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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 4 APRILE 2015 Terra libera dalla mafia all’interno «DOSSIER MAFIA»

Aprile 2015 (parziale)

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4APRILE 2015

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«DOSSIER MAFIA»

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Anno XLII, numero 4Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: K. Carnà, A.Cavadi, E. Ciconte, D. Di Ce-sare, E. Fontana, P. Larese, A. Portelli, U.Santino, M. Torrealta, V. Vita.

L’ICEBERG, inserto di approfondimento

«LE MILLE FACCE DELLA MAFIA»Enzo Ciconte, pagina I

Umberto Santino, pagina IIIMaurizio Torrealta, pagina V

Enrico Fontana, pagina VIICarmelo Russo, pagina IXAugusto Cavadi, pagina X

Le immaginiTerra libera dalla mafia • archivio fotografico Libera, copertinaIl muro che divide • Confronti 3 (nel dossier foto archivio di Libera)

Gli editorialiIsraele: futuro incerto dopo le elezioni • Giorgio Gomel, 4Stato della Palestina: l’Italia confusa • Confronti, 5Giubileo, cuore di un pontificato • David Gabrielli, 6Il governo alla conquista della Rai • Vincenzo Vita, 7

I serviziAntisemitismo Heidegger anno zero • (intervista a) Donatella Di Cesare, 8

Da Lutero a Hitler: nessuna continuità • (int. a) Daniele Garrone, 10Stati Uniti Chiacchiere, distintivo e grilletto facile • (int. a) Alessandro Portelli, 14Semi di pace Il difficile dialogo tra israeliani e palestinesi • Michele Lipori, 16

Strumenti preziosi per vincere la diffidenza • Michele Lipori, 17Società Violenza sulle donne: un appello ecumenico • Luca Baratto, 19

Le notizieDiritti umani Il Rapporto annuale di Amnesty, 21Integralismo Cresce nel mondo il sostegno femminile al jihad, 21Immigrazione «Che cosa ci insegna il Mediterraneo?». Un convegno a Scicli, 21Multicultura A New York le feste musulmane nel calendario scolastico, 22Diritti Una «Scialuppa» per donne vittime di violenza, 22Chiesa cattolica Le decisioni di papa Francesco sui preti uxorati, 22

L’appello di «Noi siamo Chiesa» a due anni dall’elezione di Francesco, 23Ortodossia I preparativi del Concilio pan-ortodosso, 23Pace «Senzatomica. Il disarmo parte da me», una mostra a Roma, 24Memoria Il giardino dei Giusti: luogo di memoria e di partecipazione, 24Ambiente Nasce la Rete ecclesiale panamazzonica, 24Cultura Il lavoro della Fondazione Ezio Galiano per le persone non vedenti, 25Agenda Appuntamenti, 25

Le rubricheDiario africano Crisi in Mali figlia della guerra in Libia • Enzo Nucci, 26In genere Srebrenica rinasce grazie ai lamponi • Stefania Sarallo, 27Note dal margine Giubileo o seconda Perdonanza? • Giovanni Franzoni, 28Osservatorio sulle fedi Isis: cancellazione del passato o iconoclastia? • Antonio Delrio, 29Cibo e religioni Cattolici: poche regole e molte tradizioni • Stefano Toppi, 30Spigolature d’Europa La vendetta degli highlander • Adriano Gizzi, 31Opinione Le Pussy Riot in guerra contro Putin • Patrizia Larese, 32Libro Io amo. Piccola filosofia dell’amore • Luigi Sandri, 33Segnalazioni 34

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI4/APRILE 2015

WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

Le foto che illustrano il numero fanno riferimento agli articoli sul conflitto israelo-palestinese;in particolare, quelle all’interno del servizio a pagina 16 si riferiscono al progetto «Semi di pace»,

sostenuto dalla nostra rivista, teso a promuovere il dialogo tra israeliani e palestinesi.

L’immagine della copertina e quelle dell’inserto «Le mille facce della mafia» provengono invece dall’archivio fotografico di Libera.

IL MURO CHE DIVIDE

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GLI EDITORIALI

A fine 2014 Netanyahuaveva estromesso i duepartiti centristi di Lapide della Livni dal governoe portato il paese alleelezioni anticipate.Sembrava un azzardo,ma il premier israeliano– a dispetto deisondaggi che nepronosticavano ildeclino – ha vinto inpieno la scommessa,trasformando il voto del 17 marzo in unplebiscito su di sé e portando il Likud a un grande successo. In Israele è in atto unospostamento profondoe permanente dellasocietà verso posizioninazionaliste via via piùchiuse, ma il costodell’occupazione e dellanon-pace è enormeanche per Israele stesso.

Israele: futuro incertodopo le elezioni Giorgio Gomel

L’ isteria nazionalista, l’istigazione allapaura della minaccia esterna dell’I-ran da un lato e dell’estremismo isla-mista che disgrega e insanguina il

Medio Oriente dall’altro, il razzismo controgli arabi di Israele – «il nemico interno, laquinta colonna» – hanno avuto la meglionelle elezioni. La vittoria del Likud (30 seggi,un quarto del Parlamento israeliano) consen-te a Netanyahu di formare un governo con idue partiti della destra annessionista, il nuo-vo partito Kulanu, fuoruscito dal Likud e at-tento soprattutto alle questioni della povertàe delle disuguaglianze economico-sociali dicui soffrono strati vasti della società, infinecon uno o due dei partiti religiosi.

Sarebbe una coalizione simile a quella chegovernò Israele fra il 2009 e il 2013, senza piùil contrappeso importante dei partiti centri-sti di Lapid e della Livni, soprattutto della se-conda che – come negoziatrice con l’Autoritàpalestinese e Ministro della Giustizia – hacercato in questi due anni sia di condurre inporto (o almeno di salvare) la trattativa di pa-ce sia di bloccare la legislazione sullo «stato-nazione», mirante a subordinare le normedella democrazia all’ebraicità dello Stato. An-che per questo, sul finire del 2014 Netanyahuaveva estromesso i due partiti dal governo eportato il paese in modo che sembrava av-venturistico alle elezioni anticipate. Elezio-ni che sono state dominate dal primo mini-stro uscente, segnate da un quasi plebiscitosul suo conto. Elezioni che Netanyahu havinto, con la sua abilità tattica, contro son-daggi che sembravano testimoniare un umo-re diffuso nel paese di rigetto di un uomo cheda troppo tempo domina l’agone politico eche solo nell’ultimo mese aveva inasprito inmodo distruttivo i rapporti con l’Ammini-strazione americana e acuito il pericolosoisolamento di Israele nel mondo; un isola-mento dovuto anche ad un’ostinata difesadello status quo – l’occupazione della Ci-sgiordania – sotto la pressione dei partiti didestra e del movimento dei coloni, ormai350mila, lì insediatisi.

Negli ultimi giorni della campagna Ne-

tanyahu ha affermato di respingere la solu-zione «a due stati» – la nascita di uno statopalestinese sovrano e in rapporti di buon vi-cinato con Israele, con confini vicini a quellidel ‘67 e modifiche territoriali concordate frale parti, Gerusalemme, città unita ma capita-le dei due stati. Lo ha fatto contro i suoi stes-si impegni pubblici di sei anni fa e la logicadel negoziato con i palestinesi. Ha attaccatoin modo virulento gli elettori arabi e la Listaaraba unita, la nuova formazione che ha uni-to i quattro piccoli partiti arabi di Israele(Hadash, comunista, è in realtà un partitoarabo-ebraico). Lo slittamento a destra e l’u-so esagitato della retorica nazionalista glihanno permesso di sottrarre voti ai partitidella destra estrema (i nazional-religiosi gui-dati da Bennet e i post-russi di Lieberman)nonché allo Shas, il partito ultra-ortodossodi origine «mizrachi», degli ebrei cioè immi-grati in Israele dai paesi arabi.

Ma è importante riconoscere che vi è in at-to uno spostamento più profondo e perma-nente della società israeliana verso posizioninazionaliste via via più chiuse. Fenomenodovuto a trasformazioni demografiche e so-ciali dello stesso Israele, ma anche ad unareazione difensiva alla strada nichilista im-boccata dai palestinesi: la seconda intifadadel 2001-05, l’inutile guerriglia armata di Ha-mas dalla striscia di Gaza, il rifiuto di AbuMazen delle offerte ragionevoli di compro-messo avanzate dal governo Olmert-Livninel 2008. Non sono solo i 350mila coloni ne-gli insediamenti in Cisgiordania a rendere lasoluzione «a due stati» sempre più difficilesul terreno; è anche una vasta parte della so-cietà, osserva Roger Cohen sul New York Ti-mes del 18 marzo, «che ha rinunciato ai duestati e preferisce i palestinesi invisibili dietroil muro».

Una parte imponente dell’opinione pubbli-ca in Israele pensa che la pace non sia davve-ro possibile, guarda ai palestinesi come a unnemico ingrato e irriducibile ma che si puòcontenere in un conflitto «a bassa intensità».Eppure la guerra distruttrice con Hamas del-l’estate scorsa, con il numero altissimo di vit-time soprattutto civili e gli immani costi ma-teriali, dimostra che il costo della non-pace èenorme e l’illusione che i palestinesi accetti-no per l’eternità un’occupazione umiliante èpericolosa, con effetti nefasti per la democra-zia e la convivenza di ebrei ed arabi all’inter-no stesso di Israele.

Oltre che collaboratore di Confronti, Giorgio Gomel è rappresentante di JCall Italia(della rete European Jewish Call for reason).

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GLI EDITORIALI

Sono già 135 i paesi chehanno deciso diriconoscereunilateralmente loStato di Palestina.Alcuni fanno partedell’Unione europea. Afine febbraio ilParlamento italiano haapprovato una mozionedel Pd che invitava alriconoscimento, masubito dopo ne haapprovata un’altra diNcd e Ap che in partecriticava la precedente,ricordando che l’attualegoverno palestinese è ilfrutto dellariconciliazione tra Fatahe Hamas, il movimentodi resistenza islamicatuttora nella lista delleorganizzazioniterroristiche.

Stato della Palestina:l’Italia confusaConfronti

S fidando la logica, il governo italianoha fatto sue due mozioni, approvatedalla Camera, ma tra loro contraddit-torie, sul riconoscimento dello Stato di

Palestina. Il 27 febbraio il Partito democra-tico ha presentato a Montecitorio un testonel quale «premesso che: i popoli israelianoe palestinese hanno diritto alla pace e alla si-curezza e ciò può essere garantito solo attra-verso una forte azione da parte della comu-nità internazionale che porti ad una pacegiusta e duratura basata sul rispetto del di-ritto internazionale e la piena applicazionedelle risoluzioni del Consiglio di sicurezzadelle Nazioni Unite; e che l’Assemblea gene-rale dell’Onu, con una larghissima maggio-ranza, il 29 novembre 2012 ha concesso lostatus di osservatore permanente allo Statodi Palestina»; ricordato che sono 135 i pae-si che hanno deciso di riconoscere unilate-ralmente lo Stato di Palestina, tra questi di-versi membri dell’Unione europea: Repub-blica Ceca, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Un-gheria, Malta, Polonia e Romania; precisa-to, poi, che il 3 ottobre 2014 analoga sceltaha fatto il governo svedese, e che il 13 diquel mese la Camera dei Comuni ha propo-sto al governo inglese la stessa scelta; e cheanaloghe iniziative sono state prese dai par-lamenti di Irlanda, Spagna, Belgio e Francia(28 novembre scorso), «impegna il governoa riconoscere lo Stato di Palestina nei confi-ni del 1967 con Gerusalemme est capitalesecondo le risoluzioni delle Nazioni Unite,così come è stato riconosciuto lo Stato diIsraele, quale azione di politica estera cheimprima una svolta positiva al necessarionegoziato tra le parti per giungere alla solu-zione Due popoli due Stati e a garantire lacoesistenza nella libertà, nella pace e nellademocrazia dei due popoli».

Seppure le citate decisioni abbiano diversovalore – alcune, infatti, sono semplici propo-ste dei parlamenti ai rispettivi governi, men-tre altre sono impegnative – tutte ritengonoche il riconoscimento incoraggi il governopalestinese nelle trattative con Israele percercare una pace giusta. Da qui la loro im-

portanza politica o, almeno, simbolica; e lamozione del Pd si poneva in questo solco.Ma, ahimè, non è rimasta sola, perché, a po-chi minuti di distanza, anche il Nuovo Cen-trodestra e Alleanza popolare hanno presen-tato alla Camera una loro mozione. Questaricorda che l’attuale governo palestinese, incarica dal giugno 2014, è il frutto della ricon-ciliazione tra Fatah [il partito del presidenteMahmud Abbas (Abu Mazen)] e Hamas, duepartiti «in continue frizioni»; e sottolinea che«riconoscere unilateralmente uno Stato chesi fondi nel Movimento di resistenza islami-ca Hamas che, ad oggi, appare nella lista del-le organizzazioni terroristiche» significhe-rebbe sottrarre il problema alla responsabi-lità delle due Parti in causa; perciò «impegnail governo a sostenere la causa del dialogo di-retto tra le Parti coinvolte», affinché giunga-no al reciproco riconoscimento.

La prima mozione è stata approvata con300 sì, 45 no e 59 astenuti; la seconda con 237sì, 84 no e 64 astenuti. Il governo le ha fatteproprie ambedue, quasi fossero sovrapponi-bili; ma così non è. Infatti, mentre la prima af-ferma con chiarezza il riconoscimento delloStato di Palestina, precisandone due caratte-ristiche fondamentali – i confini del 1967, eGerusalemme-est capitale –, la seconda igno-ra questi punti cruciali; e nega ora il ricono-scimento, rinviandolo ad un imprecisato fu-turo, se e quando esso risulterà dagli accordibilaterali israelo-palestinesi. Ma se questi nonvenissero, come in questi decenni non sonovenuti? Il governo italiano ha dunque accol-to due mozioni che hanno presupposti e pro-spettive radicalmente confliggenti.

D’altronde, l’interpretazione «autentica»delle mozioni del 27 febbraio l’hanno data leParti ad essa più interessate. L’ambasciata diIsraele in Italia: «Accogliamo positivamentela scelta del Parlamento italiano di non rico-noscere lo Stato palestinese e di aver preferi-to sostenere il negoziato diretto fra Israele ei palestinesi, sulla base del principio dei dueStati, come giusta via per conseguire la pace».Questo comunicato tace, non a caso, sui nu-merosi intellettuali israeliani plaudenti i par-lamenti europei che hanno riconosciuto loStato di Palestina, considerando questo attocome un contributo alla pace e, dunque, unbene per Israele. E, sul versante opposto, ladelusione dei palestinesi toglie ogni alibi allacattiva coscienza del Parlamento e del gover-no italiani. Se Mahmud Abbas non ha ufficial-

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GLI EDITORIALI

Papa Francesco, che in un’intervista ha detto di avere lasensazione che il suopontificato «saràbreve», il 13 marzo ha preannunciatol’indizione di un Giubileo«straordinario»,dedicato alla DivinaMisericordia. L’evento si aprirà l’8dicembre prossimo,cinquantenario dellaconclusione del ConcilioVaticano II, e termineràil 20 novembre 2016. Le caratteristichedell’iniziativa e iproblemi che dischiude.

mente commentato – un silenzio gelido chegrida – altre voci palestinesi si sono levate perdeplorare amaramente un Parlamento italia-no non impegnato «per l’incondizionato e uf-ficiale riconoscimento dello Stato di Palesti-na». Insomma, occorre «cambiare verso».

Giubileo, cuore di un pontificatoDavid Gabrielli

L’ annuncio di papa Francesco di unaprossima indizione – il 12 aprile – diun Giubileo «straordinario» dedica-to alla Divina Misericordia è arriva-

to, il 13 marzo, quando veniva diffusa un’in-tervista da lui rilasciata ad una tv messicana,nella quale affermava di «avere la sensazioneche il mio pontificato sarà breve». Program-mata o no che fosse, la coincidenza è signifi-cativa, e impone qualche riflessione.

Il Giubileo ecclesiastico è assai diverso daquello descritto nella Bibbia (nel capitolo 25del Levitico). Esso si celebrava ogni cin-quant’anni e prevedeva la liberazione deglischiavi e il ritorno della terra agli antichi pro-prietari che, magari per poter sopravvivere,l’avevano dovuta vendere. A prescindere sesia mai stato davvero celebrato, o sia rimastopiuttosto un orizzonte ideale, era un forte ap-pello alla giustizia sociale. Ignorato per più diun millennio dalla Chiesa latina, fu rimessoin auge da Bonifacio VIII che lo indisse nel1300: mantenendo il nome (Giubileo o Annosanto) ne svuotò l’antico contenuto e stabilìche quanti venissero a Roma a visitare le tom-be degli apostoli acquistassero la grande in-dulgenza, il totale perdono della pena legataai peccati commessi. Effettivamente, alloramolte persone vennero a Roma, esaltando co-sì il suo ruolo di centro della Cristianità. Pa-pa Caetani stabilì che la sua periodicità fosseogni cento anni, ma poi fu ridotta a cinquan-ta, quindi a trentatré (gli anni di Cristo) e, in-fine, a partire dal 1475, a venticinque anni. Daallora, salvo due volte (1800 e 1850, per diffi-coltà legate a conflitti politici), è sempre sta-to celebrato; ultimo quello del 2000. Ma, ac-canto a questi Giubilei «ordinari», ventisei, cene sono stati molti altri «straordinari», con-vocati dai papi per motivi particolari; tra que-

sti si inserisce, ora, quello di Francesco, che sicelebrerà dal prossimo 8 dicembre al 20 no-vembre 2016; la sua data di inizio coincidecon i cinquant’anni esatti dalla conclusionedel Vaticano II. Perciò, nelle intenzioni diFrancesco esso sarebbe il modo più degno efruttuoso di fare memoria di quel Concilio etradurlo in pratica.

Sul senso del Giubileo biblico, su come es-so è stato perduto con Bonifacio, e su comepotrebbe oggi essere ripreso e vissuto, ha det-to parole non scontate il nostro GiovanniFranzoni quando, da abate di San Paolo fuorile Mura, il 9 giugno 1973 pubblicò La terra èdi Dio, una lettera pastorale in vista del Giubi-leo del 1975 convocato da Paolo VI. Quel testo– considerato un messaggio di speranza e diresponsabilità da molti cattolici, uomini e don-ne, e non solo da essi – a livello di episcopatoitaliano e di Curia romana ha subìto, e conti-nua a subire, salvo nobili eccezioni, la damna-tio memoriae. Così vanno le cose di Chiesa.

Ma torniamo all’iniziativa di Bergoglio:sui suoi dettagli e sulle sue prospettive se nesaprà di più il 12 aprile; già da ora, però, ap-pare chiaro che egli non desidera spettaco-li trionfalistici e spera, piuttosto, che mol-tissime persone vadano a confessarsi dai sa-cerdoti – non necessariamente a Roma – fi-duciose nell’infinita misericordia di Dio checancella ogni peccato. Perciò, di fatto, ilGiubileo «francescano» rappresenta ancheun’accentuazione dell’opera mediatrice delsacerdozio: una categoria, quest’ultima,messa in crisi, cinque secoli fa, dai padridella Riforma e, ben prima, dal vangelo diGesù, ma che nel mondo cattolico, salvo ec-cezioni, permane ferreamente sostenuta,anche in questo pontificato, seppure il Va-ticano II parlò piuttosto di «presbìteri» (an-ziani, nel senso biblico) che di «sacerdoti».

«Ho la sensazione che il mio pontificatosarà breve. Quattro o cinque anni. Non lo so,o due, tre. Ben due sono passati da allora [l’e-lezione, avvenuta il 13 marzo 2013]. È comeun vago sentimento, una sensazione, ma po-trei sbagliarmi». Se si ascoltano queste paro-le di Francesco alla tv messicana, sembra diintuire in lui l’urgenza di compiere quantoprima atti che, differiti, potrebbe non averepiù tempo di compiere in un pontificato «bre-ve». Il Giubileo della misericordia rappresen-ta dunque un punto culminante del ministe-ro episcopale romano di Jorge Mario Bergo-glio, e il suo messaggio centrale e decisivo.

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GLI EDITORIALI

Il progetto di riformaradiotelevisiva di Renziè una vera e propriacontroriforma: un passoindietro diquarant’anni, a primadella legge del 1975 cheriformò davvero la Rai.Poi la ricerca delpluralismo degenerònella lottizzazione, mal’attuale progetto nonaffronta questoproblema. Si vorrebbeuna Rai sotto l’egida del«Partito della Nazione».

Il governo allaconquista della RaiVincenzo Vita

«V errà un giorno...», diceva ne I pro-messi sposi Fra Cristoforo. E chis-sà se verrà mai un giorno in cui laquestione della Rai assurgerà al

rango di grande vicenda industriale, tecno-logica e culturale. Già, perché – come sotto-lineò lucidamente Raymond Williams nel1974 – la (radio)televisione è tecnologia eforma culturale. Tuttavia, speranze e profe-zie non trovano spazio nella concreta di-scussione in corso. Il disegno del governoRenzi è molto, molto di meno. Per riprende-re la «leggerezza» di Calvino, si tratta di«sottrarre peso» ad annunci e descrizioni,separando la sostanza dall’accidente: il pocoche rimane è limitato e terribile. Il baricen-tro del testo è di fatto uno solo: la conquistada parte dell’esecutivo della romana cittadel-la di viale Mazzini. Una vera e propria con-troriforma. Un grottesco (oltre che perico-loso) viaggio a ritroso nel tempo: si sposta-no indietro i calendari di quarant’anni. Aprima della legge n.103 del 1975 che –inve-ce – riformò davvero l’azienda: indirizzo evigilanza al Parlamento, decentramentoideativo e produttivo, ricerca del pluralismo.Certamente, quest’ultimo via via degenerònella «lottizzazione» e in parte venne menolo spirito dei primi anni Settanta. Un vastomovimento (dall’Arci, alle Regioni, alla me-diologia dell’epoca, a partire dal compiantoGiovanni Cesareo) aveva allora portato adun articolato normativo che, comunque, èancora un solido punto di riferimento. Mal-grado l’ingerenza dei partiti. Intendiamoci,pur in quel clima di soggezione, si trovaro-no a dirigere reti e testate personalità del ca-libro di Sergio Zavoli, Andrea Barbato, Ema-nuele Milano, Massimo Fichera o AngeloGuglielmi, per citarne alcuni. Insomma, guaia cancellare con un tasto del computer ognimemoria e i significativi insegnamenti delpassato.

Ora, se mai, si dovrebbe fare un salto inavanti. La Rai va ripensata e forse rovescia-ta come un calzino, ma non accedendo alcontrollo diretto del servizio pubblico daparte del governo. Oggi, in assenza – tra l’al-

tro – di un sistema politico come quello checi consegnò il dopoguerra, non cadremmoneppure in purgatorio, bensì direttamenteall’inferno. Una Rai sotto l’egida del «Partitodella Nazione», che si erge a dominus gene-rale con la revisione della Costituzione e l’I-talicum, diventerebbe un elemento chiave diun inquietante pensiero unico. Ecco, allora,perché è doveroso lanciare un allarme. Sia-mo in un paese privo di contrafforti, di bi-lanciamenti dei e tra i poteri. Non c’è una se-ria disciplina dei conflitti di interesse, man-ca soprattutto nei media un quadro giuridi-co antitrust; la politica sì è fatta comunica-zione e quest’ultima con Berlusconi ha as-sunto un ruolo politico immediato. Senzaregole, se non la bruttura della legge Gaspar-ri. Se pure l’azienda pubblica perdesse defi-nitivamente le residue parvenze dell’autono-mia e dell’indipendenza, i rischi di regime siappaleserebbero davvero. Si mediti su talederiva, senza preconcetti, con animo liberoe critico.

E poi, come è possibile che all’alba delmaggiore cambiamento di natura del capita-lismo, egemonizzato in profondità dallecomponenti finanziarie e cognitive, non siimmagini un futuro per la Rai all’altezza delpresente-futuro? L’universo «crossmediale»,figlio del matrimonio tra telefoni e radiote-levisione, tra cavi-fibre e onde hertziane, vi-ve una condizione densa di opportunità, maaltrettanto segnata da rischi incombenti. Ilmonopolio dell’era digitale è appannaggio dipochissimi gruppi sovranazionali, da Goo-gle, a Yahoo, a Facebook; le strutture delladistribuzione e della logistica sono nelle ma-ni potenti di Amazon; l’industria dei conte-nuti è un oligopolio difficilmente espugna-bile, essendo presidiato da tycoon comeMurdoch. E, soprattutto, l’entrata in scena diuna notevole varietà di piattaforme diffusi-ve (che peccato mortale la storia di RaiWay,che potrebbe essere mangiata dal concor-rente!) rende ancor più importante – nonmeno – la funzione del soggetto pubblico.Da intendere non come entità clientelare edassistita, ma come strumento per l’accessodemocratico dei cittadini al bene comuneinformazione. Senza discriminazioni e sen-za accettare il «digital divide». Insomma,non di sola «governance» vive l’uomo. Cheil governo accetti, almeno, il confronto par-lamentare, dove sono depositati progettifrancamente migliori.

Già senatore del Partitodemocratico, nell’ultimalegislatura Vincenzo Vita ha fatto parte della commissionedi vigilanza Rai e si occupa da sempre di comunicazione e internet.

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ANTISEMITISMO

Donatella Di Cesare

S ono usciti in Germania sotto la curadi Peter Trawny i primi due volumidei «Quaderni neri» (QN) di MartinHeidegger, il filosofo punto di riferi-

mento della filosofia del Novecento consi-derato uno dei maggiori di sempre.

Tra gli scritti appena editati ci sono pas-saggi che riguardano gli ebrei, e questo hariacceso il dibattito sul coinvolgimento delfilosofo di Meßkirch col nazismo, e del ruo-lo dell’antisemitismo nella tradizione delpensiero e della filosofia occidentali. Abbia-mo intervistato Donatella Di Cesare, autri-ce del volume Heidegger e gli ebrei (BollatiBoringhieri, 2014).

Professoressa Di Cesare, come sta svolgendo-si il dibattito sulla questione Heidegger e an-tisemitismo?Si parla dei «Quaderni neri», ma mi sembrache pochi li abbiamo realmente letti. Ne na-scono quindi giudizi frettolosi e sommari,anche sul web. Vorrei precisare che la miaposizione è diversa ad esempio sia da quelladi Severino, che sostiene l’incoerenza di Hei-degger nei QN, e quindi la necessità di la-sciar da parte queste opere heideggeriane, siada quella di Gianni Vattimo, che sostiene orache Heidegger si sarebbe lasciato in qualchemodo fuorviare, e le sue sarebbero prese diposizione ideologiche: dottrine e non filoso-fia. A me sembra che questo distinguo siamolto artificioso. D’altra parte sono lontanis-sima da posizioni come quella di EmmanuelFaye, che si limita a fare un processo banaliz-zando ogni questione filosofica. Il punto no-dale è che il dibattito nato in questi ultimimesi è molto diverso da quello degli anni Ot-tanta. La differenza è che non abbiamo a chefare con documenti storici. Abbiamo davan-

ti le opere di Heidegger. I QN sono testi filo-sofici che Heidegger ha scritto e di cui haprogrammato la pubblicazione. È poco filo-sofico prendere solo lo Heidegger che ci pia-ce, senza tener conto di questo.

Nel dibattito internazionale?Ci sono posizioni analoghe, è il caso peresempio di Günter Figal, che si è dimessodalla presidenza della Martin-Heidegger-Ge-sellschaft di Friburgo dicendo di non volerpiù avere a che fare con Heidegger, decisio-ne che ritengo poco comprensibile: un gesto,a mio giudizio, non filosofico. Mi pare chenel dibattito internazionale ci sia più atten-zione per i contenuti. Non voglio dire che inItalia non ci sia dibattito, ma è chiaro che nelmomento in cui usciranno i QN in italiano siamplierà la discussione.

Si apre un problema enorme per il pensierooccidentale. In che modo la filosofia si riap-propria dell’opera di Heidegger dopo questo«anno zero»?Questa è la domanda. Credo che ci si debbamantenere nella complessità, senza caderenella logica del «pro» o «contro» Heidegger.La filosofia deve accettare la complessità.Non è che Heidegger sia colpevole di tutto.C’è una lunga tradizione nella filosofia occi-dentale. Mi sono chiesta: come mai non esi-ste ancora oggi una storia dell’antisemitismonella filosofia? L’altra domanda è: quali sonole responsabilità della filosofia rispetto allaShoah? Sono convinta che la Shoah non siasolo una questione storica, ma anche unaquestione filosofica.

In che senso allora rileggere Heidegger?Il compito difficile sarà quello di rileggere loHeidegger degli anni Venti (quello per esem-pio della Fenomenologia della vita religiosa)ma anche quello degli anni Cinquanta e Set-tanta, quando affronta la questione della tec-nica, in connessione con i QN. Ad esempioquando parla del Mitsein («essere-con»), equindi della comunità, in Essere e tempo (del1927), a quale comunità pensa? Pensa alla co-

L’uscita dei primi due volumi dei «Quaderni neri» ha riaperto le po-lemiche sulle posizioni antisemite del filosofo tedesco. Avviamoqui una riflessione, che proseguirà anche nel prossimo numero, sulruolo che l’antisemitismo e l’antigiudaismo hanno giocato nellatradizione secolare e religiosa dell’Occidente fino ai nostri giorni.

Heidegger anno zero

Donatella Di Cesare insegnaFilosofia teoretica all’UniversitàLa Sapienza di Roma ed è vicepresidente della Martin-Heidegger-Geselleschaft.

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ANTISEMITISMO

munità del popolo tedesco? Pensa a una co-munità nazionale? C’è in questo concetto dicomunità già inscritta la missione del popo-lo tedesco nella storia dell’essere? Mi sembrauna domanda molto interessante, e di questedomande ce ne saranno parecchie.

Nel suo libro analizza le differenze tra Hei-degger e Carl Schmitt; come vede questo rap-porto?Per me è stato molto importante fare il con-fronto con Schmitt, che ha una posizione si-mile, ma allo stesso tempo molto diversa daHeidegger. Taubes ha definito Schmitt unapocalittico della controrivoluzione: è reazio-nario in tutto ciò che dice, ed è un giurista.A lui interessa definire chi è l’ebreo dal pun-to di vista giuridico. Heidegger guarda alconcetto di guerra in maniera diversa daSchmitt, nel senso che sa bene che nellaguerra possono non esserci né vincitori névinti, ma quel che conta è che si può finiretutti schiavi della «storia dell’essere». A que-sto proposito ci sono dei passi nel volumenuovo dei QN che deve uscire. Per Heideg-ger conta molto la storia dell’essere, e quindil’Übergang, il passaggio verso l’«altro inizio».Il problema è che l’«altro inizio» resta un ini-zio che si dischiude soltanto per il popolo te-desco. Per lui la rivoluzione è una rivoluzio-ne aperta solamente alla lingua tedesca; èHölderlin il poeta della rivoluzione. Rimane

dunque una rivoluzione sempre «nazionale».Quello che sta venendo alla luce è certamen-te che Heidegger non ha nulla a che fare conun antisemitismo da quattro soldi, il suo è un«antisemitismo metafisico». Devo dire chequando ho letto che per lui lo sterminio èl’«autoannientamento» degli ebrei non misono sorpresa, perché fa parte del suo mododi pensare: nella storia dell’essere si arriva aun apice nel quale la tecnica si auto-consu-ma, e dato che gli ebrei sono agenti della tec-nica, restano presi da questo ingranaggio.Certo è inquietante; ma è coerente con quel-lo che dice. Heidegger vede in questo il pun-to culminante della storia dell’essere, cheperò non viene raggiunto appieno.

Fare i conti col pensiero di Heidegger, e quin-di dell’Occidente: cosa ci deve chiamare a fa-re come Europa oggi?È importante leggere e confrontarsi con Hei-degger anche e soprattutto in questa pro-spettiva, perché in fondo nell’Europa attualecrediamo di sapere cosa sia l’antisemitismo ecosa sia la Shoah. Credo che questo non siavero. Quando si parla oggi di memoria lo sifa secondo me anche in modo sbagliato.Dobbiamo semmai parlare di conoscenza, econoscere è riconoscere. Se non sappiamocos’è l’antisemitismo non possiamo nemme-no riconoscerlo. Quello che è avvenuto po-trebbe ripetersi. Mi lasciano perplessa le sta-

i servizi aprile 2015 confronti

«Quello che sta venendoalla luce è certamenteche Heidegger non hanulla a che fare con unantisemitismo daquattro soldi(Raderantisemitismus),il suo è un“antisemitismometafisico”. Devo direche quando ho letto cheper lui lo sterminio èl’“autoannientamento”degli ebrei non mi sonosorpresa, perché faparte del suo modo dipensare: nella storiadell’essere si arriva a unapice nel quale latecnica si auto-consuma, e dato che gliebrei sono agenti dellatecnica, restano presi daquesto ingranaggio.Certo è inquietante; maè coerente con quelloche dice».

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tistiche sull’antisemitismo, non credo chequesto serva. È necessario semmai interro-garsi sulla lunga tradizione dell’antisemiti-smo in Europa e cercare di capire e studiareanche quello dei filosofi. Kant, per esempio,auspica un’eutanasia dell’ebraismo. CertoHeidegger lo dice nel 1942, quando sono infunzione i campi di sterminio. Ma anchequello che dice Kant non è cosa da poco.

Siamo oggi di fronte a un nuovo antisemi-tismo?Sì, è una forma nuova che riprende motiviantichi, e che continua ad alimentarsi dell’an-tigiudaismo e della giudeofobia. Noi ci tro-viamo, che lo vogliamo o no, a vivere all’om-bra di Auschwitz. E naturalmente c’è oggi an-che la questione dello Stato d’Israele. La gen-te non sa che Hitler nel Mein Kampf sostie-ne che uno dei grandi pericoli per il mondosarebbe la costituzione di uno Stato degliebrei (Judenstaat). In nuce si vede che la que-stione è quella della legittimità e del rappor-to con la terra.

La questione dell’essere senza terra, quindinomadi?La questione del nomadismo è un filo rossoche tiene insieme tutte queste posizioni an-tisemite, ed è da ravvisare una certa «igno-ranza», poiché non c’è stato, in Italia comeanche in Europa, quel lavoro di studio e ri-flessione che sarebbe stato indispensabile. Daqui nascono anche queste nuove forme diantisemitismo.

A proposito di nomadismo, si trovano passiin Heidegger su rom e sinti?No, non ne parla. Parla dei Senegalneger. Hei-degger ha questa visione: c’è l’Europa, che èl’Occidente; poi ci sono i paesi occidentali; al-la periferia i popoli geschichtlos «senza sto-ria», ovvero i Senegalneger. Per gli ebrei nonè così. Non vivono nella periferia dell’Occi-dente. Sono nell’Occidente e devono essereeliminati, non c’è alcun posto su tutto il pia-neta per loro. Mi chiedo quindi anche se l’an-tisemitismo possa essere considerato una for-ma di razzismo, o se non sia banalizzante de-finirlo solo così. Per l’ebreo l’ideologia nazistanon prevedeva una periferia, un posto, nean-che lontano: prevedeva che non ci fosse alcunposto sulla terra.

intervista a cura di Claudio Paravati

Il dibattito sui Quaderni Neri e quindi sul-l’antisemitismo di Martin Heidegger ha sug-gerito la lettura storica «da Lutero a Hei-degger». Da Lutero alla Germania nazista?L’idea di filo diretto non regge a una rico-struzione storiografica e non è neppurenuova: fu sostenuto da nazisti, da alcuni po-chi teologi protestanti filonazisti e, dal 1945,da forti critici della Germania, argomentan-do che quelle erano le radici e che quindinon poteva che finire così. Nel più virulen-to dei suoi scritti sugli ebrei, nel 1543, Lute-ro aggiunge una richiesta esplicita alle au-torità affinché prendano provvedimenti an-tiebraici. I suoi consigli assomigliano in al-cuni punti a ciò che avvenne nella «nottedei cristalli»: bisogna confiscare i loro librie bruciarli, chiudere le sinagoghe, metteregli ebrei a fare lavori manuali... Anche altririformatori (Bucero, Bullinger) si pronun-ciarono contro la tolleranza verso gli ebreie il Talmud fu bruciato a Roma, a Campodei Fiori, nel 1553. Dopo il XVI secolo, gliscritti antiebraici di Lutero furono ristam-pati solo nella grandi edizioni di studio enon ebbero perciò una larga diffusione; fu-rono pubblicati in edizione manuale solodurante il nazismo. Al punto che ci furonoalcuni nazisti che rimproverarono che quelLutero, che presentavano come a loro con-geniale, fosse stato tenuto nascosto.

Quindi come si deve guardare questo rap-porto tra Riforma e storia successiva?La cosa è molto più complicata. La Riformadel XVI secolo ereditò e mise in discussionesolo in minima parte la tradizionale visionedi Israele sviluppatasi molto presto nella sto-ria del Cristianesimo, secondo cui l’unicachiave di lettura legittima dell’Antico Testa-mento è il Nuovo Testamento; i veri eredispirituali del popolo d’Israele e biblico so-no i cristiani e la Chiesa. Questa è un’ereditàcomune. La Riforma si scostò dall’ostilità an-tiebraica basata sulle accuse agli ebrei diportare la peste, di rapire e uccidere bambi-ni cristiani, di profanare ostie. Non diminuì,invece, l’avversione teologica all’ebraismo. Lapolemica di Lutero si sviluppò e crebbe di

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«La Riforma si scostòdall’ostilità antiebraicabasata sulle accuse agli ebrei di portare la peste, di rapire e uccidere bambinicristiani, di profanareostie. Non diminuì,invece, l’avversioneteologica all’ebraismo.La polemica di Lutero si sviluppò e crebbe di toni intorno al problemadell’interpretazionedell’AnticoTestamento».

Da Lutero a Hitler: nessuna continuitàDaniele Garrone

Daniele Garrone è professore di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma.