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85 uesta settimana il menu è Q PICCOLE ARCHITETTURE Stammer a pagina 5 Un orfano perso dentro Firenze RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 Gurrieri a pagina 2 Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO La Praga magica di Josef Sudek Aranguren a pagina 11 HO SCELTO LA TOSCANA James Bradburne si racconta DA NON SALTARE Si può raccontare un pezzo di città? Eugenio “Michelangelo” Giani Il tombarolo lli o”

Cultura Commestibile 85

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Page 1: Cultura Commestibile 85

85 uesta settimanail menu èQ

PICCOLE ARCHITETTURE

Stammer a pagina 5

Un orfano persodentro Firenze

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

Gurrieri a pagina 2

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

La Praga magicadi Josef Sudek

Aranguren a pagina 11

HO SCELTO LA TOSCANA

James Bradburnesi racconta

DA NON SALTARE

Si può raccontareun pezzo di città?

Eugenio“Michelangelo”

GianiIl tombarolo

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.com sabato 19 luglio 2014no85 PAG.2DA NON SALTARE

di Francesco Gurrieri

Orsola era una giovane di eccezio-nale bellezza. Era una principessa,figlia di un re brètone. Come tal-volta accadeva – ricordiamoci che

eravamo nel IV secolo – Orsola si era se-gretamente consacrata al Signore: ciòl’avrebbe fatalmente portata al martirio. In-fatti, dopo aver lasciato le coste dell’Inghil-terra, sospinta da una terribile tempesta,risalì il corso del fiume Reno fino a Colo-nia, intraprendendo un lungo viaggio chel’avrebbe portata in Svizzera, a Basilea, epoi in pellegrinaggio fino a Roma per in-contrare un papa di nome Ciriaco. Sullavia del ritorno incontrò Attila (re degliUnni) che, in ragione della sua bellezza, lapretese in sposa. Orsola rifiutò e Attila lauccise trafiggendola a colpi di freccia in-sieme alle sue compagne di viaggio.Così, Orsola (o Ursula), forte come unorso, divenne “martire”. Quella storia commosse tutti e da quelmomento, scrittori e artisti, concorsero aformare quel culto per Sant’Orsola che di-venne inarrestabile. Grandi artisti come Vittore Carpaccio aVenezia o Hans Memling a Bruges la di-pinsero con opere di grande bellezza. L’amore e il culto per la bella Orsola investì– com’era immaginabile – la religione, learti, l’architettura. Si formarono dei gruppi di persone, chia-mate “ navicelle di Sant’Orsola”: sonodelle “confraternite” impegnate a fareopere buone . E di bontà, allora come ora,ce n’era bisogno. E con le “navicelle” nacquero le “miseri-cordie” e i monasteri a lei intitolati, in Italiae per l’Europa. A Firenze – siamo nel 1309 – quattrodonne si riunirono in nome di Orsola co-minciando a costruire un piccolo con-vento con chiesa che avrebbe poiprosperato per secoli. Si chiamavano Francisca, Cina, Joanna eCaterina. Il “Capitolo Fiorentino” (la massima au-torità religiosa) dette “licenza per le cam-pane e per la sepoltura”.Qui, sarebbero state suore benedettine,poi francescane (dal 1435), poi vallom-brosane: il fior da fiore delle religiose.In quel tempo Firenze era un fiorente Co-mune di circa 100mila abitanti: era munitadi mura e di belle porte: le aveva disegnateArnolfo di Cambio, l’architetto-star delmomento, che aveva progettato la nuovacattedrale di Santa Maria del Fiore e buonaparte del Palazzo dei Priori (cioè di PalazzoVecchio).Era una città còlta quella di Francisca e lealtre: Dante Alighieri – il padre della linguaitaliana – aveva 44 anni, aveva già incon-trato la sua Beatrice Portinari, aveva giàscritto il Convivioe il De Vulgari Eloquentia.E mentre Francisca e le altre edificavanola loro Sant’Orsola, Dante avrebbe iniziatoa scrivere la Divina Commedia. Ma prima,avrebbe già suggerito come l’AmoreUmano e quello Celeste potessero essereun tutt’uno :

“Donne ch’avete intelletto d’amore,i’ vo’ con voi de la mia donna dire,non perch’io creda sua lauda finire,ma ragionar per isfogar la mente.

Io dico che pensando il suo valore,Amor sì dolce mi si fa sentire,che s’io allora non perdessi ardire,farei parlando innamorar la gente...” .

Del resto, l’Amore, Dante lo aveva già can-tato e immortalato in un sonetto dedicatoa Beatrice :

“Tanto gentile e tanto onesta parela donna mia, quand’ella altrui saluta,ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,e li ochhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,benignamente d’umiltà vestuta,e par che sia una cosa venutada cielo in terra a miracol mostrare..”.

Il Monastero crebbe, le suore aumenta-rono, le loro preghiere e i loro canti si dif-fondevano all’intorno.Si accorpò il vicino monastero di San-t’Agata e Sant’Orsola divenne più grande.Erano gli anni in cui Brunelleschi costruivala Cupola, si ampliavano i grandi conventidi Santa Croce e di Santa Maria Novella.E poi, ancora più tardi, si sarebbe realizzatoil Palazzo Dei Medici in via Larga, tantialtri palazzi. Michelangelo avrebbe stu-diato la facciata di San Lorenzo e avrebberealizzato la Sacrestia Nuova ; il Principatoe poi il Granducato avrebbero avuto gliUffizi (i grandi Uffici per amministrare laToscana), nuovi bellissini ponti (comequello di Santa Trinita dell’Ammannati)avrebbero collegato più comodamente ledue parti della città, solcando l’Arno. Ma ciò che accadeva in città non era estra-neo alle monache di Sant’Orsola.A sera, durante le pause dalle preghiere, sicommentavan le notizie che attraversa-vano le mura di via Faenza.Arrivavano notizie davvero preoccupantisulle prediche che in San Marco padre Gi-rolamo faceva, soffermandosi sull’Apoca-lisse. Si diceva, soprattutto, che fosse assaicritico con le gerarchie della chiesa e conLorenzo dei Medici.In Sant’Orsola si pregava perché codesti li-tigi e codeste accuse si stemperassero, male preghiere non avevano effetto.

Frà Girolamo, il domenicano Savonaroladi San Marco, predicava la flagellazione!“Niente di buono è nella Chiesa, dallapianta del piede fino alla sommità!...”, gri-dava dal pulpito.Anche le monache, se pur impaurite, ave-vano cominciato a chiamarlo il “predica-tore dei disperati”. E si facevan raccontarele sue prediche fatte in Duomo e in Pa-lazzo Vecchio...Seppero anche che il Magnifico Lorenzo,che abitava a pochi metri dal monastero,in via Larga, lo aveva ammonito più voltee poi diffidato, ma che Girolamo restavaimperterrito!Poi, due fatti sconcertanti che le monachecollegarono fra di loro: in un brutto tem-porale del 5 aprile del 1492 un fulmine siabbatté sulla lanterna del Duomo e tregiorni dopo Lorenzo morì, mentre eranella sua bella villa di Careggi: “un presa-gio! Un presagio!”, ripetevano dopo il ve-spro.Codesti anni, dopo la morte di Lorenzo,continuarono a far tribolare le monache diSant’Orsola. Grandi sconvolgimenti in città: si sentivaparlare di “repubblica”! E arrivavan vociche Frà Girolamo rasentasse l’eresia!Fu riportata alla madre superiora la notiziadi un’invettiva del Predicatore addiritturacontro la Curia Romana: “Noi non di-ciamo se non cose vere, ma sono i vostripeccati che profetano contra di voi... Noiconduciamo li uomini alla semplicità e ledonne ad onesto vivere, voi li conducete alussuria e a pompa e a superbia, ché aveteguasto il mondo e avete corrotto li uomininella libidine e nella disonestà...”.In Sant’Orsola si pregava il Signore, la Ver-gine e la loro patrona per scongiurare ilpeggio ! Poi, fu un susseguirsi di brutte no-tizie: proprio in maggio, il mese della Ma-donna, Papa Alessandro VI avevascomunicato Frà Girolamo! La notiziarimbalzò fra le monache e si diceva ancheche il Savonarola si fosse barricato in con-vento, a San Marco, ma che le guardiel’avevan preso, arrestato e portato in cella,

Sipuòrac-con-tareunpezzodicittà

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all’Alberghetto nella Torre di Arnolfo!Quel 23 maggio del 1498 fu terribile: FràGirolamo fu bruciato in piazza Signoriacon due confratelli, Domenico Buonvicinie Silvestro Maruffi, che le monache cono-scevano bene !Passò del tempo e nuove monache si av-vicendarono in Sant’Orsola. Ma il rap-porto con la città rimaneva lo stesso; essecontinuavano a partecipare, nell’ascolto enella preghiera, alle cose che accadevanoin Firenze.Fece notizia, ad esempio, un’assise che sitenne in via de’ Benci, in Palazzo Bardi, nelgennaio del 1573: un gruppo di intellet-tuali, drammaturghi e musicisti “recitavancantando”, inventavano il “teatro in mu-sica”: nasceva il Melodramma. Sembra che avessero inventato – almenocosì arrivò detto alle monache – uno stilenuovo: si cadenzava il parlare con il canto.La novità incuriosiva e quasi elettrizzava ilmonastero di Sant’Orsola. Si voleva ripor-tare in auge la tragedia greca, e così nac-quero la Dafne del Peri e l’Euridice delCaccini. Ed ancora, quando quell’8 gennaio del1642, da Arcetri, arrivò la notizia dellamorte di Galileo, alcune pregarono per lui,perché avevan capito che sul quel pro-blema del girar del sole e della terra, nondoveva aver tutti i torti.Ma soprattutto si aprì un chiacchiericcioal quale tutte vollero prender parte: quellacorrispondenza affettuosa (qualcuno insi-nuò persino “troppo affettuosa”) fra l’an-ziano Galileo e quell’Alessandra.L’Alessandra era la contessa Bocchineri diPrato, moglie del diplomatico GiovanFrancesco Buonamici, amico di Galileo.Tutte si domandavano: “Ma cosa c’era die-tro a quei dodici anni di corrispondenzacosì intensa fra i due ?”.Passano gli anni . Ai Medici, nel quarto de-cennio del Settecento, si sostituiscono iLorena. Poi arriva Napoleone. Si innalzano gli “Al-beri della Libertà”.Si chiudono tanti conventi. Si sopprimeanche il monastero di Sant’Orsola. Nel1808 se ne fa l’Inventario e vi si contano34 monache.E’ il primo grande trauma !Il monastero diventa una “Manifattura Ta-bacchi”, più precisamente “l’Amministra-zione Generale dei Tabacchi”: vi si farannoi sigari toscani!L’Architetto Bartolommeo Silvestri neprogetta e ne dirige i lavori di trasforma-zione. A memoria di questi si apporrà unaepigrafe in marmo che recita:“PER CONCESSIONE E MUNIFICENzA DI FER-DINANDO III GRANDUCA DI TOSCANA QUE-STO EDIFICIO PER LA MANIFATTURA DEITABACCHI GLI APPALTATORI BALDI, ORSI,FENzI E kLEIBER, L’ANNO MDCCCxVIII ERES-SERO E REGOLARONO”.Ma sono soprattutto ancora donne a po-polare la Manifattura. Non più preghiere,ma lavoro, duro lavoro ai banchi, lavaggi,essiccazioni, lavorazioni. Qui nascerà, quasi per caso, il “sigaro to-scano”. Un sigaro amato e ancor oggi digrande successo. Andò così. Nell’agosto del 1815 – uno deipiù caldi del secolo come solo Firenze sadare – nella “manifattura di Sant’Orsola”accadde una cosa strana, un evento dav-

della vita.Poi, poco più tardi, voci che vengono dal-l’Istria: da una geografia perduta, non piùitaliana.La guerra, ancora una volta, ha colpito condurezza: soprattutto i bambini, le madri, levedove. Gli uomini erano lontani, in guerra, tal-volta senza sapere se dalla parte giusta o daquella sbagliata. Ci resteranno anni a Sant’Orsola, questefamiglie.Di loro resteranno tracce sui muri, il lorodolore, le pareti di cartone tenute su da fra-gili listelli di legno; resteranno stracci e pa-gine di giornale fissate a parete con la colladi farina.Resteranno quei pochi gabinetti gialli, im-pregnati d’orina. Resteranno quelle tavoleche fungevano da pavimento, con l’odoreacre del tempo; resteranno pareti, nere an-ch’esse, segnate dalle tante mani che vi sisono appoggiate nel buio dei giorni e dellenotti.Poi, ancora una lunga pausa. Ancoratrent’anni di silenzio : restano solo le vociche s’intrecciano: quelle delle monache,delle sigaraie, degli sfollati e dei profughiistriani.Poi una notizia : arriva lo Stato! Lo Stato?Sì, lo Stato, che rileva tutto. Via Guelfa, viaPanicale, via Taddea, via Sant’Orsola...Arrivano ruspe, escavatori, ponteggi. Unagrande gru al centro, così alta da dominaretutto all’intorno...Arriva il ferro, tanto ferro .Si fasciano le colonne, si fanno sottarchi, sidemoliscono solai e se ne fanno di nuovi,in lamiera ferro!“Ci sono nuovi pesi da sopportare!” - sidice - e così, altro ferro.Della vecchia Sant’Orsola rimane davveropoco .Hanno vinto le ragioni dello Stato!Poi, quasi d’improvviso, lo Stato si distrae,ci ri-pensa. Lo Stato, in silenzio, se ne va... Resta un “buco nero”, qualcuno dice, “ilpiù nero della città”...Le ferite lasciate dallo Stato sono irrever-sibili... Come se la giovane Orsola fossestata trafitta ancora una volta, martirizzatanuovamente...Di recente, qualcuno, un filosofo che abitaqui vicino, vi ambienta un romanzo dal ti-tolo ”Non c’è più tempo” . E’ una storia dibrigatisti che qui, nella buca oscura di que-sto quadrilatero avevano la loro base; qui,i personaggi di questo racconto – Ventu-rino Filisdei, il Riseverzi, Dolores e Qui-squalis, consumano la loro logicasacrificale. Ma, secondo il filosofo scrit-tore, in quel tempo “il terrorismo non fa-ceva più notizia”. Così, per il filosofo romanziere, Sant’Or-sola diviene un luogo immaginario masimbolico di quella mappa di misteri cheha caratterizzato un lungo periodo dellastoria recente del nostro Paese. Ora, ancora una pausa... lunga, gridata:una pausa che tutti sperano sia l’ultima.E di nuovo, nei cortili si sentono – quasiunificate -, in un sol coro, le preghiere dellemonache, le voci delle sigaraie del Gran-duca, le grida dei profughi : quasi un ru-more unico, la voce dell’attraversamentoumano.Silenzio ! Ora siamo qui !Ma queste sono le nostre voci...

Sant’Orsola ha riapertoil “cantierefuturo”con un raccontodi FrancescoGurrieri e l’installazione“Un muro di luce dalletracce dellastoria”di GiancarloCauteruccio

vero storico, destinato a far felice milionidi fumatori. Si racconta che fosse, appunto,un caldo boia, e che, d’improvviso, daMonte Morello arrivarono nuvoloni nerie gonfi che scatenarono un furibondo ac-quazzone sulla città. Nel cortile erano statiscaricati diversi barrocci di foglie di ta-bacco , pressate e ben legate insieme: fogliebelle e larghe, portate dalla Val di Chiana.Ma, non è ancor chiara la ragione, non simisero i teli per coprirle e così codesta par-tita di tabacco s’inzuppò irrimediabil-mente. I colpevoli, ovviamente, sisentirono in colpa, ma pensavano che alprimo sole la cosa si sarebbe rimediata dasé: ma così non fu, le foglie non si asciuga-vano: preoccupati delle conseguenze chequesta negligenza, o distrazione, avreb-bero potuto avere sul lavoro dei responsa-bili per la reazione alla notizia dellosparagnino granduca Ferdinando, fu de-ciso di andare a scomodare il Tecnico acapo della Manifattura che, per l’appunto,era in vacanza, a far le “bagnature” in Ver-silia: questi raggiunto al bagno, s’incazzòcome una iena, e dovette interromper leferie . Com’è come non è, fu deciso di la-sciar fermentare quella quantità puzzo-lente di tabacco, di far asciugare piùlentamente le foglie all’ombra, e poi divi-derle per dimensione per farci dei sigari,così alla buona, come venivan venivano. Sidecise di venderli in periferia, negli spaccidi quartiere, soprattutto nell’Oltrarno. Ilfatto è che, contro ogni previsione, ilnuovo prodotto andò bene, e al popolinoquei sigari piacquero moltissimo. Era fatta!Così, qualche anno dopo, la Manifatturagranducale li mise regolarmente in com-mercio, avviando una fortuna irreversibile,e fra tanti, ne godettero Giacomo Puccini,Pietro Mascagni, Eugenio Montale, Unga-retti, Mario Soldati, Gianni Brera, CarloBo, Gianni Pettena e Salvatore Romano(che ha lo studio qui vicino, in via Pani-cale).Come si vede, una volta ancora, quel chepoteva essere un danno si rivelò un guada-gno: perché spesso, le grandi invenzioninascono dalla capacità di rovesciare lo

sguardo sulle cose.Nei chiostri, ora diventati cortili, si scan-diranno il tempo e le pause di lavoro.Il grande Orologio e la campanella da-ranno il ritmo alle sigaraie: donne del po-polo che vivranno le ansie dei nuovi tempi,fino al 1940, quando l’Italia, nel giugno,entrerà in guerra. Le sigaraie sentiranno le sirene che antici-pavano i bombardamenti e poi i sibili dellegranate dei mortai, dalla nuova sede inpiazza Puccini.Sant’Orsola vivrà anni di abbandono, de-grado, impoverimento.La guerra, con la sua violenza, traverserà lacittà. La mattina del 4 agosto 1944 ancheSant’Orsola tremerà, quando salteranno iponti sull’Arno.Una pausa. Silenzio !Sentite le voci delle monache ?E Monna Lisa ?La sua era una voce dolce, sottile, quasisussurrata: una voce che fece innamorareLeonardo che forse, aveva incontrato nelconvento dell’Annunziata dove il Maestroalloggiava e la Lisa andava a pregare nellasua cappella di famiglia.Madonna Lisa Gherardini, poi sposa in se-conde nozze a Francesco del Giocondo(fornitore di sete preziose della famigliaMedici) – da cui il soprannome di “Gio-conda”.La Lisa frequentò Sant’Orsola e forse vimorì, portando con sé quel sorriso mesto,ammiccante e malinconico che Leonardoimmortalò.Talvolta, se si fa attenzione, si sentonoanche le voci delle sigaraie. Le sentite?. So-stano nel Cortile dell’Orologio, consu-mano il loro intervallo con gli occhi aquelle lancette.Raccontano dei loro amori, dei loro af-fanni, dei loro dolori.In quel cortile si intrecciano tante vite:uguali e diverse. In questo cortile, e ora anche negli altri,altre voci, non più toscane, non più fioren-tine! Sono voci che vengono da case di-strutte, da paesi sconvolti, da persone chehanno perso familiari, le loro cose, il senso

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Due cose non si possono perdonare nelrapporto tra un uomo e la sua cra-vatta: che la parte posteriore piùstretta superi quella anteriore piùlarga e che la lunghezza dell’accesso-rio, quando si è in posizione eretta, siasuperiore al mezzo centimetro dallacintura. In questo secondo caso esisteun’aggravante ulteriore e cioè che lacravatta sia talmente lunga da renderenecessario l’inserimento della stessa

all’interno del pantalone. Un criminecontro il buongusto che pareggia il cal-zino bianco coi sandali. Peraltro larealizzazione di un nodo da cravatta,soprattutto se non ci si cimenta innodi particolari, è attività che richiedenon più di un minuto o che, un amicoo una segretaria, sono sempre in gradodi fare se proprio si è imbranati. Ep-pure i crimini sopra descritti non sonocosì rari come ci si dovrebbe auspicaree non ne sono esenti uomini pubbliciche dovrebbero prestare attenzionealla propria immagine, prestandone(spesso) così poca al proprio agire. Ul-timo caso da noi documentato quellodel neosindaco Nardella che, offrendole chiavi della città all’artista Penonein mostra al Forte Belvedere, si è fattoimmortalare con una vistosa cravattarossa a piccoli pois bianchi decisa-mente lunga e infilata nel pantalone.Visto che il renzismo si caratterizzaanche per una retorica del moderno edel computerizzato consigliamo alsindaco di scaricare una delle innume-revoli app che insegnano a fare il nododel prezioso accessorio.

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imbecille (noi pen-siamo di sì) tutta la vicenda potremmodefinirla una grullaggine. E fin quinulla di male, ognuno è libero di faretutte le bischerate che vuole, basta che lefaccia con i suoi soldi. Invece no il Vin-ceti è ospite gratuitamente di un appar-tamento di proprietà del Comunedell’Argentario, che gli ha elargito65.355,63 euro per realizzare un orri-bile tomba per le ossa caravaggesche ,poi lo ha nominato presidente di unaFondazione Caravaggio e gli concedealtri benifit. Ma tutti quei benestantiproprietari di ville nel comune non sisentono offesi? Loro che per anni hannovotato sindaco la Susanna Agnelli e, so-prattutto, non si rendono conto che fatticome questi abbassano il valore immo-biliare delle loro casette: Lasciamo starela cultura, ma almeno, colti nel portafo-glio dovrebbero ribellarsi e se non è nelloro stile scendere in piazza scendanoalmeno dalle loro barche. Ci dimentica-vamo di ricordare che il Vinceti è amicodel Denis Verdini, amicizia incompren-sibile visto il primo scava per trovarescheletri e il secondo fa di tutto per na-scondergli nel primo armadio che gli ca-pita.

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

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“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

All’imbecillità non c’è limite: cosa ri-saputa. Tal Arturo Cerulli, sindacodi Monteargentario, famoso solo perla grande marcia che lo ha condottoa tappe forzate dal PCI al NuovoCentro Destra, ha ideato insieme atal altro sig. Silvano Vinceti la realiz-zazione del Parco Funerario di Ca-ravaggio. Vinceti è, purtroppo, notocome necrofilo profanatore di tombeignote, come è il caso degli scavi inSant’Orsola a Firenze alla ricercadelle ossa ridens della Gioconda.Senza nessun risultato (in questi casiè d’obbligo chiedere: ma chi paga?).Del Cerulli e del compare Vinceti cene parla in un gustoso articolol’amico criticoestremo Tomaso Mon-tanari sul Fatto Quotidiano di sa-bato scorso. Il Vinceti ha “studiato”(si fa per dire) delle ossa trovate ca-sualmente nel 1956 ed ha deciso cheappartengono a Caravaggio morto aPorto Ercole il 18 luglio 1610, laprova scientifica è il solito DNA deipoveri resti confrontato con quello dipersone che oggi portano il nomeMerisi (quindi, dice il Vinceti, possi-bili discendenti di Caravaggio): ilgioco è fatto! Se grullo fosse peggio di

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

L’apertura del primo piano del Mercatocentrale e la nuova dinamica presidenzadell’Opera di San Lorenzo hanno movi-mentato, ben più del classico cocomero diSan Lorenzo, l’area dove insiste la Basilicacon iniziative e proposte che, pur con di-chiarati intenti commerciali, muovono per-sone e attività. Così la scorsa settimana èandata in scena, una serie di iniziative spet-tacolari dedicata all’anniversario della tra-slazione delle spoglie di Michelangelo daRoma a Firenze. Storia avventurosa que-sta, che come spesso accade, si sviluppa traleggenda e realtà. Insomma ingredienti per-fetti per una messa in scena spettacolare,che non declama e non pretende di vendersicome verità storiche o grandi scoop dellastoria dell’arte, come taluni cercatori d’ossao di affreschi che hanno imperversato incittà. Dunque una bella serata a cui, natu-ralmente, non è mancato il contributo delprincipe della rievocazione storica, dellatradizione e dell’anedotto: Eugenio Giani.Così lo abbiamo visto immortalato ac-canto ad un carro trasportante un Gian-carlo Cauteruccio in vesti quattrocentesche,intrattenere le folle festanti con racconti distoria cittadina come solo egli sa fare. Aquesto punto, tardando l’incarico romano,proponiamo a Giani di fare di questo senon una professione, un dilettevole secondo(o terzo, o quarto) lavoro. Insomma mettasu una compagnia di giro, con costumiquattrocenteschi e si aggiri tra turisti e visi-tatori narrando le gesta dei grandi dellacittà, in attesa che prima o poi qualcunonon proponga la di lui celebrazione comeoggi quella dei grandi del passato.

Il tombaroloLA STILISTA DI LENIN

Nardella,Penonee la cravattanel pantalone

Un tempo si sarebbe definito come molto “scollacciato” il romanzo di Furlan, o anche sisarebbe detto che non aveva “peli sulla lingua”. Ma ambedue queste locuzioni sono desuete,ci sono ben altre definizioni per i nuovi comportamenti e gli”stili di vita” nei nostri paesi!Le storie narrate da Furlan si svolgono in una delle tante piccole città poste ai lati del Po, ilsuo nome è Goderia di Sotto, ed è luogo dedito ai piaceri della tavola e del letto. Quattrosignore procaci, fra i trenta e i quaranta, sono titolari di altrettante attività commerciali, leinsegne dei negozi hanno nomi ammiccanti: “Depilatutto” - centro di bellezza totale, “Ilmeglio Culatello ” - insaccati, affettati per ogni gusto, “Spalma e lecca – aceti balsamici pertutti gli usi. “Gratta e godi” - i migliori formaggi di Goderia e dintorni. Si può intuire qualie quanti giochi possano svolgersi nelle botteghe e soprattutto nei retrobottega. Le protago-niste si chiamano: Miranda, Samantha, Carlotta, Jessica con esplicito riferimento a Sexin the city. Abbiamo letto tutto questo nell'ultima di coperta perché il libro si vende in uninvolucro sottovuoto che, oltre al volume, contiene: buono per una depilazione a “luce pul-sata”, fetta di autentico Culatello di Zibello, campioncino di Grana a pasta dura, piccolaampolla di aceto del 1969. Visto il prezzo (400 euro) abbiamo preferito lasciarlo sul banco,pardon sullo scaffale.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

MichelangeloGiani

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di John Stammer

Le dimensioni sono quelle di unisolato urbano di una città difondazione ottocentesca, mal’edificio residenziale progettato

da Gabriele Balli a Novoli è rimastoorfano della città.Esso infatti campeggia solitario al-l’incrocio fra via Gemignani e via Ba-racca, proprio dietro la sede dellaCaritas, ignaro che la restante partedell’intervento di edilizia residen-ziale, in parte pubblica e destinataall’affitto convenzionato, di cui essofaceva parte, è stata cancellata dalnuovo Piano Strutturale.Ma l’edificio mostra di non fare casoa questa sua esistenza solitaria, e anziquesto isolamento ne fa risaltare al-cune delle caratteristiche principali.Un isolato-edificio, come affermaAlessandro Gioli nella presentazionedel progetto sulla rivista di architet-tura Opere, nel giugno del 2005, enon un edificio isolato. Un edificio,completato nel 2004, che contiene150 alloggi di edilizia residenzialedestinati alle persone meno abbienti. 85 alloggi sono di proprietà del co-mune di Firenze, che li ha assegnatiagli aventi diritto della graduatoria diErp (Edilizia Residenziale Pubblica),e 65 sono di proprietà privata, e de-stinati ad edilizia residenziale con-venzionata, e quindi con affitti, ocosti di acquisto, più bassi rispetto almercato ordinario.L’intervento è frutto di un accordofra la proprietà e l’amministrazioneche, agli inizi di questo secolo,sbloccò una situazione che aveva, difatto, impedito la realizzazione del-l’intervento, il cui progetto risale al1997. Si decise infatti di unificare, inun edificio, le diverse modalità di fi-nanziamento, e così l’edificio nacquesostanzialmente suddiviso in dueparti; ma questa differenza non si ap-prezza nella visione generale. Il progettista ha infatti cercato, e tro-vato, un linguaggio architettonicoelegante, e ha operato per sottrazioninel grande volume dell’edificio. Lemisure dell’edificio sono infatti im-portanti per una città come Firenze.L’impronta a terra misura metri 50per 60 e l’altezza è di circa 27 metri,con 6 piani per residenze oltre ilpiano terra in parte commerciale.Balli ha operato “quasi scavando” ilgrande volume e ne ha ricavato loggesui fronti principali, ha inventato ilgrande vuoto del portale, che iniziadal primo piano e arriva al quinto,sulla facciata di via Gemignani, hasottratto volume in ogni luogo dovefosse possibile, compreso le parti in-terne della grande corte, dove si ri-presentano logge e arretramenti. Einfine ha giocato sull’arretramento diparte dei fronti principali. L’inter-vento si presenta così con quattrofacciate principali, ognuna dellequali diversamente progettata, matutte che alternano due diversi mate-riali di finitura esterna: il mattonefacciavista e l’intonaco bianco.

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

La combinazione di queste due fini-ture consente una varietà di soluzioniche esaltano il ruolo chiaroscuraledell’intonaco e la linearità del mat-tone facciavista, a sua volta arricchitada ricorsi orizzontali, quasi dei mar-capiano, in mattoni di colore piùscuro.La grande corte interna, sulla quale siaffacciano gli spazi commerciali sullato di via Gemignani, completa-mente intonacata in bianco, na-sconde, nel suo sottosuolo, leautorimesse per le residenze.Un edificio di grande dimensione edi grande compostezza lessicale, cherifugge dalla ricerca di gesti eclatanti,ma persevera nella ricerca di una li-nearità formale, presente nell’interocomplesso e nei suoi particolari co-struttivi.Un edificio realizzato sia con risorsepubbliche sia con risorse private (perla residenza convenzionata), che ac-cresce il grande patrimonio di resi-denze pubbliche della città, che nelprimo decennio del secolo scorso, siè arricchito di quasi 1000 nuovi al-loggi.

Unorfanopersonellacittà

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L’arte Contemporanea si nutredella materia, muovendosi nelvasto labirinto della dialetticacomunicativa contempora-

nea: l’artista ne orienta le sorti in nomedi una sperimentazione continua, inquanto ricerca complessa e organica diun’opera d’arte capace di porsi a metàstrada fra la riflessione e l’emozione delgesto artistico, che coglie il lettorenell’intimo della propria coscienza. Nell’opera di Mattia Crisci la materiadiviene una poetica espressiva, ungioco di mescolanze e simbiosi, in cuisegno, spazio e colore dominano i sup-porti, in un virtuosismo alchemico dalforte sapore emotivo. Materia e formaregolano i rapporti fra i vari linguaggiinsiti nell’opera, al fine di creare unTutto omogeneo, intenzionale e rifles-sivo, ma al tempo stesso dettato dal pa-thos estemporaneo della creazioneartistica; i contenuti formali si leganoalla forte espressività; le continue me-tamorfosi interpretano e decifrano ilsentire quotidiano, come ritmi vitali edesistenziali da realizzare e concretiz-zare nello spazio infinito dell’Arte; iforti cromatismi – uniti alla tecnica del

collage – mettono in evidenza le sim-bologie, nuove e inedite, che di voltain volta emergono con forza estetica epreponderanza intellettuale; la speri-mentazione materica e segnica si qua-lifica come una lucida riflessione sullostatuto dell’Arte e sulla capacità dell’ar-tista di mettere in luce i particolarismidi una contemporaneità difficile da co-gliere e da decifrare. L’astrattismo chene deriva si riappropria dello strettorapporto simbiotico che lega l’autoreallo spazio dell’opera, in una continuitàtemporale che vanifica le distanze vi-tali fra il gesto artistico e il tempoumano.Le opere d’arte di Mattia Crisci por-tano in sé i segni culturali di una duratache scorre inesorabile: la sabbia siamalgama al collage e al colore acrilicoalla ricerca di significati ignoti e lontanidalla percezione realistica quotidiana.Al lettore non resta che lasciarsi tra-sportare nel mistero del gesto artisticoe dell’infinità del tempo e dello spazioestetico, interpretando la capacitàespressionistica, segnica e matericadell’artista come un’archeologia,astratta, incorporea e a tratti epifanica,nella consapevolezza di trovarsi difronte a una poetica in continuo dive-nire.

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

In alto a sinistra Canto 1°, Tecnica mista, sabbia, collage e acrilici su tela, cm. 80x80. A destra Inno alla gioia, Tecnicamista, sabbia, collage e acrilici su tela, cm. 60x60. Sotto a sinistra Napoli, Tecnica mista, sabbia, collage e acrilici su telacm. 30x30 e a destra Word, Tecnica mista, sabbia, collage e acrilici su tela, cm. 60x60Tutte courtesy dell’Artista

Quando la materiaMattiaCrisci si fa poesia

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di Sudek non gli impedisce di continuare a fotografare la suacittà, percorrendola a piedi con la pesante fotocamera sullespalle, e di fotografarla in maniera forse ancora più coerente ecosciente di prima, meno attento agli aspetti più folcloristici,più sensibile e curioso dei particolari e dell’essenza delle cose.La Praga magica di Sudek non è quella letteraria di kafka e nonè neppure quella cantata da altri poeti, è una cosa profonda-mente diversa. Si potrebbe quasi dire che Praga è Sudek, e cheSudek è Praga.

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Fra certi esseri umani e certi luoghiesistono dei rapporti che spessovanno oltre il senso di apparte-nenza o di identificazione, e che li

rendono in qualche modo complemen-tari fra di loro. Così si formano dei bi-nomi che appaiono inscindibili, frapersonaggi dotati di forte personalità,acuta sensibilità e profonda cultura eluoghi, spesso intere città, che appaionocristallizzati nelle visioni che tali perso-naggi ne hanno offerto. Molti autori silegano in maniera inscindibile ai luoghidescritti nelle loro opere, sia pittoricheche letterarie, tanto che non appare pos-sibile evocare i primi senza evocare nellostesso tempo i secondi. Questo rapportoappare forse ancora più chiaro nell’operadei fotografi, per i quali non esistonoscorciatoie o licenze poetiche. Contra-riamente agli scrittori ed ai pittori, i fo-tografi non raffigurano città ideali oluoghi immaginari, più o meno trasfigu-rati dalla fantasia ed appannati dal ri-cordo, ma città e luoghi profondamentereali, dove la luce è l’unica variabile pos-sibile e la scelta del momento della ri-presa è l’unica alternativa concessa. Diqueste “liaisons” fra fotografi e città sene potrebbero citare a dozzine, partendoad esempio da Atget. Cosa sarebbeAtget senza Parigi, e come sarebbe Parigisenza Atget? Ma forse un esempio an-cora più stringente, anche se meno noto,è rappresentato da Praga e dal suo foto-grafo Josef Sudek (1896-1975). Orfanodi padre fino dall’età di tre anni, il quat-tordicenne Josef Sudek arriva a Praga nel1910 per diventare rilegatore, cominciaa fotografare nel 1913 per passione eparte per la Grande Guerra con la sua fo-tocamera, ritornandone nel 1916 muti-lato e privo del braccio destro. Diventaquindi fotografo professionista, fre-quenta l’ambiente culturale ancora inparte dominato dal pittorialismo, ma giàaperto allo spirito delle avanguardie, edarriva ad aprire un proprio studio nel1927, collaborando in seguito con unacasa editrice. Come Atget (ma il paral-lelo è del tutto casuale) predilige i grandiformati, che lo aiutano a catturare la ni-tidezza assoluta e le inquadrature rigo-rose, ed ai ritratti che esegue per lavoroassocia tutta una serie di ricerche perso-nali. Il secondo conflitto mondiale e l’oc-cupazione nazista, seguita dallainvadente presenza sovietica, lo spin-gono a confinarsi nelle sue stanze, doveapprofondisce il rapporto intimo con lecose che lo circondano, gli oggetti quo-tidiani, gli scorci ripresi dalla finestra, ilpiccolo mondo tranquillo che diventa aisuoi occhi un microcosmo ricco di oc-casioni. Sudek incontra se stesso, il suoio più profondo, in una maturazione ob-bligata che rende le sue immagini uni-versali, proprio perché prive di qualsiasiforma di retorica, formalismo o pretesaestetica ed artistica. Le sue immaginisono tranquille, meditate, forti, essen-ziali, nella loro apparente semplicitàsono lontanissime dalla banalità, sono lospecchio di un rapporto profondo fra lecose e la loro percezione. L’isolamento

OCCHIO X OCCHIO

di Danilo [email protected]

La Pragamagicadi JosefSudek

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Nietzsche. Immergersi troppo profon-damente nella Recherche può portare apensare che questa cura possa essere ef-ficace, ma vorrebbe dire non aver capitoqual è il vero fuoco dell’opera prou-stiana:il problema della memoria.Nell’accezione di Bergson, cioè quelpunto di intersezione tra lo spirito ela materia. Certo, Proust era preoc-cupato dello stato della sua memo-ria e per questo si rivolge ad unmedico specializzato (il dott. Sol-lier, autore di opere sull’argomento). Maper ritrovare il tempo perduto, occorrericostruire la grande architettura dellamemoria. Una memoria vacillante,piena di vuoti, ma anche di ritorni invo-lontari eppure straordinari (le epifanie,come le “classiche “Madeleine” o lameno nota ma credo più significativacostituita dalla frase musicale di Vinte-uil). Una memoria la cui stessa condi-zione è l’oblio di un certo numero di statidi coscienza che appunto riemergono eci permettono di ricomporre la memo-ria frammentata. Ma ricordare vuol direanche entrare in dimensioni scono-sciute, inimmaginabili, inconcepibili. E’il caso della musica. Ecco Marcel nelprimo volume “La strada di Swann”:“Forse perché non conosceva la musica,aveva potuto provare un’impressione

così con-fusa, una di quelle im-pressioni che pure son forse le solepuramente musicali, inestese, affatto ori-ginali, irriducibili a qualsiasi altro ordined’impressioni. Un’impressione di questogenere per un attimo è per così dire sinemateria. Senza dubbio, le note cheudiamo allora tendono già, a secondadella loro altezza e quantità, a coprire di-nanzi ai nostri occhi delle superfici di di-mensioni varie, a tracciare arabeschi, adarci sensazioni di vastità, di tenuità, distabilità, di capriccio”. La musica, in-somma, esiste per sé e il musicista che laesegue non aggiunge niente a quell’esi-stenza di cui noi possiamo cogliere soloattimi e sensazioni, eppure tanto straor-dinarie da aprirci mondi inimmaginabili.

Forse, la Recherche è essastessa cura della malattia nella

quale è caduto per tutta la suavita Marcel e nella quale, tal-

volta, anche politici e ammini-stratori – come ogni altro essere

umano – può cadere per brevi mo-menti. Difficile da diagnosticare

con la medicina, sicuramente vi èandato più vicino Alain de Botton

che ad esergo del suo libro ha ripor-tato questa frase: "L’infelicità è fra le

cose cui il genere umano si applica conpiù impegno e dedizione".

Non so quanti siano i politici che, ve-nuta meno la vita intensa fatta di cosemolto concrete e materiali della vita am-ministrativa, si siano perduti nell’uni-verso proustiano (qui in redazione neabbiamo alcuni), ma forse vi è qualcosadi non casuale (o epifanico) in questotrapasso: dal mondo in cui conta, valesolo il possibile (per quanto difficile ecomplesso), ad un mondo dove significasolo ciò che è impossibile, inconcepibile,ignoto.Possiamo fare solo i nostri più sinceri au-guri a Gianni Gianassi perché l’ingressonel mondo di Proust è come l’entratanella giungla oscura e ignota di unmondo a parte, quello dell’anima, in noistessi.

di Franco [email protected]

ANGOLO PROUSTIANO

Ci ha sorpresi (favorevolmente)tutti in redazione l’incipit dell’in-tervista dell’ex sindaco di SestoFiorentino, Gianni Gianassi, a

l’Unità Toscana del 16 luglio scorso nelquale dichiarava: “Non sono in cerca diposti. Sto leggendo “Alla ricerca deltempo perduto” di Marcel Proust: homolto tempo”. Gianassi è un uomo tuttod’un pezzo, con una solida carriera dalPCI di base fino alla guida di un grandeComune di forti radici operaie della To-scana “rossa”; un amministratore che hadedicato l’intera sua vita fin qui ad af-frontare e risolvere i problemi della suacomunità. Una di quelle vite che lascia-vano ben poco tempo per letture estesee impegnative come l’oceano Proust.Dunque, quando è venuto meno il suoimpegno pubblico totalizzante, Gianassiha svoltato radicalmente e si è tuffato nelmare magnum della Recherche. Noi, quia Cultura Commestibile, possiamo testi-moniare della vastità e profondità diquesto mare e da fanatici proustiani pos-siamo confermare quanto scriveva Alainde Botton: Proust può cambiarti la vita!Dunque, accogliamo con grande piacereGianassi nel club dei proustiani per vo-cazione. Avvertendolo di alcuni rischinella navigazione. Intanto, come scrivevaGiovanni Macchi nell’introduzionedell’edizione einaudiana, la Recherche èla grande opera di un malato. Ma non sitratta solo o tanto di una malattia delcorpo; Proust non entra in clinica perfarsi curare l’asma. E’ l’anima sua malataed egli sceglie l’isolamento volontariocome cura del suo male. Come Demo-crito, Timone d’Atene, Pascal, Rousseau,

di Simone [email protected]

Fra le antologie di poesia tematica dinuovi poeti si evidenzia “Gli animalinella nostra vita”, a cura di Franca MariaMaggi e Franco Latino, Latmag editore,Bolzano 2003. Nella presentazione Sil-vano Demarchi scrive:“Sono sempre entrati nella poesia, findall’antichità quando attraverso la favola(Esopo, Fedro) erano chiamati a rappre-sentare fondamentali atteggiamenti dellapsicologia umana, o quando, come gliuccelli per la loro grazia, il canto e il fattodi librarsi nel cielo, ispirarono i poeti cheli cantarono in versi divenuti immortali.Così presso i lirici greci “dorati uccellidall’acuta voce” per venire alla nostra tra-dizione lirica da Dante (come colombedal desio chiamate) al Petrarca (quel rosi-gnuol, che sì soave piagne) al Leopardi(passero solitario, alla campagna vai fin-ché non more il giorno) al Pascoli che neimitò onomatopeicamente le voci, a Sabache vi dedicò una sezione, gli uccelli co-stituirono sempre un momento felicedell’ispirazione, divenendo simbolo dipurezza, di grazia, di libertà, di ascen-sione spirituale.

ANIMALI IN POESIA

Ma anche gli animali amici dell’uomo, ilcane (si pensi che alcune poesie d’amoredi Rilke che parevano ispirate da unadonna riguardavano invece il suo cane) oil gatto prediletto da Baudelaire, il cavallosimbolo di vitalità; il toro che simboleg-gia la forza contro cui l’uomo vuole avereil sopravvento (dalle tauromachie cretesialle corride spagnole) o gli animali eso-tici e marini, tutti accesero in un modo o

nell’altro la fantasia dei poeti che li canta-rono. Queste non sono che alcune dellereminiscenze letterarie che ci vengono inmente, ma ve ne sono molte altre, forsepiù cospicue, del bestiario che popolò lapoesia di tutti i tempi.L’animale, dunque, come elemento im-mancabile del paesaggio, a cui il poetas’ispira e come simbolo, variamente in-terpretabile, delle componenti psichichee spirituali dell’uomo, amico e compa-gno del suo viaggio terreno, nella poesiae ancor più nella narrativa, non potevamancare”. Fra i poeti presenti nell’antolgia spicca,insieme ad altri, Anna Ventura di cuidiamo alcuni dati biobibliografici.Nata a Roma, da genitori abruzzesi. Vivea L’Aquila. Scrittrice, poetessa e saggista.Laureata in Lettere classiche a Firenze,agli studi di filologia classica - mai abban-donati - ha successivamente affiancatoun’attività ài critica letteraria e di scritturacreativa. Ha pubblicato sette raccolte dipoesia. sei di racconti, due romanzi, seivolumi di saggistica. Ha curato cinqueantologie di poeti contemporanei. Haconseguito vari premi, tra cui quello dellaPresidenza del Consiglio dei Ministri, ilTagliacozzo, il Chianti, il Lerici-Pea,

Anna Ventura e l’ordine naturalel’UTET. l’Esuvia per la poesia; il Giusti-Monsummano, il Parise, il S. Margheritaper la narrativa: il Tagliacozzo per la cri-tica. I suoi diari sono depositati pressol’Archivio Nazionale del Diario di PieveSanto Stefano (AR). È socia del P.E.NClub Italiano.Nella poesia Topo d’autunno la poetessacoglie in modo mirabile l’ordine natutalesotteso alla corsa del mus e che presiedealla tessitura dell’”arazzo d’oro della sta-gione colma”.

Topo d’autunnoTra noci e ghiande corre il piccolo topo - mus -con l’occhio nero come un punto. Non è, la sua,una corsa confusa, egli insegue un sicuro richiamo, traccia un percorso perfetto. Tutto il rossodelle foglie d’autunno, il biancodelle nebbie, i fumidella terra nera,il riccio verdedella castagna che si spaccavanno con lui, intessono- insieme - l’arazzo d’orodella stagione colma.

BenvenutoGianni

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gisti francesi Jean-Philippe Clarac eOlivier Deloeuil riprende i principidel teatro ambulante, combinato con

i codici contemporanei dell’installa-zione d’arte in situ.A seguire, dal 25al 29 luglio, ci sarà la commissionedal 39° Cantiere Internazionaled’Arte al compositore francese PierreThilloy,  I falsari (Les faux-monna-yeurs), opera ispirata al celebre ro-manzo di André Gide. Il progettomultimediale vuole coniugare esecu-zione musicale dal vivo ed espres-sione virtuale. L’esecuzione è affidataal collettivo artistico-musicale kords,composto da quartetto d’archi, pia-noforte, elettronica e dai 7 perso-naggi che agiscono sulla scena; ladirezione musicale è di Vincent Mon-teil, la regia di Guy-Pierre Couleau.Sulle sperimentazioni de “I falsari”, siinnesta una nuova concezione dellesonorità destinate al teatro lirico. Levoci sono elaborate con il supporto

dell’elettronica; le esecuzioni, prece-dentemente realizzate, sono digitaliz-zate e trattate in sede dipostproduzione: le tracce così rila-sciate vengono riprodotte durante larappresentazione teatrale in versioneaudio/video e interagendo con la re-cita che si svolge dal vivo. Analoghesequenze elettroniche arricchisconoanche l’interpretazione acustica degliarchi e del pianoforte suonati in tea-tro, per esplorare e al contempo scar-dinare i confini dei diversi stilimusicali. La coproduzione è siglatada Fondazione Cantiere Internazio-nale d’Arte e Comédie de l’Est-Cen-tre Dramatique National d’Alsace ekords (Mulhose),  con il sostegnodella Fondation Catherine Gide. Perinformazioni sul programma com-pleto www.fondazionecantiere.it

C.com

Dopo l’inaugurazione conl’opera lirica, in versione rock,Orfeo ed Euridice  di Gluckinterpretata dal giovane regi-

sta Stefano Simone Pintor, entra nelpieno la 39esima edizione del Can-tiere Internazionale d’Arte, che sisvolgerà tra Montepulciano e le Terredi Siena fino al 2 agosto 2014. L’edi-zione è dedicata al tema dell’aria, e ar-ricchisce la trilogia degli elementiguidata da Vincent Monteil, direttoreartistico, e da Roland Böer, direttoremusicale: in programma 53 appunta-menti, con 290 artisti provenienti datutto il mondo, e 9 Comuni coinvolti,tra cui il Concerto Sinfonico Coraleche quest’anno si tiene a Siena, inPiazza Duomo, a sostegno di SienaCittà candidata a Capitale Europeadella Cultura 2019.  Dice VincentMonteil: “Attraverso l’aria si propagail suono e si diffonde la musica; il re-spiro alimenta la voce e gli strumentia fiato. L’aria è inafferrabile come lafantasia compositiva: non si può de-limitare, poiché è energia di pensieroe rappresenta gli ideali umanitari, lafratellanza e la libertà di Montepul-ciano, della Valdichiana e dell’Europatutta. Ecco perché voglio dedicare il39° Cantiere alla candidatura di Sienaa Capitale Europea della Cultura, per-ché sia di buon auspicio per il suc-cesso di questa grande sfida”. Tra gliappuntamenti, stasera e domani 20luglio, nel centenario della PrimaGuerra mondiale, va in scena Storiadel soldato(Histoire du soldat)di IgorStravinsky, pensata con un allesti-mento itinerante che si muoverà sullepiazze principali di Montepulciano,Sarteano, Cetona e San Casciano deiBagni. La coproduzione coinvolge lacompagnia C&D le lab di Bordeauxcon il sostegno di Institut Français eFondation Igor Stravinsky. Sarà FabioMaestri a guidare l’ensemble cameri-stico Igor Stravinsky, costruito se-condo la prerogativa del Cantiere chepromuove l’incontro tra i talenti localie i professionisti internazionali. Posi-zionando gli spettatori e il loro con-testo quotidiano nel cuore dellarappresentazione, il proposito dei re-

di Sara [email protected]

SCENA&RETROSCENA

Un cantierepienod’arte e cultura

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ovida Itinerari notturniFirenze 2008-2013

LUCE CATTURATA

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICA MAESTRO

Un uomo alto e sorridente, vestito discuro, sale sul palco e inforca gli oc-chiali. Si siede, imbraccia uno stru-mento simile alla fisarmonica e lopoggia sulle gambe. Comincia a suo-nare: a questo punto è chiaro che lostrumento non è una fisarmonica,ma un organetto diatonico.Stiamo parlando di Riccardo Tesi,uno dei maggiori talenti musicali chel’Europa esprima attualmente. Nato a Pistoia nel 1956, Tesi inizia ilproprio percorso musicale alla finedegli anni Settanta, al fianco di Cate-rina Bueno. Questa prima esperienza imprime ilsegno indelebile di una toscanità checol tempo si arricchirà grazie alla col-laborazione con musicisti baschi, fin-landesi, malgasci, occitani e altri.Dopo il primo LP come solista, Ilballo della lepre (Music and Words,1983), Tesi forma il gruppo tosco-sardo Ritmia. Attivo dal 1984 al1989, questo realizza un unico LP,Forse il mare (Robi Droli, 1986). Unlavoro riuscito che meriterebbe di es-sere ristampato. La ricca discografiadel compositore toscano comprendedischi realizzati come solista, altri in-sieme a colleghi europei che suonano

l’organetto e altri ancora come leaderdella Banditaliana, da lui fondata nel1992.Fra i meriti del musicista pistoiese,almeno due devono essere sottoli-neati. Tesi ha riscoperto uno stru-mento che era caduto in disuso,l’organetto, antenato della fisarmo-nica. Inoltre ha riportato in auge ilballo liscio, inserendolo in una pro-posta musicale dove convivono tra-dizione e rock, ritmi mediterranei elatini. Senza dimenticare certe vena-ture jazzistiche confermate da variecollaborazioni.

Il nuovo CD realizzato dalla Bandita-liana, Maggio (Viavai, distr. MaterialiSonori, 2014), è uscito tre anni dopoil precedente Madreperla. La forma-zione è la stessa: accanto a Tesi com-paiono Maurizio Geri (chitarre evoce), Claudio Carboni (sax), e GigiBiolcati (percussioni). Molto più nu-merosi, invece, gli ospiti, fra i qualigli albanesi della Fanfara Tirana e ilgiovane pianista Alessandro Lanzoni,astro nascente del jazz italiano. Men-tre i lavori precedenti erano concen-trati in prevalenza su un immaginarioitaliano, questo è concepito come unviaggio che tocca i luoghi più diversi,con un’interesse particolare per l’areamediterranea.“Maggio del crinale”, tradizionalerielaborato, sottolinea che il legamecon la tradizione toscana conservaun’importanza centrale. Non a casoRiccardo Tesi e Maurizio Geri ave-vano già realizzato un ottimo CD,Sopra i tetti di Firenze. Omaggio a Ca-terina Bueno (Materiali Sonori,2010).In “Scaccomatto”, ritmato strumen-tale composto da Tesi, spicca il piano

di Alessandro Lanzoni. “Galata” citrasporta a “Bisanzio, culla di untempo perduto”. Era impossibile chemusicisti raffinati e sensibili comequesti non venissero colpiti dal fa-scino di Istanbul. Il vascello immagi-nario fa rotta verso ovest toccandol’Europa centrale: ecco quindi “Rosa-munda”, la celebre polka compostada Jaromír Vejvoda nel 1927 (il titolooriginale è appunto “Modranskápolka”).“Merica”, tradizionale dedicato al-l’emigrazione italiana negli StatiUniti, è idealmente collegata a“L’arca e la paura”, dove il fenomenodell’espatrio assume i toni dramma-tici dei nostri giorni. “Mirto”, com-posto da Tesi, è un omaggio allaSardegna. Il conclusivo “Pietrasecca”è uno strumentale struggente dovespicca il vibrafono di Ettore Bonafè,membro fisso del gruppo dal 1998 al2004. Amori, ricordi e speranze si in-trecciano in questa musica che scorrerobusta ma al tempo stesso distesa,caratterizzata da una fusione stru-mentale particolarmente felice. Ilfatto che la maggior parte dei pezzioriginali sia firmata da Tesi non devecomunque mettere in secondo pianogli altri musicisti, ciascuno dei qualifornisce un contributo decisivo.

Un’anima in viaggio

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James Bradburne è personaggiomolto noto a Firenze. DirettoreGenerale della Fondazione Pa-lazzo Strozzi, ha dato un imprin-

ting personale e innovativo alla sedeespositiva più importante della città,dando vita a bellissime mostre, che sicaratterizzano non solo per la qualitàartistica e il respiro internazionale,ma anche per la cura nel renderle frui-bili e godibili da parte di qualsiasitipo di pubblico, con un’attenzioneparticolare al pubblico dei bambini edei portatori di handicap. Anglo-ca-nadese, architetto e museologo, col-pisce per la squisita amabilità deimodi.Come sei arrivato in Italia?E’ una storia lunga. Mio padre era in-glese, con radici che affondavano inGran Bretagna da almeno 800 anni.E’ stato lui a lasciare la patria peresplorare il mondo, ha conosciutomia madre, che era di Vancouver, equesto è, in sintesi, il motivo del miopassaporto canadese. Essendo io ilprimogenito, mio padre non cono-sceva altro modo di educarmi se noncome un piccolo inglese. Così sonocresciuto in Canada immerso nellacultura britannica e, giunto agli studiuniversitari, sono andato in Inghil-terra, il mio secondo Paese. Lì ho ca-pito che, nonostante il doppiopassaporto, non ero inglese. Non loero abbastanza, anche solo per il mioaccento transatlantico. Così, finiti glistudi e dopo avere viaggiato in moltialtri Paesi, ho preso una decisione:quella di diventare uno straniero pro-fessionista. Ovunque viva, la miaidentità resta quella dello straniero.Non sono canadese, né inglese, né,adesso che vivo qui, italiano. E questoessere così profondamente sradicatodefinisce il mio carattere, mi ha datosempre una grande apertura, tolle-ranza, comprensione e curiosità perle diversità.Come hai scelto, infine, Firenze?La scelta dell’Italia è avvenuta moltoprima che arrivassi qui per lavoro. Hoscoperto questo meraviglioso Paesequasi subito, quando sono venuto inEuropa, e me ne sono innamorato perla sua cultura, generosa e flessibile.Non è la cultura tedesca o svizzera: èuna cultura accogliente. Per circa 15anni, sono venuto a Firenze in va-canza, ogni Settembre. Poi, nel 2006,la Fondazione Palazzo Strozzi ha ban-dito un concorso internazionale e lascelta è caduta su di me: la consideroun’enorme fortuna. Un miracolo chemi ha portato a vivere nel luogo doveio e mia moglie (straniera anch’essa)abbiamo sempre desiderato vivere.Invece di aspettare la pensione, hoavuto l’occasione di lavorare qui, inmezzo alla cultura che adoro, svol-gendo la professione che adoro.Qual è la cosa che più ti piace nei fioren-tini?Non so se è virtù dei fiorentini o ditutti gli italiani, ma la gente qui è ac-

HO SCELTO LA TOSCANA

di Annalena [email protected]

James Bradburneuno stranieroprofessionista

mente impossibile per loro. Invece difare sinergia, ognuno guarda il pro-prio orticello e mai l’obiettivo co-mune. Quello che andrebbe valutatoè il risultato: se non sei in prima fila,va bene ugualmente, se il progetto vaavanti. E invece no: qui il risultato ri-mane vittima di invidie, gelosie e con-correnza. Peccato. E’ una cosa che midispiace e a cui non mi abituo: mi sor-prende sempre e non riesco a capirla.Cosa hai portato dentro di te dal tuopaese di origine?Direi una forma di tolleranza che nondefinisce l’identità della persona inbase all’appartenenza a uno stato o auna razza. Il Canada non è un meltingpot come gli Stati Uniti, dove tutte lerazze e le culture si mescolano e quasisi annullano diventando “americane”.In Canada c’è una metafora diversa:si dice che è un “mosaico culturale”;la sua identità è data dalle tante iden-tità delle varie culture che ci vivono.Ecco, questo è quello che mi sonoportato in valigia dal Canada: fare untutto con tante parti diverse. La diver-sità insieme può funzionare, nondobbiamo necessariamente sciogliereed amalgamare tutto. Si può ricono-scere, addirittura evidenziare le diver-sità in un lavoro comune.Ti interessi di politica?Cosa vede il tuo sguardo di stranieroprofessionista quando si posa sullenostre vicende politiche? Come stra-niero professionista , la politica nonfa per me. L’unica parola che io nonposso pronunciare - e questo fa sìche io non possa fare attivamente po-litica, in un certo senso - è la parola“noi”. Nella mia vita non c’è un “noi”abbastanza grande: non un “noi cana-desi”, non un “noi inglesi” e nem-meno un “noi italiani”. Senza il sensodel “noi” non si possono fare barri-cate, né guerre. Potrei forse dire “noiprofessionisti dei musei” ma questogià indica una grande comunità inter-nazionale ed è molto diverso. Certofaccio battaglie di civiltà, sostengo idiritti dei bambini, tanto per fare unesempio, ma è una cosa diversa. Dellasituazione italiana posso solo dire chein questo Paese, dopo la guerra, c’èstato il doppio dei governi che ci sonostati negli altri Paesi europei. C’è unritmo politico febbrile che è di osta-colo ai progetti a lungo termine. Dico Firenze e vedi…Mi vedo camminare sul Ponte alleGrazie e vedo una città quasi perfetta,in sintonia totale con la culturaumana. La sensazione che provo èquella dell’innamoramento. Vedo ciòche osservavo dalle finestre di casamia a Vancouver. Il profilo dei montie il mare laggiù in fondo. Quandopioveva la sottile linea bianca che in-dicava la presenza della neve; e poi legrandi vele sul mare. Una sintonia to-tale con la natura. Ecco: a Firenze c’èl’equivalente dei monti e del mare,creato dall’uomo. Non posso imma-ginare un altro luogo con un concen-trato di ricchezza culturale più diquesta città. Spero di restarvi persempre.

cogliente, ti ascolta. E‘ il loro caloreumano che mi piace. Cosa che nonposso dire dei tedeschi, ad esempio:ho vissuto a Francoforte per 7 annima...ecco, sono diversi.

Senza dubbio. Anche se i fiorentini pas-sano per essere i meno accoglienti tra gliitaliani… E cosa non ti piace di loro?L’incapacità di fare squadra, di lavo-rare assieme. Sembra che sia genetica-

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quanto non era raro che il colpo par-tisse accidentalmente e l’arma esplo-desse in mano allo sfortunato eimperito “caricatore”. Consigliato te-nere la canna verticale e lontano dalvolto, ottimo tenersi pronti a lasciareil tutto alla mala parata. Natural-mente ogni carica vale per un solcolpo la cui potenza distruttiva di-pende oltre che dalla stazza del pro-iettile, dalla quantità e dallacompressione della polvere e ovvia-mente dalla sua qualità, se non bencompressa o umida può causare la ci-lecca e, magari mentre il malcapitatoprova a controllare e rimediare, “loscoppio ritardato”, pericolosissimo.A Chitignano, in provincia di Arezzo,località il Pantaneto, esiste un Museodella Polvere da Sparo e del Con-trabbando, dedicato all’attività dicommercializzazione e produzionedi polvere nera che si svolgeva a Chi-tignano nell’ Ottocento. Il contrab-bando in realtà riguarda il tabacco, ametà del secolo scorso, nel dopoguerra i Chitignanini portavano ta-bacco e sigari in Valtiberina pas-sando attraverso le montagne persfuggire alla finanza. Irreperibili altrenotizie o collegamenti, bisogna an-darci per vedere un po’ di che sitratta!

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nandolo a Tacito: en-trambi “erano dolorosa-mente consapevoli delloro ruolo di servitori diregimi che detestavanoe anche dei possibilirimproveri per non averraggiunto i ranghi del-l'opposizione attivacontro il tiranno”; en-trambi, dunque, inte-riormente divisi ecombattuti, eppure conuna intatta, incompri-mibile umanità. Il ruolo di Von Sengernella messa in custodiadel tesoro dell'Abbazianon è, in assoluto, unanovità. Ciò che è nuova,con il lavoro dei duegiornalisti, è la ricostru-zione della complessatrama che accompagnal'intera vicenda, messain moto – paradossal-mente - dall'ostinazionecon cui i veterani della

Göring hanno per anni richiesto unmonumento al colonnello Schlegel –scrivono gli Autori: forse per riscattare(un po') la fama sinistra della divisione,seconda soltanto a quella delle SS. L'in-sistenza di costoro avrebbe, alla fine,suggerito alla bella figlia di Von Sengerdi riesumare alcuni documenti conser-vati tra le carte del padre per donarli,nell'agosto 2007, al museo londinese emetterli a disposizione degli studiosi.Da qui ha preso corpo I misteri dell'Ab-bazia: chi vuol saperne di più, non se nefaccia mancare la lettura.

ODORE DI LIBRI

di Paolo [email protected]

Il tempo è stato galantuomo e da ga-lantuomo restituisce, a settant'annidi distanza, una diversa verità sulsalvataggio del tesoro dell'Abbazia

di Montecassino che, nel febbraio1944, fu rasa al suolo dai bombarda-menti alleati. La revisione è il frutto dellavoro di due giornalisti, BenedettaGentile e Francesco Bianchini che, conacribia degna della causa, sono partitidalla lettura di un piccolo ma impor-tante documento conservato pressol'Imperial War Museum di Londra persviluppare una autentica inchiesta sto-rica, i cui esiti sono stati pubblicati ne Imisteri dell'Abbazia (Le Lettere, 2014, €14,00). Nell'agosto del 1958 le campane delleabbazie benedettine di tutto il mondosuonarono per rendere omaggio al te-nente colonnello Julius Schlegel delladivisione Hermann Göring, che nel-l'autunno del 1943 aveva portato insalvo le preziosità custodite in Monte-cassino, secondo la versione accredi-tata. In realtà, se è vero che l'ufficialeaustriaco, insieme al capitano medicoMaximilian J. Becker ed in virtù degliordini del comando della divisione,aveva organizzato un convoglio cheaveva raggiunto Roma, è altrettantovero che gli autocarri erano ripartiti,dopo una pausa, in direzione Nord e fu-rono fermati all'altezza di Spoleto perl'ordine perentorio del comandante delxIV Corpo d'Armata corazzato, il gene-rale Frido Von Senger und Etterlin, chene dispose il rientro a Roma con tuttele opere - salvo alcune casse che sareb-bero finite, malgrado tutto e per l'osti- Sa

lvatag

gio de

l tes

oro

di M

onteca

ssino

Dopo

70 an

ni c’è la

verità

a cura di Cristina [email protected]

“Fiaschetta” porta polvere da sparoin corno di bue e ferro, oggetto deli-zioso e piuttosto antico, si colloca frala fine del Settecento e l’inizio del-l’Ottocento. La polvere da sparo è unmateriale esplosivo la cui, dicesi ca-suale, scoperta risale alla notte deitempi, si narra che i cinesi l’abbianousata addirittura prima del 1000 percacciare folletti e spiriti maligni facil-mente spaventati dalle eplosioni lu-minose che essa provocava. Sempre icinesi, forse, i primi a usarla in batta-glia, la avrebbero sparata dall’internodi canne di bambù, cosiddetto“fuoco che vola”. Di strada e mortida allora ne ha fatti! Sia in guerra chein pace, sempre a lei si devono i fuo-chi di artificio e i petardi. Pratica-mente indispensabile per chi usavaun fucile o una pistola ad avancaricain epoche passate, esattamente fino ache Nobel inventò materiali più mo-derni, più deflagranti e micidiali,1870 circa. Vediamo come si dovevafare ad usarla per caricare un’arma: siversava la giusta dose di polvere nellacanna della pistola o del fucile, la sipressava bene con una bacchetta , su-bito sopra doveva esserci o un pezzo

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Dalla collezione di Rossano

Fiaschetta esplosiva

nazione di alcuni fedelissimi, nella di-sponibilità di Göring.La figura di Von Senger, autore diGuerra in Europa (che a suo tempo hoavuto il piacere di leggere), nobile e cat-tolico, anti-nazista ed inviso ai nazististessi, cui devesi la strenua ed efficacedifesa tedesca nella valle del Liri control'avanzata delle truppe alleate, è pre-sente, nel libro, come sullo sfondo, conla stessa discrezione con cui egli ha evi-tato, nei decenni successivi alla guerra,di rivendicare i meriti del salvataggio.Di lui ha scritto Ernest Bloch, parago-

di sughero o uno straccio ingrassato(borra di pezza) e infine una palla, dipiombo o altro materiale, assestatacon colpetti ben misurati la caricaera pronta! Questo procedimentoera piuttosto lento e pericoloso in

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qatuttalavita!”. Bevo in una frazione di se-condo l’antidoto ed esco. Fuori è estate.Culi e cose, cosce e culi nella perenneDanza Metropolitana, noncuranti, comese l’Italia non avesse alcun problema didebito pubblico, come se non avessimoaltro domani al di fuori di questa oscenateatralizzazione. Bene. Visualizzo calen-dari di Frate Indovino e mi munisco difrasi ad effetto, quali: - E’ arrivato il Ge-nerale Inverno! Stempero. Creo uno stra-niamento, un ambiente neutro, unafodera nella torrida canicola. Così pon-dero e sentenzio, a futuro memento,mentre tremola l’asfalto in simbiosi alco-lica, nall’animismo corretto e giusto dellecose fatte come Cristo comanda. Il di-scorso è che il pantaloncino dovrebberoindossarlo donne in sovrappeso, vecchie,gente con problemi seri di cellulite, gotta,varici. A ricordarci la decadenza dellemortali spoglie. Ad ammonirci. A ram-mentarci. Non ‘ste ragazze leggiadre, nonqueste mamme scontente ma toniche,nell’epoca dell’avvitamento delle mono-gamia. Tutta questa Grazia del Signorescarnificata non è commensurabile, néfruibile, men che meno contemplabile.La formosa e flessuosa irruzione delladonna in pantaloncino che investe il

campo visivo di uno sventurato passanteè roba che attiene al sovrasensibile, non èesperienza che può darsi senza conse-guenze. Diamine! c’era un motivo setutto questo ben di Dio è stato occultatoin un passato sano e consapevole! E’ undolore sordo a livello del plesso solare,una forma di kierkegaardiana angosciaquella che attanaglia il maschio alla gola,a cui non rimane che l’imprecazionesorda, implosa, digrignata fra i denti. Simaledice Venere, la deità. La si continuaa maledire dalla Notte dei Tempi. Lustrifa, quantomeno c’era il fischio, per gli ita-liani del “boom” economico, una formatollerata di celebrazione della magnifi-cenza della Natura. Adesso neanchequello…troppo volgare, troppo parteci-pata questa regressione animalesca. Ilminipantoloncino, quando incontra

l’ambiguità del Bello, precipita l’osserva-tore su un piano differente della realtà -una sorta di non dualità kashmira, - po-nendolo in un multiverso metafisicosenza le adeguate contromisure. Quest isperimenta un barlume di spiritualità ul-traterrena nel paradosso della coscionatornita. E’ la Padella Metafisica, quellache rosola e griglia i peccatori. E fa moltomale la Padella Metafisica, amici! Cuoceil Male ed il Bene nel loro pre, un istanteprima del loro farsi o manifestarsi me-diante l’incarnato. Il Canto Angelicosotto forma di culo e coscia è calco e im-pronta del Divino, manifestazione cheper quanto disgraziata e imperfetta(come il piede grifagno di Mefistofele),finisce tuttavia - per queste dimensiona-lità, - con l’essere fatale al maschio cauca-sico.Che fare? La soluzione me l’ha data ilbarman. Mantra. C’è una speranza.burqatuttalavita burqatuttalavita burqa-tuttalavita burqatuttalavita burqatuttala-vita burqatuttalavita burqatuttalavitaburqatuttalavita…Dalle parti dell’infinito, si riveste il Cru-dele.PS: Ma secondo voi, chi ha visto vera-mente un angelo, lo ha trovato: bello?

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piedi una delle arti più tipiche della fio-rentinità medicea: restauro e falegna-meria, che danno lavoro a tanti operai–artigiani, avviando i giovani (pur-troppo pochi per le tante difficoltà bu-rocratiche) al “lavoro vero”, quello dibottega. Insomma un modo per rimet-tere al centro della produzione localel’arte delle lavorazioni manuali, anchequelle che hanno ormai hanno bisognodi macchine, come il fabbro, il cotto ola ceramica. Ultimamente si è aggiunta

l’arte culinaria (anche regionale,pu-gliese e siciliana oltre che ovviamente‘nostrana’) , con cuochi che lavoranocome chef o semplici signore appassio-nate di cucina .Tutto si svolge ad ogniprimavera, nella cornice del giardinoprofumato di lavanda e di limoni, operadi Gherardo Silvani . Passando ai numeri in questa vente-sima edizione sono stati presenti 46mestieri diversi e altrettanti artigiani allavoro. L’attivismo di Giorgiana Cor-

FATTO A MANO

di Anna Maria Manetti [email protected]

Quando gli aristocratici svolgonoil loro vero ruolo, fatto non fre-quente, qualcosa di utile si rea-lizza. D’altra parte nei secoli

passati essi furono committenti digrandi opere d’arte, essendo, d'altronde,gli unici investitori possibili per culturae mezzi economici. Tuttavia lo furonospecialmente in Italia e in Toscana dovel’aristocrazia, di origine mercantile eagraria, ebbe sempre stretti rapporti col‘popolino’ dando e ricevendone cul-tura. Ebbene i venti anni di Artigianatoe Palazzo che si sono festeggiati recen-temente, cioè della mostra-mercato diartigiani che presentano i loro lavori ele loro attività ‘in diretta’ nel giardinoCorsini sul Prato (con ingresso da viadella Scala) sono , in maniera aggior-nata, la testimonianza di questo rap-porto. Giorgiana Corsini amal’artigianato nel senso proprio, cioè diquello che “si fa con le mani”,parole sue,che implica vera conoscenza dei mate-riali e delle tecniche. In questi anni, ogniprimavera abbiamo visto allargarsi lospazio per gli artigiani, fino a compren-dere ogni angolo del grande giardinoper le loro botteghe. Si è andati dai cap-pellai di Signa, con la lavorazione dellapaglia, ai cestai, agli orefici o produttoridi bigiotterie d’arte, ai vetrai, agli stam-patori e decoratori, ai restauratori, allasartoria, ai ricami .Tutte ditte piccole omedie (fra i ‘grandi’ l’argentiere Pagliai,le vetrerie Locchi, la profumeria di S.Maria Novella) ma tante altre meno co-nosciute che costituiscono le vere sco-perte come i liutai, e gli specialisti dellepietre dure che cercano di tenere in

Questa stramaledetta moda del “mini-pantaloncino” è uno strumento raffinatodi tortura. Torco il collo a destra e amanca come un disgraziato animale allaccio. Cosce tornite, cosce muscolose,polpacci, glutei in evidenza. E’ una dan-nazione dell’anima. Raschia la vita men-tre rischio la vita: la rischiamo io e il miostramaledetto scooter. Evito pali, marcia-piedi, cartelloni, passanti, pensionati, car-rozzine, sacerdoti, cassonetti, postini,pioppi e cani, tanti cani …mi è ancoraandata bene. Ma così, non posso e nonpossiamo continuare. Al bar, io e lo sven-turato ragazzo dietro al bancone, stiamoin comunicazione telepatica, lo sguardotorvo in direzione aperitivo, come fossedavvero quella l’ultima cosa da fare almondo: il miscelare con cura liquidi eghiacci - lui - col mio fondamentale con-tributo di concentrazione contemplativa.Il mesmerismo quale unico antidoto al-l’orda di ragazzine minipantaloncinateche invade il locale. Cosce e culi, culi ecosce. Cosce di culi e culi di cosce.- Potrebbero essere le nostre figlie.Ce lo comunichiamo secondo la tecnicadell’abduction.Il barista mormora qualcosa mentre siappresta a “servirle”, mi fa, sibilando: bur-

di Francesco [email protected]

Artigianato a palazzo

sini, supportata fin dagli inizi da NeriTorrigiani, ha fatto sì che l’Ente Cassadi Risparmio di Firenze con le altre isti-tuzioni cittadine e regionali, abbiano ri-conosciuto il valore sociale di questainiziativa e abbiano sostenuto il pro-getto che si pone ormai come un puntodi riferimento importante per tutto l’ar-tigianato, con lo scopo di incentivare lerisorse economiche e umane ad essocollegate, con iniziative e premi specialiper giovani operatori e apprendisti.

La persecuzione dello shortCATTIVISSIMO

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di Michele [email protected]

MENÙ

Il dentice è sicuramente uno dei pre-datori più attivi nel Mediterraneo, lasua presenza è segnalata ovunque cisiano scogliere sommerse o secche inmezzo al mare. A una spiccata aggres-sività, unisce un carattere spocchiosoe capriccioso, che lo porta spesso acomportamenti fuori dalla norma.Ama molto le aree tranquille e ri-sente notevolmente dell'attivitàestiva di motoscafi e traghetti. Il den-tice vive a contatto del fondo, manon di rado si stacca da questo perportarsi in caccia a mezz'acqua. Nonrisente eccessivamente della varia-zione di temperatura dell'acqua, ma èmolto sensibile agli orari e alle fasi lu-nari.Il dentice è un pesce eccellente, so-prattutto se cucinato al forno. La suacarne è pregiata, delicata e molto ap-prezzata. Il dentice, inoltre, è facil-mente digeribile e ricco di saliminerali, come il fosforo, il calcio e lavitamina A. Vediamo ora come cuo-cerlo al forno, con una ricetta tipica-mente mediterranea.Ingredienti per 4 persone:Dentice di1500 gr., -2 spicchi d'aglio, cipolle diTropea, 150 gr di olive nere denoc-ciolate. 2 peperoni rossi, zucchine,

Il predatore in fornoIl déserttornaa Firenze

L’APPUNTAMENTO

Dopo l’anteprima di giugno con Ama-dou&Mariam al Teatro Romano di Fie-sole, il Festival au Désert/presenzed’Africa prosegue giovedì 24 e venerdì25 luglio al Complesso Le Murate di Fi-renze con un affascinante programmache vedrà la partecipazione della grandediva OUM, nota anche come “Soul ofMorocco” E ancora: il cantante e chitarri-sta del gruppo tuareg AMANAR,Ahmed Ag kaedi, il musicista Sandro Jo-yeux chiamato a interpretare i brani delgrande musicista del Mali BoubacarTraoré, l’afrobeat dei Voodoo SoundClub, il virtuosismo del chitarrista di Jo-vanotti Riccardo Onori, le armonie ber-bere di Said Tichiti, e tanti altri ancora...

di Ilaria [email protected] Città d’acqua Lucca San Michele

LUCE CATTURATA

150 gr pomodorini pachino, Prezze-molo e sedano q.b., Sale e pepe q.b.Preparazione: Squamate, pulite e la-vate il dentice in acqua correntefredda. Asciugatelo bene sia all'in-terno sia all'esterno e cospargete disale la superficie.Riempite la pancia del pesce con 1/2spicchi d'aglio e prezzemolo. Salate epepate. Lavate, asciugate e tagliate apezzi grossolani i peperoni e le zuc-

chine. Affettate le cipolle. Tagliate ametà i pomodorini.Prendete una teglia, rivestitela condella carta da forno e poneteci il den-tice. Coprite il pesce con le verdure,cipolla, olive e i pomodorini. Irroratecon un filo d'olio e ricoprite il pescecon un altro foglio di carta da forno.Cuocete in forno a 180 gradi percirca 30-40 minuti. Servite in tavolacon fette di limone, buon appetito!

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.com sabato 19 luglio 2014no85 PAG.15C.com HORROR VACUI

Disegni di PamTesti di Aldo Frangioni

L’unica aspirazione,dopo aver passato tantotempo nel mondoliquido, è emergereverso un’isola, anche secompletamentedisabitata.

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.com sabato 19 luglio 2014no85 PAG.16ODORE DI LIBRI

di Giacomo [email protected]

In periodo di rievocazioni legate alcentenario dello scoppio della primaguerra mondiale è fiorita una produ-zione letteraria sul tema che com-prende centinaia di titoli tra i quali èdifficile orientarsi per qualità e prove-nienza degli studi ma anche per com-plessità dei testi proposti. Tra i volumipiù agili e adatti anche ad un pubblicogeneralista è apparso 1914 di LucianoCanfora per Sellerio Editore. Riscrit-tura di una trasmissione radiofonicaandata in onda su Radio 2 Rai, AlleOtto della Sera, il testo mantiene ilritmo della piacevole trasmissione ra-diofonica pur nel rigore e nell’accura-tezza del lavoro di uno storico comeCanfora. Ci si trova quindi ad indagaregli avvenimenti che portarono alprimo conflitto mondiale da moltipunti di vista come quello delle can-cellerie o quello, ben indagato, del mo-vimento socialista. Lenin, Mussolini, ilkaiser sono tra i protagonisti di questolibro, disegnati e appassionati comepersonaggi di romanzo ma nel rispettodelle fonti e delle interpretazioni chenon sono mai taciute e anzi, al lettoreviene presentato, in modo chiaro il di-battito (corposo e complesso) tra levarie storiografie che si sono cimentatesullo scoppio del conflitto. Dunque unlibro che ci parla di ieri e stimola la vo-glia di approfondire, di trovare altritesti e ci mette in guarda sulla veritàstorica e sulla propaganda e sulla con-fusione che spesso, anche inconsape-volmente, si genera tra queste.

Un angoscioso dubbio pervadein queste settimane la Germa-nia: far uscire o meno un libro?Certo, non si tratta di un libro

qualunque, sto parlando del Meinkampf di Adolf Hitler, forse il più ma-ledetto tra i libri maledetti, almeno perla contemporaneità. Succede infattiche alla fine del 2015, quando cioè sa-ranno decorsi 70 anni dalla morte delFuhrer, il suo testo/manifesto diverràdi dominio pubblico e chiunque potràpubblicarlo. In Germania ed Austria,dalla fine della guerra, il Mein kampfè vietato. Si dice che il timore sia nontanto quello di rendere reperibile untesto che di fatto lo è già (lo si trovatranquillamente in rete), ma piuttostoche venga diffuso sic et simpliciter comeè stato scritto da Hitler e cioè senza unadeguato apparato critico. A tal fine ilgoverno tedesco ha incaricato l’Istitutodi Storia Contemporanea e lo storicoChristian Hartmann, affinché approntiun’edizione ragionata del libro, alloscopo, come ha affermato lo stessoHartmann, di “distruggere il simbolo”.Poi però la Merkel ci ha ripensato, sem-bra sotto la spinta delle associazioni deisopravvissuti all’Olocausto, ritirando ilproprio sostegno all’Istituto di StoriaContemporanea, per impedire l’uscitadel Mein kampf nel 2016. Ma si puòavere paura di un libro? Nell’età digitalee della comunicazione in tempo reale?Il Mein kampf è pubblicato in tutto ilmondo, nei paesi islamici gode in uncerto successo, negli USA se ne ven-dono alcune migliaia di copie ognianno. In Italia, dal 1968, quando la casaeditrice filo fascista Sentinella d’Italialo ripropose, dopo la fine della guerra,se ne contano una dozzina di edizioni,la metà ad opera di editori di sinistra.Dunque stiamo parlando di un testoche da decenni è alla portata di chiun-que. Ma in quanti lo hanno davveroletto? O meglio, dovremmo dire, inquanti hanno trovato la voglia e la pa-zienza di leggerlo? Stiamo infatti par-lando di un polpettone scritto in modoinvoluto, pedante, letterariamente no-ioso. In un’epoca come la nostra in cuisi ragiona e si comunica per messaggi,tweet, e.mail, trecento battute al mas-simo, i giovani possono essere riportatialla lettura da un libro di questa fatta?E davvero si crede che un apparato cri-tico demistificante, sarebbe in grado didepotenziare la portata puramenteideologica del testo? Non è questo,dunque, il rischio, ma, come dice ilProfessor Hartmann, il “simbolo”. Sì,certo, il Mk è un simbolo, ma come loè la svastica, come lo sono le rune etutta l’iconografia nazista di cui sonopieni i libri e le riviste di storia. Gruppineonazisti, più o meno numerosi, ce nesono un po’ dappertutto, anche in Ita-lia, dove si sono radunati a metà giugnoa Rogoredo per un festival nazi-rock.Negli Stati Uniti da anni esiste l’Ame-rican Nazi Party. I greci di Alba Doratahanno portato tre loro rappresentantial Parlamento Europeo. E tuttavia il co-

pyright sul Mein kampf non è ancorascaduto. Hitler è egli stesso un simbolo(forse IL SIMBOLO) del male. Inevi-tabile che ci siano persone ancora affa-scinate da lui, dal suo carismaperpetuato e dalla damnatio memoriaea cui lo si è destinato. E in tutto questoc’entra il Mein kampf? Non si può vie-tare un’idea, anche la più aberrante. Sela si reputa tale la si può, anzi, la si devecontrastare con tutta la forza delle pro-prie argomentazioni contrarie, ma zit-tirla d’autorità è a sua voltaun’aberrazione. Chi decide quali sonole idee da censurare? Chi ha una simileautorità etica e morale? Neppure Dio,secondo alcuni filosofi. La cancella-zione del dissenso è il primo criminedei regimi totalitari. Non si può com-batterli con gli stessi metodi, o si di-venta come loro. Forse alloradovremmo domandarci perché, chi èriuscito a sconfiggere il nazismo, neabbia ancora oggi paura. Forse che allavittoria militare non è seguita un altret-tanto piena vittoria culturale? Forseperché non si è fatto abbastanza, inquesti settanta anni, per evitare checerti sentimenti antisemiti, discrimina-tori, revanscisti, continuassero a ser-peggiare nella società, fino a tornare amanifestarsi in modo preoccupanteall’alba del nuovo millennio? E FrauMerkel allora? Perché tanto agitarsi perl’imminente ripubblicazione del Mk?Io credo che ci sia nei Tedeschi unretro pensiero che li perseguita, la co-scienza non proprio limpida di chi sadi essere stato più complice che vittimadi quel regime che squassò l’Europa trail 1933 ed il 1945. Hitler, il Fuhrer, laguida, l’uomo del destino, lo spazio vi-tale, la razza ariana, gli ebrei che mi-nano le aspirazioni della grandeGermania, non furono i deliri di unsolo individuo o, nella peggiore ipo-tesi, della sua cerchia di seguaci esal-tati. Hitler indicò una vetta, propose alsuo popolo un sogno (un incubo pergli altri) e quel popolo gli credette,quasi fideisticamente, a tal punto da se-guirlo nella dissoluzione, fino alla fine.Salvo poi sostenere che i cittadini te-deschi non sapevano dello sterminioperpetrato nei “campi di lavoro” e dellasoluzione finale. Ma che decine di mi-gliaia di ebrei fossero prelevati con laforza dalle loro case e portati via,quello lo avevano visto. E già non eraabbastanza per porsi qualche scomodadomanda? I Tedeschi tutto ciò, losanno, si conoscono. Non si va più allaconquista dello spazio vitale con lepanzer divisionen, ma con il FiscalCompact; anziché con la Lutwaffe sicombatte con la Bundesbank. E però ilsogno di avere l’Europa vassalla conti-nua a persistere. Il Mein kampf libera-lizzato è in realtà un’occasione pertoccare un nervo scoperto, per costrin-gere Berlino a mostrare l’imbarazzo dichi non ha ancora fatto fino in fondo iconti con la propria storia recente, ti-moroso e forse incredulo nell’accor-gersi che alcuni dei vaticini contenutiin un libro scritto da un ex caporaledell’esercito novanta anni fa, si stannorealizzando solo adesso.

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

ODORE DI LIBRI

pericolosoper chinon lo legge

l’annocrucialeraccontatoda Canfora

Mein Kampf

1914

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di Fabrizio [email protected]

Alcune (molte) statue fiorentine sonostate oggetto degli strali dei “Pasquini”nostrani. Procedendo in ordine crono-logico, dobbiamo partire dal “Biancone”di Piazza Signoria, opera di BartolomeoAmmannati, al quale fu dedicata unastrofetta che qualcuno attribuisce a Mi-chelangelo:“Oh Ammannato, Ammannato,che bel pezzo di marmo hai rovinato”Sempre in Piazza Signoria, a propositodel gruppo marmoreo di “Ercole eCaco”, dove Ercole è raffigurato nell’attodi uccidere Caco che gli aveva rubato ibuoi, del “bue” se lo beccò, da parte diBenvenuto Cellini, proprio l’autore Bac-cio Bandinelli:“Ercole non mi dar, che i tuoi vitelliti renderò insieme con gli armentima il bue se l’è preso il Bandinelli”Un altro monumento del Bandinelli chenon andava troppo a genio ai fiorentiniera quello a Giovanni dalle Bande Nerein Piazza San Lorenzo: quando mai siera visto un valente condottiero como-

damente seduto? E infatti:“Messer Giovanni dalle Bande Neredal lungo cavalcar noiato e stancoscese di sella e si pose a sedere”In Piazza Indipendenza, una di fronte al-l’altre, ci sono le statue di Bettino Rica-soli (del Rivalta) e di Ubaldino Peruzzi(del Romanelli); niente da fare, non pia-cevano:Baldino in calzon corti,Bettino con la farda,nessun l’un l’altro guardaanche se sono mortiIl record delle pasquinate spetta alla sta-tua di Manfredo Fanti in Piazza SanMarco; cominciò Renato Fucini, che sela prese con il basamento, a suo pareretroppo stretto:“Ma scusa, Dio ti mandi n’accidenteo vortati ‘n po’ ‘n su; ma nun lo vedi

che con tutto ‘r su’ vince tanta gentenon gli è restato ‘n dove mette’ e’ piedi?”Altri, visto che la statua era opera di PioFedi, autore anche della statua di Pirronella Loggia dei Lanzi, azzardarono unparagone fra i due monumenti che raffi-guravano Fanti intabarrato ma senzacappello e Pirro seminudo ma conl’elmo in testa“Il Fedi è criticato perché feceil Pirro tutto nudo e col cappello,facendo il Fanti s’è corretto invece,l’ha fatto in zucca e avvolto nel mantello”O anche

“Col vento che qui soffia tutto l’annolei generale senza nulla in testasicuramente prenderà un malanno.Guardi se Pirro un po’ d’elmo le prestae lei, per comportarsi da cristianogli dia almeno un pezzetto di pastrano”Riguardo alla statua di Carlo Goldoninella Piazza omonima, opera di UlisseCambi, i fiorentini trovarono da ridireper un particolare anatomico reso evi-dente dai pantaloni attillati::“Chi mai avrà detto al Cambi che il Gol-doniportava sulla destra i suoi cordoni?”E chiudiamo con la parte conclusiva diun intero sonetto che Luigi Bertelli(Vamba), dedicò al monumento a Vit-torio Emanuele II, oggi in Piazza Vitto-rio Veneto:Gli è brutto in tutti i’ versi, a riguardallo.Per me, ringrazia Iddio che gli eramorto.Tu mi dirai ‘Ma un c’era il su’ figliolo?’Sì, ma Umberto, davanti all’architetto,restò, ‘Io bono, come un cetrioloquando gli disse ‘Questo è Vostro padre’.Io, mondaccio birbone, gni’ avrei detto:‘Mi’ padre? La Befana di tu’ madre!’”

Piazza San Marco

Daglialla statua

di Stefano [email protected]

Ci siamo trovati tutti e due in at-tesa. L'attore alla cornetta del te-lefono, io di fronte allo schermo.Lui in quella che, via via che l'in-

quadratura si allarga, si rivela una fab-brica in stato di abbandono, io nellasaletta di proiezione del Lu.c.c.a. che di-venta più stretta via via che le frasi dellesegreterie si succedono con toni metallicisenza che voce umana le interrompa.I nostri occhi e respiri, le nostre do-mande. Tutto sospeso. Lasciato in statodi abbandono dal Filtro cioè la compo-nente che, ossessiva come il ritornello diuna sveglia non interrotta dal risveglio,percorre tutti e tre i lavori di MarcantonioLunardi (“370 New World”, “The choir”e “Default”) presenti al Museo di artecontemporanea di Lucca.Un Filtro mutante che assume moltepliciforme. La cornetta e le ripetitive istru-zioni e suonerie che incontri cercandosoluzioni da “servizi” che servono solo alasciarti in un limbo senza risposte (“De-fault”). Portatili dai quali visi di coristicantano, sull'altare di una Chiesa, un an-tico inno interrotto con spietata fre-quenza da spot pubblicitari provenientidal Regno del consumo generando unostordente e impossibile dialogo tra unmondo che fu e quello moderno (“TheChoir”). Tablet che catturano con i lororichiami sguardi che non si sfiorano ne-anche trovandosi fianco a fianco. Spentii sorrisi che un tempo illuminavano leconversazioni ora il dialogo avviene travisi accesi dai visori in cui sono immersi(“370 New World”).Mentre i Muri reali cadevano altri piùspessi venivano creati virtualmente. Ab-battute le frontiere, ampliata e diffusa lacomunicazione oggi si è connessi ovun-que e comunque ma non ci si tocca più. Così alla fine si ha come l'impressione

dalla precarietà che essa genera non è lìda sempre. C'è stato un tempo in cui chi seminava(dalle piante, alle culture, al dialogo), nontrovava ostacoli se non naturali. Un tempo in cui i Filtri, come la mac-china da presa di Lunardi, erano utilizzatiper separare il grano dalla pula e cogliere,costruire, esaltare, tramandare.Così, accompagnati dalla splendida mu-sica di Tania Giannouli che distilla notecome semi lungo il video di “370 NewWorld”, ci si rende conto che quello diMarcantonio Lunardi è, fra le tante cose,un gettare inviti allo spettatore affinchènon si faccia intimorire, appiattire, con-finare in un limbo ma rompa gli indugitornando a generare e diffondere rifles-sioni, significati e calore. Elementi indi-spensabili per costruire un NuovoMondo.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

che il gigantesco, abbandonato com-plesso di cemento che in “370 Newworld” sbarra la strada a un seminatoresia stato tirato su negli anni accumulandofiltri.Generando un enorme, impassibile Mo-nolite come quello di “Odissea 2001”.Lo scorrere di immagini dei tre lavori poi,osservati in solitudine nella saletta, a trattiprende aspetti soffocanti come nella“Cura Ludovico” di “Arancia Meccanica”.Nel film di kubrick però il protagonistaè costretto a subire flussi ininterrotti diimmagini che devastano i suoi occhi e lasua mente obbligati a “ingerirli”.

Nella saletta del Lu.c.c.a. invece si entraspontaneamente e c'è la possibilità di co-gliere i segnali che Lunardi lancia e utiliz-zarli una volta usciti.Ci si può così rendere conto che il silen-zioso Monolite industriale di “370 Newworld” non è così spaventoso. Perchènon è lì dall'inizio dei tempi. L'abbiamoeretto noi, moderni costruttori di Torridi Babele digitali che confondono fino adannullare menti, linguaggi, compren-sione, sensibilità, identità. La stessa sospensione senza risposte incui, come in ascolto di una segreteria te-lefonica, siamo abbandonati dalla crisi e

New world

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CCUO

.com sabato 19 luglio 2014no85 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

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La Suburbia di Daly City, California, 1972

Questa è la terza volta che mi occupo di DalyCity, una comunità residenziale di tipo econo-mico nella zona nord della Contea di SanMateo nell'area metropolitana della Baia diSan Francisco. Non starò quindi a dilungarmicon ulteriori spiegazioni. Rimando i lettori alla

visione delle immagini e alla lettura dei testiapparsi sul numero 12 del gennaio 2013 e sulnumero 82 del 28 giugno di quest'anno. Mi li-mito semplicemente ad osservare che da que-sti punti di vista e con questa nebbiolina grigiache molto spesso avvolge queste colline così

vicine all'oceano, il senso dello sgomento delleparole e della musica della cantautrice Mel-vina Reynolds nella sua famosa canzone “Lit-tle Boxes” esplodono in tutta la loro amaraironia e nella loro dimensione totalmente sur-reale.

Dall’archivio di M

aurizio Be

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