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La Newsletter settimanale del 7 maggio 2015
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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI www.avvenirelavoratori.eu La più antica testata della sinistra italiana,
Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo
Direttore: Andrea Ermano
> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <
e-Settimanale - inviato oggi a 44281 utenti - Zurigo, 7 maggio 2015
Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni
IPSE DIXIT
L’argento è più vile – «L’argento è più vile dell’oro, l’oro delle
virtù». – Orazio
Se volete deprimervi – «Se volete deprimervi sul futuro dell'Europa,
leggete quel che scrive Wolfgang Schäuble sul New York Times.
Troverete un ripudio di ciò che sappiamo di macroeconomia, delle
intuizioni che l'esperienza europea degli ultimi cinque anni avvalora.
Nel mondo di Schäuble l'austerità conduce alla fiducia, la fiducia
genera crescita e, nel caso in cui per il vostro Paese ciò non
funzionasse, ciò significa solo che lo state facendo nel modo
sbagliato». – Paul Krugman
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.
Giustizia e legalità
Cooperazione internazionale per
colpire la ’Ndrangheta globalizzata
Il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione
parlamentare antimafia, commenta l’inchiesta della Direzione
distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata dal procuratore De
Rao e dall’aggiunto Gratteri e condotta dagli uomini dello Sco e
dell’Fbi.
di Giuseppe Lumia, senatore della Repubblica
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La ‘Ndrangheta da anni occupa i piani alti della criminalità in Italia e
nel contesto internazionale. Ancora oggi il traffico di droga costituisce
una risorsa fondamentale che consente all'organizzazione criminale di
costruire potere economico e collusivo e di instaurare relazioni
fortissime, come quelle con le famiglie mafiose newyorkesi dei
Gambino, Lucchese, Bonanno, Colombo e Genovese.
In questo settore la ‘Ndrangheta ha rafforzato la sua posizione con i
cartelli sudamericani, per la sua affidabilità nei pagamenti, per l'abilità
nel riciclare denaro sporco grazie alla rete di colletti bianchi di cui
dispone, ma soprattutto per la capacità di garantire un mercato di vaste
proporzioni come quello europeo.
A questa ‘Ndrangheta globalizzata si risponde con operazioni
condotte a livello internazionale. La cooperazione è fondamentale per
disarticolare il traffico di stupefacenti e colpire al cuore
l’organizzazione.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Torture
A metà del Seicento, il filosofo Thomas Hobbes diceva che lo Stato
moderno è stato creato per salvaguardare l’incolumità e la sicurezza
degli individui. Oggi, un altro filosofo, Giorgio Agamben dice che “lo
stato di eccezione tende sempre più a presentarsi come il paradigma di
governo dominante nella politica contemporanea”.
Nello stato di eccezione le leggi sono sospese e le garanzie
giuridiche delle persone sono disattivate. Nello stato di eccezione la
vita umana è abbandonata senza alcun riparo, esposta agli abusi e alla
tortura. Agamben la chiama nuda vita. Nude vite degli attivisti nella
scuola Diaz al G8 di Genova; di Stefano Cucchi, di Federico
Aldrovandi, di Francesco Mastrogiovanni, di altri di cui si conosce la
sorte e di chi, e sono molti, si sa poco o nulla; nude vite di immigrati e
rifugiati nei deserti e nei campi di concentramento in Libia e in
Tunisia; sui barconi che solcano uno dei tratti di mare più sorvegliati al
mondo, sorvolati dai velivoli, monitorati dai dispositivi di controllo
nazionali e sovranazionali e poi abbandonati allo stato di eccezione del
mare , dei trafficanti, degli speronamenti; nuda vita degli immigrati nei
Cara, nei Cie, in galera, nelle camere di sicurezza di polizia e
carabinieri, nei fermi e nei controlli notturni agli angoli delle strade e
nelle piazze.
Lo Stato italiano è stato condannato per la seconda volta (dopo la
sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2013 sulle
condizioni disumane e degradanti in carcere) perché a Genova ha
praticato la tortura.
Dovrebbe essere condannato anche per le stragi nel Mediterraneo,
ma in questo caso, insieme all’Italia, il giudice della Corte europea
dovrebbe condannare tutte le istituzioni che rappresenta.
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La Nagazzetta http://www.naga.it/
SPIGOLATURE
Sfida all'ultimo voto tra
laburisti e conservatori
di Renzo Balmelli
SFIDA. Fino a ieri i sudditi di Elisabetta non avevano occhi che per la
principessina Charlotte. Ora la scena è mutata. Oggi la Gran Bretagna
vota e la confraternita degli sfegatati anti europeisti di Nigel Farage,
insidiosa mina vagante di queste elezioni, punta sulla vittoria di David
Cameron. Non tanto per simpatia, ma per la semplice ragione che se il
premier venisse riconfermato difficilmente potrà rimangiarsi la
promessa di indire il referendum sull'UE che manda in solluchero i
nemici dell'integrazione, ma minaccia di aprire prospettive
destabilizzanti sulle due sponde della Manica. Nell'immediato, però,
considerata l'estrema incertezza dei sondaggi e il peso di un'altra
incognita, quella rappresentata dai nazionalisti scozzesi che potrebbero
essere l'ago della bilancia di eventuali coalizioni, la cosa che gli
elettori maggiormente temono è l'incubo dell'ingovernabilità.
Comunque sia, la sfida all'ultimo voto tra i laburisti, che hanno a cuore
i lavoratori, e i conservatori ,che a cuore hanno invece i milionari e i
potenti, è destinata a lasciare il segno non soltanto a Londra, ma anche
sulla solidità dell'Europa e il suo futuro.
SCENEGGIATA. Papà io ti caccio, e io, figlia mia, ti ripudio. Con
accenti da tragedia shakespeariana, la faida in casa Le Pen che vede la
bionda Marine nei panni di Bruto e il padre Jean Marie nell'ingrato
ruolo di Cesare, è diventata una succosa sceneggiata mediatica a metà
strada tra politica e gossip. A lei non vanno più genio i propositi
razzisti pronunciati dal genitore su ebrei, nazismo e olocausto. Ma c'è
un ma. Il tentativo di pulizia etica ha tutta l'aria di essere un
escamotage per rendere più presentabile il Front National che sogna
addirittura l'Eliseo. Nella " querelle" Le Pen contro Le Pen si tratta ora
di capire non tanto chi dei due sia più antisemita e xenofobo, ma
piuttosto se davvero nel partito s'è creata una frattura tale da minarne la
compattezza nel cavalcare le bacate ideologie di estrema destra sulle
quali ha costruito la sua indecorosa fortuna.
ODE. E' curioso osservare quanto sia diversa la percezione che si ha
dei politici italiani in patria o se visti dall'estero. Emblematico a tale
proposito è il caso di Matteo Renzi di cui si può dire tutto e il contrario
di tutto, ma non che non abbia in casa una folta pattuglia di "nemici"
sebbene abbia incassato la fiducia sull'Italicum. All'opposto, dopo il
voto tormentato e segnato dalla pittoresca imitazione dell'Aventino
inscenata dalla destra, l'Europa si è fatta invece persuasa che ora l'Italia
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vede rosa nella ricerca della formula giusta per garantire la stabilità.
C'è però un dettaglio che probabilmente è sfuggito alla stampa
internazionale; e cioè che l'approvazione della legge è avvenuta alla
vigilia del 5 maggio, l'ode manzoniana che ammonisce quanto poco ci
voglia per passare dagli altari alla polvere.
SOLIDARIETÀ . All'EXPO2015 si racconta la storia del cibo, ma per un
miliardo di individui il cibo è solo un racconto. Tale pensiero,
condensato nella vignetta di Repubblica, è quello che dovrebbe
convogliare gli sforzi e le iniziative della rassegna per raccogliere una
sfida che non è esagerato definire epocale. Si tratta di ridefinire il
concetto di solidarietà ancora troppo spesso frenato dalla logica
spietata delle multinazionali che crea spaventose sacche di
sottosviluppo in cui si vive ( si fa per dire) con meno di un dollaro al
giorno. Sbaglia però chi pensa di arrivarci con la violenza che per sua
natura vanifica sul nascere le speranze di ridurre il divario tra il resto
del pianeta e la parte minoritaria del mondo. Quella parte che si
definisce moderna e civilizzata, ma ancora una volta incapace di
fermare quei quattro imbecilli mascherati che hanno devastato Milano,
perdendo però la partita sul campo.
CARRELLO. Dalla Germania all'Italia i negozianti di confine
sorridono. Ogni fine settimana i loro empori sono presi d'assalto dalla
clientela svizzera che nonostante le prediche anti europee dei populisti
se ne va tranquillamente a fare spesa all'estero a condizioni
decisamente favorevoli. Nessun slogan è stato in grado di arginare "i
frontalieri del carrello" che riempiono il frigorifero spendendo molto
meno che sotto casa. Sul piano interno il fenomeno preoccupa. Quando
si tocca il portafoglio non è facile fare breccia nel cuore della gente che
da un lato magari dice no alla libera circolazione delle persone, ma
dall'altro ,fatti due calcoli, pare poco incline a rinunciare ai vantaggi
della libera circolazione degli acquisti nella vicina UE che dopotutto
non sembra poi così ostile come la dipinge la propaganda nazionalista.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :
(ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Uno sguardo sul
futuro della sinistra
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Nel nuovo libro di Giacinto Militello (Ediesse) il racconto di una
nuova sinistra possibile. Capace di difendere i più deboli ma anche di
porsi alla guida dei grandi processi di cambiamento in atto nel
mondo per non lasciarli in mano alle destre. Solo il lavoro congiunto
del pensiero liberale e del pensiero socialista e di quello dei cattolici
democratici può fondare una moderna prospettiva liberalsocialista
capace di far rinascere il paese. È questo uno degli assunti de “La
prospettiva liberalsocialista. Uno sguardo sul futuro della sinistra”,
l’ultimo volume di Giacinto Militello, figura storica della sinistra
politica e sindacale in Italia, pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro).
Giacinto Militello, figura storica della sinistra politica e sindacale in
Italia, ha pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro) un pamphlet
appassionato e ricco di informazione e documentazione.
“Il pensiero liberalsocialista – ha spiegato l’autore nel corso di un
intervista andata in onda su RadioArticolo1 – distingue nettamente
la tradizione socialista da quella comunista, la tradizione liberale da
quella liberista: è cioè il tentativo di mettere assieme libertà e
giustizia sociale, libertà dell'individuo e uguaglianza. Si tratta di
un'impresa enorme. Bobbio, a questo proposito, suggerisce di non
tentare una sintesi filosofica rispetto a queste due grandi tradizioni,
quella liberale e quella socialista, ma piuttosto un incontro di
interessi, una soluzione politica per mettere insieme queste due
grandi tradizioni democratiche del pensiero politico italiano”.
L’intervista di www.rassegna.it
Solo il lavoro congiunto del pensiero liberale, del pensiero
socialista e di quello dei cattolici democratici può fondare una
moderna prospettiva liberalsocialista capace di far rinascere il paese.
Questa è la tesi di fondo dl suo libro, nel quale viene spesso evocata la
differenza tra liberalismo e liberismo. Ma in Italia la “rivoluzione
liberale” di Gobetti è stata evocata anche a sproposito.
Militello Mi fa piacere che si citi Gobetti. Perché la rivoluzione
liberale di Gobetti era affidata soprattutto alla classe operaia, vista e
proposta come classe dirigente del paese. Mentre la rivoluzione
liberale di cui ha parlato Berlusconi era soltanto un modo per fare i
propri interessi e non certo per portare i deboli e gli operai alla guida
del paese. Sono due concetti completamente diversi.
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Quali sono, in sintesi, le asticelle che separano liberalismo da
liberismo?
Militello Il liberismo tende a ignorare o addirittura, come abbiamo
visto, a colpire i diritti dei più deboli e a consacrare un'idea di società
basata sul denaro, sul profitto, sulle diseguaglianze. Il pensiero liberale
invece è tutta un'altra cosa: comprende bene che per inverare il
concetto di libertà si ha bisogno di coniugarlo con quello di giustizia
sociale e di eguaglianza di tutti i cittadini e di progresso della
democrazia.
Quale ruolo ha nella costruzione di questa prospettiva progressista
il sindacato?
Militello Nel sindacato ho passato 30 anni della mia vita: lo
considero la mia famiglia. Per me è un bene prezioso e una grande
conquista democratica dei lavoratori che va assolutamente difesa, oggi
e domani. Tuttavia attualmente il sindacato corre il pericolo di subire
pesanti sconfitte. Pur essendo ancora capace di mobilitare masse, di
organizzare grandi manifestazioni e di incontrare il popolo, rischia di
non avvertire che nella società si stanno sviluppando due processi
opposti: da una parte c'è effettivamente la deindustrializzazione e il
declino dell'assetto produttivo e sociale del paese, ma dall'altra parte
c'è anche il cambiamento, l'innovazione tecnologica, l'automazione, e
il lavoro che diventa sempre più consapevole e capace di affrontare
problemi complessi. Se il sindacato tenta di fermare il declino senza
però capire che deve guidare e promuovere il cambiamento diventa
conservatore e si indebolisce. Il risultato è che questo cambiamento
verrà guidato dai liberisti. Per queste ragioni, la fase attuale per il
sindacato è sicuramente molto difficile.
A proposito del lavoro che cambia e della conoscenza, in Cgil sei
stato tra i primi a occuparti di professioni…
Militello Sì, e anche questo è un tema importante e ricco di
prospettive: non si può pensare che l’unica dimensione sia quella, pure
importantissima, del conflitto in fabbrica. La società è molto più
complessa. Ci sono, appunto, i lavoratori autonomi, che hanno una
propria cultura, una professione, una volontà di affermarsi nella società
con il loro sapere e le loro conoscenze. Il futuro del sindacato e quello
del lavoro sono sempre più legati al livello di conoscenza che ogni
singolo lavoratore immette nel processo produttivo. Il futuro del lavoro
sta nel suo matrimonio con la conoscenza, con l'esperienza e con la
formazione. Più fa questo e più il lavoratore diventa autonomo, anche
se magari è inquadrato come dipendente. L’innovazione tecnologica
non è un'invenzione dei padroni ma un bisogno e una tappa della
civiltà verso la modernità. Certo l'innovazione tecnologica purtroppo
crea anche il digital divide, gli esclusi, tanto lavoro puramente
esecutivo, poco dignitoso e pagato sempre meno. Ecco, allora, che il
grande compito del sindacato è difendere i più deboli, i più poveri e
quelli che hanno meno conoscenza ma, contemporaneamente, trovare
nuove alleanze sociali e nuovi strumenti organizzativi per stare insieme
ai lavoratori della conoscenza. Questo è il futuro, e se non ci si prepara
ad affrontarlo si resta indietro. Lo scenario attuale tiene insieme
povertà e innovazione e a tutti e due questi poli dobbiamo trovare una
risposta adeguata, altrimenti si finisce per restare inesorabilmente
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indietro.
Quindi la sinistra è forte se è in grado di rappresentare insieme i
deboli e i poveri…
Militello Proprio così. Dobbiamo rappresentare e stare con i
deboli, ma per vincere la battaglia e per guidare il cambiamento
abbiamo bisogno anche di altre forze sociali. Dobbiamo interrompere
questo andazzo deprimente che negli ultimi tempi ha offuscato la luce
della sinistra, diventata ceto politico senza più riferimenti sociali. Se
non lo faremo saranno tecnocrazia e populismi di destra a guidare i
processi in atto.
Economia
Pasteggiare con il cianuro no!
I derivati e il fallimento del metodo economico
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
Negli anni passati i governi italiani hanno sottoscritto con 17 banche
internazionali e 2 banche italiane vari tipi di derivati finanziari che a
dicembre 2014 avevano un valore nozionale di 163 miliardi di euro.
Oggi essi hanno una valutazione di mercato (mark to market) negativa
per oltre 42 miliardi. Questa è la somma che si dovrebbe sborsare se
dovessero essere conclusi adesso. Non lo si deve fare subito. Ma ciò
dimostra la pericolosità dei derivati e l’irresponsabilità di chi li ha
negoziati.
In ogni caso dal 2001 al 2004, in 4 anni lo Stato ha già pagato ben
13 miliardi di euro a causa di derivati andati male. Questi soldi sono
usciti “quatti quatti” dal bilancio pubblico per arrivare sui conti delle
solite banche “too big to fail”. Contemporaneamente – lo si ricordi - ci
si strappava i capelli per trovare qualche centinaia di milioni per i
lavoratori, per i disoccupati, per i precari, per i pensionati e per le Pmi.
Forse era una messa in scena perché i riflettori non venissero puntati
sui miliardi che silenziosamente fluivano verso le banche
internazionali.
“L’esperienza pregressa faceva presumere che …”. Con queste
parole inizia sempre la giustificazione per le incompetenti, e a volte
fraudolenti, operazioni fatte con i derivati. Più che una insostenibile
scusa, esse rivelano il fallimentare pensiero che ha dominato la politica
economica in Italia e anche nel resto del cosiddetto mondo avanzato.
I dati statistici sono molto utili per le analisi economiche. Lo studio
delle passate esperienze è senz’altro importante per evitare di ripetere
certi errori. Ma le decisioni di politica economica per il presente e per
il futuro non possono basarsi sui precedenti, sul passato. L’economia
esige una capacità di analisi vera delle sue leggi e degli andamenti per
compiere scelte, decisioni e azioni corrette.
Come funziona l’economia reale? Qual è il ruolo del credito? Quali
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devono essere i limiti della finanza? Sono alcune delle domande alle
quali non si può rispondere con la statistica. Occorre essere in grado di
formulare delle politiche giuste, anche nell’ipotesi di una totale
mancanza di dati statistici. Politiche misurabili durante il loro percorso
attuativo.
Nella finanza, voler invece perseguire col metodo di un continuo ed
identico “passo dopo passo”, soltanto perché fino a quel momento è
andato tutto bene, può portare alla catastrofe sistemica. Infatti all’inizio
tutte le speculazioni e le bolle finanziarie eccitano la fantasia,
stimolano maggior avidità e ingenerano quasi un senso di onnipotenza.
Il comportamento truffaldino della speculazione illude e nasconde la
verità. Però quando poi si cade, impreparati e illusi, ci si fa veramente
male.
Eppure la crescita progressiva ed esponenziale dei derivati più
pericolosi, come quelli Over the counter (otc), stipulati fuori dei
mercati regolamentati e non riportati nei bilanci, avrebbe dovuto
suonare l’allarme per tutti gli economisti ed in particolare per i
governi. Questa bolla era iniziata nel 1998 dopo l’eliminazione del
Glass-Steagall Act, la legge voluta nel 1933 dal presidente F. D.
Roosevelt dopo la Grande Depressione. Proibendo alle banche
commerciali di giocare con i depositi dei risparmiatori ai casinò della
speculazione, tale legge aveva avuto effetti positivi sia negli Usa che
nel resto del mondo occidentale
I derivati otc, sotto gli occhi di tutti, negli anni sono cresciuti a
dismisura con la complicità più o meno consapevole degli organi
preposti ai controlli bancari e finanziari. Nel 1998 ammontavano a 30
trilioni di dollari. Poi vi è stata una continua crescita:140 trilioni nel
2002, 250 nel 2004, 420 nel 2006, 600 nel 2007. A giugno del 2008,
alla vigilia del crac della Lehman Brothers e della crisi globale, erano
pari a 683 trilioni. Attualmente gli Otc si mantengono intorno ai 700
trilioni di dollari.
E’ a dir poco sconcertante il fatto che non si sia compresa la gravità
di tale abnorme andamento. E’ sorprendente che qualcuno possa
ancora ritenere che i derivati siano una specie di “polizza di
assicurazione”? Perché i contratti in derivati sono mantenuti nel
segreto per paura di destabilizzazioni finanziarie? Si sa che essi sono
gestiti, quasi tutti, da una ristretta “loggia” di una dozzina di banche
too big to fail.
Si mettano da parte le definizioni accademiche del derivato e si
affronti, nelle competenti sedi governative europee ed internazionali, la
dura realtà speculativa dei derivati e delle loro bolle. Non farlo sarebbe
esiziale per l’economia mondiale. E’ ben noto che in piccolissime dosi
anche i veleni possono essere utili. Pasteggiare con il cianuro no!
Da Avanti! online www.avantionline.it/
IL SÌ DEL QUIRINALE
di Ginevra Matiz
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Mattarella firma l’Italicum e Pippo Civati lascia il Pd mentre a sinistra
si annuncia la possibile nascita di una nuovo partito (Vendola). “Esco
dal gruppo del Pd. Per coerenza con quello in cui credo e con il
mandato che mi hanno dato gli elettori, non mi sento più di votare la
fiducia al governo Renzi. La conseguenza è uscire dal gruppo”. Alla
fine Civati ha deciso. Dopo diversi annunci e dopo essersi avvicinato
alla porta più in più di una occasione, questa volta il deputato della
minoranza Pd ha deciso di attraversare il Rubicone. La goccia è stata
l’approvazione del “Renzellum”, la nuova legge elettorale, con
l’imposizione del voto di fiducia da parte del presidente del consiglio.
Legge appena firmata dal Presidente della Repubblica. Firma che
secondo alcuni non avrebbe dovuto apporre. Tra questi il segretario
generale della Uil Carmelo Barbagallo: “Il Presidente della Repubblica
è un costituzionalista – aveva detto poco prima della firma – dovrebbe
vedere se ci sono alcuni aspetti che secondo me sono molto forzati”.
Ieri sera, evidentemente in modo non casuale, Vendola aveva
annunciato di essere pronto a sciogliere il gruppo parlamentare
“formare un raggruppamento nuovo, più grande”. Per Vendola questa
trasformazione nasce dal bisogno di “movimentare la scena perché –
aveva concluso – questa puzza di autoritarismo che promana Palazzo
Chigi è insopportabile”. Da Sel ha parlato anche il coordinatore
nazionale Nicola Fratoianni: “Siamo pronti a discutere con Civati e
dare vita al più presto ad una forza politica in grado di dare voce alle
tante distanze dal Pd che sono vicinanze per Sel. Siamo pronti a
mettere in discussione l’assetto dei nostri gruppi parlamentari e del
partito perché sappiamo che oggi è il tempo per costruire una risposta”,
ha aggiunto. Insomma l’approdo di Civati a Sel sembra scontato, anche
se probabilmente avverrà in un secondo tempo dopo un passaggio al
gruppo misto, ma soprattutto e da vedere se la sua decisione, ormai
nell’aria da tempo, rimarrà un caso isolato o sarà seguita da altri
dissidenti della sua area. Nel Pd – ha scritto Civati sul proprio blog –
“hanno promosso e approvato, senza voler parlare, di leggi elettorali,
riforme del lavoro e della Costituzione, cementificazioni e
trivellazioni, e ce li siamo trovati in tivù a deridere le ragioni di chi
difende l’ambiente o crede che il futuro passi attraverso soluzioni
differenti. Peccato (soprattutto per loro): perché invece il futuro
sarebbe a portata di mano, basterebbe imparare a sposare tradizione e
cambiamento, coniugando cose antiche come i diritti e nuovissime
come l’innovazione”.
Dalla maggioranza del Pd nessuno sembra stracciarsi le vesti.
L’uscita di Civati è un problema in meno a meno che non diventi il
primo di una serie di deputati che seguano la stessa strada. Ipotesi al
momento molto improbabile. Il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini
ha detto di essere “dispiaciuto ma era una decisione preannunciata da
tempo”. Per quanto riguarda la maggioranza al Senato Guerini dice di
non essere “impensierito, non credo che la minoranza Pd lo seguirà”.
Civati “da tempo non votava in Aula a sostegno del governo – ha
proseguito Guerini -. La sua scelta era nell’aria, noi rispettiamo la sua
scelta”. Guerini non crede che la scelta di Civati possa influire su altri
deputati e senatori non troppo allineati con il segretario-presidente e
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sottolinea comunque di non aver timore che si crei un nuovo soggetto a
sinistra del Pd: “Già c’è e noi ci confrontiamo con loro”.
Per il deputato riformista Dario Ginefra “non può far piacere l’uscita
da un partito di qualsivoglia iscritto, figuriamoci di una persona con le
qualità di Pippo, ma la notizia della la sua scelta contribuisce a far
chiarezza. Si tratta in fondo della cronaca di una morte annunciata”.
Corradino Mineo ha già detto che non seguirà la scelta di Civati: “Il Pd
è la nostra trincea, mollare sarebbe come disertare. Quanto è accaduto
– dice il senatore ‘civatiano’ – è una cosa grave: Civati era uno dei due
sfidanti di Renzi alle primarie e la sua uscita e la prova che prosegue il
mutamento genetico del Pd di Renzi”.
Un’uscita che per Vannino Chiti non è da sottovalutare. “L’uscita di
un dirigente giovane come Civati è un segnale negativo. Esprime un
disagio e delle insoddisfazioni dovute non soltanto a scelte che si
possono non condividere, ma anche a un divario tra quello che il Pd
dovrebbe essere e quello che è realmente, anche nei territori”.
Preoccupazione arriva anche dall’ex capogruppo Roberto Speranza e
parla di “un atto che deve farci riflettere e non può essere liquidato con
una semplice alzata di spalle. Testimonia un malessere di tutto il Pd.
Vedere Bondi che vota la fiducia e sentire un mondo largo, il nostro,
molto critico con il Pd provoca inquietudine nell’elettorato. L’uscita di
un candidato segretario che alle primarie ha preso 40 mila voti deve
essere oggetto di riflessione” conclude Speranza.
Un’uscita che probabilmente renderà più facile la strada del governo
perché toglie forza a un’opposizione interna che stava diventando un
freno. Un oppositore fa più danni da dentro che da fuori. Da Renzi, per
ora, neanche una parola, impegnato in un incontro con i parlamentari
del Pd, sul problema della riforma della scuola.
Vai al sito dell’avantionline
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/
Numero chiuso
Da quanti anni non si assume più un ventenne in una redazione e
non si allarga ai trentenni la cerchia dei collaboratori?
di Luigi Covatta
L’altro giorno a palazzo San Macuto Guido Crainz, nel congratularsi
con Filippo Ceccarelli per l’archivio personale da lui donato alla
biblioteca della Camera (che contiene soprattutto ritagli della stampa
quotidiana), per sottolinearne l’importanza ha osservato che oggi è
proprio la stampa quotidiana ad ospitare il dibattito pubblico più
qualificato, che invece un tempo si svolgeva sulle riviste.
Sarà che per argomentare la sua tesi Crainz ha citato, oltre al
Mulino, anche “il mitico Mondoperaio degli anni ‘70”: ma in quanto
direttore del meno mitico Mondoperaio degli anni 2000 non ho potuto
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fare a meno di essere colto da un dubbio esistenziale e di pormi
qualche domanda (oltre che di recitare mentalmente un mea culpa).
In attesa del perdono divino, passo alle più laiche domande. Come
mai la rivista che ora dirigo è sostanzialmente esclusa dal dibattito
pubblico? Tralascio le scemenze sul digitale e sull’obsolescenza della
carta stampata, so anche che è caduto il muro di Berlino e che c’è la
crisi delle ideologie, e vengo al dunque.
Mondoperaio non è più “mitico” perché il Psi è crollato? Vero: ma
anche negli anni ’70 il (grande) successo della rivista non coincideva
col (modesto) successo del partito. Perché non c’è più Bobbio? Vero:
ma non è che nella stampa quotidiana ora si veda l’ombra di un
filosofo alla sua altezza. Perché fra i trentenni di oggi non ci sono
emuli di Ernesto Galli della Loggia o di Giampiero Mughini? Forse:
ma anche fra i nostri più giovani collaboratori ce n’è di mica male.
Perché non ci sono più Rinascita e La Discussione? Probabilmente è
l’unica risposta sensata, anche se Mondoperaio non è stato mai organo
stretto di partito.
E allora? Guardando Ceccarelli mi è venuto in mente che Lamberto
Sechi lo assunse a Panorama quando aveva poco più di vent’anni. E
che del resto io stesso (che anche allora non ero nessuno) a poco più di
trent’anni avevo libero accesso alle colonne della Repubblica di
Eugenio Scalfari.
Mi sono quindi chiesto da quanti anni non si assume più un ventenne
in una redazione e non si allarga ai trentenni la cerchia dei
collaboratori. Come se i trentenni degli anni ’70, felicemente salvati
dal disincanto degli anni ’90, avessero fissato un ferreo numero chiuso:
con le conseguenze che si possono apprezzare sia per la qualità del
dibattito pubblico che per quella dell’informazione.
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Appello accorato ai lettori
Aiutatemi per favore a capire se con il jobs act
la disoccupazione è aumentata o diminuita.
di Giuseppe Tamburrano
A pag. 12 del Corriere della Sera del 1° maggio 2015 leggo una notizia
relativa all’occupazione: “+92.299 posti a marzo (mese del debutto del
jobs act)”.
Sotto, nella stessa pagina, nell’articolo di Mario Sensini: “A marzo,
secondo i dati dell’ISTAT, la disoccupazione è tornata a salire di due
decimali, toccando il 13%, livello record dopo il 13,2 del novembre
scorso. Il nuovo contratto a tutele crescenti e la decontribuzione… per
il momento non determinano la creazione di nuova occupazione… Nel
mese di marzo l’ISTAT ha registrato 52.000 disoccupati in più rispetto
a febbraio”.
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Nello stesso Corriere, Dario Di Vico conferma (p. 28): “Primo
Maggio del 2015… Avremmo tutti voluto che fosse una festa del
lavoro ritrovato, chiaramente non lo è”.
Rivolgo un fraterno appello ai lettori del blog perché mi aiutino a
capire se col jobs act, con il quale abbiamo perso una grande conquista
della sinistra (penso a Di Vittorio, a Nenni, a Brodolini) e cioè l’art.
18, l’occupazione è aumentata o invece non è diminuita.
E giacché mi trovo, vorrei anche chiedere di aiutarmi a capire che
cosa è il PD secondo i criteri classici di ogni libera democrazia: destra,
centro, sinistra.
E ancora di spiegarmi perché metà degli elettori italiani non votano
(quanti voteranno alle prossime regionali?)
Scrivetemi al blog della Fondazione Nenni che, non essendo
sostenuto da nessuno, è libero come un uccello di buon augurio perché,
nonostante tutto, continua a credere nel socialismo che, come disse
Turati, è immortale.
Per scrivere al Direttore, Giuseppe Tamburrano,
inviare una mail a: [email protected]
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :
(ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Pertini e gli altri e le altre
Il 70° della Liberazione nel luogo dell’eccidio di Fondotoce. Oltre al
grande nome di Sandro Pertini. Eroi comuni, uomini e donne, nord e
sud. E qualcosa su mio padre. Riproduciamo qui il testo
dell'intervento tenuto dal professor Rolando alla Casa della
Resistenza, Fondotoce-Verbania, domenica 26 aprile 2015. Alla
manifestazione di Fondotoce sono intervenuti Irene Magistrini (Casa
della Resistenza), Mario Artali ed Emanuele Nicora (Fiap), Umberto
Voltolina e Stefano Rolando (Fondazione Pertini) nonché l’on.
Renzo Righi (già sindaco e parlamentare socialista di Como,
partigiano, segretario di Pertini quando era presidente della
Camera).
di Stefano Rolando *)
Ho conosciuto Sandro Pertini da ragazzo e – onorato di una amicizia di
famiglia – lo ho accompagnato per tutta la vita, rendendo poi in questi
ultimi venti anni – ove chiamato, ove possibile, attraverso le nostre
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Fondazioni – testimonianza sul monumento che è stato.
Ma Pertini stesso, come ha detto poco fa anche Mario Artali, era
cosciente che la storia eroica che rappresentava, o meglio che
incarnava, sarebbe diventata cultura di popolo trovando anche i
percorsi naturali per fare comprendere che senza l’antifascismo nel suo
complesso l’Italia che conosciamo e in cui abbiamo vissuto non
avrebbe avuto né una classe dirigente, né una Costituzione, né una
reputazione internazionale.
Proprio ieri, il 25 aprile, ho fatto da cittadino – cioè in rete – un
ennesimo diverbio con Giampaolo Pansa proprio su questo aspetto. Per
lucrare audience lui – che come giornalista, anche bravo giornalista, ha
largamente beneficiato della libertà di informazione generata dalla
cultura antifascista – mescola cose vere, verosimili e false. E’
certamente vero che una guerra civile non poteva essere, tragicamente
e per entrambe le parti, un minuetto ma una pagina violenta (pensando
poi la storia stessa a chiarire chi violava e chi difendeva la libertà). Ed
è anche vero che una certa storiografia ideologica ha sagomato la
Resistenza in un certo modo lasciando in ombra contributi civili e
militari, moderati o minoritari, persino non appartenenti. Ma è certo
falso dire che i resistenti italiani furono “quattro gatti” e che l’unico
loro scopo era riconducibile ad una trama per un successivo golpe
comunista. Se fossero stati “quattro gatti” noi oggi non ricorderemmo
70 mila caduti – di cui 1200 solo qui nel novarese, nel verbano e
nell’Ossola – altrettanti incarcerati e torturati, 40 mila mutilati a vita. E
se tutta la loro trama fosse stata unilaterale e golpista la storia politica e
progettuale che, in dialettica con le “forze alleate”, portò alla
Costituzione e alla Repubblica non sarebbe stata quella che
conosciamo.
“Quattro gatti” furono purtroppo i resistenti tedeschi (pur con atti di
eroismo) e questo spiega perché, per la verità e la complessità della
riscossa interna degli italiani, i vincitori della guerra permisero appunto
agli italiani di scriversi da sé la loro Costituzione ritrovando così
immediata dignità istituzionale e politica mentre imposero la carta
delle regole alla Germania (così come fu imposta al Giappone). Chi ha
beneficiato per tutta la vita professionale dell’art. 21 della
Costituzione, insieme a tanti altri diritti personali e collettivi, dovrebbe
rifletterci tornando a rileggere ogni tanto l’epigrafe dettata a Cuneo da
Piero Calamandrei: “Lo avrai camerata Kesserling il monumento che
pretendi da noi italiani…”.
Ci furono eroi, certo. Ci furono protagonisti coerenti, con atti
immensi di coraggio fisico.
Gli storici italiani hanno attribuito a Sandro Pertini questa dote,
coerentemente esercitata da esule e da rivoluzionario in patria, da
confinato e da organizzatore dell’insurrezione, con 16 anni di carceri,
confini ed evasioni. Lo stesso Pertini vedeva queste doti in altri e se
doveva fare nomi (ho riportato un colloquio del 25 aprile dell’85, in
occasione del quarantennale, che contiene cenni) faceva quelli di Leo
Valiani e di Giancarlo Pajetta. Senza dimenticare mai il nome di
Matteotti che, nel coraggio della resistenza parlamentare, mostrò al
mondo la natura e la brutalità del regime.
Ma ci fu una complessa declinazione di quel coraggio. I nomi sono
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tanti. Presiedo la Fondazione legata al nome di Francesco Saverio Nitti
che esule a Parigi – dopo che gli squadristi gli distrussero la casa e
prima che i nazisti lo imprigionassero in Tirolo – fu un tessitore di
alleanze politiche e di legittimazione internazionale per predisporre le
vie della pur lunga e difficile trasformazione dell’Italia. Nella sua casa
passarono in tanti, da don Sturzo ai Rosselli, da Turati a Nenni, da
Saragat a Gobetti e Amendola (questi ultimi due, massacrati dai
fascisti e curati fin negli ultimi istanti di vita dal figlio medico
Federico). E sempre nelle diverse declinazioni di quel coraggio
dobbiamo ricordare chi – come Alcide De Gasperi – pur nell’ombra
della Biblioteca Vaticana mise la sua vita a disposizione di un pensiero
lungo per preparare, appunto nell’ombra, la classe dirigente che
sarebbe stata necessaria per il cambiamento del Paese.
E poi l’intelaiatura delle partecipazione politica che l’avvio del ‘900
aveva prodotto nell’Italia post-risorgimentale e prefascista, in cui si
erano formati i primi partiti di massa. Il fascismo spezzò questa genesi
(pur essendo a sua volta portatore di una nuova partecipazione sociale
alla politica), ma non cancellò figure che – a loro modo – fecero
resistenza e si ritrovarono, dopo molti sacrifici, all’appuntamento della
storia.
Proprio ieri, ero a Melfi appunto al Centro Nitti (dove tra l’altro è
custodita la biblioteca di casa di Carla e Sandro Pertini e dove vi è una
stanza che ricorda tutti gli esuli antifascisti italiani in Francia tra le due
guerre) in cui abbiamo presentato – con il sindaco della città Livio
Valvano e il direttore della rivista fondata da Pietro Nenni
“Mondoperaio” Luigi Covatta – la biografia di Attilio Di Napoli.
Nome forse sconosciuto ai più qui. Che fu leader del socialismo
melfitano, appunto in quel primo ‘900, sindaco della città, e dopo la
caduta del fascismo parlamentare e anche ministro nei governi di
transizione. La biografia lo chiama “intransigente”, perché avvocato
difensore dei braccianti e dei più poveri. Quando evitò il confino
accettando di neutralizzare la sua attività politica, attraversò così i
lunghi anni del fascismo: difese da avvocato la povera gente.
Ciò che vorrei dire, accanto a questi, come a tanti altri possibili nomi
non sempre di una storia maggiore, è che proprio in questi giorni,
attorno a questo settantennale, chi frequenta i social network vede un
fenomeno diffuso che non avevo percepito negli anni precedenti. Molti
postano la fotografia di un nonno, di una nonna, di un padre, di uno
zio, di un parente carabiniere, di un amico di famiglia, per ricordare
che all’epoca ebbero la schiena dritta, fecero il loro dovere, si presero
la responsabilità di esercitare il difficile diritto al coraggio civile.
Raccontano episodi che non entrerebbero nei libri di storia, ma che
sono entrati nel libro di tante famiglie come l’anello all’educazione
virtuosa che legava il paese reale a quella storia che spesso passa sopra
la testa di tanta gente, di tante famiglie.
Se in questa cornice mi è concessa una breve testimonianza
personale – che non ho mai fatto in pubblico – incoraggiato dalle
parole del presidente Ciampi, che sono scritte alle nostre spalle in
questo luogo, perché grazie a Ciampi la vicenda delle migliaia di
militari italiani trucidati a Cefalonia è stata riportata a piena luce –
vorrei dire una cosa riguardante mio padre.
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Il sottotenente Emilio Rolando, non ancora laureato in Economia
all’Università Cattolica a Milano, partì volontario nel 1940, come
molti ragazzi facevano, per “amor di patria”. E raggiungendo con la
Divisione Cuneo la città di Brindisi non sapeva se da lì avrebbe preso
un aereo per l’Africa oppure una nave per la Grecia. Lo imbarcarono
su una nave per la Grecia, che in realtà giunse in Albania da dove
Mussolini pensava che si sarebbero spezzate le reni ai greci in quattro e
quattr’otto. Quei greci che, per difendere la loro patria e la loro casa,
aspettavano appunto gli italiani sugli stessi monti albanesi a molti
chilometri dal loro confine. Sulla Vojussa gli italiani – mal vestiti,
male armati, male informati – morirono come le mosche. E una volta
entrati – grazie ai tedeschi – in Grecia fino ad occuparla, quei ragazzi
avevano capito quasi tutto della storia in cui erano diventati piccoli
attori. Andai pochi anni fa nella piccola isola che poi, nel ’42, toccò a
mio padre comandare, come comandante di compagnia, l’isola di
Furni, vicino alle coste turche. Trovando ancora gente che li aveva
visti sbarcare. Ricordavano gli italiani con un certo affetto. Ma – così
mi disse una vecchia donna, vestita di nero, con due occhi lucenti -
quella gente chiamava gli italiani “purquades”, un misto di greco e
francese che corrispondeva alla domanda sul “perché” erano lì a fare la
guerra proprio ai greci. Domanda a cui nemmeno gli ufficiali sapevano
rispondere. La Divisione Cuneo occupò l’isola di Samos e il 9
settembre del ’43 il generale comandante riunì – come avveniva in
tutte le isole e in altre parti del mondo – ufficiali e soldati, tutti, per
leggere il proclama di Badoglio e chiedere (era la prima volta che
qualcuno nella vita chiedeva loro una cosa del genere) cosa volessero
fare. Naturalmente la risposta di massa era “tornare a casa”. Ma ciò era
l’unica cosa che - senza aerei e senza navi – non si poteva fare. In
verità la scelta era se tenersi le armi o – come volevano i tedeschi –
consegnarle appunto a loro, poco presenti sull’isola ma in grado di
riprendersi rapidamente il controllo. Il grosso fece un po’ all’italiana,
cercò di prendere tempo, molti pensavano che comunque gli inglesi o
gli americani li avrebbero salvati. Mio padre apparteneva a un reparto
di fanteria da prima linea, quindi d’assalto. Con dentro volontari, cioè
ragazzi di buona famiglia e avanzi di galera. Ma la guerra aveva
cementato rapporti reali. E quei ragazzi avevano già rapporti veri con il
popolo greco. E la stessa sera del 9 settembre gli spiegarono quello che
i greci sapevano, che mai gli inglesi o gli americani avrebbero messo il
naso in Grecia. La decisione così fu notturna e immediata. Radunò la
compagnia e per salvare la vita a 120 uomini propose loro di mettere
subito in rischio quella vita. All’unanimità tennero le armi e andarono
insieme ai greci sulle montagne di Samos per fare la resistenza contro i
tedeschi. Raramente sentii mio padre parlare della guerra (da cui tornò
a fine 1946, dopo aver portato la compagnia in Turchia e poi nel
periplo mediorientale fino in Egitto perché, condannato a morte dai
tedeschi, si consegnava in divisa come cobelligerante agli inglesi che
però misero lui e tutti quanti invece nel campo di concentramento di
Ismailia). Tornò per fare famiglia, dedicarsi alla ricostruzione e alla
vita industriale della Milano tornata a pulsare e per non vantarsi né di
appartenenze né di storie, che portavano in sé troppi dolori. Morì di
infarto nel 1971. Ma pochi mesi prima – con un bel ritardo istruttorio
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degli uffici del Ministero della Difesa – ricevette il plico e le
motivazioni della medaglia al valor miliare “per atti fieri e intrepidi
compiuti nel corso della guerra di resistenza insieme ai greci contro i
tedeschi sulle montagne di Samos nell’inverno del 1943”. Ripose con
un sorriso quella medaglia in un cassetto, dove teneva per sé la sua
tessera di “partigiano all’estero”.
Nel capitolo delle storie comuni ci sono poi le storie delle donne.
Che viste da vicino non sono mai “storie comuni”, ma quasi sempre
esemplari. Ne parlammo a Melfi in un recente 25 aprile con Marisa
Ombra, piemontese, che unisce al suo racconto umile di staffetta, una
memoria di famiglia e di ambiente che fa comprendere appunto quella
esemplarità, fatta di critica e di coraggio, tanto che lei è vice-presidente
nazionale dell’ANPI. Ne parlai con la figlia di Nullo Baldini (il
socialista fondatore della cooperazione romagnola) e nuora di Nitti,
Maria Luigia Baldini Nitti, che aveva conosciuto il carcere fascista a
Ravenna e poi il lungo esilio con il padre, nel quale sommò la sua
laurea in Diritto romano a Bologna con una seconda laurea in Storia
dei Trattati (che è una sorta di scuola diplomatica) alla Sorbona e la
dedizione quotidiana alla trama della “Concentrazione antifascista” di
Parigi che comprendeva quasi tutta la classe dirigente italiana del
dopoguerra. Lei – nel colloquio che mi diede quasi centenaria nel 2008
pubblicato da Bompiani – limitava il ricordo di tutto ciò al fatto che in
quegli anni “aveva servito il caffè” a tutti quegli illustri esiliati.
E ne parlai tante volte con una donna speciale, di cui vi mostro ora
la fotografia, casualmente scattata in piazza del Duomo a Milano
proprio nel gennaio del 1945. Come avete visto si tratta di Carla
Voltolina, sorella del qui presente Umberto e al tempo staffetta
partigiana assegnata alla sicurezza di uno dei massimi capi della
Resistenza, con cui preparava, nel piccolo covo di viale Tunisia,
l’insurrezione di Milano. Lei, la prima bandiera rossa sulla CGE
occupata. Si sposarono a Roma nel 1946 e senza la Carla – con tutte le
sue originalità - non si potrebbe scrivere una compiuta biografia di
Sandro Pertini. A lei abbiamo dedicato un convegno a Milano l’anno
scorso e la Fondazione Pertini sta avviando ora alle stampe un libro
che ne ricostruisce il profilo.
Carla Voltolina
Mi commuove avere qui accanto per parlare di Sandro Pertini l’on.
Renzo Pigni, oggi splendido novantenne, che fu tra i più giovani
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parlamentari socialisti nella seconda legislatura e che proprio alla
Camera dei Deputati fu il segretario di Pertini quando esercitò la
presidenza di quel ramo del Parlamento. Ed è giusto che sia lui a dire
qualcosa in più sul messaggio che la sua vicenda può ancora
trasmettere alle nuove generazioni di italiani.
Io mi limiterò a raccontare brevi episodi “visti da vicino” che, per
averli ripresi in un testo già citato, non annoto nel testo scritto di
questo intervento, limitando il cenno a voce.
Ma Pertini – legato a questo luogo che inaugurò nel 1964 –
rappresenta davvero la cornice giusta per riporre queste e le tante altre
storie che la Casa di Fondotoce custodisce e ci ricorda.
Per due volte fu protagonista di un tema cruciale nella storia d’Italia.
Quello del legame spezzato tra istituzioni e popolo. La prima volta con
il percorso militante della lotta di resistenza fino all’insurrezione delle
maggiori città italiane. La seconda volta, riconquistando la fiducia
degli italiani nelle istituzioni, con l’incarico di presidente della
Repubblica dal 1978 al 1985.
Colpisce l’osservazione – con cui voglio concludere – che nella
vicenda italiana il ruolo di capo dello Stato, che ormai sappiamo bene
che non ha carattere ornamentale, è toccato più a figure che hanno
rappresentato molto nel “simbolico politico” e magari meno di altre nel
“potere politico”.
Sandro Pertini con Giuseppe
Saragat a Fondotoce
Nella vicenda dei rappresentanti maggiori dell’antifascismo italiano il
Quirinale toccò a Giuseppe Saragat e a Sandro Pertini. Diversi, ma
uniti da una storia forte. Non si può non vedere che ciò avvenne nei
due periodi di maggiore riorganizzazione delle riforme e di rilancio
concreto del Paese – cioè una parte degli anni ’60 e una parte degli
anni ’80 – che alcuni continuano invece a descrivere come anni di
declino. Ma questa è un’altra storia a cui destinare altri commenti. *) Stefano Rolando è docente di Politiche pubbliche per le Comunicazioni
all’Università Iulm di Milano. Già direttore generale alla Presidenza del
Consiglio, è presidente della Fondazione Nitti, nella direzione della rivista
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Mondoperaio, membro della Fondazione Pertini e della Fondazione Grassi.
Presso Bompiani ha pubblicato il volume Quarantotto – Argomenti per un
bilancio generazionale, Milano, 2008.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.