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editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012 Minculpop de’ noartri Non potete cambiare il mondo, ma pote- te cambiare i fatti e quando cambiate i fatti cambiate i punti di vista. Se cambiate i punti di vista potete cambiare un voto Marco Stella “censore” della mostra di Tommaso Rossi a Palazzo Panciatichi N° 1 240 73 direttore simone siliani redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, sara nocentini, barbara setti progetto grafico emiliano bacci [email protected] [email protected] www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile Con la cultura non si mangia

Cultura Commestibile 173

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  • editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 FirenzeRegistrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012

    Minculpop de noartri

    Non potete cambiare il mondo, ma pote-te cambiare i fatti e quando cambiate i fatti cambiate i punti di vista. Se cambiate i punti di vista potete cambiare un voto

    Marco Stellacensore della mostra

    di Tommaso Rossia Palazzo Panciatichi

    N 1240

    73direttore

    simone silianiredazione

    gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, sara nocentini,

    barbara setti

    progetto graficoemiliano bacci

    [email protected] [email protected] www.facebook.com/cultura.commestibile

    Con la cultura non si mangia

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    Da nonsaltare

    Neanderthalensis) che aveva una tecnologia propria del Paleolitico Medio, con una popolazio-ne moderna (Homo Sapiens Sapiens) con una tecnologia del Paleolitico Superiore. Lo studio di questo processo di transizione avvincente perch integra dati e studiosi di una vasta gamma di discipline, dallarcheologia allan-tropologia fisica, da specialisti di datazione a genetisti.Intorno agli anni 1980 si riteneva in genere che i Neandertaliani si fossero evoluti nelluomo moder-no (o meglio nelluomo moderno europeo) e che il Paleolitico Supe-riore derivasse dalla cultura nean-dertaliana del Paleolitico Medio. Un orientamento opposto invece assumeva per luomo moderno una origine autonoma e una sostituzione delle popolazioni ar-caiche, Neandertaliani compresi, da immigrati di Homo S. Sapiens da unarea per allora sconosciuta. Questa teoria ottenne un ricono-scimento sostanziale e definitivo grazie al progresso degli studi

    nel campo della genetica e della datazione dei fossili e dei siti in Africa, Europa e Vicino Oriente. Nel 1987 fu presentato in modo estremamente convincente uno studio del DNA mitocondriale che dimostrava una origine afri-cana recente delluomo moderno. In seguito, questa prova genetica stata confermata da rinveni-menti fossili, che confermavano come gli Africani avessero un aspetto molto pi moderno dei Neandertaliani a loro contem-poranei. La datazione di due crani in Etiopia (Omo Kibish 1 e Herto) implicava che la morfo-logia delluomo moderno fosse emersa in Africa Orientale gi da 195 mila anni. ormai quindi generalmente riconosciuto che luomo moderno ebbe origine in Africa e poi si espanse nel Vicino Oriente e pi tardi in Europa: la cosiddetta teoria della migra-zione dellAfrica (Out-of-Africa hypotesis). Questa migrazione avviene nel Pleistocene Superiore ed stata alla base di una muta-

    zione neurale che ha portato allo sviluppo del cervello delluomo moderno. Lo prova il confronto del genoma umano moderno con quello neandertaliano.La scomparsa dei Neanderta-liani abitualmente spiegata in termini di superiorit delluomo moderno, che in Africa aveva sviluppato la capacit di evolvere tradizioni culturali complesse ed era diventato dotato di capacit cognitive che gli permettevano di espandersi a livello globale e sostituirsi quindi a tutti gli altri ominidi. La superiorit delluomo moderno, riscontrata in ritro-vamenti archeologici in Africa sub-sahariana e confrontati con quelli contemporanei in Europa, sarebbe: inventiva e capacit di innovazione; complesse abilit simboliche e linguistiche; pi efficienti strategie di caccia; sfruttamento di una pi ampia gamma di risorse, tra cui pian-te, anche acquatiche; utilizzo di strumenti con funzione di proiettile; trattamento termico di

    Luomo moderno, cio lHomo Sapiens Sapiens, ha preso il posto delluomo di Neandertal 40 mila anni fa. Poco prima di questo fondamentale momento di sostituzione, i Neandertal mostrano comporta-menti simili a quelli delluomo moderno arrivato in Europa, compreso lutilizzo di strumenti specializzati in osso, oggetti di ornamento del corpo e piccole lame. C un grande dibattito scientifico se questi comporta-menti moderni si siano sviluppati autonomamente o come risultato del contatto con luomo moder-no. Nel 2012, un articolo a cura di Marie Soressi presenta un tipo di strumento specializzato in osso rinvenuto in due siti francesi, scavati di recente e quindi con i metodi pi avanzati: Abri Peyrony e Pech-de-lAz I. Questo strumento ha stringenti confronti con il cosiddetto lisciatoio, ben conosciuto in Europa dal Paleo-litico Superiore, sempre associato allHomo S. Sapiens, utilizzato per trattare la pelle, renderla elastica, lucida e pi impermea-bile. Le micro tracce di usura sui reperti ritrovati dalla Soressi indi-cano anche per questi lisciatoi la medesima funzione, ma proven-gono da un contesto sicuramente neandertaliano, precedente a quella fase di coabitazione/sosti-tuzione di cui si parlava prima, e vengono cos a rappresentare gli strumenti in osso specializzati pi antichi ritrovati in Europa.Perch questo rinvenimento importante? Perch in quanto tali, o questi lisciatoi sono una dimostrazione di una invenzione autonoma da parte dei Nean-dertaliani, oppure una indica-zione che luomo moderno ha s influenzato i Neandertaliani europei, ma molto prima di quanto si ritenesse.La scomparsa dei Neandertalia-ni uno dei temi pi dibattuti sicuramente della paleoantropo-logia, ma pi in generale della preistoria. Costituisce, si pu dire, la componente biologica di un processo di cambiamento che avviene in Europa e nel Vicino Oriente tra circa 45 e 35 mila anni fa. Questo processo porta alla sostituzione di una popola-zione arcaica (lHomo Sapiens

    di BarBara Settitwitter @Barbara_Setti Almeno

    il 2% di noi Neandertal

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    materiale litico; realizzazione di impugnature in materiale litico; capacit di pianificazione, tra cui reti sociali su grande scala, come per il trasporto su grandi distanze di materiali grezzi; flessibilit am-bientale; capacit di memoria.Fino allo scorso ultimo decennio questo elenco era considera-to come una manifestazione esclusiva del Paleolitico Superiore occidentale. Un articolo pubblicato nel 2014 da Paola Villa e Wil Roebroe-ks rappresenta il primo studio sistematico sulla scomparsa dei Neandertaliani, attraverso lanalisi comparata di tutti i rinvenimenti archeologici neandertaliani e i contemporanei rinvenimenti delluomo moderno. Analizzando una imponente mole di dati sulla base degli elementi di superiori-t sopra descritti, la ricerca arriva alla conclusione che tutte le spie-gazioni basate sui rinvenimenti archeologici sono sbagliate, perch basate su molti meno dati di quanto siano a disposizione oggi e soprattutto sono in buona parte il risultato di una lunga tra-dizione orientata sulla dicotomia Neandertaliani uomo moderno. Per lutilizzo del lisciatoio, ne abbiamo parlato allinizio. Lo stesso discorso vale per oggetti di ornamento personale, lutilizzo dellocra o della manganese.Un nuovo, incredibile ritrova-mento, recentemente pubblicato su Nature, sembra fortemente confermare questa linea di ricerca.Nel sud-ovest della Francia, nella Grotta di Bruniquel, sono state rinvenute, scavate, analizzate e datate costruzioni circolari realiz-zate con stalagmiti spezzate inten-zionalmente dal suolo. Le analisi radiometriche delle strutture danno una datazione affidabile e ripetuta di 176,5 migliaia di anni: si tratta delle pi antiche costru-zioni conosciute, scientificamente datate, realizzate intenzionalmen-te. La loro presenza a circa 336 metri dallentrata della grotta indica che chi aveva realizzato queste strutture era in grado di controllare lambiente sotterra-neo, dato che pu essere conside-rato un considerevole passo verso la modernit. Loccupazione di contesti carsici in profondit non sembra essere mai avvenuta in Africa, se si escludono rifugi ed entrate di grotte con evidenza di presenza umana in Sud Africa,

    Il dibattito scientifico intornoal babbo delluomo modernoEtiopia e Magreb. Laccumulo di corpi umani a Sima de los Huesos in Spagna (0,35 milioni di anni) molto diverso dalle strutture di Bruniquel. In questo caso si tratta di struttu-re composte da stalagmiti intere e spezzate: due anulari (la pi grande di 6,7 x 4.5 metri, la pi piccola di 2,2 x 2,1), e quattro pi piccole di accumulo in cataste (diametro da 0,55 a 2,60 metri); due si trovano nel centro della costruzione anulare pi grande, le altre due sono allesterno. Complessivamente, sono stati utilizzati circa 400 pezzi, per una lunghezza totale di 112,4 metri e un peso medio di 2,2 tonnellate di calcite. La met degli elementi che compongono le strutture sono costituite dalla parte centrale delle stalagmiti (cio senza punta o radice) e pochissimi pezzi sono interi (circa il 5%). Le tracce la-sciate dalle stalagmiti divelte sono visibili vicino alle strutture. Gli autori della scoperta non hanno ancora una risposta sul significato di questo ritrovamen-to, in termini funzionali (rituale? utilizzo domestico? un semplice rifugio?), ma chiaro che la loro attribuzione ai Neandertaliani senza precedenti per due motivi: perch rivela lappropriazione di uno spazio carsico profon-do (comprendendo quindi un sistema di illuminazione) da una specie umana pre-moderna; per-

    ch si tratta di strutture elaborate, realizzate con centinaia di stalag-miti, in parte intenzionalmente spaccate, che sembrano essere state deliberatamente spostate e poste nella loro attuale posizione, associate alla presenza di numero-se zone volontariamente riscalda-te. Indice senza ombra di dubbio di gruppi di Neandertaliani con un livello di organizzazione sociale pi complesso di quanto precedentemente ipotizzato per questa specie di ominidi. Quindi, ancora una volta, o certi livelli di astrazione sono propri dei Nean-dertaliani, oppure i contatti tra neandertaliani e uomo moderno sono avvenuti molto prima di quanto si pensasse.Ma, alla fine, se i Neandertaliani non erano tecnologicamente e co-gnitivamente svantaggiati, perch non sono sopravvissuti?Nel 2010 un progetto di sequen-zionamento del DNA neander-taliano ha fornito chiare evidenze di incrocio (ibrido interspecifico) tra i Neandertaliani e luomo moderno, valutando che leredi-t neandertaliana compone circa tra l1 e il 4% del genoma delle popolazioni di uomo moderno fuori dallAfrica, ora ristretta tra l1,5 e il 2,1%. Il flusso genico tra Neandertaliani e luomo moder-no avvenuto tra 47 e 65 mila anni fa, soprattutto nel momento di incontro tra Neandertaliani e uomo moderno in Europa e nel

    Vicino Oriente, intorno a 50 mila anni fa. Il loro incrocio si pensa abbia aiutato luomo moderno ad adattarsi a un ambiente non africano, ma ha anche contribuito allo sviluppo di alleli (cio ciascu-no dei due o pi stati alternativi di un gene che occupano la stessa posizione su cromosomi omolo-ghi e che controllano variazioni dello stesso carattere) che non erano tollerati, contribuendo cos alla sterilit dellibrido maschile.Un altro studio recente ci dice che la diversit genetica mito-crondiale di 8 uomini europei moderni databili tra 38.000 e 4.500 anni da (da Kostienki 14 allUomo di Similaun) 1,5 volte pi elevata di quella di 5 Nean-dertaliani europei databili tra 38 e 70 mila anni fa. Anche lo studio del genoma dei Neandertal dei Monti Altai evidenzia una bassa diversit genetica. I Neanderta-liani, in sostanza, erano gruppi di popolazione di piccole dimensio-ni, che si mescolano solo tra loro, poco con gli altri. Molto proba-bilmente, quindi, questi piccoli gruppi di indigeni residenti sono stati assorbiti dalluomo moderno. Questo significa che i fonda-mentali cambiamenti culturali susseguenti allarrivo delluomo moderno, con conseguente scomparsa dei Neandertaliani, non sono dovuti tanto alla loro inferiorit cognitiva o tecnologi-ca, ma sono piuttosto il risultato di un processo complesso e pro-tratto nel tempo, che comprende fattori quali la bassa densit di popolazione, lincrocio tramite contatto culturale, la probabile sterilit dellibrido maschile e la contrazione della distribuzione geografica.Dopo 40 mila anni che significa alla fine soltanto 2.000 genera-zioni la frazione neandertaliana nel genoma delluomo moderno non africano continua a costituire una notevole eredit da parte di questi ominidi, diversi dalluomo moderno sia per corredo genetico (genotipo) sia per tutte le sue caratteristiche morfologiche, di sviluppo, biochimiche e fisiologi-che (fenotipo), ma che, dal punto di vista del dato archeologico, non mostrano differenze tali da sostenere il famigerato gap cogni-tivo con luomo moderno. Insomma, erano diversi, non inferiori.

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    Ma Mary, come si fa? LUnit non la comprano nemmeno i mi babbo e i tuo?! Volevo mandarlo a dirigere Topolino, ma Qui Quo e Qua mi hanno piantato una vertenza sindacale preventiva! Bisogna riprenderlo allUnit di crisi contro il rischio idrogeolo-gico!. La Pinotti prontamente indossa lelmetto e chiama i par della Folgore; Galletti chiama la Protezione Civile; la Lorenzin allerta gli ospedali; Gentiloni, per non saper n leggere n scrive-re, convoca gli ambasciatori di

    Ai tempi doro, quelli in cui faceva persino il ministro o il Presidente del Lazio, i camerati lo accoglieva-no alle adunate, pardon riunioni, urlando A France dicce quarcosa de destra! e lui rispondeva in modo assolutamente politically uncorrect come si addiceva a un missino popolare come lui. Lui ovviamente Francesco Storace, una volta gran protagonista dei tempi berlusconia-ni, ancora oggi capopopolo capace di influire sul prossimo voto comu-nale a Roma. Ma non di questo vorremmo parlare bens del fatto che mercoled primo giugno andato a sentenza il processo dappello per vilipendio al Presidente della Repubblica, odioso reato dopinione, in cui lex ministro coinvolto. Gi condannato in primo grado, Storace

    Al Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana giunta lora delle decisioni storiche. Il Presi-dente Renzi, con tono solenne, apre i lavori: Ragazzi, bisogna trovare una stanza per Erasmo DAngelis: torna a Palazzo Chigi. Si diffonde il panico fra i Ministri. La Boschi, che la pi coraggiosa, fra il contrariato e lo sfrontato, replica: Scusa Matteo, o non ce lo eravamo finalmente tolto dai piedi mandandolo allUnit? O che ci torna a fare qui, danni?. Renzi, che si sa subisce il fascino della Ministra delle Riforme, risponde senza la tradizionale sicumera:

    riunione

    difamiglia

    i Cugini engelS

    le Sorelle Marx

    Storace al Quirinale Piccola grande Italia

    Losservatore

    lo Zio di trotZky

    stato assolto per aver espresso un giudizio non piacevole verso lallora Presidente Napolitano nel 2008, che per non stato ritenuto lesivo della maest del presidente. La data e lora della sentenza tuttavia coincidevano con il tradizionale brindisi del Presidente Mattarella per i festeggiamenti del 2 giugno a cui il solerte ufficio del cerimoniale del Quirinale aveva invitato anche Storace stesso. Il quale, bisogna dire, non ha gradito molto linvito e la coincidenza e ha infatti com-mentato questa notizia su Radio Radicale esclamando e, ribaltando la domanda al suo intervistatore: ma secondo lei ce devo and? Che se mi assolvono brindiamo e se mi condannano litigamo? Ma le pare?. Dategli torto.

    natevi a Matteo Renzi. Venite a noi, o voi che dubitate: c posto (anzi, posti) per tutti, finan-che per me. Poi ha piazzato la bomba: Anchio lascer se dovesse vincere il no al referendum costi-tuzionale. Un atto di grande co-erenza personale e sicuramente di alto valore morale. Certo, perch noto che i cittadini di Porcari hanno eletto Baccini perch mo-dificasse la Costituzione e su un programma che si incentrava su questo! Cosa non si farebbe per un minuto di notoriet! E cos, ecco il nostro Baccini sfilare in corte a Roma il 2 giugno anniversario della Repubblica nella delega-zione di 400 sindaci dellAnci. Vi segnaliamo laltrimenti grigio sindaco di Porcari, certi di ve-derlo approdare a ben altri e pi elevati lidi della politica renziana perch, come cantava uno, e bomba e non bomba, arriveremo a Roma. A meno che, ad ottobre, il referendum bocciando ahinoi la riforma costituzionale, non ci liberi almeno di qualche bomba-rolo di periferia.

    C unItalia minore, destinata naturaliter alla marginalit, che avrebbe al pi avuto lambizione in tempi normali di svolgere una decorosa eppure fondamentale funzione di governo del territo-rio e della societ alla periferia del sistema. Ma non viviamo in tempi normali: il renzismo ha tutto ingigantito, amplificato; in particolare le parole, quelle le ha proprio esagerate, talch potremmo battezzare una nuova corrente politico-culturale: il bombismo. Insomma, se uno di Rignano ce lha fatta sparandola grossa, ciascuno pu emularlo e contare in un posto al sole. Cos questa Italia politica periferica si crede Italia felix. Ne campione tale Alberto Baccini, sindaco della ridente cittadina di Porcari in provincia di Lucca. La cittadina ha avuto un passato glorioso: fin dal 780 sede di signori longobar-di, sulla via Francigena chiamata dallArcivescovo di Canterbury Forcri, sede di un importante castello e luogo di nascita di Azzo da Porcari (architetto vissuto fra il XI e il XII secolo). Oggi molto ridimensionata, la cittadina viene riportata sugli scudi dal suo sindaco Baccini, ultr renziano. Nominato ambasciatore renziano della marca lucchese si pri-ma distinto come fine psicologo suggerendo agli inquieti politici del centro-destra lucchese (Fazzi, Fantozzi, Marchetti) la cura per le loro paturnie: seguite lesempio della ministra Giannini: avvici-

    BoBo

    Francia e Inghilterra; Poletti ne approfitta per addentare una pia-dina, la Madia per farsi i boccoli; Martina e Orlando approfittano del parapiglia per allenarsi con la Play Station in vista della sfida con Orfini. Uno solo, impassibile, vestito da scout, cerca di gua-dagnare, fischiettando, luscita: Dario Franceschini. Lesto e vigile, lo blocca Renzi: Oh rincoglionito, dove credi dandare vestito da sce-mo, con il binocolo e la macchina fotografica. Io? Caro Matteo, io ho scelto di non essere pi dentro

    le vicende politiche, mi sento quasi un osservatore. E osservo: ho fissato con Giuliano da Empoli dandare a fare birdwatching a Ostia. Ci si vede domani. Oh fringuello, vedi di fare poco il simpatico! Qui c da lavorare! Si sta per abbattere su di noi una sciagura e tu vai ad osservare uccelli? Te la do io la cultura! Datti da fare e difendi il tuo governo (che anche la tua pagnotta), piuttosto!. Va bene, Matteo: faccio il tiro al piccione. Anzi, a quel gufo spelacchiato e garrulo di Cuperlo. Lo abbatto subito, ma con stile ed eleganza giacch son Ministro della Cultura: Chi vota no, gli puzza il fiato!.

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    una necessit tecnica che deriva uno strumento linguistico, e gli obiettivi emisferici nascono allinizio degli anni Venti del Novecento per lo studio della lu-minosit della volta celeste. Diver-samente dai grandangolari classici gli obiettivi emisferici sono privi della correzione della distorsione ottica cos detta a barilotto, che viene pertanto prospetticamente accentuata. Inoltre, allo scopo di sfruttare lintera immagine rotonda prodotta dallobiettivo, essa viene inserita per intero nella cornice rettangolare del formato, anzich ritagliare la cornice del formato allinterno del cerchio dellimmagine, come accade invece normalmente. Alla fine degli anni Cinquanta gli obiettivi emisferici cominciano ad essere utilizzati anche nella fotografia generica, quasi sempre con finalit ludiche o spettacolari, generando delle immagini dal forte impatto visivo, ma che raramente trovano delle giustificazioni di tipo lingui-stico o narrativo. Nella fotografia emisferica solo le linee centrali, sia orizzontali che verticali, riman-gono dritte, mentre tutte le altre assumono una curvatura sempre

    maggiore allontanandosi dal cen-tro dellimmagine. Fotografando una serie di linee parallele lobiet-tivo emisferico fornisce limma-gine di un fascio di linee curve, come se le linee fossero disposte sulla superficie di una semisfera anzich su di un piano. Puntando lobiettivo emisferico verso la linea dellorizzonte, questa appare fortemente incurvata verso lalto rivolgendo la fotocamera verso il basso, e fortemente incurvata verso il basso rivolgendola verso lalto. Solo fotografando una sfera questa mantiene le sue propor-zioni corrette, mentre un cubo si deforma, incurvando i lati ed assumendo nelle riprese ravvici-nate laspetto simile a quello della sfera. Leffetto delle immagini ottenute con gli obiettivi emi-sferici esattamente quello delle immagini riflesse da uno specchio sferico o semisferico. Solo una sfe-ra si riflette in una sfera rimanen-do uguale ad una sfera. Nati per fotografare in maniera corretta linterno di una semisfera, quello costituito della volta celeste, gli obiettivi emisferici forniscono della realt tridimensionale una immagine deformata in base a

    delle precise regole fisiche ed ottiche, regole che vengono spesso confuse per una facile forma di creativit. Le immagini deformate dagli obiettivi emi-sferici possono essere di volta in volta fantasiose, oniriche, curiose ed inquietanti, talvolta perfino interessanti, e rappresentano uno degli esempi tipici di immagini metafotografiche. Negli anni che vanno dai Sessanta agli Ottanta i fotografi hanno usato ed abusato delle immagini emisferiche, con la complicit delle industrie ottiche che hanno messo sul mercato obiettivi emisferici di diverse lunghezze focali e luminosit, talvolta ingrandendo limmagine circolare per ritagliarvi dentro il pi comune formato rettangolare, riducendo lampiezza dellinqua-dratura, ma senza rinunciare ad un effetto emisferico evidente. Nonostante la iniziale esaltazione provocata dagli obiettivi emisferici si sia progressivamente stempera-ta, molte industrie mantengono ancora oggi in catalogo questi obiettivi, e molti fotografi conti-nuano ad abusarne, come di facili scorciatoie in mancanza di una vera maturit di linguaggio

    La metafotografia, come ogni metalinguaggio, parla di s prima che del mondo che descrive, e racconta quali sono i mezzi tecnici utilizzati dal foto-grafo per i suoi scopi espressivi, indipendentemente dal raggiun-gimento o meno di tali scopi. Questo accade ogni volta che il fotografo utilizza fotocamere, obiettivi, filtri o pellicole specia-li, ed oggi bisogna aggiungere allelenco anche i programmi di ripresa e di elaborazione digitale. Indipendentemente dal suppor-to utilizzato, fisico o digitale, lobiettivo fornisce comunque limmagine di partenza, e fra tutti gli obiettivi speciali, quello che maggiormente si presta ai giochi metalinguistici, quello cos det-to occhio di pesce o fisheye alla maniera degli americani, ma definito pi propriamente come obiettivo emisferico, dato che viene progettato per riprendere lintero campo di circa 180 gradi posto davanti alla fotocamera, cio quasi lesatta met dellintero possibile campo visivo sferico. Come succede quasi sempre, da

    di danilo [email protected]

    Fotografia emisferica

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    lirripetibilit dellopera darte: e che lessenza della stessa si ponga come presenza modificante in un modo che non necessita pi di rappresentazioni celebrati-ve ma di presenza. La nuova poetica firmata da Enrico Baj e Sergio Dangelo ridefiniva

    lidea di artista e di tela, come mutevolezza imprevedibile e presenza incontestabile, allin-terno delle conseguenze storiche della seconda guerra mondiale e degli effetti devastanti della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki: lArte divenne attimo

    gestuale, esplosione cromatica e vitale, nonch senso estremo del cambiamento, che cerca le pro-prie soluzioni nellimmaginario e non pi nel reale apparente. Nelluniverso artistico dellar-tista luomo si fa personaggio pulviscolare, presenza grottesca e fantascientifica, che sente su di s tutto il peso delle conseguenze storiche. La rappresentazione dellUomo viene essenzializzata nelle forme e valorizzata dalluso di materiali plastici che danno risalto alla presenza esistenziale ma, al tempo stesso, arricchisco-no la tela di una rinnovata vita-lit stilistica, priva di retoriche e colma di purezza espressiva.

    lo stileControdi laura [email protected] Baj, artista automo-no e isolato rispetto alle compagini estetiche del secondo dopoguerra, reag agli eventi catastrofici della seconda

    guerra mondiale e allesigenza di rinnovamento con un volon-tario disprezzo per liconicit tradizionale a cui contrappose una figurazione inconsueta: personaggi grotteschi, truculen-ti e leggendari dallalto valore materico, cromatico e composito divulgavano la lettura personale dei nuovi miti moderni, speri-mentando la volont di sfruttare diversi materiali pittori e plastici. Nel 1950 alla Galleria San Fedele di Milano venne allestita la mostra Pittura Nucleare e nel 1952 venne pubblicato il Mani-festo tecnico della Pittura Nuclea-re, con lintenzione di abbattere tutti gli ismi accademici e il proposito di reinventare la Pittu-ra, disintegrando le forme e fa-cendo coincidere la bellezza con la rappresentazione delluomo nucleare, poich lopera darte si configurava come un atto irripetibile: I Nucleari vogliono abbattere tutti gli ismi di una pittura che cade inevitabilmente nellaccademismo, qualunque sia la sua genesi. Essi vogliono e possono reinventare la Pittu-ra. Le forme si disintegrano: le nuove forme delluomo sono quelle delluniverso atomico. Le forze sono le cariche elettriche. La bellezza ideale non appartiene pi ad una casta di stupidi eroi, n ai robot. Ma coincide con la rappresentazione delluomo nucleare e del suo spazio. [...] La verit non vi appartiene: dentro latomo. La pittura nucleare documenta la ricerca di questa verit. Nel 1957 Enrico Baj firm un altro manifesto programmatico dal titolo Contro lo stile, opponendosi ad ogni forma di manierismo nellarte e affermando con forza ed energia lirripetibilit dellopera darte e la necessit di una tabula rasa, capace di dar vita a una rivo-luzione concettuale e pittorica senza precedenti: Tappezzieri o pittori: bisogna scegliere. Pittori di una divisione sempre nuova ed irripetibile, per i quali la tela ogni volta la scena mutevole di una imprevedibile comme-dia dellarte. Noi affermiamo

    Personaggio, 1968 Plastica

    cm 33x24Courtesy

    Collezione Carlo Palli,

    Prato

    Enrico Baj

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    gallese. Contiene 11 brani composti dalla cantante-piani-sta Lisa Jn Brown (testi) e dal marito, il chitarrista Martin Hoyland (musiche). Insieme

    a loro suonano Ali Byworth (batteria), Esyllt Glin Jones (arpa gallese, voce), Mirain Haf Roberts (voce, piano e dulci-mer) e Dan Swain (basso).

    Ho molto amato lultimo film di Pedro Almodovar, Julieta, un film che parla del dolore, del rapporto viscerale che investe gli amanti, le madri e le figlie, e di quanto poi questo dolore possa trasmigrare, mutare carsicamen-te, nutrendosi della speranza, del possesso, dellegoismo, della malattia. Tuttavia, ogni cosa, perfino la morte, pare essere un segnale, un ammonimento, un granello infinitesimale di senso che produce bellezza, sempre e comunque, come nello squar-cio paesaggistico del subitaneo, strepitoso finale. Tutta questa sofferenza, a tratti straziante, narrata come in contrappunto, nella delicata danza dei flashback, diretta con classe e toni da operetta, che cela il racconto intimo e sussurrato, scritto (tutto il film nella lettera di Julieta) con grafia sofferta ma decisa, la penna usata come stiletto, a scavare solchi nelle cicatrici, a riaprire ferite purulen-

    te, a liberare il sangue del sacro, della libagione mestruale che unisce nel fluido madri e figlie e si contrappone alla fallocratica, seminale ricerca di un senso. il lento inesorabile incedere del tempo che incide come un bisturi sui corpi, mentre passano

    gli anni e rimane lassenza, col-mata solo dalla follia della brama che acceca i cuori di madri, figli e amanti, nelleterno ciclo delle responsabilit che si tramutano in colpe, del divenire perenne, intenso, faticoso di cui non rimarr traccia, se non quella del

    profumo del nostro passaggio sulla Terra. Larchitettura anatomica di Julieta quella tipica di Almodovar, con i toni stilizzati della recitazione e lo splendore del fuoco delle immagini che pare incendiare ogni scena per colorarla di un ardore metafisico. I legami sono il leitmotiv del film, trame di fili invisibili che intersecano le vite soprattutto nei silenzi, nella solitudine delle case, nel decoro delle malattie, legami che intrecciano vite distanti e prossime senza unapparente logica, per orditi inconcepibili e quasi disumani che riconducono inevitabilmente ad unarmo-nizzazione dellassurdo, alla sublimazione di ogni dolore. La morte non d pace ma speranza, speranza in chi rimane a contemplarla: forse questo il messaggio intimo della pregevole opera di Almodovar.

    Il Galles, poco pi piccolo della Toscana, una re-gione sudoccidentale della Gran Bretagna. Fa parte del Regno Unito da quasi cinque secoli, ma ha conservato una di-versit culturale che si esprime anche nella sua lingua celtica. Oggi questo idioma viene usato da pochi, ma curiosamente con-ta circa 10.000 parlanti nella remota Patagonia argentina, dove esiste una comunit gallese radicata da molte generazioni. Al contrario, una delle forme artistiche dove questa lingua prospera indisturbata la musica. Nel 2015, per esempio, il Bbc Radio 2 Folk Award andato per la prima volta a un gruppo gallese, mentre in precedenza era stato conferito soltanto ad artisti ingledi, irlandesi o scozzesi.Il gruppo in questione 9bach, che ha pubblicato da poco Anian (Real World, 2016). Il cd conferma le impressioni favo-revoli suscitate dal precedente Tincian (Real World, 2014), del quale abbiamo parlato nel n. 91.Il titolo significa spirito in

    Il legame con la cultura gallese molto stretto: i brani sono tutti cantati in questa lingua.Llyn Du ispirata a unlibro di Caradog Prichard; Si Hwi Hwi una vecchia canzone gallese contro la schiavit; Heno un lamento sulla morte della cultura gallese, con parole del poeta Gerallt Lloyd Owen. Non mancano comunque toni balcanici, come in Cyfaddefa, che odora di rebetiko. La confezione contiene un altro cd, Yn dy lais/In Your Voice, con i brani del cd principale interpretati da alcuni musicisti, poeti e attori, fra i quali Peter Gabriel, Rhys Ifans e Maxine Peake.Questa una musica ricca e vitale che attinge alla tradizione gallese per proiettarla nel ven-tunesimo secolo. Un particolare molto significativo: le note del disco sono scritte in due lingue (inglese e gallese). Purtroppo, per, manca una versione ingle-se dei testi.Bilingue anche il loro sito (www.9bach.com). Dubitiamo che qualcuno dei nostri lettori conosca questa lingua celtica, ma crediamo che sottolineare la propria diversit culturale sia sempre positivo.

    Spirito gallese

    di aleSSandro [email protected]

    di FranCeSCo [email protected] La speranza oltre la morte

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    presa la nostra con Datemi un martello cantata da Rita Pavone. Poi foto di lui bambino, foto di famiglia, immagini da vecchi programmi televisivi. La scena era completata da un bel parco chitarre e un pianoforte. Aiutan-dosi proprio col filo rosso della propria storia, intrisa di storia della musica e storia sociale, Costello ha cantato le pi celebri canzoni del suo repertorio, co-minciando, accompagnato dalla

    chitarra, dalle pi vecchie, come Accidents will Happen, seguite da un gruppo di canzoni recenti e alternate con cover di celebri brani, come la bellissima She di Aznavour. Con i primi brani per sembrava che la serata non partisse, un canto azzardato al limite della tonalit, usualmente sostenuto dagli altri strumenti del gruppo, creava un suono poco armonico. Tutto cambia-to quando Costello si messo al

    piano e ha cantato Shipbuilding suo storico brano, critico verso la guerra delle Falklands dell82, che nellincisione discografica si fregiava dal caldo suono della tromba di Chet Baker. Un brano coinvolgente che ha riportato il musicista sui corretti toni e ha scaldato il pubblico. Le canzoni pi celebri le ha riservate ai bis, numerosi e calorosi. Allora Everyday I Write the Book, Watching the Detective, Alison, I Want You e Whats so Funny in Peace Love and Understending. Brani che il pubblico voleva sentire e che hanno infiammato latmosfera. Costello pareva molto contento e che gli dispiacesse abbandonare un pubblico come quello e Ali-son lha cantata addirittura senza microfono (e rende bene in un teatro allitaliana), avvicinandosi al proscenio, come per avvicinar-si allorecchio delle persona alle quali sta raccontando la propria storia, il bilancio di una carriera quarantennale.

    Elvis Costello, al secolo Declan Patrick MacManus, inglese di origine irlande-se, un grande musicista. Pur appartenendo fortemente alla scena inglese degli anni settanta/ottanta con sonorit del rock and roll strapazzato dal punk, ha da subito manifestato la capacit di scrivere ballate appassionate e canzoni dalle belle melodie ma mai convenzionali. Ha porta-to aventi in modo intelligente anche la sperimentazione che lo ha portato a collaborare con la musica colta, come, ad esempio, nel lavoro discografico con il mezzosoprano Anne Sofie von Otter, sviluppando al contempo il suo innegabile talento da cro-oner. Ha fatto progetti musicali con celebri musicisti scrivendo insieme a loro belle canzoni, come nel disco con Burt Bacha-rach o in quello registrato con Sir Paul McCartney.Una decina di anni fa fece tappa a Firenze dove trascorse una settimana fiorentina, nota nelle cronache di via de Macci, dove il critico musicale fiorentino Ernesto De Pascale lo accompa-gnava per sostare nei piacevoli bar fiorentini. In quelloccasio-ne anche il direttore di questo foglio e io lo incontrammo e la memoria in una foto di tutti e tre in via della Ninna. Il concer-to dellepoca era con il gruppo, gli Attractions, ed ebbe un inizio esplosivo di pezzi rocknroll per poi vedere lartista solo a cantare ballate e finire in un ritmo trasci-nante con il gruppo. Venerd, al teatro Verdi, Co-stello si presentato da solo. La scenografia era dominata da un grande televisore anni 50 che fungeva da monitor e, prima del suo ingresso, mostrava i video del nostro eroe negli anni ottanta. Lo spettacolo si orga-nizzava sullo sbobinare la vita e la carriera dellartista con lunghi racconti tra un brano e laltro sulla sua storia di musicista, gli incontri e le varie esperienze fino a mostrarci suo padre, musi-cista anche lui, in un vecchio video mentre cantava If I Had a Hammer, celebre brano di Pete Seeger dal contenuto politico, ridotto a successo commerciale anni dopo da vari musicisti, con versioni in altre lingue com-

    di daniele [email protected]

    Preparate lanatra insaporendo-ne linterno con un pizzico di sale e con un cucchiaio scarso di burro; spalmatela di burro anche esternamente e spargete un pizzico di sale. Mettete sul fuoco vivo un tegame gi imburrato. Quando il burro sar sciolto, ponetevi larancia e fatela rosolare legger-mente. Coprite quindi il tegame e mettetelo in forno a brasare lentamente a 160 C. Dopo circa 1 ora e mezza togliete lanatra dal tegame: la carne deve risultare leggermente rosata. Sgocciolate lanatra dal liquido di cottura (che metterete per da parte) e tenetela in caldo. Spelate unarancia con un coltellino molto affilato, in modo da ottenere delle listarelle di buccia lunghe circa 5 cm, ma facendo attenzione a non staccare la parte bianca della scorza. Sbollentate le bucce per 6 minuti, sgocciola-tele, fatele raffreddare e tagliatele in bastoncini finissimi nel senso

    della lunghezza; ne occorre una cucchiaiata abbondante; fate macerare i bastoncini per un paio dore ricoprendoli con il Grand Marnier. Con lo stesso coltellino affilato asportate la buccia delle altre due arance in modo che sia ben visibile la polpa senza la parte bianca interna alla scorza. Quindi ricavate da ogni arancia degli spic-chi tagliati a vivo, cio incidendo i singoli spicchi appena allinterno delle pelli di separazione, in modo che ne siano totalmente privi. Mettete sul fuoco il fondo di cot-tura dellanatra a calore piuttosto vivo e, mescolando, fatelo ridurre a 2/3 di volume. A questo punto aggiungetevi i bastoncini darancia

    e il Grand Marnier della marinata, diluito col succo di unarancia. Fate ridurre di met a calore vivace. Staccate le cosce e le zampe dellanatra, tagliatele in pezzi senza eliminare la pelle. Spellate il petto e ottenetene dei filetti. Disponete su un piatto da portata caldo i pezzi con la pelle, poi allineatevi sopra i filetti spellati. Ricoprite con la salsa ben calda e guarnite il tutto con gli spicchi darancia pelati a vivo.Ingredienti per 6 persone:1 anatra pulita ed eviscerata, di cir-ca 2 chilogrammi, 3 arance fresche e di scorza spessa; 100 g di burrosale e pepe q.b.; Mezzo bicchiere di Grand Marnier

    di MiChele [email protected]

    Anatra allarancia

    40 anni di Elvis (Costello)

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    Da anni nei locali del Consiglio Regionale (Palazzo Panciatichi) si organizzano mostre di pittura e scultura. Nel primo periodo della presidenza Nencini lidea aveva suscitato un certo interesse anche per la qualit degli artisti scelti: il primo fra questi era stato Igor Mitoraj. Col passare del tempo stato esposto un po di tutto, com-presa una vasta schiera di pittori della domenica svilendo lidea iniziale e la sacralit dello spazio istituzionale, tanto da domandarci se unattivit espositiva priva di qualsiasi indirizzo artistico, sia compito del Consiglio tanto per scimmiottare una galleria darte di secondordine spendendo fon-di a disposizione della Presidenza. Ma, a parte questa riflessione, vale la pena di far conoscere un vero e proprio intervento censorio a danno dellartista Tommaso Rossi che avrebbe dovuto presentare 6 lavori al secondo piano del palazzo

    a Cura della redaZione di CuCo Lo spirito artistico di Goebbels in Regione

    non sanno chi ). Ma le opere del cattelaniano Rossi, che si avvale per comporre i suoi lavori, come il grande maestro padovano, del famosissimo tassidermista Pier Giorgio Bani, non sono piaciute, pare, al vice-presidente del Con-siglio regionale Marco Stella di Forza Italia (molto noto, per le sue cravatte, agli studiosi del cattivo gusto) che insieme ai componenti della Lega (che riconoscono come vera arte solo quella celtica) hanno manifestato il loro disappunto allo staff del Presidente Giani per lesposizione di questa robaccia. Lo staff, ubbidiente, ha fatto prontamente rimuovere 3 delle 6 opere presentate. Non sappiamo se questi difensori della purezza della tradizione artistica occidentale hanno chiesto che i lavori di Tom-maso Rossi fossero anche bruciati nel cortile del palazzo a imitazione di Joseph Goebbels e delle sue campagne per distruggere le opere di entartete Kunst, la famigerata Arte degenerata.

    della Regione. Rossi un artista fiesolano, diplomato allAccademia di Firenze, pu essere inquadrato nella vasta corrente post-dadaista, concettuale nella scia di Maurizio Cattelan (uno degli artisti italiani pi famosi al mondo, linciso fra parentesi per informare alcuni consiglieri regionali che forse

    Le opere censurate e non esposte nella mostra

    La vicenda esistenziale che soggiace a questa storia condivisibile; di pi: largamente percorsa oggi. Sono le stazioni di unumanit che sempre pi di frequente cerca strade per riappropriarsi del tempo, ora che lo spazio del tutto colonizzato, compreso letere. Addio al lavoro logorante, addio a una metropoli verminosa, addio al pendolarismo sentimentale. Con i risparmi e con oculati investimenti si pu vivere con meno, e non di meno. Si pu vivere nel tempo. E il tempo, in questo libro, quanti-ficato fin dalla quarta di coperta: 913 km. 39 giorni di cammino lungo la via del Pellegrino, la via Francigena, dalla Val di Susa a Roma.Andrea, da storico camminatore per i sentieri del Nord Europa, prepara il suo viaggio con meticolosa precisione, da savio pellegrino. Durante la lettura del libro sono frequenti gli stop della narrazione che aprono digressioni sulla cura delle proprie scarpe, sulla-limentazione da seguire, su incredibili miraggi del pensiero e automatismi della parola che colgono la persona da sola.Andrea compie il viaggio da solo. fondamentale questa scelta in vista

    dellesito che il libro sortisce nel letto-re, che quello di un salutare lavacro. Sono abluzioni intermedie. La vita

    non cambia, le relazio-ni e le inquietudini non cambiano. Quello che si assume un balsamo per lenire ferite e acce-lerare ripartenze. un occhio esterrefatto (si veda la parte senese del cammino, continua-mente ammirata dagli acquerelli naturali che il paesaggio dolcemente disegna) che non si prende sul serio, che fin dalle prime righe

    annuncia il suo onesto scetticismo in materia di fede. la nostalgia che cammina; quella dei nostri padri, dei quali Andrea Vismara un figlio. Sono le lemon-soda di frequente bevute nei bar della sosta, sono quelle campagne italiane che attirarono gli sguardi di gente troppo impegnata a lavorare durante la settimana nelle grandi citt e che destinavano i loro momenti liberi (di nuovo il tempo) agli spazi liberi da impegni. Il tempo il vero protagonista di questo spazio. Tempo da dedicare alla cura della propria solitudine. Le giornate scandite dalle partenze aurorali per combattere il caldo, dagli animali totemici incontrati lungo la strada come ridefinizione delle pro-

    prie compagnie, dagli altri pellegrini intercettati e con i quali si adempie a un brano dellintero racconto che la via in s (ma soltanto se obbedisco-no a un movimento elastico e cio se si possono incontrare e lasciare per strada e di nuovo incontrare).Quanto vorremmo essere con An-drea, mentre percorre i saliscendi che spezzano il fiato, quando domanda il timbro sul libretto del Pellegrino, che chiede di essere vidimato dai preposti allazione (il parroco spessissimo). Quanto vorremmo avere la sua dieta di colazione abbondante, pranzo leggerissimo e cena da cristiani, per-ch questo significherebbe essere in cammino noi stessi e non soltanto questione di spazio, di libert geogra-fica (che pure importante), bens di tempo. Non sono i limiti del corpo quelli che impediscono la Francigena per ciascuno di noi, ma quelli del tempo. Gli orari dellufficio. I com-promessi indispensabili. Le rinunce. Se questo rimosso tossico e doloroso rimane fuori dalla pagina a prevalere limpressione di una persona che si liberata dalle costrizioni spesso au-to-inflitte e ha deciso di avanzare gior-no dopo giorno in maniera letterale. Questa Francigena allora si apre a una doppia lettura: quella di un divenire e quella di un momento presente, di scelte che in molti intraprendono, in nome di ci che il capitalismo avanza-to cerca di rubarci: il tempo.

    C unespressione abusata che dichiara di aver rincontrato un vecchio amico in occasione della lettura di un libro. la formula magica che nasconde laleatoriet della lettura, lincontro imprevisto e dunque benedetto dalleventualit del caso. quanto accade durante la lettura de La mia Francigena di Andrea Vismara. Il libro lassunzione in prima perso-na di una voce che si spiega in senso letterale: nel cammino che essa trova la sua costruzione. Naturale che il pensiero vada ad altri celebri scrittori di viaggio, ma i tempi sono mutati.E soprattutto mutata la sostanza del racconto. L (vedi Chatwin o Paul Theroux) era laltrove, un desiderio traslato, una realt in fuga da se stessa il riconoscimento lacaniano di questessenza dellerrare a occupare la scena. In questa personale Francige-na, invece, di nuovo un antropocen-trismo a dominare la narrazione.Un vecchio amico, appunto. Luo-mo. La prosa di Vismara lineare, limpida; come lui stesso scherza nel prologo non fatta per essere presa sul serio. un taccuino di viaggio appena ripensato alla luce del ritorno. Infatti questo libro nasce come rielaborazione di un primissimo blog aggiornato tappa dopo tappa, giorno dopo giorno.

    di Filippo [email protected]

    Il lavacro del cammino

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    Minerario dellElba. Il lavoro di ricerca e il coin-volgimento della popolazione al Parco minerario dellElba os-serva Pratesi ci ha consentito di rivisitare il territorio in mol-teplici dimensioni: lemergenza naturalistica, la storia econo-mica e sociale. Particolarmente preziosa stata la collaborazione dei residenti per riscoprire antiche tecniche di lavorazio-ne, percorsi sotterranei e una sorta di galleria scuola dove i minatori venivano addestrati prima di scendere a maggiori profondit.Nei musei spesso le opere, ci

    che viene conservato appare decontestualizzato. Compito del museo ristabilire un rapporto con il territorio in modo che il museo possa arricchire la popolazione riproponendole il suo passato con diverse chiavi di lettura e questa possa contri-buire a elaborare, diffondere e condividere i valori, le storie e le collezioni che vengono racchiu-se nel museo.A questo fine la collaborazione dei piccoli cittadini secondo il direttore estremamente preziosa.I bambini sono curiosi e spesso ancora liberi da molti condi-zionamenti della societ. Per

    questo sono capaci di interro-gare persone e luoghi in modo profondo. Non solo, i piccoli hanno una grande forza di con-taminazione. Quando tornano a casa raccontano la loro esperien-za, stimolano domande, discus-sioni, riflessioni e diventano a loro volta formatori di cultura e sensibilit per lambiente. In molti casi, i bambini tornano al museo portando la famiglia, con il desiderio di condividere ci che hanno appreso. In un certo senso, magari inconsciamente, avvertono di aver acquisito una sensibilit che non trovano fuori da quel contesto e vogliono condividerla, disseminarla.Bambini e bambine visitano spesso i musei in gita scola-stica, che resta un momento importante di apprendimento, in molti casi lunico accessibile. Per il periodo estivo il Museo di Storia Naturale, in collabo-razione con il Museo Galileo e il Museo Leonardiano di Vinci offre unampia scelta di settima-ne educative (generalmente noti come centri estivi) per bambini in et scolare, utile per avvici-narsi giocando al patrimonio conservato nelle varie sezioni del Museo e sviluppare nuove curiosit.Per maggiori informazioni www.msn.unifi.it/event/sa-ve-the-weeks/

    Con questo articolo, Sara No-centini, gia assessore alla cultura della Regione Toscana, entra a far parte della redazione di Cultura Commestibile

    Negli ultimi anni, anche grazie allimpegno e allat-tivismo di alcuni storici dellarte, non sono mancati mo-menti di discussione e appro-fondimento circa il significato e lattuazione dellarticolo 9 della Costituzione italiana che, con due frasi molto asciutte conse-gna a tutti noi il diritto-dovere di costruire una cittadinanza piena intorno al nostro patri-monio culturale e paesaggistico.Non si tratta di un compito di chiara definizione: in quale rap-porto si pongono la promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca, con la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione? In quali forme, con quali modalit, con quali priorit si pu costruire senso ed azione intorno allarticolo 9?Abbiamo chiesto al direttore del Museo di Storia Naturale di Firenze, Giovanni Pratesi, quale sia oggi la filosofia che ispira lazione quotidiana e le prospet-tive di investimento di uno dei primi musei aperti al pubblico in Europa, oggi gestito diret-tamente dallUniversit degli Studi di Firenze, e suddiviso in otto sezioni, tra cui le pi note sono certamente zoologia (La Specola), lOrto Botanico e Paleontologia.Accanto ad unattenta opera di conservazione e tutela del patrimonio spiega Pratesi - il museo si impegna su due diret-trici che ritiene centrali per la propria attivit: un forte legame con il territorio e una ricca offerta formativa/educativa.Il Museo di Storia Naturale stato individuato nel 2014 dalla Regione Toscana come capofila per la costituzione di una rete museale tematica legata ai musei della scienza della Toscana, insieme al Museo Galileo di Firenze e al Museo Leonardiano di Vinci, con lobiettivo di svi-luppare investimenti e progetti in modo coordinato. Il Museo di Storia Naturale contribuisce inoltre alla gestione o alle atti-vit di altri musei e luoghi della conservazione, tra cui il Parco

    di Sara [email protected]

    Unestate al museo

    Repubblica rilasciata in occasio-ne della querelle con Pizzarotti: - Per il Movimento 5 Stelle lin-transigenza un valore - salvo poi affermare tre giorni dopo in TV che: - la flessibilit impor-tante -. Poich tutti i dizionari accostano, giustamente, lintran-sigenza con lintolleranza non si comprende con quale faccia un intransigente dichiarato come lon. Di Battista possa usufruire di una piattaforma gestionale che si richiama ad un filosofo che ha fatto della tolleranza la sua prima bandiera. I casi possono essere solo due: o la piattaforma Rous-seau una bella bufala atta ad attirare frotte di ingenui cittadini che sono convinti di influenza-re decisioni prese da due o tre persone oppure la faccia dellon. Di Battista stata fortemente

    manipolata da un tardo allievo di Benvenuto Cellini. Autore-voli commentatori politici sono dellavviso che entrambe le ipotesi corrispondano al vero e che lon. Di Battista e Matteo Salvini si siano messi daccordo per distruggere definitivamente le antiche radici culturali della civilt occidentale. Adesso che le Unioni Civili sono diventate legge della Repubblica i due po-trebbero anche fare coppia fissa, sposarsi e chiss se un giorno (la scienza non ha confini) potreb-bero anche fare un figlio insieme: ve lo immaginate Di Battista col pancione a braccetto di Matteo Salvini che grida - Passeggini di ghisa!!! - Con due genitori cos per noi sarebbe scontato apostro-fare il bambino con una antica esclamazione: - Povera Stella!!!!!

    di Sergio [email protected] la mancanza di cultura e la troppa approssimazione fanno si che alcune persone ed even-tuali organizzazioni che a loro si rifanno commettano dei gravi errori che rivelano allattento lettore la loro assoluta incoeren-za. In particolare il Movimento 5 Stelle si insistentemente distinto nellesternare la propria essenza con i fatti accaduti nelle ultime settimane.Il primo fatto riguarda la messa in funzione di Rousseau il nuovo sistema informatico che gestisce tutte le iniziative del M5S e coordina tutte le attivit del movimento; la piattaforma Rousseau, pur intitolata ad uno dei princi-pi della tolleranza, risulta un sistema chiuso e controllato da pochissime persone. Il secondo fatto prende in esame quanto sostenuto dallon. Di Battista in una recente intervista a La

    Piattaforma Rousseau

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    senso delloperazione che George B.Kaiser ha voluto compiere con questa acquisizione. Larchivio di Dylan sar posto accanto ad una rara copia della Dichiarazione dIndipendenza, una collezione di arte di nativi americani e, soprattutto, allarchivio di Woody Guthrie. Kaiser non solo un appassionato di Dylan (suo coetaneo, ha frequentato Harvard quando Joan Baez suonava l), ma dice di aver fatto questo investi-mento su un archivio (sic!) per rivitalizzare Tulsa: Portland non

    sempre stata cool; Seattle non sempre stata cool. Uno dei modi attraverso i quali pu essere resa cool una citt quello di attrarvi giovani di talento e sperare che un certo numero di essi vi riman-ga. Non ci si pu credere: in America qualcuno pensa che un archivio possa rendere attraente e moderna una citt?! Ma questo sarebbe un fenomeno anche in Italia, figuriamoci negli States! Peraltro quello del rapporto fra archivi storici e rock n roll un tema importante e lo sarebbe

    anche in Italia se non conce-pissimo gli archivi degni di tale nome solo quelli che al massimo arrivano ai primi del Novecento e comunque non certo quelli della musica popolare. Rischiamo, in Italia, di veder andare perduti pezzi di storia della nostra cultura e anche della nostra letteratura e quei pochi che ad oggi degniamo di attenzione (ad esempio quello di De Andr che, almeno, custodito in parte allUniversit di Siena) sono considerati cultura minore. Ecco, in America questo tema inizia invece a trovare la giusta attenzione e molti dei mu-sicisti pi storici (da Springste-en a Neil Young) e i loro agenti sono interrogati dalla discon-nessione esistente fra la necessit di archivisti professionisti e la cultura del rock degli anni 60. Ebbene questo sarebbe un grande tema per gli archivisti e per i musicisti, produttori discografici e gli organizzatori di festival e concerti italiani, senza attendere che gli artisti passino a miglior vita e il patrimonio di carte, video e registrazioni si disperda.

    Disegno di Lido Contemori Didascalia di Aldo Frangioni

    Il migliore dei Lidi possibili

    Mediumsaracinesca

    di lido [email protected]

    appena trascorso il 75 compleanno di Bob Dylan e lui lo ha festeggiato con luscita del suo 37 album in stu-dio, Fallen Angels, che come il precedente Shadows in the Ni-ght, comprende solo cover delle canzoni che nella prima met del Novecento avevano animato Tin Pan Alley la zona di Manhattan che dominava la scena della musica popolare americana (da cui provenivano le canzoni di Frank Sinatra, Bing Crosby, ecc.). Dylan guidava, negli anni 60, una generazione di musicisti che si poneva come lantitesi a Tin Pan Alley: in una introduzione a Bob Dylans Blues, il menestrello di Duluth ebbe a dire che questa canzone non nasceva come tutte le canzoni che vanno per la maggiore a Tin Pan Alley, bens in qualche posto in giro negli Stati Uniti. Va bene, Dylan ci ha stupiti, come ama fare, tornando a quella scena che aveva avversa-to; ci dice che pu cantare quelle canzoni con un ambiente com-pletamente diverso e che anche l cerano alcune delle radici della musica popolare americana che ha portato fino a lui. Perfetto, Bob; per ora abbiamo capito, anche basta. Voglio dire che Me-lancholy Mood una bellissima canzone anche se a cantarla la tua voce graffiante e non quella armoniosa di Frank Sinatra; lalbum contiene anche qualche preziosit come On a Little Street in Singapore o Skylark; per ora, se possibile, torniamo a fare un po di musica!Allora, per non farsi intristi-re troppo, sempre in materia dylaniana andiamo allannuncio della destinazione dellimmenso archivio di Bob, acquistato per una cifra fra i 15 e i 20 milioni di dollari dalla Fondazione della Ge-orge Kaiser Family e dallUniver-sit di Tulsa, Oklahoma e che, nel giro di due anni, sar catalogato, digitalizzato e reso fruibile per studiosi e cultori della materia. Le anticipazioni ci dicono che esso contiene importantissimo materiale che potr cambiare molte delle conoscenze su questo autore su cui si scrivono tesi di laurea, volumi di letteratura e finanche citazioni nelle sentenze della Corte Suprema. Ma qui vorrei limitarmi a segnalare il

    di SiMone [email protected]

    Un archivio per Dylan

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    Si aspettava lilluminarsi di un nuovo scenario ma il buio continuava ad annichilire tutto il resto. Solo una piccola luce, in lontananza, attir la sua attenzione. Mentre ancora si domandava se sarebbe riuscito a muoversi o se era meglio non fidarsi, fu la luce stessa a dargli la netta sensazione che si stesse diri-gendo verso di lui: non si ingran-diva n intensificava, semplice-mente avanzava, viandante munito di lucerna in mezzo alla nebbia.Ma certo non fu una lanterna ci che si trovo davanti, bens una lampada a gas poggiata su una scrivania illuminando la sua superficie, le colonne di libri erette un po dappertutto ed un uomo chino, intento a scrivere su fogli sparsi con una penna a china, che gli mostrava le spalle rannicchiate.Sfoggiava vestiti daltri tempi e sembrava per niente disposto ad alzare la testa dal suo estenuante lavoro. La mano correva libera

    sulla pagina, tracciando le tonde linee di chi ha lavorato molto sulla forma oltre che sulla sostanza, gli occhi ne seguivano agitati i movi-menti, in affanno per star dietro a quellirrefrenabile flusso.Il ragazzo decise che era arrivato il momento di provare a compiere il primo passo in quella nuova situazione e lo fece coprendo la distanza che lo separava dalle spalle delluomo per riuscire a sbirciare al di l. Sapeva che si sarebbe trovato a leggere versi ma doveva per forza sincerarsi del fatto che non stesse riempiendo cartelle su cartelle senza dedicare al bianco limportanza che la poesia concede.Non sempre i miei alleati si ritro-vano succubi della propria vena poetica; a volte riescono ad domarla, con studio e riflessione, in modo

    da cercare di fissare nero su bianco il complicato e sfuggente pensie-ro che domina la loro mente. La nuova intrusione della sua guida lo sorprese proprio mentre stava spiando lo scrivano facendolo sobbalzare neanche fosse stato beccato con le mani nella marmel-lata! R. M. Rilke ha toccato molte delle correnti letterarie e filosofiche a lui contemporanee frequentando i migliori salotti dEuropa, riuscendo a sfoggiare, allo stesso tempo, una notevole personalit ed una sapienza ragguardevole, ma ci che egli capar-biamente cercava, scavando in ogni pagina, era di colmare labisso tra il reale inconoscibile e le nominazioni che ci inventiamo per non perdervisi del tutto. Ci che ha fatto unico ed stato per la bellezza un grande salto in avanti.Discretamente, comeera venuta,

    la voce nella sua testa se ne and, dandogli la possibilit di afferrare le parole di quella manciata di versi.Qui il tempo del dicibile, qui la sua casa.Parla e riconosci. Pi che mai precipitano le cose, quelle esperite, perch un fare senza immagine che le sostituisce una volta svanite.Un agire sotto le croste, che presto sinfrangono, quandodentro si dispiega lagire e si pone nuovi limiti.Tra martelli esiste il nostro cuoreCome la lingua tra i denti, che purerimane predisposta allelogio.Se ne distacc appena in tempo per vedere che la luce si stava sciogliendo in un tramonto.

    (continua)

    Conoscete Venezia? Siete mai stati presi dalla magia della luce e dellacqua, che si appoggia alle antiche pietre di mare e ti cattura lo sguardo, mentre ti perdi in un tempo che vorresti si fermasse per fissare in te tutta quella bellezza? Bisogna per alzarsi presto al mattino, attraversare le calli che si snodano dietro i percorsi turistici, scavalcare piccoli canali serpiginosi che rimangono chiusi tra le case incombenti, come il tuo sguardo che cerca invano di allungarsi a scoprire altre meraviglie. In quei momenti, prima che i negozi ria-prano e le vie si animino del flusso incessante e soffocante dei turisti, il silenzio ti avvolge e puoi quasi pensare che la notte si sia porta-to via tutto quello che animava la citt poche ore prima. E se il sole splende, sollevatosi da poco dallorizzonte dopo una notte di temporali e dacqua, allora la luce speciale, quasi liquida; si insinua in ogni varco e riempie pian piano i campielli e le calli, rubando spazio allombra dei palazzi. I rari pas-santi che incontri, se non vanno frettolosamente al lavoro, forse abituati a quello straniamento, sono turisti con la stessa aria un po persa e affascinata dallincredibile

    bellezza del quadro cui partecipa-no. Quando arrivi sulla laguna, sbucando da un vicolo che si fa sempre pi stretto, fino ad aprirsi alla luce del mare sotto il colonna-to di una chiesa seicentesca, quasi non riesci a contenere lo splendore che ti coglie improvviso. Lorizzon-te di case, di chiese, di barche e di acqua si compone in un equilibrio surreale, che fai fatica ad accoglie-re, e allora ti abbandoni a quel pieno, sperando di non perdere nulla. Ma hai fretta, devi attra-versare la laguna da San Marco con lultimo vaporetto, prima del blocco previsto per lasciare spazio

    alla regata, e arrivare al Tronchetto, dove con gli altri dellequipaggio ci imbarchiamo per la Vogalonga. Il nostro un equipaggio un po speciale, composto di venti validi vogatori dannata, donne e uomini, et media 60 anni con qualche punta allins: partecipiamo a que-sta 42 Vogalonga per confermare la nostra preparazione in vista delle scadenze agonistiche della stagione, ma soprattutto per vivere e rivivere, come per tanti che da pi anni non perdono questevento, questa esperienza speciale, di vedere Ve-nezia, la laguna, le isole, dalla parte dellacqua, mentre ci districhiamo

    tra le migliaia di imbarcazioni di tutti i generi che come ogni anno animano questo attesissimo evento. Quando giungiamo con il nostro dragone nel bacino di fronte a San Marco, appena in tempo prima dello scoppio del cannone che an-nuncia la partenza, gran parte delle imbarcazioni sono gi ben oltre, avviate per loro conto a conquistare le posizioni pi comode, lontane dalla suggestiva ma scomoda calca tra San Marco e la punta della Giudecca. Appena il tempo di am-mirare gli equipaggi intorno a noi: molti dragoni come il nostro, a dieci o venti vogatori, molte voghe venete, con gli equipaggi in piedi appoggiati ai lunghi remi, come quelli delle gondole; numerose an-che le grandi barche con dieci o pi rematori, che ricordano le baleniere di Moby Dick, e naturalmente equipaggi di canottieri variamente composti per numero di vogatori e assetto dei remi. Canoe e kajak si insinuano agilmente e perico-losamente tra le imbarcazioni pi grandi; stendardi di club e bandiere di tante nazioni si abbandonano al vento; addobbi floreali, copricapi alla vichinga, perfino una pianola con tanto di suonatore: una festa infinita, per noi e per la folla assie-pata sulle rive.

    di Matteo [email protected] Narrazione a puntate con finale a sorpresa

    Capitolo 10La distanza

    I Vecchi e il Mare

    Venezia

    di andrea [email protected]

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    Gioved 19 maggio stato presentato il volume mono-grafico speciale di Testi-monianze dal titolo La grande alluvione, a cura di Giorgio Fede-rici, Miriana Meli, Lucio Niccolai, Severino Saccardi, Simone Siliani e Vincenzo Striano. introdotto da un editoriale del n.89 del novembre 1966, a firma Testimonianze ma attribuito a Ernesto Balducci, un articolo che, nello slancio emotivo e nello sdegno politico di quei momenti, pone 2 grandi temi: la responsa-bilit dello Stato, la frattura tra la Firenze reale e la citt legale e chiude con Una citt in mano ai giovani.Questi rappresentano alcuni dei fils rouges del volume, articolato in 8 grandi sezioni, pi una pre-ziosa rassegna bibliografica finale.Tantissimi sono i temi, gli articoli, gli argomenti. Naturalmente ampio spazio dato ai ricordi, alle memorie dellevento, a Firen-ze, nella sezione Quei giorni a Firenze, ma molto ricca anche la parte sullalluvione del 1966 in Toscana, in particolare in Marem-ma e, naturalmente, nel Casenti-no. Bella la parte di rapporto con le scuole Ripensare lalluvione a scuola e quella sul tema dellac-qua come bene da rispettare, in chiave antropologica ed ecologica.Mi vorrei concentrare, soprat-tutto, su due grandi temi che emergono: la gestione del rischio idrogeologico, cosa fatto e cosa rimane da fare, da una parte, e la nascita del restauro contempora-neo a Firenze a seguito dellallu-vione del 1966.Nellarticolo introduttivo Giorgio Federici spiega come lAutorit di Bacino dellArno, nel Piano di Difesa delle alluvioni del 2015, indichi che larea metropolitana a Sud del centro storico di Firenze ad alta pericolosit idraulica, il centro storico a media pericolosi-t. Per, se si guarda cosa sia stato fatto in questi 50 anni, lelenco piuttosto smilzo, scrive Federici: il serbatoio del Bilancino (riduzio-ne del 3-4% della pericolosit a Firenze), delle 4 casse di espansio-ne previste dal 1999 in Valdarno solo una dovrebbe essere comple-tata nel 2016; le altre 3 sono state finanziate nel 2015; lintervento sulla diga di Levane ha finalmen-te avuto il progetto esecutivo nel

    2015. Oltretutto, sembra che non siano interventi adeguati per pro-teggere Firenze da un evento come quello del 1966, che, ricordiamo, ha messo in gioco 500 milioni di metri cubi di acqua, nella piena. LITSC (International Technical Scientific Committee), ricorda sempre Federici, costituito nel 2014, ha suggerito di realizzare un modello fisico per studiare delle soluzioni nuove di riduzione della pericolosit analoghe alle uniche efficaci realizzate negli anni 70, cio labbassamento delle platee di Ponte Vecchio e ponte Santa Trinita e linnalzamento delle spallette. Anche nella bella intervista di Severino Saccardi e Simone Siliani a Mario Primicerio emergono gli stessi temi. Leredit dellalluvione in chiave politica che ne fa Primi-cerio molto interessante: da una parte, il riconoscimento che la gestione del rischio idrogeologico, il tema della regimentazione dei suoli, pi in generale dellecologia era, nella letteratura politica degli anni 1960, completamente assen-te, se non in La Pira, ma visto in termini essenzialmente spiritua-li. Primicerio si rimprovera di non avere nominato un comitato internazionale di studio sul rischio idraulico, preoccupandosi di pi, e rivendicandolo con credo giusto orgoglio, del controllo so-ciale dei corsi dacqua, della cura degli argini e degli alvei, di quella manutenzione fondamentale per evitare qualsiasi tipo di inondazio-ne, grande e piccola. E qui mi ricollego a un altro arti-colo, di Piero Piussi e Giampietro Wirz, su un contributo apparente-mente minore rispetto alle grandi gesta degli angeli del fango, ma

    a mio avviso importante e non meno simbolico: la storia del Bo-sco degli Svizzeri, lintervento di un gruppo di giovani studenti in Ingegneria Forestale del Politecni-co Federale Svizzero che, a pochi giorni dallalluvione, andarono in Mugello a rimboschire cinque ettari di terreno, in accordo con la Facolt di scienze Agrarie e Fore-stali dellUniversit di Firenze. Ritornando a Primicerio, lar-ticolo ricorda anche le eredit positive dellevento: la nascita della Protezione Civile, che prima non esisteva; la mitigazione del rischio idraulico; la protezione dei siti sensibili dal punto di vista del patrimonio storico-artistico.Ecco, appunto, il patrimonio storico-artistico e il suo restauro. Marco Ciatti, soprintendente dellOpificio delle Pietre Dure e dei Laboratori di Restauro di Firenze, inizia il suo articolo con una frase molto chiara, che de-scrive benissimo quanto successe nel novembre del 1966 e cosa questo provoc nel campo del restauro: Lalluvione [] port ad un livello quasi parossistico tutta una serie di problematiche che esistono normalmente nella conservazione delle opere, ma mai con una intensit cos grave, sia qualitativamente, come tipologia di danno, sia quantitativamente, con un numero cos alto di opere danneggiate simultaneamente. Qualche numero, ricordato da Cristina Acidini: 2.300 metri quadri di pitture murali staccati, 320 dipinti su tavola danneggiati, 692 su tela, 495 sculture, 12.000 vasi e reperti etruschi.. Ma questa tragedia fu soprattutto loccasione di sprovincializzare il restauro fiorentino, attraverso

    di BarBara Settitwitter @Barbara_Setti

    La grande alluvioneil confronto tra la tradizionale abilit manuale, sensibilit dei restauratori locali con limposta-zione scientifica e tecnologica dei restauratori di altre tradizioni che subito accorsero a Firenze. Uno dei numerosi, grandi meriti di Ugo Procacci, allora direttore della Soprintendenza, fu il cortese rifiuto dellofferta di trasferire le opere allestero, scegliendo di farle rimanere a Firenze, per garantire una omogeneit di intervento e il controllo su tutti i restauri. Pro-cacci chiese che tecnici, materiali e attrezzature venissero, a Firenze. E cos avvenne: lUNESCO cre un apposito fondo CRIS (Committee to Rescue Italian Art) per aiutare Firenze e Venezia.Nel 1972 si svolse la mostra Fi-renze restaura, nei padiglioni della Fortezza da Basso. La mostra e il catalogo sono definiti, da Cristina Acidini, un pietra miliare nel restauro italiano e internazionale, consentendo di individuare, nel mondo del restauro fiorentino, luoghi e competenze tra cui, naturalmente, la Scuola di Alta Formazione presso lOpificio delle Pietre Dure. Marco Ciatti descrive molto chiaramente le altre due scelte storiche, oltre al manteni-mento di tutte le opere alluvionate a Firenze, per il restauro: la velina-tura sulla superficie pittorica dei dipinti mobili (per evitare future perdite di colore); la decisione di lasciare inizialmente le opere nei luoghi dove si erano bagnate, po-nendole in orizzontale, per evitare bruschi, pericolosissimi sbalzi di umidit del legno e conseguente trasferimento alla Limonaia di Pa-lazzo Pitti, in ambiente a umidit controllata.Per concludere, Salvatore Siano racconta molto bene la creazione di quello staff multidisciplinare che ha reso Firenze e lItalia [] leader nella conservazione dei BBCC e sono riuscite a trasmet-tere allEuropa e a larga parte del mondo i principi fondamentali della tutela del patrimonio cultu-rale. Solo per fare alcuni esempi: lapplicazione delle fotogramme-tria per il controllo delle deforma-zioni; lutilizzo del Paraloid B72; limpiego del tributilfosfato per staccare il Cenacolo di Matteo Gaddi; il controllo sul biodegrado e sul degrado lapideo.Questo volume di Testimonianze in vendita, come si dice, nelle migliori librerie.

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    In uno dei pi bei luoghi della terra di mezzo tra Firenze e Siena, domandandoti se per caso non sia gi la (tua) vita

    una terra di mezzo, al termine di una salita lunga e moderata-mente defatigante, gi immerso in panorami ariosi e soleggiati

    e con lanima pronta a ricevere tutto il bello che c nelluniverso mondo e nel suo Creatore, puoi sempre contare di salutare nuo-vamente nella chiesa del paese, in un angolo semibuio, silenzioso e immoto, quella che hai chiamato la Vergine del (tuo) cammino; dinanzi alla quale non di rado limbarazzo se chiedere interces-sione per qualcosa o semplice-mente ringraziare per tutto.Cammino (o marcia) e preghie-ra procederanno sempre pi uniti anche in questo: non si intraprendono o non shanno da esercitare se non per se stessi, pi che in vista di qualcosaltro. Perch in ci che essi inaspet-tatamente rilasciano la ricchezza straordinaria che custodiscono. Lo si capisce con il tempo. Non c niente di pi puro, essenzia-le ed appagante che la libert, lassoluta gratuit della preghiera e della marcia.

    Il vero riposo quello dello spirito. grata la fatica fisica del cammino o, me-glio, della marcia perch, come per un particolare contrappasso, prepara lo spazio in cui lanima pu trovare (un po di) pace, riprendersi larmonia che gli ac-cidenti dei giorni spesso hanno turbato. Scrive David Le Breton (Il mondo a piedi) che cam-minare consente di percepire la realt con tutti i sensi. Io preferisco lespressione ripren-dersi la realt; ma quale realt? Si pu dire: anzitutto, quella in e di s stessi. straordinario il fatto che molto di ci che ripetitivo, apparentemente monotono, in realt dischiude scenari inte-riori impagabili, unici: come la preghiera condotta sui grani del rosario, cos la marcia nel susseguirsi di passi ritmati, per lo pi tutti uguali; mani e gambe come in una catena di montaggio, infaticabili, men-tre lo sguardo, il pensiero, lo spirito possono innestarvi viaggi, scrutare orizzonti, percepire linfinito. Si sviluppano energie e potenzialit immaginative, creative, da cui trarre conferme al valore dellesistenza e avviare segrete riconciliazioni. Cosic-ch la vita pare un continuo susseguirsi di distruzione e (ri)creazione, di inferno e paradiso, di guerra e di pace. Ecco dunque assieme lincedere nei giorni e il cammino inte-riore, la marcia in mezzo alla natura e la preghiera. Questulti-ma che non altro che confi-denza con Dio, perch - come scrive il Santo Josemaria Escriv (Cammino) - pregare parlare con Dio; e, di grazia, quali sono gli argomenti di questa conver-sazione? Semplicemente gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazio-ni quotidiane... La scoperta di profonde affinit tra marcia e preghiera nulla di nuovo se non per il singolo. Per il quale potr trattarsi come del rinvenimento di un tesoro archeologico; una cosa che stava da tempo immemorabile na-scosta, non vista, in un qualche recesso e che voleva in un certo senso essere portata alla luce per consegnarsi nella sua preziosit. Roma

    di paolo [email protected]

    Le architetture di Pasquale

    Camegna

    Della marcia e del riposonella terra di mezzo

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    Grande latta pubblicitaria con caratteri, candele e chierichetto in rilievo, anni 20/30 del Novecen-to. Quale migliore immagine per pubblicizzare una importante Ditta che produceva candele, di quella di un ragazzotto che, fiero dellabito talare, anche se corto, non gli arriva ai talloni, come dovrebbe, almeno in base alletimologia, e della cotta immacolata e trinata che indos-sa, svelto svelto ed affaccendato si accinge a rifornire di candele la chiesa in cui presta la sua opera di ministrante o chierichetto che dir si voglia? Niente vi dico del Premiato Stabilimento che, verosimilmente, dopo avvento e diffusione della luce elettrica andato incontro a chiusura certa, qualcosa sulla composizione delle candele, di cera dapi o steariche, ottenute cio dallacido stearico, prodotto dalla saponificazione di grassi animali o vegetali...e qui mi inoltro nel famo-so caso giudiziario della serial killer detta saponificatrice di Correggio e cito una frase terribile tratta dalle sue presunte memorie ...fin nel pentolone, come le altre due ( ); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori

    delle saponette cremose.(Leonarda Cianciulli, Confessioni di unanima amareggiata). Via, non ci soffermia-mo oltre su questi macabri proce-dimenti chimici. In basso, a destra della latta di Rossanino, compare la firma dellautore del disegno, tratta-si di Romolo Tessari, nato a Castel-franco Veneto nel 1868 e morto nel 1925, fratello minore di Vittorio, ambedue pittori di cui poco si sa e di cui non molte opere restano. I genitori cercarono di avviare il figlio Romolo ad una carriera diversa da quella del fratello inviandolo nei Bersaglieri, ma ottennero solo di influenzare le prime ambientazioni delle sue opere o Romolo pittor dei bersaglieri .. fu detto infatti per un po. Pare sia stato sostanzialmen-te autodidatta, una sua opera Note gaie, presente ad una Esposizione di

    Torino, fu acquistata dalla famiglia Reale, cosi come, molti anni dopo, una serie di cartoline realizzate da acquerelli suoi. La sua arte fortemente legata alla cultura figurativa verista di fine Ottocento. Alli-nizio del Novecento, con il cambiar di gusti e rappresentazioni, si dedic allacquerello, raffigurando paesaggi e scorci cittadini, partecip alla prima guerra mondiale come bersagliere e dopo il congedo si impegn in lavori di vario genere e nella pubblicit. Oltre alla ditta di candele Vitali-Foligno, latte firmate realizzate da sue opere pubblicizza-vano Macaroni-Vermicelle, Bozon- Verduraz, Biscotti e Cacao del

    fiorentinissimo Luigi Viola di cui abbiamo gi parlato grazie ad una deliziosa scatolina. Una sua latta promuove addirittura delle sigarette francesi Le Nil, altri tempi!!!! Le raffigurazioni, di chiara impronta tardo ottocentesca, risultano molto efficaci nella loro suadente inten-zione pubblicitaria e costituiscono i primi esempi dellarte della rclame che da poco, in Italia, aveva iniziato il suo cammino di grande mezzo di comunicazione di massa.

    Ceri e candeledalla collezione di Rossano

    Una mano naufraga in un mare di immondizia, emerge, chiede aiuto, con un gesto che quasi un urlo. La mano percorrer tutta la storia, comparendo, scomparendo con il suo enigmatico quesito, a chi appartiene? Chi ce lha messa o meglio come finita proprio l dove sta rinvenuta casualmente da un attonito operatore ecologico? La mano vaga tra gli episodi di questo noir divertente, colmo di malinco-nici disincanti, fino alla fine rocam-bolesca, spiazzante. Si dir allora che la mano sia la protagonista del libro, anche il titolo lo sosterrebbe, invece no i veri protagonisti sono i personaggi, le decine di figure che affollano i capitoli, le pagine, le righe, tutto. Li vediamo muoversi per la Firenze che conosciamo, nelle vie, nelle piazze, li abbiamo sicuramente incontrati in quei bar,

    in quei mercati, in quei ristoranti che possiamo ritrovare se vogliamo allindirizzo che ci rivela lau-tore. Qualcuno penser che siano i prototipi di gente un po particolare, tanti se ne ritrovano ovunque, stranieri, straniere procaci, chiacchierone, insi-nuanti, che vediamo per la citt, sullau-tobus, impegnati nei pi disparati lavori, personaggi verosimili, tanto sono perfetti. No no sono proprio veri, hanno un nome, una faccia che potremo incontrare davvero. Lo posso testimoniare io che ne conosco due nella folta schiera, li conosco proprio bene. Sono miei, nostri amici. Mentre leggo di loro li vedo muoversi come si muovono loro, parlare come parlano loro, fare quelle facce buffe, li vedo proprio schizzar fuori dalle pagine del libro, delineati, direi scolpiti, non manca

    nessuna profondit. Cos sono sicu-ramente anche gli altri. Carlo un affabulatore, con la faccia, il sorriso

    etruschi, il piglio ridanciano, graffiante del toscanac-cio. Ci fa spesso, a noi amici riuniti intorno

    a un tavolo, il regalo di raccontare delle storie, che sono sempre storie vere, improbabili, invero-

    simili, troppo divertenti, perch la realt molto pi sorprendente delle inven-zioni. Anzi si sa che non si inventa proprio niente. Carlo

    ha per il dono di trasformare con il racconto anche una vicenda, che appena emerge

    dalla normalit, in una scena di teatro popolare, in una commedia dellarte, tanto che se la racconta pi volte sembra ancora diversa, ti riserva sempre qualche sorpresa. Quelle metafore che farebbero impallidire il postino di Troisi, ci riportano continuamente alle no-stre radici, reduci del nostro passato comune, storicamente determinato:

    di Caterina [email protected]

    Storie vere e improbabili

    a Cura di CriStina [email protected]

    Bizzariadeglioggetti

    ci riconosciamo dalle esperienze che abbiamo fatto insieme anche senza conoscerci, per i film che abbiamo visto anche senza incontrarci, per quegli eventi di cronaca che ci rendono compagni di cammino anche senza sapere i nomi uno dellaltro. Scrivendo questo libro, il suo primo libro, come se si fosse allargato il tavolo, come se fosse aumentato il numero degli amici, raccolti ad ascoltare, numero che sta gi allargandosi, che sicuramen-te si allargher ancora, col passapa-rola, con la diffusione del libro nelle librerie di Firenze, di altre citt dove gi lo stanno aspettandolo. Sappia-mo anzi che ne sta gi pensando un altro, sta raccogliendo gli episodi da narrare, ne ha tanti in serbo, tanti ne trover ancora in futuro, tutti in attesa di essere trasformati dal suo parlare in eventi che vale la pena di ascoltare. Non si pu non diventare amici di qualcuno che ti racconta una storia, che ti fa sempre sicuramente sorridere, qualche volta ridere a crepapelle. (Carlo Ciatti, La mano del Santo, ed. Nardini)

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    al reperto archeologico delle Lamine doro di Pyrgi (presente in mostra al museo) e alla leg-genda dei Libri Sibillini, il video stato realizzato a Lisbona con la regia di Valerio Giovannini in occasione della grande mostra cortonese Etruschi, maestri di scrittura e presenta un origi-nale approfondimento estetico sui temi della scrittura etrusca, della profezia e del concetto di confine, con libridazione di generi diversi: fiction, videoarte,

    videoclip. Lopera un omaggio contemporaneo allincontro degli immigrati Etruschi con le popolazioni neolitiche dellantica Toscana quando furono intro-dotte tecnologie davanguardia come scrittura, architettura e metallurgia e venne creata una cultura e una societ che rese possibile unemancipazione fem-minile ante litteram.La manifestazione terminata con lapprofondimento sul tema Gli etruschi e larte contempo-

    ranea, sviluppato dagli inter-venti dellAssessore alla Cultura del Comune di Cortona, Albano Ricci, la Presidente dellassocia-zione Aion Cultura, Eleonora Sandrelli e il Direttore del Mann (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), Paolo Giulierini. Paolo Giulierini si soffermato sul valore degli artisti presenti e sul significato attuale del dialogo che hanno saputo stabilire con le opere e i segni della scrittura etrusca, grazie al ricorso a vari strumenti dellarte: pittura, desi-gn, danza, cinema. A livello nazionale e internazio-nale ha ricordato Giulierini - gli artisti contemporanei sono sempre pi presenti nei musei e sanno dare interpretazioni dei luoghi e degli oggetti antichi, cogliendo significati attuali e profondi della vita di ieri e di oggi, possibili collegamenti e contaminazioni. Particolarmente interessante il riferimento del direttore del Museo Archeologico di Napoli, alla Mostra appena inaugurata a Giorni di un futu-ro passato di Adriano Tranquilli, a cura di Eugenio Viola. Lespo-sizione mira (e riesce) a conta-minare opere contemporanee con i capolavori dellarte antica, custoditi nellex Palazzo degli Studi partenopeo. In particolare, gli eroi classici sono affiancati ai supereroi moderni ritratti da Tranquilli, che incarnano, in ogni tempo, la sete dinnalza-mento dellanimo umano, come un riscatto dalla sua condizione di fragilit. Dai due Batman pi Spider-man accanto allErcole Farnese, fino al Superman ferito al costato come Ges e al mae-stro jedi Yoda, posto vicino a un busto dellimperatore Claudio. Cortona con liniziativa di arte contemporanea Futuro Etru-sco, ha confermato anche in questa occasione, dinamicit e intraprendenza culturale, come dimostra il successo naziona-le della Mostra sulla Scrittura Etrusca aperta fino al prossimo 31 luglio che conta a oggi oltre diecimila visitatori.

    Domenica 29 maggio, a Cortona, si svolta lini-ziativa Futuro Etrusco promossa dal Comune di Corto-na, dallAccademia Etrusca, dal Maec (Museo dellAccademia Etrusca e della citt di Cortona) e dallAssociazione Aion Cultura. stata loccasione per valorizzare le opere darte contemporanea esposte nel museo in concomi-tanza con la mostra Etruschi, maestri di scrittura. Cultura e societ nellItalia antica, che stata inaugurata al Maec lo scor-so 17 marzo, nellambito di uno stretto rapporto con i Musei del Louvre, di Zagabria e di Monte-plellier. stato un pomeriggio allinsegna del rapporto tra arti contempora-nee e archeologia. Si iniziato - nella splendida cornice di Palazzo Casali, in piazza Signorelli a Cortona, sede del Museo Arche-ologico - con la visita guidata alle opere in mostra realizzate dagli artisti: Sara Lovari, Cristina Melacci, Valerio Giovannini e Milena Kalte. Cristina Melacci, designer orafa e artista, ha realizzato il proget-to Cesure, un omaggio alla scrittura etrusca e alla Tabula Cortonensis. Le Cesure sono tagli, sono pause nella scrittura, che diventano interventi artistici nei lavori in mostra. Sara Lovari, pittrice, ha realizzato opere ad hoc e un allestimento site-spe-cific dove protagonisti sono gli Oggetti di vita quotidiana simboli di memoria collettiva tanto cari allartista che richia-mano particolari della scrittura etrusca. Valerio Giovannini, pittore, con i lavori in mostra ripercorrendo la sua produzione estetica e ermeneutica degli ulti-mi anni, propone una selezione di opere in lino, rame, oro, legno e terracotta, fra i quali Tular Dardanium( Il confine dei Dardani). Milena Kalte artista- artigiana, specializzata nella creazione di monili dalle forme antiche.Dopo la visita guidata alle opere degli artisti, nel Salone Mediceo del Palazzo, edificato nel XIII secolo, ha avuto luogo la perfor-mance di danza contemporanea di Lise Gibet. stato proiettato poi il cor-tometraggio Janela. Ispirato

    di roBerto [email protected] Gli Etruschi

    e larte contemporanea

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    con la sua lingua (lo yiddish), le sue feste, le sue tradizio-ni, i suoi artisti e scrittori. E Goldkorn ripercorre, con senso di spaesamento, questo vuoto. Consapevole di appartenere ad una generazione separata da quelle che lhanno preceduta da uno iato tragico: bambini nati sette o otto anni dopo la guerra.... Eravamo una specie di viatico per una nuova vita. Non una vita di speranza, ma una vita nel senso pi ele-mentare, biologico, primitivo. Bambini fatti nascere per non sentirsi tutti morti. Consa-pevole della propria naturale identit ebraica e di vivere la condizione perenne dellEsodo (che per comune a tutti gli uomini), ma capace proprio per questo di una visione laica, libera, europea sulla vita. Anche di guardare criticamente alla politica di vari governi dello Stato di Israele, cos come a quella dei regimi comunisti dellEst (per lui cosa dolorosa in quanto figlio di polacchi comunisti, dediti alla causa del socialismo che poi scoprono cos radicalmente tradito dal regime), perch lunica religio-ne cui Goldkorn aderisce in modo totalizzante quella della libert.Fra i tanti, vi un doppio merito di questo libro: ci spiega quale continuit di politiche antisemite possa nascondersi

    dietro la retorica antifascista del comunismo polacco tanto da spingere i pochi ebrei polacchi superstiti ad emigrare in Israele e colloca questa storia polacca nel cuore dellEuropa e delle sue contraddizioni mentre la divisione del mondo lungo la linea di Yalta ha reso e fatto percepire la vicenda polacca esterna ed estranea allEuropa. Cos il suo viaggio fisico nella Polonia dei campi di sterminio nazisti e nei luoghi della sua infanzia un viaggio alla ricerca di un riscatto rispetto ai silenzi colpevoli, alle connivenze ideo-logiche con lantisemitismo pri-ma nazista e poi comunista, la retorica della memoria che can-cella il ricordo, che Goldkorn ritrova in Marek Edelman il capo delle rivolta del Ghetto di Varsavia, nellepica laica di quei giovani che per la prima volta in Europa nel 1942 resistono in armi (poche e rudimentali) per 45 giorni allesercito tedesco. l, in quella lezione di libert, una libert che non viene da sola ma per cui occorre com-battere sempre e che non si mantiene automaticamente dopo averla conquistata, che Goldkorn individua il seme del riscatto, della dignit e del senso ultimo di unaltra storia che avrebbe potuto essere, che fu schiacciata, ma che rispunta fuori caparbia continuamente. Loro, i combattenti, sono par-te di me, anche se io non sono parte di loro... il mio sentirmi polacco... non sarebbe possibile senza quegli eroi, senza quei duecentoventi ragazzi e ragazze che hanno combattuto a Varsa-via. A Varsavia, in Polonia, non altrove... Come non pensare che solo ed esclusivamente loro abbiano riscattato lonore di un popolo, di gente che altrimenti sarebbe andata alle camere a gas come le pecore al macello?. Cos ecco qui la radice della sua convinzione, maturata negli anni accanto a Marek Edelman (di cui Goldkorn ha curato la pubblicazione di memorie importanti come Il guardia-no. Marek Edelman racconta, Sellerio, 1998), che la memoria

    dei campi di concentramento serve solo se promuove e difen-de, ovunque e concretamente, le istanze di emancipazione. La seconda parte del libro segue appunto Goldkorn nei campi di Aushwitz, Birkenau, Treblinka, Sobibr, Beec, fino al nuovo museo dellebraismo a Varsavia. Un viaggio doloroso, certo, ma che serve a Goldkorn (e a ciascuno di noi) a giungere alla conclusione che la memo-ria della Shoah significa saper parlare e trasmettere agli altri il linguaggio della ribellione, della radicale contestazione del-le verit del potere.. Di ogni potere, fino a quello dellAltis-simo, forse. Mi torna in mente, qui, un libro di Zvi Kolitz, ebreo lituano nato nel 1919 ed emigrato in Israele e poi a New York, dal titolo Yossl Rako-ver si rivolge a Dio (Adelphi, 1997). Yossl vive in un periodo di occultamento del volto divi-no. Dio ha nascosto il suo volto al mondo e lo ha consegnato agli istinti selvaggi delluomo. Ma pure in questa devastazione che lo sta perdendo, Yossl si ri-volge, con orgoglio, al suo Dio da uomo libero. Come il suo popolo che quando il Sinedrio pronunciava anche una sola condanna a morte in 70 anni, gridava ai suoi giudici: Assassi-ni!. Questo Dio consente che nel suo nome gli ebrei vengano assassinati da duemila anni. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacer la verga con cui mi percuote. Io lo amo, ma amo di pi la sua Leg-ge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in lui, dice Yossl; ma poi si alza in piedi e si rivolge a Dio: Ti chiedo, Ti avverto, nel Tuo stesso nome: Cessa di esaltare la Tua grandezza lasciando colpire gli innocenti!... Tu pronuncia una sentenza doppiamente severa su quanti tacciono dellassassinio!. Trovo qui la stessa forza, lo stesso amore per la giustizia e passione per la libert, la stessa ribellione di Goldkorn. E non a caso Yossl dice chi siano gli ebrei: gli ebrei non gridano, accolgono la morte come una liberazione. Il ghetto di Varsavia muore combattendo, muore sparando, lottando, bruciando, ma no, non gridano!

    Un libro doloroso, que-sto ultimo di Wlodek Goldkorn, Il bambin