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La sedazione nelle cure palliative La sedazione nelle cure palliative La sedazione nelle cure palliative La sedazione nelle cure palliative Cardano 24 Giu 2013 Valutazione clinica e appropriatezza d’ intervento Un adeguato controllo dei sintomi dovrebbe essere lo standard di cura per i pazienti terminali. Tuttavia, alcuni pazienti sviluppano dolore intollerabile e soffrono nonostante le eccellenti cure palliative praticate. In tali pazienti, la sedazione è stata usata per trattare il dolore, la dispnea, la nausea e il vomito, il delirio e le mioclonie allo scopo di permettere una morte serena. La sedazione, somministrata con l'unico intento di alleviare il dolore e la sofferenza a fine vita, è diventata in questi anni un’ opzione delle cure palliative accettata e consolidata nella pratica clinica. Il team sanitario e la famiglia del paziente morente possono affrontare, tra le molte decisioni morali, etiche e giuridicamente impegnative rispetto al processo di morte, la sedazione palliativa (SP) che suscita comunque grande emozione e dibattito. La sedazione è una procedura ampiamente descritta nella letteratura medica, ma scarsamente in quella infermieristica. La SP viene definita come l’ uso controllato di farmaci per alleviare sintomi refrattari e insopportabili e tale da indurre gradi variabili di incoscienza in pazienti che, per lo stato della malattia, la progressione e l’ insieme dei sintomi, hanno un’ aspettativa di vita di poche ore o giorni. La SP è anche conosciuta come sedazione terminale, terapia di sedazione, sedazione controllata, sedazione profonda e sedazione in pazienti morenti. La quantità di sinonimi potrebbe spiegare perché solo il 40% dei medici concorda su una definizione della SP univoca e senza riserve. Con la SP il paziente perde coscienza ed è liberato dai sintomi refrattari che sono intesi come sintomi che non possono esser adeguatamente controllati nonostante l’ uso intensivo delle abituali terapie ed è improbabile pensare che possano essere adeguatamente controllati da terapie più aggressive e/o invasive senza l’ insorgenza di effetti collaterali e/o complicanze intollerabili. L’ incidenza dei sintomi refrattari varia in letteratura dal 16% al 52% delle casistiche osservate e si identificano per tre caratteristiche peculiari: 1) inefficacia di interventi aggressivi e brevi di sedazione; 2) ulteriori interventi invasivi o non invasivi non inducono beneficio; 3) terapie aggiuntive inducono un incremento di morbidità inaccettabile senza dimostrare benefici in tempi ragionevolmente brevi. Quando si parla di SP è importante distinguere questa procedura dal suicidio assistito, nel quale un medico prescrive un farmaco che sarà da utilizzare per un paziente quando

La Sedazione Nelle Cure Palliative

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La sedazione nelle cure palliativeLa sedazione nelle cure palliativeLa sedazione nelle cure palliativeLa sedazione nelle cure palliative

Cardano 24 Giu 2013 Valutazione clinica e appropriatezza d’ intervento Un adeguato controllo dei sintomi dovrebbe essere lo standard di cura per i pazienti terminali. Tuttavia, alcuni pazienti sviluppano dolore intollerabile e soffrono nonostante le eccellenti cure palliative praticate. In tali pazienti, la sedazione è stata usata per trattare il dolore, la dispnea, la nausea e il vomito, il delirio e le mioclonie allo scopo di permettere una morte serena. La sedazione, somministrata con l'unico intento di alleviare il dolore e la sofferenza a fine vita, è diventata in questi anni un’ opzione delle cure palliative accettata e consolidata nella pratica clinica. Il team sanitario e la famiglia del paziente morente possono affrontare, tra le molte decisioni morali, etiche e giuridicamente impegnative rispetto al processo di morte, la sedazione palliativa (SP) che suscita comunque grande emozione e dibattito. La sedazione è una procedura ampiamente descritta nella letteratura medica, ma scarsamente in quella infermieristica. La SP viene definita come l’ uso controllato di farmaci per alleviare sintomi refrattari e insopportabili e tale da indurre gradi variabili di incoscienza in pazienti che, per lo stato della malattia, la progressione e l’ insieme dei sintomi, hanno un’ aspettativa di vita di poche ore o giorni. La SP è anche conosciuta come sedazione terminale, terapia di sedazione, sedazione controllata, sedazione profonda e sedazione in pazienti morenti. La quantità di sinonimi potrebbe spiegare perché solo il 40% dei medici concorda su una definizione della SP univoca e senza riserve. Con la SP il paziente perde coscienza ed è liberato dai sintomi refrattari che sono intesi come sintomi che non possono esser adeguatamente controllati nonostante l’ uso intensivo delle abituali terapie ed è improbabile pensare che possano essere adeguatamente controllati da terapie più aggressive e/o invasive senza l’ insorgenza di effetti collaterali e/o complicanze intollerabili. L’ incidenza dei sintomi refrattari varia in letteratura dal 16% al 52% delle casistiche osservate e si identificano per tre caratteristiche peculiari: 1) inefficacia di interventi aggressivi e brevi di sedazione; 2) ulteriori interventi invasivi o non invasivi non inducono beneficio; 3) terapie aggiuntive inducono un incremento di morbidità inaccettabile senza dimostrare benefici in tempi ragionevolmente brevi. Quando si parla di SP è importante distinguere questa procedura dal suicidio assistito, nel quale un medico prescrive un farmaco che sarà da utilizzare per un paziente quando

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questo sceglierà di porre espressamente fine alla propria vita. Nella SP il medico controlla la somministrazione del farmaco e lo regola per garantire che il dolore e i sintomi siano ridotti al minimo possibile, ma con il solo intento del sollievo dalla sofferenza. Dai dati di revisione della letteratura risulta che la SP ha una prevalenza variabile (5% - 52%) tra i pazienti terminali, con una durata media dell’ intervento di 2,8 giorni1 , senza variazioni della sopravvivenza dei pazienti sedati rispetto ai pazienti non sedati, ad eccezione di uno studio nel quale i pazienti, che vengono sedati per un periodo superiore alla settimana prima del decesso, sopravvivono più a lungo di quelli non sedati. I sintomi più comuni segnalati sono: dispnea, dolore, delirio, vomito incoercibile, stato di male epilettico e più del 50% dei pazienti aveva più di un sintomo non controllabile. La SP è un intervento che può essere titolato per ottenere risultati clinici desiderati. La profondità e l'intensità possono essere graduati in base alle esigenze del paziente e ne deriva una classificazione della SP in parziale, totale, temporanea e permanente. L’ obiettivo della sedazione temporanea è quello di realizzare una sedazione reversibile profonda, mentre la sedazione permanente determina una sedazione fino alla morte senza porsi il problema della sua reversibilità. La sedazione intermittente riduce coscienza del paziente per periodi prolungati, intervallati a periodi in cui il paziente è cosciente per interruzione o riduzione dei sedativi. Un esempio è rendere il paziente incosciente per un periodo di tempo utile a realizzare la gestione dei sintomi refrattari. Il grado di sedazione può essere classificato da lieve a profondo con varie modalita. Tra queste una facilmente applicabile e riproducibile è la scala di Rudkin3. Nella sedazione lieve la coscienza viene mantenuta in modo che un paziente possa comunicare verbalmente o non verbalmente con il caregiver. Nella sedazione profonda si induce uno stato di incoscienza incompleta o completa del paziente che è reso incapace di comunicare con il caregiver. Diversi farmaci possono essere usati per la SP e sono scelti per efficacia, effetti collaterali, via di somministrazione, costo e sintomi da contrastare. I farmaci possono esser utilizzati singolarmente o in associazione. Di solito viene utilizzata una benzodiazepina o un barbiturico alla dose appropriata più bassa e gradualmente titolata verso l’ alto fino a raggiungere il sollievo o il controllo dei sintomi refrattari. Il midazolam è il farmaco di prima scelta, somministrato a dosi medie di 30-70 mg/die, ma consente un’ ampia variabilità (5-1200 mg/die). Gli oppioidi sono farmaci utili per il controllo del dolore e della dispnea e l’ oppioide di prima scelta è la morfina. L’ aloperidolo non è un farmaco di prima scelta per i deboli effetti sedativi, ma deve essere considerato di elezione nel paziente con delirio. Le vie di somministrazione indicate sono la sottocutanea e la endovenosa

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(midazolam, morfina e aloperidolo sono somministrabili per via sottocutanea). Raggiunta la sedazione del paziente le dosi dei farmaci non vengono variate e, in caso di deterioramento, la funzione respiratoria non deve essere utilizzata come parametro esclusivo per diminuire la sedazione. La SP è riconosciuta come un approccio terapeutico valido per il sollievo dei sintomi intrattabili o refrattari e quindi si pone nel contesto delle cure palliative e di supporto ben distinta dall’ eutanasia. La SP rappresenta un approccio da praticare al malato alla fine della vita eticamente lecito rispetto alle principali prospettive presenti nell’ attuale dibattito bioetico 4 e deve arrivare al termine di un processo decisionale che coinvolge il team di cura, il malato e i familiari in una prospettiva etica della qualità della vita che ammette una SP finalizzata a migliorare il benessere del paziente nel rispetto della sua autonomia. NOND-1062843-0000-UNV-W-11/2014