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La Newsletter settimanale del 3 marzo 2016
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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano
> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <
e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 3 marzo 2016
Per disdire / unsubscribe / e-mail a > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a > ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a > ADL Edizioni
IPSE DIXIT
Maternità - «A una donna non si può imporre di essere o non essere
madre. E neanche di usare o non usare il proprio corpo a fini
riproduttivi. Non lo può imporre una legge dello stato e non lo può
imporre un contratto». – Maria Grazia Giammarinaro
Immagine “Surrogacy friendly”
dell’agenzia “BabyYou” di Barcellona
Maternità surrogata - «La globalizzazione e la segmentazione del
processo tra soggetti, desideri, corpi distinti rende infatti particolar-
mente difficile distinguere quali pratiche sono espressione di autode-
terminazione e quali, invece, sono da ritenere effetti dello sfruttamento
delle capacità biologiche dei corpi analizzato da Melinda Cooper e
Catherine Waldby nel loro Biolavoro globale. Questo nervo si fa
particolarmente scoperto negli accordi di surrogazione stipulati
all’interno di un mercato di tipo transnazionale che coinvolge paesi
poveri o emergenti, in cui pesano gravemente le diseguaglianze sociali
ed economiche tra coppia committente, madre surrogata, ovodonatrice.
Già, perché capita che la coppia di genitori intenzionali sia europea, chi
porta avanti la gravidanza una donna nepalese, e chi dona l’ovulo una
donna ucraina, bianca come i committenti. L’ovodonazione, tra l’altro,
è una tecnica particolarmente invasiva per la donna che vi si sottopone,
prevedendo trattamenti complessi e rischiosi per la salute.
A cosa siamo di fronte? A un gioco di società sempre più pericoloso
a livello planetario? O a un fenomeno che ha radici nell’organizzazione
del mondo del lavoro e della vita familiare nei paesi cosiddetti
occidentali? Lasciando da parte il caso, minoritario, delle coppie gay
maschili, il fatto appare piuttosto semplice, sempre più evidente alle
statistiche: in Italia, il 20-30% delle coppie, nel 70% dei casi con età
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compresa tra i 35 e i 40 anni, ha problemi di infertilità. E il discorso
vale in generale per i paesi a industrializzazione avanzata. Alla base ci
sono ragioni fisiche, ma anche, sempre di più, motivazioni
economiche, culturali e politiche: a causa di condizioni di lavoro
precarie le coppie tendono infatti a pensare ai figli dopo i 35 anni, cioè
nel periodo in cui la fertilità cala drasticamente.
Dall’infertilità diffusa discende non solo l’aumento di richieste di
accesso a cicli di procreazione assistita, omologa (cioè con gameti
della coppia) ed eterologa (cioè con ovuli o spermatozoi provenienti da
donatore/donatrice), ma anche – fuori dall’Italia – alla surrogazione di
maternità… secondo l’Osservatorio sul turismo procreativo, sono
nell’ordine di ben 4.000 le coppie che vanno all’estero in cerca di
trattamenti di procreazione assistita, in particolare di fecondazione
eterologa (pratica illegale in base alla legge 40 fino alla decisione della
Corte Costituzionale del 2014 che ha fatto cadere il divieto), mentre
sono una trentina le coppie italiane che ogni anno si recano in altri
paesi per avere figli con il contributo di una portatrice.». – Giorgia
Serughetti
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.
EDITORIALE
Il lavoro dopo la fine del lavoro
Governare la fuoriuscita dell'umanità dalla “produzione”
richiederà… un grande lavoro. Da parte di tutti.
di Andrea Ermano
Quando circa vent’anni or sono iniziammo a occuparci dell’allora
imminente centenario della nostra testata, “L’Avvenire dei lavoratori”,
la questione dell’avvenire del lavoro ci si presentò come quella su cui
imperniare tematicamente le manifestazioni. Compito che ben presto si
rivelò tuttavia impervio poiché ci trovavamo in mezzo a una mutazione
epocale di cui nessuno riusciva a ben comprendere né la logica né la
destinazione.
Senza contare che la sopravvivenza della testata era ormai entrata in
oscillazione. Venivamo guardati malissimo per via di Craxi, e nulla
importava a nessuno che noi non si avesse avuto parte alcuna negli
scandali accaduti in Italia. Le altre forze politiche d'emigrazione (allora
superstiti, oggi scomparse) cavalcarono "il nuovo che avanza",
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puntando decisamente a eliminare ogni traccia di presenza e memoria
nostra. A un certo punto nessun editore volle più ospitare L'Avvenire
dei lavoratori. Un quindicinale politico, per quanto antico e
prestigioso, aveva effetti deleteri sugli affari, soprattutto in campo
pubblicitario.
Qualcuno scrisse che avevamo cessato le pubblicazioni. Non era
vero. Iniziammo a pubblicare quaderni trimestrali e volumi
monografici. In seguito inaugurammo una nostra (timida) presenza in
posta elettronica. Nell'anno 2000 questa Newsletter constava di cento
destinatari circa, per lo più studiosi che si scambiavano notizie e
opinioni sul "Caso Silone", allora giunto al calor bianco. La cerchia
prese negli anni ad allargarsi. Oggi oltre quarantacinquemila persone –
parte non del tutto trascurabile della sinistra di lingua italiana –
ricevono il nostro settimanale.
Strana vicenda editoriale, la nostra. Che, a ben pensarci, compendia la
questione che avremmo voluto trattare sul piano teorico due decenni fa,
senza per altro riuscirci. Ma la questione dell’avvenire del lavoro
continua a presentare enormi difficoltà anche oggi. Lo si può
constatare guardando una recente (e assai istruttiva) puntata di Otto e
mezzo, programma di Lilli Gruber e Paolo Pagliaro.
La puntata cui ci riferiamo, recante il titolo "Chi ci ruba il lavoro?”,
è andata in onda il 27 febbraio scorso (vai al video su La 7), ospiti in
studio il sociologo Domenico De Masi, il giornalista del Venerdì di
Repubblica Riccardo Staglianò nonché Riccardo Luna, consulente di
Palazzo Chigi per la cultura digitale.
Lilli Gruber, “Chi ci ruba il lavoro?”
La questione dell’avvenire del lavoro coincide in larga parte con
l'accelerazione tecnologica impressa dal digitale e dalla robotica alla
produzione. Se durante la prima rivoluzione industriale furono gli asini
e i cavalli a vedersi sostituiti dalle macchine, oggi le cose vanno
diversamente.
Nell'ultimo quarto di secolo la robotizzazione e l'informatizzazione
ha sostituito una serie di lavori manuali, e basti pensare alla Fiat di
Torino o all'Alfa di Arese, grandissimi stabilimenti industriali in cui
entravano ogni giorno decine e decine di migliaia di operai. Oggi sono
o automatizzati e svuotati oppure scomparsi.
Una gigantesca riconversione industriale ha portato fuori dalla
fabbrica masse enormi di lavoratori per reimpiegarli, o impiegare i loro
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figli, nei settori del terziario. Ma oggi il terziario stesso è finito sotto
tiro, e non fanno eccezione nemmeno professioni intellettuali o
"creative" come il disegno tecnico, molte consulenze, la contabilità
bancaria, il giornalismo, la fotografia, l'alta formazione ecc. ecc.
Lo sottolinea Riccardo Staglianò, autore di un saggio dal titolo
emblematico: Al posto tuo - Così web e robot ci stanno rubando il
lavoro (Einaudi, 2016).
Tutti gli esperti – tra cui diversi premi Nobel come Joseph Stiglitz,
Amartia Sen, Paul Krugman e altri ancora – concordano sull'esito del
mega-trend globale in atto: le attività produttive verranno svolte da
robot prevalentemente sganciati dall'apporto umano.
In altre parole, la produzione di beni e servizi assorbirà solo una
minima frazione dell'attuale “monte ore” lavorativo. E questo avverrà
in tempi non lontani.
Ma allora – è l'esperimento mentale proposto da De Masi –
ipotizziamo che un domani la Cina produca tutti i beni materiali e
l'India tutti i servizi. Non sarebbe una condizione assurda? Eppure è
ciò che rischia di accadere, se andiamo avanti così. Dunque, sarà
opportuno iniziare a redistribuire il lavoro. Ma poi, redistribuito il
lavoro, cosa ce ne faremo del maggior tempo libero? E, se avremo più
ricchezza di quella che ci serve, sapremo anche come distribuirla?
"Occorrerà incidere sulla cultura, altrimenti dilagherà la
depressione", è la tesi del professor De Masi.
Su queste posizioni converge il consulente governativo Riccardo
Luna, che sostiene una duplice esigenza: l'introduzione di un reddito
minimo e la promozione di vasti programmi di formazione permanente
("Tornare a scuola!").
Nella Silicon Valley si sta studiando il tema del reddito minimo,
perché l'accelerazione tecnologica in atto produce più ricchezza, ma
anche più sperequazione. È notizia recente che una sessantina di
ultraricchi possiede ormai quanto la metà più povera del genere umano.
Quindi, l'unica via appare quella prefigurata da Martin Luther King
con la celebre parola d'ordine: "Eliminare la povertà per legge",
sostiene Riccardo Luna. (Sia qui consentito, nello spirito del più
profondo e devoto rispetto per Martin Luther King, ricordare che anche
il “nostro” Ernesto Rossi scrisse nel 1944 un saggio dal titolo "Abolire
la miseria").
Foto segnaletiche di Ernesto Rossi (“Abolire la miseria”)
e di Martin Luther King (“Eliminare la povertà per legge”)
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Ecco, dunque, alcuni dei temi toccati in Otto e mezzo, trasmissione
della quale occorre segnalare anche il servizio di Paolo Pagliaro
incentrato sulle politiche di redistribuzione del lavoro inaugurate dal
cancelliere socialdemocratico tedesco Gerhard Schroeder. Oggi quelle
concezioni vengono rilanciate in Italia dall'economista prodiano Nicola
Cacace. (Ma ai tempi di Schroeder i prodiani non sostenevano che la
socialdemocrazia era morta?!).
Da un quadro sia pur estremamente riassuntivo sullo stato dell'arte si
deduce che sarà necessario un grande lavoro culturale al di là… del
lavoro produttivo. Perché governare la fuoriuscita dell'umanità dalla
produzione di beni e servizi richiederà un vastissimo impegno inteso –
da parte di tutti – alla riforma delle nostre culture, delle nostre
relazioni, delle nostre società. E proprio qui sta il nucleo rimosso di
tutta la questione.
Segnalazione
La Rivista storica del Socialismo
La “Rivista storica del Socialismo”, dopo un silenzio, riprende le
pubblicazioni, con cadenza al momento semestrale, in ideale
continuità con la rivista a suo tempo diretta da Luigi Cortesi e
Stefano Merli.
di Paolo Bagnoli, direttore
Nel 1958 la “Rivista storica del Socialismo” esordisce con un fascicolo
unico – la prima periodicità è trimestrale e, successivamente,
quadrimestrale – dedicato a Filippo Turati nel centenario della nascita;
una scelta che voleva indicare una generale via maestra che noi
riconfermiamo nella non esclusiva attenzione alla storia e alle vicende
del socialismo italiano.
La nuova serie della “Rivista storica del socialismo” manterrà intatto
il proprio profilo scientifico, ma non sarà chiusa nell’ambito specifico
dell’accademia, bensì cosciente che non si può, nel proporsi di far
cultura storica, avere gli occhi chiusi sul mondo e i suoi travagli, sulle
vicende vive dei nostri tempi.
Rivista scientifica, ma non per questo anagraficamente datata, bensì
aperta alle nuove leve della storiografia, cui vogliamo mettere a
disposizione uno strumento serio per i loro lavori da valutarsi secondo
le regole e i metodi adottati nel mondo della comunità degli studiosi.
Al pari della passata serie, naturalmente, non tratteremo solo di
storia del socialismo. Ci proponiamo, infatti, di affrontare il tema nei
suoi vari aspetti – storici, dottrinari, economici, sociali – cercando,
anche, di indicare particolare attenzione alla ripresa di queste tematiche
a livello europeo ed extra-europeo.
Nel presentare, alla nascita, la “Rivista storica del socialismo”, i
direttori chiudevano la loro prefazione rilevando “la considerazione del
socialismo come realtà sviluppatasi e vivente in stretta connessione con
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tutte le pretese varie storie, cioè entro la storia, solo sperimentalmente
scindibile nel laboratorio ideale dello studioso. Nulla, insomma, sarà
estraneo alla tematica della rivista che appartenga al mondo
contemporaneo, del quale il socialismo è parte integrante e vitale.”
Condividendo tali considerazioni, le sottoscriviamo in pieno.
Paolo Bagnoli
Biblion edizioni (www.biblionedizioni.it) è lieta di segnalare alla
comunità di studiosi e agli enti e istituzioni che si occupano di storia la
prossima pubblicazione della nuova serie di “Rivista storica del socialismo”,
periodico pubblicato dal 1958 al 1967, diretto da Luigi Cortesi e Stefano
Merli. Biblion Edizioni intende oggi riproporre uno strumento di studio e
approfondimento sui temi del socialismo italiano e internazionale,
consapevole della vastità dell’argomento e dei suoi molteplici aspetti che
incidono, oggi più che mai, nella società contemporanea da tutti i punti di
vista: storico, economico, politico e sociale. L’autorevole board editoriale e il
comitato scientifico internazionale sono a testimoniare come la storia del
socialismo rimanga in stretta connessione con gli scenari europei e
internazionali di oggi e che le esperienze di studio e ricerca siano
inevitabilmente collegate a esso.
DESTRA SVIZZERA
UNO SCHIAFFO SONORO
ALLA DESTRA XENOFOBA
Ma il Canton Ticino si è dimostrato, ancora una volta,
la regione in cui i sentimenti xenofobi prevalgono.
di Dino Nardi, coordinatore europeo UIM
Si, proprio così la piccola Svizzera - campione di democrazia, che
ospita oltre due milioni di stranieri -in questa tornata referendaria del
28 febbraio 2016 ha detto chiaramente NO all’espulsione automatica
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degli stranieri che commettono determinati “gravi” reati elencati con
pignoleria certosina nel testo messo in votazione su iniziativa
dell’UDC, il partito della Destra conservatrice elvetica che sembra
avere come unico scopo quello della difesa della Svizzera dalla
contaminazione straniera. Una vittoria netta dei NO (59,9%) che è stata
espressa dal 63,2% degli aventi diritto al voto. Una straordinaria
affluenza al voto per le abitudini elvetiche: basti pensare che una
percentuale simile (60%) non si aveva in Svizzera dal 1992, ovvero
quando c’era in ballo l’adesione della Confederazione allo Spazio
Economico Europeo.
Ciò detto, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, desidero esprimere
la mia soddisfazione e quella della UIM per questo risultato che, da un
lato, premia la battaglia per il NO che – insieme all’ITAL UIL -
abbiamo portato avanti unitariamente con le altre organizzazioni,
patronati e associazioni italiane presenti in Svizzera e, dall’altro,
gratifica l’appello pubblico lanciato dalla UIM a favore del NO
indirizzato soprattutto alle centinaia di migliaia di elettori doppi
cittadini italo-svizzeri il cui voto (unitamente a quello di altri
“Secondos”), in questa circostanza, potrebbe aver contribuito in modo
determinante alla vittoria dei NO.
Unico rammarico, in questa gioiosa giornata elettorale dove è stato
anche approvato a larga maggioranza (57%) il raddoppio del tunnel
autostradale del Gottardo, è dover constatare che il Ticino - con il
59,4% di SI all’iniziativa dell’UDC (sostenuta pure dalla Lega dei
Ticinesi) - si è dimostrato, ancora una volta, il Cantone elvetico dove
maggiore è la paura ed il sentimento antistranieri!
SPIGOLATURE
Nemo propheta?
di Renzo Balmelli
IPOTESI. Nemo propheta in patria? Supponiamo per un solo istante,
però rigorosamente col punto di domanda, che Matteo Renzi non sia
come appare nelle spassose imitazioni di Maurizio Crozza in cui ha
preso il posto dell'ormai spento Berlusconi. Supponiamo pure, sempre
in forma interrogativa, che il Presidente del Consiglio riesca davvero a
cambiare l'Italia. Se in patria il cammino delle riforme è lastricato di di
ostacoli, è invece interessante notare come tale ipotesi appaia meno
improbabile se vista dall'osservatorio internazionale. In proposito negli
uffici di Palazzo Chigi non sarà di sicuro passata inosservata ad
esempio l'analisi del Tages Anzeiger di Zurigo che parlando di Renzi
presenta ai suoi lettori , pur con tutte le sfumature del caso, l'immagine
di un premier italiano controcorrente, capace, grazie alle Unioni civili,
tema molto sentito al nord delle Alpi, di modernizzare il Bel Paese con
una legge che i suoi predecessori hanno sempre tenuto prudentemente
nel cassetto. Va da se che quello dell'autorevole quotidiano svizzero d
lingua tedesca è un punto di vista come un altro, certo, ma in fondo
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non meno plausibile di quanto suggerisca la ragionevolezza dell'antica
e sempre attuale locuzione latina.
SCHIAFFO. La Svizzera che ti aspetti, interprete della sua lunga e
comprovata tradizione umanitaria. La Svizzera che tira un sospiro di
sollievo, percepito anche all'estero, dopo avere bocciato l'iniqua
iniziativa populista che senza specificare la tipologia dei reati
spalancava le porte agli abusi nel decretare l'espulsione degli stranieri.
In tempi calamitosi, l'esito del voto , che interessava pure l'UE, ha
confermato senza sbavature il primato della giustizia giusta e non
punitiva nonché il pieno rispetto dei diritti umani contemplati dalla
Convenzione europea. Nel solco di quest'ordine di idee, fa bene
all'anima la consapevolezza che al rassicurante risultato abbia concorso
la mobilitazione della società civile, sempre vigile nel contrastare la
deriva verso i limacciosi lidi della xenofobia. A tale proposito lo
schiaffo bruciante inferto a quel testo raffazzonato alla bell'e meglio
per vellicare gli istinti più riposti, può ben essere letto come un segnale
di incoraggiamento rivolto a tutti coloro che in Europa lottano contro la
dilagante avanzata dell'oscurantismo.
BRANDELLI. Quanto sia urgente un vigoroso cambio di marcia nella
politica migratoria, ce lo conferma la difficoltà, documentata dalle
immagini che arrivano nelle nostre case, di garantire, come prevedono
gli accordi tra gli Stati, la protezione dei profughi nella loro marcia
verso la libertà e la sicurezza portata avanti con la sola forza della
disperazione. Nell'assistere al dramma quotidiano di migliaia di esuli
ammassati come bestie alle frontiere, siamo pervasi dallo sgomento
frammisto a un doloroso sentimento di impotenza. Davanti a noi
brandelli di futuro senza futuro , brandelli sparsi qua e la lungo la via
crucis nei luoghi sconosciuti di una notte senza fine , gridano al mondo
la sofferenza, il dolore delle donne, degli uomini, dei bambini che loro
malgrado continuano a essere i protagonisti della tragedia umanitaria
dei migranti e dell'infanzia negata.
BALUARDO. Alla luce dei risultati scaturiti nel South Carolina e
soprattutto durante il Super Tuesday, il super martedì considerato lo
spartiacque delle primarie, appare poco probabile se non addirittura
impossibile che Bernie Sanders riesca a ottenere l'investitura dei
democratici per la corsa alla presidenza. In un certo qual senso è
peccato perché la presenza dell'arzillo senatore del Vermont avrebbe
contribuito a rimescolare le carte di una competizione che ora appare
segnata: una corsa a due tra Hillary Clinton e l'ineffabile Donald
Trump. Ad ogni buon conto, seppure fuori dai giochi che contano , il
sorprendente alfiere del socialismo declinato all'americana, potrebbe
portare in dote alla Convention di Philadelphia il cospicuo capitale di
voti rappresentato dall'elettorato giovane e disamorato
dell'establishment che non simpatizza per l'algida leader democratica ,
ormai in volo verso la nomination. Sarebbe un contributo significativo
per colei che pur già avendo frequentato le stanze del potere non potrà
restare seduta sugli allori se davvero vuole passare dal ruolo di ex first
Lady a quello ben più prestigioso di Mrs. President.
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ASCESA. Mentre in casa democratica il passaggio delle consegne tra
il primo Presidente di colore e la prima donna candidata alla guida
della Casa Bianca appare del tutto naturale, non così è tra le file dei
repubblicani dove prevale lo sgomento per l'incredibile ascesa del
moderno Arturo Ui rispondente al nome di Donald Trump.
Nell'America che va giustamente fiera delle sue prerogative, le
farneticanti esternazioni di questo emulo dell'immaginario personaggio
raccontato da Brecht rischiano infatti di fare arrossire dalla vergogna la
Statua della libertà. Ma come ammonisce un vecchio detto, chi è causa
del suo mal pianga se stesso. Se ora gli eredi del Grand Old Party si
trovano in una situazione imbarazzante , non possono fare altro che
recitare il " mea culpa" . Per quattro anni , invece di darsi un profilo
rispettabile, si sono ostinati a voler demolire l'operato di Obama,
ricoprendolo di giudizi carichi di livore. Col solo risultato di restare
con un pugno di mosche, alla mercé delle misere ideologie di colui che
dall'alto dei suoi milioni cita Mussolini e ha quale massima aspirazione
l'insano progetto di isolare gli Stai Uniti dal resto del mondo.
SORRISO. Bisogna essere un pochino aridi di cuore e di mente per
non avvertire la grazia innocente del neologismo "petaloso" sbocciato
dalla fantasia di un bambino di otto anni desideroso di trovare un
aggettivo fuori dal comune capace di descrivere la sua margherita con
un tocco di originalità. Ma nel Paese dove – per dirla con Massimo
Gramellini – nessuno "si fa i petali suoi", anche la bellezza e la
genuinità di una storia nata per caso e senza secondi fini su un banco di
scuola, finiscono con l'essere stritolati dal chiacchiericcio pseudo-
intellettuale. E questo sì frutto di intenzioni recondite. Al pari dello
"inzupposo" usato per la pubblicità di un biscotto, il "petaloso" nella
sua essenza è solo un errore bello, niente di più. Le parole, trovino o no
ospitalità nei dizionari, sono vita, sono una invenzione dello spirito che
apre lo spazio all'immaginazione e strappa un sorriso in questo mondo
spesso triste e nebuloso in cui tanti coetanei dello scolaretto non hanno
né fiori da illustrare né dolcetti da inzuppare.
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Il grande bluff
dell'austerità espansiva
Danilo Barbi (Cgil) ai microfoni di RadioArticolo1. “Italia in
deflazione? Purtroppo ce l'aspettavamo. E tra un po' arriveranno
nuovi dati negativi sul lavoro. Si può ripartire soltanto con gli
investimenti pubblici”
Prezzi in deflazione a febbraio. La flessione registrata dall'Istat è dello
0,3%. “Non siamo sorpresi: vuol dire che l'economia reale non si sta
riprendendo, purtroppo. Da tempo, anche inascoltati, lanciamo
10
l'allarme sulla deflazione: è ovvio che il calo dei prezzi riflette la
debolezza della domanda”. A dirlo è il segretario confederale della
Cgil, Danilo Barbi, intervistato da RadioArticolo1 nella trasmissione
'Italia Parla' (qui il podcast). Un ragionamento, il suo, che parte dalle
politiche europee. “Il concetto di austerità flessibile – osserva il
dirigente sindacale – è ambiguo. Come dire che bisogna ingrassare e
dimagrire contemporaneamente. Guardiamo i dati del bilancio dello
Stato italiano: in questi anni il governo ha continuato a ridurre gli
investimenti pubblici per affidarsi a quelli privati che, invece,
dall'inizio della crisi sono calati del 31 per cento nonostante tutte le
decontribuzioni e gli sconti fiscali a pioggia. Nel frattempo, gli
investimenti pubblici sono scesi a 32 miliardi da 56, questo è il dato
finale del 2015. Fra poco, purtroppo, ci saranno i primi dati negativi
anche sull'occupazione”.
“Il governo italiano – prosegue Barbi – ha mandato in Europa un
documento scritto tutto inglese, magari sperando che così in Italia non
lo leggesse nessuno, nel quale si ammette che la ripresa non c'è e però
si conferma il bisogno di riforme strutturali. Riforme che puntano
sempre sulla riduzione dei diritti e del costo del lavoro che alla fine
aumentano la disoccupazione e riducono la domanda”.
Si può uscire da questa spirale di contraddizioni? “Noi continuiamo
ostinatamente a dire di si”, sottolinea Barbi: “La Cgil non a caso a
inizio della crisi presentò il suo Piano per il lavoro in cui prevedeva un
rilancio degli investimenti pubblici per creare occupazione giovanile”.
Quanto al tema delle tasse, “non è vero che sono tutte troppo alte.
Alcune lo sono, altre no, e mi riferisco a quelle sui grandi patrimoni
che continuano a essere bassissime. Anche i più ricchi mangiano tre
volte al giorno, non è che se gli riduci le tasse mangiano dieci volte,
questo è noto sin dagli anni Trenta”.
Infine, una riflessione sul piano di investimenti targato Juncker,
praticamente una meteora: “È stato un bluff – conclude il sindacalista –
perché pretendeva, con soli 8 miliardi, di avere una leva finanziaria di
17 volte: una cosa assolutamente iperbolica e impossibile. Noi
abbiamo detto con la Ces che ci vorrebbe un piano di investimenti da
260 miliardi all'anno per dieci anni in Europa, finanziato anche dalla
Banca centrale europea. E invece la Bce continua a stampare migliaia
di miliardi per prestarli alle banche o per comprare titoli pubblici alle
banche”.
ECONOMIA
Le banche minori e la crescita economica
Da un po’ di tempo le banche regionali e quelli di credito cooperativo
sono al centro della discussione.
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
11
Tecnicamente le istituzioni bancarie di piccole e medie dimensioni
sono chiamate “less significant institutions”. Entità ‘meno significa-
tive’ rispetto a quelle di ‘importanza sistemica’, che per questo sono
spesso considerate too big to fail. Nell’intera area euro vi sono circa
3300 gruppi bancari, di cui 129 di dimensioni notevoli e perciò
supervisionate dalla Bce.
Le circa 3200 piccole e medie banche restanti rappresentano il 18%
di tutte le attività del sistema bancario europeo. Sono quasi tutte
concentrate in tre Paesi, la Germania, l’Italia e l’Austria. Le suddette
piccole banche hanno però bilanci pari all’80% della somma del Pil
della Germania e dell’Austria.
Esse rappresentano la più importante ‘catena di trasmissione’ del
credito produttivo verso le imprese di piccola e media dimensione che,
non solo secondo noi, sono la spina dorsale e l’interna ossatura
dell’economia. In Germania, per esempio, le ‘meno significative’
finanziano il 70% dell’economia.
Il loro tasso di capitale, il cosiddetto Tier 1, è mediamente del
15,2%, straordinariamente superiore al minimo richiesto per le tutte le
banche della zona euro che è del 6%. E’ una eccellente garanzia per
poter far fronte a situazioni difficili. Secondo le stime, le ‘piccole’,
soprattutto in Germania, sono piene di liquidità e in cerca di
investimenti e di rendimenti più alti. Non manca loro il mercato.
Manca, invece, la stabilità delle imprese e delle famiglie a causa della
recessione economica.
Naturalmente esse soffrono moltissimo per la prolungata politica dei
bassi tassi di interesse sui prestiti concessi. Di fatto l’interesse sui
crediti è ‘il motore’ per generare i loro introiti. A loro non è permesso
speculare né tanto meno operare con derivati o con altre operazioni
finanziarie ad alto rischio.
Adesso la Bce e il Single Supervisory Mechanism per il controllo
bancario hanno deciso di intervenire sulle banche ‘less significant’ con
l’intenzione di sottoporle a una supervisione più stringente sia europea
che nazionale, a una revisione del loro modello di business, di
governance e delle loro strategie. Di fatto ciò potrebbe comportare un
processo di fusione, di possibili cambiamenti del loro status giuridico e
di conseguenza determinare la possibilità di essere partecipate o
addirittura acquisite dalla banche di rilevanza sistemica.
In altre parole le istituzioni monetarie europee, comprese quelle
italiane, intendono far fronte, a loro modo, a quella che esse
definiscono “la sfida al tradizionale modello di business delle banche
di piccola e media dimensioni”. Ciò nonostante esse riconoscano che le
banche minori sono “solvibili, liquide, con un basso tasso di crediti
inesigibili e con riserve considerevoli”. Oltre al fatto che le banche
regionali hanno davvero il polso delle situazioni economiche e
imprenditoriali locali e spesso una vera conoscenza diretta dei propri
clienti e del loro profilo di rischio.
Lo stesso non si può dire delle grandi banche. Che, oltre ad essere
principalmente coinvolte in operazioni di cosiddetta “alta finanza” ,
hanno spesso una scarsa conoscenza della propria clientela.
Si dovrebbe perciò chiedere perché le istituzioni europee privilegino
le banche con grandi numeri e pochi legami con i settori portanti
12
dell’economia reale.
Non si comprende perché si voglia intervenire sulle reti di banche
locali e regionali che notoriamente affiancano le imprese nelle
produzioni, nelle modernizzazioni e nell’espansione verso nuovi
mercati, anche i più lontani.
Se la priorità dei governi, compreso quello italiano, è - o dovrebbe
essere - la ripresa economica e l’occupazione, perché non valorizzare
ulteriormente il meccanismo virtuoso delle banche di credito locale? A
loro si può chiedere più informazione, imporre più controlli, ma
bisognerebbe anche offrire maggiori sostegni per continuare ad operare
con un modello ben funzionante e collaudato di supporto delle imprese.
Il falso argomento delle loro dimensioni contenute non è convincente.
Non si tratta di esaltare il “piccolo è bello” ma di salvare e sostenere
ciò che ha funzionato e continua ancora a funzionare.
In Italia il caso della Banca Etruria e delle poche altre banche locali
è l’eccezione rispetto ad una rete che oggettivamente si deve ritenere
efficace e positiva per l’economica locale e nazionale.
L’imperativo pertanto, almeno nel nostro Paese, dovrebbe essere
quello di colpire severamente i responsabili della bancarotta delle
poche banche disastrate da gestioni scellerate e sostenere invece quelle
che meritoriamente sono gestite correttamente e danno il giusto
sostegno allo sviluppo dei territori i cui operano, spesso quelli più
svantaggiati.
Da Avanti! online www.avantionline.it/
Giornali, tutto in famiglia
di Rodolfo Ruocco
La famiglia tradizionale padre, madre, figli perde colpi in favore di
quelle allargate, di quelle gay, delle coppie conviventi, dei single. Nel
capitalismo italiano e nell’editoria, invece, la famiglia continua a
dominare. Il gruppo Espresso-Repubblica (proprietà della famiglia De
Benedetti), La Stampa (Agnelli), Il Secolo (Perrone) hanno deciso di
convolare “a nozze”. C’è anche una separazione: Fiat Chrysler
Automobiles (Agnelli) esce dal gruppo Rcs - Corriere della Sera.
Le tre grandi famiglie di imprenditori hanno firmato un
memorandum d’intesa «finalizzato alla creazione del gruppo leader
editoriale italiano», con una quota del 20% del mercato domestico.
Sarà «uno dei principali gruppi europei nel settore dell’informazione
quotidiana e digitale».
L’operazione si svolgerà nei prossimi 12 mesi. Il perfezionamento
della fusione tra i maggiori quotidiani italiani «è previsto per il primo
trimestre del 2017». La famiglia De Benedetti, già proprietaria della
Olivetti, dell’Omnitel e di Sorgenia (società scomparse o vendute) avrà
una quota superiore al 40% del futuro gruppo editoriale.
Si prepara una rivoluzione. Ci sarà una formidabile concentrazione
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di giornali, in un settore delicatissimo e in grave crisi come
l’informazione (e le maggiori difficoltà riguardano proprio la carta
stampata). Chissà se l’Antitrust avrà qualcosa da obiettare? Chissà chi
saranno (o sarà) i nuovi proprietari del Corriere della Sera? Una cosa è
certa: per la mega concentrazione editoriale sarà una operazione tra
famiglie altolocate dell’imprenditoria nazionale. Un “matrimonio” tra
famiglie, tutto “in famiglia”. Per ora il dominus, il “pater familias”
sembra essere Carlo De Benedetti. L’Ingegnere avrà il 40% della
proprietà, per adesso.
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Da l’Unità online http://www.unita.tv/
Incubo 2017: un vertice
Trump-Putin-Le Pen
La sua “dottrina”, che Martin Wolf, editorialista del Financial
Times, sintetizza con la formula del “pluto-populismo”, funziona.
Ora, dopo il Super Tuesday, è allarme vero. L’incubo che il paese più
democratico del mondo possa essere governato da uno come Donald
Trump è reale. Può vincere non solo le primarie repubblicane ma la
corsa alla Casa Bianca.
di Mario Lavia @mariolavia
Trump disegna l’onda lunga di quella che sommariamente si definisce
antipolitica, il mostruoso arco che va da Budapest a Las Vegas, passan-
do per Parigi e Marsiglia e – forse, almeno in parte – Roma. Antipoliti-
ca come Grande Semplificazione: basta immigrati, basta parlamenti,
basta banche. Orban, Trump, Le Pen, Grillo – mettiamoci anche Pu-
tin, Erdogan: tutte cose diverse, ovvio, e tuttavia tutti piccoli e grandi
fenomeni egemonici, in grado di intercettare il famoso spirito del tem-
po e dargli brandelli semplificati di pseudo-risposte. E così, in teoria,
l’anno prossimo potremmo avere un vertice Trump-Putin; o un “trila-
terale” Trump-Putin-Le Pen (molto più difficile che i Grillo e i Salvini
“prendano” Roma), uno scenario con il quale bisogna fare i conti.
Colpa, anche, del ritardo della politica a rinnovarsi. E quando la
politica non si rinnova fanno presto a cadere gli anelli deboli, stavolta è
toccato ad un Grand Old Party privo da decenni di grandi figure e
preda ormai di spiriti animali, da Sarah Palin a Trump. Ci sono stati,
certamente, altri momenti in cui negli Usa l’anti-politica si è fatta
sentire: anzi, l’hanno inventata loro, come quasi tutte le cose. Con la
differenza che stavolta la carica anti-establishment non solo non ha
nulla di progressivo (com’era il ’68) ma anzi si colora di follia, mania
di grandezza e potenziale violenza (la sua citazione di Mussolini è
significativa).
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E’ possibile fermarlo, Donald Trump? Lo vorranno fare, saranno
capaci di farlo, gli altri candidati repubblicani in corsa?
Se per esempio la corsa di Trump dovesse rallentare, potrebbero
Cruz e Rubio trovare un accordo, per far convergere i voti negli ultimi
Stati? O se Trump dovesse arrivare alla Convention repubblicana senza
una maggioranza di seggi, potrebbero Cruz e Rubio favorire una
nuova candidatura alla Casa Bianca?
O è già troppo tardi? O, infine, toccherà solo a Hillary e alla sua
Clinton machine rimettere la Storia sul binario giusto?
Leggi l’intero articolo sul sito dell’Unità
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
I fantasiosi referendum pentastellati
Appare sempre più palese la tendenza del Movimento 5 stelle a legare
i diritti civili ai sondaggi. Al di là del merito di ciò che viene
sostenuto, della fondatezza o della infondatezza delle tesi.
di Antonio Maglie
La maternità surrogata è sicuramente una questione delicatissima che
andrebbe affrontata con serietà, sobrietà e pacatezza, cioè evitando gli
estremismi e gli isterismi. Ma il fatto che Beppe Grillo scopra la
questione con un intervento sul “Corriere della Sera” dopo che i
sondaggi hanno illustrato il favore degli italiani per le Unioni Civili e
la contrarietà nei confronti della stepchild adoption, è a dir poco
sospetto. Uno degli enfant prodige del partito, Luigi di Maio,
garantisce che Grillo è coerente: sicuramente alla sua linea di
comportamento, un po’ meno alle idee che possono variare in base alle
necessità. Coerente lo è rispetto al “contrordine compagni” lanciato
quando il Senato era entrato nel vivo del dibattito sulle Unioni Civili e
ci si avviava al voto, scoprendo una libertà di coscienza che spiazzò il
gruppo parlamentare sino a quel momento attestato su altre trincee. Un
mutamento di posizione che venne letto come un tentativo di
ingraziarsi quella fetta di elettorato di destra (a Roma, ad esempio,
sembra essere cospicua: aiuta il fatto che il candidato-sindaco abbia
svolto il praticantato legale nello studio di Previti) che nutre grandi
simpatie nei confronti dei pentastellati.
Adesso tocca a Di Maio che con una nuova correzione di rotta
conferma questa tendenza a considerare la politica non uno strumento
per far crescere la società ma semplicemente una cassetta della posta in
cui i sondaggisti depongono le opinioni dei cittadini un po’ come si fa
con i volantini pubblicitari. Se la politica fosse questa, in Italia
probabilmente non ci sarebbe stata né la battaglia sul divorzio, né
quella sulla legalizzazione dell’aborto e il Pci avrebbe vinto a mani
basse il referendum sulla scala mobile. Ma la democrazia dei sondaggi
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si trasforma nella democrazia della maggioranza che finisce per avere
sempre ragione. In sostanza, la quintessenza della legge del più forte,
quella che i politologi chiamano “democradura” al cui fascino non
sembra sfuggire Grillo (e di conseguenza anche i suoi delfini).
Ma la democrazia è un concetto più complesso: cittadini che
partecipano e partiti che aiutano i cittadini a partecipare; elettori che
indicano i propri bisogni e forze politiche che, analizzando il presente e
provando a interpretare il futuro, tratteggiano le linee di sviluppo di
una storia collettiva mettendo a punto gli strumenti più utili per
garantire il soddisfacimento del bene comune. Una democrazia che si
basa sui sondaggi e, quindi, sui voleri delle maggioranze finisce
inevitabilmente per emarginare le minoranze che vengono così escluse
dal godimento del bene comune che si trasforma in un bene
sostanzialmente parziale. Ecco perché in un sistema evoluto la nobiltà
della politica consiste anche nella funzione in qualche misura educativa
delle Istituzioni, nella loro capacità di tenere uniti tutti i bisogni,
sebbene definendo una scala di priorità. Ma capendo allo stesso tempo,
come diceva Piero Calamandrei parlando della Costituzione, che
qualsiasi legge, qualsiasi intervento deve partire più che dal volere
delle maggioranze, dalla tutela delle minoranze.
Poi in questo zigzagare dei pentastellati c’è qualcosa di veramente
incomprensibile. In un video-forum ospitato dal quotidiano “la
Repubblica”, Di Maio ha sostenuto che sulla stepchild adoption
bisogna andare al referendum. Se questa è la posizione vera, allora
aveva ragione Matteo Renzi a non fidarsi perché il sostegno
sbandierato anche a quel pezzo dell’originaria legge Cirinnà
nascondeva un “non detto” che sarebbe evidentemente esploso nel
segreto dell’urna. Se la linea è quella del referendum, l’adesione al
testo iniziale del provvedimento non era poi così incondizionata come
si voleva far intendere. Ma, soprattutto, di quale referendum stiamo
parlando? Se sono quelli che conduce sul web Beppe Grillo, non
contano assolutamente nulla: rispettabilissimi, ma riguardano porzioni
poco significative di opinione pubblica. Se parliamo di referendum
consultivi, nella costituzione italiana, come dovrebbe essere noto anche
a Di Maio, non sono citati. Se parliamo, infine, di quelli per ora
previsti, allora per organizzarlo ci vuole una legge (da confermare o da
abrogare) che al momento manca. Ma si sa, sui referendum i
pentastellati hanno sempre fatto un po’ di populistica confusione, come
ad esempio quello sull’euro, sbandierato e inevitabilmente dimenticato.
La realtà è che siamo di fronte al purissimo esercizio dialettico e al
tentativo, peraltro maldestro, di recuperare nei confronti di pezzi di
elettorato delusi dal comportamento pentastellato in Senato e dalle
acrobazie cybernetiche e a mezzo stampa di Grillo.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori (ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
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LETTERA
Criteri etici
Rispetto per le scelte di coscienza di chi ricorre alla maternità
surrogata ma essa è in contraddizione con criteri etici generali.
Le notizie di oggi sul caso Vendola stanno riaprendo immediatamente
la discussione durata troppo a lungo sulla cosiddetta step child adop-
tion conclusasi in Parlamento in modo che a me sembra molto discuti-
bile. Il tanto parlare e discutere di queste settimane hanno permesso al-
l’opinione pubblica una conoscenza di questioni che prima era riserva-
ta agli addetti ai lavori. Ciò mi permette alcune considerazioni per
punti sintetici senza riprendere ogni aspetto dei problemi in questione.
tutti concordano che tutto (leggi, magistratura, servizi sociali,
famiglie coinvolte) debba avere come riferimento principale l’interesse
dei bambini e la loro crescita all’interno di una famiglia accogliente;
le informazioni che abbiamo acquisito ci dicono che ci sarebbe-
ro ancora nel nostro paese 35.000 bambini negli orfanatrofi. Un nume-
ro enorme, incredibile. Inoltre nel 2015 oltre 250.000 bambini sotto i
14 anni e 125.000 tra i 14 e i 17 sono nella condizione dei richiedenti
asilo in Europa provenienti dall’ondata immigratoria fuori controllo; si
può pensare per essi a una qualche forma di affido o altro anche con
istituti giuridici ad hoc?
d’altro lato a ogni dieci richieste di adozione corrisponde un
solo bambino adottando e le adozioni internazionali sono calate in un
anno del cinquanta per cento. Le procedure sono lente, costose, il si-
stema non funziona, la legge in vigore è inadeguata e ci sono anche
tanti bambini a disagio in famiglie etero “normali”. Ci troviamo di
fronte a una vera e propria “emergenza infanzia”;
in questa situazione “Noi Siamo Chiesa” nel suo testo del 27
gennaio, discutendo della legge Cirinnà, ha ipotizzato di fronte al
punto più controverso, l’allora art. 5 (che poneva indirettamente il
problema della maternità surrogata) una riforma che liberalizzasse il
sistema delle adozioni allargando l’area dei soggetti adottanti e adotta-
bili fino a comprendere, tra i primi, i single e le coppie omo. Si tratta di
modificare tutta la normativa oltre che la consistenza e la qualità dei
servizi sociali competenti;
in questo modo si può ipotizzare un incontro virtuoso tra il bi-
sogno di così tanti bambini, non solo italiani, e il desiderio legittimo e
comprensibile di genitorialità di tante coppie infertili, a partire da quel-
le gay. Penso che l’aspirazione alla maternità e alla paternità di sangue
non possa essere considerata alla pari di un diritto da perseguire in ogni
modo. Tutti ormai lo sappiamo: la logica del possesso/proprietà del
figlio proprio dovrebbe essere superata da una relazione affettiva ed
educativa che è compatibile con un rapporto diverso dalla genitorialità
di natura.
Dopo e insieme a questa riflessione sull’infanzia, la maternità
surrogata mi appare come l’ espressione di un punto di vista e di una
sensibilità di fatto egocentrica che è in contraddizione con dati certi: il
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rapporto intimo madre-figlio attestato da tanti studi specifici, l’utero
non è un organo qualsiasi, la logica neoliberista cerca di impadronirsi
della libertà e della sostanza stessa della femminilità per realizzare
profitto, lo spirito della civiltà europea va in ben altra direzione, le
possibili e non infrequenti difficoltà giuridiche e affettive di vario tipo
prima e dopo questo tipo di maternità. Sono confortato in questa
convinzione dal formarsi di un senso comune collettivo, almeno nel
nostro continente, che si è manifestato al Parlamento europeo con il
voto del 17 dicembre che ha ritenuto “la pratica della gestazione per
altri contro la dignità della donna e da esaminare con priorità nel
quadro degli strumenti di difesa dei diritti dell’uomo”.
Inoltre a Parigi il due febbraio è sorta una iniziativa di grande
importanza, nata nell’ambito del movimento femminista e con
l’appoggio delle istituzioni, per promuovere una convenzione
internazionale per l’abolizione, ovunque nel mondo, della maternità
surrogata. Il nostro paese dovrebbe- mi sembra- associarvisi senza
distinzioni di parte ma non so se questa opzione di fondo sia possibile
od opportuno abbia conseguenze nel diritto interno che vadano aldilà
del reato con cui viene sanzionata nel n.6 dell’art.12 della legge n. 40
la maternità surrogata che avvenga nel nostro paese. Mi sembra
comunque che, di fronte a casi concreti di maternità di questo tipo che
avvengano all’estero, come la cronaca ci dice, da parte di coppie omo
od etero, debba essere vagliata e decisa caso per caso dalla
magistratura la condizione del bambino, ovviamente nel suo interesse
che deve essere considerato assolutamente prioritario.
Constato che esistono situazioni in cui la maternità surrogata, in
determinate circostanze e in determinati paesi , è considerata, da chi vi
accede, moralmente legittima e quindi degna di tutela. Mi sembra che
meriti assoluto rispetto ogni decisione di coscienza per un tale
comportamento . Ma ciò non può significare l’accettazione di fatto o di
diritto della maternità surrogata perché credo che essa sia un’opzione
in contraddizione con criteri etici generali oltre che, spesso, con norme
di diritto positivo.
Vittorio Bellavite, Noi Siamo Chiesa
Laicamente: ci vuol “giudizio”. Il problema della maternità surrogata
è innegabile e i criteri etici universali (qui la centralità degli interessi
dei bambini) cozzano con le leggi di mercato tendenti alla mercifica-
zione totale. I criteri etici bastano senz’altro a indicare a ciascuna co-
scienza degna del nome quali siano i doveri cui attenersi. Ma questo è
appunto il compito di ciascuna coscienza nella propria dimensione au-
tonoma. Giudicare “dal di fuori” è difficile. Molti comportamenti (an-
che parentali) possono apparire ed essere eticamente sbagliati, senza
che però sia utile o pensabile normarli per legge. Perciò, prima di
compiere salti automatici alla dimensione degli obblighi e divieti san-
citi dallo Stato occorrono seri approfondimenti. – La red dell’ADL
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LETTERA
A me piacerebbe se
l'Inghilterra uscisse dall'UE
Caro Direttore, a me piacerebbe che veramente l'Inghilterra uscisse
dall'Europa affinché capiscano ciò che loro poi perderebbero. Non
hanno aderito all'Euro hanno sempre chiesto e criticato tutto quello che
potevano. Pretendono di essere i primi della classe. Cosa hanno dato in
cambio? Io da profano credo poco. Il desiderio di comandare come
quando avevano l'impero, ma l'impero e finito, e fanno finta di non
accorgersi. E allora fuori dalla pelle. Poi con la Francia hanno distrutto
la Libia e come i francesi fanno finta di non sapere. Noi dobbiamo
sopportare il peso degl'immigrati e ora non vogliano più sentire parlare
di immigrati ed altro ancora. Non voglio dilungarmi perché di
argomenti c'è ne sono. La ringrazio per le sempre magnifiche lettere
del suo scritto. Cordiali saluti
Giuseppe Vadalà, e-mail
Caro Vadalà, la ringrazio delle sue gentili parole, ma mi permetta di
ricordare Pietro Nenni quando ammoniva che la politica non si fa solo
con i sentimenti, e men che meno con i… risentimenti. Ce n’è tanta di
gente semplice sia tra gli inglesi sia tra gli immigrati. Ed è solo
lavorando alla solidarietà tra tutti quelli come noi che anche noi
andremo finalmente di nuovo avanti. – AE
LETTERA
Umberto Eco
Grazie AdL per la fine evocazione della figura e della posizione di
Umberto Eco. Molti giornali hanno pubblicato un necrologio ma
nessuno ha saputo mettere a fuoco il contenuto del pensiero di Eco.
Francesco Papagni, Zurigo
Grazie. – La red dell’ADL
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-
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edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.