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Non sto dicendo che in Italia non si debba fare informatica, ma che ci sono anche qua delle pro- fessionalità. Magari un ragazzo italiano sa meno di informatica ma più di storia medievale, mentre un ragazzo americano magari sa meno di storia medie- vale. Questo si fa fatica a ca- pire. Se siamo nel villaggio globale ognuno, i paesi, ha delle peculiarità da investire. Poi il ra- gazzo italiano andrà a insegnare storia medievale in California e un californiano insegnerà infor- matica a Perugia. Dobbiamo essere felici che i ragazzi vadano all’estero almeno a fare esperienza forma- tiva per poi tornare. 80 uesta settimana il menu è Q PICCOLE ARCHITETTURE Stammer a pagina 5 Tre sfumature di bianco RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 Siliani a pagina 2 Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO Tra pittura e fotografia Setti e SIliani a pagina 9 PECUNIA&CULTURA Il bilancio dei bilanci museali DA NON SALTARE La disillusione della sinistra Se me lo dicevi prima Dove osano le aquile Dario Franceschini Ministro della Cultura

Cultura Commestibile 80

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Page 1: Cultura Commestibile 80

Non sto dicendo che in Italia nonsi debba fare informatica, mache ci sono anche qua delle pro-fessionalità. Magari un ragazzoitaliano sa meno di informaticama più di storia medievale,mentre un ragazzo americanomagari sa meno di storia medie-vale. Questo si fa fatica a ca-pire. Se siamo nel villaggioglobale ognuno, i paesi, ha dellepeculiarità da investire. Poi il ra-gazzo italiano andrà a insegnarestoria medievale in California eun californiano insegnerà infor-

matica a Perugia. Dobbiamoessere felici che i ragazzivadano all’estero almenoa fare esperienza forma-tiva per poi tornare.

80 uesta settimanail menu èQ

PICCOLE ARCHITETTURE

Stammer a pagina 5

Tre sfumaturedi bianco

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

Siliani a pagina 2

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

Tra pitturae fotografia

Setti e SIliani a pagina 9

PECUNIA&CULTURA

Il bilanciodei bilanci museali

“DA NON SALTARE

La disillusionedella sinistra

Se me lodiceviprima

Doveosanole aquile

Dario FranceschiniMinistro della Cultura

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.com sabato 14 giugno 2014no80 PAG.2DA NON SALTARE

testo raccolto da Simone [email protected]

Il Festival degli Scrittori – PremioGregor von Rezzori porta ognianno a Firenze alcuni fra i mag-giori scrittori internazionali in una

serie di incontri, lectio magistralis,spettacoli molto partecipati. Que-st’anno fra i tanti (da Emmanuel Car-rère a Leopold Brizuela, da GeorgiGospodinov, da Michael Cunnin-gham a Dave Eggers) abbiamo sceltodi dare conto del dialogo fra JonathanLethem, in occasione dell’uscita di “Igiardini dei dissidenti” (Bompiani) eRoberto Andò e Giuseppe Civati,perché come ha detto Paolo Di Paolonell’introduzione dell’incontro cheaveva il compito di coordinare, “que-sto è un incontro per raccontare delrapporto tra romanzo e politica, fra ilromanzo e la sinistra. Il romanzo diLethem è una traversata in un lungotratto di storia americana. Contienemolte voci, corale, al cui centro c’è unpersonaggio straordinario, Rose Zim-mer, una militante politica ebrea ame-ricana, che è stata una comunistafuribonda e che vive la fine del comu-nismo con profondo disincanto.Cerca di trascinare dentro questa di-sillusione sua figlia Miriam che do-vrebbe essere schiacciata da questapesante eredità ideale, ma che invececerca una sua strada e cerca utopie al-ternative a quelle di Rose, accanto aduna madre che dovrebbe essere unautopista e invece è delusa. Personaggiche – come in altri romanzi di Le-them – vivono una sorta di corto cir-cuito fra vita intima e vita politica, C’èun rapporto fra vita privata e vitapubblica, ma come funziona questorapporto? Mi viene in mente la meta-fora di una infiltrazione in un pavi-mento di legno: quando vediamo ilrisultato di una infiltrazione, essa c’ègià stata: la nostra vita, guardata dalontano, rende riconoscibile quel rap-porto tra la stagione politica e quelloche siamo stati anche intimamente,ma l’infiltrazione viene da lontano eha agito a nostra insaputa.Vorrei riprendere una riflessione diRoberto Andò, nella sua recensioneal romanzo: per 400 pagine Lethemci chiede di non lasciare che il radica-lismo si riduca ad una illusione fra lealtre invitandoci a pensare che essereradicali continua ad essere una neces-sità vitale. Dentro questo disincantoc’è però qualcosa di vitale: dice diRose “nella lava della delusione diRose”. Si penserebbe alla disillusionecome qualcosa di freddo, invece Le-them ne parla come qualcosa di caldo,bruciante. Comunque, un inno al ra-dicalismo, alla dissidenza.Roberto Andò Questo romanzo tiaccompagna: io l’ho letto durante unviaggio negli Usa e i suoi romanzi an-cora mi accompagnano. Il tema difondo è: le illusione, quelle che muo-vono il mondo, la nostra vita, sononecessariamente destinate alla morte?E’ una possibilità e i suoi personaggiproiettano nel lettore questa do-

rapporto con la sinistra. Barthes dissela sinistra è una sensibilità ostinata, èil desiderio di vigilare e in questosenso non può tramontare. Può avereun carattere minimalista o massima-lista, ma non può tramontare. Questodesiderio di uscire da una scena, madi non poter fare a meno di questaeredità emotiva, è un luogo romanze-sco in cui non c’entra la politica maqualcosa di più importante, la dissi-denza nei confronti della vita. Le-them ci racconta un momento in cuiogni vita è contro se stessa, e deve es-serlo.Jonathan Lethem Se avessi cono-sciuto una espressione così bellacome “sensibilità ostinata” non avreiavuto bisogno di scrivere questo libro.Una delle considerazioni che mi sonovenute in mente da quando sono quaè che davvero questo libro si com-prende molto meglio in Europa chenon negli Stati Uniti. Non che nonabbia avuto una buona accoglienzanel mio paese, ma lì è visto ancoracome una specie di enigma. Questafantasia a-storica in cui sono cre-sciuto, questo che è un mito ma allo

stesso tempo anche un ridicolo sognoamericano, cioè la frontiera utopica.Ho scritto anche altri libri di fantasie,di amnesie, ma questo è un libro piùeuropeo anche perché ha la conti-nuità, è un catalogo del rimorso, delledelusioni che sono avvenute nella si-nistra. Ma ciò che mi ha fatto più pia-cere è che ne abbiate parlato intermini di famiglia. Questa immaginedella dissidenza, cioè quella lotta cheè la definizione di una propria visionedella vita, ha origine in quel nucleodisastrato che è la famiglia. In un miolibro precedente che si chiama “Lafortezza della solitudine”, ho scrittoun rigo che mi è arrivato quasi comeuna epifania e che all’inizio non avevoben capito cosa significasse: “L’utopiaè quello spettacolo che chiude già allaprima sera di rappresentazione”: inqualche modo questo libro cerca dispiegare cosa volessi dire con quella

dissinistraillusionedella

La

manda. E’ anche un romanzo sulla fa-miglia, su ciò che Adorno diceva del“Flauto magico”: esso è un’opera con-cepita per raccontare il desideriodegli umani di liberarsi dell’incante-simo della madre. In un certo sensoanche il romanzo di Lethem raccontaquesto. Questo romanzo racconta iltema delle illusioni come una eredità

emotiva: la sinistra come luogo di unaillusione che non si vuole morta, macome una eredità emotiva. I figli vo-gliono liberarsi da una scena già pre-disposta dalla madre. Come tutti noi.Liberarsi del padre e della madre è iltema della grande utopia rivoluziona-ria. Ricordo di una cosa che chieserouna volta a Roland Barthes sul suo

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frase. Cioè che la famiglia può dav-vero proporre una visione della vitache è sublime, una utopia che può va-lere al pena di seguire. Allo stessotempo, ogni adolescente sa che la fa-miglia è una zona radioattiva deva-stata, che deve essere abbandonata eforse anche denunciata. Quindi Roseè una sorta di pura espressione diquesto paradosso. Il problema diRose è come si accetta di amare e diessere amati da una persona total-mente insopportabile.Roberto AndòRose è una comunistache pensa che l’ideologia sia piùgrande delle delusioni e anche dell’au-tolesionismo dei dirigenti e va incon-tro a due processi nel corso della suavita: nel primo viene abbandonata dalmarito che torna in Europa a fare laspia e nel secondo viene processataperché è amante di un poliziotto nero.Lei resiste a questi due processi kaf-kiani perché lei vuole commemorareil socialismo come ferita. Questa ideaè anche uno degli aspetti più interes-santi della democrazia, che non faaltro che commemorare. Qui c’è ungrumo vivente che diventa comme-morazioneJonathan Lethem Rose rappresentaanche il prezzo che si paga per entrarein questo mondo ideologico, laico, in-tellettuale che lei tanto desidera: que-sto prezzo è la distruzione di tutto ilretaggio della propria famiglia. Leinon si rende conto quanto alto siaquesto prezzo, ma non può evitare didistruggere suo padre e anche il Diodegli Ebrei per entrare a far parte diquesto mondo laico, intellettuale e so-cialista. C’è anche il tema del vuoto edi quello che vi cresce dentro: nuovidèi, nuovi idoli e padri. Rose sta cer-cando qualcosa di sufficientementegrande per riempire quel vuoto e litrova, ma man mano la deludono. Ini-zia con Stalin, ma poi trova FiorelloLa Guardia oppure Abraham Lincoln.Subisce questo fascino irresistibileper gli uomini in divisa, che rappre-sentano una carica istituzionale. Tuttaquesta energia fa parte anche dei suoidesideri sessuali, che prova per preti,sindaci, poliziotti E alla fine finiscecon Archie Bunker che è il più scan-daloso uomo di destra.Giuseppe Civati Sono un po’ in im-barazzo perché la sinistra che inter-preto io non è quella di cui parla ilromanzo, che è una sinistra moltoideologica, che sogna un’altra vita, unaltro modello. La sinistra è un po’così: deve essere irrisolta (per essererisolti c’è già la destra), deve essereconflittuale. La sinistra è sempre no-stalgica. E’ generazionale nel sensoche cerca sempre un rapporto fra legenerazioni, a volte di lotta duraanche per il potere, a volte anche di ri-conoscimento. In questi giorni la re-torica intorno a Berlinguer è quasieccessiva, per chi lo ama veramente:tutti a rimpiangerlo perché di leadercosì non ne sono nati più. Però la si-nistra è fatta così: immagina ungrande futuro, ma anche passato chesi vuole portare dietro con sé. La sini-

DialogoconJonathanLethemsul suoultimolibro

stra è sempre irrequieta: è un con-cetto hegeliano, cioè il pensiero, la cri-tica che muove un’azione politica disinistra. In questo romanzo essa è vis-suta immediatamente come storiapersonale. E’ bello vedere il tema delradicalismo. Io sono un cultore deipunti di vista radicali perché sono gliunici che ci fanno vedere le cose in unaltro modo. Il motivo per cui sono ap-passionato di questo tipo di lettera-tura è perché ci consente uno sguardoche altrimenti non avremmo. E que-sta è un’altra cosa un po’ di sinistra. In-fine, l’idea di immaginare altre vite èquella che vorrei riscoprire nella po-litica: immaginare che sia possibilescartare di lato, che vi sia un’altra pos-sibilità, così presente nel romanzo diLethem. Jonhatan Lethem La letteratura èfondamentalmente politica nei suoigesti basilari che significano sempreinventare la possibilità di un altromondo. Anche il romanzo più reali-sta, prosaico e quotidiano, che sem-bra conformarsi a ciò che vediamonella realtà di ogni giorno, compiesempre un salto nell’immaginazioneper arrivare a creare qualcosa di di-verso. Sono gesti di solidarietà, che cifanno uscire dal nostro guscio, checercano di abitare le vite degli altri.Questo è ciò che si fa quando siscrive. C’è questa simpatia organicache chiamerei una sorta di transustan-ziazione tra le persone e questo hadelle implicazioni profondamentepolitiche.Paolo Di Paolo Il romanzo ha alcunimomenti altamente lirici, di pietas, diprofonda condivisione di Lethem ri-spetto alle disillusioni di questi per-sonaggi. Credo che lui abbia comemetodo quello di non giudicare mai isuoi personaggi.Jonhatan Lethem Spero che sia così.Ci sono persone che hanno detto chequesto è un libro duro, che non per-dona. Io effettivamente, sono abba-stanza duro con i miei personaggi, nelsenso che infliggo molte cose. Manon credo che sia mai necessario giu-dicarli. Anzi, caso mai sono loro chegiudicano me. In un certo senso que-sto libro nasce dall’amore, ma unamore che io sottopongo ad unaprova: voglio capire quanto questoamore può sopportare. Ciò io amo èl’idealismo: quella vita di protesta chericordo in me e che voglio sottoporrea questa prova- Quando ho iniettatoil personaggio di Lenny nel libro l’hoimmaginato nei panni di una sorta diAmleto: una sensibilità esagerata, l’as-surdità. Ma l’assurdità è la forma piùalta di realismo. Lenny ha un’idea delcomunismo che è sì come di una reli-gione, ma anche quella di un artistacui nessuna reale manifestazione delsuo oggetto ideale sarà mai soddisfa-cente. E’ un artista, ma anche un po’come Amleto: un idealista tormen-tato perché i suoi ideali non sono mairaggiunti. E’ una condizione che con-divido perché voglio andare oltre laparalisi di questo Amleto.

Foto di Alessandro Moggi

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Se me lodicevi prima

Mantovano (“tanto impe-gno e tanto entusia-smo”, la sua ricetta) eMeucci chiudevano ilgruppo (con sosta a metà salita per tè ebiscotti).Quando l'allegra comitiva è giunta al-l'agognata meta, ha potuto beneficiare

di una guida turisticad'eccezione che – nonessendo più in servizioeffettivo Eugenio Giani(che ha svolto questapregevole funzionesocio-culturale nel Co-mune di Firenze inin-terrottamente dal

1985) – lo stesso sindaco ha brillante-mente interpretato. Le frasi storiche,così, son state dette: “E' sbagliato guar-dare la città a pezzetti e guardare iproblemi isolati: la cosa fondamentaleè avere uno sguardo d'insieme e averesoprattutto la capacità di immaginarela città fra trent'anni”.Ma per non essere da meno del suo au-gusto mentore, capitan Nardella con-clude con la vignetta di Elle Kappa:"Figlio mio tutto questo da oggi...sa-ranno cazzi tuoi".

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

www.facebook.com/cultura.commestibile

“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

“Gruppo vacanze San Miniato alMonte, si parte!”. Così, una bellamattina di tarda primavera, capi-tan Nardella ha guidato la suatruppa assessorile per la scalinatache porta a S.Miniato. Ansimantema compatta, la squadra è giuntain quest'ordine: lo scoppiettanteGianassi taglia perprimo il tra-guardo, seguito dallongilineo Van-nucci (delega allosport mica perniente: per fare unpasso dei suoi cene vogliono tre delCapo). Poi l'atletica vicesindacaGiachi in coppia con il trasparentePerra , seguiti dall'altra coppia capi-tan Nardella – Funaro. Giorgettiguida il gruppone (ma perché si eraattardato a discutere di un progettodi funivia che pretendeva imme-diata per collegare il Piazzale conS.Miniato), incalzato da Bettarini(che la funivia la voleva per colle-gare Firenze con il Mugello che, ar-gutamente, ha sentenziato “siintravede dietro le colline”). Bettini,

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

Una tragicomica canzone delgrande Enzo Jannacci titolava “Se

me lo dicevi prima...”:pare che questo stesso ti-tolo debba riferirsi al-l’iniziativa invero

singolare ma di sicuro impatto me-diatico del rieletto sindaco di Vol-terra Marco Buselli che ha lanciatoun avviso pubblico per candidaturealla carica di assessore alla culturadel Comune. Successone: oltre 200candidature arrivate in poco più diuna settimana, con tanto di fotogra-fie e curricula. Un po’ come al Festi-val di Sanremo si attendeva l’esitodella giuria popolare per assegnarel’ambito incarico, ma ecco la giuriadei critici, cioè lo stesso Marco Bu-selli, annunciare: “L’iniziativa ha su-scitato grande interesse, ma fra glioltre 200 curricula la gran partesono maschili, pertanto impossibilida prendere in considerazione, datoche tale assessorato, per la parità digenere, sarà assegnato ad unadonna”. E qui interviene Jannacci:Eh, se me lo dicevi prima. Comeprima Ma sì, se me lo dicevi prima.Ma prima quando? Ma prima, no?Eh, si prendono dei contatti. Facciouna telefonata al limite faccio unleasing... Ecco, magari, se nei requi-siti dell’avviso pubblico fosse statoscritto fra i requisiti: “Richiesto sessofemminile. Evitare perdita ditempo”. Poteva essere un’idea, no?

Dove osano le aquile

LA STILISTA DI LENIN

Viviamo tempi rapidi, frenetici. La no-stra memoria a breve sobbarcata di in-formazioni ha tempi di detenzione delleinformazioni rapide e ci trasforma in pe-sciolini rossi, sempre pronti a stupircicome se fossimo di fronte a novità,quando invece in molti casi si tratta di ri-petizioni di gesti già compiuti da altri.Deve essere andata così anche per il giu-ramento della sindaca Sara Biagiotti aSesto Fiorentino che ha giurato su unipad in cui le hai assicurato fosse presentela Costituzione. Gesto moderno, 2.0, in-novativo. Peccato che solo pochi giorniprima lo stesso gesto, in quel caso unKindle e non un ipod, era stato compiutodalla neo ambasciatrice USA in Sviz-zera, Suzi Le Vine. Negli USA si giurasulla Bibbia e la scelta dell’edizione sucui giurare ha un suo simbolismo e unsuo rituale impensabile per noi. La Bib-bia su cui giurano i presidenti ha sempreun messaggio: o è quella della congrega-zione in cui si è cresciuti, o quella del re-verendo King come per Obama. Da noisi giura sulla costituzione che si trova, disolito, mentre Biagiotti, la più sfortunatadelle tre grazie delle primarie renziane,ha forse cercato di enfatizzare questo ritocon un gesto che invece, vista la vici-nanza del precedente, non ha sortito l’ef-fetto voluto.

-Fermo! Fermo!-E chi si muove-Fermo lì, ci son le prove!-L’avvocato…-Non importa: favorisca dalla porta.-Ma io, guardi, le ho già detto…-Lei da adito al sospetto!Lei è qui da stamattinache, con aria malandrina,finge di guardare il vetroe maneggia per didietroquella che sembra una scopama in effetti è un’arma impropria.Dunque? Viene o chiamo aiuto?-Vengo, sì, sono fottuto.-Dunque ammette! Si dichiari!Qual è il nome?-Chiucchiullarifu Giuseppe.-Dove sta?-Nella via del Baccalà.-Lei è iscritto ad un Partito?-Mangio il pane inseccolito.-Niente scherzi! Dica il vero!-Mangio il pane muffo e nero.-Niente balle! Documenti!-Bevo l’acqua e ho male ai denti.-Io l’arresto per violenza,per oltraggio e resistenza,per abuso ed omissione,peculato e concussione,per sommossa, abigeato,panettone e buccellato:imputato, dica allora,che faceva qui, a quest’ora?-A quest’ora come vede,io spazzavo il marciapiede!

La Costituzionee l’ipad

Calvo raccoglie favole e racconti da molti anni, così salva dall'oblio importanti testimo-nianze di cultura popolare. La sua ultima fatica riguarda brani fantasiosi del “popolo dellanotte”.Ci sono le novelle dei fornai, come quella che narra le nefandezza del mostruoso Lie-vitan che assale le vittime avvolgendole nella pasta per poi cuocerle in forno. Oppure le fi-lastrocche delle Guardie di notte, lunghe nenie che i Metronotte raccontano a se stessi percombattere la noia del loro lavoro: “Con la bici o il motorino/ai bandon metto il foglino/siache piova/o ci sia il gelo/ai furfanti faccio il pelo/macellai e gioiellieri/ e ci pagan volen-tieri/perché noi sian sempre attenti/per cacciare i malviventi...e così di seguito questi notturnilavoratori cantano a se stessi filastrocche che durano il tempo di un turno. Poi ci sono lecantilene delle passeggiatrici che, con la globalizzazione del mestiere, il Calvo ne rileva al-cune centinaia in 32 lingue diverse fra queste la lingua Hausa e Yoruba. Poiché l'autorenon ne fornisce versione non ne conosciamo il significato. Curiose sono alcune canzoncineche cantavano le maitraisse quando ancora erano “aperte” le “case chiuse”, come quella chedice: “Su bambine andate a letto/sta arrivando un signorino/lo tenete bene stretto/che glibasti un minutino/poi un bacino alla sua pancia/che vi lascia anche la mancia. Opera,quella di Italo Calvo, da leggere, naturalmente di notte.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

VINTAGE

FEBBRAIO1973

Il Fermo Futuribile

Il Franco MiratoreGli epigrammi

di Franco Manescalchinelle pagine di Ca Balà

a cura di Paolo della Bella

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di John Stammer

Il bianco è il colore che tutti li rap-presenta. E’ tutti i colori insieme.Così ci insegnavano a scuola. Saràper questo che il bianco è il colore

prescelto per grandi opere pubblicheda grandi architetti. Ma è anche quelloche, all’occhio del profano, può sem-brare il più semplice da gestire e da uti-lizzare. Ma gli esperti sanno che non ècosì. E che esistono infinite sfumaturedel bianco. E’ forse per queste ragioniche Riccardo Bartoloni ha scelto ilbianco come cifra distintiva delle suearchitetture. Ma le sue architetture ur-bane hanno anche altri caratteri distin-tivi come gli inserti in legno e in pietrasulle facciate. Intonaco, legno e pietra.Un trinomio classico delle architettureeuropee, qui declinato in modo inno-vativo, sia nella forma sia nelle modalitàdi uso.A guardare bene, dentro la città, si rie-sce a trovare, sparse qua e la, alcune diqueste opere di architettura. In via Locchi (nel quartiere delle Pan-che), in via di Novoli (di fronte allaTorre degli Agli), in viale Fanti (difronte all’ingresso dello Stadio Comu-nale) è possibile volgere lo sguardoverso le nuove bianche residenze ur-bane. Interventi quasi sempre frutto di de-molizione e ricostruzione di vecchi edi-fici industriali, ormai interni alla cittàconsolidata, e quindi classificati come“incongrui” con il sistema urbano dalvecchio strumento urbanstico dellacittà. Interventi che hanno anche susci-tato discussioni e polemiche, in parti-colare con i residenti limitrofi, costituitiin comitati, ma che ora forniscono unalettura delle potenzialità del processodi trasformazione urbana consentitodal PRG ancora oggi vigente. Gli edificisi presentano sempre come strutturecomplesse, che offrono più argomentidi lettura, e un lessico architettonico ar-ticolato. In particolare nelle facciate.Le facciate sono il volto dell’edificioverso la città. Sono come la presenta-zione in pubblico di una persona. De-vono denotare il carattere, il ruolo, lastoria, le aspirazioni dell’edificio. E chi progetta deve ricordarsi che hasempre, davanti a se e al proprio lavoro,un doppio committente. Uno è il pro-prietario dell’immobile e l’altro sono icittadini. Coloro che, volenti o nolenti, vedrannoquello che viene progettato. E lo ve-dranno quasi tutti attraverso le facciate,a meno di quelli che entreranno anchedentro l’edificio. Ed infatti gli edificipubblici, e quelli privati che rappresen-tano il ruolo sociale ed economico delproprietario, hanno spesso, anche al-l’interno, la presenza di facciate e paretidecorate.Facciate, quelle degli edifici residenzialidi Bartoloni, mai omogenee e lineari,ma di volta in volta oggetto di novità edi specifiche caratteristiche progettuali.Alcune “coperte” da un fine reticolo distrutture non portanti, e quindi di fattoornamentale, come in via di Novoli,dove l’edificio-residence è coperto, alla

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

vista principale dalla via di Torre degliAgli, da un foglio in acciaio microfo-rato. Un paramento che , per chiguarda da fuori, diventa uno“schermo” semitrasparente appostosulla facciata dell’edificio e, per chi staall’interno delle terrazze, una prote-zione allo sguardo esterno. Un para-mento che restituisce l’immagine,soprattutto di notte, di un edificio av-volto da una leggera foschia.Altre giocate sui vuoti e sui pieni, conuna particolare attenzione a segnalare,con inserti di pannelli di legno rosso in

facciata, l’arretramento delle logge, ri-spetto al piano principale di facciata,come nell’edificio di viale Fanti.Altre infine caratterizzate da un anda-mento curvilineo, che sembra constra-stare l’andamento curvilineo, di segnoopposto, della strada su cui affaccia, edal segno continuo delle terrazze,quasi come un grande marcapiano, in-terrotto dall’inserto verticale in para-mento di pietra e vetrocemento, che siraccorda con il piano della copertura,sempre in paramento di pietra, comenella facciata principale dell’edificio di

via Locchi. E anche nella forma gli edifici manife-stano ricerca e attenzione al contesto,come nell’edificio interno a via Locchidove la speciale conformazione dellotto ha suggerito una particolare so-luzione volumetrica che restituisceallo sguardo un edificio che appare piùcome un gioco di volumi elementariche come un edificio abitativo. L’edifi-cio è anch’esso segnato da un grandeinserto di legno in facciata, a segnalarela parte più aperta verso l’esterno del-l’edificio stesso.

Tre sfumature di bianco

Via Locchi

Viale Fanti

Via di Novoli

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In un clima di profondo cambia-mento epocale l’Arte e la Letteraturasono state sviscerate dallo psicologi-smo individuale, per diventare rap-

presentative di una realtà più concreta,socialmente e materialmente. Dagli anni Sessanta a oggi gli intellettualihanno avvertito lo stato di crisi della cul-tura - ormai del tutto alienata da se stessa- come un labirinto al quale adeguare lenuove dialettiche e le nuove retoriche:l’immersione incondizionata nel “maredell’oggettività” (Calvino), la resa delsoggetto nel flusso storico-sociale,l’uscita dalla dimensione aulica delle artie lo sperimentalismo, in quanto verificae ricostruzione critica delle effettive fun-zioni della lingua all’interno di una ci-viltà industriale e dominata dallecomunicazioni di massa, sono stati i car-dini di una poetica che è andata materia-lizzandosi in una sintesi oggettiva disegno verbale e segno visivo. Armonia edisarmonia si sono articolate in ipotesicombinatorie e prospettive multiple, di-latando le possibilità di esperienza edenfatizzando la dimensione di un pre-sente sul quale è tessuta una fitta tramadi frammenti sociali e culturali varia-mente combinati. Si tratta di una realtàlabirintica dove il Tutto è frammentarioe si riduce al moltiplicarsi dei fenomeniin una continua sfida critica, ironica edissacratoria alla complessità modernae postmoderna. In quest’ottica l’Arte e la Letteratura di-vengono un luogo di ricerca consape-vole della propria forza culturale,convergendo in un’unica prassi esteticadal sapore militante. Ora come non maila parola è chiamata a illustrare il critici-smo nella sua corporeità visuale, oltreche semantica e connotativa. ConNanni Balestrini si esplicano, in modoinedito e originale, i dettami dell’idea dirinnovamento, imperante ancora oggi.

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

Dall’alto Il poeta del silenzio, 1967, Collage su cartoncino, cm. 21x29,5. La logica, 1967, Collage su carta stampata, cm 25x23I nemici, 1969, Collage su cartoncino, cm. 25,5x38.Tutte courtesy Collezione Carlo Palli

Nelle opere visive, come in quelle poe-tiche, l’intellettuale si misura con il fun-zionamento del linguaggiocontemporaneo, analizzando i materialidella comunicazione di massa e dell’in-formazione tecnologizzata, mettendo inevidenza la necessità di un dialogo ener-gico, gestuale ed esplorativo con la realtànella sua perdurante mutevolezza. I ma-teriali prelevati dai linguaggi della quo-tidianità, alterati e plasmati per mezzodel collage e dell’asintattismo, generanoaltri significati, con un’esplicita inten-zione dissacratoria nei confronti nonsolo delle tradizionali strutture poetichema anche culturali. Le parole si attrag-gono e si respingono nella contiguità li-neare del presente storico, nel qualedomina l’aleatorietà dell’oggettivismo. Allettore non resta che lasciarsi guidarenell’esplorazione delle relazioni tra crea-tività e intenzionalità critica che l’alea vi-siva delle opere di Nanni Balestrinirievoca, cercando di cogliere l’energia se-mantica e intellettuale di un pensieropoetico attento alle dinamiche contem-poranee, in quanto sfida a un labirinto lacui uscita appare ancora lontana

diLe paroleNanni

Balestrini

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Alfons Maria Mucha (1860-1936), dopo avere studiato aBrno ed avere vissuto e lavoratofra Vienna e Monaco, arriva a Pa-

rigi nel 1887, ed acquisisce notorietà nel1894 con il nome francesizzato Al-phonse Mucha, firmando la locandinadell’opera teatrale “Gismonda” di Sardouinterpretata da Sarah Bernhardt. L’attriceviene conquistata dallo stile raffinato edelegante del giovane disegnatore, gli offrenuove opportunità di lavoro e nellostesso tempo gli apre le porte del belmondo parigino, facendogli ottenere nu-merosi altri lavori e prestigiosi incarichi,che Mucha svolge al meglio, incarnandoperfettamente lo spirito del tempo ed in-tercettando in maniera decisiva il gustoe le tendenze estetiche dominanti al-l’epoca nella classe aristocratica e nell’altaborghesia. Con le sue opere Muchasegna in maniera indelebile un momentostorico, nel bene o nel male, e con tuttele limitazioni che sono note. Meno notaè invece l’attività fotografica di Mucha,che egli pratica fino dai tempi di Vienna,e che prosegue a Parigi, eseguendo inproprio tutti gli studi sulle modelle e suimodelli, studi che utilizza in maniera de-terminante ed intelligente nella realizza-zione delle sue opere. In quella specie diterra di nessuno in cui disegno, fotografiae pittura si inseguono, si sovrappongonoe si alimentano l’una dell’altra, al passag-gio di un secolo nell’altro ed al passaggiodi un genere nell’altro, quando il concettodi arte non è ancora ben definito, dila-niato fra tendenze opposte, Mucha operada fotografo come opera da pittore, senzabadare troppo alle definizioni, senza pre-occuparsi se la fotografia debba essere“ancella delle arti” come voleva Baude-laire, o se il rapporto possa invece capo-volgersi del tutto, come all’epocaqualcuno comincia già ad intuire. Difatto Mucha non si limita a fotografare lemodelle agghindate da odalische o da ve-stali, ma usa il suo apparecchio in libertà.Una delle sue foto più significative èquella che raffigura il suo amico PaulGauguin, in giacca e mutande, mentresuona il pianoforte. Giunto all’apice delsuo successo, Mucha non è soddisfattodi se stesso, non gli bastano le composi-zioni melense e manieriste, ripetitive estilisticamente vuote per cui è diventatofamoso. Le sue ambizioni sono ben altre,vuole imporsi come pittore, vuole la-sciare un segno molto più forte dei ma-nifesti effimeri e delle pubblicitàpasseggere, vuole compiere qualcosa diveramente grande. La sua inquietudinelo spinge a lasciare Parigi, ed a passare di-versi anni negli Stati Uniti, fra il 1906 edil 1910. Ma il suo destino è nel cuoredell’Europa, dove torna per si stabilirsi aPraga, lontano da Parigi ma vicino allasua terra natale, e dove, all’indomani delpassaggio della Grande Guerra, si dedicaalla realizzazione dell’opera da sempresognata, quella che vuole consegnare allastoria. Inizia a lavorare su dipinti dallegrandi dimensioni che illustrano le fasisalienti della storia del popolo slavo, e checompleta nel 1928 battezzando l’opera

OCCHIO X OCCHIO

di Danilo [email protected]

Tra pitturae fotografia“Epopea Slava”. Ancora una volta Mucha opera lavorando conla fotografia, con la sua fotocamera batte i paesi e le campagne,ritrae i volti ed i personaggi del suo popolo, cerca di catturare icostumi e gli atteggiamenti, di fermare sulle lastre sensibili lospirito della sua gente, di fare di ogni persona un tipo rappre-sentativo, un simbolo, un emblema. Ancora una volta pittura efotografia vanno a braccetto e si intrecciano in una serie di ri-mandi, allusioni, similitudini. Ancora una volta pittura e foto-grafia si strizzano l’occhio con complicità, ancora una voltavivono l’una per l’altra ed una nell’altra. Mucha muore a Pragaundici anni più tardi, per essere sepolto nel cimitero di Vyse-hrad.

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raddoppiata rispetto ai decenni prece-denti, si era passati infatti da un 16%di italiani che leggevano almeno un

libro all’annonel 1965 ad un36,8% nel 1988. Dal 1996, in-vece, il dato si è

attestato intorno al 40%, subendo solobrevi oscillazioni ma nessun incre-mento consistente. Indubbiamente,l’aumento della quota dei lettori, regi-strata nei decenni passati, è dovuta ingran parte ad un grado di istruzionepiù elevato – con un numero maggioredi persone che conseguono un di-ploma o una laurea –, nonché alla pre-senza di un livello socio-economicomigliore. Bisogna considerare peròche il nostro Paese è ancora frenato dalfatto che il 45,2% degli adulti tra i 25 ei 64 anni ha conseguito solo la terzamedia, mentre nel resto d’Europa ildato medio è molto più basso. Perquanto però il livello di scolarizzazionepossa incidere, da solo non può giusti-ficare la propensione verso la lettura. L’Italia, tra i paesi industrializzati, sem-bra essere quello con maggiore discre-panza tra la crescita dei livelli dialfabetizzazione e i tassi di lettura neltempo libero, infatti il 18,9% dei con-cittadini laureati e il 41,6% dei diplo-mati dichiarano all’Istat di non averletto neppure un libro nel tempo li-bero durante l’ultimo anno (riferibile,in questo caso, al 2012).La quota dei lettori nel tempo libero,già a partire dai 25 anni di età (quindiquando molti giovani frequentano an-cora l’università o ne sono appenausciti), scende sotto il 50%, a testimo-niare che gradi di istruzione superiore

e amore per la lettura non vanno ne-cessariamente di pari passo. Non pos-siamo quindi sorprenderci obiasimare se il mercato del libro negliultimi anni, vista anche la crisi econo-mica che ha investito il paese, abbiaorientato le iniziative volte a promuo-vere la lettura soprattutto verso i let-tori forti, dimostrando, invece, unatotale incapacità di stimolare i lettorideboli o i non lettori.Si potrebbero trovare tante giustifica-zioni a questo impietoso ritratto dellasituazione in Italia sul fronte della let-tura, ma la verità è che molti – troppievidentemente – preferiscono la let-tura della Gazzetta dello Sport o diTopolino, piuttosto che avere un bellibro tra le mani. Decenni di mancatepolitiche, iniziative, volte ad incenti-vare la lettura, hanno portato l’editorialibraria a vivere in una condizione diforte crisi. Ma le conseguenze di talecrisi ricadono su tutti, solo che non cene rendiamo conto. Il non leggere noncomporta effetti negativi visibili, im-mediatamente riconoscibili. Non ac-cadrà mai di veder passeggiarequalcuno per strada e riconoscere adun primo sguardo che non è un let-tore. Molti trovano difficile quindi ca-pire quale enormi vantaggi comportila lettura, perché apparentementesiamo tutti uguali, lettori e non. Nonpensano al fatto che leggere sia unodei modi migliori per volersi bene eche i benefici non siano solo indivi-duali, ma collettivi, perché una na-zione che ama la lettura, è una nazionelibera. La lettura libera la mente, dice-vano appunto, ma se non invertiamorotta al più presto, rischieremo diavere ben poco da liberare.

di Franco [email protected]

RI-FLESSIONI

Se Collodi avesse ambientatoPinocchio ai giorni nostri,avrebbe avuto molta difficoltànello scegliere a chi far cre-

scere le orecchie di asino. Il nostro belPaese sembra infatti abitato da tantiLucignolo e da tanti Pinocchio, peren-nemente affetto da una “febbre da so-maro”, difficile da estirpare.Questa purtroppo è l’avvilente consta-tazione che emerge dal “Rapportosulla promozione della lettura in Ita-lia”, pubblicato a marzo dello scorsoanno. Nel 2012, infatti, solo il 46% degli ita-liani (51,9% tra le femmine e 39,7%tra i maschi) ha dichiarato di aver lettoalmeno un libro all’anno, dato impie-toso se messo a confronto con quellodi paesi stranieri, paragonabili al no-stro (si pensi che legge il 61,4% deglispagnoli, il 70% dei francesi, il 72%degli statunitensi e ben l’82% dei tede-schi). Nel 2012, il 20,7% della popo-lazione aveva letto meno di tre libri inun anno, mentre il 18,4% ne aveva lettida 4 a 11, per concludere con i cosid-detti “lettori forti”, pari al 6,3% dellapopolazione, che superavano i dodicilibri all’anno. Certo, leggere meno ditre libri all’anno non consente di clas-sificare una persona come lettore, anzisi potrebbe definire quasi un incontrocasuale con la lettura, per non parlarepoi di coloro che leggono solo un libroin un anno. Ma perché così tanta ostilità nei con-fronti della lettura? Alla fine degli anni’80 sembravano esserci segnali inco-raggianti, con una percentuale più che

di Laura [email protected]

Corrado Govoni (1884-1965), fra ipoeti del Novecento italiano è statoil più generoso nello sviluppare edesprimere un discorso sulla naturanon contaminata dalle modifica-zioni industriali e per questo è rima-sto a lungo nell’ambito dell’elegia.Sono occorse due guerre mondialiper scuoterne il vasto contesto incui l’io lirico si era fatto io narrante eper condurlo ad un redde catione incui natura e Storia finiscono colcoincidere.Questo, probabilmente la morte delfiglio Aladino che nel ’45 i nazifasci-sti massacraronoalle Fosse Ardeatine: “Io ti ringrazio,o figlio, di quel pianto / che mi hariaperto gli occhi; se ora vedo / chec’è più fuoco nella luce nera / dellatua notte eterna ed infinita / che intutto il verde della primavera”.Da questa presa di coscienza nasceuna delle più intense poesie del No-vecento, Il picchio rosso, nella qualeil poeta evoca una scena di caccia

ANIMALI IN POESIA

che è anche allegoria degli eccidiperpetrati nel XX secolo. Questo il dato biografico. Un giornoil poeta, che praticava la caccia, sitrovò a sparare a un picchio rosso,capitatogli d’improvviso a tiro.L’uccello, stridendo, ferito ad un’ala,cadde sopra un mucchio di paglia; eun uomo della fattoria lo finì schiac-ciandolo sotto il suo stivale..Il poeta rimase talmente impressio-nato dalla brutalità della scena, cheda quel giorno cessò di andare a cac-cia e scrisse poi la poesia “Il picchiorosso”, che si divide in due strofe.

Nella prima Govoni dà voce al pic-chio che narra di sé e della sua vitafelice, alludendo alla condizione diegoistica natura in cui anche il poetaaveva vissuto:Vissi nel sole come nell’internodi una dolce fornace,con ali d’erba smeraldinae il berretto alla sbarazzinacome una viva brace.Quanto picchiai i vecchi intarmolitiolmi e quercieper pappar grasse larve addormen-tatenella feccia del legno, sghignaz-zando:‘Trentatre!Trentatre!’Nella seconda strofa il picchio, col-pito a morte, ci dà una versione “na-turalistica” dell’evento, e la scena dicaccia diviene così, come si è scritto,per lui un evento della sorte, maanche allegoria degli eccidi dellaStoria di cui l’uomo non riesce amettere a fuoco le dinamiche men-tre si sente preso a bersaglio..Fu mentre assaporavoformiconi e cerambiciche per il gran raspio vetrino

delle cicale scoppiò il giorno;ma forse fu una ghianda esplosadal sotto in su che mi colpì nell’ala.‘Trentatre!Trentatre!’invano strillai,quando con tutto il peso della notteun gigantesco tacco d’uomomi fu addosso.Nella paglia di fradicio solemorii con un sussulto,per non esser riuscito a trangugiareil mio berretto di velluto rosso.E nel ghereghè (trentatré) dellostrillo del picchio nitido è scandito ilsuo empito di vita e di morte. A luipare che il giorno scoppi per il ra-spìo delle cicale, la ferita all’ala glivenga inferta dall’esplosione di unaghianda e, mentre la “dolce fornace”diviene “la paglia di fradicio sole”,egli immagina di soffocare per ilsangue del suo berretto rosso chenon è riuscito a trangugiare.Egli, ovvero il picchio rosso - Go-voni, non accetta di riconoscere lamorte fuori dalla Natura, sotto ilduro stivale dell’esercizio della vio-lenza umana che intanto lo configgeal suolo, come metafora della Storiae dei suoi eccidi.

Corrado Govoni e la morte del picchio rosso

Il paesedei Lucignolo

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nel 2013), ma gli introiti aumentano dicirca 5 milioni nello stesso periodo. Que-sto non è un buon segno: se indubbia-mente è cresciuta la capacità d'incasso(immaginiamo per la migliore perfor-mance dei bookshop, laboratori e altriservizi che 20 anni fa erano davvero sca-denti), evidentemente i musei non mi-gliorano la propria capacità di attrazionedi visitatori. Meglio fanno i monumentie le aree archeologiche, che nello stessoperiodo passano da 15 milioni di visita-tori a 19 milioni e da 25 milioni di eurodi incassi a 39. Aumentano anche i cir-cuiti museali che fino al 2000 non esiste-vano e che nel 2013 fanno segnare 8,7milioni di visitatori per 54 milioni di eurodi incassi. Dunque, nel complesso, i 38,2milioni di visitatori che nel 2013 sono en-trati in musei e aree archeologiche delloStato generano un flusso economico di126 milioni di euro. Il Ministero non for-nisce, purtroppo, i costi di esercizio diquesti istituti di cultura che sarebberodati decisivi (se credibili e corretti) pervalutare la sostenibilità dell'operazione diFranceschini: il bilancio entrate/uscite

C.com sabato 7 giugno 2014PECUNIA&CULTURA

Diversi suoi predecessori si eranolamentati delle scarse risorse de-dicate alla cultura e ai musei eavevano evocato questa solu-

zione, ma solo Franceschini fin qui hafatto il fatidico passo. Così il Ministro,convinto che i musei incassino più diquanto il Ministero dell'Economia rico-nosce effettivamente al MIBACT, hachiesto e ottenuto che gli incassi deimusei statali, invece di finire nel calde-rone indistinto dell'Economia, restino nelbilancio della Cultura. In una lettera del30 maggio scorso ai direttori dei musei,Franceschini chiarisce che è sua “fermaintenzione che tali introiti vengano inte-gralmente riassegnati a quelle struttureculturali che li hanno generati” e non soloper gli interventi di sicurezza e conserva-zione (spese di investimento), ma ancheper il funzionamento stesso dei musei(spesa corrente). É una sfida importantedi cui il Ministro si fa carico perché – sonosempre parole sue - “riconosce il valoreanche economico direttamente generatodall'offerta culturale dei siti museali, dellearee archeologiche, degli archivi e dellebiblioteche”. Noi non siamo pregiudizial-mente contrari a questa impostazione, alcontrario; purché siano chiari alcuni pre-supposti e si gestiscano in modo correttoqueste risorse. In primo luogo chiariamocosa si intende per “gestione manageriale”di questi istituti di cultura, cui France-schini fa esplicita menzione. Vuol dire in-tegrare nelle reti museali funzionicomuni, ai fini non solo di una razionaliz-zazione delle risorse, ma anche di politi-che culturali territoriali? Se la risposta èsì, questa per noi è gestione manageriale.Così come gestione manageriale è per noiuna integrazione dei musei e delle retimuseali con l’infrastruttura turistica (ra-zionalizzazione degli orari delle strutture,biglietti unici, integrazione con il sistemadei trasporti ecc.) e locale (ampliamentodell’offerta didattica, relazione con le as-sociazioni culturali del territorio, rap-porto diretto con i cittadini). Sono temiimportanti, che generano ricchezza sulterritorio a lungo termine, vivificano ilmuseo, lo potrebbero fare diventare uncentro culturale e non esclusivamenteespositivo. Non crediamo sia neanche ilcaso di parlare degli eventuali, effimeri in-troiti generati da affitti di sale a privati perfeste o marchette pubblicitarie. Piuttostosarebbe più interessante ragionare sui rap-porti che si potrebbero aprire tra il pub-blico e magnati privati (e nonsemplicemente sponsor) in seguito al De-creto “ArtBonus”, entrato in vigore ilprimo giugno. Torneremo su queste pa-gine sull'argomento. Ma ora cerchiamo di capire quale sia il si-gnificato economico di questa opera-zione promossa da Franceschini,partendo dai dati sui musei statali. Nel-l'anno 2013 i 135 musei statali aperti (cuisi aggiungono i 67 a ingresso gratuito)fanno segnare introiti per 32,597 milionidi euro per un totale di 10 milioni di visi-tatori. Nella serie storica dal 1996 al 2013è da notare che il numero dei visitatoriresta stabile (9,8 milioni nel 1996, 10,2

di Barbara Setti e Simone Silianitwitter @Barbara_Setti e [email protected]

I consigli di Emily D.SCAVEZZACOLLO

1)Invita la banalità a prendere il tè. Poieliminala. Mangia i pasticcini rimasti.2)Invita la lentezza di pensare a prendereil tè. Poi eliminala. Mangia la torta rima-sta.3)Invita la mediocrità a prendere il tè.Poi eliminala. Mangia i cioccolatini rima-sti.4)Non ti pesare.5) Hai bisogno di una mente attiva che tiascolti, non di un esausto.6) La vita non è una professione.7)Tieniti occupata, scrivi poesie, vai davuotoa vuoto senza fili, oppure brancola.8) Metti alla prova l’amore.9) Evita di accettare i premi di consola-

di Massimo [email protected]

gestito internamente al Ministero sarà fa-vorevole ai musei? Non sappiamo dirlo,ma non ci sfugge il senso della sfida: cosìil Ministero e i musei saranno stimolati(si spera) a essere più efficienti nellaspesa, ma anche più incentivati a gene-rare introiti. Purché lo si faccia in modocorretto e avendo sempre di mira la qua-lità culturale dell'offerta che, noi nesiamo convinti, può essere vincenteanche dal punto di vista economico. Epurché il Ministero sappia operare uncorretto meccanismo di riequilibrio in-terno fra i musei e i siti più visitati e re-munerativi e quelli che lo sono meno, mache non per questo non svolgono unafunzione culturale, talvolta anche più im-portante dei musei “blockbuster” troppospesso ridotti a macchinette macinasoldi. Infatti, se andiamo a vedere chi ge-nera introiti, il circuito Colosseo, ForoRomano e Palatino, da solo, nell’ultimotriennio, produce il 31,44% degli introitirispetto a tutti i musei statali. Segue Pom-pei con il 15,88%, molto lontani gli Uffizicol 7,41% e la Galleria dell’Accademiacon il 5,39%; tutto il complesso Pitti e

Boboli fanno il 4,04%, la Venaria Reale il3,62%, la Galleria Borghese di Roma il2,30%, Castel S.Angelo il 3,24%. Il resto,pari a 240 musei a pagamento, si sparti-scono dall’1,5% al 0,01%. È evidente cheoccorre un riequilibrio interno e certa-mente al Mibac ci stanno pensando. Manoi vogliamo qui evidenziare da unaparte il valore del concetto del museo dif-fuso – peculiarità e ricchezza tutta ita-liana -, che dunque va adeguatamentesupportato anche nei suoi punti econo-micamente più deboli (anzi forse soprat-tutto in quelli). Avrebbe ben poco senso,infatti, in una strategia di museo diffuso,continuare a premiare economicamentei musei di punta e lasciare alla morte perinedia quelli minori. Ma, dall'altra parte,deve essere cambiata radicalmente l'ideadel museo come gagliardetto che simette ogni Amministratore sul petto(perché tanto l'importante è l'inaugura-zione e un po' di buona stampa), senzapreoccuparsi di rafforzare la funzioneculturale e sociale di quel museo e diconsiderarne seriamente la sostenibilitàeconomica e la necessità culturale. Tal-volta è anche la comunità che vuole il suomuseo in modo compulsivo, quasi fosseuna bandierina da mettere su una car-tina, come valore identitario e ideale(quando va bene), anche se poi la stessacomunità, spesso, di quel museo unavolta inaugurato se ne dimentica. In que-sto senso, anche se non generano introiti,dobbiamo spezzare una lancia anche perl'importanza culturale di molti musei mi-nori, magari ad accesso gratuito, per laconoscenza del proprio territorio, in ter-mini soprattutto di didattica e crescitaculturale dei ragazzi delle scuole. Musei,dunque, al servizio del territorio, il cheimplica anche assolvere quella funzione,fondamentale per un turismo di qualitàe non di consumo, di alfabetizzazioneculturale per gli stranieri (turisti, stu-denti, professionisti) che possono svol-gere in stretto rapporto con bibliotechee archivi (tema, questo del rapporto framusei e biblioteche che varrebbe da soloun approfondimento).Franceschini ha aperto, non sappiamoquanto consapevolmente, una vera sfida,che ci fa sperare in una visione di nonbreve momento della politica.

zione.10) Interiorizza la tua passione. Analizzala fallacia affettiva.11) Se di notte sogni suggelli e sigilli,non ti preoccupare. E’ normale. Io sognotanti sugelli.12) E guardo gli uomini.E’ normale. Epenso: che bell’Orfico, che fisico Prag-matico, che tocco di Gnostico.13) Ti va di andare un pomeriggio in-sieme a prendere il tè? Parliamo un po’ dite, di me e di Minotauri.14) Ah…ho cambiato mail. Non più:Emily.Dickinson, @, affranta.com, maEmily.Dickinson @, differentedentro. com.15)Ciao, Pazienza ed estasi! Scrivimi!

Il bilanciodei bilanci

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICAMAESTRO

La Nuova Zelanda è un paese di cuisi parla e si legge molto poco. Negliultimi anni, però, l’Italia ha ospitatovarie iniziative per incrementare loscambio culturale ed economico frai due paesi. Molte di queste si sonosvolte proprio a Firenze: Maori inFlorence (2001), dedicata alla cul-tura indigena della Nuova Zelanda;la prima mostra europea dedicata al-l’architettura dell’arcipelago (2008);la prima esposizione del pittore PeteWheeler (2011-2012); il seminariosulle esperienze dei due paesi nelcampo della geotermia (2012).Forse molti non lo sanno, ma esisteun preciso legame storico fra la cittàdi Dante e il remoto arcipelago:nell’estate del 1944 Firenze fu libe-rata dal 28esimo battaglione del-l’esercito neozelandese, il cosiddettoMaori Battalion, interamente com-posto da indigeni polinesiani.È auspicabile che nei prossimi anniquesto scambio culturale includaanche la musica. Le condizioni cisono già: il principale promotore deirapporti fra i due paesi è un compo-sitore fiorentino, Claudio Teobal-delli, che sta intessendo una rete dirapporti con quelli neozelandesi.

Questo panorama comprende musi-cisti di notevole spessore.Uno di questi è John Psathas, checome si intuisce dal nome è di ori-gine greca. In Italia è ancora pococonosciuto, ma molti lo hanno giàascoltato in occasione delle Olim-piadi che si sono svolte ad Atene nel1992: una parte delle musiche ese-guite per l’occasione erano statescritte da lui.John Psathas è un musicista com-

pleto: suona, compone e insegnaalla New Zealand School of Music diWellington. Come strumentista pre-dilige le tastiere, alle quali affiancagli effetti elettronici e i metallofonidel gamelan indonesiano. Questi ul-timi vengono utilizzati da molti altrimusicisti neozelandesi, come JackBody e Gareth Farr. Raffinato e versatile, Psathas èmolto legato alle proprie radici elle-niche. Lo attesta fra l’altro il concerto perpiano, percussione e orchestra Viewfrom Olympus, dove si fondono coninfluenze jazz e minimaliste.Al tempo stesso, però, ha collabo-rato con musicisti di ogni tipo, dalrocker armeno-americano Serj Tan-kian a jazzisti prestigiosi come Mi-chael Brecker e Joshua Redman. Hascritto la colonna sonora di WhiteLies (Rattle, 2013), un film dove laregista Dana Rotberg descrive lalotta del governo neozelandese con-tro la medicina tradizionale maori.L’attenzione per le nuove tecnologielo ha portato a collaborare con loscrittore Salman Rushdie, per il

quale ha scritto il commento sonorodel racconto In the South, pubblicatoda Booktrack.Il suo CD più recente è Corybas. Thepiano chamber music of John Psathas(Atoll Records, 2014). La forma-zione di base è il trio dei New Zea-land Chamber Soloists, checomprende Katherine Austin(piano), Lara Hall (violino) e JamesTennant (violoncello). Nel Piano Quintet la libertà ritmicadel piano si fonde con l’armonia mi-nimalista degli archi. Il secondo mo-vimento contiene una trascrizionedi Stathis Koukoularis, figura cen-trale del folk ellenico. Helix, ispiratadagli studi sulla musica greca antica,si chiude con soluzioni armonichetratte dalla tarantella (il movimentosi intitola appunto Tarantismo). Il le-game con le radici elleniche emergenella struttura di Island Songs, doveil titolo sembra esprimere una pa-rentela ideale fra la Grecia e laNuova Zelanda, entrambe terre cir-condate dal mare. Tanto più che ilriferimento alle isole è una costantedei musicisti neozelandesi.

Un greco fra i Maori

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Avevo letto da qualche parte ladefinizione del quartieredella Défense come “la ver-sione di Parigi sul pianeta

Krypton”. Incuriosita (era da moltianni che non ci andavo) ho preso ilmetro agli Champs Elisées e in 11minuti mi sono trovata catapultata inun altro mondo. Il quartiere, untempo estrema periferia ad ovestdella città, con vecchie fabbrichesmesse, fattorie e addirittura una ba-raccopoli, cominciò a prendereforma nel 1958 con la nascita deiprimi grattacieli, tutti uguali e alti100 metri, adibiti a uffici e condo-mini. Nel corso degli anni, tra pe-riodi di crisi e riprese, la rigidità diquesto piano regolatore fu stravoltoe gli edifici di seconda e terza gene-razione hanno forme ardite moltodiverse tra loro e sono sempre piùalti fino a raggiungere 231 metri conla Tour First. L’ex periferia è oggi ilpiù grande polo direzionale di tuttaEuropa, con enormi centri commer-ciali, 110.000 metri quadrati di verdee 60 grandi sculture degli artisti con-temporanei più famosi come Caldere Mirò che si inseriscono con armo-nia nel paesaggio spaziale. Per avereun’esperienza da “pianeta Krypton”consiglierei da andare alla Défenseverso le 10 di un giorno feriale. Nonci sono macchine perché la vastazona è pedonale ma non ci sono per-sone per la strada. I grattacieli ospi-tano 150.000 impiegati e 30.000residenti ma le migliaia di finestredifferenti e tutte uguali sono sigillatee i vetri riflettenti non permettono divedere all’interno. Non ci sono ne-gozi. Attimi di angoscia e sentimentidi solitudine che cambiano di colpoappena entrati in uno dei centri com-merciali dove si è assaliti da una follainaspettata che entra e esce da negozie ristoranti di ogni genere. Un’espe-rienza estraneante. Ma siamo a Parigie quello che pian piano ho scopertoconoscendola sempre meglio e chenella sua costruzione, ampliamenti ecambiamenti anche quelli più avve-niristici è stata preservata attraversoi secoli una coerenza urbanistica,quasi “semantica” a dimostrazioneevidente dell’amore e del rispettoche questa città ha sempre suscitatonei francesi. Il Grande Arche che tro-neggia sull’area della Défense, volutoda Mitterand, realizzato dal daneseJohan Otto Van Spreckelsen e inau-gurato nel 1989 si trova al terminedell’Axe Historique, quella linea im-maginaria che collega diversi monu-menti e piazze di grande rilievostorico che parte dal Louvre conl’arco di trionfo di Carrousel, conti-nua con il grande viale in mezzo algiardino delle Tuileries, poi conplace della Concorde, gli ChampsElysees con il suo arco di trionfoEtoile, l’avenue de La grande Armèefino ad arrivare appunto al grandecubo di vetro e marmo bianco che

VISIONARIA

di Simonetta [email protected]

La coerenzadella Défense

con la sua posizione sopraelevata, incima ad una scalinata, e la sua grandeapertura centrale che inquadra soloil cielo assume la sua funzione se-mantica di chiudere magnificamente(per ora) la storia di questa superbacittà

a cura di Cristina [email protected]

Ovvia! “Irrenzi” ha fatto piazza pulita degli avversari con ilsuo Partito Democratico che è, ora e non si sa fino a quando,il primo partito nel panorama italiano e che, direi, perde ognitraccia di comunismo che gli residuava attaccata all’anima enello zoccolo duro delle radici. Allora mi permetto di sfode-rare la collezione di un oggetto oggi definibile d’epoca e che èstato per anni simbolo di militanza appassionata e di apparte-nenza convinta e disinteressata. Tessere del Partito Comuni-sta Italiano dal 1944 al 1989, l’anno successivo il Partitocambiò nome anche se, forse, non essenza ed organizzazionee si chiamò Partito Democratico di Sinistra. Mancano quelledal 1921 al 1925 introvabili, in epoca fascista non furonomolto di moda né le tessere né il Partito i cui militanti nonespatriati venivano spediti al Confino o in carcere, ripreseroad essere stampate verso la fine della guerra e della dittatura.Rossano, comunista nel profondo del cuore, rosso interna-mente e appassionatamente così come viola, le ha raccoltenegli anni, qualcuna l’ha comprata su ebay. Tutte insieme,piene di colorate bandiere rosse , falci e martelli, pugni alzati equalche Lenin fanno una bella figura, anche se assomiglianoun po’ ad un album Panini!

In alto a sinistraBIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Dalla collezione di Rossano

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ranno tutti al Pronto Soccorso del-l'Ospedale del Centro!). Gli fa pendantl'ironica “Voyage en Italie” dei Lilicub;canto di apertura “Bartali” con il suonaso in salita e le sue vittorie al Giro diFrancia, causa di grandi dolori per i Fran-cesi “che ancora si incazzano e le balleancora gli girano” come, ad imperituramemoria, Paolo Conte. Un simpatico econtraddittorio Montaigne, uscito final-mente dal maniero di famiglia, critica Fi-renze e la sua bistecca cotta senza lardoe, ahimè, servita senza salsa alcuna e si ri-crede sulla via del ritorno grazie allaenergia positiva che sprigiona la festa diSan Giovanni, alla dolcezza del melone

di Legnaia e soprattutto alle graziedelle signorine che eserci-tano, pare a modo, la più an-tica professione del mondo,almeno così suol dirsi. Deli-ziosa la lettura del pezzo del-l'Italo-Francese Cavanna chedescrive gli odori del negozio pari-gino di specialità italiane in cui ladomenica mattina il padre lo condu-ceva, sottintesa e dolcemente malin-conica la nostalgia dell'infanzia edell'affetto paterno ad essi legate. Si sco-pre che i Litfiba hanno avuto “inizio” aParigi, si ascolta come vero e proprioinno a questo tema “lo straniero” diMoustaki, ironici amori perduti conCapri,s'est fini! si sente tristemente “sif-fler le train” e immancabile l'universale estruggente Vie en rose. Impagabile l'ap-parizione di Gaia Nanni, bravissima enota attrice fiorentina, neopuerpera didue gemelli, che incarna Olga,bellissimapresenza in un caffè e che poi ci diverteraccontando vizi verbali notrani contrap-posti alla classe dei parigini.

SCENA&RETROSCENA

di Cristina [email protected]

Nei nostri anni la generosità è de-sueta, durare fatica, gratis, pergenerici altri proprio non è dif-fuso. Di solito è invalso l'uso del

do ut des, meglio se do poco e prendomolto,fregando anche un po' magari. IlCircolo Arci La Montanina di Monte-beni è eccezione assoluta che confermauna regola che, speriamo, da ferrea siavvii a diventare arrugginita. Come hogià raccontato è stata costruito da gio-vani di lì reduci della seconda guerra, suun terreno donato da un benefattore percostruirci una “casa del popolo”.Si inten-deva con questo termine un luogo ove lepersone potevano incontrarsi, socializ-zare, festeggiare, discutere, anche se orapare strano, di politica. Il Circolo risorgedal disuso di anni grazie a volontari chelo hanno risestemato, dotato di un Bar,di una Biblioteca, ora organizzano ceneed eventi: ballo,concerti, serate varia-mente culturali. Vi debutta, precedutoda cena, il tutto pochi euro, uno spetta-colo polimorfo, lettura, teatro, musica ecanto ideato e scritto da Piero Colombi,“Monsieur Le Professeur” come le sueallieve di Francese lo chiamano. “ Italianiin Francia e Francesi in Italia: un narra-tore e tre musicisti raccontano alcunestorie che s’intrecciano tra i due Paesi:un romanziere dell’800 in estasi dinanzialla bellezza della nostra città, uno scrit-tore che più di quattro secoli fa descriveuna Firenze che sembra di oggi, un figliodell’emigrazione che a Parigi assapora in-cantato gli odori di una bottega ita-liana… Storie di sogni ad occhi aperti,storie curiose, un po’ folli, storie piccanti

Italianiin FranciaFrancesiin Italia

Dopo le elezioni il consenso deve es-sere riformulato: esso può essere mi-surato anche con dati quantitativi cheidentificano la ricaduta delle scelte intermini economici: ad esempio la va-riazione che si determina nei redditie/o nella ricchezza individuale o na-zionale.Nell’attuazione del programma eletto-rale è utile seguire un approccio prag-matico che porti a scegliere sulla basedi progetti esecutivi che tenganoconto anche delle esternalità cosìcome si fa quando una impresa pre-para un business plan, ove non de-vono essere trascurate quelle negative.Ma occorre tener presente che ogniindividuo esprime una propria scala dipreferenze che si basano sul livello disoddisfazione legato a scelte che sonospesso "di valore" ovvero difficili damisurare.Quale sarebbe, dunque, l’aspettativa dicrescita del benessere individuale e diquello sociale che ciascuno di noi ago-gna?Secondo la teoria del benessere, oc-corre verificare la crescita del benes-sere collettivo, derivante dalle sceltepolitiche, seguendo il criterio di aggre-

RI-FLESSIONI

Benesseree

consenso

di Roberto [email protected]

gazione che deve essere quello datodalla somma dei benesseri individuali.Per l'economista Jeremy Bentham, fi-losofo e giurista inglese del ‘700, èsufficiente che la somma sia positiva,anche se all'aumento complessivo del-l'utilità corrispondono, per alcuni, si-tuazioni peggiori di quella dipartenza.Non la pensa così l’economista Vil-fredo Pareto quando, un secolo dopo,afferma che all’aumento del benesserecollettivo non deve corrispondere ilpeggioramento della posizione diqualcuno.Ecco perché in economia, e nellescienze sociali, si realizza una situa-zione di “ottimo o efficienza pare-tiana”, quando l'allocazione dellerisorse è tale che non è possibile ap-portare miglioramenti al sistema, cioènon si può migliorare la condizione diun soggetto senza peggiorare la condi-zione di un altro.Sicuramente in questo hanno credutogli elettori, nel momento del con-senso, ma sarà quello che crederannopoi, nell’essere amministrati?Tutti devono vivere in uno Stato delbenessere, (Welfare State), ovvero inquell’utopica situazione, coniata in In-ghilterra poco prima dell'inizio della

seconda guerra mondiale, che volevacontrapporre, allo Stato autoritarionazionalsocialista, la visione di una so-cietà libera, fondata sui diritti sociali. Pochi anni prima l’economista MaxWeber, uno dei padri fondatori dellostudio moderno della sociologia edella pubblica amministrazione, stu-dioso della divisione in classi, affer-mava che non esiste beneficioparetiano se lo Stato non è in grado diinfluenzare le opportunità di tutte leclassi sia per quanto riguarda il lavoro,il reddito, i consumi, e quindi la ric-chezza di ciascuno.Dunque, con l’espressione elettoraleciascuno di noi ha scelto il candidatoo il partito in grado di realizzare “perciascuno” un futuro migliore, ma af-finché la percezione del cambiamentosia avvertita dopo le elezioni, occor-rerà effettuare le valutazioni dettatedall’economia del benessere congrande energia.Qualche decennio fa, anche i più coltieconomisti e politici, si sarebbero im-maginati, come sarebbe stato veloce ilcambiamento che si sarebbe determi-nato nell’economia reale: ecco perchéè indispensabile che ognuno lo possa,oggi, percepire “velocemente e pare-tianamente”!

quanto basta o culinarie, Firenze e Parigisempre al centro, tra canzoni di viaggi af-fascinanti, di amori struggenti, di malin-conici abbandoni, sul filo dell’emozionee dell’ironia.” Questa la sintetica presen-tazione che ne fa l'ideatore, traduttore,lettore e narratore, gli arrangiamentimusicali sono di Tommaso Damianou,liaison con la Montanina,la voce bellis-sima, garbata e potente a un tempo, dalleaggraziate modulazioni e mille sfuma-ture è di Maria Teresa Leonetti, alla ta-

stiera Ma-nuela Lori. Le can-zoni scelte si attagliano allanarrazione e agli intrecci fra i duepopoli suggeriti dal testo. L'estatico scrit-tore è Stendhal, involontario “inventore”della sindrome di deliquio che dicesiprenda ai visitatori dell'”oversize” bellofiorentino, che dal suo malore in S.Crocedi fronte alle Itale Glorie ha preso nomea cura di una, nota anni fa, psichiatra fio-rentina. (Mai visto un caso, forse arrive-

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di Stefano [email protected]

ciò che ungiorno ci ser-virà e dimenti-care tutto il

resto, apriamo echiudiamo cassetti per quelle verità

che già conosciamo ma non accettiamo,misuriamo ante per l’ingombro cheostacola il nostro cammino mentre ilmistero ad ogni passo si allontana, sisposta e cambia di intensità, sempre ir-raggiungibile, sempre irrisolvibile.“In principio era il Verbo”, una parola,

ma una parola impronunciabile, eternoossimoro, estrema contraddizione dellanostra esistenza: per renderlo innocuoammansimmo anche Dio prendendocoscienza nello stesso istante dell’eroicafollia che compivamo!Secoli di precetti, formule, gerarchie,guerre e intimidazioni per sottomettereil mistero che giace in ognuno di noi, an-nunciando peccati e posizionando i pec-catori, acclamando virtù eperseguitando i virtuosi, mentre il mi-stero continuava a reclamare spazio e

voce, dando forma alle paure ed ascoltoai limiti, creando l’arte, parlando Poesia.La poesia come voce al mistero, quindi,perché mistero essa stessa. E, come ilmistero, costretta a condividerne il de-stino fatto di diffidenza e timore, dettatodal testardo tentativo di venire sezio-nata, umanizzata, catalogata. Poesia spe-rimentale, poesia lineare, poesiaermetica, poesia visiva, poesia sacra:nomi da apporre sulle costole ospitateda una libreria da dimenticare per nonfarsi rapire dal terrore di vedere la manoche trema e la voce che si spezza reci-tando ciò che la tua intelligenza non puòcapire. Per questo all’uomo è impor-tante lo studioso addetto alla cataloga-zione come il poeta, il folle che parlalingue sconosciute udibili solo dal cuoreed abita mondi inventati degni di esi-stere come questo in cui ci illudiamo dimuoverci. Dato che il mistero, come la poesia, restainviolabile e se tu ci costruirai intornocattedrali esso fuggirà dalla fessura chenon avevi previsto come tutto ciò che èvivo. La poesia vive e resterà viva finchévivrà l’ultimo uomo, vivificando il mi-stero.

LO STATO DELLA POESIA

di Matteo [email protected]

Siamo fragili creature lasciate dauna limitata intelligenza in balìadel mistero senza fornire al mo-mento risorse per non lasciarsi

sopraffare. Diventiamo così vittimedella paura e dell’ignoranza che, a diffe-renza dell’ignavia, è comunque consciadel vuoto che abita ed in esso si dibattecon rabbia, con violenza, con risenti-mento.In attesa che lo studio spieghi ilperché dell’accadersi del mi-stero, per domare il timore in-nanzi a ciò che per noi restaindomabile addomestichiamol’altro dando a tutto un nome per-ché un uomo sbranato da un leonefa comunque meno paura di unuomo sbranato da una innominatacreatura. Tutto è meno misterioso equindi meno terrorizzante se ha unnome, la lontanissima stella come ilmicrobo che ci infetta: inganniamo lastessa intelligenza catalogando, classi-ficando, riconducendo tutto ciò chesfugge alla tranquillità autoimposta dallanostra vulnerabilità ad una delle innu-merevoli ma sempre umane categorieche ci aiutano a mettere ordine dove or-dine non c’è.Come magazzinieri procediamo speditiriempiendo scaffali dove poter ritrovare

Il confine dei luoghiLUCE CATTURATA

Lo spirito di San Galgano

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di Michele [email protected]

MENÙ

L’orzo è un cereale rinfrescante, per cui èmaggiormente adatto al consumo pri-maverile - estivo.E’ un cereale nutriente e digeribile, dàtono all’organismo ed è molto beneficoper l’intestino. E’ particolarmente adattoai soggetti deboli, agli anziani e ai bam-bini, in convalescenza. E’ noto da sem-pre per la sua azione stimolante dellaproduzione di latte materno e per la suacapacità di favorire l’attività intellettuale.Dal punto di vista nutrizionale, l’orzomondo (o decorticato) si fa sicuramentepreferire rispetto all’orzo perlato, laforma raffinata che è depauperata diproteine, vitamine e minerali nonché dipreziosa fibra. L’orzo mondo è ricco dicarboidrati a basso indice glicemico(72%) e contiene un buon 10,5% diproteine. Il contenuto in lipidi è mode-sto (2,1%). Contiene interessanti quan-tità di fosforo e di potassio e fornisce unbuon apporto di vitamina PP, molto im-portante per l’apparato digerente, per laproduzione degli ormoni sessuali e perla salute dell’apparato cardiocircolatorio.Tra le proprietà riconosciute all’orzo ri-cordiamo l’azione nutriente e tonica, sti-molante dell’attività intellettuale,antinfiammatoria, regolatrice intestinale(emolliente e disinfettante; la mucilla-

gine d’orzo, in particolare, è molto utilein varie forme di colite). Come già ricor-dato, ha azione galattogena (stimola laproduzione di latte materno). E’ depura-tivo e drenante, aiuta a eliminare i rista-gni. Possiede anche un’azione sedativadella tosse.Zuppa di orzo e zuccaIngredienti per 4 persone:100 g di polpadi zucca, 150 g di orzo perlato, 200 g dilegumi misti ( ceci, fagioli cannellini efagioli borlotti ), 1 ciuffo di prezzemolo,1 carota, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, 4cucchiai di olio extravergine d’oliva, 1peperoncino, Sale.Preparazione: Mettete a bagno i legumi

per 12 ore in acqua fredda.Sgocciolateli e metteteli inuna casseruola con 2 litri ab-bondanti di acqua, portate abollore e cuocete per 2 oresenza salare l’acqua.Quando sono teneri spe-gnete il fuoco e salate leg-germente e tenete da parte.Durante la cottura dei le-gumi lessate a parte l’orzoper circa 1 ora, poi scolatelo.Tagliate a cubetti la zucca;tritate insieme una manciatadi foglie di prezzemolo con

la carota pelata, la cipolla sbucciata, il se-dano privato dei filamenti e lo spicchiod’aglio. In una casseruola scaldate 2 cucchiaid’olio, unite la zucca e stufatela con 2-3cucchiai d’acqua: lasciatela su fuoco mo-derato per circa 5 minuti finché sarà te-nera. Tenete da parte. In un’altracasseruola scaldate 2 cucchiai d’olio esoffriggetevi il battuto di verdure ap-pena preparato. Unite i legumi con laloro acqua di cottura, l’orzo precedente-mente cotto e infine la zucca. Portate abollore, cuocete altri 5 minuti, regolaredi sale e insaporite con il peperoncino.Servite questa zuppa ben calda.

Preferibile l’orzo mondo La storiadelle OfficineGalileo

L’APPUNTAMENTO

Allestita in occasione del 150° anniver-sario della fondazione di Officine Gali-leo, la mostra “Officine Galileo: 150anni di storia e tecnologia”al MuseoGalileo di Firenze fino al 7 settembre sipropone di tracciare la storia diun’azienda che ha avuto un forte im-patto sul tessuto sociale ed economicofiorentino, rivestendo inoltre un ruoloestremamente significativo per la sto-ria della scienza e della tecnologia a Fi-renze. L’esposizione, curata da PaoloBrenni, si articola in tre periodi crono-logici: dall’officina alla fabbrica (1863-1914); le guerre mondiali(1914-1945); dal secondo dopo-guerra a oggi (1945-2014).

di Ilaria [email protected] Città d’acqua Lucca Via San Leonardo

LUCE CATTURATA

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.com sabato 14 giugno 2014no80 PAG.15C.com sabato 7 giugno 2014HORROR VACUI

Disegni di PamTesti di Aldo Frangioni

Tanto tempo fa, o forse ieri, o forse oggi, meglio domani, uscii, esco, uscirò da un magmacaotico insieme ad altri piccoli uomini da sempre divorati da mostri mentali per entrare in

un cosmo ben organizzato per essere distrutto da persone normali.

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dry. Da questa conquista scimunitapaiono dipendere le sorti di moltevicende, d’una storia, di profili,d’una comunità silente ma patente.È un riconoscersi metaforico, nondefinito ma concreto, tutto fatto dirimandi sottintesi, sintesi virtualedei goffi abbracci e delle nervosepacche centellinate colá, nelmondo reale. Bolle nel frangentel’olio nel Metapadellone. Pare es-sere una questione di puntiglio. Sitratta alla fin fine sempre e solo dimettere una scarpa davanti all’altra,di non calpestare la mattonellanegli interstizi. Il maniacale assurtoal ruolo del dignitoso. L’impor-tante è avere quel cipiglio tagliente,utilizzare il sarcasmo corrosivo, ilnichilismo di riporto. Nella realtà

(quella di Facebook e quella dellamamma) è tutto un arrossire digote, di spasmi e tic dell’ultim’ora.L’uomo che mette pochi e misurati“mi piace” su facebook, di solito,confida nel metodo scientifico, èun materialista incallito e guarda almito con rigore filologico. Reagiscecon imbarazzo di fronte ai compli-menti e, quando ciò accade, sischermisce con autolesionistichebattute corrosive (ma sotto sotto èfelice come un bimbo quando gli sigratta il pancino). Il suo problemaè nella gestione degli affetti. Ro-manticamente potremmo dire cheegli non è in grado di tollerare laGioia, soprattutto quando questa siesprime in senso panico, in ma-niera irrelata. Ma ancor più - e quista il pericoloso avvitamento - eglimal regge le condivisioni dellagioia a livello settoriale, nellostesso ambito di categoria, nel set-tore di specializzazione lavorativo.Per un motivo alla fin fine banale:egli pensa di conoscere bene l’hu-mus, il terreno espressivo in cuiviene a disputarsi la partita dellavita (urlare con le mandibolechiuse, col pensiero: “Contegno,contegno, contegno!”) . Contem-pliamo dunque, una sorta di stoici-smo cazzone, figlio d’un medioevopoco fascinoso e tutt’altro cheoscuro, anzi, luminoso di pixel.Bolle nel frangente l’olio nel Meta-padellone.

Quelli chenonmettonoi mi piacesufacebook

LUCE CATTURATA

a cura di Aldo [email protected]

Nell’era del social network si defini-scono nuovi atteggiamenti e nuovemodalità comportamentali. Quelliche detesto maggiormente sono isoggetti che si sbottonano poco, chetengono un profilo fermo; gente chesi ritiene di polso, che utilizza face-book senza farsi condizionare più ditanto. Esserini che professano l’artedella coerenza nel paradossaleRegno degli Avatar. Del resto ancheuna polpetta potrebbe ricercare unaqualche via nella coscienza di sé. Laproprietà morfologica dell’EsserePolpetta, del Macinato Macho infriggitoria, è tutta fondata sull’impa-sto, ovvero sulle qualità peculiaridell’Io Polpetta. Un Io Polpetta sta-canovista - profilo “dry”, pochi fron-zoli, - di solito non dispensa “i like”che non siano ponderati e destinatiad altri Io Polpetta Stacanovisti,confratelli in tempra e solerti lavo-ratori (in genere dello spettacolo),a loro volta “minatori della crea-zione” (insomma, gente da: “pocheciance e badiamo al sodo”). Bollenel frangente l’olio nel Metapadel-lone. Sono forme di solidarietà tri-bali, grugniti e aggrottamenti dellefronti destinati al Dio Feticcio dellaCorazzatura Mandibolare (di solitoquesta tipologia indossa calzaturechiuse anche nella torrida estate). Ilmantenimento di una posizionerappresenta un must per il soggetti

Le Mura di Lucca negli scatti di Ni-cola Ughi. Fino al 29 giugno nellesale del Palazzo delle Esposizionidella Fondazione Banca del Monte

di Lucca (piazza San Martino, 7) “Aroundthe Wall - Lucca on Twincamera”, la mo-stra fotografica di Nicola Ughi, fotorepor-ter toscano conosciuto per i suoi lavori nelmondo dell’equitazione e per la sua ri-cerca sul paesaggio e le persone che lo abi-tano, che in questa occasione presenteràuna serie di immagini dedicate alle Muradi Lucca, ennesimo importante omaggioal loro Cinquecentenario. Gli scatti sono stati effettuati con Twin-camera®, un nuovo sistema di ripresa fo-tografica, da Ughi ideato e brevettato nel2013, che si compone di due macchinesincronizzate e che consente di realizzaregrandi foto panoramiche senza perdita didefinizione o distorsioni dell’immagine.Definito dal fotografo anche “banco ot-tico digitale panoramico”, Twincamera®risulta particolarmente efficace e sugge-stivo quando utilizzato per riprendere insimultanea folle o azioni.Dopo il master in fotoreportage alla Ka-verdash di Milano, Ughi ha iniziato la suaavventura nel professionismo dedican-dosi alla fotografia di ippodromi e cavalli,al ritratto ambientato, alla fotografia indu-striale, di paesaggio e di reportage. Hapubblicato quattro libri e si è aggiudicatonumerosi riconoscimenti importanti,

ed internazionali. Il sistema consente diottenere suggestive immagini di formatopanoramico così da rappresentare l’og-getto, nel caso le mura urbane, da unpunto di vista che si avvicina a quellodell’occhio umano: sorpresa dell’incon-tro felice tra abilità tecnica e afflato arti-stico.” “Le Mura sono così interpretatecon uno sguardo diverso non soltanto dalpunto di vista dell'innovazione tecnolo-gica: Nicola Ughi non cerca semplice-mente il monumento, la sua architetturao la sua storia, ma è soprattutto alla ri-cerca del Tempo, della sua manifesta-zione concreta e mutevole attraversol'alternarsi delle stagioni. Un tempo chedà una veste sempre nuova ad uno stessoluogo e che, dilatandosi all'infinito, si faprimo testimone della vita degli uominie della loro emozione di stare al mondo”,è il commento del critico d’arte MarcoPalamidessi, curatore della mostra.

di Francesco [email protected]

CATTIVISSIMO

Le Mura di Luccaper Nicola Ughi

come il terzo premio della sezione “Ad-vertizing – Calendars” nell'InternationalPhotography Awards (2009) e il secondopremio della sezione “People - Portraits”(2013), vinto con un ritratto di AndreaBocelli che tiene in braccio un puledrino.Nel settembre scorso ha vinto il primopremio della sezione “Memoria e litoralepisano” dell’XI Premio nazionale di nar-rativa e saggistica “Il delfino”, per il pro-getto editoriale “Tra Foce e Pineta”realizzato in occasione degli anniversaridelle città di Tirrenia e Marina di Pisa (80e 140 anni). La sua ricerca è infatti con-

centrata sul paesaggio e sul ritratto, comeespressione narrante del territorio che vaad esplorare. “Da anni impegnata nella promozionedell’arte contemporanea, la FondazioneBanca del Monte di Lucca ritorna nuova-mente alla fotografia, confermando l’im-portanza che merita nella rosa delle artivisive - spiega il presidente della Fonda-zione BML Alberto Del Carlo. Questamostra è un’anteprima mondiale per que-sta innovazione tecnologica, brevettata egià ampiamente celebrata da siti internetspecializzati e riviste di settore nazionali

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.com sabato 14 giugno 2014no80 PAG.17C.com sabato 7 giugno 2014KINO&VIDEO

di Fabrizio [email protected]

Quando si parla di culto della persona-lità il pensiero va immediatamente, ainostri tempi, a Kim Il-Sung; va dettoperò che anche i Lorena, nel loro pic-colo, non scherzavano: fra il ‘700 e l’800ogni nuova strada inaugurata, ogni operapubblica realizzata a Firenze doveva ri-chiamare l’augusta dinastia, anche conalcuni meschini stratagemmi: ad esem-pio la Via San Leopoldo (oggi Via Ca-vour), era formalmente intitolata a unsemi-sconosciuto (a Firenze) santo au-striaco ma ovviamente dedicata al gran-duca Leopoldo, così come la ViaSant’Anna, che prendeva il nome dallamadre di Maria, tramandava la memoriadi Maria Anna Carolina di Sassonia,prima moglie di "Canapone", morta ingiovane età.Su una cosa però i toponomastici lore-nesi non l’ebbero vinta: quando intitola-rono una nuova Piazza a Maria Antonia,moglie del granduca, si scontrarono conla tetragona cocciutaggine dei fiorentiniche quello slargo lo ribattezzarono im-

mediatamente “Piazza di Barbano”, inmemoria del signor Barbano, che colti-vava ortaggi nei pressi della Fortezza daBasso e che oggi dà il nome a una stradanei pressi. Si deve peraltro dire cheanche la successiva denominazione di“Piazza dell’Indipendenza” non ebbemiglior fortuna, tant’è vero che, fino anon moltissimi anni fa, i vecchi fioren-tini continuavano ostinatamente a chia-marla Piazza di Barbano.Gli astuti burocrati ripiegarono allora

sulle nuove Stazioni ferroviarie: il capoli-nea della Firenze-Livorno fu dedicato algranduca, che dava il nome anche allalinea ferroviaria (Stazione Leopolda eferrovia Leopolda, grossa semplifica-zione per gli orari), così come la consorteMaria Antonia diede il nome alla stazinee alla linea Firenze-Pistoia (poi prolun-gata a Lucca): essendo la granduchessadi genere femminile, non ci fu bisogno distorpiarne il nome come si era dovutofare per il di lei insigne marito. L’in-

cruenta rivoluzione del 1859 e la cacciatadei Lorena ebbero fra gli altri risultatil’immediata modifica del nome della sta-zione Maria Antonia che divenne “Cen-trale”, mentre, per ignoti motivi, laLeopolda mantenne la denominazioneoriginale, di recente assurta, per motividel tutto extra-ferroviari, alla notorietànazionale: Canapone, aduso a frequen-tare le corti europee, non avrebbe maiimmaginato di essere perpetuato nei se-coli grazie a un politico locale.Quando fu costruita la Maria Antonia, laconformazione urbanistica della zonaera profondamente diversa da oggi: laStazione era stata, per così dire, “inca-strata” nel tessuto urbano, utilizzando gliesigui spazi a disposizione. Gli edifici diVia Valfonda, prima delle demolizionidel 1933, si trovavano praticamente ad-dossati ai binari e il fronte della stazione,superato l’angolo di Via Nazionale, arri-vava quasi a toccare l’abside della basilicadi Santa Maria Novella, tanto che si do-vettero abbattere, per fare spazio, la co-siddetta “Cappella del Pellegrino” e lecappelle delle famiglie Brunelleschi, Al-fani e Alfieri.

Piazza della Stazione

Si chiamava Maria Antonia

di Francesco [email protected]

“Maleficent" è una de-liziosa fiaba, comeda tempo non se nevedevano al ci-

nema. Una sontuosa Angelina Jolie do-mina solennemente la scena. Il filmgravita tutto intorno al suo personaggioe questo è il senso dell'opera, improntache relega in un naturale secondo pianotutti gli altri protagonisti del racconto.Non è il remake de "La Bella Addor-mentata", come si legge, ma una nuovastoria, riscritta per celebrare il famosopersonaggio di Malefica. La critiche ne-gative al film sono quasi tutte impro-prie, perché partono dall'erratopresupposto d'una qualche presuntaaderenza con la favola. Nello splendoredi un 3D necessario, Stromberg realizzaun prodotto che visivamente lascia in-cantati (che il film sia stato realizzatocon gli scarti delle scenografie di "Ava-tar" segna un ulteriore punto a suo fa-vore), creando atmosfere surreali emagiche (il mondo di Brughiera),senza eccedere nell'umorismo manie-rato, marchio di fabbrica della casa Di-sney. Il tema è ovviamente quello dellamaternità, del senso di colpa, del tradi-mento, della sfida al Fato. I due mondiin lotta - quello della fantasia e della ma-teria, simboleggiata dal ferro, dallabrama di conquista, dalla guerra - ven-gono rappresentati, nella riscritturadella Woolverton, in chiave onirica,metaforica: siamo distanti insommadalle tremende battaglie del fantasy à laTolkien. Qui si vive, in buona sostanza,il dramma psicologico di Malefica, lasua stessa contraddizione d'essere laprotettrice di un mondo mitico ed alcontempo il ponte con l'altra realtàdegli umani, tramite il suo legame amo-roso con Stefano, futuro re e nemico. Il

tema dell'Inganno, della perfidia del-l'uomo, della sua sete di potere e dellasua brama di possesso, rende Maleficabuona e non perfida. Una affascinantefata dark. Cercare delle corrispondenzecon la fiaba di Perrault del 1697 alloscopo di evidenziarne lo stravolgi-mento è operazione priva di senso.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

Maleficentnon èla Bella Addormentata

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.com sabato 14 giugno 2014no80 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

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San Jose, California, 1972Questa immagine èstata scattata nel “backyard” dei miei suocerinel quartiere residen-ziale di Willow Glen.L’uomo è Nick Speno,un assicuratore, assiemea sua moglie Lois, unaparrucchiera per si-gnora. Due personegioviali e simpatichecolte in occasione delrituale pranzo di fami-glia a cui gli Speno, dabravi italiani, nonavrebbero mai saputorinunciare. Anche que-sta per me, abituato dasempre alla vita del fi-glio unico, è stataun’esperienza decisa-mente educativa e miha permesso di valutarei pro e i contro delle fa-miglie numerose abi-tuate a scambi continuie ricorrenti con tutte leimplicazioni delle fami-glie allargate. La “mise”dei due è decisamentecaliforniana di queglianni, così come l’ab-bronzatura, gli occhialiRay-Ban ed il sigaro.L’ondata salutista nonera ancora arrivata alambire questo angolodi paradiso!

Dall’archivio di M

aurizio Be

rlincion

i

[email protected]