incognita u, dipendente delle coordinate (x,y). Diciamo che il problema (1) è in formulazione forte. In generale, così impostato, la (1) è di difficile trattazione: ricordiamoci che non dobbiamo calcolare la soluzione esatta, ma una sua soluzione ap-prossimata. Abbiamo visto quindi che possiamo ridurre l’ordine di derivazione semplicemente molti-plicando entrambi i membri dell’e-quazione per una generica funzio-ne test v (che definiremo in segui-to) ed integrando per parti:

da cui:

dove è già stata considerata la condizione di u nulla al bordo. La (4) è la formulazione debole del problema differenziale. In pratica

di Marco Garavaglia

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FEM

siamo passati da una equazione differenziale del second’ordine ad un problema integrale del primo ordine. La soluzione del problema (4) coin-cide con quella del problema (1)? Sì. Se u(x,y) è soluzione del proble-ma in forma debole, allora si può dimostrare che è anche soluzione del problema in forma forte. Come dobbiamo scegliere le fun-zioni test v? La domanda corretta non è COME, ma DOVE dobbiamo scegliere le funzioni v. Diciamo che le funzioni test devo-no essere contenute tutte in uno spazio di funzioni:

Questo spazio potete immaginarlo come una sorta di contenitore il cui contenuto sono delle funzioni con particolari caratteristiche. Af-finché le operazioni del problema (4) abbiano senso, sia fisico che matematico, le funzioni test devo-no essere “a quadrato integrabile”, con derivata (nel senso delle di-stribuzioni) anch’essa a quadrato integrabile. Per cui V lo scegliamo in questo modo:

dove L2 (γ) è lo spazio delle funzio-ni a quadrato integrabile secondo Lebesgue. H prende il nome di spazio di Sobolev, e il problema (1) in formulazione debole è così ben posto:

Per scrivere in modo ancora più compatto introduciamo la forma bilineare:

e il funzionale:

Il nostro problema (1) di partenza è quindi diventato:

La soluzione del problema (5) esi-ste ed è unica? Sì, se vale il lemma di Lax – Mil-gram: a(u,v) deve essere una forma bilineare continua e coerciva e F(v) un funzionale lineare e conti-nuo. Allora esiste ed è unica la so-luzione del problema (5).

Come tutto questo permette di tro-vare una soluzione numerica del problema (1)? -A questa domanda risponde Ga-lerkin, brillante matematico e in-gegnere Russo che partendo dal problema (5) ha sviluppato un effi-cacie metodo di risoluzione.- Si, se ci accontentiamo di cercare la soluzione in un sottospazio V_h più piccolo di V (ma contenuto in esso) e dipendente da un parame-tro h allora il (5) diventa:

Il (6) viene chiamato problema di Galerkin ed è il “capostipite” del metodo ad elementi finiti. Se infatti:

possiamo indicare con ϑ_i una funzione di base di V_h; se la (6) è verificata per tutte le funzioni di base allora lo è anche per tutte le funzioni di V_h in quanto sono tutte combinazioni lineari delle ϑ_i. Inoltre anche le u_h possono essere espresse come combinazio-ni lineari delle ϑ_i:

Giungendo infine al seguente pro-blema:

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FEM

La (7) equivale ad un sistema li-neare del tipo:

Quindi, per farla molto breve, ac-contentandoci di calcolare la solu-zione in determinati punti, detti nodi computazionali “appoggiati” su una mesh del dominio (che di punti fisicamente ne ha infiniti) è possibile calcolare la soluzione del problema (1), differenziale, at-traverso il problema (8) diventa un semplice sistema lineare di equa-zioni. Il metodo ad elementi finiti di Ga-lerkin è convergente? È stabile? La soluzione numerica u_h esiste ed è unica? Sì. Il metodo ad elementi finiti di Galerkin fornisce una soluzione numerica unica, perché vale il lemma di Lax – Milgram. Si può dimostrare che è stabile ed anche convergente perché vale il lemma di Ceà:

Quali sono le funzioni di base che si possono scegliere per lo spazio V_h? Spesso vengono scelti polinomi di Lagrange di grado: 0 costanti; 1 lineari; 2 quadratici; 3 cubici. Qual è l’accuratezza del metodo ad elementi finiti? Dipende da due fattori: il primo è la finezza della griglia computa-zionale, il secondo dal grado dell’elemento finito utilizzato. Quindi infittendo a dismisura la mesh e usando elementi finiti di grado elevato è possibile ottenere soluzioni sempre più accurate? No. In ogni cosa c’è un limite e purtroppo anche qui: aumentare il grado degli elementi finiti è una strada percorribile solo se la solu-zione del problema (1) è sufficien-temente regolare. Mano a mano che la reticolazione viene infittita

la matrice A del sistema (8) diven-ta sempre più mal condizionata, rendendone difficoltosa la risolu-zione. Inoltre entrambe le strade comportano un aumento delle ri-sorse hardware del calcolatore necessarie per eseguire l’analisi. Qual è in genere la dimensione del sistema (8)? Come è possibile ri-solverlo? La dimensione di (8) dipende dalla finezza della griglia e dal crescere del grado polinomiale. Per risolve-re un sistema lineare sono possi-bili metodi diretti o metodi iterati-vi: i primi calcolano la soluzione esatta del sistema tramite oppor-tuni algoritmi, i secondi si accon-tentano di trovare una soluzione approssimata di (8) a favore di un minor costo computazionale.

A sinistra una rappresentazione del Metodo ad Elementi Finiti di Galerkin con tre funzioni base φj−1, φj e φj+1. A destra, il Lemma di Ceà espresso graficamente, la soluzione del sottospazio uh è la proiezione di u sul sottospazio Vh rispetto al pro-dotto interno a, (.,.).

Xj-1 Xj Xj+1

φj−1

φj

φj+1

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C iao, il mio nome è Everton Martins e fac-cio il designer industriale da quattro anni circa. Mi occupo principalmente di pro-gettazione di prodotti per l’industria cal-

zaturiera, come gli stampi di fusione della suola, anche se non mi intendo molto di look, mode e ten-denze! L’industria per cui lavoro mi da incarichi che vanno dal progetto di prodotti per la pulizia domestica a particolari costruttivi di attrezzature tecniche, dall’oggettistica per la casa alle attrezza-ture logistiche militari. Ho frequentato la facoltà d’Ingegneria Elettrica e Meccanica perché mi ha sempre affascinato la tecnologia; verso la fine del mio corso di studi, però, mi sono reso conto che non mi sarebbe piaciuto molto lavorare con la ma-nutenzione industriale. In quegli anni, sinceramen-te, mi aveva appassionato di più fare progettazioni con AutoCAD, così ho iniziato a studiare altri pro-grammi come Rhinoceros, ottimo per la modella-zione ed ampiamente utilizzato nel design indu-striale. Successivamente mi sono dedicato a Cine-ma 4D data la sua versatilità nei rendering. Da que-st’anno ho cominciato a ricevere incarichi lavorati-vi anche dall’estero. Data la mia esperienza di lavo-ro, ho capito che il progettista deve sempre tenere un occhio su quanto accade nel design anche in altri Paesi. In definitiva, le mode non arrivano dal nulla ma sono determinate da un insieme di ten-denze derivanti da modelli precedenti. Un esempio di questo è il successo raggiunto, nei primi mesi del 2014, da oggetti come scarpe e gioielli il cui de-sign è basato interamente sulla scelta di particolari texture. Lavorare alla progettazione di prodotti in-dustriali è uno dei rami più difficili del design. Il problema non consiste solo nella fase progettuale dell’oggetto ma anche nel prestare la massima at-tenzione alle sue dimensioni quando il materiale con cui è prodotto è sottoposto a sollecitazioni e a temperature diverse lungo tutto il processo di fab-bricazione. Nel mio caso si tratta di seguire le fasi di creazione degli stampi. Non si può immaginare quanto sia lungo il processo di creazione delle suo-le delle scarpe che state indossando. Esse sono so-litamente in PVC, gomma, TR o qualche materiale simile con una propria tecnologia specifica che si

PRODUCT DESIGN

di Everton M artins

Dalle calzature alla gioielleria 1

2

3

4

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PRODUCT DESIGN

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deve necessariamente conoscere se ci si vuole mettere le mani su per un progetto. Per sviluppare un nuovo modello generico di calza-ture, generalmente si utilizzano una serie di modelli uguali in tutto il mondo ma adattati ad un Paese specifico: per esempio in alcuni mercati si vendono molto scarpe femminili con tacchi alti mentre in altri si vendono di più scarpe da ginnastica unisex e semmai en-trambi provengono dallo stesso tema grafico! Questo non crea si-militudini tra gli oggetti nonostan-te il tema sia lo stesso (ad esempio “piante tropicali”) perché esso po-trebbe avere diverse specie da uti-lizzare come punto di partenza. Nella progettazione di calzature è interessante, tra l’altro, l’applica-zione dei vari sistemi di misura, lo studio dei materiali e il metodo di produzione. Viceversa quella dei gioielli segue tendenze più specifi-che o un unico tema, come per la composizione di collezioni di anel-li, orecchini e collane, ecc. Proget-tare gioielli, in definitiva, è molto più semplice ed è possibile svilup-pare un’intera collezione, su qual-siasi tema, tanto i gioielli sono sempre di moda! Anche il materia-

le è molto più semplice da capire e gestire; ci sono i vari tipi di leghe di metalli preziosi che spesso sono appositamente intarsiati per alcu-ni tipi di pietre preziose. Le mag-giori preoccupazioni in questo tipo di progettazioni sono il peso, le dimensioni (soprattutto per gli anelli), il costo di produzione e la stima del valore finale. Le macchi-ne CNC hanno velocizzato enor-memente la produzione di tutto, dai gioielli agli stampi in allumi-nio per calzature. Tra queste mac-chine straordinarie una mi ha reso molto felice: la stampante 3D. La prospettiva stessa di produrre con una stampante 3D l’anteprima di un gioiello, il prototipo di una scarpa, dà alla progettazione un sapore diverso! La progettazione, la modellazione 3D e il processo di fabbricazione di calzature a suola iniettata devono rispettare tutte le misure standard utilizzate nell’in-dustria calzaturiera. Per esempio, lo stampo per la fusione del getto di una conchiglia di alluminio è prima modellata in 3D e poi lavo-rata con le macchine CNC. Il pro-dotto finale viene utilizzato per dare forma al materiale riscaldato e iniettato in esso. Finita questa

fase si passa al montaggio, verni-ciatura e finitura, per completare il processo prima che la scarpa arri-vi al vostro piede. Anche in ambito orafo la progettazione 3D ha fon-damentale importanza ed è alla base del processo. La tecnologia di prototipazione rapida mostra il pezzo che è stato sviluppato dalla modellazione 3D in anteprima. Dopo l’analisi, esso viene inviato ad una macchina CNC che ripro-duce il modello creato col soft-ware. Concludo ricordando che un buon designer industriale dovreb-be mantenersi continuamente aggiornato e conoscere perfetta-mente il processo di produzione del lavoro che è chiamato a realiz-zare. Lo dico in base ai tanti pro-getti consegnati nel corso degli anni: ciò ha maturato in me una notevole esperienza in svariati processi produttivi. Il design è un settore che ha bisogno di tanta creatività e i suoi professionisti sono consapevoli che oggi non c’è spazio per alcun errore e che devo-no continuamente accrescere le loro conoscenze tecnologiche se amano realmente questo lavoro.

PRODUCT DESIGN

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CORSO di ORIENTAMENTO alla BIM

U na volta che il gruppo ha identificato gli Im-pieghi BIM, deve realiz-zare una mappatura

della procedura di processo per avviare l'attuazione della BIM stessa. Inizialmente si deve creare una mappa generale che mostra la sequenza e l'interazione tra i prin-cipali impieghi BIM ed il progetto sviluppato come si vede in Fig. 1. Ciò consente, a tutti i membri del team, di comprendere chiaramen-te come i propri processi di lavoro interagiscono con quelli eseguiti dagli altri. Dopo la mappa generale è necessario svilupparne altre più dettagliate: la loro redazione deve essere eseguita dai membri del team responsabili per ogni catego-ria di impiego BIM. Ad esempio, la

mappa generale mostrerà come sono sequenziate e interdipenden-ti la progettazione, lo sviluppo de-gli impianti, la stima dei costi e la modellazione 4D. Una mappa det-tagliata mostrerà, poi, il processo minuzioso che verrà eseguito da un'impresa o, in alcuni casi, da diverse imprese, come può acca-dere per l’impiantistica. Sviluppare lo scambio d’informa-zioni Una volta sviluppate le appropria-te mappe di processo, devono es-sere chiaramente individuati gli scambi di informazioni che avven-gono tra i partecipanti al progetto. E' di fondamentale importanza per tutti i membri del team, in partico-lare per mittente/autore e destina-tario, comprenderne chiaramente il contenuto informativo per ogni operazione di scambio di informa-zioni. Esso è illustrato nella tabella

scambio informazioni di cui uno stralcio è visualizzato in Fig. 2. Definire l’infrastruttura di suppor-to per l’implementazione della BIM Dopo l’individuazione delle cate-gorie di impiego della BIM utiliz-zate per il progetto, la personaliz-zazione delle le mappe di processo del progetto e la definizione dei risultati della BIM, la squadra di progettisti deve sviluppare le in-frastrutture necessarie a sostegno del processo BIM pianificato per il progetto. Ciò comprende la defini-zione : del sistema di consegna, del linguaggio per il contratto

più adatto alla BIM, delle procedure di comunica-

zione; dell'infrastruttura tecnologica, delle procedure di controllo

qualità per il modello.

II puntata

di Salvio Gigl io

I punti chiave della procedura di esecuzione per la pianificazione della BIM

Fig. 1, mappatura per la procedura di pianificazione di processo

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CORSO di ORIENTAMENTO alla BIM

Quali informazioni sono contenute in un Piano di esecuzione BIM? Una volta terminato, il Piano BIM dovrebbe contenere le seguenti categorie di informazioni: 1. Panoramica Informazioni del piano di esecuzione del progetto BIM, specificare il motivo per la creazione del piano di esecuzione del progetto. 2. Informazioni sul progetto, il pia-no deve includere le informazioni di progetto basilari, quali numeri di tavola, l'ubicazione, descrizioni, date, frequenza revisioni, riferi-menti futuri. 3. Contatti chiave del progetto, co-me parte delle informazioni di ri-ferimento, un piano BIM deve in-cludere le informazioni di contatto per il personale di fondamentale importanza per la progettazione. 4. Obiettivi del progetto / Obiettivi della BIM, in questa sezione si documentano sia le principali fi-nalità che si vogliono ottenere con la BIM che e le sue specifiche ap-plicazioni in relazione al progetto, come definito dal team progettua-le nella fase iniziale della proce-dura di programmazione. 5. Ruoli organizzativi e del perso-nale, uno dei compiti principali della pianificazione consiste nel definire i coordinatori della pro-gettazione BIM e del relativo pro-cesso di attuazione durante le va-rie fasi del progetto. Questo aspet-to è particolarmente importante quando si stabilisce il gruppo re-

sponsabile dello sviluppo del Pia-no di BIM, nonché il personale ne-cessario per implementare, con successo, il piano stesso. 6. Mappatura del processo BIM, questa sezione riporta il processo di costruzione attraverso l'uso di mappe di processo che saranno sviluppate nella seconda fase del-la procedura di pianificazione. 7. Scambi d’informazioni BIM, una sezione in cui vengono descritti con chiarezza i requisiti necessari allo scambio di informazioni per implementare gli elementi del mo-dello e il livello di dettaglio richie-sto ad ogni categoria di impiego della BIM. 8. Infrastruttura e Dati richiesti dalla BIM, l’infrastruttura dati del-la BIM deve documentare le ri-chieste della committenza . 9. Procedure di collaborazione, il team progettuale deve sviluppare una procedura propria di collabo-razione digitalizzata. Ciò com-prende sia la definizione delle procedure di gestione del modello (ad esempio, autorizzazioni e strutturazione di file) ma anche pianificazioni tipiche come riunio-ni e ordini del giorno. 10. Standard di qualità e procedure di controllo è necessario sviluppa-re una procedura per garantire durante tutta la durata del proget-to, il monitoraggio dell’applicazio-ne degli standard di qualità defini-ti e richiesti da tutti i partecipanti alla progettazione .

11. Infrastruttura tecnologica ne-cessaria, la pianificazione deve anche indicare il profilo hardware e software dell’infrastruttura non-ché le caratteristiche di rete ne-cessarie per eseguire la pianifica-zione. 12. Strutturazione del Modello, il team di progettazione deve stabili-re elementi fondamentali della documentazione quali: la strutturazione logica del mo-

dello, la strutturazione per i nomi dei

file, il sistema di coordinate, gli standard di modellazione. 13. Stati di avanzamento e risultati progettuali, il team deve predi-sporre un sistema di notifica e feedback per documentare alla committenza e ai vari partecipanti al progetto lo stato di avanzamen-to del cantiere raffrontato con gli obiettivi progettuali prefissati. 14. Strategia di consegna / Con-tratti, in questa sezione è descritta la strategia di consegna impiegata per il progetto. Si ricordi che la strategia di consegna scelta così come il linguaggio contrattuale utilizzato avranno un impatto no-tevole sull’attuazione della BIM . Nella serie di articoli che saranno qui pubblicati analizzeremo detta-gliatamente ciascuno dei punti che sono stati elencati per fornire una serie di utili informazioni fi-nalizzate ad una corretta pianifi-cazione ed attuazione della BIM.

Fig. 2, la Tabella per lo scambio informazioni

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Stabilire le unità di misura in SketchUp

P er essere immediata-mente operativi e comin-ciare a modellare in SketchUp conviene im-

parare subito ad impostare la giu-sta unità di misura per il nostro lavoro. Il criterio generale per il settaggio delle unità di misura è legato alla natura dell’oggetto che stiamo per riprodurre o progettare. In alcuni casi conviene impostare la scala su metri anche se il lavoro è in millimetri, questo per facilita-re il software nell’elaborazione dei calcoli per la creazione di curve, circonferenze e piccole frazioni di segmenti… A modello finito il co-mando SCALA provvederà a met-tere le cose al giusto posto! Fatta questa premessa, partiamo subito con la finestra attraverso cui ge-stiamo la quasi totalità delle infor-mazioni relative al modello che stiamo per realizzare: INFORMAZIO-

NI MODELLO. Per accedere ad essa ci portiamo sul menù Finestra e se-lezioniamo l’item relativo, ci clic-chiamo su ed eccola apparire con la sezione relativa alle misure già aperta. Da questa finestra, come vedremo nelle prossime puntate, possiamo settare molti parametri connotativi del nostro modello re-

lativi: alle Animazioni; agli Autori; ai Componenti, alle Dimensioni di testi, linee direttrici e quote; al Fi-le; al referenziamento della Posi-zione geografica; alle modalità di Rendering interno; la visualizza-zione delle Statistiche relative al modello; il Testo e per finire le Unità. La sezione è composta da due blocchi di controllo: Unità di lunghezza e Unità angolari. Il pri-mo blocco si apre con il combobox Formato che propone quattro stan-dard fondamentali di misure: Ar-chitetturale, Decimale, Frazionale, Ingegneria. Se dovete semplice-mente esercitarvi vi consiglio di lasciare Decimale. Alla destra del primo combobox troviamo una seconda casella a discesa che pro-pone due unità del Sistema Impe-riale Britannico, Pollici e Piedi e tre unità del nostro Sistema Inter-nazionale centimetri, millimetri e metri. Possiamo anche scegliere con quanta precisione vogliamo rappresentare i nostri modelli at-traverso il combobox Precisione; la lista propone sei ordini di visua-lizzazione delle cifre decimali do-po l’unità, partendo dalla misura “netta” sino a sei cifre. Il controllo Abilita snap a lunghezza è asso-ciato ad una piccola finestrella di immissione testo che si abilita appena spuntiamo il check box relativo mostrando la “sensibilità” dello snap stesso. Il secondo

check Mostra formato unità fa ap-parire nel Visual Control Box, in-sieme al valore numerico che im-mettiamo da tastiera per imposta-re la grandezza di un’entità, l’unità di misura con cui stiamo operan-do. Nella pratica di modellazione imparate a tenere sempre d’occhio il VCB di SketchUp perché il sem-plice errore di un millimetro, fatto all’inizio del disegno, ve lo ritrove-rete per tutto il lavoro con effetti catastrofici che vi faranno letteral-mente ammattire! Questo vale per tutti i programmi CAD e ancor di più se disegnate con le vecchie squadrette! Il secondo blocco di controlli della sezione Unità offre dei settaggi anche per le misure angolari. Il combobox Precisione visualizza una lista da cui sceglie-re l’ordine di grandezza da visua-lizzare nella misura: solo gradi; gradi, minuti; gradi, minuti, secondi. Ciò permette di eseguire rappre-sentazioni di dettagli con misure angolari molto precise, utilissime specialmente negli elaborati di pezzi meccanici come alberi, per-ni, camme, ecc. Il controllo Abilita snap ad angoli ci consente di im-postare la “quantità” di gradi a cui deve rispondere lo snap. Per de-fault è di 15°.

IV puntata

di Salvio Gigl io

CORSO di BASE per SketchUp

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D opo aver modellato il volume del piccolo edificio, (nella Prima Parte del numero pre-cedente di CADZINE) passiamo subito alla seconda fase, cioè l'applicazione delle tex-

tures di rivestimento sulle superfici restituite, cercan-do cosi di alternare modellazione volumetrica e tema-tizzazione. Personalmente ritengo che le textures sia-no la vera anima della modellazione tridimensionale, l'accurata lavorazione delle stesse, la loro scelta e la corretta applicazione, convertiranno al modello 3D delle caratteristiche uniche che consentiranno di co-municare la sensibilità e l'esperienza del modellatore, conferendo al tempo stesso nella restituzione origina-lità e carattere, quindi personalizzazione e riconosci-bilità del lavoro effettuato. Questa fase è un pochino più delicata ed elaborata, cercheremo di descriverla passo per passo aiutandoci con le immagini catturate durante la modellazione. Incominciamo dall'applica-zione della texture sul piccolo prospetto dell'ingresso, evidenziamo la facciata bianca cliccandoci sopra con il mouse. La superficie apparirà retinata a piccoli pun-ti e quindi riconoscibile e "lavorabile". SketchUp, co-me sappiamo, ci consente di utilizzare in maniera semplice le textures riprese da immagini fotografiche che conferiscono un'ottima resa realistica al modello. Con un po' d'esperienza acquisita, la potenzialità che ci offre questo programma di ottenere una restituzio-ne tridimensionale suggestiva e molto vicino alla realtà, secondo me è davvero notevole! Quindi, dopo aver evidenziato l'area scelta, Fig. 1, dal menù FILE - IMPORTA, scegliamo la foto adeguata andando a cercar-la nella cartella appositamente creata. Utilizzando il comando RIEMPI, Fig. 2, clicchiamo e applichiamo la texture nello spazio evidenziato. Ovviamente, più le foto saranno state scattate parallelamente ai prospet-ti, più sarà facile la loro applicazione e migliore il ri-sultato ottenuto. La foto (texture) che ci appare è re-plicata all'infinito, quindi dovremo cercare di adattar-ne le dimensioni scalandola alla proporzione dovuta In Fig. 3, clicchiamo sulla texture, poi tasto destro del mouse e ci apparirà la finestra dove andremo ad evi-denziare TEXTURES e poi POSIZIONE. La foto è ora "lavorabile" e contrassegnata, sugli angoli che la deli-mitano, da 4 spilli di colore diverso. Ora, abbiamo la possibilità di adattare la foto utilizzando ben 2 opzio-ni:

II puntata

di Antone l lo Bucce l la

Applicazione delle textures di rivestimento sul modello georeferenziato

CORSO di Modellazione Geolocalizzata per SketchUp

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

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Nella prima, cfr. Fig. 4, gli spilli sono di colori diversi e sono fissi per default. Ogni puntina ha un colore e una funzione differente: Rosso = SPO-

STA, Verde = SCALA (molto utile per cominciare ad ingrandire la foto), Blu = DEFORMA, Giallo = DISTORCE la texture.

Nella seconda, cfr. Fig. 5 e 6, eliminando il segno di spunta dall’item Puntina fissa del me-nù contestuale gli spilli, che delimitano la foto, non sono più di diversi colori ma tutti gialli e con la stessa funzionalità.

Sceglieremo quest’ultima soluzio-ne per la nostra modellazione poi-ché così abbiamo la possibilità di adattare manualmente e con pre-cisione i contorni della nostra foto sul perimetro del prospetto della chiesetta. Clicchiamo su uno degli spilli e spostiamolo posizionando-lo su uno degli angoli o limiti della parte di texture che ci interessa. Ripetiamo l’operazione per gli altri tre spilli. Adesso, Fig. 7, cliccando e tenendo premuto il puntatore su uno degli spilli, trasciniamolo sull'angolo ad esso corrisponden-te. La foto, distorcendosi, inizierà ad adattarsi perfettamente al pia-

no interessato come si vede nelle Fig. 8 e 9. Identica manovra per i restanti spilli che andranno tra-scinati ognuno sul corrispondente angolo. Quando abbiamo spostato tutti gli spilli, apriamo il menù contestuale e scegliamo "completato". La foto risulterà ora ritagliata e adeguatamente propor-zionata occupando esattamente la superficie del modello. Solo ora, osservando con attenzione la resa grafica, potremo eventualmente calibrare la foto con piccoli spo-stamenti (stessa procedura) degli spillini gialli, fino a quando la tex-ture di riempimento del prospetto

Applicazione delle textures di rivestimento sul modello georeferenziato

Fig. 8

Fig. 4

Fig. 7

CORSO di Modellazione Geolocalizzata per SketchUp

Fig. 5 Fig. 6

Fig. 9

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CORSO di Modellazione Geolocalizzata per SketchUp

ci sembrerà dritta e abbastanza reale. Piccole modifiche sulla lu-minosità e sul contrasto, sono pos-sibili nel programma stesso. Even-tuali modifiche più consistenti si ottengono esportando la texture in un editor raster (PaintNet, GIMP, Photoshop, ecc.). Per gli altri pro-spetti laterali va ripetuta la stessa operazione appena descritta. Una volta applicate le foto di rivesti-

mento sui 4 lati, possiamo iniziare alcune semplici modellazioni di finitura come, per esempio, quella della porta di ingresso o quella del piccolo oblò sulla porta stessa. Ba-sta soltanto disegnare i contorni della porta e dell'oblò con il co-mando Linea e cerchio ed in se-guito, operando con lo strumento SPINGI/TIRA, Fig. 12, estrudiamo ver-so l'interno (con la misura voluta)

le 2 zone ricavate. Noterete che, pur modificando i volumi, le textu-res di rivestimento risulteranno invariate. Non resta che applicare e adattare le textures sulle nuove superfici ottenute dal rientro dei volumi. Nel prossimo numero rico-struiremo la struttura e la copertu-ra del tetto, completandolo con le appropriate campiture di rivesti-mento.

Fig. 10 Fig. 11

Fig. 12

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UMORISMO… macabro ò_O

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GIOCHI

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